Language of document : ECLI:EU:C:2015:241

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 16 aprile 2015 (1)

Causa C‑222/14

Konstantinos Maïstrellis

contro

Ypourgos Dikaiosynis, Diafaneias kai Anthropinon Dikaiomaton

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Symvoulio tis Epikrateias (Repubblica ellenica)]

«Politica sociale – Direttiva 96/34/CE – Accordo quadro sul congedo parentale – Diritto al congedo parentale per i giudici – Concessione del congedo parentale al padre lavoratore in caso di madre non lavoratrice – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento fra uomini e donne in materia di impiego»





I –    Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione della direttiva 96/34/CE (2), che attua l’accordo quadro sul congedo parentale.

2.        Nel procedimento principale, vertente su una fattispecie relativa agli anni 2010 e 2011, si discute dei diritti dei giudici al congedo parentale. Secondo il diritto greco, il congedo parentale non era riconosciuto loro quando la moglie era fisicamente in condizione di occuparsi dei figli e non lavorava.

3.        Il giudice del rinvio vuole sapere se le restrizioni in parola al congedo parentale siano compatibili con la direttiva sul congedo parentale e se debba esservi ravvisata una discriminazione illecita fondata sul sesso ai sensi della direttiva 2006/54/CE (3).

II – Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

4.        Il contesto normativo dell’Unione è determinato, da una parte, dalla direttiva sul congedo parentale e, dall’altra, dalla direttiva sulla parità di trattamento.

1.       Direttiva sul congedo parentale

5.        La direttiva sul congedo parentale attua l’accordo quadro sul congedo parentale, che è stato concluso il 14 dicembre 1995 tra le organizzazioni interprofessionali a carattere generale – Confederazione europea dei datori di lavoro (UNICE), Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica (CEEP) e Confederazione europea dei sindacati (CES) – e che figura nell’allegato alla direttiva.

6.        L’accordo quadro sul congedo parentale dovrebbe consentire agli uomini e alle donne di conciliare meglio i loro obblighi professionali e familiari (4).

7.        La clausola 1 dell’accordo quadro («Oggetto e campo d’applicazione») prevede quanto segue:

«1.      Il presente accordo stabilisce prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano.

2.      Il presente accordo si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito dalla legge, da contratti collettivi o dalle prassi vigenti in ciascuno Stato membro».

8.        La clausola 2 dell’accordo quadro («Congedo parentale») dispone quanto segue:

«1.      Fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un’età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali.

2.      Per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne le parti firmatarie del presente accordo considerano che il diritto al congedo parentale previsto alla clausola 2.1 dovrebbe, in linea di principio, essere attribuito in forma non trasferibile.

3.      Le condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale sono definite dalla legge e/o dai contratti collettivi negli Stati membri, nel rispetto delle prescrizioni minime del presente accordo. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono in particolare:

a)       stabilire che il congedo parentale sia accordato a tempo pieno, a tempo parziale (…)

b)       subordinare il diritto al congedo parentale ad una determinata anzianità lavorativa e/o aziendale che non può superare un anno;

c)       (…)

d)       fissare i termini del preavviso che il lavoratore deve dare al datore di lavoro allorché intende esercitare il diritto al congedo parentale; tale preavviso deve indicare l’inizio e la fine del periodo di congedo;

e)       definire le circostanze in cui il datore di lavoro (…) è autorizzato a rinviare la concessione del congedo parentale per giustificati motivi (…)

f)       (...)».

2.      Direttiva sulla parità di trattamento

9.        La direttiva sulla parità di trattamento, al suo considerando prevede 11 quanto segue:

«Gli Stati membri (…) dovrebbero affrontare il problema (…) della marcata separazione tra i sessi nel mercato del lavoro, attraverso un’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro che consenta alle donne e agli uomini di conciliare meglio la vita familiare con la vita lavorativa. Sono necessarie a tal fine disposizioni appropriate in materia di congedo parentale, a beneficio di entrambi i genitori (…)».

10.      L’articolo 1 della medesima direttiva così dispone:

«Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:

(…)

b)       le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione (…)».

11.      Il successivo articolo 2 così recita:

«1.      Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

a)      discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga;

(…)».

12.      L’articolo 3 di tale direttiva così stabilisce:

«Gli Stati membri possono mantenere o adottare misure ai sensi dell’articolo 141, paragrafo 4, del trattato volte ad assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne nella vita lavorativa».

13.      L’articolo 14 di detta direttiva dispone quanto segue:

«1.      È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione (…)».

14.      L’articolo 28 della stessa direttiva così recita:

«1.      La presente direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.

2.     La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34/CE e della direttiva 92/85/CEE».

 B – Il diritto nazionale

15.      In base al diritto greco – nella versione applicabile all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale –, una giudice in stato di gravidanza ha diritto al congedo prima e dopo il parto secondo le disposizioni vigenti per i dipendenti pubblici dello Stato. A fronte di una richiesta in tal senso, le è inoltre riconosciuto un congedo retribuito di nove mesi per la cura del figlio.

16.   Secondo la giurisprudenza nazionale, un corrispondente diritto al congedo parentale dovrebbe essere riconosciuto in linea di principio – al di là del testo letterale della legge formulato con riferimento alle donne – anche ai giudici divenuti padri.

17.   L’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, del codice del pubblico impiego (5), che, all’epoca dei fatti, in mancanza di disposizioni specifiche per i giudici (6), trovava applicazione in via analogica (7), conteneva tuttavia la seguente limitazione:

«Se la moglie del dipendente pubblico non lavora o non esercita alcuna professione, il marito non ha diritto alle agevolazioni di cui al paragrafo 2 [compreso il congedo parentale retribuito], a meno che la stessa, a causa di grave malattia o disabilità, venga considerata non in grado di provvedere all’educazione di un bambino (…)».

III – Procedimento principale e questione pregiudiziale

18.   Ricorrente nel procedimento principale è un giudice greco che, nel dicembre 2010, ha chiesto la concessione di un congedo retribuito per la cura del figlio nato il 24 ottobre 2010.

19.   Nel 2011 l’autorità competente respingeva la richiesta di cui trattasi sulla base dell’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, del codice del pubblico impiego, perché la moglie del ricorrente era disoccupata e a quest’ultimo non spettava pertanto alcun congedo per la cura del figlio.

20.   Il ricorrente impugnava la suddetta decisione di diniego dinanzi al Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato). Il Consiglio di Stato ritiene che al ricorrente possa essere concesso il congedo da lui richiesto solo qualora l’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, del codice del pubblico impiego sia incompatibile con le direttive 96/34 e 2006/54.

21.   Alla luce di quanto precede, il Consiglio di Stato ha disposto la sospensione del procedimento e ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se le disposizioni delle direttive 96/34/CE e 2006/54/CE, quali si applicano nel caso di specie, debbano essere interpretate nel senso che ostano a disposizioni nazionali, come quella controversa dell’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, del codice del pubblico impiego, ai sensi della quale, se la moglie del dipendente pubblico non lavora o non esercita alcuna professione, quest’ultimo non ha diritto al congedo parentale, a meno che la stessa, a causa di grave malattia o disabilità, venga considerata non in grado di provvedere all’educazione di un bambino».

22.   Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte il governo della Repubblica ellenica, la Commissione europea e il ricorrente del procedimento principale.

IV – Analisi

23.      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva sul congedo parentale e la direttiva sulla parità di trattamento debbano essere interpretate nel senso che ostano a una normativa nazionale secondo la quale un giudice non ha diritto al congedo parentale quando sua moglie non lavora (8), a meno che quest’ultima sia impossibilitata a occuparsi della cura dei figli per ragioni di salute.

A –    Interpretazione e ricevibilità della questione pregiudiziale

24.      È vero che nella questione pregiudiziale non si parla di giudici, ma ci si riferisce piuttosto ai dipendenti pubblici. Posto però che il ricorrente del procedimento principale è un giudice e non un dipendente pubblico, la questione pregiudiziale, per fornire al giudice del rinvio una risposta utile, deve essere interpretata come riferita ai giudici.

25.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile. In particolare, l’eccezione (9) sollevata dal ricorrente nel procedimento principale, secondo cui nel caso di specie non sarebbe applicabile l’articolo 53 del codice del pubblico impiego, non è idonea a fondarne l’irricevibilità.

26.      È vero che l’articolo 267 TFUE richiede, per la sua ricevibilità, che la questione sottoposta sia rilevante ai fini della decisione. Quanto alla valutazione della rilevanza ai fini della decisione, il giudice del rinvio gode tuttavia di un margine di discrezionalità che, in linea di principio, non può essere oggetto di sindacato da parte della Corte, salvo il caso di errori evidenti (10).

27.      Nelle considerazioni del giudice del rinvio non sono ravvisabili errori di tal sorta tanto più che egli motiva dettagliatamente le ragioni che lo inducono ad ammettere l’applicabilità, anche nei confronti dei giudici, della disposizione controversa in materia di status dei dipendenti pubblici. La questione pregiudiziale non è quindi ipotetica, sussistendo invece un collegamento con la materia oggetto di controversia nel procedimento principale.

B –    Sulla direttiva sul congedo parentale

28.      Il giudice del rinvio chiede anzitutto se la direttiva sul congedo parentale permetta di negare detto congedo a un giudice la cui moglie non lavora ed è fisicamente idonea ad accudire i figli.

1.      Applicazione della direttiva sul congedo parentale ai giudici greci

29.      Secondo la giurisprudenza della Corte, l’ambito di applicazione della direttiva sul congedo parentale non è limitato ai rapporti di lavoro di diritto privato. La direttiva trova invece applicazione anche al servizio pubblico. La Corte lo ha chiarito espressamente in relazione ai dipendenti pubblici, richiamandosi al principio della parità di trattamento che è alla base della direttiva in parola, rispetto alla nozione di lavoratore di cui alla clausola 1.2 dell’accordo quadro (11).

30.      Lo stesso deve valere anche per i giudici. Nella direttiva sul congedo parentale non si rinviene, come per i dipendenti pubblici, nessun elemento che consenta di dedurre che i giudici siano generalmente esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva sul congedo parentale. Se i dipendenti pubblici greci, come espressamente riconosciuto nella sentenza Chatzi (12), rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva in questione, lo stesso deve valere anche per i giudici greci i cui diritti al congedo parentale sono soggetti all’applicazione in via analogica delle disposizioni in materia di status dei dipendenti pubblici.

31.      Anche la particolare natura giuridica della figura professionale del giudice, caratterizzata dalla nomina a vita dello stesso e dalla sua indipendenza nell’esercizio della professione, non osta a che i giudici siano inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva sul congedo parentale. Non è chiaro, infatti, come tale specifica figura professionale possa presentare peculiarità rispetto alla problematica del congedo parentale tali da giustificare un diverso trattamento dei giudici rispetto ai dipendenti pubblici e agli altri lavoratori.

32.      Pur volendo riconoscere al legislatore nazionale, nel caso dei giudici, come stabilito dalla Corte in relazione all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale nella sentenza O’Brien (13), un ampio margine di discrezionalità nel valutare (14) se e in che misura essi debbano essere considerati dipendenti ai quali si applica la direttiva sul congedo parentale, occorrerebbe tuttavia garantire, per recepire la direttiva conformemente al diritto dell’Unione, che essi non siano «esclu[si] arbitrariamente (…) dal beneficio della tutela offerta dalla direttiva (…) e da[ll’]accordo quadro. L’esclusione dal beneficio di tale tutela può essere ammessa solo qualora il rapporto [che caratterizza la figura professionale del giudice] sia, per sua propria natura, sostanzialmente diverso da quello che vincola ai loro datori di lavori i dipendenti rientranti, secondo il diritto nazionale, nella categoria dei lavoratori (15)». Per i giudici greci e i loro diritti al congedo parentale non sono rinvenibili peculiarità del genere, radicate nella figura professionale del giudice, tanto più che per tali diritti trovava applicazione per analogia, nel periodo rilevante, il codice del pubblico impiego greco. Pertanto, è evidentemente possibile paragonare le situazioni anche dal punto di vista del diritto nazionale.

2.      Diritto al congedo parentale ai sensi dell’accordo quadro della direttiva sul congedo parentale

33.      Il governo della Repubblica ellenica intende desumere dal tenore letterale della clausola 1.1, volta ad agevolare la vita professionale e familiare dei «genitori che lavorano», che, secondo il modello della direttiva sul congedo parentale, l’esistenza di un diritto al congedo parentale presuppone che entrambi i genitori lavorino. Il suddetto governo dubita che, quando solo uno dei genitori lavora, si ponga la questione della conciliabilità di lavoro e famiglia e che sia richiamato l’obiettivo della direttiva sul congedo parentale.

34.      Tuttavia, il tenore letterale della direttiva non deve essere necessariamente compreso in tal senso.

35.      È vero che la direttiva parla, nella clausola 1.1 dell’accordo quadro, di «genitori» al plurale e non di un genitore che lavora. Tuttavia, nella clausola 2.1 dell’accordo quadro essa si riferisce ai «lavoratori, di ambo i sessi», il che presuppone una valutazione isolata di ciascuno dei genitori, senza esprimersi sull’esistenza o meno di un vincolo di coniugio tra le persone interessate.

36.      L’approccio adottato dal governo ellenico solleva inoltre perplessità di carattere teleologico e sistematico, tanto più che una lettura come quella che esso dà dell’articolo 53 del codice del pubblico impiego greco porterebbe addirittura a subordinare il diritto al congedo parentale di un coniuge alla posizione lavorativa dell’altro, a prescindere dalla sua identità di genitore.

37.      Ciò contrasta, da un lato, con la clausola 2.1 dell’accordo quadro, secondo cui a ciascun genitore spetta «un diritto individuale al congedo parentale» (16). Inoltre, ai sensi della clausola 2.2 dell’accordo quadro, il suddetto diritto non è, di norma, trasferibile, il che ne sottolinea fin da subito il carattere altamente personale (17), al quale si opporrebbe la tesi secondo cui la sussistenza del diritto dipende dalla condizione professionale del coniuge o dell’altro genitore.

38.      Dall’altro lato, l’accordo quadro persegue l’obiettivo di raggiungere l’uguaglianza di diritti tra i genitori nell’assumere responsabilità familiari, incoraggiando in particolare gli uomini a prendere congedi parentali (18). In base ad esso, entrambi i genitori, ma nello specifico proprio gli uomini, devono avere in tal modo la possibilità di contribuire all’educazione dei figli senza essere svantaggiati dal punto di vista professionale o senza dover essere addirittura costretti ad abbandonare la propria attività.

39.      Questa interpretazione della direttiva sul congedo parentale può trovare fondamento nella sentenza Chatzi. La Corte ivi dichiara che il diritto al congedo parentale non costituisce un diritto del bambino, bensì un diritto dei genitori (19). La direttiva sul congedo parentale deve quindi essere esaminata anzitutto dal punto di vista del rispettivo genitore, e non del bambino. Non si pone quindi primariamente la questione se la cura del bambino sia garantita anche in mancanza di congedo parentale. La direttiva vuole piuttosto offrire a ciascuno dei genitori la possibilità di scegliere in proprio se lui o lei – a prescindere dalla rispettiva posizione professionale – vogliano condividere le responsabilità familiari mediante la cura del bambino (20). Proprio rispetto ai padri dovrebbe in tal modo essere superata la tradizionale ripartizione dei ruoli nell’educazione dei bambini. Proprio se il diritto al congedo parentale è negato al padre quando la moglie non lavora, sorge il rischio di corroborare la ripartizione tradizionale dei ruoli tra uomini e donne (21), il che contrasterebbe anche con l’obiettivo di promuovere la partecipazione delle donne alla vita attiva (22) e di agevolare il «ritorno alla vita professionale» (23).

40.      Il fatto che il legislatore dell’Unione avesse in mente come modello un diritto individuale, spettante a ciascuno dei genitori, emerge anche dalla genesi della norma.

41.      Già all’inizio degli anni ’80 la Commissione intendeva presentare una prima proposta per una direttiva del Consiglio relativa ai congedi parentali ed ai congedi per motivi familiari (24), che tuttavia non è stata accettata. Anche la bozza rivista del 1984 (25) non ha trovato sufficiente sostegno. Le suddette proposte, alla fine non approvate, sono tuttavia interessati sotto il profilo della storia del diritto e dal punto di vista teleologico. Infatti, la proposta del 24 novembre 1983 prevedeva espressamente, al suo articolo 4, che il congedo parentale sarebbe stato concesso per consentire a un genitore che lavora di stare a casa per occuparsi, «da solo o prevalentemente», del proprio figlio. La proposta modificata del 1984 disponeva in aggiunta, al suo articolo 4, paragrafo 2, che il congedo parentale «non può essere concesso simultaneamente a entrambi i genitori». Siffatte limitazioni non sono previste nell’accordo quadro in parola. Quest’ultimo non vieta tuttavia in modo esplicito agli Stati membri di disciplinare il diritto al congedo parentale di due genitori che lavorano in modo tale da impedire che essi possano beneficiare contemporaneamente di tutto il loro congedo parentale. Non è necessario verificare se la direttiva sul congedo parentale osti a una disposizione nazionale in tal senso poiché, nel caso dell’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, del codice del pubblico impiego greco, non si discute della ripartizione temporale di due diritti di due genitori che lavorano, ma del fatto se possa essere negato, in generale, il congedo parentale all’unico genitore che lavora perché il coniuge non svolge un’attività lavorativa. Una simile disposizione è contraria all’obiettivo, perseguito dal legislatore dell’Unione ed esplicitato nell’accordo quadro, di garantire ai genitori un diritto individuale al congedo parentale.

42.      La normativa greca non può, in particolare, fondarsi sulla clausola 2.3 dell’accordo quadro, che rimette agli Stati membri la disciplina delle «condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale». La disposizione in parola non autorizza, infatti, gli Stati membri a negare tout court a uno dei genitori il congedo parentale, ma tiene conto essenzialmente, ad esempio, delle legittime esigenze organizzative del datore di lavoro, che devono essere conciliate con la concessione del congedo parentale. Non si fa parola del fatto che l’attività professionale del coniuge sia una condizione per far valere il diritto al congedo parentale.

43.      La lettura greca della direttiva non può essere sostenuta neppure sotto il profilo della prevenzione dell’abuso di diritto. È vero che, in linea di principio, si ammette che l’abuso di diritto possa far venire meno posizioni di diritto riconosciute dal diritto dell’Unione (26). È anche possibile che un genitore utilizzi il congedo parentale per scopi diversi dalla cura del bambino, distorcendone le finalità. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non si rinvengono però elementi per ritenere che il padre del bambino intenda servirsi del congedo parentale per finalità diverse da quelle riconosciute nell’accordo quadro.

44.      Alla luce di quanto precede, si deve concludere che la clausola 2 dell’accordo quadro sul congedo parentale attuato con la direttiva sul congedo parentale osta a una disciplina secondo cui un giudice non ha diritto al congedo parentale quando la moglie non lavora o non esercita alcuna professione a meno che la stessa sia considerata non in grado di provvedere all’educazione di un bambino a causa di grave malattia o disabilità.

C –    Sulla direttiva sulla parità di trattamento

45.      Si pone inoltre la questione se anche la direttiva sulla parità di trattamento osti alla disciplina nazionale.

46.      La direttiva in parola mira ad attuare, all’interno degli Stati membri, il principio della parità di trattamento tra uomini e donne in ambito lavorativo. Essa vieta quindi ogni discriminazione, diretta o indiretta, fondata sul sesso. Il suo articolo 14, paragrafo 1, lettera c), vieta in particolare ogni discriminazione rispetto alle condizioni di lavoro.

47.      Per quanto attiene all’applicabilità della direttiva anche ai giudici, è possibile rinviare alle osservazioni sull’ambito di applicazione della direttiva sul congedo parentale (27) e occorre verificare se la disposizione greca controversa, la quale, con il diritto al congedo parentale, affronta la questione del congedo dal lavoro e quindi le condizioni di lavoro ai sensi della direttiva sulla parità di trattamento, comporti una discriminazione fondata sul sesso.

48.      L’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, del codice del pubblico impiego riconosce al padre del bambino il diritto al congedo parentale solo nel caso in cui la moglie sia essa stessa una lavoratrice o non sia in grado di prendersi cura del bambino per motivi di salute, mentre non prevede un’analoga limitazione per il diritto al congedo parentale della madre del bambino.

49.      Posto che la disposizione in oggetto prevede espressamente una limitazione alla concessione del congedo parentale solo per il padre del bambino, sussiste una discriminazione diretta sulla base del sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva (28).

50.      La discriminazione in questione non può essere giustificata sulla base dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva sulla parità di trattamento, secondo cui la direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. La normativa greca controversa non ricade nella disposizione in parola, perché non accorda alla donna una protezione particolare a motivo della gravidanza e della maternità, ma nega al contrario al suo coniuge il diritto al congedo parentale.

51.      La normativa greca non costituisce neppure una misura positiva volta a incentivare le pari opportunità tra uomini e donne ai sensi dell’articolo 3 della direttiva sulla parità di trattamento. Non è dato, infatti, vedere come la limitazione del congedo parentale a danno del padre possa essere idonea a eliminare o limitare, a favore delle donne, disparità di fatto esistenti. Esiste piuttosto addirittura il pericolo che una siffatta disciplina rafforzi una ripartizione dei ruoli familiari consolidata e renda più difficile l’accesso o il rientro nella vita professionale per le donne non lavoratrici. Nel suo considerando 11, la direttiva sulla parità di trattamento invita peraltro gli Stati membri proprio ad adottare disposizioni volte a consentire di conciliare meglio la vita familiare con la vita lavorativa sotto forma di congedo parentale a beneficio di entrambi, senza differenziare in alcun modo in base al sesso.

52.      L’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva cita infine espressamente la direttiva sul congedo parentale, le cui disposizioni non sono pregiudicate dalla direttiva sulla parità di trattamento. Ne consegue che un diritto al congedo parentale accordato al padre dalla direttiva sul congedo parentale non può venir meno in considerazione della direttiva sulla parità di trattamento e che non può quindi essere ravvisata nessuna giustificazione per una tale discriminazione diretta.

53.      Riassumendo, si può quindi affermare che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sulla parità di trattamento osta a una disposizione nazionale come quella qui in esame.

V –    Conclusione

54.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale nei seguenti termini:

La clausola 2 dell’accordo quadro sul congedo parentale attuato con la direttiva 96/34 e l’articolo 14 della direttiva 2006/54 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che neghi il diritto al congedo parentale a un giudice quando la moglie non lavora o non esercita alcuna professione, a meno che la stessa venga considerata non idonea ad accudire il figlio a causa di grave malattia o disabilità.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Direttiva del Consiglio del 3 giugno 1996 concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4), nella versione modificata dalla direttiva 97/75/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997 (GU L 10, pag. 24) (in prosieguo definita anche: la «direttiva sul congedo parentale»). La direttiva sul congedo parentale è stata abrogata a decorrere dall’8 marzo 2012 ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell’8 marzo 2010, che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE; la direttiva 2010/18, in base al suo articolo 3, doveva essere recepita entro l’8 marzo 2012. Posto che il procedimento principale verte su una fattispecie degli anni 2010 e 2011, occorre prendere in considerazione la direttiva sul congedo parentale e non la direttiva 2010/18. Ciò non comporta tuttavia modifiche significative per la tematica sollevata con la questione pregiudiziale.


3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23; in prosieguo: la «direttiva sulla parità di trattamento»).


4 – V. punto 4 delle «considerazioni generali» dell’accordo quadro.


5 – Legge n. 3528/2007 sullo status dei dipendenti civili della pubblica amministrazione e dei dipendenti delle persone giuridiche di diritto pubblico.


6 – V. punto 7 della domanda di pronuncia pregiudiziale.


7 – Nel 2012 è stata emanata, specificamente per i giudici, una normativa corrispondente, nel contenuto, all’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, che continua ad essere in vigore. Per i dipendenti pubblici l’articolo 53, paragrafo 3, terza frase, del codice del pubblico impiego è stato invece abrogato con legge del 21 novembre 2013 (n. 4210/2013) a seguito dell’avvio di una procedura di infrazione a carico della Repubblica ellenica (v., al riguardo, punti da 6 a 9 delle osservazioni scritte della Repubblica ellenica).


8 – In base alla terminologia tedesca, la seconda alternativa della questione pregiudiziale, ossia che la moglie «non esercita alcuna professione», è compresa nella prima alternativa («non lavora»).


9 – Il ricorrente non solleva un’espressa eccezione di inammissibilità.


10 – V., in tal senso, ad esempio, sentenze Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 54) e Quelle (C‑404/06, EU:C:2008:231, punti 19 e segg.), nonché le mie conclusioni nelle cause riunite Airport Shuttle Express (C‑162/12 e C‑163/12, EU:C:2013:617, paragrafi 18 e segg.).


11 – V. sentenza Chatzi (C‑149/10, EU:C:2010:534, punti da 27 a 30) e la mia presa di posizione nella medesima causa (EU:C:2010:407, paragrafi 20 e 21 nonché giurisprudenza ivi citata).


12 – V. nota 11.


13 – Sentenza O’Brien (C‑393/10, EU:C:2012:110, punti 41 e segg.), vertente sull’interpretazione della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9), nella versione modificata dalla direttiva 98/23/CE del Consiglio, del 7 aprile 1998 (GU L 131, pag. 10).


14 – Nelle mie conclusioni nella causa O’Brien ho osservato che la nozione di lavoratore nella direttiva sul congedo parentale deve essere interpretata quale nozione autonoma di diritto dell’Unione dato il particolare significato del principio della parità di trattamento, mentre nel caso dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale al legislatore nazionale spetta un certo margine di discrezionalità (conclusioni nella causa O’Brien, C‑393/10, EU:C:2011:746, paragrafi 25 e segg.).


15 – Sentenza O’Brien (C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 51).


16 – Sentenza Chatzi (C‑149/10, EU:C:2010:534, punto 33).


17 – Nella nuova direttiva 2010/18, la clausola 2.2 della versione riveduta dell’accordo quadro sul congedo parentale chiarisce che occorre prevedere che almeno un mese del congedo in parola non sia trasferibile.


18 – V. punto 8 delle «considerazioni generali» dell’accordo quadro sul congedo parentale.


19 – Sentenza Chatzi (C‑149/10, EU:C:2010:534, punto 34).


20 – V. punto 5 delle «considerazioni generali» dell’accordo quadro sul congedo parentale.


21 – Sulla direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, v. sentenza Roca Álvarez (C‑104/09, EU:C:2010:561, punto 34).


22 – V. punti 4 e 7 delle «considerazioni generali» dell’accordo quadro e primo comma del preambolo dell’accordo quadro.


23 – V. punto 5 delle «considerazioni generali» dell’accordo quadro.


24 – COM(83) 686 def.


25 – COM(84) 631 def.


26 – V., ad esempio, sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punti da 34 a 38).


27 – V. supra, paragrafi 30 e segg. delle presenti conclusioni.


28 – V. sentenza Griesmar (C‑366/99, EU:C:2001:648, punti 46 e 56).