Language of document : ECLI:EU:C:2018:440

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

14 giugno 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 34 e 35 TFUE – Libera circolazione delle merci – Restrizioni quantitative – Misure di effetto equivalente – Protezione dei suini – Prodotti trasformati o commercializzati in Spagna – Norme di qualità per la carne, il prosciutto, la spalla e l’insaccato di lombo iberico – Condizioni per l’utilizzo della denominazione “de cebo” – Miglioramento della qualità dei prodotti – Direttiva 2008/120/CE – Ambito di applicazione»

Nella causa C‑169/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna), con decisione del 27 febbraio 2017, pervenuta in cancelleria il 3 aprile 2017, nel procedimento

Asociación Nacional de Productores de Ganado Porcino

contro

Administración del Estado,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, C.G. Fernlund, J.‑C. Bonichot, S. Rodin (relatore) ed E. Regan, giudici,

avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe

cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 marzo 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per l’Asociación Nacional de Productores de Ganado Porcino, da J.M. Rodríguez Cárcamo, abogado, e N. Olmos Castro, abogada;

–        per il governo spagnolo, da M.A. Sampol Pucurull, in qualità di agente;

–        per il governo tedesco, da T. Henze, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da M. Patakia e I. Galindo Martín, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 34 e 35 TFUE nonché dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), e dell’articolo 12 della direttiva 2008/120/CE del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini (GU 2009, L 47, pag. 5).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’Asociación Nacional de Productores de Ganado Porcino (in prosieguo: l’«associazione») e l’Administración del Estado (amministrazione dello Stato, Spagna), relativamente al regio decreto, adottato dal governo spagnolo, recante approvazione delle norme di qualità per la carne, il prosciutto, la spalla e l’insaccato di lombo iberico.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        I considerando 7 e 8 della direttiva 2008/120 così recitano:

«(7)      È quindi indispensabile stabilire le norme minime comuni per la protezione dei suini d’allevamento e da ingrasso allo scopo di garantire un razionale sviluppo della produzione.

(8)      I suini traggono beneficio da un ambiente che corrisponde alle loro esigenze in termini di possibilità di movimento e di comportamento esplorativo. Il loro benessere sembra essere pregiudicato da forti restrizioni di spazio».

4        L’articolo 1 della suddetta direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce le norme minime per la protezione dei suini confinati per l’allevamento e l’ingrasso».

5        L’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva così dispone:

«Gli Stati membri provvedono affinché tutte le aziende si conformino ai seguenti requisiti:

a)      le superfici libere a disposizione di ciascun suinetto o suino all’ingrasso allevato in gruppo, escluse le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe, deve corrispondere ad almeno

Peso vivo (kg)

m2

Fino a 10

0,15

Oltre 10 fino a 20

0,20

Oltre 20 fino a 30

0,30

Oltre 30 fino a 50

0,40

Oltre 50 fino a 85

0,55

Oltre 85 fino a 110

0,65

Oltre 110

1,00


(…)».

6        L’articolo 12 della suddetta direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono mantenere o applicare nel loro territorio disposizioni più severe di quelle previste dalla presente direttiva, nel rispetto delle regole generali del trattato. Essi informano la Commissione di qualsiasi provvedimento preso in tal senso».

 Diritto spagnolo

7        L’articolo 1 del Real Decreto 4/2014 por el que se aprueba la norma de calidad para la carne, el jamón, paleta y la caña de lomo ibérico (regio decreto 4/2014, recante approvazione delle norme di qualità per la carne, il prosciutto, la spalla e l’insaccato di lombo iberico), del 10 gennaio 2014 (BOE n. 10, dell’11 gennaio 2014, pag. 1569), è così formulato:

«Il presente regio decreto è finalizzato a determinare le caratteristiche di qualità che devono essere soddisfatte dai prodotti derivanti dal taglio della carcassa di suini iberici, trasformati o commercializzati freschi quali il prosciutto, la spalla, l’insaccato di lombo iberico, trasformati o commercializzati in Spagna, affinché possano utilizzare le denominazioni di vendita stabilite nella presente normativa, fermo restando il rispetto della normativa generale applicabile.

Saranno parimenti ammessi i prodotti trasformati in Portogallo, in base agli accordi stipulati fra le autorità spagnole e portoghesi sulla produzione, la trasformazione, la commercializzazione e il controllo dei prodotti iberici.

Inoltre, i prodotti che fruiscono di un marchio di qualità riconosciuto a livello comunitario (Denominazione di origine protetta o Indicazione geografica protetta) che intendano utilizzare le denominazioni di vendita previste nel presente testo normativo o qualsiasi termine quivi inserito, dovranno soddisfare i requisiti stabiliti nello stesso».

8        L’articolo 3, paragrafo 1, del decreto 4/2014 prevede quanto segue:

«La denominazione di vendita dei prodotti disciplinati dal presente regio decreto è obbligatoriamente costituita da tre elementi, che devono figurare nell’ordine di seguito indicato:

a)      Designazione per tipo di prodotto:

i)      Per i prodotti trasformati: (…)

ii)      Per i prodotti ottenuti dal taglio della carcassa commercializzati freschi: (…)

b)      Designazione per tipo di alimentazione e tipo di allevamento:

i)      ‟De bellota (con ghiande)”: per i prodotti derivati da animali macellati immediatamente dopo un regime di alimentazione basato esclusivamente sulle risorse naturali della “dehesa (territorio boschivo)”.

ii)      Per i prodotti derivanti da animali il cui tipo di alimentazione e di allevamento, fino al raggiungimento del peso di macellazione, non siano fra quelli previsti al punto precedente, si utilizzeranno le indicazioni seguenti:

1.      “De cebo de campo (alimentazione a base di prodotti del suolo)”: sono animali che, sebbene abbiano potuto nutrirsi di risorse della “dehesa” o del pascolo, sono stati alimentati con mangimi costituiti fondamentalmente da cereali e legumi, allevati in aziende suinicole estensive o intensive all’aperto, che possono avere parti costituite da spazi coperti (…).

2.      “De cebo (con mangimi)”: in caso di animali alimentati con mangimi costituiti fondamentalmente da cereali e legumi, allevati esclusivamente in aziende suinicole con sistema intensivo, in conformità a quanto previsto all’articolo 8.

c)      Designazione in base alla razza (…)

(…)»

9        L’articolo 8, paragrafi 1 e 2 del suddetto decreto, intitolato «Condizioni di allevamento per gli animali da cui derivano prodotti con l’indicazione “de cebo”», dispone quanto segue:

«1.      Ferme restando le condizioni di allevamento stabilite nel [Real Decreto 1135/2002, relativo a las normas mínimas para la protección de cerdos (Regio decreto n. 1135/2002, relativo alle norme minime per la protezione dei suini), del 31 ottobre 2002 (BOE n. 278, del 20 novembre 2002)], gli animali all’ingrasso di oltre 110 chilogrammi di peso vivo da cui derivano prodotti con la designazione “de cebo” devono disporre di una superficie libera totale pari a 2 m2 per animale in fase di ingrasso.

2.      L’età minima di macellazione è di 10 mesi».

10      La terza disposizione addizionale del suddetto decreto prevede quanto segue:

«I requisiti imposti dalle norme di qualità approvate non si applicano ai prodotti legalmente prodotti o commercializzati in conformità ad altre specifiche di altri Stati membri dell’Unione europea, né ai prodotti provenienti dagli Stati dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) né agli Stati contraenti dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), né agli Stati parte di un accordo di associazione doganale con l’Unione europea».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

11      Il regio decreto 4/2014 è stato oggetto di un ricorso amministrativo ordinario introdotto dall’associazione dinanzi al giudice del rinvio, il Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna).

12      A sostegno di tale ricorso, l’associazione deduce che il decreto in discussione, imponendo un aumento dei costi di produzione del suino iberico in Spagna, determina una distorsione della concorrenza a livello dell’Unione. Pertanto, l’associazione ritiene che la suddetta disciplina configuri una restrizione quantitativa alle esportazioni contraria all’articolo 35 TFUE, atteso che i produttori concorrenti, stabiliti in altri Stati membri, non devono sostenere i costi generati da una misura come quella imposta dal governo spagnolo.

13      Inoltre, l’associazione fa valere dinanzi al giudice del rinvio che il regio decreto 4/2014 violerebbe l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/120, letto in combinato disposto con l’articolo 12 della medesima direttiva, giacché le misure introdotte da detto decreto non mirano a tutelare i suini, bensì ad aumentare il prezzo del suino iberico.

14      Per di più, l’associazione evidenzia che l’obiettivo di incrementare la qualità dei prodotti, espressamente indicato nel regio decreto 4/2014, non può essere perseguito mediante le misure previste da quest’ultimo, in quanto, da un lato, non è dimostrato che il raddoppiamento della superficie totale minima di spazio libero per animale aumenterà la qualità dei suini e, dall’altro, la determinazione dell’età minima per la macellazione a dieci mesi, laddove il peso ottimale per la macellazione dei suini si raggiunge intorno agli otto mesi, comporterà la messa in vendita di prodotti di peso troppo elevato che non avranno sbocco sul mercato e per i quali non sarà possibile ottenere un aumento del prezzo proporzionale all’aumento del peso.

15      Il giudice del rinvio ritiene che i produttori spagnoli di prodotti recanti la denominazione «ibérico de cebo» siano svantaggiati rispetto agli altri produttori dell’Unione, dovendo sostenere costi di produzione più elevati rispetto a questi ultimi. Inoltre, sussisterebbe un disincentivo alle esportazioni di prodotti da parte dei produttori dell’Unione verso la Spagna, giacché essi non possono acquisire la denominazione summenzionata per i suddetti prodotti, non essendo i medesimi ottenuti da suino allevato conformemente ai requisiti stabiliti dal regio decreto 4/2014. Tuttavia, detto giudice ammette che, ai sensi della terza disposizione addizionale del citato decreto, la Spagna sarà tenuta a consentire la commercializzazione, nel suo territorio, di prodotti recanti denominazioni simili, analoghe o identiche provenienti da altri Stati membri, anche se gli stessi non sono stati trasformati conformemente ai requisiti del suddetto decreto, a condizione che essi rispettino le norme di qualità di tali altri Stati membri.

16      Inoltre, il giudice del rinvio nutre dubbi quanto al fatto che la direttiva 2008/120 costituisca una base giuridica valida per il regio decreto n. 4/2014, in quanto l’articolo 12 di tale direttiva consente l’adozione di misure nazionali più rigorose esclusivamente quando esse tendono a una maggiore protezione degli animali, mentre detto decreto non è volto alla protezione dei suini, bensì al miglioramento della qualità dei prodotti. In ogni caso, il giudice del rinvio dubita della compatibilità del decreto in parola con l’articolo 12 della direttiva 2008/120, dal momento che quest’ultimo articolo consente l’introduzione di misure nazionali più restrittive, applicabili soltanto nel territorio nazionale.

17      In tale contesto, il Tribunal Supremo (Corte suprema), ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 34 [TFUE] e 35 TFUE debbano interpretarsi nel senso che ostano a una disposizione nazionale come l’articolo 8, paragrafo 1, del [regio decreto 4/2014], che condiziona l’utilizzo del termine «iberico (ibérico)» per i prodotti trasformati o commercializzati in Spagna alla circostanza che gli allevatori di suini di razza iberica in sistemi di sfruttamento intensivo (de cebo) (con alimentazione con mangimi) aumentino la superficie minima di suolo libero totale per animale di oltre 110 chilogrammi di peso vivo a 2 m2, benché risulti – eventualmente – che lo scopo di detta misura consiste nel migliorare la qualità dei prodotti cui fa riferimento la norma.

2)      Se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della [direttiva 2008/120], in relazione all’articolo 12 della medesima, debba interpretarsi nel senso che entrambi gli articoli ostano a una disposizione nazionale quale l’articolo 8, paragrafo 1, del Real Decreto [4/2014], che condiziona l’utilizzo del termine «ibérico» per i prodotti trasformati o commercializzati in Spagna alla circostanza che gli allevatori di suini di razza iberica in sistemi di sfruttamento intensivo (de cebo) (con alimentazione con mangimi) aumentino la superficie minima di suolo libero totale per animale di oltre 110 chilogrammi di peso vivo a 2 m2, sebbene la finalità della norma nazionale sia migliorare la qualità dei prodotti, e non specificamente migliorare la tutela dei suini.

In caso di risposta negativa alla precedente questione, se l’articolo 12 della direttiva [2008/120], in relazione agli articoli 34 e 35 TFUE, debba interpretarsi nel senso che osta a che una disposizione come l’articolo 8, paragrafo 1, del Real Decreto 4/2014 imponga ai produttori di altri Stati membri, perseguendo la finalità di migliorare la qualità dei prodotti trasformati e commercializzati in Spagna – e non quella di tutelare i suini – di soddisfare le medesime condizioni di allevamento degli animali richieste ai produttori spagnoli affinché i prodotti ottenuti dai loro suini possano fregiarsi delle denominazioni di vendita disciplinate da detto Real Decreto.

3)      Se gli articoli 34 e 35 TFUE debbano interpretarsi nel senso che ostano a una disposizione nazionale, quale l’articolo 8, paragrafo 2, del [regio decreto 4/2014], che impone un’età minima di macellazione di 10 mesi per i suini da cui derivano i prodotti trasformati della categoria “de cebo” (alimentazione con mangimi), allo scopo di migliorare la categoria di tali prodotti».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima e sulla terza questione

18      Con la prima e la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 34 e 35 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella in esame nel procedimento principale, secondo cui la denominazione di vendita «ibérico de cebo» può essere attribuita esclusivamente ai prodotti che soddisfano taluni requisiti imposti dalla suddetta normativa.

 Sull’articolo 34 TFUE

19      In via preliminare, la Commissione europea contesta la rilevanza della questione pregiudiziale sulla compatibilità del regio decreto 4/2014 in quanto, da un lato, la ricorrente nel procedimento principale non ha sollevato tale motivo di annullamento dinanzi al Tribunal Supremo (Corte suprema) e, dall’altro, tutti gli elementi della controversia di cui al procedimento principale sarebbero circoscritti all’interno dello Stato membro.

20      A tal proposito, da un lato, occorre ricordare che spetta esclusivamente al giudice nazionale, che è investito della controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della controversia, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (v. sentenza del 21 giugno 2016, New Valmar, C‑15/15, EU:C:2016:464, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

21      Dall’altro, si deve rilevare che qualsiasi provvedimento nazionale idoneo ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio nell’ambito dell’Unione deve essere considerato come una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell’articolo 34 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 18 ottobre 2012, Elenca, C‑385/10, EU:C:2012:634, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, e del 6 ottobre 2015, Capoda Import-Export, C‑354/14, EU:C:2015:658, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

22      Da costante giurisprudenza della Corte risulta che tale disposizione è destinata ad applicarsi non solo agli effetti attuali, ma anche a quelli potenziali di una normativa. Essa non può essere disattesa per il fatto che finora non esiste alcuna fattispecie concreta che presenti un nesso con un altro Stato membro (sentenza del 22 ottobre 1998, Commissione/Francia, C‑184/96, EU:C:1998:495, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

23      Pertanto, occorre ritenere che la questione vertente sul punto se l’articolo 34 TFUE osti a una normativa nazionale quale il regio decreto 4/2014 sia rilevante ai fini della definizione della controversia di cui al procedimento principale, cosicché occorre fornirvi una risposta.

24      A tal proposito, da costante giurisprudenza della Corte risulta che una normativa nazionale che assoggetta merci provenienti da altri Stati membri, ove sono legalmente prodotte e messe in commercio, a determinate condizioni onde poter utilizzare la denominazione generica comunemente utilizzata per tale prodotto ed imporre quindi all’occorrenza ai produttori l’utilizzazione di denominazioni ignote al consumatore o da lui meno apprezzate, certo non impedisce in modo assoluto l’importazione nello Stato membro interessato di prodotti originari di altri Stati membri. Essa è nondimeno atta a renderne più difficile lo smercio e, di conseguenza, ad ostacolare gli scambi fra gli Stati membri (sentenza del 5 dicembre 2000, Guimont, C‑448/98, EU:C:2000:663, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

25      Orbene, nel caso di specie, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta, da una lato, che la normativa nazionale di cui al procedimento principale non verte su una denominazione generica comunemente utilizzata nel territorio dell’Unione e, dall’altro, che tale normativa non contiene divieti d’importazione o di vendita dei prodotti ottenuti dal suino iberico con denominazioni diverse da quelle previste dalla normativa summenzionata.

26      La disciplina in esame nel procedimento principale contiene, infatti, una disposizione, interpretata dal giudice del rinvio nel senso che i prodotti ottenuti dal suino iberico e trasformati nel rispetto delle norme applicabili negli altri Stati membri dell’Unione con denominazioni simili, analoghe o identiche a quelle contenute nel regio decreto 4/2014 possono essere importati e commercializzati nel mercato spagnolo con siffatte denominazioni, ancorché non soddisfino integralmente i requisiti previsti dal suddetto decreto. Tale disposizione così interpretata garantisce che la normativa in discussione nel procedimento principale non costituisca un ostacolo al commercio interstatale (v., a contrario, sentenza del 22 ottobre 1998, Commissione/Francia, C‑184/96, EU:C:1998:495).

27      Inoltre, come ricordato dalla Commissione, la normativa dell’Unione manifesta una tendenza generale alla valorizzazione della qualità dei prodotti nell’ambito della politica agricola comune, al fine di promuoverne la reputazione (v., in tal senso, sentenze del 16 maggio 2000, Belgio/Spagna, C‑388/95, EU:C:2000:244, punto 53, e dell’8 settembre 2009, Budějovický Budvar, C‑478/07, EU:C:2009:521, punto 109).

28      In tale contesto, non può ritenersi che l’articolo 34 TFUE osti a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, secondo cui la denominazione di vendita «ibérico de cebo» può essere attribuita esclusivamente a prodotti che soddisfano taluni requisiti imposti da detta normativa nazionale, dal momento che quest’ultima consente l’importazione e la commercializzazione dei prodotti provenienti da Stati membri diversi da quello che ha adottato la suddetta normativa nazionale, recanti le denominazioni previste dalla normativa dello Stato membro di origine, anche nel caso di denominazioni simili, analoghe o identiche a quelle previste dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale.

 Sull’articolo 35 TFUE

29      È pacifico che una misura nazionale applicabile a tutti gli operatori attivi sul territorio nazionale che, di fatto, incide più sull’uscita dei prodotti dal mercato dello Stato membro di esportazione che sulla commercializzazione degli stessi sul mercato nazionale di detto Stato membro rientra nel divieto di cui all’articolo 35 TFUE (sentenza del 21 giugno 2016, New Valmar, C‑15/15, EU:C:2016:464, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

30      Nel caso di specie, occorre rilevare che la normativa di cui al procedimento principale non opera una distinzione tra i prodotti destinati a essere venduti nel mercato nazionale, da un lato, e i prodotti destinati al mercato dell’Unione, dall’altro. Tutti i produttori spagnoli che intendono vendere i loro prodotti ottenuti dal suino iberico con le denominazioni di vendita stabilite dal regio decreto 4/2014, infatti, sono tenuti a rispettare i requisiti del citato decreto, a prescindere dal mercato in cui intendono vendere i loro prodotti.

31      Di conseguenza, occorre constatare che l’articolo 35 TFUE non osta a una normativa nazionale come quella di cui al regio decreto 4/2014.

 Sulla seconda questione

32      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/120, in combinato disposto con l’articolo 12 della medesima, osti a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che subordina l’uso di determinate denominazioni di vendita per i prodotti ottenuti dal suino iberico trasformati o commercializzati in Spagna al rispetto, da parte dei produttori, di condizioni di allevamento del suino iberico più rigorose di quelle previste al suddetto articolo 3, paragrafo 1, lettera a), nonché di un’età minima di macellazione di dieci mesi.

33      Per rispondere a detta questione, si deve rilevare che lo scopo della direttiva 2008/120, come risulta dal suo articolo 1, consiste nello stabilire norme minime per la protezione dei suini confinati per l’allevamento e l’ingrasso. Le norme in parola sono volte, secondo il considerando 7 della menzionata direttiva, ad assicurare la protezione dei suini d’allevamento e da ingrasso allo scopo di garantire un razionale sviluppo della produzione. A tal fine, come risulta dal considerando 8 della medesima direttiva, essa prevede diverse regole dirette, in particolare, ad assicurare che i suini dispongano di un ambiente corrispondente alle loro esigenze in termini di possibilità di movimento e di comportamento esplorativo.

34      Orbene, si deve rilevare che lo scopo della normativa nazionale di cui al procedimento principale non consiste nella protezione dei suini, bensì nel miglioramento della qualità dei prodotti, di modo che essa non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/120.

35      Tuttavia, aumentando i livelli minimi tanto della superficie del suolo di cui i suini devono disporre quanto dell’età di macellazione, la normativa di cui trattasi non può nuocere al benessere degli animali e non è quindi incompatibile con la suddetta direttiva.

36      In tali circostanze, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/120, in combinato disposto con l’articolo 12 della medesima, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che subordina l’utilizzo di talune denominazioni di vendita per i prodotti ottenuti dal suino iberico trasformati o commercializzati in Spagna al rispetto, da parte dei produttori, di condizioni di allevamento del suino iberico più rigorose di quelle previste al suddetto articolo 3, paragrafo 1, lettere a), e di un’età minima di macellazione di dieci mesi.

 Sulle spese

37      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      Gli articoli 34 e 35 TFUE devono essere interpretati nel senso che:

–        l’articolo 34 TFUE non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, secondo cui la denominazione di vendita «ibérico de cebo» può essere attribuita esclusivamente a prodotti che soddisfano taluni requisiti imposti da detta normativa nazionale, dal momento che quest’ultima consente l’importazione e la commercializzazione dei prodotti provenienti da Stati membri diversi da quello che ha adottato la suddetta normativa nazionale, recanti le denominazioni previste dalla normativa dello Stato membro di origine, anche nel caso di denominazioni simili, analoghe o identiche a quelle previste dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale;

–        l’articolo 35 TFUE non osta a una normativa nazionale quale quella in discussione nel procedimento principale.

2)      L’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/120 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini, in combinato disposto con l’articolo 12 della stessa, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che subordina l’utilizzo di talune denominazioni di vendita per i prodotti ottenuti dal suino iberico trasformati o commercializzati in Spagna al rispetto, da parte dei produttori, di condizioni di allevamento del suino iberico più rigorose di quelle previste al suddetto articolo 3, paragrafo 1, lettera a), e di un’età minima di macellazione di dieci mesi.

Firme


*      Lingua processuale: lo spagnolo.