Language of document : ECLI:EU:C:2020:300

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 23 aprile 2020 (1)

Causa C681/18

JH

contro

KG

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale ordinario di Brescia (Italia)]

«Politica sociale – Direttiva 2008/104 – Lavoro interinale – Successione di contratti con la stessa impresa utilizzatrice – Articolo 5, paragrafo 5 – Parità di trattamento – Elusione delle disposizioni della direttiva»






1.        La presente causa offre alla Corte l’opportunità di interpretare per la prima volta l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104, relativa al lavoro tramite agenzia interinale (2). Più precisamente, la Corte è tenuta a chiarire se, nell’ipotesi in cui un lavoratore sia stato assunto da un’agenzia interinale e assegnato come lavoratore tramite agenzia interinale alla stessa impresa utilizzatrice tramite una successione di otto contratti di somministrazione di lavoro e di 17 proroghe, vi siano state «missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni [di tale] direttiva».

 Quadro normativo

 Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea

2.        L’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (3) stabilisce che:

«1. Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose.

2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite».

 Direttiva 2008/104

3.        La direttiva 2008/104 rispetta, come precisato dal suo primo considerando, i diritti fondamentali e i principi riconosciuti dalla Carta e intende garantire il pieno rispetto dell’articolo 31 della stessa. La direttiva stabilisce un quadro normativo che tuteli i lavoratori tramite agenzia interinale che sia «non discriminatorio, trasparente e proporzionato nel rispetto della diversità dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali» (4). All’interno di tale quadro, «le condizioni di base di lavoro e d’occupazione applicabili ai lavoratori tramite agenzia interinale dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero a tali lavoratori se fossero direttamente impiegati dall’impresa utilizzatrice per svolgervi lo stesso lavoro» (5).

4.        Il considerando 15 precisa che «[i] contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro. Nel caso dei lavoratori legati all’agenzia interinale da un contratto a tempo indeterminato, tenendo conto della particolare tutela garantita da tale contratto, occorrerebbe prevedere la possibilità di derogare alle norme applicabili nell’impresa utilizzatrice».

5.        Il considerando 21 indica che «[g]li Stati membri dovrebbero prevedere procedure amministrative o giudiziarie al fine di salvaguardare i diritti dei lavoratori tramite agenzia interinale e dovrebbero prevedere sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate in caso di mancata ottemperanza agli obblighi previsti dalla presente direttiva».

6.        L’articolo 1 definisce l’ambito di applicazione della direttiva:

«1.      La presente direttiva si applica ai lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse.

2.      La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche e private che sono agenzie di lavoro interinale o imprese utilizzatrici che esercitano un’attività economica con o senza fini di lucro.

(…)».

7.        Ai sensi dell’articolo 2, la direttiva 2008/104 è volta «a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento di cui all’articolo 5 nei confronti dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo tali agenzie quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili».

8.        L’articolo 3, paragrafo 1, definisce talune nozioni rilevanti per l’applicazione della direttiva come segue:

«a)      “lavoratore”: qualsiasi persona che, nello Stato membro interessato, è protetta in qualità di lavoratore nel quadro del diritto nazionale del lavoro;

b)      “agenzia interinale”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di inviarli in missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse;

c)      “lavoratore tramite agenzia interinale”: il lavoratore che sottoscrive un contratto di lavoro o inizia un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale, al fine di essere inviato in missione presso un’impresa utilizzatrice per prestare temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della stessa;

d)      “impresa utilizzatrice”: qualsiasi persona fisica o giuridica presso cui e sotto il cui controllo e direzione un lavoratore tramite agenzia interinale presti temporaneamente la propria opera;

e)      “missione”: il periodo durante il quale il lavoratore tramite agenzia interinale è messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice affinché presti temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della stessa;

f)      “condizioni di base di lavoro e d’occupazione”: le condizioni di lavoro e d’occupazione previste da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, da contratti collettivi e/o da altre disposizioni vincolanti di portata generale in vigore nell’impresa utilizzatrice relative a:

i) l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie e i giorni festivi;

ii) la retribuzione».

9.        L’articolo 4, paragrafo 1, prevede che «[i] divieti o le restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale sono giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi».

10.      L’articolo 5, paragrafo 1, stabilisce che «[p]er tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro (…)».

11.      Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 5, «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o [al]le pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo all’applicazione del presente articolo e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva. Essi informano la Commissione di qualsiasi misura in tal senso».

12.      L’articolo 6 stabilisce che:

«1.      I lavoratori tramite agenzia interinale sono informati dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Tali informazioni possono essere fornite mediante un avviso generale opportunamente affisso all’interno dell’impresa presso la quale e sotto il controllo della quale detti lavoratori prestano la loro opera.

2.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché siano dichiarate nulle o possano essere dichiarate nulle le clausole che vietano o che abbiano l’effetto d’impedire la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione.

(…)».

13.      A termini dell’articolo 10, paragrafo 1, «[g]li Stati membri dispongono misure idonee in caso di inosservanza della presente direttiva da parte di agenzie interinali o imprese utilizzatrici. In particolare, essi si adoperano affinché sussistano procedure amministrative o giudiziarie appropriate intese a fare rispettare gli obblighi che derivano dalla presente direttiva».

 Diritto italiano

14.      Il giudice del rinvio osserva che, nel caso di specie, è applicabile il decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276 – Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, come modificato dal decreto‑legge n. 34/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 78/2014; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 276/2003».

15.      La modifica normativa ad opera della legge n. 78/2014 ha eliminato dall’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo n. 276/2003 sia la disposizione secondo cui «[l]a somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore», sia la necessità di indicare nel contratto per iscritto tali ragioni.

16.      L’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n. 276/2003 prevede che, in caso di somministrazione a tempo determinato, il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro sia soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 368/01, «con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti». Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro (contratto collettivo nazionale di lavoro per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro, sottoscritto il 27 febbraio 2014, in prosieguo: il «CCNL») applicato dal somministratore.

17.      L’articolo 27 del decreto legislativo n. 276/2003, intitolato «Somministrazione irregolare», prevede che, quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui al medesimo decreto legislativo, il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale notificato anche soltanto all’impresa utilizzatrice, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultima, con effetto dall’inizio della somministrazione.

18.      L’articolo 5, commi da 3 a 4-bis, del decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368 – Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (6), nella versione applicabile ratione temporis, stabilisce che:

«(...) 3.      Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell’articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. (...)

4.      Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

4-bis.            Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi (...), qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. (...)».

19.      L’articolo 47 del CCNL prevede che le proroghe dei contratti sono disciplinate esclusivamente dallo stesso CCNL. Pertanto, le proroghe previste all’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n. 276/2003, in caso di assunzione con contratto a tempo determinato, possono avere luogo fino a un massimo di sei volte. Il singolo contratto, comprensivo delle proroghe, non può avere una durata superiore a 36 mesi.

20.      Gli articoli 1344 e 1421 del codice civile italiano dispongono la nullità dei contratti stipulati al fine di eludere l’applicazione di norme imperative.

 Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

21.      JH è un lavoratore dipendente di un’agenzia interinale. È stato assegnato quale lavoratore tramite agenzia interinale presso l’impresa utilizzatrice KG, con le mansioni di operaio addetto alle macchine e al tornio, dal 3 marzo 2014 al 30 novembre 2016, tramite una successione di contratti di somministrazione di lavoro (otto in tutto) e varie proroghe (diciassette in tutto).

22.      Il 21 febbraio 2017 JH ha citato in giudizio la KG dinanzi al Tribunale ordinario di Brescia (Italia), chiedendo, essenzialmente, al giudice del rinvio di voler: a) accertare e dichiarare l’illegittimità e/o la nullità dei contratti di somministrazione di manodopera in esecuzione dei quali egli aveva prestato lavoro presso la KG; b) dichiarare l’esistenza, in suo favore, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la KG a decorrere dal 3 marzo 2014; c) ordinare alla KG di riammetterlo in servizio, condannandola al versamento del dovuto indennizzo e dei relativi contributi assistenziali e previdenziali. JH ha altresì chiesto al giudice del rinvio di sottoporre a questa Corte una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione della direttiva 2008/104 e, in particolare, dell’articolo 5, paragrafo 5.

23.      Il giudice del rinvio rileva che la normativa vigente all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale (v. precedente paragrafo 15) non prevede i) né che i contratti debbano indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione di manodopera; ii) né che tali ragioni debbano essere temporanee; iii) né alcun limite alle missioni successive del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice. Inoltre, il giudice del rinvio afferma che il CCNL (v. precedente paragrafo 19) non è applicabile, in quanto disciplina soltanto le relazioni tra i lavoratori tramite agenzia interinale e le agenzie stesse, e non tra tali lavoratori e le imprese utilizzatrici. Il giudice del rinvio osserva che, in ogni caso, tale disciplina, nella versione vigente all’epoca dei fatti, non dispone che nel contratto siano indicate le ragioni del ricorso alla somministrazione di lavoro, né vieta la sottoscrizione, senza interruzioni, di un nuovo contratto subito dopo la cessazione della sesta proroga del contratto precedente.

24.      Il giudice del rinvio nutre dubbi quanto alla compatibilità di tale normativa nazionale con la direttiva 2008/104 e, in particolare, con il considerando 15, letto in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 5, della citata direttiva, in quanto tale normativa non prevede alcun controllo giurisdizionale sulle ragioni del ricorso alla somministrazione di lavoro e non fissa limiti alle missioni successive di un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale alla stessa impresa utilizzatrice.

25.      In tale contesto, il giudice del rinvio ha presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla seguente questione:

«Se l’articolo 5, paragrafo 5, [della direttiva 2008/104] debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione del decreto legislativo n. 276/2003, come modificato dal decreto‑legge n. 34/2014, che: a) non prevede limiti alle missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordina la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; c) non prevede il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva propria dell’impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro».

26.      Hanno presentato osservazioni scritte JH, il governo italiano e la Commissione europea. Sebbene JH abbia presentato una domanda motivata di udienza di discussione, la Corte ha deciso di procedere senza tenere l’udienza di discussione ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento di procedura.

 Valutazione

 Sulla ricevibilità

27.      Il governo italiano eccepisce l’irricevibilità del rinvio pregiudiziale rilevando che, in primo luogo, sebbene la normativa nazionale invocata dal giudice del rinvio si applichi solo ai contratti di lavoro a tempo determinato, lo stesso giudice non offre alcuna indicazione quanto alla natura (a tempo determinato o altro) del contratto di lavoro in essere tra JH e l’agenzia interinale. In secondo luogo, la controversia sottoposta al giudice del rinvio è una controversia tra privati e la direttiva 2008/104 non ha efficacia diretta orizzontale. Pertanto, la risposta alla questione pregiudiziale non avrebbe alcun impatto sull’esito della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio: l’unico risultato positivo possibile per JH sarebbe quello di ottenere un risarcimento dallo Stato italiano nel caso in cui venisse accertato che quest’ultimo abbia recepito la direttiva 2008/104 in maniera incompleta o errata.

28.      Secondo costante giurisprudenza, «le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte» (7).

29.      A quest’ultimo riguardo, l’esigenza di giungere a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto fattuale e normativo in cui si inseriscono le questioni da esso sollevate o che esso spieghi almeno l’ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. La Corte può pronunciarsi unicamente sull’interpretazione o sulla validità di un testo di diritto dell’Unione sulla base dei fatti ad essa indicati da tale giudice. Il giudice del rinvio deve altresì indicare le ragioni precise che l’hanno portato ad interrogarsi sull’interpretazione di determinate disposizioni del diritto dell’Unione e a reputare necessario sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte. Inoltre, è indispensabile che il giudice nazionale fornisca elementi sufficienti a spiegare le ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione e il collegamento che esso ravvisa tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui è investito (8).

30.      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale è evidente che il giudice del rinvio richiede alla Corte un orientamento per l’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104. Il giudice del rinvio precisa che tale orientamento è necessario al fine di risolvere la controversia dinanzi a esso pendente. In tale contesto, gli argomenti del governo italiano relativi all’impossibilità di applicare direttamente le disposizioni della direttiva a una controversia tra privati sono irrilevanti. Risulta con evidenza dalla giurisprudenza della Corte che quest’ultima è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, indipendentemente dal fatto che esse abbiano o meno efficacia diretta fra le parti della controversia in questione (9).

31.      Ritengo che l’ordinanza di rinvio contenga una presentazione sufficiente delle circostanze di fatto su cui si basa la questione pregiudiziale, tale da consentire alla Corte di fornire una risposta utile alla questione sollevata.

32.      Concludo, pertanto, che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Sulla questione pregiudiziale

33.      Attraverso la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 osti a una normativa nazionale che: a) non preveda limiti alle missioni successive di un lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordini la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; c) non specifichi il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva propria dell’impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro.

34.      Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, esaminerò altresì il contesto in maniera più ampia, ovvero affrontando la questione se le disposizioni della direttiva 2008/104 siano eluse.

35.      Ciò mi impone di esaminare la finalità e l’ambito di applicazione della direttiva 2008/104, nonché lo scopo, il tenore letterale e il contesto dell’articolo 5, paragrafo 5, della stessa.

36.      La direttiva 2008/104 è fondata sul precedente articolo 137, paragrafi 1 e 2, CE (attuale articolo 153 TFUE), il quale conferiva alle istituzioni il potere di «adottare (…), mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili progressivamente», segnatamente per quanto riguarda le «condizioni di lavoro». Essa è stata adottata per integrare due precedenti direttive sul lavoro atipico, che riguardano rispettivamente il lavoro a tempo parziale e i rapporti di lavoro interinale (10). L’azione dell’Unione in tale settore ha avuto per obiettivo generale lo sviluppo di forme di lavoro flessibili, mirando al contempo a conseguire un più elevato grado di armonizzazione del diritto sociale allo stesso applicabile. Il modello normativo sotteso a tale azione è fondato sulla ricerca di un equilibrio fra la flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro, ed è stato denominato «flessicurezza» (11).

37.      La direttiva 2008/104 opera quindi un bilanciamento tra l’obiettivo della «flessibilità» perseguito dalle imprese e quello della «sicurezza» corrispondente alla tutela dei lavoratori. Di conseguenza, il considerando 11 stabilisce che la direttiva mira a rispondere non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti e, pertanto, contribuire alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato.

38.      La direttiva 2008/104 stabilisce, a tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, un quadro normativo non discriminatorio, trasparente e proporzionato nel rispetto della diversità dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali. L’articolo 2 dispone che l’obiettivo della direttiva è di garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e di migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento nei loro confronti e riconoscendo le agenzie di lavoro interinale quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso a tale tipo di lavoro al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili (12).

39.      La direttiva 2008/104, quindi, riguarda, da un lato, le condizioni di lavoro dei lavoratori tramite agenzia interinale e, dall’altro, le condizioni applicabili al ricorso al lavoro tramite agenzia interinale. Il duplice obiettivo perseguito dalla direttiva si riflette altresì nella struttura di quest’ultima. Tralasciando le disposizioni introduttive (ambito di applicazione, finalità e definizioni) e dalle disposizioni finali, la direttiva 2008/104 si articola in due parti. L’articolo 4, che conclude il capo I («Disposizioni generali»), disciplina le restrizioni riguardanti il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale. Il capo II («Condizioni di lavoro e d’occupazione»), che ricomprende gli articoli da 5 a 8, disciplina la parità di trattamento, l’accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla formazione professionale, nonché la rappresentanza e l’informazione (13).

40.      Mentre tali disposizioni avvicinano il lavoro tramite agenzia interinale ai rapporti di lavoro «ordinari», è evidente (14) che il punto di partenza della direttiva 2008/104 è che la forma comune dei rapporti di lavoro è (e, aggiungo, dovrebbe essere) il contratto di lavoro a tempo indeterminato. La direttiva mira pertanto a stimolare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale al lavoro a tempo indeterminato presso l’impresa utilizzatrice, un obiettivo, questo, che si manifesta, in particolare, nell’articolo 6, paragrafi 1 e 2 (15).

41.      La direttiva 2008/104 si applica ai «lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse» (articolo 1, paragrafo 1) nonché alle «imprese pubbliche e private che sono agenzie di lavoro interinale o imprese utilizzatrici che esercitano un’attività economica con o senza fini di lucro» (articolo 1, paragrafo 2). La Corte ha interpretato la nozione di «lavoratore» nel senso che essa «include ogni persona che fornisca una prestazione lavorativa, vale a dire che esegua, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione, e che sia tutelata a detto titolo nello Stato membro interessato, a prescindere dalla qualificazione giuridica del suo rapporto di lavoro nel diritto nazionale, dalla natura del nesso giuridico che lega tali due persone e dalla forma di tale rapporto»; e la nozione di «attività economica» nel senso di «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato» (16).

42.      Una componente importante della direttiva 2008/104 è il principio della parità di trattamento. Pertanto, conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva in parola, il lavoratore tramite agenzia interinale deve, per tutta la durata della sua missione presso un’impresa utilizzatrice, beneficiare di condizioni di base di lavoro e d’occupazione almeno identiche a quelle che gli si applicherebbero se fosse stato direttamente impiegato dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro.

43.      La nozione di «condizioni di base di lavoro e d’occupazione», che determina l’ambito di applicazione del principio della parità di trattamento da applicare ai lavoratori tramite agenzia interinale, è definita all’articolo 3, paragrafo 1, lettera f). Una relazione stilata da un gruppo di esperti incaricato dalla Commissione suggerisce che la stessa Commissione ritiene che l’elenco di tali condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera f), punti i) e ii), non abbia carattere esaustivo (17).

44.      Condivido tale approccio. La direttiva 2008/104 mira a garantire il «pieno rispetto» (v. considerando 1) dell’articolo 31 della Carta, che si riferisce alle «condizioni di lavoro» in termini più generali. Le spiegazioni relative alla Carta (18) indicano che tale espressione deve essere intesa conformemente all’articolo 156 TFUE (19). Tale articolo inserisce le «condizioni di lavoro» nell’elenco delle materie in cui la Commissione può intervenire al fine di incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri e facilitare il coordinamento della loro azione. Tuttavia, tale nozione non viene definita. Ritengo che la circostanza che la direttiva prometta il «pieno rispetto» dell’articolo 31 della Carta, unitamente al dichiarato intento di «tutela» della stessa, militi nel senso di un’interpretazione non eccessivamente restrittiva della nozione di «condizioni di lavoro» (20), malgrado la natura apparentemente esaustiva dell’elenco presente nel testo.

45.      L’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per evitare il ricorso abusivo all’applicazione dell’articolo 5 e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni di tale direttiva.

46.      Tale disposizione impone agli Stati membri due obblighi distinti. Il primo consiste nell’evitare il ricorso abusivo all’applicazione dello stesso articolo 5. Il secondo consiste nel prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo complesso. Non ritengo che l’uso dei termini «e, in particolare,» intenda collegare i due obblighi nel senso che il secondo sarebbe automaticamente e integralmente subordinato al primo. I due obblighi riguardano aspetti diversi del lavoro presso un’impresa utilizzatrice. Il primo riguarda il «ricorso abusivo all’applicazione» dell’articolo 5 (e soltanto di tale articolo). Il secondo obbligo è più ampio ed è volto a prevenire le missioni successive con lo scopo di «eludere le disposizioni della presente direttiva» (nel loro insieme).

47.      Ne consegue che non condivido le osservazioni scritte della Commissione, secondo cui l’articolo 5, paragrafo 5, si applica esclusivamente all’abuso del principio della parità di trattamento sancito all’articolo 5, paragrafi da 1 a 4. Tale interpretazione restrittiva trascura la circostanza che l’articolo 5, paragrafo 5, è composto da due parti, la seconda delle quali riguarda il «prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva». Essa contrasta altresì con l’obiettivo stesso della direttiva, che è quello di tutelare il lavoratore tramite agenzia interinale e di migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale.

48.      Ritengo, quindi, che l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 5, paragrafo 5, di prevenire missioni successive che hanno lo scopo di «eludere le disposizioni» della direttiva 2008/104 debba essere inteso come relativo a tutte le disposizioni della direttiva in questione, interpretato alla luce dell’impianto sistematico e dello scopo della direttiva.

49.      In tale contesto, l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 impone agli Stati membri l’obbligo di prevenire missioni successive volte a «eludere le disposizioni» di tale direttiva, in modo da evitare che il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice diventi troppo facilmente una situazione a tempo indeterminato in cui i lavoratori tramite agenzia interinali si trovano «intrappolati»?

50.      Osservo, innanzitutto, rischiando la tautologia, che i «lavoratori tramite agenzia interinale» sono definiti dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), come lavoratori «temporaneamente» sotto il controllo e la direzione dell’impresa utilizzatrice presso la quale sono stati inviati in missione.

51.      Lo stesso titolo della direttiva 2008/104 precisa che i rapporti di lavoro che disciplina sono (e si presume, per definizione, che siano) interinali. Tale termine è impiegato, tra l’altro, nelle disposizioni che definiscono l’ambito di applicazione della direttiva (articolo 1), le sue finalità (articolo 2), nonché nelle definizioni delle sue nozioni essenziali di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), lettere c), d) ed e). Il termine interinale significa «che dura per un periodo di tempo limitato»; «non permanente» (21). La direttiva afferma inoltre che i «contratti di lavoro a tempo indeterminato» (quindi i rapporti di lavoro permanenti) rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e che i lavoratori tramite agenzia interinale devono essere informati dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano avere le stesse opportunità degli altri lavoratori di ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato (v. considerando 15 e articolo 6, paragrafi 1 e 2) (22).

52.      Condivido il parere del governo italiano e della Commissione secondo cui la direttiva 2008/104 non definisce le misure concrete che gli Stati membri devono adottare al fine di prevenire le missioni successive di un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice «con lo scopo di eludere» le disposizioni della direttiva. Quindi, ad esempio, la direttiva 2008/104 non obbliga gli Stati membri a subordinare il ricorso a tali missioni successive a un obbligo esplicito di illustrare le ragioni che hanno giustificato l’adozione o il rinnovo dei contratti in questione. Da ciò non traggo, tuttavia, la conclusione che il citato articolo 5, paragrafo 5, abbia natura essenzialmente programmatica — ossia, per dirlo chiaramente, rappresenti un obbligo non accompagnato da misure efficaci.

53.      Il tenore letterale della prima frase dell’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 («[g]li Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o le pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo all’applicazione del presente articolo e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva») è chiaro, preciso e incondizionato. Esso rammenta, senza eccessiva difficoltà, il classico criterio dell’efficacia diretta. In tale contesto, la «legislazione e/o le pratiche nazionali» devono essere considerate come il veicolo attraverso il quale lo Stato membro assolve il proprio obbligo, senza nulla togliere alla chiarezza, precisione o al carattere incondizionato dell’obbligo in quanto tale. Gli Stati membri devono assicurarsi – ovviamente, nell’ambito dei parametri della direttiva – che l’abuso individuato non si verifichi. In un contesto «verticale», in cui il convenuto è lo Stato o un’emanazione dello Stato (23), il lavoratore tramite agenzia interinale sarebbe in grado di trarre un rilevante sostegno dalla direttiva stessa.

54.      Nella mia argomentazione non trascuro la circostanza che la direttiva 2008/104 costituisce, come risulta dalla sua base giuridica (v. precedente paragrafo 36), una direttiva che fissa prescrizioni minime. Infatti, il suo tenore letterale e il suo impianto sistematico  non consentono di desumere l’esistenza di obblighi precisi e specifici che non figurano nel testo. Ciò non significa, tuttavia, che si possano ignorare od omettere gli obblighi che la direttiva impone agli Stati membri.

55.      È necessario aggiungere alcune precisazioni.

56.      In primo luogo, poiché la direttiva 2008/104 è una direttiva che fissa prescrizioni minime, è chiaro che uno Stato membro resta libero di introdurre una siffatta normativa specifica. Rilevo, beninteso, che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/104 dispone che le normative nazionali che contengono divieti o restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale devono essere giustificate da ragioni di interesse generale che investono, in particolare, la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi (24). Se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale alla stessa impresa utilizzatrice comportano un periodo di servizio presso tale impresa che è (significativamente) più lungo di quello che può ragionevolmente essere considerato «interinale», ciò integra esattamente, a mio avviso, un tale abuso. Se è vero che una misura nazionale volta a impedire il verificarsi di una simile situazione costituirebbe una «restrizion[e] impost[a] quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale», una siffatta restrizione sarebbe facilmente giustificabile da ragioni di interesse generale espressamente elencate all’articolo 4, paragrafo 1, vale a dire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e la prevenzione degli abusi.

57.      In secondo luogo, reiterate missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale alla stessa impresa utilizzatrice eluderebbero l’essenza stessa delle disposizioni della direttiva e costituirebbero un abuso di tale forma di rapporto di lavoro. Tali missioni modificano, altresì, (in tutta evidenza) l’equilibrio tra la «flessibilità» per i datori di lavoro e la «sicurezza» per i lavoratori garantito dalla direttiva (v. precedenti paragrafi 36 e 37, a discapito di quest’ultima.

58.      In terzo luogo, ritengo che, nella misura in cui – in ciascun caso particolare – non viene offerta alcuna giustificazione obiettiva del motivo per cui l’impresa utilizzatrice ricorra a una successione di contratti che comportano l’assegnazione di un lavoratore tramite agenzia interinale, il giudice nazionale ha il particolare dovere di prestare una certa attenzione (ciò vale, a maggior ragione, quando si tratta del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale a essere assegnato all’impresa utilizzatrice attraverso la serie di contratti in questione). Senza spingersi oltre i parametri della direttiva, il giudice nazionale dovrebbe, pertanto, esaminare – nell’ambito del quadro giuridico nazionale e tenendo conto delle circostanze di ciascun caso - se una qualsiasi disposizione della direttiva sia elusa attraverso il ricorso a tali missioni successive.

59.      Pertanto, in sede di esame del rispetto dell’obbligo enunciato all’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104, il giudice nazionale dovrebbe tener conto non solo del principio della parità di trattamento in materia di «condizioni di lavoro e d’occupazione», sancito all’articolo 5, paragrafo 1, ma anche di altre disposizioni, quali l’articolo 6, paragrafi 1 e 2, che agevolano l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale al lavoro a tempo indeterminato.

60.      A questo punto, è utile esaminare le argomentazioni della Corte nella sentenza Sciotto (25), sulla quale JH ha riposto un particolare affidamento.

61.      La sig.ra Sciotto, tersicorea di fila, era stata impiegata dalla Fondazione Teatro dell’Opera di Roma in forza di plurimi contratti a tempo determinato, rinnovati con causali legate a diverse rappresentazioni artistiche programmate fra il 2007 e il 2011. I suoi contratti di lavoro non indicavano l’esistenza di ragioni tecniche, organizzative o produttive che giustificassero il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato piuttosto che a un contratto a tempo indeterminato. Ella ha pertanto chiesto l’accertamento dell’illegittimità di detti contratti, la conversione del suo rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato e il risarcimento dei danni subiti.

62.      Il diritto dell’Unione applicabile a tale causa era costituito dall’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70. La clausola 5 di tale accordo quadro ha introdotto specifiche misure volte a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato (26). Come espressamente rilevato dalla Corte, «la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro (...)» (27). La Corte ha ricordato che «per quanto riguarda la nozione di “ragioni obiettive”, quest’ultima dev’essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro» (28).

63.      In tale contesto normativo e giurisprudenziale, la Corte ha ritenuto che «una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale e astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato non sarebbe conforme ai requisiti [in questione]. Infatti, una disposizione di tal genere, di natura puramente formale, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine. Una siffatta disposizione comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e l’effetto utile [dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70]» (29).

64.      Di conseguenza, la Corte ha stabilito che la clausola 5 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale le norme disciplinanti i rapporti di lavoro intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il rapporto di lavoro perdura oltre una data precisa, non sono applicabili al settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati in tale settore (30).

65.      JH ha sostenuto, nelle sue osservazioni scritte, che la sentenza Sciotto può essere trasposta, così com’è, nella presente causa.

66.      Respingo tale argomentazione. È evidente che il risultato a cui giunge la sentenza Sciotto deriva da una disposizione del diritto dell’Unione di natura diversa dall’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 (31). Pertanto, la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70 stabilisce degli obblighi specifici per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. L’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 stabilisce un obbligo generale di prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni di tale direttiva. Dal momento che, inoltre, la direttiva 2008/104 fissa solamente delle prescrizioni minime, non è possibile desumere dal testo della direttiva 2008/104 l’esistenza di obblighi dettagliati e specifici – quali la durata massima totale dei contratti di lavoro successivi o un numero (massimo) di rinnovi di tali contratti – simili a quelli espressamente previsti dalla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70.

67.      Ciò detto, è altresì opportuno richiamare i passaggi, di natura più generale, del ragionamento della Corte nella sentenza Sciotto. La Corte ha così evidenziato che «quando il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione [della disposizione di diritto dell’Unione in questione]. (...) [Q]uando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, dev’essere possibile applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori, al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione» (32). Secondo una consolidata giurisprudenza «l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, nonché il loro dovere, ai sensi dell’articolo 4 TUE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, si impongono a tutte le autorità degli Stati membri, ivi comprese, nell’ambito della loro competenza, quelle giurisdizionali» (33). In tale contesto, la Corte ha stabilito che «spetta al giudice adito, nei limiti del possibile e qualora si sia verificato un utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, interpretare ed applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo da sanzionare debitamente tale abuso e da eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione» (34).

68.      Intendo altresì rilevare che, nella sentenza Pfeiffer (35), la Grande Sezione ha fornito utili indicazioni ai giudici nazionali in merito all’approccio corretto da adottare nel considerare l’impatto di una disposizione di una direttiva avente efficacia diretta nell’ambito di una controversia tra privati.

69.      Così, in particolare, «[s]e è vero che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, così imposto dal diritto [dell’Unione], riguarda in primo luogo le norme interne introdotte per recepire la direttiva in questione, esso non si limita, tuttavia, all’esegesi di tali norme, bensì esige che il giudice nazionale prenda in considerazione tutto il diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva» (36). In sostanza, «il principio dell’interpretazione conforme esige quindi che il giudice del rinvio faccia tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia [della direttiva in questione]» (37).

70.      Tali considerazioni, applicate mutatis mutandis a un caso che rientra nella sfera applicativa dell’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104, implicano che: i) nell’ambito dei parametri della direttiva 2008/104, spetta a uno Stato membro garantire che il proprio ordinamento giuridico nazionale contenga misure idonee a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione al fine di prevenire il ricorso a missioni successive con lo scopo di eludere la natura interinale dei rapporti di lavoro disciplinati dalla direttiva 2008/104; e (ii) il principio di interpretazione conforme al diritto dell’Unione impone al giudice del rinvio di fare tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia della direttiva 2008/104 sanzionando l’abuso in questione ed eliminando le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.

71.      Alla luce delle considerazioni che precedono, concludo che l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 non osta a una normativa nazionale che: a) non preveda limiti alle missioni successive di un lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordini la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; e c) non preveda il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva propria dell’impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro.

72.      Ciò nondimeno, missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice che, considerate nel loro insieme, superino una durata che può ragionevolmente essere considerata «interinale» e che non siano correlate a un contratto di lavoro a tempo indeterminato concluso tra il lavoratore tramite agenzia interinale e l’agenzia interinale, eludono l’essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro. Spetta al giudice nazionale valutare tali circostanze. In caso di ricorso abusivo a missioni successive, l’obbligo di leale cooperazione e il principio di interpretazione conforme al diritto dell’Unione impongono al giudice del rinvio di fare tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia della direttiva 2008/104 sanzionando l’abuso in questione ed eliminando le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.

 Conclusione

73.      Propongo alla Corte di rispondere alla questione sollevata dal Tribunale ordinario di Brescia (Italia) nel modo seguente:

–        L’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, non osta a una normativa nazionale che: a) non preveda limiti alle missioni successive di un lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordini la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; e c) non preveda il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva propria dell’impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro.

–        Missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice che, considerate nel loro insieme, superino una durata che può ragionevolmente essere considerata «interinale» e che non siano correlate a un contratto di lavoro a tempo indeterminato concluso tra il lavoratore tramite agenzia interinale e l’agenzia interinale, eludono l’essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro. Spetta al giudice nazionale valutare se tali circostanze sussistano in ciascun caso particolare.

–        In caso di ricorso abusivo a missioni successive, l’obbligo di leale cooperazione e il principio di interpretazione conforme al diritto dell’Unione impongono al giudice del rinvio di fare tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia della direttiva 2008/104 sanzionando l’abuso in questione ed eliminando le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 (GU 2008, L 327, pag. 9).


3      GU 2007, C 303, pag. 1.


4      Considerando 12.


5      Considerando 14.


6      Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).


7      Sentenza dell’11 aprile 2013, Della Rocca, C‑290/12, EU:C:2013:235, punto 29 e giurisprudenza citata. La Corte può altresì rigettare una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla base dei motivi appena citati: v. sentenza del 16 febbraio 2012, Varzim Sol, C‑25/11, EU:C:2012:94, punto 29.


8      Sentenza del 2 maggio 2019, Asendia Spain, C‑259/18, EU:C:2019:346, punti 17 e 18 e giurisprudenza citata.


9      Sentenza dell’8 maggio 2019, Praxair  MRC, C‑486/18, EU:C:2019:379, punto 35 e giurisprudenza citata.


10      Si tratta della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9) e della direttiva 1999/70 citata nella nota a piè pagina 6 supra.


11      V. considerando 9 e principi comuni di flessicurezza adottati dal Consiglio il 5 e il 6 dicembre 2007 e approvati dal Consiglio europeo il 14 dicembre 2007 (documento del Consiglio n. 16201/07) nonché la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, intitolata «Verso principi comuni di flessicurezza: Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza» [COM(2007) 359 definitivo del 27 giugno 2007]. V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa AKT, C‑533/13, EU:C:2014:2392, paragrafo 33.


12      Sentenza del 17 novembre 2016, Betriebsrat der Ruhrlandklinik, C‑216/15, EU:C:2016:883, punto 35, in forma riassuntiva.


13      V. conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa AKT, C‑533/13, EU:C:2014:2392 paragrafi 30 e 35.


14      Considerando 15.


15      V. Engel, Chris, «Regolamentazione del lavoro interinale nell’Unione europea: la direttiva relativa all’agenzia» (traduzione libera), in Temporary work in the European Union and the United States, Bulletin of comparative labour relations no 82, 2013, pag. 19.


16      Sentenza del 17 novembre 2016, Betriebsrat der Ruhrlandklinik, C‑216/15, EU:C:2016:883, punti 43 e 44.


17      Commissione europea, relazione – Gruppo di esperti – Attuazione della direttiva 2008/104/CE relativa al lavoro tramite agenzia interinale, agosto 2011, pag. 21 (traduzione libera).


18      GU 2007, C 303, pag. 17.


19       L’articolo 156 TFUE dispone che «[p]er conseguire gli obiettivi dell’articolo 151 e fatte salve le altre disposizioni dei trattati, la Commissione incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri e facilita il coordinamento della loro azione in tutti i settori della politica sociale contemplati dal presente capo, in particolare per le materie riguardanti: - l’occupazione, - il diritto del lavoro e le condizioni di lavoro, - la formazione e il perfezionamento professionale, - la sicurezza sociale, - la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali,- l’igiene del lavoro;- il diritto di associazione e la contrattazione collettiva tra datori di lavoro e lavoratori».


20      V. Robin-Olivier, Sophie, «Article 31: conditions de travail justes et équitables», in Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, Picod, Fabrice, Rizcallah, Cécilia, Van Drooghenbroeck, Sébastien, Bruxelles, Bruylant, 2019, pagg. da 789 a 805.


21      V. Oxford Dictionary of English. In francese, il termine impiegato per «interinale» nel titolo della direttiva, nelle disposizioni che ne definiscono l’ambito di applicazione e le finalità e nelle definizioni essenziali è «intérimaire», descritto come «travailler de manière temporaire» (all’articolo 1, paragrafo 1, e all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b), c), d) ed e). «Intérimaire» è definito dal Petit Robert de la langue française come «temporaneo» o «transitorio» mentre «temporaire» ha il significato di «limitato nel tempo». In italiano, la lingua del procedimento, i termini utilizzati sono «interinale» e «temporaneamente».


22      Faccio notare (senza con ciò voler suggerire che il ragionamento possa essere trasposto in quanto tale alla presente causa, v. il successivo paragrafo 66) che, in cause relative alla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70, la Corte ha dichiarato che «il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato per far fronte alle esigenze che, di fatto, hanno carattere non già provvisorio ma permanente e durevole non è giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, dal momento che un tale utilizzo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato è incompatibile con la premessa sulla quale si fonda il suddetto accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività» (il corsivo è mio). V. sentenza del 19 marzo 2020, Sánchez Ruiz e altri, C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 76 e giurisprudenza ivi citata.


23      Il locus classicus per la formulazione di quando vi è una efficacia diretta «verticale» è la sentenza del 12 luglio 1990, Foster / British Gas, C‑188/89, EU:C:1990:313. Più recentemente, v. sentenza del 10 ottobre 2017, Farrell, C‑413/15, EU:C:2017:745, nonché le mie conclusioni presentate in tale causa (EU:C:2017:492).


24      Sentenza del 17 marzo 2015, AKT, C‑533/13, EU:C:2015:173, punti 23 e 32.


25      Sentenza del 25 ottobre 2018, C‑331/17, EU:C:2018:859 (in prosieguo: «sentenza Sciotto»).


26      La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70 stabilisce, al punto 1, che «[p]er prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti».


27      Sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 32 (il corsivo è mio).


28      Sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 39.


29      Sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 40 e giurisprudenza citata.


30      Sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 72 e dispositivo.


31      Dalla giurisprudenza della Corte consta altrettanto chiaramente che la direttiva 1999/70 e la direttiva 2008/104 hanno un ambito di applicazione diverso. Pertanto, i rapporti di lavoro a tempo determinato di un lavoratore interinale messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice da un’agenzia di lavoro interinale non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70. V. sentenza dell’11 aprile 2013, Della Rocca, C‑290/12, EU:C:2013:235, punto 42.


32      Sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punti 64 e 65.


33      Sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 67; sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. / Deutsches Rotes Kreuz, Kreisverband Waldhut eV (in prosieguo: la «sentenza Pfeiffer»), da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 67.


34      Sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 69 (il corsivo è mio).


35      Sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer, da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punti da 107 a 119.


36      Sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer, da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 115.


37      Sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer, da C-397/01 a C-403/01, EU:C:2004:584, punto 118. V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa AKT, C-533/13, EU:C:2014:2392, le quali, al paragrafo 134, riguardavano l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/104. Al paragrafo 135 di tali conclusioni, l’avvocato generale Szpunar ha evidenziato che l’assenza di misure di trasposizione rispetto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/104, non impedisce al giudice nazionale del rinvio di verificare, prendendo in considerazione tutto il diritto nazionale, se esso possa pervenire, in via esegetica, ad una soluzione conforme al diritto dell’Unione.