Language of document : ECLI:EU:C:2020:377

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 14 maggio 2020 (1)

Causa C181/19

Jobcenter Krefeld - Widerspruchsstelle

contro

JD

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Landessozialgericht Nordrhein‑Westfalen (Tribunale superiore del Land Renania settentrionale‑Vestfalia per il contenzioso sociale, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Cittadino dell’Unione che ha perso lo status di lavoratore – Diritto di soggiorno – Principio della parità di trattamento – Diritto a una prestazione d’assistenza sociale – Vantaggi sociali – Ex lavoratore migrante avente a proprio carico figli scolarizzati nello Stato membro ospitante – Diritto di accesso all’istruzione – Effettività – Prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo»






Indice


I. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

1. Direttiva 2004/38/CE

2. Regolamento (CE) n. 883/2004

3. Regolamento (UE) n. 492/2011

B. Diritto tedesco

II. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

III. Analisi

A. Osservazioni preliminari sulla qualificazione delle prestazioni di cui trattasi

B. Sulle questioni pregiudiziali

1. Sull’inapplicabilità dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla situazione di cui al procedimento principale

2. Sulla portata del diritto di soggiorno fondato sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011

a) L’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 nella giurisprudenza della Corte

b) Diritto di soggiorno fondato sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 e diritto alla parità di trattamento in materia di accesso alle prestazioni sociali di base: il corollario logico

1) Prima ipotesi: l’articolo 7 del regolamento n. 492/2011 come fondamento del diritto alla parità di trattamento di JD

2) Seconda ipotesi: il diritto di accesso all’istruzione quale fondamento del diritto alla parità di trattamento in materia di accesso all’assistenza sociale

3. Osservazioni aggiuntive

IV. Conclusione



1.        Nel momento in cui redigo le presenti conclusioni l’Unione europea attraversa una crisi sanitaria pubblica senza precedenti alla quale gli Stati membri hanno risposto dando prova di una solidarietà sanitaria anch’essa senza precedenti. Nella presente causa, la Corte è chiamata a precisare i limiti della solidarietà sociale, essendo invitata a pronunciarsi sulla questione della portata dell’aiuto sociale che uno Stato membro ospitante deve fornire ad un ex lavoratore migrante in cerca di occupazione e affidatario dei suoi due figli scolarizzati in tale Stato.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Direttiva 2004/38/CE

2.        L’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (2), è intitolato «Parità di trattamento». Esso è così formulato:

«1.      Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

2.      In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari».

2.      Regolamento (CE) n. 883/2004

3.        L’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 (GU 2009, L 284, pag. 43) (3), prevede che tale regolamento «si applica anche alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo di cui all’articolo 70».

4.        L’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 stabilisce che, «[s]alvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».

5.        I paragrafi 1 e 2 dell’articolo 70 del regolamento n. 883/2004 sono così formulati:

«1.      Il presente articolo si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legislazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, quanto di quella relativa all’assistenza sociale.

2.      Ai fini del presente capitolo, le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” sono quelle:

a)      intese a fornire:

i)      copertura in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischi corrispondenti ai settori di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e a garantire, alle persone interessate, un reddito minimo di sussistenza in relazione al contesto economico e sociale dello Stato membro interessato;

(...)

e

b)      relativamente alle quali il finanziamento deriva esclusivamente dalla tassazione obbligatoria intesa a coprire la spesa pubblica generale e le condizioni per la concessione e per il calcolo della prestazione, non dipendono da alcun contributo da parte del beneficiario (...);

e

c)      sono elencate nell’allegato X».

6.        L’allegato X al regolamento n. 883/2004 ha ad oggetto, per quanto concerne la Germania, «prestazioni assicurative di base per persone in cerca di lavoro, destinate a garantire il loro sostentamento, a meno che, in riferimento a tali prestazioni, non siano soddisfatte le condizioni di ammissibilità ad un supplemento temporaneo susseguente alla ricezione delle prestazioni di disoccupazione (articolo 24, paragrafo 1 del libro II del codice sociale)».

3.      Regolamento (UE) n. 492/2011

7.        L’articolo 7, paragrafi 1 e 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (4) è così formulato:

«1.      Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

2.      Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali».

8.        L’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, al primo comma, prevede che «[i] figli del cittadino di uno Stato membro, che sia o sia stato occupato sul territorio di un altro Stato membro, sono ammessi a frequentare i corsi d’insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono». Il secondo comma prosegue affermando che «[g]li Stati membri incoraggiano le iniziative intese a permettere a tali figli di frequentare i predetti corsi nelle migliori condizioni».

B.      Diritto tedesco

9.        L’articolo 7 del libro II del Sozialgesetzbuch Zweites Buch (codice della previdenza sociale), nella versione del 22 dicembre 2016 (BGBl. I, pag. 3155; in prosieguo: il «SGB II»), dispone quanto segue:

«1)      Le prestazioni previste dal presente libro vengono erogate a coloro che:

1.      siano di età superiore a 15 anni, ma non abbiano ancora raggiunto il limite di età previsto dall’articolo 7 bis,

2.      siano abili al lavoro,

3.      siano indigenti e

4.      abbiano la propria residenza abituale nella Repubblica federale di Germania (beneficiari abili al lavoro).

Sono esclusi:

(...)

2.      i cittadini stranieri

a)      che non hanno un diritto di soggiorno,

b)      il cui diritto di soggiorno discende unicamente dall’obiettivo della ricerca di un lavoro o

c)      che derivano il proprio diritto di soggiorno – da solo o parallelamente ad un diritto di soggiorno ai sensi della lettera b) – dall’articolo 10 del regolamento n. 492/2011,

nonché i loro familiari,

(...).

2)      Percepiscono prestazioni anche le persone che fanno parte del nucleo familiare dei beneficiari abili al lavoro. (...)

3)      Fanno parte del nucleo familiare

1.      i beneficiari abili al lavoro,

(...)

4.      i figli non sposati facenti parte della famiglia anagrafica delle persone menzionate ai punti da 1 a 3, qualora non abbiano ancora compiuto i 25 anni di età, purché non possano procurarsi grazie ai loro redditi personali o al loro patrimonio le prestazioni che garantiscano loro la sussistenza».

10.      L’articolo 2 del Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgern (legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione; in prosieguo: il «FreizügG») (5) è così formulato:

«1)      I cittadini dell’Unione che beneficiano della libera circolazione nonché i loro familiari hanno il diritto di entrare e di soggiornare nel territorio federale conformemente alle disposizioni della presente legge.

2)      Fruiscono della libera circolazione in forza del diritto dell’Unione:

1.      i cittadini dell’Unione che intendono soggiornare in qualità di lavoratori o proseguire una formazione professionale,

1 bis.      i cittadini dell’Unione in cerca di occupazione, per un periodo fino a sei mesi, e oltre soltanto nei limiti in cui possono produrre la prova di continuare a cercare un’occupazione e di avere reali opportunità di essere assunti,

(...)

6.      i familiari, conformemente ai presupposti di cui agli articoli 3 e 4,

(...).

3)      (...) Il diritto sancito dal paragrafo 1 è mantenuto per un periodo di sei mesi in caso di disoccupazione involontaria confermata dal centro per l’impiego competente dopo un periodo di impiego inferiore a un anno».

11.      L’articolo 3 del FreizügG prevede quanto segue:

«1)      I familiari dei cittadini dell’Unione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5, godono del diritto ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, quando accompagnano detto cittadino dell’Unione o si ricongiungono allo stesso. (...)

2)      Per familiari si intendono:

1.      il coniuge, il partner e i discendenti delle persone di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5 e 7, o dei loro coniugi o partner, che non abbiano ancora compiuto il ventunesimo anno di età (...),

2.      gli ascendenti o i discendenti delle persone di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5 e 7, o dei loro coniugi o partner, alla sussistenza dei quali provvedono tali persone o i loro coniugi o partner.

(...)

4)      I figli di un cittadino dell’Unione che beneficia della libertà di circolazione e il genitore che esercita effettivamente la potestà genitoriale sui figli mantengono il proprio diritto di soggiorno fintantoché essi non abbiano completato una formazione anche dopo il decesso o la partenza del cittadino dell’Unione da cui derivano il proprio diritto di soggiorno, se i figli risiedono nel territorio federale e frequentano un istituto di insegnamento o di formazione».

II.    Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

12.      JD è un cittadino polacco padre di due minori nati nel 2005 e nel 2010. Egli vive separato da sua moglie, anche lei polacca, dal 2012 o dal 2013 – data del suo arrivo in Germania dopo aver risieduto nei Paesi Bassi – e ha divorziato nel mese di gennaio del 2019. Sua moglie, trasferitasi contemporaneamente a lui dai Paesi Bassi in Germania, è tornata a vivere in Polonia nel mese di aprile del 2016. Dal mese di settembre del 2015 il padre e le sue due figlie sono registrati insieme presso lo stesso indirizzo in Germania. Le due figlie sono scolarizzate in Germania almeno dal mese di agosto del 2016. Nel 2016 e nel 2017 JD ha percepito ininterrottamente assegni familiari per le sue due figlie nonché una pensione alimentare concessa dalla città di residenza della famiglia (6).

13.      Per quanto riguarda l’attività professionale di JD, quest’ultimo ha esercitato un’attività di lavoro dipendente nei Paesi Bassi dal 2009 al 2011. Dal mese di gennaio del 2013 al mese di marzo del 2015 è rimasto disoccupato. Dal 6 marzo 2015 al 1° settembre 2015 ha esercitato un’attività di lavoro dipendente in Germania. Dal 1° settembre 2015 al 17 gennaio 2016 egli ha nuovamente vissuto un periodo di inattività professionale. Il 18 gennaio 2016 ha intrapreso un’attività di lavoro dipendente a tempo pieno che doveva terminare il 31 ottobre 2016. È risultato inabile al lavoro dal 4 ottobre 2016 al 7 dicembre 2016, con mantenimento del suo salario fino al 29 ottobre 2016, successivamente con versamento di indennità di malattia da parte della previdenza sociale fino al 7 dicembre 2016. Il 31 marzo 2017 è stato concesso a JD il versamento di indennità di disoccupazione per il periodo compreso tra il 23 febbraio 2017 e il 24 agosto 2017. Il 13 aprile 2017 l’erogazione di dette indennità è stata revocata a causa della scadenza dell’iscrizione di JD in qualità di disoccupato. Il 13 giugno 2017 è stata disposta l’erogazione di tali indennità a JD per il periodo compreso tra il 12 giugno 2017 e il 23 ottobre 2017.

14.      Dal 2 gennaio 2018 JD occupa un posto di lavoro a tempo pieno.

15.      Tra il 1° settembre 2016 e il 7 giugno 2017 JD e le sue figlie hanno percepito prestazioni sociali di base in forza del SGB II. Nel mese di giugno del 2017, JD ha chiesto il mantenimento di tali prestazioni per lui e le sue figlie. Il 13 giugno 2017 il Jobcenter Krefeld ha respinto, con parere, tale domanda considerando che andava applicata l’esclusione prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2, lettera b), del SGB II, in quanto ormai JD risiedeva in Germania soltanto per cercarvi un’occupazione. Il Jobcenter Krefeld ha inoltre respinto il reclamo proposto da JD e dalle sue figlie avverso tale parere con parere a seguito di reclamo adottato il 27 luglio 2017. Il 31 luglio 2017 JD e le sue figlie hanno dunque proposto un ricorso di annullamento avverso il parere del 13 giugno 2017 come confermato dal parere del 27 luglio 2017 e hanno chiesto la condanna del Jobcenter Krefeld al pagamento delle prestazioni sociali di base per il periodo compreso tra l’8 giugno 2017 ed il 31 dicembre 2017 (in prosieguo: il «periodo controverso»).

16.      Con sentenza dell’8 maggio 2018, il Sozialgericht Düsseldorf (Tribunale per il contenzioso sociale di Düsseldorf, Germania) ha accolto il ricorso e ha condannato il Jobcenter Krefeld a concedere a JD e alle sue figlie le prestazioni richieste per il periodo controverso. Dal 7 luglio 2017 JD non poteva certamente più avvalersi di un diritto di soggiorno derivante da una precedente occupazione sulla base dell’articolo 2, paragrafo 3, prima frase, punto 2 o seconda frase, del FreizügG. Tuttavia, egli derivava il proprio diritto di soggiorno da quello riconosciuto alle sue figlie sulla base dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011. Un siffatto diritto di soggiorno è stato dichiarato dal Sozialgericht Düsseldorf (Tribunale per il contenzioso sociale di Düsseldorf) autonomo e indipendente dai diritti di soggiorno disciplinati dalla direttiva 2004/38. La deroga alla parità di trattamento prevista all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 troverebbe dunque applicazione soltanto qualora esista un diritto di soggiorno derivante unicamente dalla direttiva 2004/38. A contrario, detta deroga non troverebbe applicazione qualora la persona interessata derivi il proprio diritto di soggiorno dall’articolo 10 del regolamento n. 492/2011. Al termine di tale analisi, il giudice di primo grado ha dunque dichiarato che l’esclusione prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2, lettera c), del SGB II doveva essere considerata contraria al diritto dell’Unione.

17.      Il 4 luglio 2018 il Jobcenter Krefeld ha presentato appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio.

18.      Il giudice del rinvio spiega che le prestazioni sociali di base sono prestazioni d’assistenza sociale ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (7) e possono essere qualificate anche come prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, e dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004 (8) in quanto la loro funzione è di garantire la sussistenza dei figli e dei loro genitori. Secondo il giudice del rinvio, tali prestazioni sono altresì vantaggi sociali ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011.

19.      Secondo il giudice del rinvio, se dovesse limitarsi ad applicare il proprio diritto nazionale, dovrebbe accogliere l’appello proposto dal Jobcenter Krefeld. Esso si interroga tuttavia sulla compatibilità con il diritto dell’Unione dell’esclusione prevista all’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2, lettera c), del SGB II. Il giudice del rinvio ricorda che JD, pur essendo privo di un’attività professionale e di mezzi di sussistenza sufficienti per il periodo controverso e non potendo avvalersi né di un diritto di soggiorno permanente né dello status di lavoratore, beneficiava, durante detto periodo, di un diritto di soggiorno derivato da quello delle sue figlie fondato sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011. Orbene, la questione se, in un simile caso, l’esclusione prevista all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 possa trovare applicazione è discussa a livello nazionale.

20.      Secondo il legislatore nazionale, l’esclusione prevista all’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2, lettera c), del SGB II sarebbe conforme al diritto dell’Unione a pena di privare della loro essenza le norme della direttiva 2004/38. Al momento dell’introduzione di detta esclusione nel diritto nazionale, tale legislatore ha insistito in particolare sul considerando 10 della direttiva 2004/38, ossia sull’obiettivo perseguito dalla direttiva di evitare che le persone che esercitano il proprio diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, nonché sull’obiettivo, più volte richiamato dalla Corte stessa, di preservare l’equilibrio finanziario dei regimi previdenziali (9). Per questa ragione, l’esclusione ha potuto essere estesa ai cittadini dell’Unione il cui diritto di soggiorno si fonda sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 senza che il legislatore nazionale individui in ciò una fonte di conflitto con il diritto dell’Unione. Esisterebbe una corrente giurisprudenziale che seguirebbe tale logica considerando che l’ambito di applicazione dell’eccezione prevista all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non è limitato a quest’ultima e che tale articolo costituisce un’eccezione all’articolo 18 TFUE anche nel caso in cui il diritto di soggiorno si fondi sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011. La conferma si troverebbe nella giurisprudenza della Corte, in quanto quest’ultima non ha seguito le conclusioni del suo avvocato generale nella causa Alimanovic (10) e non ha proceduto a un differente esame in considerazione del fatto che allora esisteva un fondamento del diritto di soggiorno diverso dalla direttiva 2004/38.

21.      Sembrerebbe tuttavia che tale concezione non sia condivisa da tutti i giudici nazionali, alcuni dei quali interpretano diversamente la sentenza Alimanovic (11) considerando che la Corte avrebbe applicato l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 soltanto nel contesto di un diritto di soggiorno fondato su detta direttiva. La questione dell’applicabilità dell’articolo 24, paragrafo 2, di tale direttiva nei confronti di un cittadino dell’Unione che benefici di un permesso di soggiorno sulla base dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 non sarebbe dunque risolta. Inoltre, tali giudici ritengono che l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, quale eccezione al principio di non discriminazione, dovrebbe essere interpretato restrittivamente, entro i limiti dell’ambito di applicazione della sola direttiva.

22.      Il giudice del rinvio condivide questa seconda linea di analisi che, a suo avviso, troverebbe conferma nel fatto che il diritto di soggiorno che discende dall’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 non è subordinato al rispetto delle condizioni della direttiva 2004/38. Inoltre, le prestazioni richieste da JD devono essere considerate vantaggi sociali ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, anche se dette prestazioni appaiono prive di rapporto con la scolarizzazione o la formazione in quanto tali. Orbene, la parità di trattamento dev’essere garantita in materia di vantaggi sociali in forza di detto articolo. La Corte avrebbe, inoltre, già dichiarato che l’ambito di applicazione dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 non poteva essere limitato dalla direttiva 2004/38 (12). Infine, il giudice del rinvio sottolinea che, mentre avrebbe avuto l’occasione di farlo al momento dell’adozione del regolamento n. 492/2011, il legislatore dell’Unione non ha introdotto in detto regolamento una disposizione che avrebbe dovuto condurre la Corte a modificare la propria giurisprudenza resa sulla base del regolamento precedente al fine di escludere esplicitamente dal beneficio della parità di trattamento i cittadini il cui diritto di soggiorno si fonda soltanto sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011.

23.      In tale contesto, il Landessozialgericht Nordrhein‑Westfalen (Tribunale superiore del Land Renania settentrionale‑Vestfalia per il contenzioso sociale, Germania) ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione pervenuta in cancelleria il 25 febbraio 2019, ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’esclusione di cittadini dell’Unione, titolari di un diritto di soggiorno in forza dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, dal beneficio delle prestazioni d’assistenza sociale ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 sia compatibile con il principio della parità di trattamento sancito dall’articolo 18 TFUE in combinato disposto con gli articoli 10 e 7 del regolamento n. 492/2011.

a)      Se una prestazione d’assistenza sociale ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 costituisca un vantaggio sociale a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011.

b)      Se la restrizione di cui all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 trovi applicazione al principio della parità di trattamento previsto dall’articolo 18 TFUE in combinato disposto con gli articoli 10 e 7 del regolamento n. 492/2011.

2)      Se l’esclusione di cittadini dell’Unione dal beneficio delle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo ai sensi degli articoli 3, paragrafo 3, e 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004 sia compatibile con il principio della parità di trattamento sancito dall’articolo 18 TFUE in combinato disposto con l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, ove i cittadini medesimi dispongano di un diritto di soggiorno conformemente all’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 e siano affiliati ad un regime previdenziale o ad un regime di prestazioni familiari ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004».

24.      Hanno depositato osservazioni scritte il Jobcenter Krefeld, i governi tedesco e polacco nonché la Commissione europea, i quali hanno altresì esposto le loro difese orali all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 26 febbraio 2020.

III. Analisi

A.      Osservazioni preliminari sulla qualificazione delle prestazioni di cui trattasi

25.      Come ricordato dal giudice del rinvio, non è la prima volta che la Corte è chiamata a pronunciarsi sulle condizioni di concessione delle prestazioni previste dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2, lettera c), del SGB II, cosicché la Corte ha già qualificato tali prestazioni alla luce di differenti norme di diritto derivato che potrebbero risultare rilevanti ai fini della risoluzione della presente causa.

26.      Ricordo dunque che le prestazioni di cui trattasi possono essere qualificate come «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004 e, peraltro, sono menzionate in quanto tali nell’allegato X al regolamento n. 883/2004 (13).

27.      Le prestazioni di cui trattasi ricadono anche nella nozione di «prestazioni d’assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, in quanto tale nozione fa riferimento all’insieme dei regimi di assistenza istituiti da autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale, cui può ricorrere un soggetto che non disponga delle risorse economiche sufficienti a far fronte ai bisogni elementari propri e a quelli della sua famiglia e che rischia, per questo, di diventare, durante il suo soggiorno, un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante che potrebbe produrre conseguenze sul livello globale dell’aiuto che può essere concesso da tale Stato (14). La Corte ha inoltre dichiarato che la funzione preponderante delle prestazioni di cui trattasi era di «garantire i mezzi minimi di sussistenza necessari a condurre un’esistenza conforme alla dignità umana» (15).

28.      Resta da stabilire se le prestazioni di cui trattasi siano qualificabili come vantaggio sociale, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011. In proposito, da una costante giurisprudenza risulta che per «vantaggi sociali» ai sensi di tale disposizione bisogna intendere «tutti i vantaggi che, connessi o meno a un contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali, in ragione principalmente del loro status obiettivo di lavoratori o del semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri risulta quindi atta a facilitare la loro mobilità all’interno dell’Unione (...) e, pertanto, la loro integrazione nello Stato membro ospitante» (16). Secondo il giudice del rinvio, le prestazioni di cui trattasi, che mirano a garantire la sussistenza di un figlio e del genitore che ne sia effettivamente affidatario nel corso di una formazione scolastica o professionale, costituiscono effettivamente simili vantaggi (17).

29.      Come rilevato dalla Commissione, a mio avviso correttamente, la tutela previdenziale di base offerta dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2, lettera c), del SGB II, nella misura in cui presuppone l’idoneità al lavoro, appare ricollegata al fatto che il beneficiario sia stato un lavoratore, sia un lavoratore con redditi insufficienti o sarà un lavoratore. Almeno nei primi due casi appena elencati, il beneficio della prestazione di cui trattasi appare collegato allo status di lavoratore, anche perso, della persona che la richiede. Infine, rilevo che la Corte ha già qualificato come vantaggio sociale ai sensi del regolamento (CEE) n. 1612/68 (18) – che ha preceduto il regolamento n. 492/2011 – una prestazione sociale che garantisce in modo generale un minimo di mezzi di sussistenza (19). In tale contesto, si deve dunque ammettere che le prestazioni di cui trattasi rientrano anche nella nozione di «vantaggi sociali» ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, in particolare se ci si attiene, come fatto a più riprese dalla Corte, alla funzione integratrice di tale tutela sulla quale tornerò nel prosieguo (20).

30.      Ciò premesso, passo ad analizzare le questioni pregiudiziali in quanto tali.

B.      Sulle questioni pregiudiziali

31.      L’esclusione di JD e delle sue figlie dal beneficio delle prestazioni di sussistenza costituisce una discriminazione fondata sulla cittadinanza. Con le questioni pregiudiziali in oggetto, che propongo di esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio invita la Corte ad esaminare successivamente, se del caso, le differenti possibili basi della concessione delle prestazioni di sussistenza per il periodo controverso a JD e alle sue due figlie, vale a dire del riconoscimento, nel contesto della controversia di cui al procedimento principale, di un diritto alla parità di trattamento.

32.      Una simile analisi tuttavia non sarà utile se la Corte dovesse dichiarare che la situazione di cui al procedimento principale rientra, in ogni caso, nell’eccezione alla parità di trattamento prevista all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Dunque, devo anzitutto illustrare le ragioni per le quali, a mio avviso, tale disposizione non trova applicazione nella presente causa, prima di valutare se la portata del diritto di soggiorno riconosciuto ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 sia tale da coprire anche il diritto alla parità di trattamento per quanto concerne le condizioni di accesso alle prestazioni di cui trattasi. Alla luce delle conclusioni che trarrò dall’analisi dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, non dovrebbe risultare necessario un esame specifico del regolamento n. 883/2004.

1.      Sullinapplicabilità dellarticolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla situazione di cui al procedimento principale

33.      È pacifico tra le parti che, durante il periodo controverso, JD beneficiava di un diritto di soggiorno fondato sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 derivato da quello delle sue due figlie scolarizzate nello Stato membro ospitante. È altresì pacifico che, durante detto periodo controverso, JD aveva perso lo status di lavoratore ed era in cerca di occupazione.

34.      L’articolo 24 della direttiva 2004/38 è dedicato alla parità di trattamento. Il suo primo paragrafo sancisce il beneficio di una simile parità per «ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base [a detta] direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante», ma «[f]atte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato». In proposito, il paragrafo 2 di tale disposizione prevede esplicitamente una deroga al principio della parità di trattamento, in quanto lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale entro i termini fissati «a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari».

35.      Il governo tedesco, il cui argomento è parzialmente condiviso dal Jobcenter Krefeld, afferma in sostanza che, indipendentemente dalla questione se il diritto di soggiorno di JD in Germania si fondasse anche sulla direttiva 2004/38 (21), avendo egli risieduto in Germania durante il periodo controverso soltanto per ricercarvi un’occupazione, l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva in parola opererebbe come una disposizione trasversale, che disciplina in maniera completa la questione della parità di trattamento in materia di prestazione d’assistenza sociale e va quindi oltre il mero contesto normativo della direttiva 2004/38. Poco importerebbe dunque che il fondamento giuridico del diritto di soggiorno di JD sia l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, in quanto l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 escluderebbe, in ogni caso, i cittadini dell’Unione che non hanno più lo status di lavoratore dal beneficio della parità di trattamento in materia di prestazione d’assistenza sociale. Escludere l’applicazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 in un caso come quello di JD equivarrebbe a privare della propria essenza la limitazione prevista da tale disposizione e il margine di discrezionalità che la direttiva riconosce necessariamente agli Stati membri che devono tutelarsi dal turismo previdenziale evitando che i cittadini dell’Unione economicamente inattivi diventino un onere irragionevole per i regimi previdenziali nazionali. Infatti, per detti cittadini sarebbe sufficiente avvalersi della scolarizzazione dei propri figli nello Stato membro ospitante per porre in pericolo il meccanismo di difesa di detti regimi costituito dall’eccezione di cui all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Infine, secondo il governo tedesco, la questione sarebbe già stata decisa dalla Corte nella sentenza Alimanovic (22). Orbene, nell’ambito di tale sentenza, il cui contesto di fatto e normativo sarebbe del tutto analogo a quello della presente causa, la Corte non avrebbe escluso l’applicazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 mentre i cittadini dell’Unione interessati, privi dello status di lavoratori migranti, godevano parimenti di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011.

36.      Non posso condividere tali argomenti.

37.      Da un punto di vista letterale, anzitutto, l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 sancisce il principio della parità di trattamento dei cittadini dell’Unione che risiedono nel territorio dello Stato membro ospitante «[f]atte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato». Dunque la deroga a detto principio contenuta all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 opera sempre entro questi stessi limiti. Inoltre, un simile rinvio dell’articolo 24 ad altre disposizioni di diritto primario o derivato mal si concilia con la tesi di un’armonizzazione completa e trasversale del diritto alla parità di trattamento.

38.      Dal punto di vista del contesto, poi, non vi è mai la possibilità di individuare un qualsivoglia indizio di un’applicazione dell’articolo 24 della direttiva 2004/38 al di là di questa sola direttiva. Se si torna, nuovamente, alla formulazione dell’articolo 24, paragrafo 2, di detta direttiva, quest’ultimo, con i riferimenti operati ad altre disposizioni della direttiva, radica la deroga in esso contenuta nel campo di azione della direttiva stessa. Il mantenimento, nel regolamento n. 492/2011, di una disposizione dedicata alla parità di trattamento dei lavoratori in materia di vantaggi sociali contraddice parimenti la tesi dell’armonizzazione completa e trasversale del diritto alla parità di trattamento alla quale avrebbe proceduto la direttiva 2004/38.

39.      Da un punto di vista teleologico, infine, mi sembra di nuovo che, di per sé, l’obiettivo legittimo perseguito dal legislatore dell’Unione, poi evocato dal legislatore e dal governo tedeschi, non possa giustificare l’esportazione di una norma di diritto derivato in un altro contesto normativo. Peraltro, l’incapacità del governo tedesco – nelle sue osservazioni scritte o all’udienza dinanzi alla Corte mentre era appunto interrogato in proposito – di fornire dati numerici precisi idonei ad illustrare la minaccia che rappresenterebbe, per il regime previdenziale tedesco, un’interpretazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 nel senso che non sarebbe applicabile qualora il cittadino dell’Unione interessato benefici di un diritto di soggiorno sulla base di un fondamento diverso da detta direttiva, allorché il governo tedesco evocava lo spettro del turismo previdenziale, ha considerevolmente indebolito la portata del suo argomento.

40.      Aggiungerò ancora tre serie di osservazioni.

41.      Da un lato, l’argomento secondo il quale non può sussistere un diritto di soggiorno ai sensi del regolamento n. 492/2011 senza che esso sia stato necessariamente preceduto da un diritto di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/38 non è idoneo a privare detto regolamento della sua autonomia normativa. In proposito è sufficiente constatare, come ricorderò qui di seguito, che il diritto di soggiorno ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 è esentato dal rispetto delle condizioni normalmente imposte dalla direttiva 2004/38 per quanto concerne i cittadini dell’Unione economicamente inattivi.

42.      Dall’altro lato, se è vero che tutte le suesposte ragioni, di per sé, militano a favore della limitazione della portata della deroga prevista all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 a questa sola direttiva, aggiungo, come correttamente sottolineato dalla Commissione, che nel diritto dell’Unione qualsiasi disposizione derogatoria riceve un’interpretazione restrittiva. Tale principio interpretativo del resto è già stato utilizzato dalla Corte a proposito dello stesso articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, in quanto la Corte ha già dichiarato che, «[q]uale deroga al principio di parità di trattamento previsto dall’articolo 18 TFUE, di cui l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 costituisce solamente espressione specifica, il paragrafo 2 del medesimo articolo 24 dev’essere interpretato restrittivamente» (23).

43.      Infine, per quanto concerne il valore di precedente della sentenza Alimanovic (24), quest’ultima dev’essere interpretata alla luce del suo punto 40, con il quale la Corte ricordava che il giudice del rinvio che l’aveva allora adita riteneva «che il diritto di soggiorno della sig.ra Alimanovic e di sua figlia Sonita deriv[asse] dal loro status di persone in cerca di lavoro e di essere vincolato agli accertamenti effettuati a tale proposito». Adottando un’interpretazione molto formalista della sentenza, si potrebbe obiettare che il citato punto 40 è, tuttavia, collocato nell’introduzione della parte della sentenza dedicata alla qualificazione delle prestazioni allora in questione – le stesse che ci occupano attualmente. Si deve nondimeno riconoscere che la precisazione contenuta al punto 40 è giuridicamente priva di incidenza sull’operazione di qualificazione delle prestazioni stesse, cosicché gli insegnamenti che devono essere ricavati da tale punto non si limitano a quest’unica parte della sentenza (25).

44.      Nella sentenza Alimanovic (26) la Corte non si discosterà mai dalla premessa formulata al punto 40 di detta sentenza. Dunque essa non evocherà mai l’ipotesi, pur menzionata, benché soltanto in via sussidiaria, dal suo avvocato generale (27), secondo la quale il diritto di soggiorno della sig.ra Alimanovic e di sua figlia poteva risultare dall’articolo 10 del regolamento n. 492/2011.

45.      Il punto 40 della sentenza Alimanovic (28) ha dunque l’effetto di limitare la portata di tale sentenza ai cittadini dell’Unione che beneficiano di un diritto di soggiorno unicamente sulla base dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. In tale sentenza, la Corte non si è pronunciata sul caso particolare attualmente in esame in quanto, semplicemente, esso non era oggetto delle questioni allora sottopostele (29).

46.      In ogni caso, è interessante rilevare che la Corte, nella sentenza Alimanovic (30), ha instaurato molto chiaramente un collegamento tra l’applicazione della parità di trattamento prevista all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e il godimento di un diritto di soggiorno – eccettuato quello basato sull’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 (31) – fondato sulla direttiva 2004/38 (32).

47.      Pertanto, se si dovesse semplicemente considerare che JD è titolare di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, egli non potrebbe avvalersi della parità di trattamento. Tuttavia, come ho cercato di dimostrare finora, l’articolo 24 della direttiva 2004/38 non è destinato a disciplinare la questione dell’applicazione del principio della parità di trattamento nei confronti di un cittadino dell’Unione che benefici di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 (33).

2.      Sulla portata del diritto di soggiorno fondato sullarticolo 10 del regolamento n. 492/2011

48.      Una volta esclusa l’applicazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 nella situazione di cui al procedimento principale, resta da valutare se JD e le sue figlie possano far valere un diritto alla parità di trattamento in materia di accesso alle prestazioni sociali di base. Poiché essi beneficiano di un diritto di soggiorno ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, occorre stabilire se una simile parità di trattamento possa discendere dal regolamento stesso, se del caso in combinato disposto con altre norme.

49.      Dopo aver ricordato la portata attribuita dalla Corte all’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, proporrò due possibili vie che conducono alla constatazione secondo la quale, nel caso di specie, dev’essere riconosciuto un diritto alla parità di trattamento.

a)      Larticolo 10 del regolamento n. 492/2011 nella giurisprudenza della Corte

50.      Ricordo che l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 è identico all’articolo 12 del regolamento n. 1612/68, cosicché la giurisprudenza della Corte interpretativa di quest’ultima disposizione si applica mutatis mutandis all’interpretazione della prima (34).

51.      La Corte ha dichiarato che lo scopo del regolamento n. 1612/68, vale a dire la libera circolazione dei lavoratori, richiedeva, «affinché questa ven[isse] garantita nel rispetto della libertà e della dignità, condizioni ottimali di integrazione della famiglia del lavoratore comunitario nell’ambiente dello Stato membro ospitante» (35) e ha ritenuto inscindibile il legame tra la realizzazione di tale integrazione e la possibilità per il figlio di un lavoratore migrante di seguire le scuole e gli studi nello Stato membro ospitante (36).

52.      A tal fine, inoltre, i beneficiari del diritto di accesso all’istruzione sancito all’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 sono definiti in maniera estensiva, in quanto i figli possono non essere essi stessi cittadini dell’Unione e possono non essere i figli in comune del lavoratore migrante e del suo coniuge (37). Il verificarsi di un divorzio tra il lavoratore migrante e il suo coniuge, che si accompagni al ritorno di detto lavoratore nel suo Stato di origine mentre il suo coniuge rimane nello Stato membro ospitante con i figli, non ha l’effetto di porre in discussione il diritto di accesso di detti figli all’istruzione in quest’ultimo Stato (38). Analogamente, la perdita dello status di lavoratore del genitore da cui i figli hanno inizialmente derivato il loro diritto di accesso all’istruzione è priva di effetti sul godimento di detto diritto (39).

53.      Allo scopo di garantire l’effettività del diritto di accesso all’istruzione previsto all’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, tale diritto deve necessariamente accompagnarsi ad un correlativo diritto di soggiorno riconosciuto ai figli (40).

54.      Da quanto precede discende che il possesso dello status di lavoratore fa sorgere, in capo ai suoi figli, il diritto di accesso all’istruzione e dunque il diritto di soggiorno che discende dall’articolo 10 del regolamento n. 492/2011. Ma una volta che ricorrano le condizioni per il riconoscimento di tale diritto, esso «diviene autonomo» per offrire una tutela rafforzata della situazione giuridica dei figli a cui non è più richiesto soltanto che risiedano nello Stato membro ospitante e che siano ivi scolarizzati (41).

55.      Tale tutela giuridica rafforzata della situazione dei figli è destinata ad incidere, di riflesso, sulla situazione del genitore affidatario. Quindi, mentre il diritto di soggiorno dei figli ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 nasce dal possesso, in un dato momento, dello status di lavoratore da parte di uno dei genitori, il diritto di soggiorno del genitore affidatario può protrarsi dopo la perdita dello status di lavoratore o in assenza di tale status fintantoché i figli sono scolarizzati. Per utilizzare una metafora di tipo grammaticale, il genitore che era la proposizione principale diventa la subordinata e il figlio, che in origine incarnava la proposizione subordinata, diventa la proposizione principale. La Corte ha così dichiarato che, nel caso in cui i figli godano, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, del diritto di proseguire le scuole nello Stato membro ospitante, «il diniego nei confronti [dei] genitori della possibilità di risiedere nello Stato membro ospitante per il periodo di durata delle scuole dei figli potrebbe risultare tale da privare i figli stessi di un diritto loro riconosciuto dal legislatore [dell’Unione]» (42). Dopo aver ricordato che il regolamento n. 1612/68 doveva essere interpretato alla luce dell’esigenza del rispetto della vita familiare di cui all’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (43), la Corte ha dichiarato che «[i]l diritto riconosciuto al figlio di un lavoratore migrante, ex art. 12 del regolamento n. 1612/68, di proseguire, nelle migliori condizioni possibili, le scuole nello Stato membro ospitante implica necessariamente il diritto del figlio di essere accompagnato dalla persona che ne sia effettivamente affidataria e, quindi, che tale persona sia in grado di risiedere con il medesimo nel detto Stato membro per la durata degli studi. Negare la concessione del diritto di soggiorno al genitore effettivamente affidatario del figlio che eserciti il diritto di proseguire le scuole nello Stato membro ospitante costituirebbe violazione di tale diritto» (44). La Corte ha inoltre sottolineato che, tenuto conto del contesto e delle finalità perseguite dal regolamento n. 1612/68 e dall’articolo 12 del medesimo, tale disposizione non può essere interpretata in senso restrittivo e non dev’essere, in ogni caso, privata del proprio effetto utile (45). Il genitore affidatario di un figlio scolarizzato titolare di un diritto di accesso all’istruzione ai sensi dell’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 beneficia dunque di un diritto di soggiorno derivato da quello di suo figlio, ciò anche se, come ho già ricordato, detto genitore non ha lo status di cittadino dell’Unione o non ha o non ha più lo status di lavoratore migrante nello Stato membro ospitante (46).

56.      Infine, in occasione di un successivo sviluppo della sua giurisprudenza relativa all’articolo 12 del regolamento n. 1612/68, la Corte ha dichiarato che «i figli di un cittadino di uno Stato membro che lavori o abbia lavorato nello Stato membro ospitante, al pari del genitore che ne abbia l’effettivo affidamento, possono fruire in quest’ultimo Stato di un diritto di soggiorno sul solo fondamento dell’art. 12 del regolamento n. 1612/68, senza che siano tenuti a soddisfare le condizioni stabilite nella direttiva 2004/38» (47). In particolare, la Corte ha rilevato che la formulazione dell’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 non subordinava il diritto di soggiorno dei figli e del genitore affidatario alla loro autosufficienza economica – vale a dire al possesso di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia completa nello Stato membro ospitante – e che un simile presupposto non si evinceva neppure dalla giurisprudenza della Corte (48).

57.      La costruzione giurisprudenziale appena descritta si è dunque sviluppata in tre fasi: anzitutto, è stato necessario sancire la tesi che il diritto di accesso all’istruzione previsto all’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 dovesse necessariamente accompagnarsi al riconoscimento di un diritto di soggiorno autonomo dei figli. Successivamente, la necessità dell’effettività del diritto di accesso all’istruzione ha giustificato l’affermazione di un diritto di soggiorno derivato dei genitori affidatari di tali figli. Infine, l’esigenza di rendere sicura la situazione giuridica dei figli scolarizzati ha imposto di non subordinare né il diritto di soggiorno autonomo dei figli né il diritto di soggiorno derivato dei genitori a una condizione di autonomia economica.

58.      La presente causa offre alla Corte l’occasione di superare una nuova tappa nella costruzione dello statuto giuridico collegato all’articolo 10 del regolamento n. 492/2011.

b)      Diritto di soggiorno fondato sullarticolo 10 del regolamento n. 492/2011 e diritto alla parità di trattamento in materia di accesso alle prestazioni sociali di base: il corollario logico

59.      Come anticipato, a mio avviso, esistono due possibili vie di analisi, a seconda che si ritenga che JD sia il titolare del diritto alla parità di trattamento (prima ipotesi) o che si ritenga che le sue due figlie siano le titolari di tale diritto (seconda ipotesi).

1)      Prima ipotesi: l’articolo 7 del regolamento n. 492/2011 come fondamento del diritto alla parità di trattamento di JD

60.      Lo si è ribadito sufficientemente: JD è titolare di un diritto di soggiorno derivato da quello delle sue figlie ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011.

61.      Il regolamento n. 492/2011 contiene una specifica espressione del principio della parità di trattamento sancito all’articolo 18 TFUE, nel suo articolo 7, il quale, al paragrafo 2, prevede che il lavoratore cittadino di uno Stato membro, sul territorio degli altri Stati membri, gode degli stessi vantaggi sociali dei lavoratori nazionali.

62.      Non si può tuttavia ignorare che il citato articolo 7 apre la sezione 2 del regolamento n. 492/2011 intitolata «Esercizio dell’impiego e parità di trattamento». Non si può neppure ignorare che la sua formulazione fa espressamente riferimento al «lavoratore» e che JD non è più tale.

63.      Tuttavia, non si può escludere un’interpretazione estensiva di tale disposizione. Certamente, l’articolo 7 del regolamento n. 492/2011 non fa riferimento, come l’articolo 10 del medesimo regolamento, al cittadino di uno Stato membro che sia o sia stato un lavoratore; nondimeno, dalla formulazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 492/2011 si deduce che la tutela offerta si estende al di là del solo periodo di occupazione di detto lavoratore e forse anche del periodo durante il quale egli ha appunto tale status. Ricordo che l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 492/2011 sancisce il diritto alla parità di trattamento «in particolare in materia di (...) licenziamento (...) o ricollocamento se disoccupato» (49).

64.      Peraltro, sebbene dalla giurisprudenza della Corte risulti che i cittadini dell’Unione che si spostano unicamente per cercare un impiego non possono avvalersi della parità di trattamento come prevista dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, quelli che hanno già avuto accesso al mercato del lavoro, al contrario, possono evidentemente avvalersene (50).

65.      Nel caso di specie, il riconoscimento di un diritto alla parità di trattamento fondato sulla circostanza che il richiedente è un ex lavoratore – e non un cittadino spostatosi nel territorio dello Stato membro ospitante soltanto per cercarvi un’occupazione senza aver mai avuto effettivamente accesso al mercato del lavoro – permette di non estendere il beneficio dell’assistenza sociale a qualsiasi cittadino che altrimenti potrebbe limitarsi ad esercitare la propria libertà di circolazione in un altro Stato membro, senza mai cercare di lavorarvi, e inoltre a scolarizzarvi immediatamente i propri figli per poter beneficiare, fino alla fine del loro percorso scolastico, di un diritto di soggiorno e dell’aiuto sociale offerto nello Stato membro ospitante (51).

66.      In altre parole, l’interpretazione proposta dell’articolo 7 del regolamento n. 492/2011 obbligherebbe, certamente, gli Stati membri a fornire assistenza ad ex lavoratori che subiscono la propria inattività economica, tuttavia preservando al contempo il loro diritto di negare una simile assistenza ai cittadini dell’Unione che si avvalgono della loro libertà di circolazione scegliendo di rimanere inattivi e che, perciò, non possono avvalersi della tutela offerta da tale disposizione. Una simile interpretazione è, inoltre, parimenti resa possibile in forza dell’autonomia normativa tra il regolamento n. 492/2011 e la direttiva 2004/38.

67.      Occorre inoltre assicurarsi che la discriminazione non possa essere giustificata (52). In proposito, sebbene la legittimità dell’obiettivo perseguito dal legislatore tedesco sia indubbia, dato che esso è conforme a quello perseguito dal legislatore dell’Unione, detta discriminazione non supera il test di proporzionalità, in quanto l’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2, lettera c), del SGB II conduce all’esclusione sistematica di ogni cittadino titolare di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, senza alcuna considerazione per la situazione individuale di detto cittadino e in particolare per i legami intrattenuti con il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante, nonché per la natura e l’intensità dei legami intrattenuti con la società di tale Stato.

68.      Da una siffatta analisi risulta, pertanto, che l’articolo 7, paragrafo 2, e l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 devono essere interpretati nel senso che a un ex lavoratore migrante i cui figli sono scolarizzati nello Stato membro ospitante e beneficiano di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 10 di detto regolamento dev’essere riconosciuto un diritto alla parità di trattamento, per quanto concerne l’accesso ai vantaggi sociali quali le prestazioni sociali di base.

2)      Seconda ipotesi: il diritto di accesso all’istruzione quale fondamento del diritto alla parità di trattamento in materia di accesso all’assistenza sociale

69.      A mio avviso, è altresì possibile pervenire alla stessa conclusione – quella di un diritto di accesso di JD e delle sue due figlie alle prestazioni controverse – concentrandosi, questa volta, sui diritti dei figli.

70.      Secondo la giurisprudenza della Corte precedentemente richiamata, l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 non può essere interpretato restrittivamente e dev’essere garantito il suo effetto utile; il regolamento, per parte sua, dev’essere interpretato alla luce del requisito del rispetto della vita familiare previsto all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

71.      Ciò premesso, cosa resterebbe del diritto di accesso all’istruzione di cui, secondo unanime riconoscimento, beneficiano le due figlie di JD, se il diritto di accesso alle prestazioni di cui trattasi, per loro ed il loro padre, dovesse essere negato?

72.      Da un punto di vista concettuale, posso ammettere che il diritto di soggiorno non si confonda necessariamente con il diritto di accesso a tali prestazioni. Ma in definitiva, da un punto di vista funzionale, quale portata reale – effettiva – sarebbe attribuita alla giurisprudenza della Corte, così attenta alla sorte dei figli dei lavoratori migranti, allorché il diritto di soggiorno del genitore affidatario non è subordinato alla condizione del possesso di sufficienti risorse economiche o di un’assicurazione malattia completa, se la stessa Corte oggi dovesse dichiarare che tale genitore, indispensabile per l’accompagnamento di detti figli nel loro percorso scolastico, non è legittimato a chiedere l’aiuto sociale statale?

73.      Sarebbe un’illusione, una fictio iuris ritenere che il diritto di accesso all’istruzione sia effettivo per il semplice fatto che al genitore affidatario dei figli è concesso un diritto di soggiorno senza che tale diritto si accompagni anche a un aiuto sociale. Invito dunque la Corte a compiere appunto questo passo.

74.      L’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 prevede un diritto di accesso all’istruzione «alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato [membro]» (53). Se i genitori indigenti di un figlio scolarizzato cittadini dello Stato membro ospitante sono legittimati ad accedere all’assistenza sociale al fine di garantire condizioni di vita e di scolarizzazione dignitose a tale figlio e, di riflesso, alla sua cellula familiare, e dato che l’indigenza è manifestamente un ostacolo per l’accesso all’istruzione di qualsiasi minore, il diritto all’assistenza sociale dovrebbe essere interpretato come facente parte delle «condizioni» a cui fa riferimento l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, salvo privare il minore di un diritto riconosciutogli dal legislatore (54).

75.      Una simile interpretazione garantisce dunque l’effetto utile dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte. Essa appare, inoltre, pienamente coerente con l’obiettivo iniziale di tale regolamento consistente nel garantire la libera circolazione dei lavoratori. Infatti, quale lavoratore lascerebbe il proprio paese di origine, si sforzerebbe di integrarsi al meglio, anche economicamente, nella società dello Stato membro ospitante e di scolarizzarvi i propri figli se sapesse che, nel momento in cui la sua situazione divenisse meno confortevole, senza poter contare sulla solidarietà dello Stato membro che l’ha accolto, dovrà necessariamente rientrare nel proprio paese di origine e strappare i propri figli al sistema pedagogico e linguistico nel quale si erano integrati fino ad allora? Essa appare, inoltre, conforme alla giurisprudenza della Corte che sottrae il diritto di soggiorno dei figli e del genitore affidatario al rispetto della condizione dell’autonomia economica (55).

76.      Per le stesse ragioni addotte precedentemente (56), la discriminazione introdotta dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 2), lettera c), del SBG II non mi sembra giustificabile.

77.      A questo punto dell’analisi, sono dunque propenso a ritenere che l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 debba essere interpretato nel senso che un diritto di accesso alle prestazioni sociali di base dev’essere riconosciuto ai figli titolari di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 nonché al genitore effettivamente affidatario di tali figli.

3.      Osservazioni aggiuntive

78.      La precedente analisi, che considera l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 il centro di gravità del ragionamento svolto per risolvere la presente causa, costituisce dunque, a mio avviso, la via principale a tal fine. Nondimeno, per completezza, desidero aggiungere ancora alcuni elementi di riflessione relativi, in primo luogo, al regolamento n. 883/2004 e, in secondo luogo, all’articolo 18 TFUE. Considerato che, tuttavia, tali elementi sono presentati soltanto in via sussidiaria, l’analisi sarà necessariamente più rapida.

79.      Per quanto riguarda il regolamento n. 883/2004, si è già visto che le prestazioni sociali di base di cui trattasi rientrano nell’ambito di applicazione di detto regolamento e che il suo articolo 4 sancisce un diritto alla parità di trattamento per le persone alle quali si applica il regolamento e salvo quanto diversamente previsto dal regolamento. Dalla formulazione della seconda questione pregiudiziale discende che JD dev’essere considerato affiliato al regime previdenziale dello Stato membro ospitante o al suo regime di prestazioni familiari ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004. Sebbene la determinazione delle condizioni sostanziali relative alla concessione di prestazioni come quelle di cui trattasi nel procedimento principale spetti alla legislazione di ciascuno Stato membro (57), gli Stati membri, nell’ambito di tale attività, sono nondimeno tenuti a rispettare il principio della parità di trattamento. La Corte ha già ammesso che gli Stati membri potevano decidere di concedere le prestazioni sociali ai soli cittadini dell’Unione che soddisfacevano le condizioni per il soggiorno ai sensi della direttiva 2004/38 (58) e che tali Stati potevano escludere dal beneficio delle prestazioni i cittadini dell’Unione nel corso dei primi tre mesi del loro soggiorno nello Stato membro ospitante o i cittadini il cui soggiorno si fondava soltanto sull’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. Supponendo che si possa dedurre da tale giurisprudenza la preoccupazione di rendere coerente l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 con l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, nel senso che l’effettività del secondo imporrebbe di limitare il primo, una simile interpretazione coordinata di tali disposizioni non avrebbe, in ogni caso, ragion d’essere in un caso come quello di JD, in cui il diritto di soggiorno non è più fondato sulla direttiva 2004/38, o non è più fondato soltanto su quest’ultima, ma è fondato sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011. La parità di trattamento per quanto concerne l’accesso a prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo come le prestazioni sociali di base può dunque parimenti essere fondata, per un cittadino dell’Unione come JD che beneficia, peraltro, di un diritto di soggiorno basato sull’articolo 10 del regolamento n. 492/2011, sull’articolo 4 del regolamento n. 883/2004.

80.      Infine, atteso che ho considerato che le questioni sollevate dal giudice del rinvio potessero essere risolte interpretando il regolamento n. 492/2011, il quale contiene una specifica declinazione del principio di non discriminazione sancito in via generale all’articolo 18 TFUE, un’analisi autonoma di quest’ultimo non mi sembra, conseguentemente, necessaria (59).

IV.    Conclusione

81.      Alla luce dell’insieme delle precedenti considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Landessozialgericht Nordrhein‑Westfalen (Tribunale superiore del Land Renania settentrionale‑Vestfalia per il contenzioso sociale, Germania) nel modo seguente:

1)      Prestazioni sociali di base come quelle di cui trattasi nel procedimento principale costituiscono vantaggi sociali ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione.

2)      L’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, non è destinato a disciplinare la questione dell’applicazione del principio della parità di trattamento nei confronti di un cittadino dell’Unione che benefici di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 10 del regolamento n. 492/2011.

3)      L’articolo 7, paragrafo 2, e l’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 devono essere interpretati nel senso che a un ex lavoratore migrante i cui figli sono scolarizzati nello Stato membro ospitante e beneficiano di un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 10 di detto regolamento dev’essere riconosciuto un diritto alla parità di trattamento, per quanto concerne l’accesso ai vantaggi sociali quali le prestazioni sociali di base.

4)      L’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 dev’essere interpretato nel senso che un diritto di accesso alle prestazioni sociali di base dev’essere riconosciuto ai figli titolari di un diritto di soggiorno sulla base del suddetto articolo 10 nonché al genitore effettivamente affidatario di tali figli.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2004, L 158, pag. 77.


3      In prosieguo: il «regolamento n. 883/2004».


4      GU 2011, L 141, pag. 1.


5      Nella versione del 2 dicembre 2014 (BGBl. I, pag. 1922).


6      Dagli atti di causa risulta che tale pensione alimentare è corrisposta a JD per le sue figlie dal 1° ottobre 2015 fino al compimento dei 12 anni da parte di queste ultime.


7      Il giudice del rinvio menziona in proposito le sentenze dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358); del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), nonché del 25 febbraio 2016, García‑Nieto e a. (C‑299/14, EU:C:2016:114).


8      Il giudice del rinvio menziona in proposito le sentenze dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358); del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), nonché del 25 febbraio 2016, García‑Nieto e a. (C‑299/14, EU:C:2016:114).


9      Come ricordato dalla Corte nelle sentenze dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358); del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), nonché del 25 febbraio 2016, García‑Nieto e a. (C‑299/14, EU:C:2016:114).


10      Sentenza del 15 settembre 2015 (C‑67/14, EU:C:2015:597).


11      Sentenza del 15 settembre 2015 (C‑67/14, EU:C:2015:597).


12      Il giudice del rinvio menziona in proposito le sentenze del 23 febbraio 2010, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80) e Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83).


13      V. sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 43).


14      V. sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).


15      Sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 45).


16      Sentenza del 18 dicembre 2019, Generálny riaditeľ Sociálnej poisťovne Bratislava e a. (C‑447/18, EU:C:2019:1098, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).


17      Il governo tedesco non si è pronunciato sulla questione, senza tuttavia escludere una simile qualificazione.


18      Regolamento del Consiglio del 15 ottobre 1968 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 2).


19      V. sentenza del 27 marzo 1985, Hoeckx (249/83, EU:C:1985:139) ripresa al punto 27 della sentenza del 20 settembre 2001, Grzelczyk (C‑184/99, EU:C:2001:458).


20      Per la qualificazione da parte della Corte di differenti misure come vantaggi sociali ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 che mette in rilievo in particolare la loro funzione integratrice, v. sentenza del 18 dicembre 2019, Generálny riaditeľ Sociálnej poisťovne Bratislava e a. (C‑447/18, EU:C:2019:1098, punto 48).


21      Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38.


22      Sentenza del 15 settembre 2015 (C‑67/14, EU:C:2015:597).


23      Sentenza del 4 ottobre 2012, Commissione/Austria (C‑75/11, EU:C:2012:605, punto 54).


24      Sentenza del 15 settembre 2015 (C‑67/14, EU:C:2015:597).


25      Ciò è del resto confermato dal punto 41, che non è altro che un richiamo delle questioni pregiudiziali seconda e terza, allora sottoposte alla Corte, e che dunque, in quanto tale, è estraneo all’operazione di qualificazione delle prestazioni che la Corte effettuerà ai punti da 42 a 46 della sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597).


26      Sentenza del 15 settembre 2015 (C‑67/14, EU:C:2015:597).


27      V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:210, paragrafi da 117 a 122).


28      Sentenza del 15 settembre 2015 (C‑67/14, EU:C:2015:597).


29      V. sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 38).


30      Sentenza del 15 settembre 2015 (C‑67/14, EU:C:2015:597).


31      Poiché esso è oggetto di un’esplicita esclusione da parte dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.


32      V. sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 49). V. altresì punto 53 di tale sentenza.


33      Osservo ancora in proposito che, al punto 49 della sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), la Corte ha dichiarato che, «per quanto concerne l’accesso a prestazioni di assistenza sociale (...), un cittadino dell’Unione può richiedere la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 solo se il suo soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante rispetta i requisiti di cui alla direttiva 2004/38» (il corsivo è mio). Considerato che il diritto di soggiorno che discende dall’articolo 10 del regolamento n. 492/2011 è appunto esentato dal rispetto di tali condizioni, l’articolo 24 della direttiva 2004/38 non è la disposizione alla luce della quale va esaminata la questione dell’eventuale parità di trattamento di cui beneficerebbe JD.


34      Nell’analisi che segue utilizzerò del resto indifferentemente riferimenti all’uno e all’altro regolamento.


35      Sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 50).


36      V. sentenze del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 51), e del 23 febbraio 2010, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80, punto 43).


37      V. sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punti 56 e 57).


38      V. sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 63).


39      V. sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 63).


40      V. sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 63).


41      V. sentenza del 23 febbraio 2010, Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83, punto 49). Sull’autonomia del diritto di soggiorno, v. sentenze del 23 febbraio 2010, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80, punti 35, 40 e 41) e del 23 febbraio 2010, Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83, punto 46).


42      Sentenze del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 71) e del 23 febbraio 2010, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80, punto 30).


43      Firmata a Roma il 4 novembre 1950.


44      Sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 73).


45      V. sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 74).


46      V. sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 75).


47      Sentenza del 23 febbraio 2010, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80, punto 50). Il corsivo è mio.


48      V. sentenza del 23 febbraio 2010, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80, punti 52 e 53). Per quanto concerne la situazione dei figli, la Corte aveva già dichiarato che lo status di figlio di un lavoratore migrante ai sensi del regolamento n. 1612/68 comportava «in modo particolare, il riconoscimento da parte del diritto dell’Unione della necessità di fruire degli aiuti statali per gli studi al fine dell’integrazione di questi figli nella vita sociale dello Stato membro ospitante e che tale esigenza s’impone tanto più quando i beneficiari delle disposizioni del regolamento in parola sono studenti giunti in questo Stato ancor prima di avere l’età per la frequenza scolastica» [sentenza del 15 marzo 1989, Echternach e Moritz (389/87 e 390/87, EU:C:1989:130, punto 35) ripresa al punto 54 della sentenza del 23 febbraio 2010, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80)].


49      Rilevo che la formulazione di tale disposizione non limita esplicitamente il godimento del diritto alla parità di trattamento per quanto concerne la durata del periodo di disoccupazione.


50      V. in particolare sentenza del 23 marzo 2004, Collins (C‑138/02, EU:C:2004:172, punto 31).


51      In proposito, desidero qui sottolineare che la situazione di JD e delle sue due figlie si distingue sotto ogni punto di vista da quella della ricorrente nella causa Dano [sentenza dell’11 novembre 2014 (C‑333/13, EU:C:2014:2358)], nella quale la Corte ha dichiarato che uno Stato membro poteva negare, sulla base della direttiva 2004/38, «la concessione di prestazioni sociali a cittadini dell’Unione economicamente inattivi che esercitino la libertà di circolazione con l’unico fine di ottenere il beneficio dell’aiuto sociale di un altro Stato membro pur non disponendo delle risorse sufficienti per poter rivendicare il beneficio del diritto di soggiorno» [sentenza dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 78); il corsivo è mio]. Come sottolineato dalla Commissione nella presente causa, nessuna accusa di frode o di abuso di diritto può essere mossa nei confronti di JD, il quale non si è neppure avvalso della propria libertà di circolazione con l’unico fine di ottenere il beneficio delle prestazioni di cui trattasi.


52      Per analogia, v. sentenza del 14 dicembre 2016, Bragança Linares Verruga e a. (C‑238/15, EU:C:2016:949).


53      Il corsivo è mio.


54      Secondo la giurisprudenza richiamata al paragrafo 55 delle presenti conclusioni.


55      Decidere altrimenti, infatti, equivarrebbe implicitamente ad introdurre una condizione di autonomia economica per il godimento effettivo del diritto di accesso all’istruzione.


56      V. paragrafo 67 delle presenti conclusioni.


57      V. sentenze del 19 settembre 2013, Brey (C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 41) e dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 83).


58      V. sentenze dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 83) e del 25 febbraio 2016, García‑Nieto e a. (C‑299/14, EU:C:2016:114, punto 52).


59      Il giudice del rinvio del resto non ha sollevato questioni collegate unicamente all’articolo 18 TFUE. Una simile analisi sarebbe necessaria soltanto nell’ipotesi in cui la Corte ritenesse che a JD non si applichi l’articolo 24 della direttiva 2004/38, che egli non possa beneficiare del principio della parità di trattamento in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 a causa della mancanza dello status di lavoratore e non benefici neppure di una tutela, diretta o indiretta, da ogni discriminazione per quanto attiene all’accesso alle prestazioni sociali di base risultante dall’articolo 10 del regolamento n. 492/2011. A JD non resterebbe altro che avvalersi del suo status di cittadino dell’Unione economicamente non attivo, che soggiorna regolarmente nello Stato membro ospitante e che chiede di beneficiare di una prestazione sociale di base. Un simile caso di specie si avvicinerebbe allora a quello della causa che ha dato luogo alla sentenza del 7 settembre 2004, Trojani (C‑456/02, EU:C:2004:488).