Language of document : ECLI:EU:C:2020:118

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

27 febbraio 2020 (*)

«Impugnazione – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 7, paragrafo 1, lettera f) – Impedimento alla registrazione assoluto – Marchio contrario al buon costume – Segno denominativo “Fack Ju Göhte” – Rigetto della domanda di registrazione»

Nella causa C‑240/18 P.

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 4 aprile 2018,

Constantin Film Produktion GmbH, con sede a Monaco (Germania), rappresentata da E. Saarmann e P. Baronikians, Rechtsanwälte,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da D. Hanf, in qualità di agente,

convenuto in primo grado,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, I. Jarukaitis, E. Juhász, M. Ilešič (relatore) e C. Lycourgos, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: C. Strömholm, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 febbraio 2019,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 2 luglio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la sua impugnazione la Constantin Film Produktion GmbH chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 24 gennaio 2018, Constantin Film Produktion/EUIPO (Fack Ju Göhte) (T‑69/17, non pubblicata, in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2018:27), con cui esso ha respinto il suo ricorso volto all’annullamento della decisione della quinta commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 1° dicembre 2016 (procedimento R 2205/2015‑5, in prosieguo: la «decisione controversa»), relativa ad una domanda di registrazione del segno denominativo «Fack Ju Göhte» come marchio dell’Unione europea.

 Contesto normativo

2        Il regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), è stato modificato dal regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015 (GU 2015, L 341, pag. 21), che è entrato in vigore il 23 marzo 2016. Il regolamento n. 207/2009, come modificato dal regolamento 2015/2424, è stato abrogato e sostituito, con effetto dal 1° ottobre 2017, dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1). In considerazione della data di presentazione della domanda di registrazione di cui trattasi, ossia il 21 aprile 2015, i fatti di causa sono disciplinati dalle disposizioni sostanziali del regolamento n. 207/2009.

3        L’articolo 7 del regolamento n. 207/2009, recante il titolo «Impedimenti assoluti alla registrazione», così recita ai suoi paragrafi da 1 a 3:

«1.      Sono esclusi dalla registrazione:

(...)

f)       i marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume;

(...)

2.      Il paragrafo 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte [dell’Unione europea].

3.      Il paragrafo 1, lettere b), c) e d), non si applica se il marchio ha acquistato, per tutti i prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto».

4        L’articolo 75 del regolamento n. 207/2009, rubricato «Motivazione delle decisioni», dispone quanto segue:

«Le decisioni dell’Ufficio sono motivate (...)».

5        L’articolo 76 del regolamento n. 207/2009, dal titolo «Esame d’ufficio dei fatti», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Nel corso della procedura l’Ufficio procede d’ufficio all’esame dei fatti. Tuttavia, in procedure concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’esame si limita agli argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti».

6        Il considerando 21 del regolamento n. 2015/2424 così recita:

«(21)      (...) Inoltre, il presente regolamento dovrebbe essere applicato in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione».

7        Il considerando 21 del regolamento 2017/1001 riprende in termini identici la formulazione del considerando 21 del regolamento 2015/2424 di cui al punto precedente.

 Fatti e decisione controversa

8        Il 21 aprile 2015 la ricorrente, Constantin Film Produktion, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea presso l’EUIPO ai sensi del regolamento n. 207/2009.

9        Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo «Fack Ju Göhte», che è, peraltro, il titolo di una commedia cinematografica tedesca prodotta dalla ricorrente che ha rappresentato uno dei maggiori successi cinematografici del 2013 in Germania. Due sequel di questa commedia cinematografica sono stati prodotti dalla ricorrente, che sono usciti nelle sale con i titoli «Fack Ju Göhte 2» e «Fack Ju Göhte 3» rispettivamente nel 2015 e nel 2017.

10      I prodotti e i servizi per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 3, 9, 14, 16, 18, 21, 25, 28, 30, 32, 33, 38 e 41 ai sensi dell’Accordo di Nizza, del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 3: «Preparati per la sbianca e altre sostanze per il bucato; preparati per pulire, lucidare, sgrassare e abradere; saponi; profumeria, olii essenziali, cosmetici, lozioni per capelli; dentifrici»;

–        classe 9: «Supporti di dati registrati di ogni genere; pubblicazioni elettroniche (scaricabili), ovvero dati audio, video, testi, immagini e grafici in formato digitale; apparecchi e strumenti fotografici, cinematografici e didattici; apparecchi per la registrazione, la trasmissione, la riproduzione del suono o delle immagini; (...)»;

–        classe 14: «Gioielleria, bigiotteria, pietre preziose; (...);»;

–        classe 16: «Stampati; fotografie (stampate); cartoleria; articoli per ufficio (...)»;

–        classe 18: «Bauli e valigie; ombrelli e ombrelloni; bastoni da passeggio; bagagli; (...)»;

–        classe 21: «Vetreria, porcellana e maiolica non incluse in altre classi, candelabri»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria»;

–        classe 28: «Giochi, giocattoli; articoli per la ginnastica e lo sport non compresi in altre classi; decorazioni per alberi di Natale»;

–        classe 30: «Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè; riso; tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria e confetteria; gelati commestibili; zucchero, miele, melassa; lievito, polvere per fare lievitare (...)»;

–        classe 32: «Birre; acque minerali e gassose e altre bevande analcoliche; bevande a base di frutta e succhi di frutta; (...)»;

–        classe 33: «Bevande alcoliche (tranne le birre)»;

–        classe 38: «Servizi di telecomunicazione; fornitura di chatroom e di forum via internet, trasmissione dati via internet (...)»;

–        classe 41: «Educazione; formazione; intrattenimento, in particolare intrattenimento televisivo e cinematografico, montaggio di programmi radiofonici e televisivi, produzione radiofonica, televisiva e cinematografica, affitto di film cinematografici, presentazione di film in sale cinematografiche; attività sportive e culturali».

11      Con decisione datata 25 settembre 2015 l’esaminatore ha respinto la domanda di registrazione sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 2, dello stesso regolamento, per i prodotti e i servizi elencati al punto precedente.

12      Il 5 novembre 2015 la ricorrente ha presentato ricorso dinanzi all’EUIPO, ai sensi degli articoli da 55 a 64 del regolamento n. 207/2009, avverso la decisione dell’esaminatore.

13      Detto ricorso è stato respinto dalla quinta commissione di ricorso dell’EUIPO mediante la decisione controversa.

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

14      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 febbraio 2017 la ricorrente ha proposto un ricorso volto all’annullamento della decisione controversa.

15      A sostegno del proprio ricorso la ricorrente ha dedotto due motivi, il primo vertente sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f) del regolamento n. 207/2009 e il secondo vertente sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento.

16      Con la sentenza impugnata il Tribunale ha rigettato entrambi i motivi e, di conseguenza, il ricorso nel suo insieme.

 Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

17      La ricorrente chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata, e

–        condannare l’EUIPO alle spese.

18      L’EUIPO chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione e

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Sull’impugnazione

19      A sostegno della sua impugnazione la ricorrente deduce tre motivi, il primo relativo alla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f) del regolamento n. 207/2009, il secondo relativo alla violazione del principio della parità di trattamento e il terzo relativo alla violazione dei principi di certezza del diritto e di buona amministrazione.

20      Occorre esaminare, in primis, il motivo attinente alla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f) del regolamento n. 207/2009.

 Argomenti delle parti

21      Con il suo primo motivo la ricorrente contesta, in sostanza, al Tribunale di aver commesso, nell’ambito del suo esame della questione se il marchio richiesto si ponga in contrasto con il buon costume, vari errori nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009. Tale motivo si articola in quattro parti.

22      In primo luogo, secondo la ricorrente, il Tribunale ha violato il principio dell’esame individuale, in quanto non avrebbe esaminato il marchio richiesto, vale a dire «Fack Ju Göhte», bensì il segno «Fuck you, Goethe».

23      La ricorrente sostiene inoltre che le espressioni «Fuck» e «Fuck you» hanno perso il loro carattere volgare a causa delle evoluzioni della lingua nella società. Non vi sarebbe un diniego generale di registrare come marchi espressioni che includano questi termini, come sarebbe dimostrato dalla registrazione di segni come «Fucking Hell» et «MACAFUCKER» come marchi dell’Unione europea.

24      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che il Tribunale abbia applicato in modo eccessivamente ampio l’impedimento assoluto alla registrazione attinente al buon costume, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009, applicando le valutazioni relative ai termini «Fuck» e «Fuck you» al marchio richiesto nella sua interezza e ritenendo che il segno denominativo «Fack Ju Göhte» sia dotato di una volgarità intrinseca che l’elemento «Göhte» non è in grado di attenuare.

25      La ricorrente ritiene, in particolare, che il Tribunale non abbia dimostrato la cautela e la sensibilità necessarie nell’applicare tale impedimento alla registrazione il quale, riguardando valori soggettivi, dovrebbe essere applicato in modo restrittivo e quanto più obiettivamente possibile al fine di evitare il rischio che possano essere esclusi dalla registrazione taluni segni per il solo motivo che essi non corrispondono al gusto personale di chi compie l’esame. Pertanto, il Tribunale avrebbe dovuto tener conto del fatto che l’impressione globale del marchio richiesto, in considerazione della trascrizione fonetica in lingua tedesca dell’espressione «Fuck You», combinata con l’elemento «Göhte», inteso come designante materie scolastiche impopolari, è di natura innocua, infantile e giocosa, che esprime la frustrazione scolastica.

26      In terzo luogo, secondo la ricorrente, il Tribunale ha erroneamente ritenuto che non sia stato dimostrato che il pubblico germanofono di riferimento non sia turbato dal marchio richiesto in relazione ai prodotti e ai servizi oggetto della domanda. A tal proposito, la ricorrente afferma che il Tribunale ha applicato in maniera erronea le norme relative all’onere della prova. Inoltre, il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che la percezione del marchio richiesto da parte del pubblico di riferimento non potrebbe essere determinata in modo astratto e avulso da qualsiasi base empirica, sulla sola base di valori soggettivi, ma dovrebbe essere valutata tenendo conto degli elementi che forniscono indizi quanto alla percezione effettiva da parte di tale pubblico. Orbene, proprio il grande successo del film omonimo nonché l’utilizzo di tale film da parte del Goethe Institut (Germania) a fini pedagogici dimostrerebbero che il grande pubblico germanofono, che rappresenta il pubblico di riferimento nel caso di specie, comprende il carattere umoristico del marchio richiesto e non lo considera in alcun modo scioccante o volgare.

27      In quarto luogo, in ragione delle sue valutazioni errate, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nella ponderazione, per un verso, dell’interesse della ricorrente alla registrazione del marchio richiesto, e per altro verso, dell’interesse del pubblico a non doversi confrontare con marchi contrari al buon costume e quindi con marchi inquietanti, grossolani, ingiuriosi o addirittura minacciosi.

28      Ad avviso dell’EUIPO il primo motivo dev’essere respinto.

29      In primo luogo, l’EUIPO ritiene che la tesi della ricorrente secondo cui il Tribunale avrebbe esaminato il segno «Fuck you, Goethe» e non invece il marchio richiesto, ovvero Fack Ju Göhte, si basi su un’interpretazione erronea della sentenza impugnata. I punti 17, 18 e 20 di tale sentenza andrebbero letti alla luce della premessa esposta al punto 16 della stessa, secondo cui il consumatore «percepisce normalmente un marchio nel suo insieme», il che non gli impedisce di individuare «elementi denominativi che gli suggeriscano un significato concreto o assomiglino a parole a lui note».

30      In secondo luogo, l’argomento della ricorrente secondo cui le espressioni «Fuck» et «Fuck you» avrebbero perso il loro significato sessuale originale, di modo che non sarebbero più percepite come volgari e scioccanti, sarebbe irricevibile in quanto riguarderebbe una constatazione di fatto. In ogni caso, tale argomento non sarebbe fondato poiché il Tribunale avrebbe constatato la trivialità intrinseca dell’espressione «Fuck you» anche nell’ipotesi in cui, a seguito dell’evoluzione della lingua, tale espressione non fosse più intesa nella sua connotazione sessuale.

31      In terzo luogo, l’EUIPO afferma che il Tribunale, al punto 18 della sentenza impugnata, ha espressamente tenuto conto della modifica semantica dell’espressione «Fuck you», spiegando che essa può essere utilizzata anche per esprimere rabbia, sfiducia o disprezzo nei confronti di una persona.

32      In quarto luogo, l’EUIPO ritiene infondata l’argomentazione della ricorrente secondo cui il Tribunale avrebbe interpretato erroneamente l’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009 ritenendo che il grande successo del film Fack Ju Göhte non significhi che il pubblico di riferimento non sarebbe turbato dal marchio richiesto. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il Tribunale non avrebbe applicato un criterio puramente soggettivo nel procedere all’esame sotto il profilo del buon costume, ma avrebbe analizzato esplicitamente, ai punti da 28 a 30 della sentenza impugnata, la possibilità che il marchio richiesto non sia volgare, ma che possa essere inteso in senso «scherzoso».

33      L’EUIPO sostiene, in questo contesto, che lo scopo del diritto di esclusività concesso da un marchio sarebbe quello di garantire una concorrenza non falsata e non invece la libertà di espressione, mentre il titolo di un film servirebbe a distinguere un’opera artistica da un’altra e a designarne il contenuto, esprimendo nel contempo la libertà di espressione e la libertà artistica. Il consumatore medio sarebbe consapevole di questa differenza e non percepirebbe quindi necessariamente i marchi e i titoli di film in maniera analoga. Pertanto, non sarebbe possibile presumere che il marchio richiesto sia percepito come «scherzoso» neppure dai consumatori cui sia noto il film in questione. Inoltre, i consumatori di riferimento nella fattispecie sarebbero molto più numerosi di quelli che conoscono il film in questione e che hanno quindi familiarità con il «gergo giovanile».

34      In quinto luogo, l’EUIPO sostiene che il Tribunale ha correttamente concluso che, se il marchio richiesto consiste in un termine che è percepito dal pubblico di riferimento come intrinsecamente volgare e quindi scioccante, si tratta di un «marchio manifestamente osceno» e contrario al «buon costume».

35      In sesto luogo, l’EUIPO ritiene che la ricorrente abbia torto nel contestare al Tribunale di aver invertito illegittimamente l’onere della prova, al punto 30 della sentenza impugnata, ritenendo che non fosse stato dimostrato che il pubblico di riferimento riconosca nel marchio richiesto il titolo del film in questione e quindi uno «scherzo». Tale conclusione dovrebbe essere letta nel suo contesto. Se è vero che, ai sensi degli articoli 75, paragrafo 1, e 76, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, gli impedimenti assoluti alla registrazione devono essere esaminati d’ufficio dall’EUIPO e la loro esistenza deve essere motivata in modo coerente, resterebbe il fatto che, quando l’EUIPO o il Tribunale, cui si applicherebbero gli stessi requisiti di legge nel respingere un ricorso contro il rigetto di una domanda di marchio da parte dell’EUIPO, confrontano il richiedente con fatti notori o con una valutazione basata sull’inidoneità alla registrazione del marchio richiesto, spetterebbe al richiedente confutarli mediante informazioni concrete e fondate. Orbene, nella sentenza impugnata il Tribunale avrebbe rispettato tali requisiti di legge.

36      Infine, in settimo luogo, l’EUIPO ritiene infondato l’argomento della ricorrente secondo cui il Tribunale non avrebbe effettuato una corretta ponderazione tra gli interessi del richiedente e quelli del pubblico.

 Giudizio della Corte

37      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009, sono esclusi dalla registrazione i marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume. Inoltre, dall’articolo 7, paragrafo 2, di detto regolamento, risulta che gli impedimenti assoluti di cui all’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo si applicano anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte dell’Unione.

38      Come constatato dal Tribunale al punto 24 della sentenza impugnata, senza essere contraddetto dalla ricorrente, l’EUIPO ha rifiutato, sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009, di registrare il segno denominativo «Fack Ju Göhte», non per un eventuale contrasto di tale segno con l’ordine pubblico, bensì per il solo motivo che esso sarebbe contrario al buon costume. È quindi solo alla luce di quest’ultimo impedimento assoluto alla registrazione che si deve esaminare il primo motivo di impugnazione.

39      Per quanto riguarda tale impedimento, occorre rilevare che la nozione di «buon costume», non essendo definita dal regolamento n. 207/2009, deve essere interpretata alla luce del suo significato abituale e del contesto in cui essa è generalmente utilizzata. Orbene, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 77 delle sue conclusioni, tale concetto si riferisce, nel suo senso abituale, ai valori e alle norme morali fondamentali a cui una società aderisce in un dato momento. Tali valori e tali norme, che possono evolvere nel tempo e variare nello spazio, devono essere determinati in funzione del consenso sociale prevalente in quella società al momento della valutazione. Ai fini di tale determinazione occorre tenere in debito conto il contesto sociale, ivi incluse, se del caso, le diversità culturali, religiose o filosofiche che lo caratterizzano, al fine di valutare in modo oggettivo ciò che la società stessa considera, in quel momento, moralmente accettabile.

40      D’altro canto, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009, l’esame volto a stabilire se un segno di cui è richiesta la registrazione come marchio dell’Unione europea, sia contrario al buon costume, richiede un’analisi di tutti gli elementi specifici del caso per stabilire in che modo il pubblico di riferimento percepirebbe un segno siffatto qualora esso fosse utilizzato come marchio per i prodotti o i servizi che sono oggetto della domanda.

41      A tal proposito, per ricadere nell’ambito di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f) del regolamento n. 207/2009 non è sufficiente che il segno in questione sia considerato di cattivo gusto. Al momento dell’esame quest’ultimo deve essere percepito dal pubblico di riferimento come contrastante con i valori e con le norme morali fondamentali della società, così come esistenti in quel momento.

42      Per stabilire se ciò si verifichi, è necessario basarsi sulla percezione di un soggetto ragionevole che abbia soglie medie di sensibilità e di tolleranza, tenendo conto del contesto in cui è possibile venire a contatto con il marchio e, se del caso, delle circostanze peculiari della parte dell’Unione interessata. A tal fine, sono pertinenti elementi quali i testi legislativi e le prassi amministrative, l’opinione pubblica e, eventualmente, il modo in cui il pubblico di riferimento ha reagito in passato a questo segno o a segni simili, nonché qualsiasi altro elemento che possa consentire di valutare la percezione del pubblico stesso.

43      L’esame che dev’essere svolto in tal senso non può limitarsi ad una valutazione astratta del marchio richiesto, o di alcuni suoi componenti, ma va accertato, in particolare qualora il richiedente abbia fatto valere elementi tali da far sorgere dubbi sul fatto che tale marchio sia percepito dal pubblico di riferimento come contrario al buon costume, che l’utilizzo del marchio stesso, nel contesto sociale concreto e attuale, sarebbe effettivamente percepito da tale pubblico come contrario ai valori e alle norme morali fondamentali della società.

44      È alla luce di tali principi che deve essere esaminata la fondatezza del primo motivo, vertente su un’interpretazione e applicazione erronee, da parte del Tribunale, dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009.

45      Nel caso di specie è pacifico, come il Tribunale ha rilevato ai punti 14 e 17 della sentenza impugnata, confermando al riguardo la valutazione effettuata dalla commissione di ricorso, che il pubblico di riferimento è costituito dal grande pubblico germanofono dell’Unione, vale a dire, segnatamente, quello di Germania e d’Austria.

46      In relazione alla percezione da parte tale pubblico del marchio richiesto, il Tribunale ha rilevato, al punto 18 della sentenza impugnata, che tale pubblico assimilerà detto marchio all’espressione inglese «Fuck you», cui è aggiunto il cognome Goethe, il tutto redatto con una diversa ortografia risultante da una trascrizione fonetica in lingua tedesca di tali termini. Se, nel suo significato originale, l’espressione inglese «Fuck you» aveva una connotazione sessuale ed era caratterizzata da volgarità, essa sarebbe utilizzata anche in un contesto diverso per esprimere rabbia, sfiducia o disprezzo nei confronti di una persona. Tuttavia, anche in una simile ipotesi, questa espressione resterebbe comunque intrinsecamente volgare, e l’aggiunta dell’elemento «Göhte» alla fine del segno di cui trattasi, pur consentendo di identificare a chi sono «rivolti» i termini che compongono l’inizio del segno stesso, non sarebbe idonea ad attenuarne la volgarità.

47      Al punto 19 della sentenza impugnata il Tribunale ha aggiunto che, contrariamente a quanto suggerito dalla ricorrente, il fatto che il film Fack Ju Göhte sia stato visto da diversi milioni di persone al momento della sua uscita nelle sale cinematografiche non significa che il pubblico di riferimento non sarebbe turbato dal marchio richiesto.

48      Al punto 20 della sentenza impugnata esso ha concluso che, in tali circostanze, si doveva affermare che la commissione di ricorso aveva correttamente ritenuto che l’espressione inglese «Fuck you» e, pertanto, il marchio richiesto, nel suo insieme, fossero intrinsecamente volgari e idonei a turbare il pubblico di riferimento. Pertanto, essa ne avrebbe giustamente tratto la conseguenza che il marchio richiesto doveva essere escluso dalla registrazione sulla base all’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009.

49      A tal proposito. si deve constatare che l’esame effettuato dal Tribunale non soddisfa i requisiti imposti dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009, illustrati ai punti da 39 a 43 della presente sentenza.

50      Infatti, tenuto conto del contesto sociale e degli elementi invocati a tal proposito dalla ricorrente, in particolare del fatto che il segno denominativo «Fack Ju Göhte» corrisponde, come rilevato dal Tribunale ai punti 2 e 19 della sentenza impugnata, al titolo di una commedia cinematografica tedesca prodotta dalla ricorrente, che è stata uno dei più grandi successi cinematografici del 2013 in Germania e che è stata vista da diversi milioni di persone al momento della sua uscita nelle sale, il Tribunale, al fine di dimostrare adeguatamente che il marchio richiesto è percepito dal grande pubblico germanofono come contrario al buon costume, non poteva limitarsi ad una valutazione astratta di tale marchio e dell’espressione inglese alla quale la prima parte di esso è assimilata dal pubblico stesso.

51      Pertanto, il fatto che sia tale marchio, di per se stesso, a dover essere esaminato, non significa che, nel corso di tale esame, sia possibile prescindere da elementi contestuali in grado di far luce sul modo in cui il pubblico di riferimento percepisce il marchio stesso.

52      Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 94 delle sue conclusioni, tra questi elementi figurano il grande successo della citata commedia omonima presso il grande pubblico germanofono e il fatto che il suo titolo non sembra aver dato adito a controversie, il fatto che sia stato autorizzato l’accesso alla commedia stessa da parte del pubblico giovane e che il Goethe Institut, che è l’istituto culturale della Repubblica federale di Germania, attivo a livello mondiale e che ha tra i suoi compiti quello di promuovere la conoscenza della lingua tedesca, ne faccia uso a fini pedagogici.

53      Poiché tali elementi sono, a priori, idonei a costituire un indizio del fatto che, nonostante l’assimilazione della prima parte del marchio richiesto all’espressione inglese «Fuck you», il grande pubblico germanofono non percepisce il segno denominativo «Fack Ju Göhte» come moralmente inaccettabile, il Tribunale, per dichiarare tale segno incompatibile con il buon costume, non poteva basarsi esclusivamente sul carattere intrinsecamente volgare di quell’espressione inglese senza esaminare i citati elementi e senza esporre in termini concludenti le ragioni per cui ritiene, ciononostante, che il grande pubblico germanofono percepisca quel segno come contrario ai valori e alle norme morali fondamentali della società nel momento in cui esso viene utilizzato come marchio.

54      In particolare, non sono sufficienti a soddisfare tali requisiti di esame e di motivazione mere affermazioni come quella di cui al punto 19 della sentenza impugnata, riprodotta al punto 47 della presente sentenza, o quella contenuta al punto 30 della sentenza impugnata, secondo cui non sarebbe stato dimostrato che, nell’ambito delle attività nel corso delle quali il pubblico di riferimento può trovarsi di fronte al marchio richiesto, tale pubblico riconosca in quel marchio il titolo di un film di successo e percepisca quel marchio come «scherzoso».

55      Per quanto riguarda, in particolare, quest’ultima affermazione, è importante rilevare, per un verso, che il Tribunale era tenuto, nell’ambito della sentenza impugnata, a verificare che l’EUIPO non avesse violato l’articolo 76, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, il quale, in un procedimento relativo a impedimenti assoluti alla registrazione, impone a quest’ultimo di procedere d’ufficio all’esame dei fatti e di accertare debitamente la presenza di simili impedimenti. Per altro verso, la necessità di esaminare elementi contestuali come quelli indicati al punto 52 della presente sentenza ai fini della valutazione concreta del modo in cui il pubblico di riferimento percepisce il marchio richiesto non è in alcun modo subordinata alla condizione che sia accertato che tale pubblico riconosca in tale marchio il titolo dell’omonima commedia o che percepisca tale marchio come «scherzoso», né, del resto, l’assenza di tali due elementi consente di dimostrare l’esistenza di un oltraggio al buon costume.

56      Infine, si deve aggiungere che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale al punto 29 della sentenza impugnata, vale a dire che «nel settore dell’arte, della cultura e della letteratura esiste una costante preoccupazione di preservare la libertà di espressione che non esiste nel settore dei marchi», la libertà di espressione, sancita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere tenuta in considerazione, come riconosciuto dall’EUIPO in udienza e come esposto dall’avvocato generale ai paragrafi da 47 a 57 delle sue conclusioni, in sede di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009. Tale conclusione è inoltre corroborata sia dal considerando 21 del regolamento n. 2015/2424, che ha modificato il regolamento n. 207/2009, sia dal considerando 21 del regolamento n. 2017/1001, che sottolineano espressamente la necessità di applicare tali regolamenti in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione.

57      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009, effettuate dal Tribunale nella sentenza impugnata sono viziate da errori di diritto, che sono di per sé sufficienti ad accogliere il primo motivo di impugnazione, senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti dedotti dalla ricorrente a sostegno di tale motivo.

58      Di conseguenza, la sentenza impugnata dev’essere annullata, senza che sia necessario esaminare il secondo e il terzo motivo d’impugnazione.

 Sul ricorso dinanzi al Tribunale

59      Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando l’impugnazione è accolta, la Corte può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta.

60      Ciò si verifica nel caso di specie.

61      Con il suo primo motivo la ricorrente ha affermato, dinanzi al Tribunale, che la decisione controversa viola l’articolo 7, paragrafo 1, lettera f) del regolamento n. 207/2009.

62      Orbene, occorre rilevare che tale decisione, e in particolare l’esame effettuato ai punti da 21 a 41 della stessa, relativo alla percezione del marchio richiesto da parte del pubblico di riferimento, presenta, in gran parte, gli stessi errori che viziano la sentenza impugnata.

63      In tal senso, dopo aver constatato, in sostanza, ai punti da 21a 23 della decisione controversa, che il pubblico di riferimento riconosce nella prima parte del marchio richiesto l’espressione inglese «Fuck you», la commissione di ricorso ha rilevato, ai punti da 24 a 28 di tale decisione, che tale espressione è volgare e scioccante. Essa ha successivamente ritenuto, ai punti da 29 a 33 di tale decisione, che l’aggiunta dell’elemento «Göhte» non è in grado di alterare sostanzialmente la percezione dell’insulto «Fack ju», sulla base di una valutazione ampiamente astratta dell’espressione inglese «Fuck you» e senza tener conto degli elementi contestuali menzionati al punto 52 della presente sentenza.

64      Con riferimento a tali elementi, la commissione di ricorso ha ammesso, al punto 36 della decisione impugnata, che dai documenti prodotti dalla ricorrente si può indubbiamente dedurre che la commedia Fack ju Göhte, vista da quasi 7,4 milioni di spettatori in Germania, e la commedia Fack ju Göhte 2 si pongono tra i più grandi successi del cinema tedesco in termini di numero di spettatori e hanno avuto ampio successo anche in Austria. La commissione di ricorso ha ritenuto quindi possibile presumere che il pubblico generico germanofono di riferimento abbia, quantomeno, già sentito parlare di queste commedie. Tuttavia, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 37 di tale decisione, che non fosse possibile dedurre dall’ampio successo di tali commedie presso il pubblico di riferimento che quest’ultimo non sia turbato dal loro titolo, in quanto il titolo stesso non sarebbe descrittivo del contenuto di tali commedie e in quanto Goethe, in particolare, non vi ha alcun ruolo. Al contrario, l’uso dell’insulto «Fack ju» come titolo di un film non direbbe nulla quanto alla sua accettazione sociale.

65      Tuttavia, per un verso, non è assolutamente necessario che il titolo di un film sia descrittivo del suo contenuto per poter rappresentare un elemento contestuale rilevante nel valutare se il pubblico di riferimento percepisca quel titolo e un segno denominativo omonimo come contrari al buon costume.

66      Per altro verso, sebbene il successo di un film non dimostri automaticamente l’accettazione sociale del suo titolo e di un segno denominativo omonimo, esso rappresenta quantomeno un indizio di una siffatta accettazione, che si dovrà valutare alla luce di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, al fine di dimostrare in termini concreti la percezione di tale segno in caso di un suo utilizzo come marchio.

67      A questo proposito, si deve rilevare che, nel caso in esame, non solo le commedie Fack ju Göhte e Fack ju Göhte 2, che peraltro hanno avuto un sequel nel 2017, hanno avuto, proprio presso il pubblico di riferimento, un successo tale che la commissione di ricorso ha addirittura ritenuto di poter presumere che i consumatori facenti parte di quel pubblico abbiano almeno già sentito parlare di quelle commedie, ma, oltretutto e nonostante la forte visibilità che ha accompagnato tale successo, il titolo delle stesse non sembra aver suscitato alcuna controversia in seno al pubblico medesimo. Peraltro, l’accesso del pubblico giovane a tali commedie, che si svolgono in ambiente scolastico, era stato autorizzato con il titolo citato e, come risulta dal punto 39 della decisione controversa, esse hanno ricevuto fondi da varie organizzazioni e sono state utilizzate dal Goethe Institut a fini pedagogici.

68      Si deve quindi rilevare che tutti questi elementi contestuali indicano in modo concorde che, nonostante l’assimilazione dei termini «Fack ju» all’espressione inglese «Fuck you», il titolo delle commedie citate non è stato percepito come moralmente inaccettabile dal grande pubblico germanofono. A questo proposito va inoltre rilevato che la percezione della citata espressione inglese da parte del pubblico germanofono, ancorché ben nota a quel pubblico, che ne conosce il significato, non è necessariamente identica alla percezione che ne ha il pubblico anglofono, poiché la sensibilità nella lingua madre è potenzialmente maggiore rispetto a quanto avviene in una lingua straniera. Per questo stesso motivo, il pubblico germanofono non percepisce neppure, necessariamente, la citata espressione inglese allo stesso modo in cui ne percepirebbe la traduzione in tedesco. Inoltre, il titolo delle commedie in questione e, quindi, il marchio richiesto non consistono in tale espressione inglese di per se stessa, bensì nella sua trascrizione fonetica in lingua tedesca, accompagnata dall’elemento «Göhte».

69      Ciò premesso, e in considerazione del fatto che non sono stati forniti elementi concreti per spiegare in modo plausibile perché il grande pubblico germanofono percepirà il segno denominativo «Fack Ju Göhte» come contrario ai valori e alle norme morali fondamentali della società quando esso sia usato come marchio, benché lo stesso pubblico non sembri aver considerato il titolo delle commedie omonime come contrario al buon costume, si deve constatare che l’EUIPO non ha adeguatamente dimostrato che l’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009 osti alla registrazione del marchio richiesto.

70      Va inoltre aggiunto che, contrariamente a quanto suggerito dalla commissione di ricorso al punto 38 della decisione controversa, la rilevanza del successo delle commedie omonime, quale elemento contestuale, non è assolutamente smentita dal fatto che l’impedimento assoluto alla registrazione di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009 non possa essere superato dalla prova del carattere distintivo acquistato in seguito all’uso, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, di detto regolamento, del marchio richiesto. Infatti, il successo delle commedie omonime presso il pubblico di riferimento e, in particolare, l’assenza di controversie per quanto concerne il loro titolo devono essere presi in considerazione per stabilire se il pubblico di riferimento percepisca il marchio richiesto come contrario al buon costume e quindi per chiarire se tale impedimento assoluto alla registrazione ne precluda la registrazione, e non al fine di escludere tale impedimento dopo che ne sia stata accertata l’applicabilità al caso di specie.

71      Da quanto precede emerge che la commissione di ricorso ha effettuato, nella fattispecie, un’interpretazione e un’applicazione erronea dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009 e che la decisione impugnata deve essere pertanto annullata.

 Sulle spese

72      Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la Corte stessa statuisce definitivamente sulla controversia, quest’ultima statuisce sulle spese.

73      Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, reso applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

74      Poiché l’EUIPO è rimasto soccombente, occorre condannarlo alle spese relative sia al procedimento di primo grado nella causa T‑69/17, sia a quello d’impugnazione, conformemente alla domanda della ricorrente.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 24 gennaio 2018, Constantin Film Produktion/EUIPO (Fack Ju Göhte) (T69/17, non pubblicata, EU:T:2018:27), è annullata.

2)      La decisione della quinta commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale del 1° dicembre 2016 (procedimento R 2205/20155), relativa ad una domanda di registrazione del segno denominativo «Fack Ju Göhte» come marchio dell’Unione europea, è annullata.

3)      L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dalla Constantin Film Produktion GmbH, relative sia al procedimento di primo grado nella causa T69/17, sia a quello d’impugnazione.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.