Language of document : ECLI:EU:C:2010:147

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

18 marzo 2010 (*)

«Impugnazione – Dumping – Regolamento (CE) n. 2320/97 che istituisce dazi antidumping sulle importazioni di alcuni tipi di tubi senza saldatura – Responsabilità extracontrattuale – Danno – Nesso causale»

Nel procedimento C‑419/08 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposta il 23 settembre 2008,

Trubowest Handel GmbH, con sede in Colonia (Germania), rappresentata dagli avv.ti K. Adamantopoulos e E. Petritsi, dikigoroi,

Viktor Makarov, residente in Colonia, rappresentato dagli avv.ti K. Adamantopoulos e E. Petritsi, dikigoroi,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. J.‑P. Hix, in qualità di agente, assistito dagli avv.ti G. Berrisch e G. Wolf, Rechtsanwälte,

Commissione europea, rappresentata dai sigg. N. Khan e H. van Vliet, in qualità di agenti,

convenuti in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente della Terza Sezione, facente funzione di presidente della Quarta Sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász, G. Arestis (relatore) e J. Malenovský, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 settembre 2009,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 ottobre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il loro ricorso d’impugnazione, la Trubowest Handel GmbH (in prosieguo: la «Trubowest») ed il sig. Makarov chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 9 luglio 2008, causa T‑429/04, Trubowest Handel e Makarov/Consiglio e Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale il Tribunale ha respinto il loro ricorso per risarcimento danni ai sensi dell’art. 288 CE, relativo ai danni da questi asseritamente subiti in seguito all’adozione del regolamento (CE) del Consiglio 17 novembre 1997, n. 2320, che istituisce dazi antidumping definitivi sulle importazioni di alcuni tipi di tubi senza saldatura, di ferro o di acciai non legati, originari dell’Ungheria, della Polonia, della Russia, della Repubblica ceca, della Romania e della Repubblica slovacca, che abroga il regolamento (CEE) n. 1189/93 e chiude il procedimento nei confronti di tali importazioni originarie della Repubblica di Croazia (GU L 322, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento definitivo»).

 Contesto normativo

2        La normativa comunitaria di base nel settore delle dogane è costituita dal regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «CDC»). L’art. 236 prevede quanto segue:

«1. Si procede al rimborso dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento del pagamento il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

Si procede allo sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento della contabilizzazione il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

Non vengono accordati né rimborso né sgravio qualora i fatti che hanno dato luogo al pagamento o alla contabilizzazione di un importo che non era legalmente dovuto risultano da una frode dell’interessato.

2. Il rimborso o lo sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione viene concesso, su richiesta presentata all’ufficio doganale interessato, entro tre anni dalla data della notifica al debitore dei dazi stessi.

Questo termine viene prorogato quando l’interessato fornisce la prova che gli è stato impossibile presentare la domanda nel termine stabilito per caso fortuito o di forza maggiore.

L’autorità doganale procede d’ufficio al rimborso o allo sgravio dei dazi di cui sopra quando constati, durante detto termine, l’esistenza di una delle situazioni descritte nel paragrafo 1, primo e secondo comma».

3        Le disposizioni che disciplinano l’applicazione di provvedimenti antidumping da parte della Comunità europea sono contenute nel regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento base»).

 Fatti

4        Il Tribunale ha esposto i fatti della controversia ai punti 1‑21 della sentenza impugnata nei seguenti termini:

«1      Con decisione non pubblicata del 25 novembre 1994 (caso IV/35.304), adottata specificamente sulla base dell’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), la Commissione decideva di avviare un’indagine relativamente all’esistenza eventuale di pratiche anticoncorrenziali riguardanti i tubi di acciaio al carbonio, che potevano essere in contrasto con l’art. 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo [del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3)], nonché con l’art. 81 CE.

2      In seguito a tale indagine, la Commissione decideva, il 20 gennaio 1999, di avviare un procedimento amministrativo relativo al caso IV/E-1/35.860-B – Tubi d’acciaio senza saldatura, in esito al quale adottava, in data 8 dicembre 1999, la decisione 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’articolo 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860-B – Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU L 140, pag. 1; in prosieguo: la “decisione sull’intesa”).

3      Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della decisione sull’intesa, le otto imprese destinatarie della medesima “hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, [n.] 1, (…) CE, partecipando (…) ad un accordo che prevedeva fra l’altro la protezione dei loro rispettivi mercati nazionali dei tubi [Oil Country Tubular Goods] filettati standard e [dei tubi da trasporto ‘project’] senza saldatura”. Nell’art. 1, n. 2, della decisione sull’intesa si afferma che l’infrazione è durata dal 1990 al 1995 per Mannesmannröhren-Werke AG, Vallourec SA, Dalmine SpA, Sumitomo Metal Industries Ltd, Nippon Steel Corp., Kawasaki Steel Corp. e NKK Corp. Per British Steel Ltd, si precisa che l’infrazione è durata dal 1990 al febbraio 1994. In conseguenza di tale infrazione alle imprese suindicate sono state inflitte ammende il cui importo variava, a seconda dei casi, da EUR 8,1 milioni a EUR 13,5 milioni.

4      La decisione sull’intesa ha formato oggetto del comunicato stampa della Commissione 8 dicembre 1999, n. IP/99/957, ed è stato pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 6 giugno 2003.

5      L’8 luglio 2004, con la sentenza JFE Engineering e a./Commissione nelle cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00 (Racc. pag. II‑2501), il Tribunale, da un lato, ha annullato l’art. 1, n. 2, della decisione sull’intesa, in quanto la Commissione aveva erroneamente constatato che quattro delle imprese interessate da detto articolo avevano partecipato all’intesa prima del 1° gennaio 1991 e oltre il 30 giugno 1994, e, dall’altro, ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione a dette imprese.

6      Peraltro, in seguito ad una denuncia presentata il 19 luglio 1996 dal comitato per la difesa dell’industria dei tubi d’acciaio senza saldatura dell’Unione europea, la Commissione, in applicazione del regolamento (…) n. 384/96 (…), modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 2 dicembre 1996, n. 2331 (GU L 317, pag. 1), pubblicava, il 31 agosto 1996, un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di alcuni tipi di tubi senza saldatura, di ferro o di acciai non legati, originari della Russia, della Repubblica ceca, della Romania e della Slovacchia (GU C 253, pag. 26).

7      Il 29 maggio 1997, la Commissione adottava il regolamento (CE) n. 981/97, che impone dazi antidumping provvisori sulle importazioni di alcuni tipi di tubi senza saldatura, di ferro o di acciai non legati, originari della Russia, della Repubblica ceca, della Romania e della Repubblica slovacca (GU L 141, pag. 36).

8      In data 17 novembre 1997 il Consiglio adottava il regolamento [definitivo].

9      Il 16 luglio 2004 il Consiglio adottava il regolamento (CE) n. 1322/2004 che modifica il regolamento definitivo (GU L 246, pag. 10). Ai sensi dell’art. 1 di tale regolamento, al regolamento definitivo è aggiunto un art. 8, ai sensi del quale l’art. 1 del regolamento definitivo, che istituisce dazi antidumping sulle importazioni da esso considerate, non è più applicabile a decorrere dal 21 luglio 2004.

10      La Trubowest (…) è una società di diritto tedesco che importa nella Comunità alcuni tipi di tubi senza saldatura provenienti dalla Russia. La Trubowest, di cui il sig. (…) Makarov è amministratore dal 1997, ha iniziato le sue attività d’importazione di detti prodotti nel gennaio 1999 e le ha cessate nell’ottobre 1999. (…)

11      Peraltro, dal 1992 il sig. Makarov era anche amministratore della società Truboimpex Handel GmbH (in prosieguo: la “Truboimpex”), la cui attività commerciale consisteva nell’importare, in particolare in proprio nome, all’interno della Comunità, a partire dal 1996, alcuni tipi di tubi senza saldatura provenienti dalla Russia.

12      Il 15 ottobre 1999, l’Amtsgericht Kleve (giudice di primo grado di Kleve, Germania) ha emesso un mandato di arresto, in particolare nei confronti del sig. Makarov, in quanto “fortemente sospettato di aver fornito alle autorità tributarie di Colonia e di Emmerich, nel corso degli anni dal 1997 al 1999, dati inesatti ed incompleti riguardanti importanti operazioni fiscali, in quanto tali dichiarazioni costituivano 36 distinte infrazioni, e di aver così ridotto le imposte al fine di ottenere per [sé] e per altre persone vantaggi fiscali ingiustificati, il che ha consentito di eludere gran parte dei dazi all’importazione”. Inoltre, nel mandato di arresto si asseriva che, “[i]n tale occasione, i [tubi provenienti dalla Russia importati dalla Truboimpex e dalla Trubowest] costituivano l’oggetto di false dichiarazioni al fine di aggirare le disposizioni [del regolamento definitivo]”.

13      In forza di tale mandato di arresto, il sig. Makarov è stato posto in regime detentivo dal 27 ottobre al 12 novembre 1999. A decorrere dalla sua liberazione, il sig. Makarov è stato sottoposto a misure restrittive della libertà di circolazione, in forza delle quali egli era in particolare tenuto a presentarsi, fino al 31 gennaio 2000, tre volte alla settimana all’ufficio di polizia competente, e non poteva recarsi all’estero senza previa autorizzazione (in prosieguo: le “misure restrittive della libertà”).

14      A partire dal 27 ottobre 1999, lo Hauptzollamt Emmerich (ufficio doganale principale di Emmerich, Germania), divenuto in seguito lo Hauptzollamt Duisburg (ufficio doganale principale di Duisburg, Germania), ha notificato ai ricorrenti alcuni avvisi di recupero, volti ad ottenere il pagamento di dazi antidumping che si riferivano alle importazioni effettuate dalla Truboimpex e dalla Trubowest nel periodo intercorrente tra dicembre 1997 e l’ottobre 1999. Le autorità doganali tedesche hanno ritenuto, in sostanza, che le importazioni delle ricorrenti non fossero state classificate, erroneamente, secondo i codici della nomenclatura comunitaria relativa ad alcuni tipi di tubi senza saldatura, oggetto del regolamento definitivo. In tale contesto, i conti bancari della Trubowest e del sig. Makarov sono stati posti sotto sequestro.

15      Secondo le autorità doganali tedesche, la Truboimpex e la Trubowest erano quindi debitrici, a titolo di dazi antidumping insoluti, rispettivamente di EUR 1 575 181,86 e di EUR 729 538,78, vale a dire di un importo complessivo di EUR 2 304 720,64 per dazi antidumping insoluti da tali due società. Inoltre il sig. Makarov, nella sua qualità di amministratore della Trubowest e della Truboimpex, era considerato responsabile del pagamento dell’importo totale dovuto da tali due società.

16      A partire dal 16 e dal 17 novembre 1999, i ricorrenti contestavano, in conformità all’art. 243 del [CDC] e al diritto nazionale applicabile, presso lo Hauptzollamt Emmerich, gli avvisi di pagamento a posteriori di dazi antidumping emessi nei confronti della Trubowest e del sig. Makarov. Il 15 dicembre 2000, i ricorrenti hanno proposto un ricorso presso il Finanzgericht Düsseldorf (Tribunale finanziario di Düsseldorf, Germania), chiedendo la sospensione degli avvisi di pagamento che erano immediatamente esecutivi. Il 30 ottobre 2001, il Finanzgericht Düsseldorf ha respinto la domanda dei ricorrenti. Il 29 agosto 2003, i ricorrenti hanno depositato dinanzi allo Hauptzollamt Duisburg le loro conclusioni, nelle quali sostenevano, in sostanza, che le autorità doganali avevano erroneamente ritenuto che le loro importazioni rientrassero nell’ambito di applicazione del regolamento definitivo.

17      Il 19 giugno 2000, lo Staatsanwaltschaft Kleve (il pubblico ministero di Kleve) ha adottato un atto di accusa (Anklageschrift) nei confronti del sig. Makarov, a causa delle false dichiarazioni doganali relative alle importazioni della Trubowest e della Truboimpex. In tale atto di accusa, lo Staatsanwaltschaft Kleve ha concluso, in sostanza, che un importo totale di 4 376 250,25 di marchi tedeschi (DEM), pari a EUR 2 237 541,22, era dovuto a titolo di dazi doganali elusi risultanti dalle importazioni della Trubowest e della Truboimpex.

18      Il 14 novembre 2002, il Landgericht Kleve (Tribunale regionale di Kleve) ha sospeso il procedimento penale a carico del sig. Makarov in attesa dell’esito del procedimento tributario pendente nei suoi confronti.

19      Il 15 dicembre 2004, i ricorrenti hanno concluso una transazione con lo Hauptzollamt Duisburg la quale ha posto fine alla controversia con le autorità doganali tedesche.

20      Tale transazione prevedeva, in particolare, quanto segue:

“Preambolo

(…)

Tramite la presente esposizione dei fatti, le parti intendono comporre in via definitiva la controversia che le oppone relativamente alla legittimità degli avvisi di pagamento controversi. Le parti riconoscono che la presente esposizione congiunta dei fatti non risolve la loro controversia in merito ai tipi di tubi di acciaio a cui si applichi o meno il diritto antidumping.

(…)

In forza di quanto precede, le parti convengono su quanto segue:

(1.)

Gli avvisi di accertamento e le dichiarazioni di responsabilità (…) riguardanti i dazi antidumping per l’importo di EUR 2 304 734,45 verranno assolti con il versamento dell’importo complessivo di EUR 460 000 da parte[, in particolare, dei ricorrenti]. Le parti convengono sul fatto che una sola parte della somma di EUR 435 125,21 percepita in data odierna dallo Hauptzollamt Duisburg, pari a EUR 343 644,15, verrà dedotta dalla somma dovuta di EUR 460 000.

(…)

(3.)

La sottoscrizione del presente accordo comporterà la cessazione immediata di tutti i procedimenti esecutivi avviati nei confronti della Trubowest, nonché[, in particolare, del sig. Makarov].

(…)

(5.)

[I ricorrenti] rinunciano con la presente a far valere nuove pretese nei confronti dell’amministrazione doganale, al fine di ottenere ad esempio un risarcimento danni, interessi inclusi, per i fatti di cui alla presente esposizione congiunta dei fatti. Essi rinunciano inoltre ad avviare ulteriori procedimenti giurisdizionali nei confronti dell’amministrazione doganale.

Tuttavia, le parti conservano la possibilità di far valere pretese di tal sorta nei confronti di terzi, segnatamente le domande di risarcimento danni summenzionate (…) nei confronti della Commissione e del Consiglio (…) ai sensi dell’art. 288 [CE]”.

21      Il 2 maggio 2005, il Landgericht Kleve ha emesso un’ordinanza (Beschluss) che poneva fine, ai sensi dell’art. 153a dello Strafprozessordnung-StPO (codice di procedura penale tedesco), al procedimento penale pendente nei confronti del sig. Makarov, a condizione del pagamento da parte di quest’ultimo di un’ammenda pari a EUR 18 000. In detta ordinanza il Landgericht Kleve afferma di aver tenuto conto del fatto che “[il sig. Makarov] dichiara che il suo accordo [diretto a porre fine al procedimento penale] non implica un riconoscimento di colpevolezza, ma che esso procede da considerazioni di ordine procedurale ed economico”».

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

5        Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 ottobre 2004, i ricorrenti hanno proposto un ricorso di risarcimento danni ai sensi dell’art. 288 CE contro il Consiglio e la Commissione, diretto ad ottenere la condanna di questi ultimi al pagamento dei seguenti importi:

–      EUR 118 058,46 alla Trubowest, unitamente agli interessi di mora maturati al tasso annuo dell’8%, corrispondenti a quanto effettivamente pagato dalla Trubowest in seguito ai diversi avvisi di pagamento di dazi antidumping emessi dalle autorità doganali tedesche nei confronti dei ricorrenti, e ad un lucro cessante per la Trubowest;

–      EUR 397 916,91 al sig. Makarov, unitamente agli interessi di mora maturati al tasso annuo dell’8%, corrispondenti, per EUR 277 939,37, all’importo totale da questi effettivamente versato in seguito ai vari avvisi di pagamento di dazi antidumping; per EUR 63 448,54, alla retribuzione che non gli è stata versata dalla Trubowest e, per EUR 56 529, alle spese legali sostenute nell’ambito dei procedimenti in cui i ricorrenti si opponevano alle autorità doganali tedesche;

–      EUR 128 000 alla Trubowest, unitamente agli interessi di mora maturati al tasso annuo dell’8%, a titolo di lucro cessante ovvero, in subordine, una somma da convenire tra le parti a seguito di una decisione interlocutoria del Tribunale;

–      EUR 150 000 al sig. Makarov, unitamente agli interessi di mora maturati al tasso annuo dell’8%, a titolo di risarcimento del danno morale.

6        Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto l’insieme dei motivi dedotti a sostegno del ricorso di risarcimento e ha condannato i ricorrenti alle spese sostenute dal Consiglio e dalla Commissione.

7        Ai punti 41‑74 e 77‑82 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato irricevibili alcuni capi della domanda contenuti nel ricorso di risarcimento, dichiarandosi incompetente, ai sensi dell’art. 288 CE, a pronunciarsi in merito. Per quanto attiene, da un lato, a domande di risarcimento danni il cui importo corrispondeva a somme versate dai ricorrenti a titolo di dazi antidumping, il Tribunale ha giudicato che tali domande erano di competenza esclusiva dei giudici nazionali, in conformità dei procedimenti previsti dal CDC. D’altro lato, riguardo alla domanda di rimborso delle spese legali, il Tribunale ha deciso che quest’ultima richiesta verteva su un elemento della controversia tra i ricorrenti e le autorità doganali tedesche di competenza esclusiva dei giudici nazionali.

8        Quanto al resto, nel valutare la condizione per l’accertamento della responsabilità extracontrattuale della Comunità, relativa all’esistenza di un nesso causale diretto tra l’illegittimità contestata e gli altri pregiudizi asseritamente subiti, ossia il lucro cessante della Trubowest, la perdita di retribuzione del sig. Makarov nonché il danno morale subìto dallo stesso, il Tribunale ha giudicato che i pregiudizi addotti non derivavano in modo sufficientemente diretto dall’illegittimità contestata.

9        Il Tribunale ha giudicato opportuno, al punto 86 della sentenza impugnata, esaminare, innanzi tutto, la questione se i ricorrenti dimostrassero l’esistenza di un nesso di causalità tra l’asserito comportamento illegittimo del Consiglio nonché della Commissione e i pretesi danni di natura materiale e morale. Ai punti 98‑137 della sentenza impugnata, esso ha concluso che non vi era alcun nesso causale diretto e sufficiente tra l’istituzione dei dazi antidumping da parte del regolamento definitivo e detti danni. In tale contesto, il Tribunale non ha esaminato la questione se il regolamento fosse viziato da illegittimità o se i ricorrenti avessero realmente subito i danni lamentati.

10      In particolare, il Tribunale ha esaminato se esistesse un nesso di causalità sufficientemente diretto tra il comportamento contestato al Consiglio nonché alla Commissione ed i danni asseriti, sia nell’ipotesi in cui il regolamento definitivo non si applicasse alle merci importate dai ricorrenti sia nell’ipotesi contraria. Al riguardo, al punto 110 della sentenza impugnata, esso ha statuito che, nella prima ipotesi, la responsabilità della Comunità non può sussistere in quanto i pregiudizi addotti sarebbero imputabili esclusivamente alle autorità doganali e penali tedesche e non alla condotta asseritamente illegittima del Consiglio e della Commissione. Nella seconda ipotesi, esso ha dichiarato, al punto 116 della sentenza impugnata, che la causa determinante dei danni in questione risiederebbe nel comportamento dei ricorrenti consistente nella errata classificazione delle proprie importazioni.

11      Infine, il Tribunale ha respinto la domanda dei ricorrenti relativa ad alcune misure di organizzazione della procedura, giudicando, ai punti 138‑141 della sentenza impugnata, che non era necessario richiedere alla Commissione di produrre, da un lato, le prove del contributo da essa fornito ai negoziati relativi alla controversia sulla classificazione delle merci importate dai ricorrenti, conclusisi con la transazione tra questi e le autorità doganali tedesche, e, dall’altro, tutta la corrispondenza da essa scambiata con le autorità doganali ed il governo russo.

 Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

12      I ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata nella sua totalità;

–        pronunciarsi in via definitiva sulla controversia accogliendo il ricorso di risarcimento proposto dinanzi al Tribunale e condannare il Consiglio e la Commissione alle spese del procedimento di primo grado o, in subordine, rinviare la causa al Tribunale, e

–        condannare il Consiglio e la Commissione alle spese del presente procedimento.

13      Il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso;

–        in subordine, rinviare la causa al Tribunale;

–        in ulteriore subordine, respingere il ricorso di risarcimento proposto dai ricorrenti, e

–        condannare questi alle spese.

14      La Commissione chiede il rigetto del ricorso d’impugnazione e la condanna dei ricorrenti alle spese.

 Sull’impugnazione

15      Il Tribunale ha proceduto all’esame del requisito del nesso causale diretto tra l’illegittimità contestata ed i danni asseriti dai ricorrenti solo relativamente alle domande da esso dichiarate ricevibili. Il primo motivo, che riguarda la sentenza impugnata nella parte in cui questa statuisce su detto requisito, riguarda quindi esclusivamente tali domande. Pertanto, nell’ambito dell’impugnazione, occorre esaminare innanzi tutto il secondo motivo, relativo alla sentenza impugnata nella parte in cui dichiara irricevibili alcune altre domande di risarcimento.

 Sul secondo motivo

 Argomenti delle parti

16      Con il secondo motivo, diviso in due parti, i ricorrenti sostengono, in primo luogo, che il Tribunale ha violato l’art. 288, secondo comma, CE e ha commesso un errore di diritto, ai punti 41‑74, 77‑82 e 138‑141 della sentenza impugnata, dichiarandosi incompetente a pronunciarsi sulle loro domande di risarcimento relative ad importi equivalenti alle somme pagate a titolo di dazi antidumping, nonché sulle spese legali sostenute nell’ambito del procedimento tra di essi e le autorità doganali tedesche, alla luce delle circostanze eccezionali di cui alla fattispecie, caratterizzate dal fatto che i ricorsi nazionali si sono estinti in seguito ad una transazione. In secondo luogo, i ricorrenti fanno valere che, al punto 68 della sentenza impugnata, il Tribunale ha snaturato gli elementi di fatto e di prova avendo giudicato che essi non avevano fornito alcun elemento di prova a sostegno delle loro affermazioni relative all’impatto sulla conclusione di una transazione, da un lato, del ruolo svolto dalla Comunità e dalle autorità russe e, dall’altro, dei procedimenti penali avviati dalle autorità doganali tedesche.

17      Il Consiglio e la Commissione affermano che il Tribunale ha correttamente affermato che i dazi antidumping sono riscossi dalle autorità doganali nazionali e che, pertanto, secondo una giurisprudenza costante, solo i giudici nazionali sono competenti a stabilire la restituzione di dazi indebitamente riscossi in base a disposizioni comunitarie dichiarate successivamente invalide. Il giudice comunitario non sarebbe quindi competente a disporre una tale restituzione o il rimborso di spese legali sostenute nell’ambito di procedimenti nazionali relativi a detti dazi. Inoltre, la transazione conclusa tra i ricorrenti e le autorità doganali tedesche non può far sorgere, in capo al giudice comunitario, una competenza che non esisteva prima di detta transazione. Detto giudice sarebbe competente solo per il danno che si estenda oltre al mero rimborso di dazi illeciti.

18      Il Consiglio sostiene, inoltre, che le parti del presente motivo sono irricevibili. Infatti, la prima parte non conterrebbe un’esposizione precisa delle considerazioni giuridiche sulle quali si fonda l’asserzione secondo cui i ricorrenti non avrebbero concluso per loro spontanea volontà la transazione intervenuta tra di essi e le autorità doganali tedesche. Quanto alla seconda parte, i ricorrenti non indicherebbero in maniera precisa gli elementi che sarebbero stati snaturati dal Tribunale e non dimostrerebbero gli errori di valutazione che avrebbero condotto quest’ultimo al suddetto snaturamento.

19      La Commissione sostiene inoltre che l’impugnazione non rimette in discussione la fondatezza dell’analisi effettuata dal Tribunale ai punti 61‑66 della sentenza impugnata, secondo la quale i ricorrenti avrebbero potuto contestare la legittimità del regolamento definitivo nell’ambito del procedimento nazionale, il che avrebbe permesso loro di ottenere un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE e, in tal modo, un eventuale annullamento di detto regolamento da parte della Corte. Essa considera incompatibile con i fatti e il diritto la tesi secondo cui, nonostante la transazione da essi conclusa con le autorità doganali tedesche, i ricorrenti «non hanno mai rinunciato al loro diritto al risarcimento» e hanno accettato tale transazione «senza far venir meno l’illegittimità del regolamento [definitivo]». Peraltro, l’asserito ruolo delle istituzioni e la pressione dei procedimenti penali nei confronti di uno dei ricorrenti non avrebbero alcun legame con la fondatezza della valutazione del Tribunale secondo cui questi sarebbe incompetente a pronunciarsi su alcuni capi della domanda.

 Giudizio della Corte

20      Nella prima parte del loro secondo motivo i ricorrenti rilevano, innanzi tutto, che due dei capi della domanda per i quali il Tribunale si è dichiarato incompetente vertono su importi costituenti la somma da essi versata in forza della transazione conclusa con le autorità doganali tedesche, nonostante l’invocata illegittimità del regolamento definitivo. Benché i ricorrenti non specifichino nel loro ricorso d’impugnazione che quanto da loro saldato presso dette autorità siano dazi antidumping, occorre rilevare che il Tribunale ha constatato, al punto 46 della sentenza impugnata, che gli importi in questione corrispondono alle somme che i ricorrenti hanno rispettivamente versato a tale titolo e ha giudicato, al punto 47 di detta sentenza, che le loro domande al riguardo sono in sostanza domande di rimborso di detti diritti pagati in maniera asseritamente indebita, il che non è rimesso in discussione dai ricorrenti nell’ambito dell’impugnazione in esame.

21      Inoltre, i ricorrenti sostengono che, in seguito a detta transazione, sussiste un danno importante derivante dall’esistenza del regolamento definitivo da essi ritenuto illegittimo, il quale implica la responsabilità comunitaria e che va risarcito conformemente all’art. 288, secondo comma, CE.

22      Il Tribunale, al punto 63 della sentenza impugnata, ha statuito che la transazione conclusa tra le autorità doganali tedesche e i ricorrenti non è tale da conferirgli una competenza per statuire sulle domande di risarcimento proposte da questi ultimi relativamente ai dazi antidumping versati. Inoltre, esso ha constatato, al punto 67 di detta sentenza, che gli stessi ricorrenti hanno riconosciuto che essi disponevano, nell’ambito dei ricorsi nazionali da essi proposti, di un rimedio giurisdizionale efficace che consentiva loro di contestare il pagamento dei dazi antidumping sollevando l’illegittimità del regolamento definitivo, ma che essi hanno posto fine a tali ricorsi con detta transazione.

23      Al riguardo, occorre innanzi tutto rilevare che i giudici nazionali sono i soli competenti a conoscere di un’azione di ripetizione di importi indebitamente riscossi da un’amministrazione nazionale in forza di una normativa comunitaria successivamente dichiarata invalida (v., in tal senso, sentenze 30 maggio 1989, causa 20/88, Roquette frères/Commissione, Racc. pag. 1553, punto 14; 13 marzo 1992, causa C‑282/90, Vreugdenhil/Commissione, Racc. pag. I‑1937, punto 12, e 27 settembre 2007, causa C‑351/04, Ikea Wholesale, Racc. pag. I‑7723, punto 68).

24      In tale contesto, qualora un singolo si ritenga leso dall’applicazione di un regolamento antidumping che considera illegittimo, egli ha la possibilità di contestare, dinanzi al giudice nazionale competente, la validità del regolamento applicato dalle autorità doganali nazionali. Quindi, in presenza delle condizioni di cui all’art. 234 CE, tale giudice può, o meglio deve, sottoporre alla Corte una questione relativa alla validità del regolamento in questione.

25      Occorre anche ricordare che spetta alle autorità nazionali trarre le conseguenze, nel loro ordinamento giuridico, di una declaratoria d’invalidità, con la conseguenza che i dazi antidumping pagati in forza del regolamento in questione non sarebbero legittimamente dovuti ai sensi dell’art. 236, n. 1, del CDC e dovrebbero, in linea di principio, essere rimborsati dalle autorità doganali, conformemente a tale disposizione, purché ricorrano le condizioni a cui tale rimborso è assoggettato, tra cui quella prevista al n. 2 di detto articolo (v. sentenza Ikea Wholesale, cit., punto 67).

26      Di conseguenza, nonostante la transazione conclusa, nella fattispecie, tra i ricorrenti e le autorità doganali tedesche, la normativa comunitaria implica che una domanda di rimborso di dazi antidumping indebitamente versati rientri nella competenza dei giudici nazionali interessati. Tale transazione non può far sorgere in capo al giudice comunitario una competenza che non esisteva prima di detta transazione.

27      Con la prima parte del presente motivo, i ricorrenti contestano, in secondo luogo, la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale si è dichiarato incompetente per statuire sulla loro domanda di risarcimento relativamente alle spese legali sostenute in relazione ai procedimenti svoltisi a livello nazionale. Tuttavia essi non adducono alcun argomento idoneo ad inficiare il carattere accessorio di dette spese rispetto alla controversia nazionale. Orbene, dalla giurisprudenza correttamente citata dal Tribunale al punto 78 della sentenza impugnata risulta che la questione del rimborso delle spese sostenute nell’ambito di un procedimento nazionale, che è una questione accessoria rispetto alla lite che ha dato luogo a tale procedimento, appartiene alla competenza esclusiva del giudice nazionale.

28      Occorre quindi constatare che il Tribunale si è correttamente dichiarato incompetente a conoscere dei capi della domanda di cui trattasi, di modo che la prima parte del secondo motivo è infondata.

29      Con la seconda parte del presente motivo, relativa alla transazione in merito alla controversia a livello nazionale, i ricorrenti sostengono che il Tribunale ha snaturato gli elementi di fatto e di prova ad esso sottoposti giudicando, al punto 68 della sentenza impugnata, che essi non avevano fornito prove a sostegno dei loro argomenti relativi all’impatto sulla conclusione di tale transazione, da un lato, del ruolo svolto dalla Comunità e dalle autorità russe e, dall’altro, dei procedimenti penali che erano stati avviati dalle autorità tedesche. Essi fanno inoltre valere che il Tribunale avrebbe commesso un errore rifiutando, ai punti 138‑141 della sentenza impugnata, di richiedere alla Commissione di produrre, da un lato, le prove del contributo da essa fornito ai negoziati relativi alla controversia sulla classificazione delle merci importate, conclusisi con detta transazione, e, dall’altro, tutta la corrispondenza da essa scambiata con le autorità doganali tedesche ed il governo russo. Tali elementi di prova relativi al comportamento delle istituzioni comunitarie potrebbero, secondo i ricorrenti, essere rilevanti nell’ambito di un’azione fondata sull’art. 288, secondo comma, CE.

30      A tale riguardo si deve rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, dagli artt. 225 CE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia emerge che il Tribunale è il solo competente, da un lato, ad accertare i fatti, salvo il caso in cui l’inesattezza materiale dei suoi accertamenti consti dai documenti del fascicolo ad esso sottoposti, e, dall’altro, a valutare tali fatti. Una volta che il Tribunale abbia accertato o valutato i fatti, la Corte è competente, ai sensi dell’art. 225 CE, ad effettuare un controllo sulla qualificazione giuridica di tali fatti e sulle conseguenze di diritto che il Tribunale ne ha tratto (v., in particolare, sentenze 6 aprile 2006, causa C‑551/03 P, General Motors/Commissione, Racc. pag. I‑3173, punto 51; 22 maggio 2008, causa C‑266/06 P, Evonik Degussa/Commissione, punto 72; 18 dicembre 2008, cause riunite C‑101/07 P e C‑110/07 P, Coop de France bétail et viande e a./Commissione, Racc. pag. I‑10193, punto 58, nonché 3 settembre 2009, causa C‑535/06 P, Moser Baer India/Consiglio, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31).

31      In tal senso, la Corte non è competente ad accertare i fatti né, in linea di principio, ad esaminare le prove sulle quali il Tribunale ha basato il proprio accertamento dei fatti stessi. Infatti, una volta che tali prove siano state acquisite regolarmente e che i principi generali del diritto e le norme di procedura applicabili in materia di onere e di produzione della prova siano stati rispettati, spetta unicamente al Tribunale pronunciarsi sul valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti. Salvo il caso dello snaturamento di tali elementi, tale valutazione non costituisce pertanto una questione di diritto soggetta, in quanto tale, al sindacato della Corte (v., in particolare, citate sentenze General Motors/Commissione, punto 52; Evonik Degussa/Commissione, punto 73; Coop de France bétail et viande e a./Commissione, punto 59, nonché Moser Baer India/Consiglio, punto 32).

32      Si deve peraltro ricordare che uno snaturamento deve risultare manifestamente dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario effettuare una nuova valutazione dei fatti e delle prove (v., in particolare, citate sentenze General Motors/Commissione, punto 54; Evonik Degussa/Commissione, punto 74; Coop de France bétail et viande e a./Commissione, punto 60, nonché Moser Baer India/Consiglio, punto 33).

33      Nella fattispecie, quanto alla censura relativa alla prova fornita dai ricorrenti riguardo alle condizioni in presenza delle quali le parti hanno concluso la transazione in questione, l’asserito snaturamento dei fatti non è indicato in maniera precisa e sufficiente nel ricorso d’impugnazione. Inoltre, i ricorrenti non provano in che modo sarebbero state influenzate le conseguenze giuridiche tratte dal Tribunale al punto 139 della sentenza impugnata, relative alla propria incompetenza a statuire su domande di risarcimento di dazi antidumping e di spese legali rispettivamente versati e sostenute a livello nazionale, nel caso in cui la Commissione fosse stata obbligata a produrre i documenti richiesti.

34      È giocoforza constatare che i ricorrenti mirano ad ottenere, in tal modo, un riesame delle valutazioni di fatto operate dal Tribunale, riesame per il quale la Corte non è competente nell’ambito dell’impugnazione, cosicché tale censura dev’essere dichiarata irricevibile.

35      Ne consegue che il secondo motivo dev’essere respinto in toto in quanto parzialmente infondato e parzialmente irricevibile.

 Sul primo motivo

36      I ricorrenti sostengono che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nell’interpretazione ed applicazione dell’art. 288, secondo comma, CE, con riferimento alle condizioni in presenza delle quali la Comunità può incorrere in responsabilità extracontrattuale. Con tale motivo, che comporta due parti, i ricorrenti addebitano al Tribunale, da un lato, di non avere esaminato il comportamento illegittimo idoneo a causare il danno e, in particolare, il comportamento illegittimo addebitato con riferimento al suo contesto giuridico ed alla valutazione del nesso causale, e, dall’altro, di aver giudicato che il nesso di causalità esistente tra il comportamento addebitato alle istituzioni comunitarie ed i diversi elementi del danno lamentato non possa essere considerato come sufficientemente diretto.

 Sulla prima parte

–       Argomenti delle parti

37      I ricorrenti fanno valere che, nella fase di esame del nesso causale tra il presunto comportamento illegittimo ed il danno allegato, questi ultimi devono essere stati esaminati, in qualsivoglia maniera, prima di poter decidere che non esiste un tale nesso sufficientemente diretto tra i due o che tale nesso è stato interrotto. In altri termini, secondo i ricorrenti, in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità, mentre il fatto di iniziare con l’esame della legittimità contestata o del danno allegato non presuppone l’esame delle altre condizioni di tale responsabilità, il fatto di iniziare con l’esame del nesso causale presuppone che, in una maniera o in un’altra, le altre due condizioni siano già state considerate.

38      Il Consiglio fa valere che l’affermazione secondo cui il Tribunale sarebbe tenuto a «prendere in considerazione in una maniera o in un’altra (…) le altre due condizioni» o ad «esaminare l’ambito normativo relativo al nesso di causalità e, in particolare, il comportamento illegittimo» è priva di fondamento. L’iter seguito dal Tribunale, consistente nell’analizzare il nesso causale, considerando come un dato di fatto l’atto asseritamente illegittimo ed il danno lamentato, è quello seguito d’abitudine. Esso non sarebbe tenuto ad esaminare le condizioni della responsabilità di un’istituzione in un determinato ordine e, se una delle tre condizioni non è soddisfatta, la richiesta di risarcimento dovrebbe essere respinta senza che occorra esaminare le altre condizioni.

39      Secondo la Commissione, nessuna norma impedirebbe al Tribunale di esaminare la condizione relativa al nesso causale senza pronunciarsi sulla questione dell’asserita illegittimità del regolamento definitivo. Benché possa effettivamente essere corretto che «la causalità non esiste in termini assoluti», il ricorso d’impugnazione prescinderebbe completamente dal fatto che il nesso causale è determinato né, da un lato, dal comportamento illegittimo né, dall’altro, dal danno subìto, ma semplicemente dalla questione se il comportamento contestato abbia causato il danno asserito.

–       Giudizio della Corte

40      Dalla giurisprudenza della Corte emerge che la responsabilità extracontrattuale della Comunità e l’attuazione del diritto al risarcimento del danno subìto, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE, dipendono della compresenza di un insieme di condizioni, riguardanti l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni comunitarie, la sussistenza del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra tale comportamento dell’istituzione ed il danno lamentato (v., in particolare, sentenze 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; 15 settembre 1994, causa C‑146/91, KYDEP/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑4199, punto 19, nonché 9 settembre 2008, cause riunite C‑120/06 P e C‑121/06 P, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑6513, punto 106).

41      Poiché le tre condizioni della responsabilità prevista dall’art. 288, secondo comma, CE devono essere cumulativamente soddisfatte, la mancanza di una di esse è sufficiente per respingere un ricorso per risarcimento danni (sentenza 9 settembre 1999, causa C‑257/98 P, Lucaccioni/Commissione, Racc. pag. I‑5251, punto 14).

42      Inoltre, non esiste alcun obbligo di esaminare le condizioni della responsabilità di un’istituzione in un determinato ordine (v., in tal senso, sentenza Lucaccioni/Commissione, cit., punto 13).

43      Rispetto al rigetto del secondo motivo, il presente motivo verte esclusivamente su richieste di risarcimento relative, da un lato, ai danni materiali che consisterebbero in un lucro cessante per la Trubowest e in una perdita di retribuzione per il sig. Makarov, rispettivamente valutati in EUR 128 000 ed EUR 63 448,54, e, dall’altro, al danno morale che il sig. Makarov avrebbe sofferto, valutato in EUR 150 000.

44      Il Tribunale ha concluso, al punto 134 della sentenza impugnata, che, in ogni caso, ossia sia che le importazioni realizzate dalla Trubowest rientrino o meno nell’ambito di applicazione del regolamento definitivo, e sia che i ricorrenti abbiano o meno commesso un errore di classificazione, il nesso di causalità esistente tra il comportamento illegittimo contestato al Consiglio nonché alla Commissione ed i danni lamentati non può essere qualificato come sufficientemente diretto.

45      In udienza i ricorrenti hanno sottolineato che il Tribunale non ha esaminato l’evento giuridico all’origine del danno. A loro parere, la questione della causalità può essere trattata solo nell’ambito di un esame approfondito del contesto giuridico dell’atto controverso, ossia il regolamento definitivo secondo loro illegittimo.

46      Il Consiglio e la Commissione ritengono che non vi sia alcun obbligo per il Tribunale di pronunciarsi sull’illegittimità contestata prima di esaminare l’esistenza di un nesso di causalità tra tale illegittimità ed il danno lamentato.

47      Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle sue conclusioni, i ricorrenti hanno omesso di spiegare in che modo l’esame, da parte del Tribunale, della condotta contestata alle istituzioni abbia influito sulla valutazione della condizione relativa al nesso di causalità effettuata nella sentenza impugnata. Il Tribunale poteva esaminare il nesso causale partendo dal presupposto che, come asserito dai ricorrenti, l’atto contestato fosse effettivamente illegittimo ed il danno effettivamente esistente (v., per analogia, sentenza Lucaccioni/Commissione, cit., punti 12, 15 e 16, nonché ordinanza 12 aprile 2005, causa C‑80/04 P, DLD Trading Company Import-Export/Consiglio, punto 50).

48      La condizione relativa al nesso di causalità è indipendente da quella relativa all’illegittimità dell’atto in questione nell’ambito di un ricorso di risarcimento sulla base dell’art. 288, secondo comma, CE. Pertanto, nella fattispecie, la questione se l’imposizione di dazi antidumping da parte del regolamento definitivo fosse illegittima non influisce sull’esame della condizione relativa al nesso di causalità.

49      È quindi a ragione che il Tribunale ha giudicato di poter esaminare innanzi tutto la questione del nesso di causalità tra il comportamento contestato al Consiglio nonché alla Commissione e i danni lamentati.

50      Da quanto precede consegue che la prima parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

 Sulla seconda parte

–       Argomenti delle parti

51      I ricorrenti sostengono che il Tribunale è incorso in un errore di diritto giudicando che il nesso di causalità esistente tra il comportamento illegittimo delle istituzioni comunitarie e i danni asseriti non possa essere considerato come sufficientemente diretto, essendosi basato su due ipotesi consistenti in asserzioni infondate. Il Tribunale avrebbe omesso di tenere conto del fatto che i ricorrenti chiedevano un risarcimento dei danni subiti in seguito all’istituzione di dazi illegittimi. Esso avrebbe, erroneamente, tenuto conto di errori ipotetici, non verificati, nella classificazione delle merci importate ed asseritamente costitutivi di inadempienze in capo alle autorità tedesche o ai ricorrenti. Questi ultimi ritengono che il Tribunale abbia applicato erroneamente la condizione di causalità, avendo esaminato l’esistenza di un’interruzione del nesso di causalità senza previamente valutare l’esistenza di un tale nesso diretto tra il comportamento illegittimo contestato e il danno lamentato.

52      Il Consiglio e la Commissione fanno valere che, considerato che non è mai stato stabilito in maniera definitiva se i tipi di tubi per i quali le autorità doganali tedesche avevano reclamato dazi antidumping ai sensi del regolamento definitivo entrassero o meno nell’ambito d’applicazione di detto regolamento, il Tribunale ha esaminato il nesso di causalità sulla base di due ipotesi.

–       Giudizio della Corte

53      I principi comuni ai diritti degli Stati membri a cui rinvia l’art. 288, secondo comma, CE non possono essere invocati per dimostrare l’esistenza di un obbligo della Comunità di risarcire qualsiasi conseguenza dannosa, anche remota, di comportamenti dei suoi organi (v., in tal senso, sentenze 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier e a./Consiglio, Racc. pag. 3091, punto 21, nonché 30 gennaio 1992, cause riunite C-363/88 e C‑364/88, Finsider e a./Commissione, Racc. pag. I‑359, punto 25). Infatti, la condizione relativa al nesso causale richiesta dall’art. 288, secondo comma, CE concerne l’esistenza di un rapporto di causa-effetto sufficientemente diretto tra il comportamento delle istituzioni e il danno (v., in tal senso, sentenza Dumortier e a./Consiglio, cit. punto 21).

54      Inoltre, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza costante della Corte, un’impugnazione può fondarsi, ai sensi degli artt. 225 CE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, solo su motivi relativi alla violazione di norme di diritto, con esclusione di qualsiasi valutazione dei fatti (v. in tal senso, in particolare, sentenza 1° ottobre 1991, causa C‑283/90 P, Vidrányi/Commissione, Racc. pag. I‑4339, punto 12, e ordinanza 17 settembre 1996, causa C‑19/95 P, San Marco/Commissione, Racc. pag. I-4435, punto 39).

55      I ricorrenti non spiegano in che modo l’addotta illegittimità del regolamento definitivo possa rapportarsi all’esistenza di un nesso sufficientemente diretto tra i danni asseritamente subiti ed il comportamento illegittimo contestato. Infatti, la legittimità di tale regolamento non ha alcun rapporto con la validità della valutazione delle ipotesi fattuali delineate dal Tribunale, che ha indotto quest’ultimo a concludere che il nesso di causalità fosse venuto meno.

56      I ricorrenti sostengono inoltre che il Tribunale ha commesso un errore di diritto concludendo, al punto 134 della sentenza impugnata, che il nesso di causalità esistente tra il comportamento illegittimo delle istituzioni ed i danni lamentati non può essere considerato come sufficientemente diretto.

57      Dalla sentenza impugnata risulta che il Tribunale non ha esaminato previamente e in maniera generale la questione se il danno lamentato si sarebbe verificato in assenza del comportamento illegittimo delle istituzioni. La motivazione di tale sentenza si concentra sull’interruzione del nesso causale tra tali due elementi. Ai punti 112 e 113 di detta sentenza, nell’ambito della prima ipotesi, il Tribunale ha giudicato che la valutazione dell’esistenza di un nesso causale non dipende dalla questione se, in assenza dell’atto illegittimo, l’esito degli eventi sarebbe stato diverso. Parimenti, secondo la giurisprudenza citata ai punti 99 e 102 della sentenza impugnata, il danno lamentato deve derivare dal comportamento contestato in maniera sufficientemente diretta, e senza che vi sia stata interruzione del nesso causale.

58      A tal riguardo, occorre dichiarare che vi è un nesso di causalità ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE ogni qualvolta esista un rapporto diretto di causa-effetto tra il comportamento illegittimo delle istituzioni in questione e il danno lamentato.

59      Occorre che detto danno sia stato effettivamente causato dal comportamento contestato alle istituzioni. Tale approccio è confermato dalla giurisprudenza costante ricordata al punto 53 della presente sentenza, secondo la quale, anche nel caso di un eventuale concorso delle istituzioni nel danno per il quale è richiesto il risarcimento, detto concorso potrebbe essere troppo remoto a causa di una responsabilità incombente ad altri soggetti, tra i quali eventualmente i ricorrenti.

60      Innanzi tutto, il Tribunale ha correttamente valutato che, nel caso in cui il regolamento definitivo non si applichi alle merci importate dai ricorrenti e questi non abbiano quindi commesso alcun errore nella classificazione delle stesse, occorrerebbe constatare che i danni da essi lamentati sono esclusivamente imputabili alle autorità doganali tedesche, poiché queste avrebbero assoggettato dette merci a dazi antidumping ancorché queste non rientrassero nell’ambito d’applicazione del regolamento definitivo.

61      In secondo luogo, il Tribunale ha dichiarato, a ragione, che, nel caso in cui il regolamento definitivo si applichi alle merci importate dai ricorrenti e questi ultimi non abbiano quindi classificato tali merci correttamente, occorrerebbe constatare che la causa determinante dei danni da essi lamentati risiederebbe nella loro propria condotta, e non nel preteso comportamento illegittimo del Consiglio e della Commissione. In tale ipotesi, il Tribunale ha anche giustamente ricordato, ai punti 100 e 101 della sentenza impugnata, che occorre verificare se il soggetto leso, a rischio di doversi accollare in prima persona il pregiudizio, abbia dato prova, al pari di un soggetto accorto, di una ragionevole diligenza per evitare il danno o limitarne l’entità. Il nesso di causalità può essere interrotto da un comportamento negligente del soggetto leso, qualora tale comportamento risulti essere la causa determinante del danno.

62      I ricorrenti sostengono che il Tribunale ha omesso di prendere in considerazione il fatto che essi chiedevano il risarcimento del danno subìto in seguito all’istituzione di dazi illegittimi, e si è invece concentrato, a torto, su errori ipotetici nella classificazione delle merci importate. Secondo i ricorrenti, la questione non è di sapere se il regolamento definitivo si applichi o meno a tali merci. Gli importi che sono stati riscossi a titolo di dazi antidumping e che restano versati presso le autorità doganali tedesche conformemente alla transazione conclusa dai ricorrenti e tali autorità implicano che i dazi erano dovuti in base ad un regolamento di cui è eccepita l’illegittimità.

63      Il Tribunale, nell’ambito dell’esame dei danni lamentati derivanti direttamente o meno dall’istituzione di dazi antidumping da parte del regolamento definitivo, non fa alcun riferimento alla legittimità o meno di detto regolamento. Infatti, in merito alla questione se l’imposizione di detti dazi da parte del regolamento definitivo abbia causato in maniera diretta i danni asseritamente subiti dai ricorrenti, esso ha proceduto all’esame successivo della situazione di questi ultimi nelle due ipotesi di fatto da esso delineate, le quali coprono l’insieme dei casi configurabili. Il loro esame alternativo ha quindi portato alla medesima soluzione.

64      Di conseguenza, i ricorrenti non provano che il Tribunale ha commesso un errore di diritto giudicando che non esiste alcun nesso causale sufficientemente diretto tra il comportamento contestato alle istituzioni e i danni da essi stessi lamentati.

65      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il primo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

66      Ne deriva che l’impugnazione dev’essere interamente respinta.

 Sulle spese

67      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’art. 118 del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio e la Commissione ne hanno fatto domanda, la Trubowest e il sig. Makarov, rimasti soccombenti, devono essere condannati alle spese del presente procedimento.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Trubowest Handel GmbH e il sig. Makarov sono condannati alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.