Language of document : ECLI:EU:C:2018:296

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

2 maggio 2018 (*) (i)

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione europea – Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 27, paragrafo 2, secondo comma – Limitazione del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica – Allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza – Comportamento che rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società – Persona la cui domanda di asilo è stata respinta per motivi di cui all’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE – Articolo 28, paragrafo 1 – Articolo 28, paragrafo 3, lettera a) – Protezione contro l’allontanamento – Soggiorno nello Stato membro ospitante durante i dieci anni precedenti – Motivi imperativi di pubblica sicurezza – Nozione»

Nelle cause riunite C‑331/16 e C‑366/16,

aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi) (C‑331/16), e dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione del contenzioso per gli stranieri, Belgio) (C‑366/16), con decisioni del 9 giugno 2016 e del 27 giugno 2016, pervenute in cancelleria rispettivamente il 13 giugno 2016 e il 5 luglio 2016, nei procedimenti

K.

contro

Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (C‑331/16),

e

H.F.

contro

Belgische Staat (C‑366/16),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, M. Ilešič, L. Bay Larsen, T. von Danwitz e E. Levits, presidenti di sezione, A. Borg Barthet, J.-C. Bonichot, A. Arabadjiev, S. Rodin, F. Biltgen, K. Jürimäe e M. Vilaras (relatore), giudici,

avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe

cancelliere: M. Ferreira, amministratrice principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 luglio 2017,

considerate le osservazioni presentate:

–        per K., da A. Eikelboom e A.M. van Eik, advocaten;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, C.S. Schillemans e B. Koopman, in qualità di agenti;

–        per il governo belga, da M. Jacobs, C. Pochet e L. Van den Broeck, in qualità di agenti, assistite da I. Florio e E. Matterne, advocaten;

–        per il governo ellenico, da T. Papadopoulou, in qualità di agente;

–        per il governo francese, da E. Armoët, E. de Moustier e D. Colas, in qualità di agenti;

–        per il governo del Regno Unito, da C. Crane, G. Brown e D. Robertson, in qualità di agenti, assistiti da B. Lask, barrister;

–        per la Commissione europea, da E. Montaguti e G. Wils, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 dicembre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, dell’articolo 28, paragrafo 1, e dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).

2        Tali domande sono state proposte nell’ambito di due controversie: la prima tra K. e lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (segretario di Stato alla sicurezza e alla giustizia, Paesi Bassi) (in prosieguo: lo «Staatssecretaris») rispetto a una decisione con cui K. è stato dichiarato persona indesiderabile sul territorio dei Paesi Bassi (causa C‑331/16), e la seconda tra H.F. e il Belgische Staat (Stato belga) rispetto a una decisione con cui è stato negato a H.F. il diritto di soggiorno di più di tre mesi sul territorio belga (causa C‑366/16).

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

3        La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967, entrato a sua volta in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).

4        L’articolo 1 della Convenzione di Ginevra, dopo aver definito nella sezione A, in particolare, la nozione di «rifugiato» ai fini di tale Convenzione, nella sezione F enuncia quanto segue:

«Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che:

a)      hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, nel senso degli strumenti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini;

b)      hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;

c)      si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite».

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 2004/38

5        L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 dispone quanto segue:

«Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III».

6        Al capo VI della direttiva in esame, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», l’articolo 27, paragrafi 1 e 2, dispone quanto segue:

«1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

7        Ai sensi dell’articolo 28 di detta direttiva:

«1.      Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e l’importanza dei suoi legami con il paese d’origine.

2.      Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

3.      Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:

a)      abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o

b)      sia minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989».

 Direttiva 2011/95/UE

8        L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9), dispone quanto segue:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

a)      abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

b)      abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune;

c)      si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite».

 Normative nazionali

 Diritto dei Paesi Bassi

9        L’articolo 67 della Vreemdelingenwet (legge sugli stranieri), del 23 novembre 2000 (Stb. 2000, n. 495), prevede quanto segue:

«1.      Fatta salva l’applicazione della sezione 3, uno straniero può essere dichiarato indesiderabile dal [Minister van Veiligheid en Justitie (ministro della Sicurezza e della Giustizia, Paesi Bassi)]:

a.      qualora soggiorni illegalmente nei Paesi Bassi ed abbia ripetutamente commesso atti perseguibili a norma della presente legge;

b.      qualora sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un reato per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore a tre anni oppure gli sia stato imposto un provvedimento quale quello contemplato dall’articolo 37a del codice penale;

c.      qualora rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale e soggiorni illegalmente nei Paesi Bassi ai sensi dell’articolo 8, lettere da a) a e), o lettera l);

d.      in forza di un trattato, o

e.      nell’interesse delle relazioni internazionali dei Paesi Bassi.

(…)

3.      In deroga all’articolo 8, lo straniero dichiarato indesiderabile non può trovarsi in situazione di soggiorno regolare».

 Diritto belga

10      Secondo l’articolo 40 bis, paragrafo 2, della wet betreffende de toegang tot het grondgebied, het verblijf, de vestiging en de verwijdering van vreemdelingen (legge sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri), del 15 dicembre 1980 (Belgisch Staatsblad, 31 dicembre 1980, pag. 14584), nella sua versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, sono considerati familiari di un cittadino dell’Unione, in particolare, gli ascendenti.

11      L’articolo 43 di tale legge prevede:

«L’ingresso e il soggiorno possono essere negati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari solo per motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale o di sanità pubblica, e nei seguenti limiti:

(…)

2°      i provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale devono essere conformi al principio di proporzionalità e fondati esclusivamente sul comportamento personale dell’interessato. (…) Il comportamento dell’interessato deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società.

Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione;

(…)».

12      L’articolo 52, paragrafo 4, del koninklijk besluit betreffende de toegang tot het grondgebied, het verblijf, de vestiging en de verwijdering van vreemdelingen (decreto reale sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri), dell’8 ottobre 1981 (Belgisch Staatsblad, 27 ottobre 1981, pag. 13740), enuncia:

«(…)

Se il Ministro o il suo delegato riconosce il diritto di soggiorno o se non è stata presa alcuna decisione entro il termine di cui all’articolo 42 della legge, il sindaco o il suo delegato rilascia allo straniero una “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione”, ai sensi del modello dell’allegato 9.

(…)

Se il Ministro o il suo delegato non riconosce il diritto di soggiorno, tale decisione è notificata al familiare consegnandogli un documento conforme al modello di cui all’allegato 20, contenente, se del caso, l’ordine di lasciare il territorio. (…)».

 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

 Causa C331/16

13      K. possiede la cittadinanza croata e della Bosnia Erzegovina.

14      Egli è giunto nei Paesi Bassi il 21 gennaio 2001, accompagnato dalla moglie e da un figlio minorenne. Secondo le indicazioni del giudice del rinvio, da tale data K. soggiorna ininterrottamente nei Paesi Bassi. Il 27 aprile 2006 la moglie dell’interessato ha dato alla luce il loro secondo figlio.

15      Il 2 febbraio 2001 K. ha inoltrato allo Staatssecretaris una prima domanda di permesso di soggiorno temporaneo quale richiedente asilo. Tale domanda è stata respinta con decisione dello Staatssecretaris del 15 maggio 2003, divenuta definitiva a seguito di sua conferma con sentenza del Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) del 21 febbraio 2005.

16      Il 27 luglio 2011 K. ha presentato una nuova domanda di asilo, che è stata respinta con decisione dello Staatssecretaris del 16 gennaio 2013. Tale decisione, che era accompagnata da un divieto di ingresso nel territorio dei Paesi Bassi per una durata di dieci anni, è divenuta definitiva a seguito di sua conferma con sentenza del Raad van State (Consiglio di Stato) del 10 febbraio 2014.

17      A seguito dell’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione europea, K., il 3 ottobre 2014, ha chiesto allo Staatssecretaris la revoca del divieto di ingresso nel territorio pronunciata nei suoi confronti. Con decisione del 22 luglio 2015, lo Staatssecretaris ha accolto tale domanda, pur dichiarando K. indesiderabile nel territorio dei Paesi Bassi, in base all’articolo 67, paragrafo 1, lettera e), della legge sugli stranieri. Il reclamo presentato da K. contro tale decisione è stato respinto con decisione del 9 dicembre 2015.

18      In quest’ultima decisione lo Staatssecretaris si è anzitutto riferito alle decisioni del 15 maggio 2003 e del 16 gennaio 2013 recanti rigetto delle domande di asilo di K., in cui aveva constatato che quest’ultimo si era reso colpevole di condotte ricomprese nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra, essendo stato a conoscenza di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dalle unità speciali dell’esercito bosniaco e avendo preso personalmente parte a tali crimini. Lo Staatssecretaris ha altresì sottolineato che la presenza di K. sul territorio dei Paesi Bassi era tale da arrecare pregiudizio alle relazioni internazionali del Regno dei Paesi Bassi e che occorreva evitare che tale Stato membro divenisse un paese di accoglienza per persone rispetto alle quali sussistevano seri motivi di ritenere che si fossero rese colpevoli di gravi crimini. lo Staatssecretaris ha peraltro considerato che la protezione dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza esigevano che si facesse tutto il possibile per evitare che cittadini olandesi venissero a contatto con persone che nel loro paese di origine si erano rese colpevoli di gravi crimini previsti all’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra. In particolare, occorreva evitare in modo imperativo che persone rimaste vittime delle condotte addebitate a K., o loro familiari, si trovassero in sua presenza nei Paesi Bassi. In base a tutti questi elementi, lo Staatssecretaris ha concluso, da un lato, che K. rappresentava una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società nei Paesi Bassi e, dall’altra, che il diritto al rispetto della vita privata e familiare non ostava a che K. fosse dichiarato indesiderabile.

19      K. ha presentato un ricorso avverso la decisione del 9 dicembre 2015 dinanzi al giudice del rinvio. Egli ha fatto valere, in sostanza, che i motivi addotti dallo Staatssecretaris per giustificare la sua decisione erano insufficienti. Infatti, oltre alla considerazione che le relazioni internazionali di uno Stato membro non rientrerebbero nell’ordine pubblico, l’attualità della minaccia che egli rappresenterebbe sarebbe fondata su presunti comportamenti a lui addebitati risalenti a più di due decenni prima e sulla tesi secondo cui il fatto che tali comportamenti rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra creerebbe una minaccia costante. Peraltro, la tesi secondo cui ogni contatto eventuale di K. con una vittima avvenuto nei Paesi Bassi configurerebbe in sé un rischio per l’ordine pubblico estenderebbe eccessivamente la nozione di «ordine pubblico». Inoltre, non sarebbe stata dimostrata in maniera plausibile la presenza di eventuali vittime di K. in territorio olandese. K. ha aggiunto che, in ogni caso, egli non era mai stato perseguito, né tanto meno condannato per i fatti che gli erano addebitati. Facendo riferimento al punto 50 della sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O (C‑554/13, EU:C:2015:377), K. ha concluso che il motivo generale, invocato dallo Staatssecretaris, basato sulla circostanza che egli rappresentava una minaccia per l’ordine pubblico, era incompatibile con il diritto dell’Unione.

20      Il giudice del rinvio indica, in via preliminare, che, dopo l’adesione della Croazia all’Unione, il diritto dell’Unione si applica alla situazione di K. Dato che il divieto di ingresso nel territorio dei Paesi Bassi può essere pronunciato solo nei confronti di cittadini di paesi terzi, la decisione del 16 gennaio 2013, recante divieto di ingresso di K. nel territorio dei Paesi Bassi per un periodo di dieci anni è stata revocata con decisione del 22 luglio 2015, confermata con la decisione del 9 dicembre 2015, e sostituita da una dichiarazione di indesiderabilità, misura comparabile che può essere adottata nei confronti dei cittadini dell’Unione. Diversamente dal divieto di ingresso, una dichiarazione di indesiderabilità sarebbe valida, in linea di principio, a tempo indeterminato, ma l’interessato potrebbe chiederne la revoca dopo un certo periodo.

21      Il giudice del rinvio osserva, poi, che è assodata l’esistenza di seri motivi che consentono di ritenere che K. abbia commesso un crimine ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra, alla luce dei suoi comportamenti nel periodo compreso tra l’aprile 1992 e il febbraio 1994, quando faceva parte di un’unità dell’esercito bosniaco. È inoltre accertato che K. ha disertato da tale esercito nel febbraio 1994. La dichiarazione di indesiderabilità di K. sarebbe fondata esclusivamente su tali comportamenti. In considerazione del tempo da allora trascorso, si pone pertanto la questione se detti comportamenti possano essere considerati come una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

22      Secondo il giudice del rinvio, si evince dalla giurisprudenza del Raad van State (Consiglio di Stato) che la minaccia per l’interesse fondamentale della società rappresentata da una persona in una situazione come quella di K. è, per sua natura, costantemente attuale e che non è necessario interrogarsi sul comportamento futuro di tale persona. Tale conclusione sarebbe fondata, da un lato, sull’eccezionale gravità dei crimini di cui all’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra e, dall’altro, sulla giurisprudenza della Corte, in particolare sulle sentenze del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661), del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708), e del 22 maggio 2012, I (C‑348/09, EU:C:2012:300).

23      Orbene, il giudice del rinvio si interroga riguardo alla fondatezza di tale interpretazione dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. I suoi dubbi sarebbero rafforzati dal fatto che la prima frase di tale disposizione impone che le misure di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettino il principio di proporzionalità. Inoltre, l’articolo 28, paragrafo 1, di tale direttiva enuncerebbe una serie di fattori di cui lo Stato membro ospitante deve tenere conto prima di adottare una decisione di allontanamento, e l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva disporrebbe che una decisione del genere può essere adottata solo per motivi imperativi di pubblica sicurezza nei confronti di un cittadino dell’Unione che ha soggiornato nello Stato membro ospitante durante i precedenti dieci anni.

24      Il giudice del rinvio di riferisce altresì alla comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38 del 2 luglio 2009 [COM(2009) 313 definitivo], che confermerebbero la complessità della valutazione della proporzionalità di una misura come quella adottata nei confronti di K. K. e i suoi familiari sarebbero completamente inseriti nella società olandese, poiché vivono nei Paesi Bassi dal 2001. K. avrebbe inoltre dichiarato che la sua famiglia aveva ottenuto la cittadinanza croata sulla sola base dell’etnicità, ma che la Croazia sarebbe loro totalmente estranea, non avendovi mai abitato e non risiedendovi nessun loro familiare.

25      Alla luce delle suesposte considerazioni, il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelbourg, Paesi Bassi) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva [2004/38] consenta che un cittadino dell’Unione, come nel presente caso, rispetto al quale è stata accertata giudizialmente l’applicabilità dell’articolo 1, sezione F, lettere a) e b), della Convenzione di Ginevra, venga dichiarato indesiderabile in quanto l’eccezionale gravità dei reati a cui si riferisce la citata disposizione della [Convenzione di Ginevra] conduce alla conclusione che si deve presumere che la minaccia che egli rappresenta per un interesse fondamentale della società è per sua natura costantemente attuale.

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione, come procedere, nel contesto di un esame finalizzato a dichiarare una persona indesiderabile, se il comportamento del cittadino dell’Unione, come sopra indicato, al quale è stato dichiarato applicabile l’articolo 1, sezione F, lettere a) e b), della Convenzione di Ginevra, debba essere considerato come una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. In che misura sia rilevante al riguardo il fatto che dai comportamenti di cui all’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra – che hanno avuto luogo, nel caso di specie, fra il 1992 e il 1994 – sia trascorso, come nel caso in discussione, un lasso di tempo considerevole.

3)      Quale sia il ruolo del principio di proporzionalità nella valutazione relativa a se un provvedimento che dichiara una persona indesiderabile possa essere imposto ad un cittadino dell’Unione al quale è dichiarato applicabile l’articolo 1, sezione F, lettere a) e b), della Convenzione di Ginevra, come nel caso in discussione. Se in tale contesto, o indipendentemente dallo stesso, debbano essere presi in considerazione gli elementi menzionati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. Se in tale contesto, o indipendentemente dallo stesso, debba essere preso in considerazione anche il periodo di dieci anni di soggiorno nello Stato membro ospitante, previsto all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della [detta] direttiva. Se debbano comunque essere considerati gli elementi menzionati al punto 3.3 [della comunicazione COM(2009) 313 definitivo]».

 Causa C366/16

26      H.F., cittadino afgano, è giunto nei Paesi Bassi il 7 febbraio 2000 e ha ivi presentato una domanda di asilo il 6 marzo 2000. Con decisione della competente autorità dei Paesi Bassi del 26 maggio 2003, H.F. è stato escluso dal beneficio dello status di rifugiato sulla base dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra. Tale decisione è stata confermata con sentenza del Rechtbank te ’s‑Gravenhage (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi).

27      Con decisione del 9 gennaio 2006, l’autorità competente dei Paesi Bassi ha rifiutato di rilasciare a H.F. un permesso di soggiorno temporaneo in tale Stato. Tale decisione è stata confermata anche dal Rechtbank te ’s‑Gravenhage (Tribunale dell’Aia). Divenuta definitiva la decisione del 26 maggio 2003, lo Staatssecretaris ha adottato una decisione di espulsione con divieto di ingresso nel territorio nei confronti di F.

28      Nel corso del 2011, H.F. e la figlia si sono stabiliti in Belgio. Il 5 ottobre 2011, H.F. ha presentato una domanda di autorizzazione di soggiorno in Belgio, la quale è stata respinta in quanto irricevibile con decisione del gemachtigde van de staatssecretaris voor Asiel en Migratie en Administrative Vereenvoudiging (delegato del segretario di Stato all’asilo e all’immigrazione, incaricato della semplificazione amministrativa, Belgio) (in prosieguo: il «delegato») del 13 novembre 2012. In pari data, quest’ultimo ha adottato una decisione con cui veniva ordinato a H.F. di lasciare il territorio belga. H.F. ha proposto un ricorso di annullamento avverso tali due decisioni, cui ha in seguito rinunciato.

29      Il 21 marzo 2013, H.F. ha presentato al delegato una domanda volta a ottenere un permesso di soggiorno in Belgio in qualità di familiare di un cittadino dell’Unione, in ragione del fatto che la figlia aveva la cittadinanza olandese. Il 12 agosto 2013 il delegato ha adottato una decisione di diniego del soggiorno con l’ordine di lasciare il territorio belga.

30      In risposta ad una seconda domanda di H.F. con il medesimo oggetto e presentata il 20 agosto 2013, il delegato ha adottato, il 18 febbraio 2014, una decisione di diniego del soggiorno con l’ordine di lasciare il territorio belga. Il ricorso presentato da H.F. contro tale decisione è stato respinto con decisione dell’autorità giurisdizionale competente belga passata in giudicato.

31      Il 18 settembre 2014, H.F. ha presentato una terza domanda volta a ottenere un permesso di soggiorno in qualità di familiare di un cittadino dell’Unione. In seguito a tale domanda, il delegato ha di nuovo adottato, il 5 gennaio 2015, una decisione di diniego del soggiorno con l’ordine di lasciare il territorio. Su ricorso di H.F., tale decisione è stata annullata dal giudice competente belga il 17 giugno 2015.

32      A seguito di tale annullamento il delegato ha adottato nei confronti di H.F., l’8 ottobre 2015, una decisione di diniego di soggiorno di più di tre mesi senza ordine di lasciare il territorio. Tale decisione è oggetto di un ricorso di annullamento proposto da H.F. dinanzi al Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio).

33      Secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, il delegato si è basato, per adottare tale decisione, sulle informazioni contenute nel fascicolo della procedura di asilo relativa a H.F. nei Paesi Bassi, ottenuto con la collaborazione di quest’ultimo. Da tale fascicolo risulterebbe che, secondo la valutazione delle autorità dei Paesi Bassi competenti in materia di asilo, H.F. aveva commesso reati indicati all’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra. In particolare, egli avrebbe partecipato a crimini di guerra o crimini contro l’umanità, o avrebbe ordinato, nell’ambito delle funzioni che esercitava, di commettere tali crimini. Il delegato ha quindi ritenuto che la minaccia per un interesse fondamentale della società rappresentata dalla presenza di una persona come H.F., riguardo alla quale è pacifica l’esistenza di seri motivi di sospettare che abbia commesso reati rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra, presenti, per sua natura, un carattere attuale permanente. La valutazione del comportamento futuro di tale persona, non sarebbe, in tale ipotesi, importante, tenuto conto della natura e della gravità dei reati interessati, cosicché l’attendibilità e l’attualità della minaccia derivante dal comportamento di detta persona, come il rischio di recidiva, non dovrebbero essere dimostrati. Il diniego di soggiorno in una siffatta fattispecie servirebbe inoltre a proteggere le vittime dei reati in parola e, in tal modo, la società di accoglienza e l’ordinamento giuridico internazionale. Per questi motivi, il diniego di riconoscere un diritto di soggiorno a H.F. sarebbe conforme al principio di proporzionalità.

34      Il giudice del rinvio indica che, nonostante la decisione dell’8 ottobre 2015 non contenga nessun ordine di lasciare il territorio belga, essa dovrebbe essere considerata come misura di natura analoga a quelle indicate all’articolo 27, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38. Esso dubita della compatibilità con quest’ultima disposizione della tesi secondo cui la sicurezza nazionale sarebbe compromessa dalla presenza sul territorio di una persona nei cui confronti sia stata adottata circa dieci anni prima, nei Paesi Bassi, una decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato divenuta definitiva.

35      Il giudice del rinvio aggiunge che questa problematica presenta anche un nesso con il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, di cui all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e all’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Secondo lo stesso, trattandosi di una decisione di diniego del diritto di soggiorno, appare opportuno effettuare il test denominato «fair balance».

36      Pertanto, il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva [2004/38], in combinato disposto o meno con l’articolo 7 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che una domanda di soggiorno, presentata da un familiare-cittadino di un paese terzo nel quadro di un ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione, che a sua volta si è avvalso del suo diritto di libera circolazione e di soggiorno, può essere respinta in uno Stato membro stante una minaccia che deriverebbe dalla mera presenza nella società di detto familiare, che in un altro Stato membro è stato escluso dal beneficio dello status di rifugiato, ai sensi degli articoli 1, sezione F, della [Convenzione di Ginevra] e 12, paragrafo 2, della direttiva [2011/95], a causa del suo coinvolgimento in fatti avvenuti in uno specifico contesto storico-sociale nel suo paese di origine, quando l’attualità e la concretezza della minaccia rappresentata dal comportamento di detto familiare nello Stato membro di soggiorno si fondano unicamente su un rinvio alla decisione di esclusione, senza che abbia luogo una valutazione del rischio di recidiva nello Stato membro di soggiorno».

37      Con decisione del presidente della Corte del 21 luglio 2016, le cause C‑331/16 e C‑366/16 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale e della sentenza.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulle due prime questioni e sulla prima parte della terza questione nella causa C331/16 e sulla questione nella causa C366/16

38      Con le due prime questioni e con la prima parte della terza questione nella causa C‑331/16, e con la questione nella causa C‑366/16, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del rinvio chiedono sostanzialmente se l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che il fatto che un cittadino dell’Unione o un cittadino di un paese terzo, familiare di detto cittadino, che chiede il rilascio di un permesso di soggiorno sul territorio di uno Stato membro, sia stato in passato destinatario di una decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato in quanto vi erano seri motivi di sospettare che si fosse reso colpevole di atti di cui all’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, consente alle autorità competenti di tale Stato membro di considerare automaticamente che la sua semplice presenza su tale territorio costituisca, indipendentemente dall’esistenza o meno di un rischio di recidiva, una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. In caso di risposta negativa, il giudice del rinvio nella causa C‑331/16, chiede come debba essere valutata l’esistenza di siffatta minaccia e, in particolare, in quale misura occorra tener conto del tempo trascorso dalla presunta commissione di tali atti. Esso si interroga inoltre sull’incidenza del principio di proporzionalità, menzionato all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, sull’adozione di una decisione relativa all’indesiderabilità, nello Stato membro interessato, della persona destinataria di una tale decisione di esclusione.

39      Dall’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 risulta che gli Stati membri possono adottare misure limitative della libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, in particolare per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, motivi che non possono tuttavia essere invocati per fini soltanto economici.

40      Secondo costante giurisprudenza della Corte, se è pur vero che gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare, conformemente alle loro necessità nazionali – che possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra – le regole di ordine pubblico e pubblica sicurezza, specie laddove autorizzino una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone, tali regole devono tuttavia essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. (sentenza del 22 maggio 2012, I, C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 23 e giurisprudenza ivi citata; v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2017, E, C‑193/16, EU:C:2017:542, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

41      Pertanto, la nozione di «ordine pubblico» contenuta negli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38 è stata interpretata dalla giurisprudenza della Corte nel senso che il ricorso a tale nozione presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società (sentenza del 24 giugno 2015, H.T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

42      Quanto alla nozione di «pubblica sicurezza», dalla giurisprudenza della Corte risulta che tale nozione comprende tanto la sicurezza interna di uno Stato membro quanto la sua sicurezza esterna (sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 43). La sicurezza interna può essere pregiudicata, in particolare, da una minaccia diretta per la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione dello Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenza del 22 maggio 2012, I, C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 28). Quanto alla sicurezza esterna, essa può essere pregiudicata, in particolare, dal rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali di tale Stato membro o della coesistenza pacifica dei popoli (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 44).

43      Nel caso di specie, risulta dalle indicazioni del giudice di rinvio che la decisione di rigetto del reclamo di K. contro la dichiarazione relativa alla sua indesiderabilità sul territorio olandese, e la decisione di diniego del riconoscimento a H.F. di un diritto di soggiorno di più di tre mesi sul territorio belga, sono state motivate con la considerazione che, alla luce della loro precedente esclusione dal beneficio dello status di rifugiato sulla base dell’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, la loro mera presenza sul territorio degli Stati membri interessati sarebbe stata idonea ad arrecare pregiudizio alle relazioni internazionali di questi Stati membri, nonché con la necessità di impedire che gli interessati potessero entrare in contatto con i cittadini di tali Stati membri che sono stati vittime dei reati e dei comportamenti loro addebitati, eventualmente presenti sul territorio di tali Stati membri.

44      Inoltre, i governi francese e del Regno Unito hanno sottolineato nelle loro osservazioni alla Corte che misure del tipo di quelle adottate nei confronti di K. e di H.F. possono anche contribuire a garantire la protezione dei valori fondamentali della società di uno Stato membro e dell’ordinamento giuridico internazionale e a mantenere la coesione sociale, la fiducia del pubblico nei sistemi giudiziari e di immigrazione e la credibilità dell’impegno degli Stati membri nella protezione dei valori fondamentali di cui agli articoli 2 e 3 TUE.

45      Non si può escludere, come l’avvocato generale ha sostanzialmente rilevato al paragrafo 68 delle sue conclusioni, che motivi quali quelli menzionati ai punti 43 e 44 della presente sentenza possano essere considerati dagli Stati membri come motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, idonei a giustificare l’adozione di misure che limitano la libertà di circolazione e di soggiorno nel loro territorio di un cittadino dell’Unione o di un cittadino di un paese terzo familiare di tale cittadino.

46      Inoltre, è importante sottolineare che i crimini e le azioni di cui all’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 costituiscono una grave minaccia ai valori fondamentali quali il rispetto della dignità umana e dei diritti umani, su cui, come sancito dall’articolo 2 TUE, l’Unione si fonda, e alla pace, che l’Unione ha come scopo di promuovere, a norma dell’articolo 3 TUE.

47      Da tali elementi risulta che una restrizione imposta da uno Stato membro alle libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un cittadino di un paese terzo familiare di tale cittadino, che sia stato destinatario, in passato, di una decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, può rientrare nella nozione di «provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38.

48      Ciò precisato, risulta dal tenore letterale dell’articolo 27, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38 che le misure di ordine pubblico o di pubblica sicurezza cui esso si riferisce devono essere fondate esclusivamente sul comportamento personale del soggetto in questione.

49      Inoltre, l’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva subordina l’adozione di tali misure alla condizione che il comportamento dell’interessato rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società o dello Stato membro ospitante.

50      Orbene, si deve ricordare, a tale riguardo, che le cause di esclusione dello status di rifugiato previste all’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra e all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 sono state istituite al fine di escludere dal beneficio di tale status le persone ritenute indegne della protezione ad esso connessa, nonché di evitare che la concessione di tale status consenta ad autori di determinati gravi reati di sottrarsi alla responsabilità penale, con la conseguenza che l’esclusione dal beneficio dello status di rifugiato non è subordinata all’esistenza di un pericolo attuale per lo Stato membro di accoglienza (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2010, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 104).

51      Ne consegue che il fatto che la persona interessata sia stata destinataria, in passato, di una decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato ai sensi di una di tali disposizioni non può automaticamente portare alla constatazione che la sua semplice presenza sul territorio dello Stato membro ospitante costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, prima frase, della direttiva 2004/38.

52      Le misure fondate su motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottate esclusivamente quando risulta, sulla base di una valutazione caso per caso da parte delle autorità nazionali competenti, che il comportamento individuale del soggetto in questione rappresenti realmente una minaccia effettiva e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società (sentenza dell’8 dicembre 2011, Ziebell, C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 82 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì, in tal senso, sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri, C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 77).

53      Una simile valutazione è pertanto altresì necessaria ai fini dell’eventuale adozione, da parte dell’autorità competente di uno Stato membro, di una misura basata su motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, nei confronti di una persona in relazione alla quale le autorità competenti in materia di asilo hanno ritenuto che vi fossero seri motivi di sospettare che essa avesse commesso crimini o si fosse resa colpevole di atti rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95.

54      Tale valutazione deve prendere in considerazione le constatazioni della decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato di cui è stato destinatario l’individuo in questione e gli elementi su cui essa è fondata, in particolare la natura e la gravità dei reati e dei comportamenti contestati a tale persona, il livello del suo coinvolgimento personale in questi ultimi e l’eventuale esistenza di motivi di esclusione della responsabilità penale quali la coercizione o la legittima difesa.

55      Tale esame è tanto più necessario nell’ipotesi in cui, come nelle cause principali, l’interessato non è stato oggetto di alcuna condanna penale per i crimini o gli atti invocati per giustificare il rigetto, in passato, della sua domanda di asilo.

56      Inoltre, benché, in generale, l’accertamento di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38 faccia presumere la tendenza della persona interessata a persistere nel comportamento che costituisce tale minaccia, non è escluso che la sola condotta tenuta in passato costituisca una siffatta minaccia (sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau, 30/77, ECLI:EU:C:1977:172, punto 29).

57      Nel caso di specie, il giudice del rinvio nella causa C‑331/16 si interroga sull’incidenza del decorso di un notevole lasso di tempo dalla presunta commissione degli atti che hanno giustificato l’esclusione di K. dal beneficio dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra.

58      A questo proposito, il tempo trascorso da detta commissione è, certo, un elemento pertinente ai fini di valutare l’esistenza di una minaccia come quella di cui all’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38 (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O., C‑554/13, EU:C:2015:377, punti da 60 a 62). Tuttavia, l’eventuale eccezionale gravità degli atti in questione può essere idonea a evidenziare, anche dopo un periodo di tempo relativamente lungo, la persistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società.

59      Nella causa C‑366/16, il giudice del rinvio si interroga sulla rilevanza, ai fini di tale valutazione, del rischio di recidiva nello Stato membro ospitante, ove i reati o gli atti di cui all’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 si sono prodotti nel paese d’origine dell’interessato, in un contesto storico e sociale specifico che è improbabile che si ripresenti in tale Stato membro.

60      A tale riguardo occorre rilevare che, anche se sembrerebbe poco probabile che tali crimini o atti possano riprodursi al di fuori del loro contesto storico e sociale specifico, un comportamento dell’interessato che dimostri la persistenza di un suo atteggiamento che attenti ai valori fondamentali di cui agli articoli 2 e 3 TUE, quali la dignità umana e i diritti dell’uomo, che tali crimini o tali atti indicano, è idoneo a costituire una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, prima frase, della direttiva 2004/38.

61      Occorre ancora precisare che, come risulta dall’articolo 27, paragrafo 2, di tale direttiva e dalla costante giurisprudenza della Corte, un provvedimento restrittivo del diritto alla libera circolazione può essere giustificato solo se rispetta il principio di proporzionalità, il che presuppone che si determini se tale misura sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo che persegue e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo (v., in tal senso, sentenza del 17 novembre 2011, Gaydarov, C‑430/10, EU:C:2011:749, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

62      Tale valutazione implica un bilanciamento tra, da un lato, la minaccia che il comportamento personale dell’interessato rappresenta per gli interessi fondamentali della società di accoglienza e, dall’altro, la tutela dei diritti che i cittadini dell’Unione e i loro familiari traggono dalla direttiva 2004/38 (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

63      Nell’ambito di tale valutazione occorre prendere in considerazione i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto, in particolare il diritto al rispetto della vita privata e familiare quale sancito all’articolo 7 della Carta e all’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

64      Come l’avvocato generale ha rilevato al paragrafo 112 delle sue conclusioni, lo Stato membro ospitante è tenuto segnatamente a verificare, in tale contesto, la possibilità di adottare altre misure meno lesive della libertà di circolazione e di soggiorno dell’interessato di pari efficacia per assicurare la protezione degli interessi fondamentali invocati (v., in tal senso, sentenza del 17 novembre 2011, Aladzhov, C‑434/10, EU:C:2011:750, punto 47).

65      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle due prime questioni e alla prima parte della terza questione nella causa C‑331/16, e alla questione nella causa C‑366/16, che l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato nel senso che il fatto che il cittadino dell’Unione o il cittadino di un paese terzo, familiare di detto cittadino, che chiede il rilascio di un permesso di soggiorno in uno Stato membro, sia stato in passato destinatario di una decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra o dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, non consente alle autorità competenti di tale Stato membro di considerare automaticamente che la sua semplice presenza sul territorio di tale Stato costituisca, indipendentemente dall’esistenza di un rischio di recidiva, una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, tale da giustificare l’adozione di misure di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

66      La constatazione dell’esistenza di una tale minaccia deve essere fondata su una valutazione, da parte delle autorità competenti dello Stato membro ospitante, del comportamento personale dell’interessato, che prenda in considerazione le conclusioni della decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato e gli elementi su cui essa è fondata, in particolare la natura e la gravità dei crimini o degli atti che gli sono contestati, il livello del suo coinvolgimento personale in essi, l’eventuale esistenza di motivi di esonero da responsabilità penale e l’esistenza o meno di una condanna penale. Tale valutazione globale deve anche tener conto del tempo trascorso dalla presunta commissione di tali crimini o atti nonché del comportamento successivo di tale persona, e in particolare considerare se tale comportamento manifesti la persistenza di un atteggiamento che attenti ai valori fondamentali di cui agli articoli 2 e 3 TUE, in un modo che potrebbe turbare gravemente la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione. Il solo fatto che il comportamento passato di tale individuo s’inserisca nel contesto storico e sociale specifico del suo paese di origine, che non può riprodursi nello Stato membro ospitante, non osta a tale constatazione.

67      Conformemente al principio di proporzionalità, le autorità competenti dello Stato membro ospitante devono inoltre mettere a confronto, da un lato, la tutela dell’interesse fondamentale della società di cui trattasi e, dall’altro, gli interessi della persona di cui trattasi, relativi all’esercizio della sua libertà di circolazione e di soggiorno in quanto cittadino dell’Unione nonché al suo diritto al rispetto della vita privata e familiare.

 Sulla seconda parte della terza questione nella causa C331/16

68      Con la seconda parte della sua terza questione, il giudice del rinvio nella causa C‑331/16 chiede, in sostanza, da un lato, se gli elementi di cui all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 debbano essere presi in considerazione ai fini dell’adozione di una decisione relativa all’indesiderabilità, nel territorio dello Stato membro interessato, di una persona la cui domanda di asilo in passato è stata respinta sulla base dell’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra, e, dall’altro, se la tutela rafforzata di cui godono, in forza dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, i cittadini dell’Unione che hanno risieduto per i precedenti dieci anni nello Stato membro ospitante si applichi alla situazione di una tale persona.

69      A tale proposito, occorre rilevare che, in udienza, il governo dei Paesi Bassi ha indicato che la decisione del 22 luglio 2015 con cui si dichiara K. indesiderabile nel territorio olandese comportava l’obbligo per quest’ultimo di lasciare detto territorio. Pertanto, tale decisione deve essere considerata una decisione di allontanamento, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

70      Per l’adozione di una tale decisione nel rispetto del principio di proporzionalità occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità del comportamento addebitato all’interessato, della durata e, se del caso, della legalità del suo soggiorno nello Stato membro ospitante, del tempo trascorso da quando ha avuto luogo tale comportamento, del comportamento da lui tenuto durante tale periodo, del grado della sua attuale pericolosità per la società, nonché della solidità dei legami sociali, culturali e familiari con detto Stato membro.

71      Riguardo alla protezione di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, si deve ricordare che tale direttiva istituisce un sistema di protezione contro le misure di allontanamento fondato sul grado d’integrazione delle persone interessate nello Stato membro ospitante, di modo che quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari in tale Stato membro, tanto più forti sono le garanzie contro l’allontanamento di cui essi godono (v., in tal senso, sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 25, nonché del 17 aprile 2018, B e Vomero, C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 44).

72      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, secondo il quale una decisione di allontanamento può essere adottata nei confronti di un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni solo per «motivi imperativi di pubblica sicurezza», si inserisce nel contesto di tale regime e rafforza notevolmente la tutela delle persone cui tale disposizione è applicabile nei confronti dei provvedimenti di allontanamento di cui potrebbero essere oggetto (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 28).

73      Tuttavia, come la Corte ha dichiarato nella sentenza del 17 aprile 2018, B e Vomero (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 61), l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato nel senso che il beneficio della protezione contro l’allontanamento dal territorio di cui alla detta disposizione è subordinato alla condizione che l’interessato disponga di un diritto di soggiorno permanente, ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, di tale direttiva. Orbene, risulta dall’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 che tale diritto può essere acquisito solo se la persona interessata abbia soggiornato legalmente nello Stato membro ospitante e in via continuativa per cinque anni conformemente alle condizioni previste da tale direttiva, in particolare quelle enunciate all’articolo 7, paragrafo 1, della stessa (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 46), o da uno strumento del diritto dell’Unione anteriore al 30 aprile 2006, data di scadenza del termine di trasposizione di quest’ultima direttiva (v., in tal senso, sentenza del 7 ottobre 2010, Lassal, C‑162/09, EU:C:2010:592, punti da 33 a 40).

74      Il soggiorno conforme al diritto di uno Stato membro, ma che non soddisfa le condizioni previste dal diritto dell’Unione, non può essere considerato come soggiorno legale ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, di modo che non si può ritenere che un cittadino dell’Unione, il quale abbia soggiornato più di cinque anni nello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto interno di quest’ultimo, abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente in conformità a detta disposizione, se, durante tale soggiorno, egli non soddisfaceva dette condizioni (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punti 47 e 51).

75      Nel caso di specie, anche se la decisione di rinvio indica che K. ha soggiornato nel territorio olandese in via continuativa dal mese di febbraio 2001, essa non contiene tuttavia nessun elemento da cui possa dedursi che K., nonostante il rigetto delle sue domande di asilo, abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni in tale Stato conformemente alle condizioni enunciate dalla direttiva 2004/38 o da uno strumento del diritto dell’Unione anteriore ad essa. Da detta decisione non si può quindi dedurre che K. abbia acquisito un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 di tale direttiva. In tali circostanze, che spetta al giudice del rinvio verificare, è lecito ritenere che la protezione rafforzata contro l’allontanamento prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva non è applicabile al caso di specie.

76      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda parte della terza questione nella causa C‑331/16 dichiarando che l’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che, quando le misure previste comportano l’allontanamento dell’interessato dallo Stato membro ospitante, quest’ultimo deve tenere conto della natura e della gravità del comportamento di tale persona, della durata e, se del caso, della legalità del suo soggiorno in tale Stato membro, del tempo trascorso dal comportamento contestatole, del comportamento da lui tenuto durante tale periodo, del grado della sua attuale pericolosità per la società, nonché della solidità dei legami sociali, culturali e familiari con detto Stato membro.

77      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che esso non si applica al cittadino dell’Unione che non gode di un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante, ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, di tale direttiva.

 Sulle spese

78      Nei confronti delle parti nei procedimenti principali la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi ai giudici nazionali, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, dev’essere interpretato nel senso che il fatto che il cittadino dell’Unione europea o il cittadino di un paese terzo, familiare di detto cittadino, che chiede il rilascio di un permesso di soggiorno in uno Stato membro, sia stato in passato destinatario di una decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, e completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967, o dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, non consente alle autorità competenti di tale Stato membro di considerare automaticamente che la sua semplice presenza sul territorio di tale Stato costituisca, indipendentemente dall’esistenza di un rischio di recidiva, una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, tale da giustificare l’adozione di misure di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

La constatazione dell’esistenza di una tale minaccia deve essere fondata su una valutazione, da parte delle autorità competenti dello Stato membro ospitante, del comportamento personale dell’interessato, che prenda in considerazione le conclusioni della decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato e gli elementi su cui essa è fondata, in particolare la natura e la gravità dei crimini o degli atti che gli sono contestati, il livello del suo coinvolgimento personale in essi, l’eventuale esistenza di motivi di esonero da responsabilità penale e l’esistenza di una condanna penale. Tale valutazione globale deve anche tenere conto del tempo trascorso dalla presunta commissione di tali crimini o atti nonché del comportamento successivo di tale persona, e in particolare considerare se tale comportamento manifesti la persistenza di un atteggiamento che attenti ai valori fondamentali di cui agli articoli 2 e 3 TUE, in un modo che potrebbe turbare gravemente la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione. Il solo fatto che il comportamento passato di tale individuo s’inserisca nel contesto storico e sociale specifico del suo paese di origine, che non può riprodursi nello Stato membro ospitante, non osta a tale constatazione.

Conformemente al principio di proporzionalità, le autorità competenti dello Stato membro ospitante devono inoltre bilanciare, da un lato, la tutela dell’interesse fondamentale della società di cui trattasi con, dall’altro, gli interessi della persona di cui trattasi, relativi all’esercizio della sua libertà di circolazione e di soggiorno in quanto cittadino dell’Unione nonché al suo diritto al rispetto della vita privata e familiare.

2)      L’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che, quando le misure previste comportano l’allontanamento dell’interessato dallo Stato membro ospitante, quest’ultimo deve tenere conto della natura e della gravità del comportamento di tale persona, della durata e, se del caso, della legalità del suo soggiorno in tale Stato membro, del tempo trascorso dal comportamento contestatole, della sua condotta durante tale periodo, del grado della sua attuale pericolosità per la società, nonché della solidità dei legami sociali, culturali e familiari con detto Stato membro.

L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che esso non si applica al cittadino dell’Unione europea che non gode di un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante, ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, di tale direttiva.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.


i Il titolo corrente del presente testo è stato oggetto di una modifica di ordine linguistico, successivamente alla sua pubblicazione iniziale.