Language of document : ECLI:EU:C:2012:569

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 13 settembre 2012 (1)

Causa C‑364/11

Mostafa Abed El Karem El Kott

Chadi Amin A Radi

Hazem Kamel Ismail

contro

Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal


ENSZ Menekültügyi Főbiztosság (interveniente)

[domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dal Fővárosi Bíróság (Ungheria)]

«Direttiva 2004/83/CE – Condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini di paesi terzi o apolidi che invocano lo status di rifugiati – Apolidi palestinesi che si sono avvalsi dell’assistenza dell’UNRWA – Significato di “[q]uando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo” e “ammesse ai benefici della presente direttiva”»






1.        La Corte è nuovamente chiamata a interpretare l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE (2) (che di fatto traspone nel diritto dell’Unione l’articolo 1, sezione D, della Convenzione di Ginevra, del 28 luglio 1951, relativa allo status dei rifugiati) (3) riguardo al significato dell’espressione «benefici della presente direttiva» cui hanno diritto i rifugiati palestinesi cui è stata concessa assistenza o protezione da parte dell’UNRWA (4) quando «siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo».

2.        Talune questioni attinenti all’interpretazione di entrambe le espressioni erano già state sollevate – in termini pressoché identici – nella causa Bolbol (5). In quel caso, tuttavia, la richiedente non aveva ricevuto protezione o assistenza dall’UNRWA prima di lasciare la Striscia di Gaza per cercare asilo in Ungheria (la sua richiesta era fondata sul diritto di chiedere protezione o assistenza). La Corte pertanto non ha ritenuto necessario occuparsi delle condizioni alle quali la protezione o assistenza può dirsi cessata per qualsiasi motivo o della natura dei benefici della direttiva cui tale cessazione dà diritto.

3.        Nelle mie conclusioni relative alla causa Bolbol mi sono comunque occupata di tali questioni. Il contesto storico e normativo pertinente è in ampia parte illustrato all’interno delle suddette conclusioni e nella sentenza pronunciata in tale causa; in questa sede mi limiterò a rammentare solo le disposizioni fondamentali. Mi richiamerò anche all’analisi da me effettuata nell’ambito della causa Bolbol sulle due questioni che oggi vengono ripresentate dinanzi alla Corte, limitandomi, del pari, a riproporre solo quanto risulterà necessario.

 Disposizioni fondamentali

4.        Ai sensi dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, primo comma, della Convenzione, il termine «rifugiato» indica chiunque, «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure (...) chiunque, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra».

5.        L’articolo 1, sezione D, della Convenzione così recita:

«La presente Convenzione non potrà applicarsi a coloro che beneficiano attualmente di protezione o assistenza da parte di organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati [(6)].

Qualora questa protezione o questa assistenza, per un qualunque motivo, dovessero venire a cessare senza che la situazione di queste persone sia stata definitivamente regolata in conformità con le risoluzioni adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, costoro avranno pieno diritto di usufruire del regime previsto dalla presente Convenzione».

6.        Occorre osservare che in francese, l’altra lingua autentica della Convenzione, l’ultima parte della seconda frase è formulata come segue: «ces personnes bénéficieront de plein droit du régime de cette convention» («costoro beneficeranno di diritto del regime previsto dalla presente Convezione»).

7.        Riprendendo la Convenzione, l’articolo 2, lettera c), della direttiva definisce «rifugiato» il «cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12».

8.        L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva, contenuto nel capo III (Requisiti per essere considerato rifugiato), corrisponde all’articolo 1, sezione D, della Convenzione e stabilisce quanto segue:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se:

a)      rientra nel campo d’applicazione dell’articolo 1D della convenzione di Ginevra, relativo alla protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni unite diversi dall’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati. Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva [(7)];

(…)».

9.        Può essere d’aiuto ricordare anche le disposizioni seguenti che individuano il contesto all’interno del quale opera l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a).

10.      Ai sensi dell’articolo 13 della direttiva, contenuto nel capo IV (Status di rifugiato), lo status di rifugiato è riconosciuto al cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile quale rifugiato in conformità dei capi II (Valutazione delle domande di protezione internazionale) e III (Requisiti per essere considerato rifugiato). Quanto alla valutazione, l’articolo 4 impone che le richieste vengano esaminate su base individuale, tenendo conto di un ampio numero di fatti pertinenti, di cui il richiedente deve dare prova.

11.      Il capo V si occupa dei requisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria, mentre il capo VI regolamenta lo status di protezione sussidiaria. L’articolo 18 disciplina la concessione di tale status a un cittadino di un paese terzo o a un apolide ammissibile a beneficiare della protezione sussidiaria in conformità dei capi II e V. La definizione di persona ammissibile a beneficiare della protezione sussidiaria, contenuta all’articolo 2, lettera e), è simile a quella di rifugiato ma si differenza essenzialmente per il fatto che il criterio del timore fondato di persecuzioni (come membro di un determinato gruppo) è sostituito dal rischio effettivo di subire un grave danno (come singolo).

12.      Il capo VII della direttiva (articoli 20‑34) stabilisce il contenuto della protezione internazionale (sia per lo status di rifugiato che per lo status di protezione sussidiaria) senza pregiudizio dei diritti sanciti nella Convenzione (articolo 20, paragrafi 1 e 2). L’articolo 21, paragrafo 1, impone agli Stati membri di rispettare il principio di «non‑refoulement» in conformità dei propri obblighi internazionali. In linea generale, il contenuto della protezione è lo stesso sia per lo status di rifugiato, sia per lo status di protezione sussidiaria. Le differenze principali riguardano il rilascio dei documenti di soggiorno e di viaggio in relazione ai quali lo status di rifugiato accorda diritti più ampi (8).

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

13.      I procedimenti principali riguardano tre apolidi palestinesi che si sono recati in Ungheria chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiati dopo essere fuggiti dal Libano, dove avevano vissuto in campi profughi in cui l’UNRWA forniva assistenza in materia di istruzione, salute, soccorso e servizi sociali.

14.      Secondo quanto illustrato nell’ordinanza di rinvio, Mostafa Abed El Karem El Kott viveva nel campo di Ein el‑Hilweh. Egli lavorava fuori dal campo ma, guadagnando talmente poco da non poter mantenere la propria famiglia, aveva iniziato a vendere illegalmente alcolici nel campo profughi. Alcuni militanti del gruppo Jund el‑Sham incendiavano la sua casa e lo minacciavano. Egli lasciava il campo e fuggiva dal Libano, dove era certo che sarebbe stato trovato. In Ungheria il Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal (Ufficio per l’immigrazione e la cittadinanza; in prosieguo: il «BAH») non gli ha riconosciuto lo status di rifugiato, ma ha emesso a suo favore un divieto di espulsione («non‑refoulement»).

15.      Chadi Amin A Radi ha perso la propria abitazione nel campo di Nahr el Bared, distrutto durante gli scontri tra l’esercito libanese e il gruppo islamico Fatah. La famiglia del ricorrente ha perso la propria abitazione e il proprio negozio. Non essendovi spazio nel vicino campo profughi di Baddawi, il ricorrente, insieme ai genitori e ai fratelli, si stabiliva nella casa di un conoscente a Tripoli. Tuttavia, i soldati libanesi li insultavano, maltrattavano, incarceravano arbitrariamente, torturavano e umiliavano. Poiché in quanto palestinesi erano privi di diritti, il sig. A Radi decideva di lasciare il Libano insieme al padre. Anche in questo caso, il BAH non gli ha riconosciuto lo status di rifugiato, ma ha emesso a suo favore un divieto di espulsione.

16.      Hazem Kamel Ismail viveva con la famiglia nel campo profughi di Ein el‑Hilweh. Durante i conflitti armati tra Fatah e Jund el‑Sham, gli estremisti volevano usare il tetto della casa del ricorrente. Essendosi rifiutato, questi veniva minacciato e sospettato di essere un agente nemico. Dal momento che non apparteneva ad alcuna organizzazione che avrebbe potuto mobilitarsi in sua difesa, egli si recava a Beirut con la sua famiglia. Non sentendosi sicuri in tal luogo, costoro si recavano in Ungheria. Egli ha prodotto un certificato del Comitato popolare palestinese attestante che erano stati costretti ad abbandonare il campo profughi di Ein el‑Hilweh per motivi di sicurezza e a seguito di minacce da parte degli estremisti islamici, oltre a fotografie che documentavano gli atti vandalici compiuti a danno della loro abitazione. Il BAH non ha riconosciuto al sig. Kamel Ismail lo status di rifugiato, ma ha concesso alla sua famiglia la protezione sussidiaria.

17.      In udienza veniva confermato che, nell’esaminare le richieste, il BAH aveva trattato i sigg. Abed El Karem El Kott, A Radi e Kamel Ismail come richiedenti ordinari dello status di rifugiato e aveva esaminato le loro domande conformemente alla direttiva 2005/85 (9), giungendo alla conclusione che essi non soddisfacevano i criteri stabiliti all’articolo 2, lettera c), della direttiva 2004/83. Pertanto, esso li considera come rientranti nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva, ma non come aventi diritto a ottenere lo status di rifugiati in virtù del solo fatto che in passato avevano ottenuto assistenza dall’UNRWA, che ora però avevano cessato di ricevere.

18.      Tutti e tre impugnavano davanti al Fővárosi Bíróság (Tribunale di Budapest) il diniego del BAH concernente la concessione dello status di rifugiato. L’ENSZ Menekültügyi Főbiztosság (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati; in prosieguo: l’«UNHCR») è intervenuto nel procedimento principale.

19.      Il Fővárosi Bíróság sottopone in via pregiudiziale le seguenti questioni:

«Ai fini dell’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio:

1.      Se il fatto di essere ammesso ai benefici della direttiva comporti il riconoscimento dello status di rifugiato o di una qualsiasi delle due forme di protezione incluse nell’ambito di applicazione della direttiva (lo status di rifugiato e il riconoscimento della protezione sussidiaria) in funzione della scelta effettuata dallo Stato membro, oppure non implichi automaticamente alcuna di dette forme ma solo l’appartenenza all’ambito di applicazione ratione personae della direttiva.

2.      Se la cessazione della protezione o dell’assistenza di detta agenzia implichi il soggiorno al di fuori della sua area di operazioni, la cessazione dell’attività dell’agenzia, il fatto che quest’ultima non possa più offrire la protezione o l’assistenza o, eventualmente, un impedimento involontario causato da motivi legittimi e oggettivi tale che la persona avente diritto alla protezione o all’assistenza non possa ricorrervi».

20.      La prima delle suddette questioni è letteralmente identica alla terza questione sollevata dallo stesso giudice nella causa Bolbol; la seconda è essenzialmente identica alla seconda questione ivi sollevata.

21.      Hanno presentato osservazioni scritte il sig. Kamel Ismail, l’UNHCR, i governi belga, tedesco, francese, ungherese, rumeno e del Regno Unito, nonché la Commissione, i quali hanno tutti presenziato all’udienza del 15 maggio 2012. Le osservazioni scritte presentate per conto dei sigg. Abed El Karem El Kott e A Radi sono pervenute 18 giorni dopo la scadenza del termine di due mesi fissato all’articolo 23, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e sono state pertanto respinte. I loro avvocati non rispondevano all’invito a presenziare all’udienza.

 Analisi

 Introduzione

22.      Nelle mie conclusioni nella causa Bolbol ho affrontato le questioni sollevate occupandomi anzitutto dell’interpretazione della Convenzione, per poi applicare i risultati di tale interpretazione alla direttiva per rispondere alle questioni effettivamente sottoposte (10).

23.      Ho anzitutto tratto dalla Convenzione una serie di principi guida. Brevemente:

–        tutti i veri rifugiati meritano protezione e assistenza;

–        i profughi palestinesi hanno diritto a ricevere un trattamento e una considerazione speciali;

–        le persone che ricevono assistenza da parte dell’UNRWA non possono chiedere il riconoscimento dello status di rifugiati sotto la supervisione dell’UNHCR;

–        tuttavia, le persone che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, sezione D, seconda frase, hanno diritto a beneficiare dei vantaggi derivanti dalla Convenzione e non cessano semplicemente di essere esclusi dal suo ambito di applicazione;

–        la condizione della cessazione dell’assistenza non può essere interpretata in modo tale da bloccare tali persone nell’area dell’UNRWA, impedendo loro di richiedere altrove lo status di rifugiati fino alla completa soluzione della questione palestinese e allo scioglimento dell’UNRWA;

–        la succitata condizione non può neppure essere interpretata nel senso di attribuire a tutti i profughi palestinesi il diritto di abbandonare volontariamente l’area dell’UNRWA e di richiedere automaticamente altrove il riconoscimento dello status di rifugiato;

–        le due frasi di cui si compone l’articolo 1, sezione D, devono essere lette congiuntamente per trovare un giusto equilibrio tra il trattamento dei profughi palestinesi e quello di altri potenziali rifugiati (11).

24.      Da tali principi ho tratto poi alcune conclusioni:

–        un profugo palestinese che riceve assistenza dall’UNRWA è escluso dall’ambito di applicazione della Convenzione (non vi è sovrapposizione tra l’UNRWA e l’UNHCR);

–        un profugo palestinese che non riceve assistenza dall’UNRWA non è escluso dall’ambito di applicazione della Convenzione ma deve essere trattato alla stregua di qualunque altro soggetto che richieda il riconoscimento dello status di rifugiato (protezione universale; assenza di sovrapposizione tra l’UNRWA e l’UNHCR);

–        un profugo palestinese che ha ricevuto assistenza dall’UNRWA, ma non può più beneficiarne, cessa di essere escluso dall’ambito di applicazione della Convenzione (protezione universale).

Egli può allora fruire o meno dei vantaggi derivanti dalla Convenzione a seconda del motivo per cui non può più ricevere tale assistenza:

–        se ciò si verifica a causa di circostanze esterne sulle quali non ha alcun controllo, egli avrà automaticamente diritto allo status di rifugiato (principio del trattamento e della considerazione speciali);

–        se ciò dipende dalla sua volontà, egli non può richiedere che gli venga automaticamente riconosciuto lo status di rifugiato, ma può richiedere il riconoscimento di tale status come ogni altro (protezione universale; trattamento leale e interpretazione equilibrata) (12).

25.      Nel trasporre tali conclusioni all’interpretazione della direttiva, sono giunta alla conclusione, riguardo alla seconda e alla terza questione sottoposta, che

–        la «protezione o assistenza cess[a]» quando, per motivi diversi dalla sua volontà, la persona interessata ha smesso di usufruire della protezione o dell’assistenza di cui prima beneficiava; e

–        i «benefici della presente direttiva» comportano il riconoscimento come rifugiato e la concessione automatica dello status di rifugiato (13).

26.      In seguito al procedimento principale nell’ambito della presente causa, la Corte ha a disposizione un numero maggiore di osservazioni che sviluppano ulteriormente quelle presentate nella causa Bolbol e che tengono conto della sentenza pronunciata in tale causa. Dopo aver analizzato in dettaglio le nuove osservazioni, sono giunta a conclusioni che non divergono essenzialmente da quelle formulate nella causa Bolbol. Pertanto, rinvio all’analisi dettagliata da me ivi esposta. Su un aspetto, tuttavia, ho mutato in parte il mio punto di vista (14), benché non si tratti di un aspetto che incide direttamente sulle risposte da dare alle questioni sollevate.

27.      Prima di analizzare nuovamente le suddette risposte, ritengo sia utile esaminare tale aspetto già nella presente parte introduttiva e sviluppare altre considerazioni la cui rilevanza è divenuta più evidente nel corso del procedimento qui in esame e che chiariscono il contesto in cui vanno lette le mie opinioni. Esaminerò pertanto i) i testi che la Corte dovrebbe prendere in considerazione nell’interpretare l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva; ii) il suggerimento secondo cui tale norma potrebbe individuare una categoria distinta di rifugiati equiparabile a quella di cui all’articolo 2, lettera c); iii) le tipologie di situazioni in cui una persona può trovarsi in relazione all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a); iv) l’ambito di applicazione ratione personae e ratione temporis dell’esclusione dallo status di rifugiato prevista all’interno di tale norma (si tratta dell’aspetto in relazione al quale ho mutato il mio punto di vista), e v) l’interdipendenza tra le questioni. Illustrerò brevemente le varie risposte che sono state proposte in relazione a tali questioni, prima di analizzare a mia volta le questioni stesse.

 Il testo rilevante

28.      La Corte è chiamata a interpretare l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, in particolare, le espressioni «ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva» e «[q]uando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo». Questa norma esiste in 22 versioni linguistiche, tutte ugualmente autentiche, le quali, sfortunatamente, non contengono formulazioni equivalenti parola per parola, in particolare per la prima frase.

29.      Secondo una giurisprudenza consolidata, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una norma di diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di questa disposizione, né si può attribuire a essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Piuttosto, le varie versioni devono essere interpretate in modo uniforme; in caso di divergenze tra loro, la disposizione deve essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte (15).

30.      Nel caso di specie, la prima frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva si riferisce all’articolo 1, sezione D, (primo comma) della Convenzione, mentre la seconda frase ripropone in ampia misura il suo secondo comma. La Convenzione fornisce il contesto – e, in tal modo, aiuta a definire l’economia generale e la finalità – della direttiva che la richiama frequentemente. Essa esiste soltanto in due versioni linguistiche parimenti autentiche, ovvero in inglese e in francese. Ancora una volta, però, le due versioni dell’articolo 1, sezione D, non contengono testi corrispondenti parola per parola (16).

31.      La Commissione ha osservato che, nei punti in cui la direttiva intende riproporre disposizioni della Convenzione, il testo è stato formulato in modo da riprendere la versione inglese di quest’ultima (17).

32.      Ritengo quindi che, benché alla Corte venga richiesto di interpretare l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, essa debba fare riferimento all’articolo 1, sezione D, della Convenzione per poter fornire tale interpretazione. Nel farlo dovrebbe tener conto anzitutto della versione inglese di tale norma che è stata utilizzata quale base per la corrispondente disposizione della direttiva. Tuttavia, dato che la versione inglese e la versione francese della Convenzione sono parimenti autentiche è necessario garantire che l’interpretazione sia coerente anche con la versione francese dell’articolo 1, sezione D.

 Categorie di rifugiati

33.      In occasione dell’udienza, l’UNHCR ha affermato che l’articolo 1 della Convenzione indicava, di fatto, tre categorie di persone cui andava riconosciuto lo status di rifugiato. Ai sensi dell’articolo 1, sezione A, lo status di rifugiato andava accordato immediatamente ai rifugiati già riconosciuti in forza di numerosi atti normativi precedenti alla Seconda Guerra mondiale (rifugiati «storici») e a quelli che soddisfacevano il criterio del «giustificato timore d’essere perseguitato». L’articolo 1, sezione D, indicava una terza categoria, vale a dire i rifugiati palestinesi che ricevevano assistenza dall’UNRWA. Il loro diritto a ottenere il riconoscimento di tale status, benché reale, era posticipato sino al verificarsi di un determinato evento. Di conseguenza, anche l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva dovrebbe, a suo parere, essere formulato nel senso di prevedere una categoria di persone legittimate ad ottenere posticipatamente lo status di rifugiato.

34.      Per valutare tale affermazione, occorre esaminare l’articolo 1 della Convenzione nel suo insieme, tenendo presente che il secondo comma dell’articolo 1, sezione D, ha rappresentato un emendamento successivo volto a chiarire l’ambito di applicazione del primo comma (18). Il contenuto dell’articolo 1 della Convenzione, nella misura in cui esso è ancora pertinente per la richiesta dello status di rifugiato negli Stati membri dell’Unione, si rispecchia negli articoli 2, lettera c), 11 e 12 della direttiva. Non vi è alcuna ragione di ritenere che tale riorganizzazione fosse in qualche modo intesa a mutare il rapporto strutturale che emerge chiaramente dall’articolo 1 della Convenzione.

35.      L’articolo 1, sezione A, indica infatti due categorie di rifugiati: rifugiati storici e quelli che soddisfano il criterio del «giustificato timore d’essere perseguitato» (19) (l’articolo 1, sezione B, che oggi non ha in generale che una rilevanza del tutto marginale e nessuna rilevanza nell’Unione, contiene talune precisazioni quanto alla definizione della seconda categoria). L’articolo 1, sezione C, elenca poi una serie di casi in cui una persona, cui sono applicabili le disposizioni dell’articolo 1, sezione A, cessa di beneficiare della Convenzione (20). Gli ultimi tre paragrafi – sezioni D, E ed F dell’articolo 1 (21) – definiscono le categorie di persone alle quali la Convenzione «non è applicabile». Gli articoli 2‑34 della Convenzione (22) definiscono lo status, i diritti e i doveri dei rifugiati.

36.      La struttura è coerente e chiara. Ci sono rifugiati, definiti nell’articolo 1, sezione A, che rientrano nell’ambito di applicazione della Convenzione (in particolare degli articoli 2‑34); ci sono quelli che hanno cessato di rientrarvi a seguito di un mutamento delle circostanze (articolo 1, sezione C); e ci sono coloro per i quali, per ragioni preesistenti, la Convenzione non trova applicazione. Questi ultimi sono suddivisi in tre categorie: due categorie (articolo 1, sezioni D ed E) sono escluse per le circostanze attuali che le riguardano (beneficiano di protezione o assistenza o è stato loro riconosciuto uno status equivalente a quello dei cittadini dello Stato di residenza); la terza categoria (articolo 1, sezione F) è esclusa per circostanze pregresse (commissione di determinati crimini).

37.      Non vi è motivo per ritenere che una norma che, come l’articolo 1, sezione D, esordisca in questi termini: «La presente Convenzione non è applicabile (...)» stia di fatto definendo una categoria di persone nei cui confronti la Convenzione trova applicazione. Il secondo comma di tale norma mira chiaramente a spiegare le circostanze in cui l’esclusione dovuta al fatto di ricevere protezione o assistenza viene a cessare e, di conseguenza, anche lo status di coloro per i quali tale protezione o assistenza sono cessate.

38.      Pertanto, non posso neppure condividere l’opinione secondo cui l’articolo 1, sezione D, della Convenzione – o, quindi, l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, che principia con le parole «Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se (...)» – definisce una categoria di rifugiati. Questo non esclude tuttavia che il secondo comma possa avere per effetto quello di conferire il diritto allo status di rifugiato ai soggetti che rientrano nel suo ambito di applicazione.

 Possibili implicazioni dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva

39.      Nell’esaminare le questioni sottoposte, è utile avere un quadro chiaro delle differenti situazioni in cui una persona può trovarsi in relazione all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva e delle conseguenze che tale situazione può comportare per la persona interessata. A mio avviso, esistono tre situazioni possibili.

40.      In primis, poiché l’articolo 12, paragrafo 1, esordisce enunciando che «Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se (...)», una persona può essere, in relazione all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), «esclus[a] dallo status di rifugiato» laddove ne ricorra la relativa condizione.

41.      Se un individuo è «escluso dallo status di rifugiato» ai sensi della direttiva, egli non può avvalersi di tale strumento per affermare un proprio diritto a essere riconosciuto come rifugiato e per ottenere lo status che consegue a tale riconoscimento. Ogni richiesta presentata deve essere considerata inammissibile, a prescindere dal fatto che egli risponda o meno alla definizione di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva.

42.      Tuttavia, ritengo opportuno sottolineare che tale esclusione può riguardare soltanto il diritto individuale a richiedere lo status di rifugiato ai sensi della normativa dell’Unione, ma non incide sul diritto dello Stato di concedere tale status. L’articolo 3 della direttiva in particolare autorizza gli Stati membri a «introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati». Il diritto dell’Unione non impedisce in alcun modo a uno Stato membro di accordare lo status di rifugiato a un individuo, a prescindere dalle circostanze.

43.      In questa medesima prospettiva, occorre ricordare che la direttiva disciplina non soltanto lo status di rifugiato negli Stati membri ma anche la protezione sussidiaria a favore di persone che rischiano realmente di subire un grave danno. Ai sensi dell’articolo 15, lettera c), tale danno comprende «la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale» – una definizione che, al momento, potrebbe avere particolare rilievo in relazione ai rifugiati palestinesi in Siria. L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), si riferisce soltanto allo status di rifugiato. Esso non prevede alcuna esclusione dalla protezione sussidiaria; né le norme che stabiliscono le esclusioni dalla protezione sussidiaria (articolo 17 della direttiva) fanno riferimento in alcun modo al fatto di ricevere protezione o assistenza da un organo o da un’agenzia delle Nazioni Unite. Di conseguenza, sul diritto o sulla concessione di protezione sussidiaria non incide in alcun modo l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a).

44.      Infine, a prescindere dall’esclusione dallo status di rifugiato, gli Stati membri devono rispettare il principio di «non‑refoulement» in conformità dei propri obblighi internazionali (articolo 21 della direttiva).

45.      Una seconda situazione possibile è ovviamente quella di un individuo che non è «escluso dallo status di rifugiato» in base all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, in quanto non sta «fru[endo] attualmente della protezione o dell’assistenza di un’organizzazione o di un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati», ai sensi dell’articolo 1, sezione D, della Convenzione.

46.      Se questo è il caso – e nulla di più – è chiaro che l’interessato non ha un diritto immediato e automatico allo status di rifugiato, ma può solo presentare domanda di riconoscimento di tale status in conformità delle procedure applicabili (23); tale domanda cessa di essere inammissibile. Egli ha diritto al riconoscimento dello status di rifugiato solo se, nel contesto dell’applicazione delle suddette procedure, viene accertato che risponde alla definizione di rifugiato di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva. Questa era la situazione della ricorrente nel procedimento principale della causa Bolbol, che non si era mai avvalsa dell’assistenza dell’UNRWA.

47.      In assenza della seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva (e del secondo comma dell’articolo 1, sezione D, della Convenzione), sembrerebbe logico dedurre che una persona che ha cessato di ricevere una siffatta protezione o assistenza si trovi nella medesima posizione.

48.      La suddetta norma disciplina però specificamente la cessazione della protezione o assistenza, prevedendo quanto segue: «Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva».

49.      Le parole «sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva [Convenzione]» (o, in francese «bénéficieront de plein droit du regime de cette Convention») possono così suggerire una terza possibilità, ossia che una persona nei confronti della quale l’assistenza dell’UNRWA «cessi per qualsiasi motivo» debba essere riconosciuta come rifugiato, a prescindere dal fatto che soddisfi la definizione di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva. La prima questione posta dal giudice nazionale si riferisce in particolare proprio a questa possibilità.

 Ambito di applicazione ratione personae e ratione temporis dell’esclusione dallo status di rifugiato

50.      Dalla sentenza Bolbol emerge chiaramente che una persona non è «esclus[a] dallo status di rifugiato» in base alla prima frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva se non si è avvalsa dell’assistenza dell’UNRWA. Dalla seconda frase della norma emerge altresì in tutta evidenza che – a prescindere dal possibile riconoscimento di qualche altro diritto – una persona non è esclusa dallo status di rifugiato quando «siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tal[e] person[a] sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni unite». Per contro, sono esclusi coloro che «fruiscono attualmente» dell’assistenza dell’UNRWA.

51.      Almeno due Stati membri – Francia e Regno Unito – hanno eccepito (ed era implicito nelle mie conclusioni nella causa Bolbol) che l’esclusione si applica pertanto solo fintantoché la persona interessata è fisicamente presente nell’area di operazioni dell’UNRWA (vale a dire Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania e Striscia di Gaza). Non appena tale persona lascia l’area, non può più «frui[re] attualmente» dell’assistenza dell’UNRWA e non può pertanto continuare ad essere esclusa dallo status di rifugiato. La conclusione cui ero giunta in merito alla specifica posizione di una siffatta persona operava una distinzione – diversamente da quanto ritenuto dal Regno Unito – tra gli effetti dell’allontanamento volontario e quelli dell’allontanamento involontario; tuttavia, avevo condiviso tale punto di vista quanto alla cessazione dell’esclusione.

52.      Non ritengo più che tale punto di vista sia sostenibile, in particolare nello schema della direttiva. Per chiedere lo status di rifugiato in uno Stato membro dell’Unione è necessario essere fisicamente presente in tale Stato e quindi fisicamente assente dall’area UNRWA. Ne consegue che se la mera assenza dall’area UNRWA fosse sufficiente a rendere inoperante l’esclusione di cui alla prima frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, nessuna persona che richiede lo status di rifugiato ai sensi della direttiva potrebbe essere mai esclusa e l’esclusione sarebbe priva di significato (24).

53.      Di conseguenza, poiché occorre presumere che l’esclusione abbia un qualche effetto reale, essa non può venir meno con il solo allontanamento dall’area operativa dell’UNRWA, a prescindere dalle ragioni di detto allontanamento. Deve sussistere un ulteriore fattore causale. È chiaro che un fattore siffatto ricorre quando l’assistenza cessa ai sensi della seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a). Tuttavia resta da decidere se i «benefici» cui la direttiva fa riferimento all’interno di tale frase siano limitati alla cessazione dell’esclusione o comportino l’effettivo riconoscimento dello status di rifugiato; si potrebbe poi anche valutare se altri eventi possono comportare il venir meno dell’esclusione (25).

54.      Dopo aver esaminato tali aspetti preliminari, mi soffermerò ora più in particolare sulle questioni sottoposte.

 Le questioni sottoposte

 Interdipendenza delle questioni

55.      Le due questioni sottoposte sono tra loro interdipendenti e, inoltre, collegate alle due proposizioni, tra loro interdipendenti, di una singola frase. Con la prima questione viene chiesto cosa si intenda per benefici della direttiva; con la seconda quali fattori diano titolo a tali benefici. Le risposte proposte per la prima questione spaziano dal mero diritto alla presentazione di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria sino al diritto all’immediato e automatico riconoscimento dello status di rifugiato con tutti i benefici ad esso connessi. Quelle proposte in merito alla seconda questione comprendono, da un lato, qualsiasi evento, di qualsiasi natura, che comporti l’allontanamento della persona interessata dall’area dell’UNRWA, e dall’altro, esclusivamente la cessazione dell’UNRWA o quantomeno il verificarsi di un evento che la rende incapace di fornire assistenza. È degno di nota il fatto che alcuni tra gli Stati membri che hanno presentato osservazioni mostrano una tendenza a contrapporre una risposta «più generosa» per una questione a una risposta «meno generosa» per l’altra. Questo suggerisce che essi riconoscono, quantomeno, che le risposte si influenzano reciprocamente.

 Breve descrizione delle risposte proposte

56.      Per sommi capi, le parti che hanno presentato osservazioni hanno indicato cinque esiti possibili.

1)      Il diritto ai benefici della direttiva insorge soltanto una volta che l’UNRWA sia sciolta o le sia in altro modo impedito di offrire assistenza. Fino a quel momento i soggetti destinatari dell’assistenza dell’UNRWA sono completamente esclusi dallo status di rifugiato; successivamente possono presentare domanda di riconoscimento dello status di rifugiato come ogni altro richiedente.

2)      Il diritto ai benefici della direttiva insorge soltanto una volta che l’UNRWA sia sciolta o le sia in altro modo impedito di offrire assistenza. Fino a quel momento i beneficiari possono chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato come ogni altro richiedente a condizione che abbiano un valido motivo per trovarsi al di fuori dell’area dell’UNRWA; successivamente lo status di rifugiato viene riconosciuto loro automaticamente.

3)      Il diritto ai benefici della direttiva insorge ogni qualvolta il beneficiario non può ricevere assistenza dall’UNRWA per ragioni che esulano dal proprio controllo. Fino a quel momento, i beneficiari sono esclusi dallo status di rifugiato; successivamente possono chiedere il riconoscimento di detto status come ogni altro richiedente.

4)      Il diritto ai benefici della direttiva insorge ogni qualvolta il beneficiario non può ricevere assistenza dall’UNRWA per ragioni che esulano dal proprio controllo. Fino a quel momento i beneficiari sono esclusi dallo status di rifugiato; successivamente lo status di rifugiato viene riconosciuto loro automaticamente.

5)      Il diritto ai benefici della direttiva insorge ogni qualvolta il beneficiario non può ricevere l’assistenza dall’UNRWA a prescindere dal motivo. Fino a quel momento i beneficiari possono richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato come ogni altro richiedente a condizione che si trovino al di fuori dell’area dell’UNRWA; successivamente viene loro riconosciuto automaticamente lo status di rifugiato.

57.      Un’ulteriore variante viene proposta dallo stesso giudice nazionale: [«]diritto ai benefici della direttiva[»] può significare riconoscimento automatico dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria a seconda della scelta operata dallo Stato membro interessato.

 Prima questione – i benefici della direttiva

58.      Dalle mie osservazioni preliminari si evince che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), non riguarda in alcun modo la protezione sussidiaria (26). Le risposte proposte in relazione ai «benefici della presente direttiva» cui le persone interessate sono «ipso facto ammesse» possono pertanto essere ridotte:

–        al diritto di richiedere lo status di rifugiato come ogni altro richiedente; o

–        al riconoscimento effettivo dello status di rifugiato.

59.      Resto dell’opinione, espressa ai paragrafi 85‑89 e 103‑109 delle mie conclusioni nella causa Bolbol, che il diritto in parola si riferisce ai reali benefici dello status di rifugiato, di cui si può usufruire solo se detto status viene riconosciuto. Di conseguenza, i soggetti cui si applica la seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva hanno diritto al riconoscimento effettivo dello status di rifugiato, a prescindere da se rispondano alla definizione di cui all’articolo 2, lettera c), al pari di quanto richiesto agli altri istanti. Oltre a quanto già illustrato, vorrei aggiungere le seguenti considerazioni.

60.      In primo luogo, l’articolo 1, sezione D, della Convenzione utilizza i termini «ipso facto» in inglese e «de plein droit» in francese (27). L’utilizzo chiaramente intenzionale di tali espressioni non può essere ritenuto privo di significato. A prescindere dalle sfumature di significato che possono sussistere, tali espressioni chiariscono che la cessazione della protezione o dell’assistenza, di per sé e senza che debbano ricorrere altre condizioni, dà origine al diritto in parola. Dal momento che non devono essere soddisfatte particolari condizioni per chiedere lo status di rifugiato (anche i meno meritevoli di tutela possono presentare una domanda, che sarà poi rigettata salvo che il richiedente risponda alla definizione di rifugiato e non sia escluso in base ad altre norme), il diritto che consegue alla cessazione dell’assistenza dell’UNRWA deve avere un contenuto maggiore rispetto al mero diritto di presentare una domanda volta al riconoscimento di tale status, considerato che, altrimenti, sarebbe necessario il rispetto di determinate condizioni.

61.      In secondo luogo, ritengo opportuno attirare l’attenzione sul contenuto integrale della seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva: «Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva». Non si può ignorare la condizione che ho evidenziato in corsivo. Se la protezione o l’assistenza cessa quando la posizione di coloro che prima ne beneficiavano è stata definitivamente stabilita in tal modo, ritengo che essi, semplicemente, non possano continuare ad essere esclusi dallo status di rifugiati. In tale caso, devono poter chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato se, per qualsiasi ragione, corrispondono alla definizione dell’articolo 2, lettera c). A contrario, quindi, se la loro posizione non è stata stabilita (ma l’assistenza è cessata per qualsiasi motivo), il loro status rispetto alla direttiva deve essere diverso: anche in questo caso, i «benefici della presente direttiva» devono indicare qualcosa in più del semplice fatto di non vedersi preclusa la possibilità di ottenere il riconoscimento come rifugiati quando ricorrono le condizioni dell’articolo 2, lettera c).

62.      Come correttamente evidenziato dai governi tedesco e ungherese, non è concepibile tuttavia che la semplice cessazione della protezione o dell’assistenza debba automaticamente comportare un riconoscimento totalmente incondizionato dello status di rifugiato. Non è solo l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), a prevedere casi di esclusione da tale status. Di maggiore importanza è il fatto che l’articolo 12, paragrafi 2 e 3, esclude (come l’articolo 1, sezione F, della Convenzione) coloro che hanno commesso, istigato o altrimenti concorso alla commissione di una serie di reati particolarmente gravi. Inoltre, ai sensi dell’articolo 11 o dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera b), a seconda del caso, un mutamento delle circostanze connesso, in generale, all’avvicinamento o al riavvicinamento di una persona al paese nel quale gode di diritti sufficienti e certi significa che egli non può, o non può più, beneficiare della protezione in qualità di rifugiato (28).

63.      È altresì chiaro che – contrariamente a quanto temuto dal governo rumeno – non potrà mai verificarsi un riconoscimento automatico dello status di rifugiato, vale a dire un riconoscimento non preceduto da un qualche procedimento volto ad accertare se siano soddisfatte le condizioni rilevanti (29).

64.      Di conseguenza, le condizioni cui la cessazione dell’assistenza dell’UNRWA permette di derogare possono essere soltanto quelle richieste per il riconoscimento come rifugiato in conformità dell’articolo 2, lettera c), della direttiva e il diritto può consistere soltanto nel riconoscimento dello status di rifugiato senza l’esigenza specifica di dimostrare il soddisfacimento di dette condizioni. I benefici della direttiva cui fa riferimento la seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), sono quindi quelli che derivano dal riconoscimento dello status di rifugiato.

65.      Tuttavia, il riconoscimento di tale status deve essere subordinato al fatto che la persona interessata non sia esclusa da esso in forza di un’altra norma della direttiva. Il beneficiario dovrà continuare a provare, in conformità della sentenza Bolbol, di essersi effettivamente avvalso dell’assistenza dell’UNRWA e che, in linea con la seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, tale assistenza è cessata.

66.      Vorrei aggiungere che la deroga all’onere di dimostrare il soddisfacimento delle condizioni di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva non è così radicale come potrebbe sembrare a prima vista per le persone interessate dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera a). L’articolo 2, lettera c), e la seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), si sovrappongono in una certa misura, nel senso che entrambe prevedono come condizione che il soggetto interessato sia privo di protezione. E, come ho osservato (30), l’UNRWA non era stata creata per fornire, e non ha mai fornito, «protezione» ai rifugiati palestinesi. Essa non è nelle condizioni di fornire altro se non «assistenza». Inoltre, i fatti illustrati dal giudice nazionale in merito ai tre richiedenti nel procedimento principale lasciano intendere che le autorità libanesi sono in grado di offrire poca protezione; sembra oltremodo inverosimile poi che le autorità siriane siano attualmente nella posizione di proteggere i rifugiati presenti sul loro territorio. In breve, molti di coloro che rientrano nella seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), possono già corrispondere in ampia misura alla definizione di «rifugiati» di cui all’articolo 2, lettera c), nel senso che non sono in grado di ricorrere alla protezione nel paese (di cui hanno la cittadinanza o) di residenza abituale.

67.      Queste considerazioni confermano l’opinione che ho già espresso in merito alla risposta alla prima questione sottoposta nel caso di specie. Tuttavia, devo occuparmi anche di un’importante obiezione mossa al riguardo da vari Stati membri. Essi affermano che permettere a una determinata categoria di richiedenti di acquisire lo status di rifugiato senza dover dimostrare il soddisfacimento delle condizioni di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva, mentre ad altri viene richiesto di farlo, comporterebbe una discriminazione ingiustificata, contraria al principio della parità di trattamento.

68.      Il principio della parità di trattamento, sancito dall’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali, esige che situazioni identiche non siano trattate in modo differente e che situazioni differenti non siano trattate in modo identico, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato.

69.      Nel caso di specie, l’interpretazione da me proposta prevede che due categorie di richiedenti lo status di rifugiati – coloro che si sono avvalsi dell’assistenza dell’UNRWA e quelli che, per qualsiasi motivo, non l’hanno fatto – abbiano diritto al riconoscimento di tale status (che comporta gli stessi benefici in base alla direttiva) a condizioni diverse. Gli appartenenti al primo gruppo, che costituisce un sottogruppo di coloro che hanno diritto all’assistenza dell’UNRWA, devono dimostrare soltanto di aver fatto ricorso a tale protezione o assistenza e che essa è cessata. Gli appartenenti al secondo gruppo, che comprende gli altri soggetti che hanno diritto all’assistenza dell’UNRWA e tutti gli altri richiedenti, devono dimostrare di rispondere alla definizione di rifugiato stabilita all’articolo 2, lettera c), della direttiva.

70.      Tuttavia, le situazioni di fatto delle due categorie non sono equiparabili.

71.      Le persone cui è richiesto di dimostrare che rispondono alla definizione di rifugiato, prevista all’articolo 2, lettera c), della direttiva, hanno in precedenza vissuto un’esistenza relativamente normale indipendente da aiuti esterni. Tuttavia, a fronte di un mutamento delle circostanze, tali individui hanno abbandonato il paese di cui hanno la cittadinanza o in cui risiedono abitualmente. Gli eventi occorsi possono essere stati talmente gravi da far sì che essi nutrissero un «timore fondato di essere perseguitat[i] per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica». Se questo è il caso e se essi «non p[osson]o o, a causa di siffatto timore, non v[ogliono]» farvi ritorno, essi hanno diritto a ottenere lo status di rifugiati.

72.      Coloro che in precedenza hanno ricevuto assistenza esterna dall’UNRWA non si trovano in una situazione analoga. Ben lontani dal vivere una vita normale, essi hanno ricevuto il sostegno ritenuto necessario (in modo continuo) dalla comunità internazionale. In questo senso, erano assistiti e si trovavano già in una situazione protetta. A seguito di un evento esterno, successivamente intervenuto, l’assistenza offerta loro da parte dell’UNRWA «cessa» per ragioni a loro non imputabili. Tuttavia, non vi è motivo specifico per supporre che detto evento comporti necessariamente e simultaneamente un «timore fondato di essere perseguitat[i]» tale da farli rientrare nel tenore letterale dell’articolo 2, lettera c), della direttiva. Essi però non sono più in grado di avvalersi dell’assistenza prestata loro in precedenza dall’UNRWA (e non beneficiano più, pertanto, del supporto materiale che giustificava, in precedenza, la loro esclusione dall’ambito di applicazione della Convenzione).

73.      Ne consegue che, nella misura in cui le situazioni in esame non sono equiparabili, il principio della parità di trattamento non impedisce di trattarli in modo differente.

74.      Si potrebbe obiettare che, nella misura in cui le due categorie si trovano in situazioni di fatto diverse, l’«ordinario» richiedente lo status di rifugiato si trova spesso in una situazione peggiore rispetto al palestinese che ha cessato improvvisamente di ricevere l’assistenza dell’UNRWA. Perché allora quest’ultimo dovrebbe accedere, in via preferenziale, ai benefici dello status di rifugiato?

75.      Se un palestinese che improvvisamente cessa di ricevere assistenza da parte dell’UNRWA sia più o meno meritevole rispetto a una qualche altra categoria di potenziali rifugiati è una questione puramente soggettiva. Per quanto mi riguarda, direi che tutti i veri potenziali rifugiati, in linea teorica, meritano uguale comprensione e sostegno. Se l’articolo 1, sezione D, della Convenzione avesse contenuto soltanto la prima frase, avrei avuto ben poche difficoltà nel concludere che, una volta cessata l’assistenza dell’UNRWA, un palestinese che se ne era avvalso dovrebbe essere fatto rientrare nell’ambito di applicazione della Convenzione ed essere trattato come ogni altro richiedente lo status di rifugiato. Il dato di fatto, però, è che l’articolo 1, sezione D, si compone di due frasi, non di una. Dalla lettura del testo completo deduco che la comunità internazionale ha volutamente deciso di accordare un trattamento speciale ai profughi palestinesi, trattamento questo che è, sotto certi punti di vista, negativo (articolo 1, sezione D, prima frase) e, sotto certi altri, preferenziale (articolo 1, sezione D, seconda frase). Date le differenze di fatto che ho rilevato in precedenza, tale scelta (che la direttiva rispecchia fedelmente) non viola il principio della parità di trattamento.

 Seconda questione – cessazione della protezione o assistenza

76.      Dalle mie osservazioni preliminari consegue che una persona avvalsasi dell’assistenza dell’UNRWA non può essere «ammess[a] ai benefici» della direttiva – restando infatti in linea di principio «esclus[a] dallo status di rifugiato» – fino a quando l’assistenza nei suoi confronti «cessi per qualsiasi motivo» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a) (31). Le risposte proposte in merito all’evento che dà origine all’ammissione a detti benefici possono essere quindi circoscritte a:

–        esclusivamente la cessazione dell’UNRWA o un qualche altro evento che le impedisce di prestare assistenza; o

–        qualsiasi evento estraneo al controllo del beneficiario o indipendente dalla volontà di quest’ultimo che implica che lo stesso non possa ricevere assistenza.

77.      Nelle mie conclusioni nella causa Bolbol (paragrafi 77‑84 e 100‑102), ho ritenuto che quest’ultima interpretazione fosse corretta e ne sono ancora oggi convinta – benché, ovviamente, la prima interpretazione sia ricompresa nella seconda, la quale si estende a tutti gli eventi che impediscono all’UNRWA di prestare assistenza.

78.      Non credo sia necessario dedurre ulteriori argomenti a fondamento di tale punto di vista. Mi limito a osservare che esso risulta quello maggiormente conforme ai termini impiegati, i quali, in questo caso, non divergono in modo significativo nelle versioni inglese e francese. «Quando siffatta protezione o assistenza cessi» implica che è la protezione o l’assistenza a dover cessare; la rinuncia a ciò da parte del singolo non è presa in considerazione. Questa parte della frase, considerata isolatamente, potrebbe deporre a favore dell’opinione per cui anche l’evento deve riguardare l’UNRWA stessa. Tuttavia, l’espressione «per qualsiasi motivo» sembra ampliare il significato della prima parte della frase fin dove il tenore letterale della norma lo permette. Non può, in ogni caso, portare a ricomprendere singole decisioni adottate sulla base della convenienza personale, in quanto ciò priverebbe l’esclusione di ogni significato (32). Ritengo pertanto che l’espressione possa soltanto estendere la nozione di cessazione fino al punto che non è necessario che il motivo riguardi l’UNRWA stessa.

79.      Devo tuttavia formulare due osservazioni in merito a coloro che, per propria scelta, lasciano l’area al di fuori della quale è materialmente impossibile per loro ricevere l’assistenza dell’UNRWA.

80.      In primo luogo, come ho affermato in precedenza, il mero fatto di lasciare l’area UNRWA non può, di per sé, far venir meno l’esclusione «dallo status di rifugiato» (33). Ciò, letto congiuntamente alla mia conclusione secondo cui il diritto ai benefici della direttiva può sorgere soltanto a seguito di un evento estraneo al controllo o indipendente dalla volontà del destinatario dell’assistenza dell’UNRWA, con l’effetto che egli non è più in grado di ricevere tale assistenza, potrebbe essere inteso nel senso che chiunque abbia fatto ricorso all’assistenza dell’UNRWA non può mai chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato in uno Stato membro sulla base dell’articolo 2, lettera c), della direttiva o dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), seconda frase.

81.      Una siffatta deduzione deve essere chiarita meglio. A mio avviso, l’esclusione dallo status di rifugiato per aver fatto ricorso all’assistenza dell’UNRWA può comprendere logicamente soltanto l’esclusione dalla possibilità di chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato come palestinese avente titolo a tale assistenza. Non vi è motivo per cui una tale esclusione si protragga per tutta la vita, se ricorrono altre ragioni che giustificano la richiesta dello status di rifugiato: è il caso, ad esempio, di un rifugiato palestinese che, dopo essersi recato volontariamente in un paese esterno all’area UNRWA, magari acquisendone la cittadinanza, venga a trovarsi in una situazione tale da farlo rientrare nella definizione dell’articolo 2, lettera c), della direttiva. A tal proposito, l’articolo 5 della direttiva stabilisce che il timore fondato di essere perseguitato può basarsi su avvenimenti verificatisi o, se del caso, su attività svolte dal richiedente, dopo aver lasciato il suo paese di origine, almeno fino a quando le attività in parola costituiscono l’espressione e la continuazione di convinzioni od orientamenti già manifestati nel paese d’origine e il rischio di persecuzioni non sia basato su circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza da detto paese.

82.      In secondo luogo, è del tutto plausibile, come evidenziato dalla Corte, che una persona destinataria dell’assistenza dell’UNRWA possa lasciare volontariamente l’area UNRWA in via temporanea – ad esempio per far visita a un parente che vive altrove – e che, seppur pienamente intenzionata a ritornare e onestamente convinta di poterlo fare, venga di fatto a trovarsi in una situazione che le impedisce di rientrare nel territorio dove riceveva assistenza. A mio avviso, una persona simile deve essere considerata come impossibilitata a ricevere l’assistenza dell’UNRWA per ragioni estranee al suo controllo o indipendenti dalla sua volontà.

83.      Come ho osservato al paragrafo 102 delle mie conclusioni nella causa Bolbol, in relazione a queste due circostanze, così come in relazione a tutti i casi in cui si tratta di dimostrare che la «protezione o assistenza [sia cessata] per qualsiasi motivo», insorgono problemi dal punto di vista probatorio. Tali problemi devono essere risolti conformemente all’articolo 4 della direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», che fornisce un quadro per le tipologie di prove o indizi che gli Stati membri possono richiedere o meno. Mentre è lecito, in generale, imporre al richiedente di provare la sua richiesta, piuttosto che fare semplicemente affidamento sulle sue affermazioni, l’articolo 4, paragrafo 5, indica i casi in cui gli Stati membri non possono pretendere che venga data prova documentale di tutti gli aspetti della domanda.

 Conclusione

84.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Fővárosi Bíróság come segue:

«Nella seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta:

1)      le parole “queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva” indicano che le persone interessate hanno il diritto di ottenere lo status di rifugiato in uno Stato membro a condizione che possano provare che la condizione della cessazione della protezione o assistenza è soddisfatta nei loro confronti;

2)      le parole “siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo” esprimono che, in relazione alle persone interessate, la protezione o assistenza di cui si erano effettivamente avvalse non viene più fornita per ragioni estranee al loro controllo o indipendenti dalla loro volontà».


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in prosieguo: la «direttiva 2004/83» o la «direttiva»). Attualmente è stata sostituita dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337, pag. 9), la quale non modifica le principali disposizioni applicabili nel caso di specie.


3 –      United Nations Treaty Series, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954) (in prosieguo: la «Convenzione»).


4 –      Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nei paesi del Vicino Oriente. Il mandato dell’UNRWA è stato da ultimo prorogato sino al 30 giugno 2014 con la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite 65/98 del 10 dicembre 2010.


5 –      Sentenza del 17 giugno 2010 (C‑31/09, Racc. pag. I‑5539).


6 –      È pacifico che l’espressione «organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati» si riferisce di fatto, dal 1958, soltanto all’UNRWA. L’unico altro organo o agenzia di questo tipo che ha fornito assistenza o protezione ai rifugiati (l’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricostruzione della Corea – UNKRA) ha cessato la propria attività in quell’anno. Salvo se diversamente specificato, mi riferirò indifferentemente a «organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati» e a «UNRWA». È anche pacifico che l’UNRWA non è stata creata per accordare, e non ha mai accordato, «protezione» ai rifugiati palestinesi. Pertanto, essa non può offrire altro che «assistenza». Mi riferirò quindi all’«assistenza dell’UNRWA» piuttosto che alla «protezione o all’assistenza dell’UNRWA».


7 –      Benché la versione inglese dell’ultima parte della seconda frase riprenda letteralmente la formulazione della Convenzione (sostituendo soltanto il termine «Convenzione» con «direttiva»), il testo francese ricorre a una formulazione differente: «ces personnes pourront ipso facto se prévaloir de la présente directive» («queste persone si avvalgono ipso facto della presente direttiva»). In occasione dell’udienza, il rappresentante della Commissione ha spiegato che l’intenzione era quella di basarsi, nella redazione di tutte le versioni linguistiche della direttiva, sul testo inglese della Convenzione – e, infatti, la versione francese è più vicina all’inglese nella seconda frase dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva piuttosto che nell’articolo 1, sezione D, secondo comma, della Convenzione.


8 –      Altre differenze in materia di accesso all’occupazione, all’assistenza sanitaria e agli strumenti di integrazione sono state ora eliminate con la direttiva 2011/95, cit. supra alla nota 2.


9 –      Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13).


10 –      La Corte si è concentrata sull’interpretazione della sola direttiva, letta però in modo da garantire che siano rispettati i principi della Convenzione, degli altri trattati pertinenti, cui fa riferimento l’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, e della Carta dei diritti fondamentali (v. punti 36‑38 e giurisprudenza ivi citata). L’articolo 78, paragrafo 1, TFUE impone che la politica comune in materia di asilo sia conforme alla Convenzione, al suo protocollo del 1967, e ad «altri trattati pertinenti» (non specificati).


11 –      V. paragrafi 48‑56 delle conclusioni.


12 –      V. paragrafo 90 delle conclusioni.


13 –      V. paragrafo 111 delle conclusioni. In termini più espliciti, riguardo alle persone cui si riferisce l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, per «benefici» s’intende il riconoscimento come rifugiato, con il risultato che tali persone hanno diritto, di per sé, a vedersi riconosciuto lo status di rifugiato.


14 –      V. paragrafi 52 e segg. infra.


15 –      V., più di recente, sentenza del 28 giugno 2012, Geltl (C‑19/11, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


16 –      V. paragrafo 6 supra.


17 –      V. nota 7 supra.


18 –      V. Commentary on the 1951 Convention relating to the status of refugees and its 1967 protocol, ed. Zimmerman, Oxford 2011, pagg. 543 e 544.


19 –      V. paragrafo 4 supra che si rispecchia nell’articolo 2, lettera c), della direttiva. La direttiva tuttavia non ricomprende la prima categoria di rifugiati, presumibilmente in quanto, nel 2004, non vi era più ragione per i rifugiati «storici» di richiedere lo status di rifugiato in uno Stato membro.


20 –      Le stesse circostanze sono illustrate all’articolo 11 della direttiva.


21 –      Queste categorie sono illustrate, rispettivamente all’articolo 12, paragrafi 1, lettere a) e b), e 2, della direttiva.


22 –      Corrispondenti, in linea di massima, agli articoli 20‑34 della direttiva.


23 –      Vale a dire in conformità del capo II della direttiva 2004/83 (ora, della direttiva 2011/95) e della direttiva 2005/85, cit. supra alla nota 9.


24 –      Numerosi giudici e autorità in tutta l’Unione europea si sono occupati dell’interpretazione della clausola di esclusione contenuta nel primo paragrafo dell’articolo 1, sezione D, della Convenzione. Se l’interpretazione qui proposta da Francia e Regno Unito fosse corretta, i suddetti giudici e autorità avrebbero perso tempo nell’interpretare una norma non applicabile ai procedimenti pendenti dinanzi ad essi.


25 –      V. anche paragrafi 80 e 81 infra.


26 –      V. paragrafo 43 supra.


27 –      V. paragrafo 32 supra.


28 –      Queste norme rispecchiano, rispettivamente, l’articolo 1, sezioni C ed E, della Convenzione.


29 –      V. le mie conclusioni nella causa Bolbol, cit. supra alla nota 5, paragrafi 94 e segg., e punto 52 della sentenza.


30 –      V. nota 6 supra, e http://www.unrwa.org/etemplate.php?id=87: «L’UNRWA (…) non è responsabile della sicurezza, dell’ordine pubblico e della salvaguardia della sicurezza interna nei campi e non dispone di forze di polizia né di servizi di intelligence. Tale responsabilità è rimasta sempre in capo alle autorità ospitanti competenti e alle altre autorità».


31 –      V. paragrafi 52 e segg. supra.


32 –      V. paragrafi 50‑53 supra.


33 –      V. paragrafi 50‑53 supra.