Language of document : ECLI:EU:C:2017:93

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 7 febbraio 2017 (1)

Causa C638/16 PPU

X,

X

contro

Ètat belge

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Competenza della Corte – Articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 810/2009, che istituisce un codice comunitario dei visti – Visto con validità territoriale limitata – Attuazione del diritto dell’Unione – Rilascio di un visto per motivi umanitari o in virtù di obblighi internazionali – Nozione di “obblighi internazionali” – Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati – Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Obbligo per gli Stati membri di rilasciare un visto umanitario nell’ipotesi di un rischio comprovato di una violazione degli articoli 4 e/o 18 della Carta dei diritti fondamentali»






 Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio), verte sull’interpretazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 810/2009, del Parlamento e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, (in prosieguo: il «codice dei visti») (2) nonché degli articoli 4 e 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra due cittadini siriani con i loro tre figli minorenni in tenera età, residenti ad Aleppo (Siria), e lo Stato belga in relazione al rifiuto di quest’ultimo di rilasciare loro un visto con validità territoriale limitata, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, richiesto per motivi umanitari.

3.        Come dimostrerò nelle presenti conclusioni, nonostante le obiezioni avanzate dai governi che hanno partecipato all’udienza del 30 gennaio 2017 nonché dalla Commissione europea, la presente causa, da un lato, offre alla Corte l’occasione di precisare che uno Stato membro attua il diritto dell’Unione quando adotta una decisione riguardante una domanda di visto con validità territoriale limitata, il che, pertanto, gli impone di assicurare il rispetto dei diritti garantiti dalla Carta. Dall’altro, la presente causa deve, secondo la mia analisi, condurre la Corte ad affermare che il rispetto di tali diritti, e in particolar modo di quello sancito all’articolo 4 della Carta, implica l’esistenza di un obbligo positivo a carico degli Stati membri, che li deve indurre a rilasciare un visto con validità territoriale limitata quando sussistono motivi gravi e dimostrati per ritenere che il rifiuto di procedere al rilascio di tale documento comporterà la conseguenza diretta di esporre persone in cerca di protezione internazionale a tortura o a trattamenti inumani o degradanti vietati dal menzionato articolo.

4.        A mio avviso, è fondamentale che, in un momento in cui si chiudono le frontiere e si erigono muri, gli Stati membri non fuggano dalle loro responsabilità, come quelle che derivano dal diritto dell’Unione o, permettetemi l’espressione, dal diritto della loro e della nostra Unione.

5.        Con toni particolarmente allarmisti, il governo ceco, durante l’udienza, ha messo in guardia la Corte sulle conseguenze «fatali» per l’Unione che deriverebbero da una sentenza orientata nel senso di obbligare gli Stati membri a rilasciare visti umanitari ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti.

6.        Benché l’Unione viva momenti difficili, non condivido tale preoccupazione. È, invece, come nel procedimento principale, il rifiuto di riconoscere una via d’accesso legale al diritto alla protezione internazionale sul territorio degli Stati membri – che sfortunatamente costringe spesso i cittadini di paesi terzi in cerca di una tale protezione a unirsi, rischiando la loro vita, al flusso attuale di immigrati illegali alle porte dell’Unione – che mi pare particolarmente preoccupante in considerazione, segnatamente, dei valori umanitari e del rispetto dei diritti dell’uomo sui quali si fonda la costruzione europea. È forse necessario ricordare che, come si afferma rispettivamente negli articoli 2 e 3 del Trattato UE, l’Unione «si fonda sui valori del rispetto della dignità umana (…) e del rispetto dei diritti umani» e «si prefigge di promuovere (…) i suoi valori», anche nelle relazioni con il resto del mondo?

7.        A tale riguardo, rattrista constatare che, malgrado la lunghezza e la ripetitività degli interventi dei rappresentanti dei quattrodici governi che si sono susseguiti nel corso dell’udienza del 30 gennaio 2017, nessuno di loro ha richiamato siffatti valori in relazione alla situazione in cui si trovano i ricorrenti nel procedimento principale e che ha indotto la Corte ad avviare la procedura d’urgenza.

8.        Come dimostrerò nel corso delle presenti conclusioni, contrariamente a quanto suggerito da un certo numero di governi all’udienza dinanzi alla Corte, è inutile attendere un’ipotetica modifica del codice dei visti per riconoscere una via legale d’accesso al diritto alla protezione internazionale, che sarebbe configurata a seguito degli emendamenti presentati dal Parlamento europeo alla proposta attualmente in corso di discussione (3).

9.        Tale via legale, in effetti, già esiste, vale a dire quella dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, come ha peraltro ammesso il relatore della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento (4). Per le ragioni che saranno esposte di seguito nella mia analisi, invito la Corte a dichiarare l’esistenza di una tale via legale che si concretizza nell’obbligo di rilasciare visti umanitari, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, in alcune condizioni.

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

10.      L’articolo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), intitolato «Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo», stabilisce che le «Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione».

11.      L’articolo 3 della CEDU, intitolato «Proibizione della tortura», dispone che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

12.      L’articolo 1, titolo A, paragrafo 2, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, come modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), dispone segnatamente che è un rifugiato ogni persona che, nel giustificato timore d’essere perseguitata per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato.

13.      L’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra prevede che nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

 Diritto dell’Unione

 La Carta

14.      L’articolo 1 della Carta afferma che la dignità umana è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata.

15.      L’articolo 2, paragrafo 1, della Carta dispone che ogni persona ha diritto alla vita.

16.      L’articolo 3, paragrafo 1, della Carta enuncia che ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.

17.      L’articolo 4 di detta Carta prevede che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

18.      L’articolo 18 della Carta dichiara che il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra e a norma del Trattato sull’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

19.      L’articolo 24, paragrafo 2, della Carta indica che, in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.

20.      L’articolo 51, paragrafo 1, della Carta stabilisce che le disposizioni di quest’ultima si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, nonché agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.

21.      L’articolo 52, paragrafo 3, della Carta stabilisce che, laddove tale Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La medesima disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.

 Diritto derivato

22.      Il considerando 29 del codice dei visti afferma che tale codice rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla CEDU e dalla Carta.

23.      L’articolo 1, paragrafo 1, del codice dei visti stabilisce che detto codice fissa le procedure e le condizioni per il rilascio del visto di transito o per soggiorni previsti sul territorio degli Stati membri non superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni.

24.      L’articolo 19 del codice in parola, intitolato «Ricevibilità», stabilisce, al paragrafo 4, che, a titolo di deroga, una domanda che non soddisfi i requisiti di ricevibilità può essere considerata ricevibile per motivi umanitari o di interesse nazionale.

25.      L’articolo 23 del codice dei visti, intitolato «Decisione sulla domanda», stabilisce, al paragrafo 4, che, salvo in caso di ritiro della domanda, è presa la decisione, in particolare, di rilasciare un visto uniforme a norma dell’articolo 24 del codice, di rilasciare un visto con validità territoriale limitata a norma dell’articolo 25 di detto codice o di rifiutare il visto a norma dell’articolo 32 del medesimo codice.

26.      L’articolo 25 del codice dei visti, intitolato «Rilascio di un visto con validità territoriale limitata», così dispone:

«1.      I visti con validità territoriale limitata sono rilasciati eccezionalmente nei seguenti casi:

a)      quando, per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali, lo Stato membro interessato ritiene necessario:

i)      derogare al principio dell’adempimento delle condizioni di ingresso di cui all’articolo [6], paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), del codice frontiere Schengen (…);

ii)      rilasciare un visto (…)

(…)

2.      Un visto con validità territoriale limitata è valido per il territorio dello Stato membro di rilascio. In via eccezionale può essere valido per il territorio di più Stati membri, fatto salvo il consenso di ciascuno degli Stati membri interessati.

3.      Se il richiedente possiede un documento di viaggio non riconosciuto da uno o più Stati membri, ma non tutti, è rilasciato un visto valido per il territorio degli Stati membri che riconoscono il documento di viaggio. Nel caso in cui lo Stato membro di rilascio non riconosca il documento di viaggio del richiedente, il visto rilasciato è valido solo per quello Stato membro.

4.      Se il visto con validità territoriale limitata è stato rilasciato nei casi di cui al paragrafo 1, lettera a), le autorità centrali dello Stato membro di rilascio procedono, senza indugio e secondo la procedura di cui all’articolo 16, paragrafo 3, del [regolamento (CE) n. 767/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, concernente il sistema di informazione visti (VIS) e lo scambio di dati tra Stati membri sui visti per soggiorni di breve durata (5)].

5.      I dati di cui all’articolo 10, paragrafo 1, del [regolamento n. 767/2008] sono inseriti nel VIS una volta presa la decisione sul rilascio del visto».

27.      L’articolo 32 del codice dei visti, intitolato «Rifiuto di un visto», prevede quanto segue:

«1.      Ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 25, paragrafo 1, il visto è rifiutato:

(…)

b)      qualora vi siano ragionevoli dubbi sull’autenticità dei documenti giustificativi presentati dal richiedente o sulla veridicità del loro contenuto, sull’affidabilità delle dichiarazioni fatte dal richiedente o sulla sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto».

28.      Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale(rifusione) (6):

«1.      La presente direttiva si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri, nonché alla revoca della protezione internazionale.

2.      La presente direttiva non si applica alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri. (…)».

29.      L’articolo 4 del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (7) stabilisce che, in sede di applicazione di tale regolamento, gli Stati membri agiscono nel pieno rispetto del pertinente diritto unionale, compresa la Carta, del pertinente diritto internazionale, compresa la Convenzione di Ginevra, degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non-refoulement (non respingimento), e dei diritti fondamentali.

30.      L’articolo 6 del codice frontiere Schengen, intitolato «Condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi», così prevede:

«1.      Per soggiorni previsti nel territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, il che comporta di prendere in considerazione il periodo di 180 giorni che precede ogni giorno di soggiorno, le condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi sono le seguenti:

a)      essere in possesso di un documento di viaggio valido (…)

b)      essere in possesso di un visto valido, se richiesto (…), salvo che si sia in possesso di un permesso di soggiorno o di un visto per soggiorni di lunga durata in corso di validità;

c)      giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti (…);

d)      non essere segnalato nel [sistema d’informazione Schengen] ai fini della non ammissione;

e)      non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi».

 Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

31.      I ricorrenti nel procedimento principale, una coppia sposata con i loro tre figli minorenni in tenera età, sono siriani, vivono ad Aleppo e hanno dichiarato di essere cristiani di confessione ortodossa. Essi hanno presentato, il 12 ottobre 2016, domande di visto presso il Consolato del Belgio a Beirut (Libano) e sono ritornati in Siria il 13 ottobre 2016.

32.      Tali domande mirano al rilascio tempestivo di visti con validità territoriale limitata, in applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti. Secondo i ricorrenti nel procedimento principale, dette domande sono finalizzate a consentire loro di lasciare la città assediata di Aleppo al fine di presentare una domanda di asilo in Belgio. Uno dei ricorrenti nel procedimento principale dichiara, in particolare, di essere stato sequestrato da un gruppo terrorista, percosso e torturato, prima di essere infine liberato su pagamento di un riscatto. I ricorrenti nel procedimento principale insistono segnatamente sul degrado della situazione della sicurezza in Siria e in particolare ad Aleppo, nonché sulla circostanza che, essendo di religione cristiana ortodossa, rischiano di essere perseguitati a causa delle loro credenze religiose. Essi aggiungono che è loro impossibile ottenere di essere registrati come rifugiati nei paesi limitrofi, in considerazione, segnatamente, del fatto che la frontiera tra Libano e Siria è stata nel frattempo chiusa.

33.      Dette domande sono state respinte con decisioni dell’Office des étrangers (Ufficio per gli stranieri, Belgio) del 18 ottobre 2016 (in prosieguo: le «decisioni controverse»), in applicazione dell’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del codice dei visti. Secondo l’Office des étrangers (Ufficio per gli stranieri), infatti, richiedendo un visto con validità territoriale limitata al fine di presentare una domanda di asilo in Belgio, i ricorrenti nel procedimento principale avevano palesemente l’intenzione di soggiornare per un periodo superiore a 90 giorni in Belgio. Inoltre, le decisioni controverse dell’Office des étrangers (Ufficio per gli stranieri) pongono in rilievo, da un lato, che l’articolo 3 della CEDU non può essere interpretato nel senso di imporre agli Stati firmatari di ammettere nel loro territorio ogni persona che vive una situazione catastrofica e, dall’altro, che, secondo la legislazione belga, le sedi diplomatiche belghe non rientrano nel novero delle autorità presso le quali uno straniero può presentare una domanda d’asilo. Orbene, autorizzare il rilascio di un visto di ingresso ai ricorrenti nel procedimento principale per consentire loro di presentare la loro domanda di asilo in Belgio equivarrebbe ad autorizzare la presentazione della loro domanda in una sede diplomatica.

34.      Avendo adito il giudice del rinvio ai fini della sospensione dell’esecuzione delle decisioni di rifiuto del visto secondo la procedura nazionale di estrema urgenza, i ricorrenti nel procedimento principale sostengono, in sostanza, che l’articolo 18 della Carta preveda un obbligo positivo per gli Stati membri di garantire il diritto d’asilo e che la concessione della protezione internazionale sia l’unico mezzo per evitare il rischio di violazione dell’articolo 3 della CEDU e dell’articolo 4 della Carta. A tale riguardo, essi lamentano che il rischio di violazione dell’articolo 3 della CEDU da loro dedotto non sarebbe stato considerato nel respingere le loro domande di visto. Orbene, poiché le autorità belghe stesse hanno ritenuto che la situazione dei ricorrenti nel procedimento principale costituisca una situazione umanitaria eccezionale, considerati i motivi umanitari e gli obblighi internazionali che incombono sul Regno del Belgio, «lo stato di necessità», richiesto dall’articolo 25 del codice dei visti, sarebbe accertato. Pertanto, il diritto al rilascio dei visti sollecitati dai ricorrenti nel procedimento principale sarebbe acquisito in base al diritto dell’Unione. In proposito, i ricorrenti nel procedimento principale fanno riferimento alla sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862).

35.      Per contro, lo Stato belga, convenuto nel procedimento principale, considera di non essere tenuto, sulla base dell’articolo 3 della CEDU o dell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, ad ammettere ne proprio territorio una persona straniera, giacché l’unico obbligo ad esso incombente a tale riguardo consisterebbe in un obbligo di non-refoulement (non respingimento).

36.      Il giudice del rinvio fa presente, innanzitutto, che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, affinché i ricorrenti nel procedimento principale possano avvalersi dell’articolo 3 della CEDU, essi devono essere soggetti alla giurisdizione belga, come risulterebbe dall’articolo 1 della CEDU. La Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe precisato che la nozione di «giurisdizione» è principalmente territoriale ed è, in linea di principio, esercitata su tutto il territorio di uno Stato. Tuttavia, la questione sarebbe se l’attuazione di una politica dei visti e l’adozione di decisioni sulle domande di visti possano essere considerate come esercizio di una giurisdizione effettiva. Lo stesso dicasi per la questione se un diritto di ingresso derivi, come corollario del principio di non-respingimento e dell’obbligo di adottare misure preventive, in particolare dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.

37.      Il giudice del rinvio rileva poi che l’applicazione dell’articolo 4 della Carta, che corrisponde all’articolo 3 della CEDU, non dipende dall’esercizio di una giurisdizione, bensì dall’attuazione del diritto dell’Unione. Poiché le domande di visto in causa sono state presentate sulla base dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti, le decisioni controverse sarebbero state adottate in applicazione di un regolamento dell’Unione europea e attuerebbero il diritto dell’Unione. Tuttavia, la portata territoriale del diritto d’asilo sancito dall’articolo 18 della Carta sarebbe dibattuta, alla luce dell’articolo 3 della direttiva 2013/32.

38.      Infine, tenuto conto della formulazione dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti, il giudice del rinvio si interroga sull’ampiezza del margine di valutazione lasciato agli Stati membri. Difatti, alla luce della natura vincolante degli obblighi internazionali, letta congiuntamente con la Carta, ogni margine potrebbe essere escluso a tal proposito.

39.      È in tale contesto che il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli “obblighi internazionali” di cui all’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, si riferiscano all’insieme dei diritti garantiti dalla Carta, fra i quali, segnatamente, quelli garantiti dagli articoli 4 e 18, e se essi comprendano anche gli obblighi imposti agli Stati membri, in considerazione della CEDU, e dell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.

2)      Tenuto conto della risposta data alla [prima] questione, se l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, debba essere interpretato nel senso che, fatto salvo il margine di discrezionalità di cui dispone riguardo alla circostanze della causa, lo Stato membro investito di una domanda di visto con validità territoriale limitata è tenuto a rilasciare il visto richiesto, quando sia dimostrato un rischio di violazione dell’articolo 4 e/o dell’articolo 8 della Carta o di un altro obbligo internazionale dal quale esso è vincolato. Se incida sulla risposta a questa questione l’esistenza di collegamenti tra il richiedente e lo Stato membro investito della domanda di visto (ad esempio legami familiari, famiglie d’accoglienza, garanti e sponsor ecc.)».

40.      In seguito alla domanda del giudice del rinvio, e conformemente all’articolo 108, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la sezione designata ha deciso di sottoporre il rinvio pregiudiziale alla procedura d’urgenza. Inoltre, in applicazione dell’articolo 113, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la sezione designata ha chiesto di rinviare la causa alla Grande sezione.

41.      Le questioni pregiudiziali sono state oggetto di osservazioni scritte da parte dei ricorrenti nel procedimento principale, del governo belga nonché della Commissione.

42.      Tali parti interessate nonché i governi ceco, danese, tedesco, estone, francese, ungherese, maltese, dei Paesi Bassi, austriaco, polacco, sloveno, slovacco e finlandese sono stati ascoltati nelle loro conclusioni all’udienza del 30 gennaio 2017.

 Analisi

 Sulla competenza della Corte

43.      In via principale, il governo belga sostiene che la Corte non è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali, poiché la situazione dei ricorrenti nel procedimento principale non rientra nell’ambito del diritto dell’Unione.

44.      Tale governo fa osservare, in primo luogo, che il codice dei visti disciplina soltanto i visti con una durata massima di tre mesi su un periodo di sei mesi («visti per soggiorni di breve durata») (8) e che l’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), di tale codice impone agli Stati membri di rifiutare il visto qualora vi siano ragionevoli dubbi sull’intenzione del richiedente di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto. Secondo il governo belga, l’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti costituisce semplicemente una deroga all’obbligo di rifiutare un visto sulla base dell’articolo 32, paragrafo 1, del medesimo codice, e fissa, tassativamente, i motivi di rifiuto ai quali gli Stati membri sono autorizzati a derogare. Tali motivi di rifiuto riguarderebbero unicamente i casi in cui il richiedente il visto non soddisfa le condizioni di ingresso fissate dall’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), del codice frontiere Schengen, alle quali rinvia l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), punto i), del codice dei visti e sarebbero enunciati all’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), punti i), ii), iii) e vi), del medesimo codice. Ne consegue, secondo il governo belga, che, sebbene l’articolo 32 del codice dei visti si applichi, conformemente alla sua formulazione, «ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 25, paragrafo 1», di tale codice, detta esclusione non ricomprende il motivo di rifiuto di cui all’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del codice in parola (9). Un visto con validità territoriale limitata potrebbe, dunque, essere rilasciato solo per un soggiorno che non superi i tre mesi. Rinviando alle sentenze dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691), e dell’8 maggio 2013, Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291), il governo belga ritiene che, dal momento che i ricorrenti nel procedimento principale non soddisfano le condizioni richieste per il riconoscimento di un visto di breve durata sulla base del codice dei visti, la loro situazione non è disciplinata dal diritto dell’Unione.

45.      In secondo luogo, tale governo sostiene che né le disposizioni in materia d’asilo né le disposizioni della Carta consentono di ricollegare la situazione dei ricorrenti nel procedimento principale al diritto dell’Unione. In primis, difatti, il regime comune d’asilo europeo si applicherebbe, conformemente all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2013/32, solo alle richieste presentate sul territorio degli Stati membri o alle frontiere di quest’ultimo, ad esclusione delle domande d’asilo diplomatico o territoriale presentate alle rappresentanze degli Stati membri. Inoltre, poiché non sussiste attuazione del diritto dell’Unione per quanto riguarda la situazione dei ricorrenti nel procedimento principale, la Carta non potrebbe applicarsi. Il governo belga rileva infine che nessun atto legislativo è stato adottato dall’Unione relativamente alle condizioni di ingresso e di soggiorno per più di tre mesi dei cittadini dei paesi terzi per motivi umanitari. Gli Stati membri conserverebbero, pertanto, la loro competenza in materia.

46.      Pur non eccependo l’incompetenza della Corte, la Commissione propone argomenti analoghi a quelli esposti al paragrafo 44 delle presenti conclusioni. Secondo la Commissione, una domanda di visto per raggiungere il territorio di uno Stato membro e ivi richiedere la protezione internazionale non può essere intesa come una domanda di visto di soggiorno di breve durata. Una tale domanda dovrebbe essere considerata come domanda di visto di soggiorno di lunga durata, in virtù del diritto nazionale.

47.      La maggior parte dei governi che hanno partecipato all’udienza dinanzi alla Corte ha aderito alla posizione del governo belga e della Commissione, sostenendo l’inapplicabilità del codice dei visti nelle circostanze del procedimento principale.

48.      A mio avviso, occorre respingere tali eccezioni nel loro complesso.

49.      Dal fascicolo trasmesso dal giudice del rinvio – come confermato dal governo belga durante l’udienza – risulta che i ricorrenti nel procedimento principale hanno chiesto, ai sensi del codice dei visti, il rilascio di un visto di breve durata con validità territoriale limitata, vale a dire un’autorizzazione di ingresso nel territorio belga la cui durata non sia superiore a 90 giorni. Risulta parimenti dagli elementi di tale fascicolo che le autorità competenti hanno qualificato, esaminato e trattato le domande dei ricorrenti nel procedimento principale, nel corso del procedimento, come domande di visti ai sensidel codice dei visti. Le domande in parola sono state necessariamente considerate ricevibili in virtù dell’articolo 19 del medesimo codice (10), dal momento che le decisioni di rifiutare i visti richiesti sono state adottate conformemente all’articolo 23, paragrafo 4, lettera c), di detto codice. Le decisioni controverse, peraltro, sono state redatte utilizzando un «modulo di decisione per visto di breve durata» e il rifiuto di rilasciare i visti è stato fondato su uno dei motivi di cui all’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del codice dei visti.

50.      L’intenzione dei ricorrenti nel procedimento principale di chiedere lo status di rifugiati una volta entrati nel territorio belga non può modificare né la natura né l’oggetto delle loro domande. In particolare, essa non può trasformarle in domande di visti di soggiorno di lunga durata né collocare tali domande al di fuori dell’ambito di applicazione del codice dei visti e del diritto dell’Unione, contrariamente a quanto diversi Stati membri hanno sostenuto all’udienza dinanzi alla Corte.

51.      Dipendendo dall’interpretazione che la Corte sarà incline a fornire dell’articolo 25 del codice dei visti e del suo coordinamento con l’articolo 32 del medesimo codice (11), una tale intenzione potrebbe tutt’al più costituire un motivo di rifiuto delle domande dei ricorrenti nel procedimento principale, in applicazione delle regole di detto codice, ma certamente non un motivo di disapplicazione di quest’ultimo.

52.      Orbene, è proprio la legittimità di un simile rifiuto ciò che costituisce l’oggetto del procedimento principale e che è al centro delle questioni sollevate a titolo pregiudiziale dal giudice del rinvio, le quali mirano ad ottenere un chiarimento sulle condizioni di applicazione dell’articolo 25 del codice dei visti in circostanze come quelle del procedimento principale.

53.      Peraltro, faccio notare che i ricorrenti nel procedimento principale non avevano alcuna necessità di chiedere visti di soggiorno di lunga durata. Infatti, se fossero stati ammessi ad entrare nel territorio belga, e quand’anche, dopo aver depositato le domande d’asilo, le stesse non fossero state trattate prima della scadenza dei loro visti di soggiorno di breve durata, il loro diritto a restare in quel territorio oltre i 90 giorni sarebbe scaturito dal loro status di richiedenti asilo, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2013/32. Successivamente, tale diritto sarebbe risultato dal loro status di beneficiari della protezione internazionale.

54.      La Corte è, pertanto, manifestamente competente a rispondere alle questioni sollevate dal Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri).

55.      Le sentenze dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691), e dell’8 maggio 2013 Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291), citate dal governo belga, non possono essere addotte a sostegno delle deduzioni di incompetenza della Corte proposte da detto governo.

56.      Innanzitutto, in tali sentenze, la Corte non si è dichiarata incompetente, ma ha risposto alle questioni che le sono state sottoposte.

57.      Inoltre, la presente causa si distingue nettamente dalle cause decise con le suddette sentenze, nelle quali la Corte ha concluso che la situazione dei ricorrenti nei procedimenti principali oggetto di tali cause non era disciplinata dal diritto dell’Unione e non presentava alcun nesso con tale diritto (12). Più precisamente, in dette sentenze, la Corte constatava che i predetti ricorrenti non potevano essere considerati beneficiari della direttiva 2004/38/CE (13), né, per quanto riguarda i ricorrenti nel procedimento principale all’origine della sentenza dell’8 maggio 2013, Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291), della direttiva 2003/86 (14) e, pertanto, che questi atti non erano loro applicabili (15).

58.      Nella presente causa, invece, i ricorrenti nel procedimento principale hanno presentato domande di visto di soggiorno di breve durata ai sensi di un regolamento dell’Unione che armonizza le procedure e le condizioni di rilascio di tali visti e che è loro applicabile. La loro situazione rientra, infatti, nell’ambito del codice dei visti sia ratione personae che ratione materiae.

59.      Da una parte, il codice dei visti si applica, conformemente al suo articolo 1, paragrafo 2, «[a]i cittadini dei paesi terzi che devono essere in possesso di visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri conformemente al regolamento (…) n. 539/2001» (16), che stabilisce in particolare l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono sottoposti all’obbligo di visto. Orbene, la Siria è uno di questi paesi terzi (17). Essendo cittadini siriani, i ricorrenti nel procedimento principale erano, pertanto, tenuti a munirsi di un visto per entrare nel territorio degli Stati membri.

60.      D’altra parte, né l’articolo 1, paragrafo 1, del codice dei visti, che ne espone l’obiettivo, né l’articolo 2, punto 2), che definisce la nozione di «visto», fanno riferimento ai motivi per i quali il visto è richiesto. Tali disposizioni descrivono detto obiettivo e siffatta nozione riferendosi unicamente alla durata dell’autorizzazione al soggiorno che può essere richiesta e concessa. Le ragioni che hanno motivato la domanda di visto vengono in rilievo solo ai fini dell’applicazione dell’articolo 25 del codice dei visti e in occasione della valutazione dell’esistenza dei motivi di rifiuto previsti dall’articolo 32 di tale codice, vale a dire in una fase avanzata della trattazione della domanda di visto. Siffatta interpretazione è avvalorata dall’articolo 19 del codice dei visti. Ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo in parola, la domanda di visto «è ricevibile» quando il consolato competente constata che le condizioni previste al paragrafo 1 del medesimo articolo sono soddisfatte. Orbene, tra tali condizioni non figura la presentazione, da parte del richiedente, dei documenti giustificativi elencati all’articolo 14 del codice dei visti, in particolare quelli di cui alle lettere a) e d) del medesimo articolo, vale a dire, rispettivamente, i documenti che indicano la finalità del viaggio e le informazioni che consentano di valutare l’intenzione del richiedente di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto. Ne consegue che le domande dei ricorrenti nel procedimento principale, dirette ad ottenere un visto di durata limitata a 90 giorni, rientrano nell’ambito d’applicazione per materia del codice dei visti, indipendentemente dai motivi per i quali sono state presentate e sono state giustamente considerate ricevibili dalle autorità consolari belghe in virtù dell’articolo 19 di tale codice.

61.      La situazione dei ricorrenti nel procedimento principale è dunque disciplinata dal codice dei visti e, pertanto, dal diritto dell’Unione, anche nel caso in cui si dovesse concludere che è a giusto titolo che le loro domande sono state respinte. Come ha difatti precisato la Corte nella sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862), i motivi di rifiuto di visto sono elencati in modo esaustivo dal codice dei visti (18) e devono essere applicati nel rispetto delle disposizioni pertinenti del medesimo.

62.      Tale conclusione non è rimessa in discussione dall’affermazione del governo belga, avanzata anche dalla Commissione e da un certo numero di Stati membri durante l’udienza, secondo la quale il codice dei visti non permette di presentare una domanda di visto basata sull’articolo 25 del medesimo.

63.      Innanzitutto, un simile argomento, del resto eccessivamente formalista, è in contrasto con l’articolo 23, paragrafo 4, lettera b), del codice dei visti, che include fra le decisioni che possono essere prese nei confronti di una «domanda» di visto dichiarata ricevibile ai sensi dell’articolo 19 del medesimo codice, la decisione di rilasciare un visto con validità territoriale limitata a norma dell’articolo 25 di tale codice.

64.      Inoltre, faccio notare che, all’allegato I del codice dei visti, figura un solo modulo armonizzato per la presentazione della domanda. L’intestazione di tale modulo si riferisce in modo generico ad una «Domanda di visto per gli Stati Schengen», senza precisare la tipologia del visto, tra quelli previsti da tale codice – vale a dire un visto uniforme, di transito o a validità territoriale limitata −, per il quale la domanda è presentata. È solo compilando il punto 21 di tale modulo, intitolato «Scopo/i principale/i del viaggio», nel quale figurano diverse caselle, ognuna corrispondente a un motivo di viaggio (studio, turismo, visita ufficiale, motivi sanitari ecc.), che il richiedente fornisce precisazioni sul tipo di visto richiesto (per esempio, spuntando la casella «transito aeroportuale» se si richiede un visto di questo tipo). Poiché tale elenco di motivi non è esaustivo [l’ultima casella riporta la dicitura «di altro tipo (precisare)»], è assolutamente possibile per il richiedente, come hanno fatto i ricorrenti nel procedimento principale, indicare che la sua domanda è motivata da motivi umanitari ai sensi dell’articolo 25 del codice dei visti. Ciò è peraltro confermato dal fatto che, nella parte del suddetto modulo riservata all’amministrazione, sotto la rubrica «Decisione relativa al visto» figura, tra le opzioni possibili in caso di decisione positiva, anche il rilascio di un visto con validità territoriale limitata.

65.      Più in generale, rilevo che nulla nel codice dei visti vieta ad un richiedente visto di invocare, alla presentazione della sua domanda, l’applicazione in suo favore dell’articolo 25 del medesimo codice, quando egli non soddisfa una delle condizioni di entrata previste all’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e) del codice frontiere Schengen o quando ritiene che la sua situazione rientri nell’ambito della prima disposizione.

66.      Per quanto riguarda le circostanze del procedimento principale, ricordo che risulta dal fascicolo trasmesso dal giudice del rinvio, come confermato dal governo belga durante l’udienza, che i ricorrenti nel procedimento principale hanno presentato le loro domande di visto in conformità delle prescrizioni del codice dei visti, depositando tanto un modulo armonizzato di domanda come quello che figura all’allegato I di tale codice, quanto i documenti giustificativi che lo devono accompagnare.

67.      Infine, anche supponendo che, come sostengono in particolare il governo belga e la Commissione, il codice dei visti non consenta di presentare una domanda di visto ai sensi dell’articolo 25 del medesimo codice, una circostanza simile non sarebbe sufficiente a far sì che la situazione dei ricorrenti esuli dall’ambito di applicazione del codice dei visti, dal momento che essi hanno chiesto il rilascio di un visto le cui procedure e condizioni di riconoscimento sono disciplinate da tale codice e che le loro domande sono state trattate e respinte sulla base delle disposizioni del medesimo codice.

68.      In considerazione di quanto precede, non è necessario rispondere agli argomenti del governo belga esposti al precedente paragrafo 45, relativi all’irrilevanza delle disposizioni in materia d’asilo rispetto ai fatti del procedimento principale (19).

69.      Per contro, gli argomenti del governo belga, nonché quelli della Commissione e degli Stati membri presenti all’udienza, relativi all’applicabilità della Carta nelle circostanze del procedimento principale, saranno esaminati nel contesto dell’analisi della prima questione pregiudiziale. A tal proposito, tengo a precisare che è essenzialmente per chiarezza, a rischio di ripetermi in qualche misura, che ho preferito trattare distintamente gli argomenti relativi all’incompetenza della Corte e all’inapplicabilità del codice dei visti da quelli, che si sovrappongono in gran parte ai primi, relativi all’applicabilità della Carta e all’attuazione del diritto dell’Unione.

70.      Dall’insieme delle osservazioni che precedono consegue che, contrariamente a quanto sostiene il governo belga, la situazione dei ricorrenti nel procedimento principale rientra perfettamente nell’ambito del diritto dell’Unione. Pertanto, la Corte è competente a rispondere alle questioni sollevate dal Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri).

 Sulla prima questione pregiudiziale

71.      La prima questione pregiudiziale è composta da due parti. Nella prima parte, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se l’espressione «obblighi internazionali», di cui all’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, si riferisca ai diritti garantiti dalla Carta e, segnatamente, a quelli enunciati agli articoli 4 e 18 di quest’ultima. Nella seconda parte, il giudice del rinvio auspica accertare se tale espressione si riferisca agli obblighi ai quali gli Stati membri sono tenuti in considerazione della CEDU e dell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.

72.      Non vi è, a mio avviso, grande spazio per dubbi quanto alla risposta che occorre dare alla prima parte della questione.

73.      L’Unione dispone di un ordinamento giuridico proprio, diverso da quello internazionale. In conformità all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE, la Carta fa parte del diritto primario dell’Unione ed è, pertanto, una fonte del diritto dell’Unione. Quando ricorrono le condizioni per la sua applicazione, gli Stati membri sono tenuti a rispettarla in virtù della loro adesione all’Unione. Gli imperativi che derivano dalla Carta non figurano quindi fra gli «obblighi internazionali» ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, e questo a prescindere dalla portata che occorre attribuire a tale espressione.

74.      Ciò non significa, però, che le decisioni che gli Stati membri adottano sulla base di tale disposizione non debbano essere prese nel rispetto delle prescrizioni della Carta.

75.      L’ambito di applicazione di quest’ultima, per quanto riguarda l’azione degli Stati membri, è definito al suo articolo 51, paragrafo 1, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione. I diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono, di conseguenza, essere rispettati quando una normativa nazionale – e, in modo più generale, l’azione dello Stato membro interessato – rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (20).

76.      Occorre quindi verificare se uno Stato membro che adotta, in circostanze analoghe a quelle del procedimento principale, una decisione con la quale rifiuta il rilascio di un visto con validità territoriale limitata richiesto per motivi umanitari a titolo dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, attui il diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta.

77.      A tal proposito, va rilevato, in primo luogo, che le condizioni di rilascio dei visti in parola, nonché il regime al quale essi sono soggetti, sono previsti da un regolamento dell’Unione, il cui obiettivo si inserisce nella realizzazione, tramite la costituzione di un «corpus» normativo «comune», di una politica comune dei visti destinata a «facilitare i viaggi legittimi e a combattere l’immigrazione clandestina tramite un’ulteriore armonizzazione delle legislazioni nazionali e delle prassi per il trattamento delle domande di visto presso le rappresentanze consolari locali» (21).

78.      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, il codice dei visti fissa «le procedure e le condizioni per il rilascio del visto di transito o per soggiorni previsti sul territorio degli Stati membri non superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni» e, come ho già ricordato precedentemente, si applica ai cittadini di paesi terzi che devono essere in possesso di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri in conformità del regolamento n. 539/2001 (22).

79.      Ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera a), del codice dei visti, la nozione di «visto», ai fini del codice menzionato, è definita come «autorizzazione rilasciata da uno Stato membro», necessaria ai fini «del transito o di un soggiorno previsto sul territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni». Tale nozione comprende anche il «visto con validità territoriale limitata», che è disciplinato dall’articolo 25 del codice dei visti. A prescindere dalle sue condizioni di rilascio (e di rifiuto di rilascio), il visto di cui trattasi non si differenzia dal «visto uniforme», definito all’articolo 2, punto 3, del suddetto codice, per ciò che riguarda la portata territoriale dell’autorizzazione d’ingresso e di soggiorno che esso concede, essendo la stessa limitata, come precisa il punto 4 dello stesso articolo 2, al territorio di uno o più Stati membri.

80.      Ne consegue che, rilasciando o rifiutando di rilasciare un visto con validità territoriale limitata in base all’articolo 25 del codice dei visti, le autorità degli Stati membri adottano una decisione relativa ad un documento che autorizza l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, che è soggetto ad un regime armonizzato e agiscono, pertanto, nell’ambito e in applicazione del diritto dell’Unione.

81.      Tale conclusione non può essere messa in discussione dall’eventuale riconoscimento di un potere discrezionale dello Stato membro interessato nell’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti.

82.      La circostanza che un regolamento dell’Unione riconosca un potere discrezionale conferito agli Stati membri non osta, infatti, come precisato dalla Corte nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 68 e 69), a che gli atti adottati nell’esercizio di tale potere rientrino nell’attuazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, quando risulta che il suddetto potere discrezionale fa parte integrante del sistema normativo stabilito dal regolamento in causa e deve essere esercitato nel rispetto delle altre disposizioni dello stesso (23).

83.      Orbene, anche supponendo che l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti lasci agli Stati membri un potere discrezionale quanto al rilascio dei visti per motivi umanitari – questione che sarà esaminata nel contesto dell’analisi della seconda questione pregiudiziale –, è d’uopo constatare che tali visti si inseriscono nella politica comune dei visti e sono disciplinati da un regolamento dell’Unione, che ne fissa le regole di competenza, le condizioni e le modalità di rilascio, la portata, nonché le cause di nullità o di revoca (24). Pertanto, le decisioni adottate dalle autorità competenti degli Stati membri sul fondamento della suddetta disposizione costituiscono un’attuazione delle procedure previste dal codice dei visti e l’eventuale potere discrezionale che le suddette autorità sono chiamate ad esercitare quando adottano queste decisioni fa parte integrante del sistema normativo stabilito dal codice in parola.

84.      In tali circostanze, occorre concludere che, adottando una decisione ai sensi dell’articolo 25 del codice dei visti, le autorità di uno Stato membro danno attuazione al diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta e sono, pertanto, tenute a rispettare i diritti garantiti da quest’ultima.

85.      Una conclusione simile deriva, peraltro, dal testo stesso del codice dei visti, il cui considerando 29 pone tale codice sotto l’egida dei diritti fondamentali e dei principi della Carta (25). Nella premessa del suo Manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati (26) − che mira a garantire un’attuazione armonizzata in particolare delle disposizioni del codice dei visti − la Commissione conferma tale imperativo di rispettare i diritti fondamentali, sottolineando che tali diritti, quali sanciti in particolare dalla Carta, devono essere garantiti a ogni persona che richiede un visto e che «il trattamento delle domande di visto deve avvenire (…) in osservanza dei divieti di infliggere trattamenti inumani o degradanti e di agire in maniera discriminatoria stabiliti, rispettivamente, agli articoli 3 e 14 della [CEDU] e agli articoli 4 e 21 della [Carta]».

86.      Per quanto riguarda, in secondo luogo, le circostanze del procedimento principale, ho già avuto l’occasione di rilevare che, dai documenti del fascicolo trasmesso dal giudice del rinvio, risulta che i ricorrenti nel procedimento principale hanno richiesto, all’atto della presentazione della loro domanda di visto, l’applicazione nei loro confronti dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, che le decisioni controverse sono fondate sul motivo di rifiuto di visto previsto dall’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), ultima parte, del codice dei visti e che tale rifiuto è stato pronunciato dopo la constatazione secondo la quale le condizioni di rilascio dei visti umanitari ai sensi dell’articolo 25 del codice, segnatamente la natura eccezionale della procedura e il carattere temporaneo del soggiorno previsto, non erano soddisfatte.

87.      È pertanto pacifico che, nel procedimento principale, le autorità belghe sono state adite e hanno agito sul fondamento e in applicazione delle disposizioni del codice dei visti.

88.      Di conseguenza, le decisioni controverse costituiscono un’attuazione del codice menzionato e, dunque, del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Adottando tali decisioni, le suddette autorità erano tenute a rispettare i diritti garantiti da quest’ultima.

89.      Occorre ancora sottolineare che i diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta, il cui rispetto s’impone ad ogni autorità degli Stati membri che agisca nel contesto del diritto dell’Unione, sono garantiti ai destinatari degli atti adottati da una tale autorità indipendentemente da qualsiasi criterio di territorialità.

90.      Come ho dimostrato ai paragrafi da 49 a 70 e da 76 a 88 delle presenti conclusioni, la situazione dei ricorrenti nel procedimento principale rientra nell’ambito del diritto dell’Unione e gli atti adottati nei loro confronti costituiscono un’attuazione di tale diritto ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. La situazione dei ricorrenti nel procedimento principale ricade, quindi, nell’ambito di applicazione della Carta, e ciò indipendentemente dalla circostanza che essi non si trovano sul territorio di uno Stato membro e che non hanno un collegamento con tale territorio.

91.      La Corte è molto chiara a tal proposito nella sua giurisprudenza: «l’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta» e «non possono esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che tali diritti fondamentali trovino applicazione» (27). Esiste, quindi, un parallelismo tra azione dell’Unione, che sia per mezzo delle istituzioni o tramite gli Stati membri, e applicazione della Carta. Interrogata su questo punto dalla Corte all’udienza, la Commissione ha aderito a siffatta conclusione (28).

92.      Orbene, se si dovesse ritenere che la Carta non si applichi quando una istituzione o uno Stato membro che attua il diritto dell’Unione agisce extra territorialmente, ciò equivarrebbe ad affermare che le situazioni previste dal diritto dell’Unione sfuggirebbero all’applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione, spezzando il suddetto parallelismo. È chiaro che una simile interpretazione avrebbe conseguenze che trascenderebbero il mero ambito della politica dei visti.

93.      Peraltro, e per limitarsi a tale ambito, se l’applicazione della Carta fosse subordinata ad un criterio di collegamento territoriale con l’Unione (o piuttosto con uno degli Stati membri), oltre al criterio di collegamento con il diritto dell’Unione, l’attuazione dell’insieme del regime comune dei visti previsto dal codice dei visti sarebbe verosimilmente sottratta al rispetto dei diritti previsti dalla Carta, il che violerebbe non soltanto il principio che disciplina l’applicazione di quest’ultima, ma altresì la chiara intenzione del legislatore dell’Unione, quale enunciata al considerando 29 del codice dei visti, in un’epoca in cui la Carta non aveva ancora forza obbligatoria.

94.      Per le stesse ragioni, l’applicazione della Carta alla situazione dei ricorrenti nel procedimento principale non dipende nemmeno dall’esercizio di una forma qualsiasi di autorità e/o di controllo da parte dello Stato belga nei loro confronti, contrariamente a quanto prevede, con riferimento alla CEDU, l’articolo 1 di quest’ultima, ai sensi del quale gli Stati facenti parte di tale convenzione riconoscono i diritti e le libertà enunciati nel titolo I della stessa «ad ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione» (29).

95.      Secondo l’argomentazione del governo belga – alla quale hanno aderito alcuni Stati membri durante l’udienza – una disposizione analoga all’articolo 1 della CEDU sarebbe applicabile parimenti nel sistema della Carta, almeno per quanto riguarda i diritti della stessa che corrispondono ai diritti garantiti dalla CEDU. Il governo belga ricorda che, in conformità all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, letto alla luce delle spiegazioni relative a detto articolo (30), quando i diritti di quest’ultima corrispondono ai diritti garantiti dalla CEDU, il loro significato e la loro portata sono gli stessi di quelli previsti da questa convenzione, comprese le limitazioni ammesse. Secondo il governo in parola, il principio di cui all’articolo 1 della CEDU fa parte di tali limitazioni e circoscrive l’ambito di applicazione, in particolare, dell’articolo 4 della Carta, che corrisponde all’articolo 3 della CEDU. Ne conseguirebbe che, dato che i ricorrenti non sono soggetti alla giurisdizione dello Stato belga, la loro situazione non rientrerebbe nell’ambito della suddetta disposizione.

96.      Diverse ragioni si oppongono all’interpretazione proposta dal governo belga.

97.      In primo luogo, l’articolo 1 della CEDU contiene una «clausola di giurisdizione» che funziona come criterio di attivazione della responsabilità degli Stati contraenti della CEDU per eventuali violazioni delle disposizioni di questa convenzione. Orbene, una tale clausola non è presente nella Carta. Come ho già sottolineato precedentemente, il solo criterio che condiziona l’applicazione di quest’ultima, per quanto riguarda l’azione degli Stati membri, si trova all’articolo 51, paragrafo 1. Inoltre, sebbene detta clausola condizioni l’applicazione della CEDU, essa non riguarda invece il «significato» e la «portata» che occorre dare alle sue disposizioni, ai quali si riferisce l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta.

98.      In secondo luogo, il riferimento, operato nelle spiegazioni relative all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, alle «limitazioni» dei diritti previsti da quest’ultima, deve essere inteso nel senso che il diritto dell’Unione non può applicare ai diritti della Carta che corrispondono a quelli della CEDU limitazioni che non sarebbero ammesse nel sistema di quest’ultima (31). In altri termini, tale disposizione sancisce la regola secondo la quale il diritto della CEDU prevale laddove garantisce una protezione dei diritti fondamentali ad un livello più elevato.

99.      In terzo luogo, l’articolo 52, paragrafo 3, ultima parte, della Carta precisa che l’equivalenza quanto a significato e portata fra i diritti della Carta e i diritti corrispondenti della CEDU «non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa». Ne consegue che il livello di protezione assicurato dalla CEDU costituisce soltanto una soglia minima, al di sotto della quale l’Unione non può scendere, potendo per contro l’Unione riconoscere ai diritti garantiti dalla Carta che corrispondono a quelli della CEDU una portata più ampia (32). Orbene, l’argomentazione del governo belga si risolve, in sostanza, nell’affermare che l’Unione è tenuta ad applicare a questi diritti le stesse limitazioni che sono ammesse nel sistema della CEDU per i diritti garantiti da questa convenzione. Una tale tesi priverebbe manifestamente l’ultima frase dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta di qualsiasi effetto utile.

100. In quarto luogo, nessuna limitazione relativa alla situazione territoriale o giuridica delle persone di cui all’articolo 4 della Carta può farsi discendere dal testo di tale articolo, che è formulato in termini universali.

101. Infine, all’interpretazione proposta dal governo belga è sottesa una confusione tra la questione dell’applicabilità della Carta come parametro della legittimità degli atti adottati uno Stato membro ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera b), del codice dei visti e quella del contenuto e della portata degli obblighi che incombono a tale Stato membro in virtù delle disposizioni della Carta nel trattamento di una domanda sotto la prospettiva di questa disposizione (33).

102. A questo punto mi accingo ad affrontare la seconda parte della prima questione pregiudiziale, con la quale il giudice del rinvio invita la Corte a precisare se l’espressione «obblighi internazionali», che figura all’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, riguardi gli obblighi ai quali gli Stati membri sono tenuti con riferimento alla CEDU e all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.

103. Ritengo che non sia utile, ai fini della risoluzione della controversia principale, che la Corte prenda posizione su questo punto. Indipendentemente dal significato e dalla portata che occorre dare alla suddetta espressione, non è infatti contestabile che la CEDU e la Convenzione di Ginevra costituiscano tanto un parametro d’interpretazione del diritto dell’Unione in materia di ingresso, di soggiorno e di asilo, quanto un parametro di legittimità dell’azione degli Stati membri nell’attuazione di tale diritto.

104. Il giudice del rinvio dubita tuttavia dell’applicabilità tanto della CEDU quanto della Convenzione di Ginevra alla situazione dei ricorrenti nel procedimento principale, poiché quest’ultimi non soddisfano il criterio di territorialità che condizionerebbe l’applicazione dei due testi suddetti (34). Nelle loro osservazioni scritte, sia il governo belga sia la Commissione sostengono una tale inapplicabilità.

105. Le considerazioni esposte nel corso dell’esame della prima parte di questa prima questione pregiudiziale mi portano a concludere che la Corte non ha nemmeno necessità di pronunciarsi su tale punto.

106. Risulta infatti da tali considerazioni che, quando hanno adottato le decisioni controverse, le autorità belghe erano tenute a rispettare le disposizioni della Carta, segnatamente, i suoi articoli 4 e 18, citati dal giudice del rinvio.

107. Dal momento che gli articoli 4 e 18 della Carta garantiscono una protezione almeno equivalente a quella offerta dall’articolo 3 della CEDU e dall’articolo 33 dalla Convenzione di Ginevra, non è necessario analizzare se detti strumenti siano applicabili alla situazione dei ricorrenti nel procedimento principale.

108. Sulla base del complesso delle considerazioni che precedono, propongo di rispondere alla prima questione pregiudiziale posta dal Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) dichiarando che l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti deve essere interpretato nel senso che l’espressione «obblighi internazionali», che figura nel testo della menzionata disposizione, non riguarda la Carta, ma che il rispetto della stessa si impone agli Stati membri quando essi esaminano, sulla base di tale disposizione, una domanda di visto a sostegno della quale sono invocati motivi umanitari, nonché quando essi adottano una decisione su detta richiesta.

 Sulla seconda questione pregiudiziale

109. Con la seconda questione, pur ammettendo che lo Stato membro cui è stata rivolta la domanda di rilascio di un visto umanitario in applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti goda di un margine di discrezionalità nella valutazione delle circostanze di ciascun caso, il giudice del rinvio si domanda se, in presenza di una situazione in cui esiste un rischio comprovato di violazione dell’articolo 4 e/o dell’articolo 18 della Carta, detto Stato membro non sia tenuto a rilasciare il suddetto visto. Il giudice del rinvio si domanda anche se l’esistenza di legami tra la persona che chiede l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti e lo Stato membro destinatario della domanda (per esempio legami familiari, famiglie affidatarie, garanti e sponsor ecc.) incida sulla risposta a tale questione.

110. Per le ragioni che saranno esposte di seguito, ritengo necessario rispondere in modo positivo a tale questione, indipendentemente dall’esistenza o meno di legami tra la persona e lo Stato membro destinatario della richiesta.

111. Ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, un visto con validità territoriale limitata è rilasciato eccezionalmente quando, per motivi umanitari, uno Stato membro ritiene necessario derogare al principio dell’adempimento delle condizioni di ingresso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), del codice frontiere Schengen (35).

112. Come ho già indicato, il governo belga sostiene che tale disposizione consente, a priori, di derogare, in sostanza, solo ai motivi di rifiuto di visto previsti all’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del codice dei visti e non ai motivi di cui all’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del suddetto codice. Esso ne deduce che l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti non può consentire il rilascio di un visto territorialmente limitato a cittadini che non hanno l’intenzione di lasciare il suo territorio prima della scadenza del visto richiesto.

113. A mio avviso, tale eccezione dev’essere respinta.

114. Come ammette il governo belga, dalla formulazione dell’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti risulta che tale disposizione si applica «ferm[o] restando» l’articolo 25, paragrafo 1, del suddetto codice. Di conseguenza, il motivo di rifiuto di un visto di cui all’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del codice dei visti non osta di per sé a che uno Stato membro applichi l’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti.

115. Ciò è logico. L’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del codice dei visti riguarda il caso di rifiuto di rilascio di un visto qualora vi siano «ragionevoli dubbi sull’autenticità dei documenti giustificativi presentati dal richiedente o sulla veridicità del loro contenuto, sull’affidabilità delle dichiarazioni fatte dal richiedente o sulla sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto». Orbene, non vi è necessità di segnalare esplicitamente che l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti consente di derogare ad una fattispecie di rifiuto di rilascio di un visto basato su «ragionevoli dubbi sull’autenticità dei documenti giustificativi», dato che questo articolo autorizza già espressamente uno Stato membro a rilasciare un visto territorialmente limitato nel caso in cui il richiedente non sia in possesso neanche di un documento di viaggio in corso di validità che consenta al suo titolare di attraversare la frontiera [condizione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), del codice frontiere Schengen]. Parimenti, se uno Stato membro può legittimamente applicare l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti anche quando il cittadino del paese terzo interessato non giustifica in alcun modo lo scopo e le condizioni di soggiorno previsto [vedi la condizione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), del codice frontiere Schengen e il motivo di rifiuto di cui all’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), punto ii)], o anche quando il cittadino è segnatamente considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica [vedi la condizione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen e il motivo di rifiuto previsto all’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), punto vi)], non vedo alcuna ragione per la quale sarebbe stato necessario indicare in quest’articolo che tale deroga riguarda anche i casi in cui esistono «ragionevoli dubbi» sull’affidabilità delle dichiarazioni effettuate dal richiedente o sull’intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto. Si tratta, in definitiva, dell’applicazione dell’adagio secondo cui «nel più c’è il meno».

116. Sempre in questa logica, è importante anche far notare che, in virtù dell’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, uno Stato membro può applicare l’articolo 25, paragrafo 1, di tale codice nonostante il motivo di rifiuto indicato all’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), punto iv), del medesimo codice, vale a dire nonostante il fatto che la persona interessata abbia già soggiornato nel territorio degli Stati membri per 90 giorni nell’arco di un periodo di 180 giorni. Se gli Stati membri sono autorizzati ad applicare l’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti in una fattispecie in cui la persona ha già soggiornato per più di 90 giorni nell’arco di un periodo di 180 giorni, essi devono a maggior ragione poter rilasciare un visto con validità territoriale limitata ad un cittadino di un paese terzo riguardo al quale esistono dei ragionevoli dubbi sulla sua volontà di lasciare il territorio prima della scadenza del visto.

117. Come ho già sottolineato, ciò non cambia la natura del visto rilasciato, che rimane un visto di breve durata, in conformità al codice dei visti (36). Tale visto non conferisce il diritto di ingresso irrevocabile, come indica l’articolo 30 del codice dei visti.

118. Inoltre, la stessa Commissione ammette nel suo Manuale per il trattamento delle domande di visto la modifica dei visti già rilasciati(37) che l’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti costituisce la base giuridica che autorizza gli Stati membri, nell’arco di uno stesso periodo di 180 giorni, a rilasciare un visto con validità territoriale limitata di 90 giorni a seguito del rilascio di un visto uniforme e dunque ad attenuare l’applicazione rigorosa dei motivi di rifiuto previsti all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti.

119. Di conseguenza, l’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti consente agli Stati membri, nelle condizioni precise che esso stabilisce, vale a dire, specialmente per motivi umanitari, di ignorare tutti i motivi di rifiuto di cui all’articolo 32, paragrafo 1, lettere a) e b), di tale codice. L’intenzione del legislatore dell’Unione, quale riflessa in tali disposizioni, è chiara. L’espressione «ferm[o] restando [l]’articolo 25, paragrafo 1», che figura all’articolo 32, del codice dei visti, non può avere che un solo significato, vale a dire quello, precisamente, di autorizzare l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del predetto codice e dunque il rilascio di un visto con validità territoriale limitata, nonostante i motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, lettere a) e b), del codice in parola.

120. Ciò precisato, occorre ora chiedersi se l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti debba essere interpretato nel senso che esso prevede una mera facoltà per gli Stati membri di ignorare i motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, lettere a) e b), del codice dei visti o se, in determinate circostanze, esso possa giungere a imporre loro un tale provvedimento e, pertanto, indurli a rilasciare un visto con validità territoriale limitata per motivi umanitari.

121. Per le ragioni che esporrò di seguito, sono dell’avviso che il diritto dell’Unione osti ad una interpretazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti nel senso che conferisce agli Stati membri una mera autorizzazione a rilasciare tali visti. La mia posizione si basa tanto sulla formulazione e l’economia delle disposizioni del codice dei visti quanto sulla necessità per gli Stati membri, nell’esercizio del loro margine di discrezionalità, di rispettare i diritti garantiti dalla Carta quando essi applicano le disposizioni in parola.

122. Risulta dall’articolo 23, paragrafo 4, del codice dei visti che quest’ultimo regola in modo esaustivo i tipi di atti che devono essere adottati quando agli Stati membri viene presentata una domanda di visto. Si tratta, nel procedimento principale, o di una decisione di rilasciare un visto con validità territoriale limitata, in conformità all’articolo 25 di tale codice, o di rifiutare di rilasciare siffatto visto, in conformità dell’articolo 32 di detto codice.

123. Orbene, così come le decisioni di rifiuto di rilasciare un visto devono essere adottate nel quadro istituito dall’articolo 32, del codice dei visti (38), le decisioni di rilasciare un visto con validità territoriale limitata devono essere adottate nel quadro istituito dall’articolo 25, paragrafo 1, di tale codice.

124. Ne consegue, anche alla luce del coordinamento fra l’articolo 25, paragrafo 1, e l’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti che ho posto in evidenza in precedenza, che uno Stato membro, cui un cittadino di un paese terzo ha richiesto il rilascio un visto con validità territoriale limitata per motivi umanitari, non può esimersi dall’obbligo di esaminare i motivi invocati idonei a impedire l’applicazione dei motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafi 1, del codice dei visti.

125. Una simile interpretazione è avvalorata dalla formulazione letterale dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti, il quale precisa che i visti con validità territoriale limitata «sono rilasciati» quando le condizioni di tale disposizione sono soddisfatte. In tale ipotesi, con l’utilizzo del verbo essere al presente indicativo, che ricorre nelle altre versioni linguistiche dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti (39), si ordina allo Stato membro di concedere il visto con validità territoriale limitata richiesto.

126. Giunto a questa fase del ragionamento, mi pare dunque evidente che il codice dei visti impone, quanto meno, ad uno Stato membro di esaminare i motivi umanitari invocati da un cittadino di un paese terzo affinché siano disapplicati i motivi di rifiuto previsti all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti e gli sia concesso il beneficio dell’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del medesimo codice.

127. Se, all’esito di tale esame, lo Stato membro ritiene che tali motivi siano fondati, il codice dei visti esige che esso rilasci a tale cittadino un visto con validità territoriale limitata.

128. Senz’altro, non si può negare che, in considerazione della formulazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti, lo Stato membro a cui si richiede protezione conservi un margine di discrezionalità nella valutazione dei motivi umanitari che rendono necessario disapplicare i motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, e, quindi, rilasciare il visto con validità territoriale limitata.

129. Tuttavia, come ho già avuto l’occasione di affermare (40), trovandosi inscritto nell’ambito di applicazione delle disposizioni del codice dei visti, siffatto margine di valutazione è necessariamente circoscritto dal diritto dell’Unione.

130. Da un lato, la definizione e la portata dell’espressione stessa «motivi umanitari» non possono, a mio parere, essere lasciate completamente alla discrezionalità degli Stati membri. Benché non definita dal codice dei visti, si tratta di una nozione del diritto dell’Unione, poiché nessun rinvio è operato dall’articolo 25, paragrafo 1, del suddetto codice al diritto nazionale degli Stati membri. Peraltro, la circostanza che il visto rilasciato ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti sia, in linea di principio, valido unicamente nel territorio dello Stato membro di rilascio (41) non significa che i motivi umanitari devono essere riferiti esclusivamente a tale Stato membro. L’espressione «motivi umanitari», occorre ammetterlo, è molto ampia e, in particolare, non può, a mio avviso, essere circoscritta a casi di assistenza medica o sanitaria del cittadino del paese terzo interessato o di un familiare di quest’ultimo, del genere di quelli esposti nelle decisioni controverse nel procedimento principale e citati dal governo belga all’udienza dinanzi alla Corte. La formulazione letterale dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti non avvalora una simile interpretazione e sarebbe dimostrare un’estrema chiusura mentale ridurre i motivi umanitari ad uno stato di salute precario o di malattia. Senza pretendere di definire tali motivi nell’ambito delle presenti conclusioni, ritengo, a questo punto, che non sussista, in ogni caso, ombra di dubbio che i motivi esposti dai ricorrenti nel procedimento principale dinanzi alle autorità belghe, relativi alla necessità di fuggire dal conflitto armato e dalla violenza cieca che infuria in Siria, in particolare nella città di Aleppo, e di sottrarsi agli atti denunciati di tortura e persecuzione, in particolare a causa della loro appartenenza ad una minoranza religiosa, rientrano nell’ambito di applicazione dei motivi umanitari, anche ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti. Qualora così non fosse, tale espressione sarebbe privata di ogni significato. Del resto, se si dovesse aderire alla tesi «minimalista» del governo belga, ciò condurrebbe alla conseguenza paradossale per cui più i motivi umanitari sono lampanti, meno essi rientrano nell’ambito d’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti.

131. Dall’altro lato, come ho già precisato in precedenza, quando uno Stato membro si trova a dover ad adottare una decisione diretta a rifiutare di rilasciare un visto con validità territoriale limitata sulla base del rilievo che i motivi umanitari esposti dall’interessato non consentono di disapplicare i motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, tale Stato membro dà indubbiamente attuazione al diritto dell’Unione. Il margine di discrezionalità dello Stato membro destinatario della richiesta deve dunque esercitarsi nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta.

132. In altri termini, per restare nei limiti del suo margine di discrezionalità, lo Stato membro destinatario della richiesta deve giungere alla conclusione che, rifiutando di applicare l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a) del codice dei visti, nonostante i motivi umanitari esposti dal cittadino del paese terzo interessato, esso non viola i diritti enunciati dalla Carta. Se lo Stato membro giunge alla conclusione contraria, esso deve disapplicare i motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti e rilasciare il visto con validità territoriale limitata, in conformità dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del medesimo codice.

133. Il requisito del rispetto dei diritti garantiti dalla Carta non pone, in linea di principio, alcun problema particolare quando lo Stato membro decide di attivare la procedura prevista all’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti in considerazione dei motivi umanitari relativi alla situazione sulla quale esso deve pronunciarsi.

134. L’esito può essere diverso nell’ipotesi di rifiuto di concedere il visto e, di conseguenza, dell’applicazione di uno o più motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti.

135. In tale fattispecie, si tratta di determinare se l’assenza o il rifiuto di prendere in considerazione i motivi umanitari propri di una situazione determinata o il rifiuto di rilasciare un visto con validità territoriale limitata comporti la violazione da parte dello Stato membro dei suoi obblighi in virtù della Carta.

136. Occorre insistere sulla circostanza che tale requisito non priva lo Stato membro di qualsiasi margine di discrezionalità. Mi pare quindi da escludere che il rifiuto di accogliere una richiesta di assistere ai funerali di un familiare deceduto sul territorio di uno Stato membro, per quanto sia doloroso per l’interessato, possa comportare una violazione di un diritto garantito dalla Carta.

137. Diversa è la situazione, a mio avviso, se, in considerazione delle circostanze e dei motivi umanitari in questione, il rifiuto di rilasciare un visto conduce ad esporre il richiedente ad un rischio reale di violazione dei diritti sanciti dalla Carta, con particolare riguardo ai diritti di carattere assoluto, come quelli relativi alla dignità umana (articolo 1 della Carta), al diritto alla vita (articolo 2 della Carta), all’integrità della persona (articolo 3 della Carta) e alla proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (articolo 4 della Carta) (42) e, a fortiori, quando tali diritti rischiano di essere violati nei confronti di persone particolarmente vulnerabili, come minori in tenera età i cui superiori interessi devono essere oggetto di considerazione prioritaria in tutti gli atti compiuti dalle autorità pubbliche, in conformità all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta. Ricordo peraltro in proposito che, nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 94 a 98), vertente sulla determinazione dello Stato membro responsabile del trattamento di una domanda d’asilo, la Corte ha già ammesso che una semplice facoltà per uno Stato membro, prevista da un atto del diritto derivato dall’Unione, possa trasformarsi in un vero obbligo in capo a tale Stato membro al fine di garantire il rispetto dell’articolo 4 della Carta.

138. Se ci si limita quindi all’esame dell’articolo 4 della Carta, oggetto di specifico riferimento nella seconda questione sollevata dal giudice del rinvio, occorre ricordare, come ho già fatto in precedenza, che il diritto che figura in tale articolo corrisponde a quello che è garantito dall’articolo 3 della CEDU, la cui formulazione è identica (43). Le suddette due disposizioni sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri, ragion per cui esse proibiscono, in qualsiasi circostanza, la tortura, le pene o i trattamenti inumani o degradanti (44). Ne consegue che il divieto previsto all’articolo 4 della Carta si applica anche nelle circostanze più difficili, come la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata (45), o dinanzi alle pressioni di un flusso crescente di migranti e di persone in cerca di protezione internazionale verso il territorio degli Stati membri, in un contesto al contempo segnato dalla crisi economica (46).

139. Per analogia con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo vertente sull’articolo 3 della CEDU, l’articolo 4 della Carta impone agli Stati membri, quando essi attuano il diritto dell’Unione, non solo un obbligo negativo nei confronti delle persone, vale a dire che esso proibisce loro di ricorrere alla tortura e ai trattamenti inumani e degradanti, ma del pari un obbligo positivo, vale a dire che esso impone loro di adottare misure idonee a impedire che le suddette persone subiscano torture o trattamenti inumani o degradanti, specialmente quando si tratta di persone vulnerabili, e anche quando questi maltrattamenti siano inflitti da privati (47). La responsabilità dello Stato può dunque essere chiamata in causa quando le autorità non hanno adottato misure ragionevoli per impedire che si materializzasse un rischio di tortura o di trattamenti inumani o degradanti di cui erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza (48). Nelle sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 94, 106 e 113), e del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 90 e 94), la Corte ha già dichiarato che, analogamente all’articolo 3 della CEDU, ai sensi dell’articolo 4 della Carta in talune circostanze sugli Stati membri grava un obbligo positivo.

140. Nell’esame della questione se uno Stato non abbia adempiuto il suo obbligo positivo di adottare misure ragionevoli per evitare di esporre una persona ad un rischio reale di trattamenti proibiti dall’articolo 4 della Carta, occorre, a mio parere, verificare, per analogia con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU, quali siano le conseguenze prevedibili di siffatta omissione o di siffatto rifiuto di agire nei confronti della persona interessata (49). In tale contesto, e alla luce degli atti richiesti nel procedimento principale, si deve tenere conto della situazione generale del paese d’origine della persona interessata e/o di quella del paese nel quale questa persona sarebbe indotta a restare nonché delle circostanze proprie al caso dell’interessato (50). Mentre l’esame di tali situazioni e circostanze alla luce dell’articolo 4 della Carta è inevitabile al fine di determinare se, in un caso specifico, lo Stato membro non sia stato inadempiente rispetto all’obbligo positivo che gli impone il divieto previsto in tale articolo, non si tratta, invece, di constatare o di provare la responsabilità dei paesi terzi interessati o di gruppi o di altre entità che operano in quei paesi ai sensi del diritto internazionale o ad altro titolo (51).

141. Controllando l’esistenza del rischio di esporre una persona a trattamenti vietati dall’articolo 4 della Carta che risulta dall’omissione o dal rifiuto di uno Stato membro di adottare misure ragionevoli in un contesto come quello del procedimento principale, ritengo che la Corte debba basarsi sugli elementi forniti dal giudice del rinvio e fare riferimento principalmente ai fatti di cui lo Stato membro aveva o avrebbe dovuto avere conoscenza nel momento in cui ha deciso di applicare i motivi di rifiuto previsti all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, mentre successive informazioni potranno, eventualmente, confermare o invalidare la valutazione effettuata dallo Stato membro della fondatezza dei timori dell’interessato (52).

142. Poiché l’articolo 267 TFUE si basa sulla ripartizione delle competenze tra il giudice del rinvio e la Corte, è al primo che spetta anche verificare gli elementi di cui disponeva o di cui avrebbe dovuto avere conoscenza lo Stato belga al momento di adottare le decisioni controverse. Per ciò, e al fine di esaminare la situazione generale del paese d’origine o del paese nel quale l’interessato dovrebbe restare e il rischio reale incorso da quest’ultimo, ritengo che tale giudice debba attribuire importanza alle informazioni provenienti da fonti affidabili e oggettive, come le istituzioni dell’Unione, gli organi e le agenzie delle Nazioni Unite o le fonti governative, nonché le organizzazioni non governative (ONG) la cui serietà è riconosciuta, in particolare le informazioni contenute nei rapporti recenti di associazioni internazionali indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo quali Amnesty International o Human Rights Watch (53). Al fine di valutare l’affidabilità di tali rapporti, i criteri pertinenti sono l’autorevolezza e la reputazione dei loro autori, la serietà delle ricerche alla loro origine, la coerenza delle loro conclusioni e la loro conferma da altre fonti (54).

143. Occorre tuttavia, a mio avviso, tenere conto delle numerose difficoltà che affrontano i governi e le ONG per raccogliere informazioni in situazioni pericolose e instabili. Non è sempre possibile svolgere investigazioni nelle vicinanze di un conflitto. In tale ipotesi, può essere necessario basarsi su informazioni fornite da fonti che hanno una conoscenza diretta dalla situazione (55), come gli inviati di organi di stampa.

144. Senza sottrarre al giudice del rinvio il suo compito di esaminare più dettagliatamente tali informazioni alla luce delle fonti affidabili e obbiettive sopramenzionate, mi pare importante – in considerazione del carattere notorio di taluni fatti e della facile accessibilità di un gran numero di fonti relative alla situazione in Siria, a quella della popolazione siriana nonché a quella dei paesi limitrofi a detto Stato e al fine di fornire al giudice del rinvio una risposta utile e rapida, nonché di offrire indicazioni alla Corte finalizzate all’orientamento della sua emananda sentenza – mettere in evidenza i principali elementi di cui aveva o avrebbe dovuto avere conoscenza lo Stato belga al momento dell’adozione delle decisioni controverse (56).

145. Risulta innanzitutto dalla decisione di rinvio stessa che lo Stato belga non ha affatto contestato la descrizione circostanziata fatta dai ricorrenti nel procedimento principale della cieca violenza di grande intensità che imperversa in Siria, delle atrocità e delle gravi violazioni dei diritti umani commesse in tale paese e, in particolare ad Aleppo, città di cui essi sono originari. Le autorità belghe competenti non potevano certamente ignorare il carattere apocalittico, o «catastrofico» – secondo l’espressione utilizzata nelle decisioni controverse – della situazione generale in Siria, tanto più che, come hanno altresì rilevato i ricorrenti nel procedimento principale dinanzi al giudice del rinvio, quest’ultimo aveva già posto in evidenza, prima dell’adozione delle decisioni controverse, che era di «pubblica notorietà», alla luce del complesso dei dati allarmanti dinanzi ad esso evocati, come fosse drammatica la situazione della sicurezza in Siria (57).

146. Il carattere notorio del dramma umanitario e della situazione apocalittica vissuta dalla popolazione civile in Siria, qualora fosse ancora necessario dimostrarlo, è avvalorato da molteplici informazioni e documenti ufficiali. Così, in un documento diffuso nel settembre 2016 (58), vale a dire circa un mese prima dell’adozione delle decisioni controverse, la Commissione stessa rilevava che il conflitto siriano aveva «scatenato la più grande crisi umanitaria al mondo dopo la [seconda] guerra mondiale» e notava che la situazione umanitaria continuava a degradarsi in Siria, data l’intensificazione dei combattimenti, l’aggravarsi delle violenze, il mancato rispetto generalizzato delle norme di diritto internazionale e le gravi violazioni dei diritti dell’uomo. La Commissione deplorava altresì l’estrema vulnerabilità della popolazione siriana, giacché i civili sono le prime vittime di pratiche diventate «all’ordine del giorno», come «stupri e altre violenze sessuali, sequestri, deportazioni, reclutamento di bambini soldato, esecuzioni sommarie, e bombardamenti deliberatamente mirati [su di loro]». Inoltre, per quanto riguarda Aleppo, la Commissione rilevava che l’intensità dei bombardamenti e degli scontri aveva fatto innumerevoli vittime civili, lasciando più di due milioni di persone senza acqua né elettricità, nella paura di essere poste sotto assedio e oggetto di continui attacchi aerei.

147. Alcune settimane dopo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si dichiarava «allarmato dal fatto che la situazione umanitaria disastrosa nella città di Aleppo continua[va] a deteriorarsi» (59), indignato «dinanzi al progressivo intensificarsi della violenza, che ha raggiunto un livello inaccettabile, e dinanzi alla morte (…) di decine di migliaia di bambini» e «profondamente afflitto dal deterioramento costante della situazione umanitaria spaventosa che conosce la Siria e dal numero di persone che hanno bisogno di un aiuto umanitario urgente, specialmente di assistenza medica» (60). Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite insisteva anche sulla necessità di «porre fine agli attacchi contro i civili e le strutture civili, in particolare gli attacchi contro le scuole e gli ospedali, (…) ai bombardamenti indiscriminati a colpi di mortaio, alle autobombe, agli attentati suicidi (…), al fatto di far morire di fame dei civili come modalità di combattimento, anche assediando zone abitate, e al ricorso generalizzato alla tortura, ai maltrattamenti, alle esecuzioni arbitrarie, (…) ai sequestri di persone, alla violenza sessuale (…) nonché alle violenze e ai gravi abusi commessi sui bambini» (61).

148. Inoltre, nel momento in cui lo Stato belga doveva adottare le decisioni controverse, le autorità belghe non solo erano informate della situazione generale di estrema vulnerabilità dei civili siriani descritta in precedenza, ma non potevano ragionevolmente ignorare, come risulta dal fascicolo del procedimento principale, le circostanze specifiche in cui si trovavano i ricorrenti nel procedimento principale. In effetti, è assodato che i ricorrenti nel procedimento principale a) risiedevano tutti e cinque nella città assediata di Aleppo (62) e tre di loro sono minori di tenera età, dato che il più grande dei fratelli ha solo dieci anni, b) sono di religione cristiana – essendo stati, i bambini, battezzati secondo il rito cristiano ortodosso – e quindi appartengono ad un gruppo di persone rispetto al quale sussistono dei motivi seri e comprovati per ritenere che sia preso di mira, se non perseguitato, da diversi gruppi armati in Siria (63) e c) hanno presentato documentazione a sostegno della loro domanda di visto, non contestata dinanzi al giudice del rinvio, a suffragio concreto del fatto che la famiglia è stata vittima di diversi atti di violenza commessi da gruppi armati che operano ad Aleppo, e in particolare il capofamiglia è stato oggetto di sequestro da parte di uno di tali gruppi armati, nel corso del quale è stato percosso e torturato, prima di essere finalmente liberato previo riscatto.

149. Alla luce di questi elementi, è innegabile che i ricorrenti nel procedimento principale erano esposti in Siria, quanto meno, a rischi reali di trattamenti inumani di un’estrema gravità, che rientrano palesemente nell’ambito dell’applicazione del divieto previsto all’articolo 4 della Carta.

150. Oltre a ciò, adottando le decisioni controverse, lo Stato belga sapeva o avrebbe dovuto sapere che le conseguenze prevedibili di tali decisioni lasciavano ai ricorrenti nel procedimento principale soltanto la scelta fra esporsi ai pericoli, alle sofferenze e ai trattamenti inumani evocati in precedenza, che potevano portare anche alla loro morte, o sottomettersi ad altri tipi di trattamenti equivalenti, tentando di raggiungere illegalmente il territorio di uno Stato membro per presentarvi la loro richiesta di protezione internazionale. È Infatti perfettamente documentato che i cittadini siriani, tra cui quelli in cerca di protezione internazionale, che arrivano, come estrema risorsa, a pagare (64) tramite l’aiuto di scafisti senza scrupoli una traversata via mare verso l’Unione rischiando la loro vita sono, se non muoiono per annegamento o per altri motivi, picchiati, violentati e/o abbandonati in imbarcazioni di fortuna alla deriva (65) fino ad essere, nel migliore dei casi, tratti in salvo dalle guardie costiere o dalle ONG che utilizzano navi di ricerca e di salvataggio in mare (66).

151. Non vi è alcun dubbio, a mio avviso, che tali trattamenti siano vietati dall’articolo 4 della Carta.

152. Pertanto, esistevano motivi seri per ritenere che il rifiuto da parte dello Stato belga di rilasciare un visto con validità territoriale limitata avrebbe condotto direttamente i ricorrenti nel procedimento principale, salvo rimanere in Siria, a doversi esporre, come estrema risorsa, a sofferenze fisiche e morali rischiando la loro vita al fine di esercitare il diritto alla protezione internazionale che essi hanno reclamato (67). Che uno Stato membro possa, in tali circostanze, astenersi dall’adottare misure in suo potere dirette ad evitare di esporre dei cittadini di un paese terzo in cerca di protezione internazionale a tali rischi costituisce parimenti, a mio avviso, una violazione dell’articolo 4 della Carta.

153. Nelle circostanze del procedimento principale, tale valutazione non mi sembra assolutamente poter essere inficiata dall’argomento secondo il quale i ricorrenti nel procedimento principale avrebbero potuto trovare rifugio in Libano, paese limitrofo della Siria, in cui aveva sede il Consolato del Regno del Belgio presso il quale essi hanno chiesto l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice dei visti.

154. È vero che, dall’inizio del conflitto in Siria, più di un milione di siriani sono stati registrati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR) come rifugiati in Libano (68). Tuttavia, nel mese di maggio 2015, il governo libanese ha notificato all’HCR che la registrazione di nuovi rifugiati siriani doveva essere sospesa (69). Tale sospensione era ancora applicabile quando lo Stato belga doveva adottare le decisioni controverse, come i ricorrenti nel procedimento principale hanno ricordato dinanzi al giudice del rinvio. La Repubblica libanese non è parte contraente della Convenzione di Ginevra (70) e i nuovi rifugiati non registrati, privati della possibilità di ottenere lo status di richiedente asilo in detto paese, correvano il rischio di essere arrestati e detenuti per soggiorno illegale (71), come è stato peraltro sostenuto dai ricorrenti nel procedimento principale tanto dinanzi al giudice del rinvio, quanto dinanzi alla Corte. La situazione di detto gruppo di persone, nel quale avrebbero potuto rientrare i ricorrenti se avessero raggiunto il Libano violando la legislazione di tale paese, è dunque maggiormente precaria rispetto a quella dei rifugiati registrati, che vivono molto spesso in ripari rudimentali, come garage o semplici tende, in un paese in cui non esiste alcun campo ufficiale (72) e in cui l’accesso al cibo e all’acqua, all’assistenza sanitaria, nonché all’istruzione è già estremamente difficile, se non precaria (73). Inoltre, la stampa internazionale e diverse ONG hanno dato atto nel 2016 di ripetuti atti di violenza contro i rifugiati siriani causati segnatamente da crescenti tensioni con la popolazione locale, particolarmente nelle regioni più povere del paese (74). Alcuni osservatori dei diritti umani ponevano altresì in evidenza che nel corso dello stesso anno 2016 la situazione del complesso dei paesi di accoglienza limitrofi alla Siria era divenuta talmente insostenibile che numerosi siriani ritornavano in Siria a rischio della loro vita, anche nelle zone in cui i combattimenti continuavano ad imperversare (75). Infine, per quanto riguarda più specificamente la situazione dei cristiani, come i ricorrenti nel procedimento principale, alcuni rappresentanti di organizzazioni intergovernative e di ONG si sono fatti portavoce dei timori di ostracismo, di intimidazione e di gravi violenze nei confronti di tale minoranza religiosa sia in Libano che in altri paesi limitrofi, come la Giordania, anche all’interno dei campi profughi (76).

155. In considerazione di circostanze simili, che lo Stato belga conosceva o avrebbe dovuto conoscere al momento di adottare le decisioni controverse, detto Stato non poteva dunque fare valere un ipotetico argomento secondo il quale esso non aveva nessun obbligo di rilasciare un visto con validità territoriale limitata sulla base del rilievo che i ricorrenti nel procedimento principale avrebbero potuto esercitare il loro diritto di chiedere e ottenere una protezione internazionale in Libano. Mi pare chiaro che un tale diritto non poteva concretamente ed effettivamente essere esercitato in tale paese da siriani che erano fuggiti dalla Siria dopo il mese di maggio 2015. Pertanto, quand’anche lo Stato belga avesse addotto la possibilità per i ricorrenti nel procedimento principale di recarsi in Libano, ritengo che, alla luce delle informazioni disponibili sulla situazione nel suddetto paese, lo Stato belga non avrebbe potuto concludere di essere esentato dall’adempimento del suo obbligo positivo in virtù dell’articolo 4 della Carta (77).

156. Al momento di adottare le decisioni controverse, lo Stato belga sarebbe dunque dovuto giungere alla conclusione che, rifiutando di riconoscere la necessità di rilasciare un visto con validità territoriale limitata per i motivi umanitari fatti valere dai ricorrenti nel procedimento principale e applicando i motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, sussistevano ragioni particolarmente serie e comprovate per ritenere che i ricorrenti nel procedimento principale sarebbero stati esposti ad un rischio reale di subire trattamenti proibiti dall’articolo 4 della Carta.

157. Infatti, per essere assolutamente chiari, di quali alternative disponevano i ricorrenti? Restare in Siria? Inconcepibile. Affidarsi a scafisti senza scrupoli rischiando la vita per tentare di attraccare in Italia o di raggiungere la Grecia? Intollerabile. Rassegnarsi a diventare rifugiati illegali in Libano, senza prospettive di protezione internazionale, correndo anche il rischio di essere respinti verso la Siria? Inammissibile.

158. Per parafrasare la Corte europea dei diritti dell’uomo, la Carta ha l’obiettivo di proteggere diritti non teorici né illusori, ma concreti ed effettivi (78).

159. Orbene, è innegabile, alla luce delle informazioni contenute nel fascicolo del procedimento principale, che i ricorrenti nel procedimento principale avrebbero ottenuto la protezione internazionale che essi chiedevano se fossero stati in grado di superare gli ostacoli di un viaggio illegale, tanto pericoloso come spossante, e di arrivare malgrado tutto a raggiungere il Belgio (79). Il rifiuto di rilasciare il visto richiesto ha pertanto la conseguenza diretta di spingere i ricorrenti a mettere in pericolo la loro vita – e quella dei loro tre figli in tenera età – per esercitare il loro diritto alla protezione internazionale.

160. Tenuto conto del codice dei visti e degli impegni sottoscritti dagli Stati membri, una simile conseguenza è intollerabile. Essa risulta, quanto meno, contraria al diritto garantito dall’articolo 4 della Carta (80).

161. Alla luce del carattere assoluto di tale diritto, è evidente che l’assenza di legami familiari o di altra natura dei ricorrenti nel procedimento principale in Belgio è una circostanza irrilevante per la risposta che occorre dare alla seconda questione pregiudiziale.

162. Pur non escludendo che il rifiuto opposto dalle autorità belghe ai ricorrenti nel procedimento principale violi anche il diritto sancito dall’articolo 18 della Carta, ritengo, alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, che non sia necessario pronunciarsi su detta questione.

163. Pertanto, propongo alla Corte di rispondere alla seconda questione sollevata dal giudice del rinvio nel modo seguente: l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti deve essere interpretato nel senso che, in considerazione delle circostanze del procedimento principale, lo Stato membro cui un cittadino di un paese terzo ha chiesto di rilasciargli un visto con validità territoriale limitata con la motivazione dell’esistenza di motivi umanitari è tenuto a rilasciare un visto se esistono motivi seri e comprovati di ritenere che il rifiuto di procedere al rilascio del suddetto documento comporterà la conseguenza diretta di esporre tale cittadino a subire trattamenti proibiti dall’articolo 4 della Carta, privandolo di una via legale per esercitare il suo diritto di richiedere una protezione internazionale nello Stato membro in parola.

164. Non occorre sottolineare come questa proposta sia frutto di una profonda riflessione.

165. Innanzitutto, essa risulta, a mio avviso, la sola che sia degna dei «valori universali che costituiscono i diritti inviolabili e inalienabili della persona umana» (81) sui quali si fonda la costruzione europea e che difendono e promuovono l’Unione e i suoi Stati membri, tanto nei loro territori quanto nelle loro relazioni con altri paesi terzi (82). Nella sua giurisprudenza, la Corte ha ampiamente contribuito a rafforzare questi valori, ponendosi spesso nel ruolo di custode dei diritti fondamentali delle persone, in particolare delle più vulnerabili fra loro, compresi i cittadini di paesi terzi che hanno bisogno di protezione internazionale (83). Tali valori devono avere un senso, concretizzarsi e guidare l’applicazione del diritto dell’Unione quando quest’ultimo presenta le condizioni per onorarli, come nel caso previsto all’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti. Ne va, a mio avviso, della credibilità dell’Unione e dei suoi Stati membri.

166. Un aspetto mi ha colpito, rileggendo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ai fini della trattazione della presente causa: le constatazioni di tale organo giurisdizionale relative alle situazioni, sempre orribili e drammatiche, in cui uno Stato parte della CEDU è stato ritenuto responsabile per non aver adempiuto ai suoi obblighi positivi ai sensi dell’articolo 3 della CEDU, sono sistematicamente delle constatazioni realizzate a posteriori, il più delle volte quando i trattamenti in questione sono stati fatali alle vittime. Ciò è verosimilmente legato, almeno in parte, alla natura della procedura dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e alla necessità che, prima di adirla, si debbano esaurire i mezzi di ricorso interni. Nelle cause in parola, occorre darne atto, non sono mai state adottate misure preventive e l’irreparabile si è purtroppo verificato.

167. Ben diversamente nella presente causa, ed è evidentemente uno dei motivi che hanno condotto la Corte ad avviare la procedura pregiudiziale d’urgenza: per i ricorrenti nel procedimento principale non tutte le speranze sono al momento perdute. La proposta che ho appena formulato alla Corte dimostra quindi che esiste una via umanitaria, nell’ambito del diritto dell’Unione, che ordina agli Stati membri di impedire violazioni manifeste dei diritti assoluti delle persone in cerca di protezione internazionale prima che sia troppo tardi.

168. La Corte ha dunque l’occasione non solo di ricordare, e me lo auguro con forza, il rispetto dei valori umanitari e dei diritti umani che l’Unione e i suoi Stati membri si sono impegnati ad onorare, ma anche e soprattutto di offrire ai ricorrenti nel procedimento principale la speranza che siano risparmiati loro ulteriori sofferenze e trattamenti inumani.

169. Tale orientamento non significa, per ricollegarsi all’argomento dello Stato belga esposto nelle decisioni controverse, che gli Stati membri siano obbligati ad ammettere sul loro territorio «tutte le persone che vivono una situazione catastrofica», ciò che equivarrebbe ad autorizzare l’ingresso di «tutte le popolazioni in via di sviluppo, in guerra o devastate da catastrofi naturali».

170. Si tratta, invece, ed insisto, di onorare, nel senso più nobile del termine, per motivi umanitari incontestabili, gli obblighi che derivano dall’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti e dall’articolo 4 della Carta, al fine di consentire ai ricorrenti nel procedimento principale, fra cui, ricordo, tre minorenni in tenera età, di esercitare il loro diritto alla protezione internazionale, altrimenti essi sarebbero direttamente esposti a trattamenti proibiti dall’articolo 4 della Carta, trattamenti che lo Stato membro in parola conosceva o avrebbe dovuto conoscere al momento di adottare le decisioni di non rilasciare il visto richiesto.

171. È certo che la cerchia di persone interessate può risultare più ampia di quella che è attualmente nella prassi degli Stati membri. Tale argomento è tuttavia irrilevante alla luce dell’obbligo di rispettare, in ogni circostanza, i diritti fondamentali a carattere assoluto, fra cui quelli previsti all’articolo 4 della Carta. Il carattere eccezionale di un procedimento non è, dal punto di vista dei principi, incompatibile con un afflusso, anche importante, di individui. La direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (84), ne costituisce un esempio. Il meccanismo che tale atto instaura costituisce infatti parimenti una procedura «di carattere eccezionale», diretta a garantire, alle persone che fuggono da zone di conflitto armato o vittime di violazioni sistematiche o generalizzate dei diritti umani, una protezione immediata e temporanea sul territorio degli Stati membri (85).

172. Inoltre, lo spettro, evocato da un gran numero di governi che hanno partecipato all’udienza dinanzi alla Corte, di un ingorgo presso le rappresentanze consolari degli Stati membri di fronte a un flusso incontrollabile di domande di visti umanitari che verrebbero presentate ai sensi del codice dei visti deve, a mio avviso, essere oggetto di precisazioni. A parte il fatto che tale argomento manifestamente non è di natura giuridica, gli ostacoli pratici alla presentazione delle domande non devono certamente essere sottovalutati, per quanto io non li condivida. La situazione dei ricorrenti nel procedimento principale ne costituisce altresì un esempio significativo. Questi ultimi hanno infatti dovuto ottenere un appuntamento al Consolato del Regno del Belgio in Libano, conditio sine qua non per poter ottenere un salvacondotto di 48 ore sul territorio libanese dopo maggio del 2015 (86), percorrere varie centinaia di chilometri in un paese in guerra e nel caos per arrivare a Beirut e presentarsi di persona al suddetto consolato, per soddisfare i requisiti posti da quest’ultimo (87) e, infine, ritornare in Siria, nell’attesa della decisione delle autorità belghe! Peraltro, mentre è molto probabile che i ricorrenti nel procedimento principale si siano rivolti al Consolato del Regno del Belgio a Beirut dopo aver avuto conoscenza dell’operazione, soggetta ad ampia copertura mediatica, nel corso della quale, nell’estate 2015, a diverse centinaia di cittadini siriani di confessione cristiana e originari di Aleppo era stato rilasciato un visto con validità territoriale limitata dalle autorità belghe (88), il governo belga non ha però constatato un afflusso massiccio di domande di questo tipo, che abbia creato un ingorgo presso le proprie rappresentanze diplomatiche nei paesi confinanti con la Siria, a seguito di tale operazione.

173. Quindi, la proposta che ho formulato al paragrafo 163 delle presenti conclusioni è altresì totalmente coerente con gli obiettivi di lotta contro la tratta e il traffico di esseri umani, la prevenzione dell’immigrazione clandestina e le reti di criminalità organizzata (89). Difatti, offrendo una via legale d’accesso alla protezione internazionale in talune circostanze, sotto il controllo delle autorità degli Stati membri, l’interpretazione che ho sostenuto dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti consente, almeno in parte, di evitare che le persone in cerca di siffatta protezione, fra cui segnatamente donne e bambini, siano preda e oggetto di sfruttamento da parte di reti criminali attive nel traffico e nella tratta dei migranti (90). Al contrario, come ho già posto in evidenza, rifiutare di rilasciare un visto con validità territoriale limitata nelle circostanze del procedimento principale equivale, in definitiva, a indurre direttamente i ricorrenti nel procedimento principale, affinché possano reclamare il diritto alla protezione internazionale sul territorio di uno Stato membro, ad affidare le loro vite a coloro contro i quali l’Unione e gli Stati membri dispiegano attualmente, in particolar modo nel Mediterraneo, grandi sforzi operativi e finanziari per fermare e smantellare le attività criminali!

174. Infine, l’interpretazione qui sostenuta dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti assicura, fatte salve le debite proporzioni, il rispetto del «principio di solidarietà e di condivisione equa delle responsabilità tra gli Stati membri», che deve disciplinare l’insieme delle politiche dell’Unione relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione, in conformità all’articolo 80 TFUE (91). A tale riguardo, e per limitarmi a un solo punto, l’obiezione del governo belga, secondo cui ammettere che uno Stato membro sia tenuto in talune circostanze a rilasciare un visto ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti autorizzerebbe una persona a scegliere lo Stato membro in cui auspica che la sua domanda di protezione sia esaminata, mi pare francamente fuori luogo. Nelle condizioni estreme come quelle che devono subire i ricorrenti nel procedimento principale, la facoltà di scelta di quest’ultimi è altrettanto limitata di quella che hanno gli Stati membri del bacino del Mediterraneo di trasformarsi in paesi senza litorali. In ogni caso, l’argomento del governo belga non può prevalere sul carattere assoluto del diritto garantito dall’articolo 4 della Carta e sull’obbligo positivo che quest’ultimo impone agli Stati membri.

175. Prima di concludere, permettetemi di ricordarvi come tutti, in particolare qui da noi, in Europa, si sono indignati e hanno provato profonda commozione nel vedere, due anni fa, il corpo senza vita del piccolo Alan, trovato inerte sulla spiaggia, dopo che la sua famiglia aveva tentato, con l’aiuto di scafisti e di una imbarcazione di fortuna sovraccarica di rifugiati siriani, di raggiungere, dalla Turchia, l’isola greca di Kos. Dei quattro membri della famiglia, solo suo padre è riuscito a salvarsi dal naufragio. È lodevole e salutare indignarsi. Nella presente causa, la Corte ha tuttavia l’occasione di andare più avanti, come io la invito a fare, sancendo la via legale di accesso alla protezione internazionale che risulta dall’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del codice dei visti. Che non si equivochi: non è perché lo detti l’emozione, bensì perché il diritto dell’Unione lo impone.

 Conclusione

176. Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali presentate dal Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio) nel modo seguente:

«1)      L’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti deve essere interpretato nel senso che l’espressione «obblighi internazionali» che figura nel testo di tale disposizione non riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Quando esaminano, sulla base dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 810/2009, una domanda di visto a sostegno della quale sono invocati motivi umanitari e quando adottano una decisione relativamente a detta domanda, gli Stati membri sono tenuti al rispetto delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali.

2)      L’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 810/2009 deve essere interpretato nel senso che lo Stato membro cui un cittadino di un paese terzo chiede il rilascio di un visto con validità territoriale limitata sulla base del rilievo che sussistono motivi umanitari è tenuto a rilasciare detto visto se, in considerazione delle circostanze del caso di specie, sussistono motivi seri e comprovati di ritenere che il rifiuto di procedere al rilascio di tale documento comporterebbe la conseguenza diretta di esporre il cittadino in parola a subire trattamenti proibiti dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali, privandolo di una via legale per esercitare il suo diritto di domandare una protezione internazionale in tale Stato membro. L’assenza di legami familiari o di altra natura di un simile cittadino con lo Stato membro destinatario della richiesta è a tal proposito irrilevante».


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2009, L 243, pag. 1.


3      V. relazione del Parlamento europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul codice dei visti dell’Unione [COM(2014)164], documento A8-0145/2016, del 22 aprile 2016.


4      Nell’esposizione dei motivi degli emendamenti proposti dal Parlamento relativi ai «visti umanitari», il relatore indica (pag. 100) di aver scelto l’adozione di «un’impostazione prudente e giuridicamente solida, basata sul rafforzamento e lo sviluppo di disposizioni già presenti nel testo» attuale del codice dei visti (il corsivo è mio).


5      GU 2008, L 218, pag. 60.


6      GU 2013, L 180, pag. 60.


7      GU 2016, L 77, pag. 1.


8       V., in tal senso, sentenza del 10 aprile 2012, Vo (C‑83/12 PPU, EU:C:2012:202, punto 36).


9      La parte dell’argomentazione del governo belga vertente sul coordinamento tra l’articolo 25, paragrafo 1, e l’articolo 32 del codice dei visti sarà affrontato ai paragrafi 111 e seguenti delle presenti conclusioni.


10      Non risulta tuttavia dal fascicolo se le domande dei ricorrenti nel procedimento principale siano state considerate ricevibili «a titolo di deroga» «per motivi umanitari» in applicazione dell’articolo 19, paragrafo 4, del codice dei visti.


11      Sui rapporti tra questi due articoli, v. paragrafi 111 e seguenti delle presenti conclusioni.


12      V. sentenze dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691, punti 80 e 81), e dell’8 maggio 2013, Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291, punto 42).


13      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77 e rettifiche GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).


14      Direttiva del Consiglio del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).


15      V. sentenza dell’8 maggio 2013 Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291, punti da 24 a 33), in cui la Corte constatava, da una parte, che la direttiva 2003/86 non era applicabile ai membri della famiglia del sig. Ymeraga, considerato che quest’ultimo era un cittadino lussemburghese e, dall’altra, che nemmeno la direttiva 2004/38 era applicabile, poiché il sig. Ymeraga non aveva esercitato il suo diritto alla libera circolazione. V. anche sentenza dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691, punti 61 e 65), in cui la Corte constatava che la direttiva 2004/38, invocata dal sig. Iida al fine di ottenere una «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione» ai sensi del diritto tedesco, non si applicava alla sua situazione, poiché egli non accompagnava né raggiungeva un membro della sua famiglia, cittadino dell’Unione, che aveva esercitato la sua libertà di circolazione.


16      Regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2001, L 81, pag. 1);


17      In conformità all’articolo 1, paragrafo 1, e all’elenco di cui all’allegato I del regolamento n. 539/2001.


18      V. sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 65).


19      A tal proposito, mi limito a porre in evidenza che, contrariamente a quanto sembra sottintendere detto governo, i ricorrenti nel procedimento principale non hanno presentato domande di asilo diplomatico, che esulano, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, dall’ambito di applicazione di quest’ultima e da quello del regime di asilo europeo comune. Essi contestano, per contro, una violazione del loro diritto di asilo, quale garantito dall’articolo 18 della Carta, a causa del rifiuto di ingresso che è stato loro opposto dalle autorità belghe, rifiuto che li priva di una via d’accesso legale alla protezione internazionale concessa conformemente al suddetto regime. Non è quindi escluso che la situazione dei ricorrenti nel procedimento principale possa essere considerata come collegata al diritto dell’Unione anche a causa del loro status di aventi diritto potenziali di una tale protezione.


20      V., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 21).


21      In conformità al programma dell’Aja: rafforzare la libertà, la sicurezza e la giustizia nell’Unione europea (GU 2005, C 53, pag. 1). V. considerando 3 del codice dei visti.


22      V. il precedente paragrafo 59.


23      V. in tal senso, anche la sentenza del 26 settembre 2013, IBV & Cie (C‑195/12, EU:C:2013:598, punti 48, 49 e 61).


24      Per quanto riguarda la portata dell’armonizzazione perseguita con il codice dei visti, v. sentenze del 10 aprile 2012, Vo (C‑83/12 PPU, EU:C:2012:202, punto 42), e del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punti 49 e 50).


25      Ai sensi del considerando 29 del codice dei visti, tale codice «rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla [CEDU] e dalla [C]arta».


26      Versione consolidata basata sulla decisione della Commissione del 19 marzo 2010, relativa al Manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati [C(2010) 1620 definitivo] e le decisioni di esecuzione della Commissione del 4 agosto 2011, [C(2011) 5501 definitivo], e del 29 aprile 2014, C(2014) 2727. Questo manuale contiene istruzioni (orientamenti, migliori prassi e raccomandazioni) destinate al personale consolare e agli agenti delle altre autorità incaricate di istruire le domande di visto e di decidere su queste ultime, nonché alle autorità incaricate di modificare i visti già rilasciati.


27      V., sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 21), e del 30 aprile 2014, Pfleger e a. (C‑390/12, EU:C:2014:281, punto 34).


28      Va da sé che il rispetto di un tale parallelismo non comporta che dalla Carta sorgano nuove competenze in favore dell’Unione o una modifica delle competenze esistenti, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, della Carta.


29      Sull’interpretazione dell’articolo 1 della CEDU, v., in particolare, Corte EDU, 12 dicembre 2001, Bankovic e a. c. Belgio e a. (CE:ECHR:2001:1212DEC005220799, punti 61 e 67); Corte EDU, 29 marzo 2010, Medvedyev e a. c. Francia e Spagna (CE:ECHR:2010:00329JUD000339403, punti 63 e 64); Corte EDU, 7 luglio 2011, Al-Skeini e a. c. Regno Unito (CE:ECHR:2011:0707JUD005572107), e Corte EDU, 23 febbraio 2012 (versione rettificata il 16 novembre 2016), Hirsi Jamaa e a. c. Italia (CE:ECHR:2012:0223JUD002776509, punto 72).


30      Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17). In conformità all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, tali spiegazioni devono essere prese in considerazione in virtù dell’interpretazione di quest’ultima. V., anche, sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 47 e giurisprudenza citata).


31      Le spiegazioni relative all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta precisano che «il legislatore, nel fissare le suddette limitazioni, deve rispettare gli standard stabiliti dal regime particolareggiato delle limitazioni previsto nella CEDU».


32      Le spiegazioni relative all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta precisano, a tal proposito, che le limitazioni ammesse ai diritti previsti dalla CEDU sono «quindi applicabil[i] anche ai diritti contemplati in questo paragrafo, senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia dell’Unione europea».


33      Tale questione sarà esaminata nell’ambito dell’analisi della seconda questione pregiudiziale.


34      Il Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) afferma che dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che la nozione di «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 1 della CEDU è principalmente territoriale, poiché l’ambito di applicazione di tale convenzione è, salvo circostanze eccezionali, limitato ratione loci ai territori degli Stati contraenti [v., in particolare, Corte EDU, 12 dicembre 2001, Bankovic e a. c. Belgio e a. (CE:ECHR:2001:1212DEC005220799, punti 61 e 67); Corte EDU, 29 marzo 2010, Medvedyev e a. c. Francia e Spagna (CE:ECHR:2010:00329JUD000339403, punti 63 e 64); Corte EDU, 7 luglio 2011, Al-Skeini e a. c. Regno Unito (CE:ECHR:2011:0707JUD005572107), e Corte EDU, 23 febbraio 2012 (versione rettificata il 16 novembre 2016), Hirsi Jamaa c. Italia (CE:ECHR:2012:0223JUD002776509, punto 72)]. Una condizione di territorialità si applicherebbe ugualmente, secondo il giudice del rinvio, all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.


35      Logicamente, l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), punto i), del codice dei visti non si riferisce all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del codice frontiere Schengen, che richiede al cittadino di un paese terzo di essere in possesso di un visto in corso di validità.


36      V. paragrafi da 49 a 51 delle presenti conclusioni.


37      Citata alla nota a piè pagina 26, punto 9.1.2, pag. 80.


38      V. sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 37).


39      V., in particolare, le versioni di tale articolo in lingua tedesca («wird […] erteilt»), spagnola («[s]e expedirá»), francese («est délivré»), portoghese («é emitido»), finlandese («myönnetään»), svedese [«ska (…) utfärdas») e inglese («shall be issued»).


40      V. i paragrafi 82 e 83 delle presenti conclusioni.


41      Ricordo che, in conformità all’articolo 25, paragrafo 2, del codice dei visti, tale visto può anche, a titolo eccezionale, essere riconosciuto come valido per il territorio di uno o di più Stati membri.


42      Il carattere assoluto del diritto sancito all’articolo 4 della Carta, che è strettamente connesso a quello del rispetto della dignità umana, è stato ricordato dalla Corte. V., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 85), e del 6 settembre 2016, Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:630, punto 56).


43      V., in tal senso, le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), nonché sentenza del 5 aprile 2016 Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 86).


44      Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 87).


45      V. sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 87), nonché, per analogia, Corte EDU, 13 dicembre 2012, El-Masri c. ex-Repubblica di Jugoslavia e Macedonia (CE:ECHR:2012:1213JUD003963009, punto 195 e giurisprudenza citata).


46      V., per analogia, Corte EDU, 23 febbraio 2012 (versione rettificata il 16 novembre 2016), Hirsi Jamaa e a. c. Italia (CE:ECHR:2012:0223JUD002776509, punto 122).


47      V. in particolare, per analogia, Corte EDU, 28 marzo 2000, Mahmut Kaya c. Turchia (CE:ECHR:2000:0328JUD002253593, punto 115); Corte EDU, 13 dicembre 2012, El-Masri c. ex-Repubblica di Jugoslavia e Macedonia, (CE:ECHR:2012:1213JUD003963009, punto 198); Corte EDU, 25 aprile 2013, Savriddin Dzhurayev c. Russia (CE:ECHR:2013:0425JUD007138610, punto 179), e Corte EDU, 23 febbraio 2016, Nasr e Ghali c. Italia (CE:ECHR:2016:0223JUD004488309, punto 283).


48      V. in particolare, per analogia, Corte EDU, 28 marzo 2000, Mahmut Kaya c. Turchia (CE:ECHR:2000:0328JUD002253593, punto 115); Corte EDU, 13 dicembre 2012, El-Masri c. ex-Repubblica di Jugoslavia e Macedonia (CE:ECHR:2012:1213JUD003963009, punto 198), e Corte EDU, 23 febbraio 2016, Nasr e Ghali c. Italia (CE:ECHR:2016:0223JUD004488309, punto 283).


49      V. in particolare, in tal senso, Corte EDU, 13 dicembre 2012, El-Masri c. ex-Repubblica di Jugoslavia e Macedonia (CE:ECHR:2012:1213JUD003963009, punto 213). V., inoltre, Corte EDU, 23 febbraio 2016, Nasr e Ghali c. Italie (CE:ECHR:2016:0223JUD004488309, punto 289).


50      V. in particolare, in tal senso, Corte EDU, 13 dicembre 2012, El-Masri c. ex-Repubblica di Jugoslavia e Macedonia (CE:ECHR:2012:1213JUD003963009, punto 213), e Corte EDU, 23 febbraio 2016, Nasr e Ghali c. Italia (CE:ECHR:2016:0223JUD004488309, punto 289).


51      V. per analogia, in tal senso, Corte EDU, 13 dicembre 2012, El-Masri c. ex-Repubblica di Jugoslavia e Macedonia, (CE:ECHR:2012:1213JUD003963009, punto 212 e giurisprudenza citata).


52      V. in tal senso, per analogia, Corte EDU, 13 dicembre 2012, El-Masri c. ex-Repubblica di Jugoslavia e Macedonia (CE:ECHR:2012:1213JUD003963009, punto 214).


53      V. in particolare, per analogia, in tal senso, Corte EDU, 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia (CE:ECHR:2008:0228JUD003720106, punti 131 e 143); Corte EDU, 17 luglio 2008, M.S.S. c. Belgio e Grecia, (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, punti 227 e 255); Corte EDU, 23 febbraio 2012 (versione rettificata il 16 novembre 2016), Hirsi Jamaa e a. c. Italia (CE:ECHR:2012:0223JUD002776509, punti 116 e 118), e Corte EDU, 23 agosto 2016, J.K. e a. c. Svezia (CE:ECHR:2016:0823JUD005916612, punto 90). V., altresì, in tal senso, in un altro contesto, sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:630, punto 59 e giurisprudenza citata).


54      V., per analogia, Corte EDU, 3 luglio 2014, Georgia c. Russia (I), (CE:ECHR:2014:0703JUD001325507, punto 138), e Corte EDU, 23 agosto 2016, J.K. e a. c. Svezia (CE:ECHR:2016:0823JUD005916612, punti 88 e 90).


55      V., per analogia, Corte EDU, 23 agosto 2016, J.K. e a. c. Svezia (CE:ECHR:2016:0823JUD005916612, punto 89).


56      Nella sentenza del 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, punto 366), la Corte europea dei diritti dell’uomo concludeva per la violazione, da parte del Regno del Belgio, di un obbligo positivo previsto dall’articolo 3 della CEDU dopo aver constatato che, al momento dell’adozione della misura in discussione in tale causa, i «fatti erano noti e facili da verificare grazie ad un gran numero di fonti».


57      V. Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri), sentenza n. 175973 del 7 ottobre 2016, X/III c. Stato belga, pag. 8. V. anche Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri), sentenza n. 176363 del 14 ottobre 2016, X/I c. Stato belga, pag. 8.


58      V. Commissione europea, aiuto umanitario e protezione civile, scheda-info ECHO, crisi siriana, settembre 2016, disponibile sul sito Internet http://ec.europa.eu/echo/files/aid/countries/factsheets/syria_fr.pdf#view=fit.


59      Risoluzione 2328 (2016) adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 19 dicembre 2016.


60      Risoluzione 2332 (2016) adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 21 dicembre 2016.


61      Risoluzione 2332 (2016) adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 21 dicembre 2016.


62      Secondo le informazioni pubblicate il 20 ottobre 2016 dalla sezione francese di Amnesty International, tra il 19 settembre e il 16 ottobre 2016, Aleppo era stata vittima di almeno 600 attacchi aerei, durante i quali centinaia di civili sarebbero stati uccisi, migliaia feriti, e decine di infrastrutture essenziali distrutte o danneggiate. V., a tale riguardo, Amnesty International: https://www.amnesty.fr/conflits-armes-et-populations/actualites/alep--de-nouvelles-preuves-de-crimes-de-guerre


63      V., tra le diverse fonti, Rand, S., «Syria: Church on Its Knees», Open Doors Advocacy Report, May 2012, disponibile sul sito Internet https://www.opendoorsuk.org/pray/documents/Syria_Advocacy_Report.pdf; Eghdamian, K., «Religious Plurality and the Politics of Representation in Refugee Camps: Accounting for the Lived Experiences of Syrian Refugees Living in Zaatari», Oxford Monitor of Forced Migration, n. 1, 2014, pag. 38, nonché le dichiarazioni del rappresentante dell’Alto Commissariato (HCR) delle Nazioni Unite per i rifugiati nel mese di aprile 2016: http://www.thewhig.com/2016/04/03/syrian-christian-refugees-persecuted. Nel capitolo relativo alla Siria del suo rapporto annuale per l’anno 2016, la United States Commission on International Religious Freedom (USCIRF) ricorda di aver concluso nel dicembre 2015 che il gruppo armato Daesch/Stato islamico commetteva un genocidio nei confronti di varie minoranze religiose, tra cui i cristiani siriani: v. http://www.uscirf.gov/sites/default/files/USCIRF_AR_2016_Tier1_2_Syria.pdf


64      Secondo uno studio dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), realizzato nel 2016 interpellando oltre 6 000 cittadini siriani e iracheni arrivati in Europa, risulta che il prezzo pagato per il passaggio verso l’Europa era compreso tra circa USD 1 000 e USD 5 000 a persona: v. http://migration.iom.int/docs/Analysis_Flow_Monitoring_Surveys_in_the_Mediterranean_and_Beyond_8_December_2016.pdf


65      Spesso semplici gommoni.


66      Secondo l’ONG Medici Senza Frontiere (MSF), quasi 5 000 uomini, donne e bambini sono morti nel 2016 tentando di attraversare il Mar Mediterraneo, dati che tuttavia rappresentano soltanto calcoli approssimativi, giacché numerosi corpi non sono mai stati ripescati. MSF ha messo a disposizione tre navi nel 2015 e 2016 per la ricerca e il soccorso in mare e la maggior parte delle persone soccorse provenivano dalla Siria: v. http://www.msf.fr/actualite/dossiers/operations-recherche-et-sauvetage-migrants-en-mediterranee. Secondo l’HCR, tra il mese di gennaio e il mese di novembre 2016, più di 350 000 persone sono arrivate via mare in Grecia e in Italia, la maggior parte delle quali di nazionalità siriana. Le stime del numero di decessi e sparizioni nel Mar Mediterraneo sono approssimativamente le stesse di MSF. V. documenti accessibili sul sito Internet: http://data.unhcr.org/mediterranean/regional.php. Nella sua risoluzione del 12 aprile 2016 sulla situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale sulle migrazioni da parte dell’Unione, il Parlamento rilevava che «le reti criminali e i trafficanti sfruttano la disperazione di chi cerca di entrare nell’Unione sfuggendo alle persecuzioni o alla guerra», «che le vie sicure e legali di accesso dei rifugiati all’Unione sono limitate e molti continuano a correre il rischio di avviarsi su vie pericolose»: v. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2016-0102 + 0+DOC+XML+V0//[IT]


67      Nel rapporto dell’8 maggio 2015 (Doc. A/HRC/29/36, paragrafo 34), il Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti sottolineava che il rifiuto di assicurare un ingresso legale nell’Unione costituiva un «fattore chiave» delle «cause profonde» del ricorso ai trafficanti da parte delle persone in cerca di protezione internazionale che fuggono da una situazione di crisi umanitaria: v. www.ohchr.org/EN/HRBodies/HRC/.../A_HRC_29_36_FRE.DOCX.


68      V. https://data.unhcr.org/syrianrefugees/country.php?id= 122.


69      V. HCR, Vulnerability Assessment of Syrian Refugees in Lebanon, 2016, pag. 13. Tali misure sono esplicitamente destinate a ridurre l’afflusso di rifugiati in Libano: v. http://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2015/01/05/le-liban-regule-l-entree-des-refugies-syriens-en-leur-imposant-d-obtenir-un-visa_4549504_3218.html.


70      Per scrupolo di completezza, ricordo che, quand’anche un paese terzo abbia ratificato la Convenzione di Ginevra, tale circostanza non significherebbe che vi sia una presunzione assoluta di rispetto della suddetta convenzione nonché dei diritti fondamentali nei confronti delle persone in cerca di protezione internazionale e ai richiedenti asilo: v. sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 102 a 104).


71      V., specialmente, Human Rights Watch, World Report, 2016, Lebanon, https://www.hrw.org/world-report/2016/country-chapters/lebanon. V., altresì, Janmyr, M., «Precarity in Exile: the Legal Status of Syrian Refugees in Lebanon», Refugee Survey Quaterly, n. 4, 2016, pagg. 58-78.


72       V. Commissione europea, Aiuti umanitari e protezione civile, Scheda-info ECHO, crisi siriana, settembre 2016, http://ec.europa.eu/echo/files/aid/countries/factsheets/syria_fr.pdf#view=fit.


73      Secondo lo studio dell’HCR, Vulnerability Assessment of Syrian Refugees in Lebanon, pagg. 3 e 35, il 42% delle famiglie hanno ripari che non corrispondono agli standard umanitari minimi, mentre quasi la metà dei bambini tra i 6 e i 14 anni non frequentano la scuola e sono soggetti a numerose malattie e infezioni. Solo il 15% dei bambini siriani ricevono una quantità sufficiente di cibo conformemente agli standard dell’Organizzazione mondiale della salute.


74      V., in particolare, http://observers.france24.com/fr/20160708-tensions-latentes-entre-libanais-syriens-camp-refugie-incendie e http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/09/lebanon-plan-return-syrian-refugees.html. V., inoltre, Balouziyeh, J.M.B., Hope and Future.The Story ofSyrian Refugees, Time Books, 2016, pagg. 56-57.


75      V. Amnesty International, «Cinq ans de crise, cinq millions de réfugiés syriens», 30 marzo 2016, https://www/amnesty.org/fr/latest/news/2016/03.


76      Eghdamian, K., «Religious Plurality and the Politics of Representation in Refugee Camps: Accounting for the Lived Experiences of Syrian Refugees Living in Zaatari», Oxford Monitor of Forced Migration, n. 1, 2014, pag. 38, nonché Johnston, G., «Syrian Christian refugees persecuted», 3 aprile 2016, http://www.thewhig.com/2016/04/03/syrian-christian-refugees-persecuted.


77      V., in tal senso, Corte EDU, 23 febbraio 2012 (versione rettificata il 16 novembre 2016), Hirsi Jamaa e a. c. Italia (CE:ECHR:2012:0223JUD002776509, punti da 146 a 158), che riconosce la responsabilità dello Stato italiano ai sensi dell’articolo 3 della CEDU per non aver garantito che i cittadini espulsi verso un paese terzo intermedio, che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra, beneficiassero di garanzie sufficienti di evitare il rischio di essere rinviati arbitrariamente nel loro paese d’origine, tenuto conto in particolare dell’assenza di una procedura di asilo nel paese terzo intermedio e dell’impossibilità di ottenere da parte delle autorità del paese terzo intermedio il riconoscimento dello status di rifugiato accordato dall’HCR.


78      V., specialmente, per dei richiami recenti, Corte EDU, 1o giugno 2010 (versione rettificata il 3 giugno 2010), Gäfgen c. Germania (CE:ECHR:2010:0601JUD002297805, punto 123), e Corte EDU, 26 aprile 2016, Murray c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2016:0426JUD001051110, punto 104).


79      Basandosi su informazioni provenienti dal Commissariat général aux réfugiés et aux apatrides (Commissariato generale per i rifugiati e gli apolidi) del Belgio, i ricorrenti nel procedimento principale hanno sostenuto dinanzi al giudice del rinvio, senza essere contraddetti dallo Stato belga, che, nel 2015, quasi il 98% delle decisioni del Commissariat général aux réfugiés et aux apatrides (Commissariato generale per i rifugiati e gli apolidi) relative a cittadini siriani erano state nel senso di concedere una protezione internazionale. Sembra che la grande maggioranza sia arrivata tramite canali illegali.


80      V., in tal senso, per analogia, l’opinione concordante del giudice Pinto de Albuquerque espressa nella sentenza della Corte EDU del 23 febbraio 2012 (versione rettificata il 16 novembre 2016), Hirsi Jamaa e a. c. Italia (CE:ECHR:2012:0223JUD002776509, punto. 73).


81      Preambolo del Trattato UE.


82      Ricordo che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 1 e 5, TUE, «[l]’Unione si prefigge di promuovere la pace [e] i suoi valori» e «afferma e promuove i suoi valori» «nelle relazioni con il resto del mondo», contribuendo alla «tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore» (il corsivo è mio). Ai sensi dell’articolo 4 TUE, gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare, atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione.


83      V., in particolare, sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94) per quanto riguarda l’accesso alla protezione sussidiaria di un cittadino che proviene da un paese devastato da un conflitto armato interno che genera una violenza terribile, sentenze del 5 settembre 2012, Y e Z (C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518), e del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720), relative all’accesso allo statuto di rifugiato per i cittadini di un paese terzo in cui è dimostrato che il ritorno nel loro paese d’origine li esporrà ad un rischio reale di persecuzione a causa della loro religione o a causa della loro omosessualità.


84      GU 2001, L 212, pag. 12.


85      La circostanza che la procedura prevista dalla direttiva 2001/55 non sia stata attivata nei confronti dei cittadini siriani, per quanto sorprendente possa sembrare, non è determinante in relazione all’argomento giuridico appena esposto.


86      V., in particolare, su tali condizioni, https://www.refugees-lebanon.org/en/news/35/qa-on-new-entry--renewal-procedures-for-syrians-in-lebanon


87      Risulta infatti dal fascicolo che la domanda iniziale presentata a nome dei ricorrenti nel procedimento principale dal loro avvocato presso il Consolato del Regno del Belgio in Libano è stata considerata irricevibile in quanto i ricorrenti nel procedimento principale non si erano recati personalmente al consolato.


88      V., in particolare, su tale operazione, http://www.lesoir.be/930953/article/actualite/belgique/2015-07-08/belgique-secouru-244-chretiens-alep e http://www.myria.be/fr/donnees-sur-la-migration/asile-et-protection-internationale/visas-humanitaires


89      Tali obiettivi figurano rispettivamente agli articoli 79 e 83 TFUE.


90      Nella sua comunicazione del 10 febbraio 2016 al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione [COM (2016) 85 final], la Commissione sottolinea (pag. 2) che «[n]oi dobbiamo andare oltre la gestione delle conseguenze dei flussi incontrollati e irregolari di persone ed essere effettivamente preparati a gestire tali flussi con strumenti organizzati e legali che permettano l’ingresso a chi ha bisogno di protezione». Inoltre, nella sua risoluzione del 12 aprile 2016 (punto R) sulla situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale dell’Unione in materia di immigrazione, il Parlamento sottolinea in particolare che garantire ai richiedenti asilo e ai rifugiati delle «vie sicure e legali» per l’accesso nell’Unione consentirebbe a quest’ultima e agli Stati membri di «minare il modello di business dei trafficanti». V., in tal senso, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2016-0102 + 0+DOC+XML+V0//FR.


91      V. sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 93).