Language of document : ECLI:EU:C:2017:60

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

26 gennaio 2017 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Contratti conclusi tra professionisti e consumatori – Clausole abusive – Contratti di mutuo ipotecario – Procedimento di esecuzione su un bene ipotecato – Termine di decadenza – Compito dei giudici nazionali – Autorità di cosa giudicata»

Nella causa C‑421/14,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Juzgado de Primera Instancia n. 2 de Santander (Tribunale di primo grado n. 2 di Santander, Spagna), con decisione del 10 settembre 2014, pervenuta in cancelleria il 10 settembre 2014, nel procedimento

Banco Primus SA

contro

Jesús Gutiérrez García,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Tizzano, vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Prima Sezione, M. Berger, A. Borg Barthet, S. Rodin (relatore) e F. Biltgen, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 24 settembre 2015,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il Banco Primus SA, da E. Vázquez Martín, abogado;

–        per il governo spagnolo, da M.J. García-Valdecasas Dorrego, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da J. Baquero Cruz e M. van Beek, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 2 febbraio 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Banco Primus SA e il sig. Jesús Gutiérrez García in merito all’esecuzione del bene immobiliare di quest’ultimo, ipotecato in garanzia di un mutuo concesso dal Banco Primus.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        Il sedicesimo e il ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13 così recitano:

«considerando (…) che il professionista può soddisfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi;

(…)

considerando che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori».

4        L’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva dispone quanto segue:

«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».

5        L’articolo 3 della medesima direttiva è così formulato:

«1.      Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

2.      Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.

(…)».

6        Ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 93/13:

«1.      Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.      La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

7        L’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

8        Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva in parola:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

 Diritto spagnolo

9        La Ley 1/2000, de Enjuiciamiento Civil (legge 1/2000, relativa al codice di procedura civile), del 7 gennaio 2000 (BOE n. 7, dell’8 gennaio 2000, pag. 575), è stata modificata dalla Ley 1/2013, de medidas para reforzar la protección a los deudores hipotecarios, reestructuración de deuda y alquiler social (legge 1/2013, relativa alle misure volte a rafforzare la tutela dei debitori ipotecari, la ristrutturazione del debito e il canone sociale), del 14 maggio 2013 (BOE n. 116, del 15 maggio 2013, pag. 36373), poi dal Real Decreto-Ley 7/2013, de medidas urgentes de naturaleza tributaria, presupuestaria y de fomento de la investigación, el desarrollo y la innovación (decreto legge 7/2013, recante misure urgenti di natura tributaria e di bilancio e che promuove la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione), del 28 giugno 2013 (BOE n. 155, del 29 giugno 2013, pag. 48767) e successivamente dal Real Decreto-ley 11/2014, de medidas urgentes en materia concursal (decreto legge 11/2014, recante misure urgenti in materia fallimentare), del 5 settembre 2014 (BOE n. 217, del 6 settembre 2014, pag. 69767) (in prosieguo: la «LEC»).

10      L’articolo 695 della LEC, relativo al procedimento di opposizione all’esecuzione di immobili gravati da ipoteca, è così formulato:

«1.      Nei procedimenti di cui al presente capo l’opposizione del debitore esecutato è accolta solo quando sia basata sui seguenti motivi:

(…)

4)      il carattere abusivo di una clausola contrattuale costituente il fondamento dell’esecuzione o che abbia consentito di determinare l’importo esigibile.

(…)

4.      L’ordinanza che dispone il (…) rigetto dell’opposizione per il motivo di cui al paragrafo 1, punto 4, del presente articolo è ricorribile in appello.

Al di fuori di tale ipotesi, le ordinanze che decidono sull’opposizione cui si riferisce il presente articolo non sono impugnabili con nessun ricorso e i loro effetti sono circoscritti esclusivamente al procedimento di esecuzione in cui sono emesse».

11      In forza dell’articolo 556, paragrafo 1, della LEC, l’opposizione per uno dei motivi di cui all’articolo 695 della LEC deve essere proposta entro dieci giorni a decorrere dalla notifica dell’ordinanza di esecuzione.

12      Ai sensi dell’articolo 557, paragrafo 1, della LEC, concernente il procedimento di opposizione all’esecuzione fondata su titoli non giudiziari o arbitrali:

«Quando l’esecuzione è disposta per i titoli previsti dall’articolo 517, paragrafo 2, punti 4, 5, 6 e 7, nonché per altri documenti muniti di efficacia esecutiva previsti dall’articolo 517, paragrafo 2, punto 9, il debitore esecutato può opporsi, nei termini e nelle forme previsti dall’articolo precedente, solo invocando uno dei seguenti motivi:

(…)

7)      Il titolo contiene clausole abusive».

13      Secondo l’articolo 693, paragrafo 2, della LEC, relativo all’esigibilità anticipata dei debiti a pagamento rateizzato:

«Se il contratto prevede che in caso di mancato pagamento di almeno tre rate mensili o di un numero di rate corrispondenti ad un inadempimento da parte del debitore del proprio obbligo di pagamento per un periodo pari ad almeno tre mesi, e purché tale accordo figuri nell’atto di costituzione del prestito, il creditore può esigere il pagamento complessivo di quanto dovutogli a titolo di capitale e interessi».

14      La prima disposizione transitoria della legge 1/2013 così dispone:

«La presente legge si applica ai procedimenti giudiziari o stragiudiziali in materia di esecuzione ipotecaria pendenti alla data dell’entrata in vigore della legge, purché non sia stato ancora dato corso allo sfratto».

15      Ai sensi della quarta disposizione transitoria della citata legge:

«1.      Le modifiche del[la legge 1/2000, del 7 gennaio 2000, relativa al codice di procedura civile] introdotte dalla presente legge si applicano ai procedimenti di esecuzione già avviati alla data dell’entrata in vigore della stessa, con riguardo unicamente agli atti esecutivi la cui realizzazione è pendente.

2.      In ogni caso, nei procedimenti di esecuzione in corso alla data di entrata in vigore della presente legge nei quali sia decorso il termine di dieci giorni per l’opposizione previsto all’articolo 556, paragrafo 1, del[la legge 1/2000, del 7 gennaio 2000, relativa al codice di procedura civile], le parti esecutate dispongono di un termine di decadenza di un mese per formulare un incidente straordinario di opposizione basandosi sui nuovi motivi di opposizione previsti all’articolo 557, paragrafo 1, punto 7 e all’articolo 695, paragrafo 1, punto 4, del[la legge 1/2000, del 7 gennaio 2000, relativa al codice di procedura civile].

Il termine di decadenza di un mese decorre dal giorno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge, e la proposizione ad opera delle parti dell’incidente di opposizione ha come effetto la sospensione del procedimento fino alla risoluzione dell’incidente, conformemente a quanto previsto dagli articoli 558 e seguenti e 695 del[la legge 1/2000, del 7 gennaio 2000, relativa al codice di procedura civile].

La presente disposizione transitoria si applica a tutti i procedimenti di esecuzione che non si siano conclusi con l’immissione nel possesso dell’immobile a favore dell’acquirente, conformemente a quanto previsto dall’articolo 675 del[la legge 1/2000, del 7 gennaio 2000, relativa al codice di procedura civile].

3.      Parimenti, nei procedimenti di esecuzione in corso, nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbia già cominciato a decorrere il termine di dieci giorni per proporre opposizione previsto all’articolo 556, paragrafo 1, del[la legge 1/2000, del 7 gennaio 2000, relativa al codice di procedura civile], le parti esecutate dispongono del medesimo termine di decadenza di un mese, di cui al paragrafo precedente, per formulare opposizione basata sull’esistenza di un qualsivoglia motivo di opposizione previsto agli articoli 557 e 695 del[la legge 1/2000, del 7 gennaio 2000, relativa al codice di procedura civile].

4.      La pubblicazione della presente disposizione ha carattere di comunicazione piena e valida agli effetti della notificazione e del computo dei termini di cui ai paragrafi 2 e 3 del presente articolo e non è, pertanto, necessario in alcun caso adottare una decisione espressa al tal fine.

(…)».

16      Inoltre, l’articolo 136 della LEC così dispone:

«La parte che lasci decorrere il termine entro il quale deve proporre un atto processuale incorre nella decadenza e perde la possibilità di proporre l’atto di cui trattasi. Il cancelliere prende atto del decorso del termine, dispone le misure [di sua competenza] o ne dà comunicazione al giudice affinché quest’ultimo si pronunci come ritiene opportuno».

17      L’articolo 207, paragrafi 3 e 4, della LEC aggiunge quanto segue:

«3.      Le decisioni definitive hanno autorità di cosa giudicata e il giudice dinanzi al quale si è svolto il procedimento che ha condotto alla loro emanazione è tenuto in ogni caso alla loro osservanza.

4.      Decorsi i termini previsti per proporre ricorso, qualsiasi decisione che non sia stata impugnata diviene definitiva e acquisisce autorità di cosa giudicata, pertanto il giudice dinanzi al quale si è svolto il procedimento che ha condotto alla sua emanazione è tenuto in ogni caso alla sua osservanza».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

18      Il 12 giugno 2008 il Banco Primus ha concesso al sig. Gutiérrez García un mutuo assistito da una garanzia ipotecaria sulla sua abitazione. Tale mutuo, concesso per una durata di 47 anni, era rimborsabile in 564 rate mensili. A seguito del mancato pagamento di sette rate consecutive, è stata pronunciata il 23 marzo 2010 la risoluzione anticipata, in applicazione della clausola 6 bis del contratto di mutuo. Il Banco Primus ha chiesto il pagamento dell’intera somma del capitale residuo, degli interessi ordinari e moratori e di altre spese. Ha altresì proceduto alla vendita all’asta del bene ipotecato. Poiché nessun offerente si era presentato alla vendita all’asta dell’11 gennaio 2011, il giudice del rinvio ha aggiudicato il bene al Banco Primus, con decisione esecutiva del 21 marzo 2011, per un importo che rappresentava il 50% del valore stimato del bene. Il 6 aprile 2011 il Banco Primus ha chiesto l’entrata in godimento di tale bene, differita a causa di tre ricorsi incidentali successivi, tra cui quello che ha condotto all’adozione dell’ordinanza del 12 giugno 2013, che ha qualificato come abusiva la clausola 6 del contratto di mutuo, relativa agli interessi moratori. L’adozione della decisione dell’8 aprile 2014, a seguito del terzo ricorso incidentale, ha posto fine alla sospensione del procedimento di sfratto.

19      L’11 giugno 2014 il sig. Gutiérrez García ha proposto opposizione al procedimento di esecuzione del suo bene ipotecato dinanzi al giudice del rinvio, tramite un ricorso incidentale straordinario, invocando il carattere abusivo della clausola 6 del contratto di mutuo.

20      A seguito di tale opposizione, il giudice del rinvio, dopo aver sospeso il procedimento di sfratto con decisione del 16 giugno 2014, ha osservato che sussistevano dubbi quanto al carattere abusivo, ai sensi della direttiva 93/13, di talune clausole del contratto di mutuo diverse da quella relativa agli interessi moratori, vale a dire:

–        la clausola 3 relativa agli interessi ordinari, che prevede il calcolo degli stessi sulla base di una formula che divide il capitale residuo e gli interessi maturati per il numero di giorni che costituiscono un anno commerciale, ossia per 360 giorni; e

–        la clausola 6 bis relativa alla risoluzione anticipata, in forza della quale il Banco Primus può esigere il rimborso immediato del capitale, degli interessi e delle altre spese, in particolare in caso di mancato pagamento alla data convenuta di qualsiasi importo dovuto a titolo di capitale, a titolo di interessi o a titolo di anticipi.

21      Tuttavia, da un lato, tale giudice ha dichiarato che l’opposizione proposta dal sig. Gutiérrez García era tardiva perché presentata dopo la scadenza del termine di decadenza fissato dalla quarta disposizione transitoria della legge 1/2013.

22      Dall’altro lato, il giudice del rinvio ha osservato che l’articolo 207 della LEC, che disciplina il principio dell’autorità di cosa giudicata, osterebbe a un nuovo esame del carattere abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi nel procedimento principale, poiché la legittimità dello stesso, alla luce della direttiva 93/13, era già stata verificata nell’ambito della decisione del 12 giugno 2013, divenuta definitiva.

23      Peraltro, il giudice del rinvio ha rilevato che, anche nell’ipotesi in cui la clausola 6 bis del contratto di cui trattasi nel procedimento principale dovesse essere dichiarata abusiva, la giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) gli vieterebbe di dichiarare nulla tale clausola e di disapplicarla poiché il Banco Primus non l’aveva, in concreto applicata, ma aveva rispettato le prescrizioni dell’articolo 693, paragrafo 2, della LEC attendendo il mancato pagamento di sette rate mensili per dichiarare la risoluzione anticipata.

24      Così, al fine di determinare la portata delle sue facoltà alla luce della direttiva 93/13, il giudice del rinvio, in primo luogo, si interroga sulla compatibilità della quarta disposizione transitoria della legge 1/2013 con tale direttiva e, in secondo luogo, si chiede se, in un procedimento di esecuzione ipotecaria complesso, come quello di cui trattasi nella controversia principale, detta direttiva lo obblighi, nonostante il disposto dell’articolo 207 della LEC, a procedere a un esame d’ufficio delle clausole di un contratto che è già stato oggetto di un siffatto esame alla luce della direttiva 93/13 nell’ambito di una decisione munita di autorità di cosa giudicata. In terzo luogo, tale giudice desidera parimenti ottenere talune precisazioni riguardo ai criteri di valutazione del carattere abusivo delle clausole 3 e 6 bis del contratto di cui trattasi nel procedimento principale, e alle conseguenze da trarre da tale carattere abusivo.

25      Date tali circostanze, lo Juzgado de Primera Instancia n. 2 de Santander (Tribunale di primo grado n. 2 di Santander, Spagna) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la quarta disposizione transitoria della legge 1/2013 debba essere interpretata nel senso che essa non può costituire un ostacolo alla tutela del consumatore.

2)      Se, ai sensi della direttiva 93/13, e, segnatamente, dei suoi articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, al fine di assicurare la tutela dei consumatori in conformità ai principi di equivalenza ed effettività, al consumatore sia consentito denunciare la presenza di clausole abusive oltre il termine previsto a tal fine dal diritto nazionale, in modo che il giudice nazionale sia tenuto a esaminarle.

3)      Se, ai sensi della direttiva 93/13, e, segnatamente, dei suoi articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, al fine di assicurare la tutela dei consumatori in conformità ai principi di equivalenza ed effettività, il giudice nazionale debba rilevare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva, traendo le opportune conseguenze dalle sue constatazioni. Se debba riprendere d’ufficio l’esame di una clausola che, in precedenza, aveva rifiutato di esaminare o di cui aveva dichiarato il carattere non abusivo con decisione avente autorità di cosa giudicata.

4)      Se il giudice che controlla il carattere abusivo di condizioni accessorie del contratto possa tener conto del rapporto qualità/prezzo e secondo quali criteri. Se al momento di eseguire tale controllo, detto giudice debba tener conto dei limiti di prezzo imposti dalla normativa nazionale. Se una clausola contrattuale, astrattamente valida, perda tale validità in quanto stabilisce un prezzo notevolmente superiore a quello di mercato.

5)      Se ai fini dell’articolo 4 della direttiva 93/13 sia possibile tenere conto delle circostanze successive alla conclusione del contratto, qualora l’analisi della normativa nazionale porti a concludere in tal senso.

6)      Se l’articolo 693, paragrafo 2, [della LEC], debba essere interpretato nel senso che esso non può ostacolare la tutela dell’interesse del consumatore.

7)      Se, ai sensi della direttiva 93/13, e, segnatamente, dei suoi articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, al fine di assicurare la tutela dei consumatori in conformità ai principi di equivalenza e di effettività, quando un giudice nazionale accerti la sussistenza di una clausola abusiva relativa all’esigibilità anticipata debba dichiararla nulla e non apposta a qualsiasi fine, anche quando il professionista abbia atteso il decorrere del periodo minimo previsto dalla normativa nazionale».

26      Il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di sottoporre la causa a procedimento accelerato, in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Tale richiesta è stata respinta con ordinanza del Presidente della Corte dell’11 novembre 2014, Banco Primus (C‑421/14, non pubblicata, EU:C:2014:2367), con la motivazione che, in particolare, come lo stesso giudice del rinvio ha comunicato alla Corte con lettera del 29 settembre 2014, questi ha sospeso il procedimento di esecuzione con decisione del 16 giugno 2014, cosicché il sig. Gutiérrez García non incorre nel rischio imminente di perdere la propria abitazione.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità

27      Nelle sue osservazioni scritte il governo spagnolo esprime dubbi circa la ricevibilità delle questioni sollevate perché le risposte della Corte non sarebbero utili al giudice del rinvio ai fini della definizione della controversia di cui è investito. Il procedimento di esecuzione ipotecaria sarebbe, infatti, definitivamente terminato e tale giudice non potrebbe più adottare alcun provvedimento in relazione allo stesso in quanto ha concluso detto procedimento disponendo lo sfratto del debitore e degli occupanti con un’ordinanza avente autorità di cosa giudicata in data 8 aprile 2014.

28      Il Banco Primus non eccepisce espressamente l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, ma deduce argomenti analoghi a quelli sui quali si fonda tale eccezione.

29      A tale riguardo occorre ricordare anzitutto che, in forza di una giurisprudenza costante, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice nazionale è l’unico competente ad esaminare e valutare i fatti del procedimento principale nonché ad interpretare ed a applicare il diritto nazionale. Parimenti spetta esclusivamente al giudice nazionale, investito della controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della controversia, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

30      Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è quindi possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della controversia principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi in fatto e in diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

31      Ciò non avviene nel caso di specie.

32      Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 30 delle sue conclusioni, infatti, dalla lettura della normativa nazionale presentata dal giudice del rinvio, emerge che il procedimento di esecuzione ipotecaria di cui trattasi nella controversia principale non è concluso e che esso prosegue fin quando l’aggiudicatario non è entrato in godimento dell’immobile, circostanza confermata dallo stesso governo spagnolo nelle sue osservazioni scritte. Infatti, la quarta disposizione transitoria della legge 1/2013 dispone che tale disposizione sia applicabile «a tutti i procedimenti di esecuzione che non si siano conclusi con l’immissione nel possesso dell’immobile a favore dell’acquirente».

33      Ciò premesso, e tenuto conto della circostanza che è compito della Corte fornire una soluzione utile al giudice del rinvio, che gli consenta di risolvere la controversia di cui è investito (v. sentenze del 28 novembre 2000, Roquette Frères, C‑88/99, EU:C:2000:652, punto 18, e dell’11 marzo 2010, Attanasio Group, C‑384/08, EU:C:2010:133, punto 19), dagli argomenti invocati dal governo spagnolo non appare in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non presenti alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto del procedimento principale.

34      Di conseguenza, e fatta salva la valutazione di ciascuna delle questioni pregiudiziali, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere ritenuta ricevibile.

 Nel merito

 Sulle prime tre questioni

35      Con le sue prime tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 ostino a una disposizione di diritto nazionale, come la quarta disposizione transitoria della legge 1/2013, che subordina l’esercizio da parte dei consumatori, nei confronti dei quali è stato avviato ma non concluso un procedimento di esecuzione ipotecaria prima della data di entrata in vigore di detta legge, del loro diritto di proporre opposizione a tale procedimento di esecuzione forzata sul fondamento della pretesa abusività di clausole contrattuali, a un termine di decadenza di un mese, calcolato a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della medesima legge. Detto giudice chiede, inoltre, se, eventualmente, tale direttiva gli imponga di esaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole di un contratto che è già stato oggetto di esame alla luce della direttiva 93/13 nell’ambito di una decisione giurisdizionale definitiva, in spregio a norme processuali nazionali che attuano il principio dell’autorità di cosa giudicata.

36      Per quanto riguarda la questione se gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 ostino a una disposizione nazionale come la quarta disposizione transitoria della legge 1/2013, occorre sottolineare che essa è già stata esaminata dalla Corte, che vi ha risposto in senso affermativo nella sentenza del 29 ottobre 2015, BBVA (C‑8/14, EU:C:2015:731).

37      In particolare, da tale sentenza risulta che la quarta disposizione transitoria della legge 1/2013, nella parte in cui prevede che i consumatori nei confronti dei quali è stato avviato un procedimento di esecuzione ipotecaria prima della data di entrata in vigore di detta legge e non concluso a tale data, siano assoggettati a un termine di decadenza di un mese calcolato a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della medesima legge per proporre opposizione all’esecuzione forzata sul fondamento dell’asserita abusività delle clausole contrattuali, non è idonea a garantire a tali consumatori il pieno godimento di detto termine e, quindi, l’esercizio effettivo dei loro diritti (v., in tal senso, sentenza del 29 ottobre 2015, BBVA, C‑8/14, EU:C:2015:731, punto 39).

38      Inoltre, nel procedimento principale, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che con la decisione del 12 giugno 2013, munita di autorità di cosa giudicata, il giudice del rinvio ha già esaminato il contratto di cui trattasi nella controversia principale alla luce della direttiva 93/13 e ha dichiarato che la clausola 6 dello stesso, relativa agli interessi moratori, era abusiva.

39      Date tali circostanze, il giudice del rinvio si pone la questione se la direttiva 93/13 osti a una norma nazionale, come quella risultante dall’articolo 207 della LEC, che gli vieta di esaminare d’ufficio talune clausole di un contratto che è stato già oggetto di un controllo giurisdizionale concluso con una decisione munita di autorità di cosa giudicata.

40      A questo proposito occorre ricordare che, in base a una giurisprudenza costante della Corte, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il livello di informazione (v., in particolare, sentenza del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

41      Alla luce di una siffatta situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (v., in particolare, sentenze del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 23, nonché del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti 53 e 55).

42      Secondo una giurisprudenza costante, tale disposizione deve essere considerata come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico (v. sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punti 51 e 52, nonché del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 54).

43      In questo contesto, la Corte ha già reiteratamente rilevato che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, ad ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari (sentenze del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 46 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 58).

44      Tuttavia, come esposto al punto 38 della presente sentenza, nella specie, il giudice nazionale ha già esaminato il contratto di cui trattasi nel procedimento principale alla luce della direttiva 93/13, esame al termine del quale ha accertato, con una decisione munita dell’autorità di cosa giudicata, il carattere abusivo di una delle clausole di tale contratto.

45      In tale situazione, occorre stabilire se, in siffatte circostanze, l’esigenza di sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi del professionista e del consumatore un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra questi ultimi imponga al giudice del rinvio di procedere a un nuovo controllo d’ufficio di tale contratto, in spregio a norme processuali nazionali che attuano il principio dell’autorità di cosa giudicata.

46      A tal riguardo, occorre subito ricordare l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. La Corte ha, infatti, già avuto occasione di precisare che, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (v., in particolare, sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punti 35 e 36).

47      La Corte ha anche già riconosciuto che la tutela del consumatore non è assoluta. In particolare, essa ha considerato che il diritto dell’Unione non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 37, nonché del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 68), a meno che il diritto nazionale non conferisca a un siffatto giudice tale facoltà in caso di violazione delle norme interne di ordine pubblico (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 53).

48      Inoltre, la Corte ha già precisato che, secondo il diritto dell’Unione, il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei consumatori sancisce il diritto di accesso non a un doppio grado di giudizio, ma soltanto a un giudice (v., in tal senso, sentenza del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

49      Da quanto precede risulta che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che non osta a una norma nazionale, come quella risultante dall’articolo 207 della LEC, che vieta al giudice nazionale di riesaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole di un contratto concluso con un professionista, quando è già stato statuito sulla legittimità delle clausole del contratto nel loro complesso alla luce di tale direttiva con una decisione munita di autorità di cosa giudicata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

50      Ciò premesso, dalla decisione di rinvio risulta che, nella specie, la norma processuale relativa all’autorità di cosa giudicata prevista all’articolo 207 della LEC vieta al giudice nazionale non soltanto di riesaminare, alla luce della direttiva 93/13, la legittimità delle clausole di un contratto su cui è già stato statuito con una decisione definitiva, ma anche di valutare l’eventuale carattere abusivo delle altre clausole dello stesso contratto.

51      Orbene, dai principi derivanti dai punti da 40 a 43 della presente sentenza risulta che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, alle quali si riferisce l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, non possono pregiudicare la sostanza del diritto, spettante ai consumatori in forza di tale disposizione, a non essere vincolati da una clausola reputata abusiva (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 71).

52      Quindi, nell’ipotesi in cui, nell’ambito di un precedente esame di un contratto controverso che abbia portato all’adozione di una decisione munita di autorità di cosa giudicata, il giudice nazionale si sia limitato ad esaminare d’ufficio, alla luce della direttiva 93/13, una sola o talune delle clausole di tale contratto, detta direttiva impone a un giudice nazionale, quale quello di cui al procedimento principale, regolarmente adito dal consumatore mediante un’opposizione incidentale, di valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale carattere abusivo delle altre clausole di detto contratto. Infatti, in assenza di un siffatto controllo, la tutela del consumatore si rivelerebbe incompleta ed insufficiente e costituirebbe un mezzo inadeguato ed inefficace per far cessare l’utilizzo di questo tipo di clausole, contrariamente a quanto disposto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 60).

53      Nella specie, in mancanza di precisazioni nel fascicolo di cui dispone la Corte, spetta al giudice del rinvio verificare se nella decisione del 12 giugno 2013, munita di autorità di cosa giudicata, sia stata esaminata la legittimità, alla luce della direttiva 93/13, di tutte le clausole del contratto di cui trattasi nel procedimento principale o unicamente della sua clausola 6.

54      Alla luce dell’insieme delle precedenti considerazioni, si deve rispondere alle prime tre questioni dichiarando che:

–        gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione di diritto nazionale, come la quarta disposizione transitoria della legge 1/2013, che subordina l’esercizio da parte dei consumatori, nei confronti dei quali è stato avviato ma non concluso un procedimento di esecuzione ipotecaria prima della data di entrata in vigore della legge che contiene detta disposizione, del loro diritto di proporre opposizione a tale procedimento sul fondamento dell’asserita abusività delle clausole contrattuali, a un termine di decadenza di un mese, calcolato a partire dal giorno successivo alla pubblicazione di tale legge.

–        la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che non osta a una norma nazionale, come quella risultante dall’articolo 207 della LEC, che vieta al giudice nazionale di riesaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole di un contratto, qualora sia stato già statuito sulla legittimità di tutte le clausole di tale contratto alla luce di detta direttiva con una decisione munita di autorità di cosa giudicata.

Per contro, in presenza di una o di più clausole contrattuali la cui eventuale abusività non sia ancora stata esaminata nell’ambito di un precedente controllo giurisdizionale del contratto controverso terminato con una decisione munita di autorità di cosa giudicata, la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale, regolarmente adito dal consumatore mediante un’opposizione incidentale, è tenuto a valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale abusività di tali clausole.

 Sulle questioni quarta e quinta

55      Con le sue questioni quarta e quinta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio desidera, in sostanza, ottenere precisazioni sui criteri da tenere in considerazione, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, e all’articolo 4 della direttiva 93/13, al fine di valutare l’eventuale abusività di clausole quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale, vertenti sul calcolo degli interessi ordinari e sulla risoluzione anticipata a causa di inadempimenti da parte del debitore dei propri obblighi per un periodo limitato.

56      In limine, occorre sottolineare che, alla luce della giurisprudenza esposta al punto 30 della presente sentenza, tali questioni sono irricevibili nei limiti in cui esse mirano a stabilire se il giudice nazionale, nell’ambito del suo esame dell’eventuale abusività di una clausola contrattuale, e, più specificamente della clausola 6 bis del contratto di cui trattasi nel procedimento principale, possa tener conto di circostanze successive alla conclusione del contratto. La decisione di rinvio, infatti, non precisa chiaramente di quali circostanze successive si tratti. In tale situazione, la Corte non dispone degli elementi di fatto necessari alla sua valutazione e non è, pertanto, in grado di fornire al giudice del rinvio una risposta utile ai fini della soluzione della controversia principale.

57      Per quanto riguarda gli altri aspetti sollevati dalle questioni quarta e quinta, occorre precisare, in primo luogo, che, secondo una giurisprudenza costante, la competenza della Corte in materia verte sull’interpretazione della nozione di «clausola abusiva», di cui all’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva e all’allegato della medesima, nonché sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di una clausola contrattuale con riguardo alle disposizioni della stessa direttiva, fermo restando che spetta al suddetto giudice pronunciarsi, in base ai criteri sopra citati, sulla qualificazione concreta di una specifica clausola contrattuale in funzione delle circostanze proprie del caso di specie. Ne risulta che la Corte deve limitarsi a fornire al giudice del rinvio indicazioni che quest’ultimo dovrà prendere in considerazione al fine di valutare il carattere abusivo della clausola di cui trattasi (v. sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

58      Ciò premesso, occorre osservare che, riferendosi alle nozioni di «buona fede» e di «significativo squilibrio» a danno del consumatore tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 definisce solo in modo astratto gli elementi che conferiscono carattere abusivo ad una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 67 e giurisprudenza ivi citata).

59      Orbene, per appurare se una clausola determini, a danno del consumatore, un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, occorre tener conto, in particolare, delle disposizioni applicabili nel diritto nazionale in mancanza di un accordo tra le parti in tal senso. Sarà proprio una siffatta analisi comparatistica a consentire al giudice nazionale di valutare se, ed eventualmente in che misura, il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale. Del pari, nella medesima ottica, risulta opportuno procedere a vagliare la situazione giuridica in cui versa il citato consumatore alla luce dei mezzi che la disciplina nazionale mette a sua disposizione per far cessare il ricorso a clausole abusive (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 68).

60      Per quanto riguarda la questione di quali siano le circostanze in cui un tale squilibrio sia determinato «malgrado il requisito della buona fede», occorre osservare che, alla luce del sedicesimo considerando della direttiva 93/13, a tal fine il giudice nazionale deve verificare se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse ad una clausola del genere nell’ambito di un negoziato individuale (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 69).

61      Inoltre, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva, il carattere abusivo di una clausola contrattuale dev’essere valutato tenendo conto della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione (sentenze del 4 giugno 2009, Pannon GSM, C‑243/08, EU:C:2009:350, punto 39, e del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing, C‑137/08, EU:C:2010:659, punto 42). Ne discende che, in questo contesto, devono altresì essere valutate le conseguenze che la suddetta clausola può avere nell’ambito del diritto applicabile al contratto, il che implica un esame del sistema giuridico nazionale (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

62      In secondo luogo, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, le clausole che vertono sull’oggetto principale del contratto, o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, pur rientrando nel settore disciplinato da tale direttiva, esulano dalla valutazione del loro carattere abusivo soltanto qualora il giudice nazionale competente dovesse considerare, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile (v., in tal senso, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 41, nonché del 9 luglio 2015, Bucura, C‑348/14, EU:C:2015:447, punto 50).

63      È alla luce di tali considerazioni che spetta al giudice del rinvio valutare il carattere abusivo delle clausole alle quali si riferiscono le questioni quarta e quinta sollevate.

64      Per quanto riguarda, da un lato, la clausola 3 del contratto di cui al procedimento principale, relativa al calcolo degli interessi ordinari, il giudice del rinvio ha sottolineato che, sebbene rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la clausola in parola non era formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi di detta disposizione. In tali circostanze, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, spetta a tale giudice esaminare il carattere abusivo di detta clausola e, in particolare, se essa determini, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti del contratto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 58 a 61 della presente sentenza.

65      Il giudice del rinvio dovrà, in particolare, confrontare il metodo di calcolo del tasso degli interessi ordinari previsto da tale clausola e l’importo effettivo di detto tasso che ne risulta con i metodi di calcolo abitualmente adottati e il tasso d’interesse legale nonché i tassi d’interesse praticati sul mercato alla data della conclusione del contratto di cui trattasi nel procedimento principale per un mutuo di importo e di durata equivalenti a quelli del contratto di mutuo considerato. In particolare, esso dovrà verificare se la circostanza che gli interessi ordinari siano calcolati utilizzando un anno di 360 giorni, anziché l’anno civile di 365 giorni, possa conferire a detta clausola 3 un carattere abusivo.

66      Per quanto riguarda, dall’altro lato, la clausola 6 bis del contratto di cui al procedimento principale relativa alla risoluzione anticipata a causa di inadempimenti da parte del debitore dei propri obblighi per un periodo limitato, spetta al giudice del rinvio esaminare, in particolare, se la facoltà lasciata al professionista di dichiarare esigibile il mutuo nella sua interezza dipenda dall’inadempimento da parte del consumatore di un obbligo che presenti un carattere essenziale nel contesto del rapporto contrattuale in oggetto, se tale facoltà sia prevista per le ipotesi in cui siffatto inadempimento riveste un carattere sufficientemente grave in considerazione della durata e dell’importo del mutuo, se detta facoltà deroghi alle norme di diritto comune applicabili in materia in assenza di disposizioni contrattuali specifiche e se il diritto nazionale conferisca al consumatore mezzi adeguati ed efficaci che gli consentano, allorché lo stesso è soggetto all’applicazione di una siffatta clausola, di ovviare agli effetti dell’esigibilità del mutuo (v. in tal senso, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 73).

67      Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che occorre rispondere alle questioni quarta e quinta dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 4 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che:

–        l’esame dell’eventuale carattere abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore implica stabilire se essa determini, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti contrattuali. Tale esame deve essere effettuato alla luce delle norme nazionali che trovano applicazione in mancanza di accordo tra le parti, degli strumenti di cui il consumatore dispone, in forza della normativa nazionale, per far cessare l’utilizzo di questo tipo di clausole, della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto di cui trattasi nonché di tutte le circostanze che accompagnano la sua conclusione;

–        qualora il giudice del rinvio ritenga che una clausola contrattuale relativa al metodo di calcolo degli interessi ordinari, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, non sia formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, spetta ad esso esaminare se tale clausola sia abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva. Nell’ambito di tale esame, spetta, in particolare, a detto giudice confrontare il metodo di calcolo del tasso degli interessi ordinari previsto da tale clausola e l’importo effettivo di detto tasso che ne risulta con i metodi di calcolo abitualmente adottati e il tasso d’interesse legale nonché i tassi d’interesse praticati sul mercato alla data della conclusione del contratto di cui trattasi nel procedimento principale per un mutuo di importo e di durata equivalenti a quelli del contratto di mutuo considerato; e

–        per quanto riguarda la valutazione da parte di un giudice nazionale dell’eventuale carattere abusivo della clausola relativa alla risoluzione anticipata a causa di inadempimenti da parte del debitore dei propri obblighi per un periodo limitato, spetta a tale giudice esaminare se la facoltà lasciata al professionista di dichiarare esigibile il mutuo nella sua interezza dipenda dall’inadempimento da parte del consumatore di un obbligo che presenti un carattere essenziale nel contesto del rapporto contrattuale in oggetto, se tale facoltà sia prevista per le ipotesi in cui siffatto inadempimento riveste un carattere sufficientemente grave in considerazione della durata e dell’importo del mutuo, se detta facoltà deroghi alle norme di diritto comune applicabili in materia in assenza di disposizioni contrattuali specifiche e se il diritto nazionale preveda mezzi adeguati ed efficaci che consentano al consumatore che subisce l’applicazione di una siffatta clausola di ovviare agli effetti di tale esigibilità del mutuo.

 Sulle questioni sesta e settima

68      Con le questioni sesta e settima, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13 debba essere interpretata nel senso che osta a un’interpretazione giurisprudenziale di una disposizione di diritto nazionale che disciplina le clausole di risoluzione anticipata dei contratti di mutuo, come l’articolo 693, paragrafo 2, della LEC, che vieta al giudice nazionale, il quale abbia accertato il carattere abusivo di una siffatta clausola contrattuale, di dichiararla nulla e di disapplicarla quando, in concreto, il professionista non l’ha applicata, ma ha rispettato le condizioni previste da tale disposizione di diritto nazionale.

69      In limine, occorre ricordare che se, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva, «le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (…) non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva», la clausola 6 bis del contratto di cui trattasi nel procedimento principale, che fissa le condizioni della risoluzione anticipata, a cui si riferiscono le questioni sesta e settima, non riflette le disposizioni dell’articolo 693, paragrafo 2, della LEC. Tale clausola, infatti, prevede che il prestatore del mutuo possa dichiarare la risoluzione anticipata ed esigere il rimborso immediato del capitale, degli interessi e delle altre spese in caso di mancato pagamento alla data convenuta di qualsiasi importo dovuto a titolo di capitale, a titolo di interessi o a titolo di anticipi, e non, come previsto all’articolo 693, paragrafo 2, della LEC, dopo un inadempimento dell’obbligo di pagamento per un periodo di tre mesi. Inoltre, figurano in detta clausola i termini «oltre i casi previsti dalla legge» e «al di là dei casi previsti dalla legge». Da tale formulazione si deduce che, con detta clausola, le parti hanno inteso non limitare le cause di risoluzione anticipata a quella prevista all’articolo 693, paragrafo 2, della LEC.

70      Pertanto, la clausola in parola rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva (v., a contrario, sentenza del 30 aprile 2014, Barclays Bank, C‑280/13, EU:C:2014:279, punto 41) e il giudice nazionale è tenuto a valutare d’ufficio il suo eventuale carattere abusivo (v., in particolare, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 46 e giurisprudenza citata).

71      Per quanto riguarda le conseguenze da trarre dall’eventuale carattere abusivo di una siffatta clausola, occorre ricordare che dal tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 risulta che il giudice nazionale è tenuto unicamente ad escludere l’applicazione di una clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti dei consumatori, senza essere autorizzato a rivedere il contenuto della medesima. Infatti, detto contratto deve sussistere, in linea di principio, senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile (v., in particolare, sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 65; del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito, C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 57, nonché del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank, C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 28).

72      Inoltre, data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico costituito dalla tutela dei consumatori che si trovano in una situazione d’inferiorità rispetto ai professionisti, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dall’articolo 7, paragrafo 1, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della medesima, di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori (v., in particolare, sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 68, nonché del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank, C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 30).

73      Pertanto, e al fine di garantire l’effetto dissuasivo dell’articolo 7 della direttiva 93/13, le prerogative del giudice nazionale che constata l’esistenza di una clausola abusiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, non possono dipendere dall’applicazione o meno di tale clausola in concreto. Così, la Corte ha dichiarato che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che, qualora il giudice nazionale abbia constatato il carattere «abusivo», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, di una clausola di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, la circostanza che tale clausola non sia stata eseguita non può, di per sé, costituire un ostacolo a che il giudice nazionale tragga tutte le conseguenze dal carattere abusivo di detta clausola (v., in tal senso, ordinanza dell’11 giugno 2015, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑602/13, non pubblicata, EU:C:2015:397, punti 50 e 54).

74      In tale situazione, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 85 delle sue conclusioni, la circostanza che, nella specie, il professionista abbia, in concreto, rispettato le prescrizioni dell’articolo 693, paragrafo 2, della LEC e abbia avviato il procedimento di esecuzione ipotecaria solo dopo il mancato pagamento di sette rate mensili, e non, come previsto dalla clausola 6 bis del contratto di cui trattasi nel procedimento principale, a seguito di qualsiasi importo non pagato, non può esimere il giudice nazionale dal suo obbligo di trarre tutte le conseguenze dall’eventuale carattere abusivo di tale clausola.

75      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni si deve rispondere alle questioni sesta e settima dichiarando che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che osta a un’interpretazione giurisprudenziale di una disposizione di diritto nazionale che disciplina le clausole di risoluzione anticipata dei contratti di mutuo, come l’articolo 693, paragrafo 2, della LEC, che vieta al giudice nazionale, il quale abbia accertato il carattere abusivo di una siffatta clausola contrattuale, di dichiararla nulla e di disapplicarla quando, in concreto, il professionista non l’ha applicata, ma ha rispettato le condizioni previste da tale disposizione di diritto nazionale.

 Sulle spese

76      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      Gli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione di diritto nazionale, come la quarta disposizione transitoria della Ley 1/2013, de medidas para reforzar la protección a los deudores hipotecarios, reestructuración de deuda y alquiler social (legge 1/2013, relativa alle misure volte a rafforzare la tutela dei debitori ipotecari, la ristrutturazione del debito e il canone sociale) del 14 maggio 2013, che subordina l’esercizio da parte dei consumatori, nei confronti dei quali è stato avviato ma non concluso un procedimento di esecuzione ipotecaria prima della data di entrata in vigore della legge che contiene detta disposizione, del loro diritto di proporre opposizione a tale procedimento sul fondamento dell’asserita abusività delle clausole contrattuali, a un termine di decadenza di un mese, calcolato a partire dal giorno successivo alla pubblicazione di tale legge.

2)      La direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che non osta a una norma nazionale, come quella risultante dall’articolo 207 della Ley 1/2000, de Enjuiciamiento Civil, (legge 1/2000 relativa al codice di procedura civile), del 7 gennaio 2000, come modificata dalla Ley 1/2013, de medidas para reforzar la protección a los deudores hipotecarios, reestructuración de deuda y alquiler social (legge 1/2013, relativa alle misure volte a rafforzare la tutela dei debitori ipotecari, la ristrutturazione del debito e il canone sociale), del 14 maggio 2013, poi dal Real Decreto-Ley 7/2013, de medidas urgentes de naturaleza tributaria, presupuestaria y de fomento de la investigación, el desarrollo y la innovación (decreto legge 7/2013, recante misure urgenti di natura tributaria e di bilancio e che promuove la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione), del 28 giugno 2013 e successivamente dal Real Decreto‑ley 11/2014, de medidas urgentes en materia concursal (decreto legge 11/2014, recante misure urgenti in materia fallimentare), del 5 settembre 2014, che vieta al giudice nazionale di riesaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole di un contratto, qualora sia stato già statuito sulla legittimità di tutte le clausole di tale contratto alla luce di detta direttiva con una decisione munita di autorità di cosa giudicata.

Per contro, in presenza di una o di più clausole contrattuali la cui eventuale abusività non sia ancora stata esaminata nell’ambito di un precedente controllo giurisdizionale del contratto controverso terminato con una decisione munita di autorità di cosa giudicata, la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale, regolarmente adito dal consumatore mediante un’opposizione incidentale, è tenuto a valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale abusività di tali clausole.

3)      L’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 4 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che:

–        l’esame dell’eventuale carattere abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore implica stabilire se essa determini, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti contrattuali. Tale esame deve essere effettuato alla luce delle norme nazionali che trovano applicazione in mancanza di accordo tra le parti, degli strumenti di cui il consumatore dispone, in forza della normativa nazionale, per far cessare l’utilizzo di questo tipo di clausole, della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto di cui trattasi nonché di tutte le circostanze che accompagnano la sua conclusione;

–        qualora il giudice del rinvio ritenga che una clausola contrattuale relativa al metodo di calcolo degli interessi ordinari, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, non sia formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, spetta ad esso esaminare se tale clausola sia abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva. Nell’ambito di tale esame, spetta, in particolare, a detto giudice confrontare il metodo di calcolo del tasso degli interessi ordinari previsto da tale clausola e l’importo effettivo di detto tasso che ne risulta con i metodi di calcolo abitualmente adottati e il tasso d’interesse legale nonché i tassi d’interesse praticati sul mercato alla data della conclusione del contratto di cui trattasi nel procedimento principale per un mutuo di importo e di durata equivalenti a quelli del contratto di mutuo considerato; e

–        per quanto riguarda la valutazione da parte di un giudice nazionale dell’eventuale carattere abusivo della clausola relativa alla risoluzione anticipata a causa di inadempimenti da parte del debitore dei propri obblighi per un periodo limitato, spetta a tale giudice esaminare se la facoltà lasciata al professionista di dichiarare esigibile il mutuo nella sua interezza dipenda dall’inadempimento da parte del consumatore di un obbligo che presenti un carattere essenziale nel contesto del rapporto contrattuale in oggetto, se tale facoltà sia prevista per le ipotesi in cui siffatto inadempimento riveste un carattere sufficientemente grave in considerazione della durata e dell’importo del mutuo, se detta facoltà deroghi alle norme di diritto comune applicabili in materia in assenza di disposizioni contrattuali specifiche e se il diritto nazionale preveda mezzi adeguati ed efficaci che consentano al consumatore che subisce l’applicazione di una siffatta clausola di ovviare agli effetti di tale esigibilità del mutuo.

4)      La direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che osta a un’interpretazione giurisprudenziale di una disposizione di diritto nazionale disciplinante le clausole di risoluzione anticipata dei contratti di mutuo, come l’articolo 693, paragrafo 2, della legge 1/2000, come modificata dal decreto legge 7/2013, che vieta al giudice nazionale, il quale abbia accertato il carattere abusivo di una siffatta clausola contrattuale, di dichiararla nulla e di disapplicarla quando, in concreto, il professionista non l’ha applicata, ma ha rispettato le condizioni previste da tale disposizione di diritto nazionale.

Firme


** Lingua processuale: lo spagnolo.