Language of document : ECLI:EU:C:2017:30

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 19 gennaio 2017 (1)

Cause riunite C680/15 e C681/15

Asklepios Kliniken Langen-Seligenstadt GmbH (C‑680/15),

Asklepios Dienstleistungsgesellschaft mbH (C‑681/15)

contro

Ivan Felja,

Vittoria Graf

[domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2001/23/CE – Articolo 3, paragrafi 1 e 3 – Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese – Clausola di un contratto di lavoro che rinvia alle condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo nonché alle loro modifiche intervenute successivamente al trasferimento d’impresa»






1.        Le domande di pronuncia pregiudiziale in esame vertono sull’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (2) nonché sull’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2.        Tali domande sono state presentate nell’ambito di una controversia che vede opposti il sig. Ivan Felja e la sig.ra Vittoria Graf (in prosieguo: i «ricorrenti») all’Asklepios Kliniken Langen‑Seligenstadt GmbH e all’Asklepios Dienstleistungsgesellschaft mbH (in prosieguo: l’«Asklepios»), riguardo all’applicazione di un contratto collettivo.

3.        Sulla scorta delle sentenze del 9 marzo 2006, Werhof (C‑499/04, EU:C:2006:168; in prosieguo: la «sentenza Werhof»), e del 18 luglio 2013, Alemo‑Herron e a. (C‑426/11, EU:C:2013:521; in prosieguo: la «sentenza Alemo‑Herron e a.»), la problematica generale sollevata dal caso in esame consiste nel sapere se un datore di lavoro cessionario, a seguito di un trasferimento di stabilimento, possa essere costretto ad applicare le condizioni di lavoro risultanti da contratti collettivi adottati successivamente a tale trasferimento.

4.        La particolarità delle summenzionate sentenze nonché della presente causa consiste nella circostanza che l’applicazione dei contratti collettivi ai rapporti di lavoro tra un datore di lavoro e i suoi dipendenti è frutto di un rinvio effettuato dai contratti di lavoro a detti contratti collettivi.

5.        I contratti di lavoro possono quindi includere due tipologie di clausole di rinvio, di carattere statico oppure di carattere dinamico.

6.        Tali clausole operano in modo statico o dinamico, a seconda che rinviino soltanto a un determinato contratto collettivo vigente o altresì alle future evoluzioni di quest’ultimo.

7.        Le clausole statiche fanno così riferimento a uno specifico contratto collettivo, soltanto nella sua versione vigente alla data del trasferimento.

8.        Quando invece inseriscono nel contratto di lavoro una clausola dinamica, le parti di tale contratto convengono che talune disposizioni materiali inerenti al rapporto di lavoro tra esse esistente debbano risultare in modo dinamico da una cornice giuridica esterna e continuare ad evolversi. Le condizioni di lavoro applicabili corrispondono dunque ai contratti collettivi negoziati periodicamente dalle organizzazioni competenti.

9.        L’inserimento nei contratti di lavoro di tale tipologia di clausole si spiega, nel contesto del diritto tedesco, con la preoccupazione di garantire diritti ai lavoratori subordinati, a prescindere dalla loro appartenenza sindacale.

10.      Tali clausole di rinvio consentono così ai datori di lavoro che fanno parte di un’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato un contratto collettivo di settore di applicarlo anche ai lavoratori subordinati non iscritti ad un sindacato.

11.      Dette clausole di rinvio consentono altresì ai datori di lavoro che non fanno parte di un’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato un contratto collettivo di applicarlo volontariamente ai lavoratori subordinati (iscritti o meno al sindacato).

12.      Nella presente causa viene in rilievo quest’ultimo tipo di situazioni: un cedente non facente parte di un’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato un contratto collettivo ha scelto di includere nei contratti di lavoro dei propri lavoratori subordinati una clausola di rinvio a tale contratto collettivo. Detta clausola di rinvio ha carattere dinamico, poiché prende in considerazione le future evoluzioni del contratto collettivo.

13.      A seguito del trasferimento dello stabilimento del cedente, il cessionario ritiene di non essere tenuto ad applicare le condizioni di lavoro che risultano dalle modifiche del contratto collettivo intervenute successivamente al trasferimento.

14.      La Corte è chiamata a dichiarare se, in tali circostanze, la direttiva 2001/23 osti al carattere dinamico della clausola di rinvio. In altre parole, ci si chiede se detta direttiva osti a che il cessionario sia tenuto ad applicare le condizioni di lavoro derivanti dalle future evoluzioni del contratto collettivo al quale rinviano i contratti di lavoro.

15.      Nelle presenti conclusioni fornirò una risposta affermativa a tale questione.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

16.      L’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2001/23, la quale sostituisce e codifica la direttiva 77/187/CEE (3), prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione».

17.      L’articolo 3 della direttiva in parola così dispone:

«1.      I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.

(…)

3.      Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.

Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.

(…)».

18.      All’articolo 8, la direttiva di cui trattasi prevede quanto segue:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori».

B –    Il diritto tedesco

19.      In Germania, i diritti e gli obblighi in caso di trasferimento di stabilimento sono disciplinati dall’articolo 613a del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile; in prosieguo: il «BGB») il cui paragrafo 1 è così formulato:

«Qualora uno stabilimento o una parte di stabilimento venga trasferito mediante negozio giuridico ad un altro proprietario, questi subentra nei diritti e negli obblighi derivanti dai contratti di lavoro in corso al momento della cessione. Se tali diritti e obblighi sono disciplinati dalle clausole di un contratto collettivo o di un contratto aziendale, essi divengono parte integrante del contratto di lavoro tra il nuovo titolare e il lavoratore e non possono essere modificati a danno del lavoratore prima che sia decorso un periodo di un anno a partire dalla data del trasferimento. La norma contenuta nel secondo periodo non si applica quando i diritti e gli obblighi del nuovo proprietario siano disciplinati dalle clausole di un altro contratto collettivo o di un altro contratto aziendale. Prima della scadenza del termine di un anno di cui alla seconda frase, i diritti e gli obblighi possono essere modificati ove il contratto collettivo o il contratto aziendale non siano più in vigore ovvero in assenza dell’obbligo reciproco di conformarsi a un altro contratto collettivo la cui applicazione sia stata pattuita tra il nuovo proprietario e il lavoratore».

II – Procedimento principale e questioni pregiudiziali

20.      I ricorrenti lavorano presso l’ospedale di Dreieich‑Lange (Germania) rispettivamente in qualità di manutentore/giardiniere dal 1978 e di assistente di cura dal 1986. A seguito della cessione, nel 1995, dell’ospedale da parte di un’amministrazione locale, il circondario di Offenbach (Germania), a una GmbH (società a responsabilità limitata) di diritto privato, la parte di stabilimento in cui sono occupati i ricorrenti è stata trasferita nel 1997 all’impresa KLS Facility Management GmbH (in prosieguo: la «KLS FM»).

21.      La KLS FM, che non apparteneva ad alcuna organizzazione di datori di lavoro, ha pattuito mediante contratto individuale con i ricorrenti che il loro rapporto di lavoro sarebbe stato disciplinato, come avveniva prima del trasferimento, dal Bundesmanteltarifvertrag für Arbeiter gemeindlicher Verwaltungen und Betriebe (contratto collettivo federale dei lavoratori delle amministrazioni e degli stabilimenti; in prosieguo: il «BMT‑G II») e dai contratti collettivi che lo completano, lo modificano e lo sostituiscono.

22.      Successivamente, la KLS FM è entrata a far parte del gruppo Asklepios. Quest’ultimo riunisce numerose imprese del settore ospedaliero.

23.      Il 1o luglio 2008 la parte di stabilimento in cui lavorano i ricorrenti è stata trasferita dalla KLS FM a un’altra società del gruppo, ossia l’Asklepios. Neppure quest’ultima era, e non è attualmente, vincolata, quale membro di un’organizzazione di datori di lavoro, al BMT‑G II né al Tarifvertrag für den öffentlichen Dienst (contratto collettivo della funzione pubblica, in prosieguo: il «TVöD») che lo sostituisce dal 1o ottobre 2005, né al Tarifvertrag zur Überleitung der Beschäftigten der kommunalen Arbeitgeber in den TVöD und zur Regelung des Übergangsrechts (contratto collettivo di transizione stipulato in proposito; in prosieguo: il «TVÜ‑VKA»).

24.      I ricorrenti hanno chiesto ai giudici di dichiarare che le disposizioni del TVöD e dei contratti collettivi che lo completano, nonché quelle del TVÜ‑VKA, si applicano al loro rapporto di lavoro nelle rispettive versioni vigenti, ossia in modo dinamico.

25.      L’Asklepios ha sostenuto che la direttiva 2001/23 e l’articolo 16 della Carta ostano all’effetto giuridico, previsto dal diritto nazionale, di un’applicazione dinamica delle norme dei contratti collettivi della pubblica amministrazione a cui rinvia il contratto di lavoro. A suo parere, ciò conduce, a seguito del trasferimento, a un’applicazione meramente statica al rapporto di lavoro delle condizioni di lavoro pattuite nel contratto di lavoro e derivanti dai contratti collettivi citati in tale contratto.

26.      I giudici di grado inferiore hanno accolto i ricorsi proposti dai ricorrenti.

27.      Il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania), investito del ricorso in Revision, chiede alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«I

1.      Se l’articolo 3 della direttiva 2001/23 osti a una normativa nazionale che prevede, nel caso del trasferimento di un’impresa o di uno stabilimento, che tutte le condizioni di lavoro individualmente concordate nel contratto di lavoro dal cedente e dal lavoratore nell’ambito dell’autonomia privata si trasferiscono immutate in capo al cessionario come se questi le avesse esso stesso negoziate nel singolo contratto con il lavoratore, qualora il diritto nazionale accordi al cessionario la possibilità di apportare adattamenti, consensualmente ma anche unilateralmente.

2.      In caso di risposta affermativa alla prima questione nel suo insieme o rispetto a un determinato gruppo di condizioni di lavoro contenute nel contratto di lavoro e concordate individualmente tra cedente e lavoratore:

Se dall’applicazione dell’articolo 3 della direttiva 2001/23 si evinca che determinate condizioni del contratto di lavoro negoziate dal cedente e dal lavoratore nell’ambito dell’autonomia privata non si trasferiscono immutate in capo al cessionario e devono essere adeguate solo in ragione del trasferimento d’impresa o di stabilimento.

3.      Se, in base ai criteri delle risposte fornite dalla Corte alla prima e alla seconda questione pregiudiziale, un rinvio individuale, concordato nel singolo contratto, in virtù del quale determinate disposizioni del contratto collettivo sono incluse – in forza dell’autonomia privata e in modo dinamico – nel contenuto del contratto di lavoro, non si trasferisce in forma immutata in capo al cessionario:

a)      se ciò valga anche quando né il cedente, né il cessionario sono direttamente o indirettamente parti di un contratto collettivo, ossia se, già prima del trasferimento dell’impresa o dello stabilimento, le disposizioni del contratto collettivo trovavano applicazione al rapporto di lavoro con il cedente in assenza di una clausola di rinvio concordata, nell’esercizio dell’autonomia privata, nel contratto di lavoro.

b)      In caso di risposta affermativa alla suddetta questione:

Se ciò valga anche nel caso in cui il cedente e il cessionario sono imprese appartenenti al medesimo gruppo.

II.

Se l’articolo 16 della [Carta] osti a una disposizione nazionale adottata in attuazione delle direttive [77/187] o [2001/23] in base alla quale, in caso di trasferimento di un’impresa o di uno stabilimento, il cessionario è vincolato alle condizioni contrattuali di lavoro negoziate individualmente nell’ambito dell’autonomia privata dal cedente e dal lavoratore prima di tale trasferimento come se le avesse esso stesso concordate anche quando, in forza delle suddette condizioni, sono incluse nel contratto, in modo dinamico, determinate disposizioni di un contratto collettivo che non troverebbe altrimenti applicazione al rapporto di lavoro, nei limiti in cui il diritto nazionale accordi al cessionario la possibilità di apportare adattamenti sia consensuali che unilaterali».

III – Analisi

28.      Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di dichiarare se l’articolo 3 della direttiva 2001/23, letto alla luce dell’articolo 16 della Carta, debba essere interpretato nel senso che osta a una norma nazionale la quale prevede che, in caso di trasferimento di stabilimento, il mantenimento dei diritti e degli obblighi derivanti in capo al cedente da un contratto di lavoro si estende alla clausola di un siffatto contratto che rinvia, in modo dinamico, alle condizioni di lavoro stabilite da un contratto collettivo, qualora il diritto nazionale preveda, in favore del cessionario, possibilità di adeguamento tanto consensuale quanto unilaterale. Il giudice del rinvio pone l’accento sulla circostanza che, da un lato, né il cedente né il cessionario sono direttamente o indirettamente parti del contratto collettivo di cui trattasi e, d’altro lato, il cedente e il cessionario sono imprese dello stesso gruppo.

A –    Osservazioni preliminari

29.      In via preliminare, mi sembra necessario tornare sui due precedenti costituiti dalle sentenze Werhof e Alemo‑Herron e a.

1.      La sentenza Werhof

30.      All’origine di detta causa vi era un contratto di lavoro che, riguardo all’evoluzione dei salari, rinviava ad un contratto collettivo in vigore, negoziato e firmato da un’organizzazione di datori di lavoro alla quale aderiva l’impresa cedente, ma non il cessionario. La clausola contrattuale di cui trattavasi in tale causa era di natura statica, il che significa che essa rinviava a uno specifico contratto collettivo in vigore, non già ai contratti collettivi che avrebbero seguito quest’ultimo in futuro.

31.      Successivamente al trasferimento della parte di stabilimento nella quale lavorava il sig. Werhof, era stato stipulato un nuovo contratto collettivo. Poiché quest’ultimo prevedeva un aumento di salario, il sig. Werhof aveva chiesto che il suo datore di lavoro fosse considerato obbligato ad applicare in suo favore detto aumento.

32.      Egli sosteneva così che, qualora un contratto di lavoro individuale comprenda una clausola che fa riferimento ai contratti collettivi conclusi in un settore determinato, tale clausola ha necessariamente un carattere «dinamico» e rinvia, secondo l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187, il quale corrisponde all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, ai contratti collettivi conclusi dopo la data del trasferimento d’impresa.

33.      La Corte non ha seguito tale tesi. Al contrario, ha dichiarato che tale disposizione dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a che, qualora il contratto di lavoro rinvii ad un contratto collettivo che vincola il cedente, il cessionario che non è parte del contratto collettivo non sia vincolato da contratti collettivi successivi a quello in vigore al momento del trasferimento dell’azienda.

34.      Per pervenire a tale soluzione, la Corte ha svolto il seguente ragionamento.

35.      La Corte ha rilevato anzitutto che una clausola contrattuale di rinvio quale quella di cui è causa è contemplata all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187. Ne consegue che, in forza di tale direttiva, «i diritti e gli obblighi derivanti da un contratto collettivo a cui rinvia il contratto di lavoro sono trasferiti ipso iure al nuovo proprietario, anche se (…) quest’ultimo non è parte di alcun contratto collettivo. Di conseguenza, i diritti e gli obblighi derivanti da un contratto collettivo continuano a vincolare il nuovo proprietario dopo il trasferimento dell’azienda» (4).

36.      È pertanto chiaro che, secondo la Corte, i diritti e gli obblighi derivanti da un contratto collettivo al quale rinvia una clausola contenuta in un contratto di lavoro sono trasferiti al cessionario proprio sulla base dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187.

37.      Fatta tale precisazione, la Corte doveva poi stabilire se, alla luce delle norme contenute nella direttiva 77/187, tale tipologia di clausole dovesse essere interpretata come facente rinvio al contratto collettivo vigente presso il cedente al momento del trasferimento oppure, in senso più ampio, alle future evoluzioni di detto contratto.

38.      La Corte ha quindi enunciato varie norme che, come si vedrà in prosieguo, risultano del tutto pertinenti al fine di rispondere alle questioni sottoposte dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro) nell’ambito della presente causa.

39.      La Corte ha infatti chiaramente indicato che, «[p]er l’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva [77/187], una clausola di rinvio ad un contratto collettivo non può avere una portata più ampia del contratto al quale rinvia. Di conseguenza, occorre tener conto dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, che limita il principio dell’applicabilità del contratto collettivo al quale fa riferimento il contratto di lavoro» (5).

40.      Quindi, la Corte enuncia la regola secondo la quale, quando viene in rilievo una clausola contrattuale di rinvio alle condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo, se è vero che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187 costituisce il fondamento del trasferimento dei diritti e degli obblighi al cessionario, resta nondimeno il fatto che detta disposizione dev’essere letta alla luce dell’articolo 3, paragrafo 2, della medesima direttiva, il quale corrisponde all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23. Ricordo, in proposito, che quest’ultima disposizione prevede il temporaneo mantenimento delle condizioni di lavoro derivanti dai contratti collettivi in caso di trasferimento di stabilimento.

41.      Ne consegue, secondo la Corte, sulla base della formulazione dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 77/187, da un lato, che le condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo «sono salvaguardate solo fino alla data della sua risoluzione o della sua scadenza, ovvero fino all’entrata in vigore o all’applicazione di un altro contratto collettivo. Pertanto, dal tenore letterale [di tale] direttiva non risulta affatto che il legislatore [dell’Unione] abbia inteso vincolare il cessionario a contratti collettivi diversi da quello in vigore al momento del trasferimento e, di conseguenza, imporre di modificare ulteriormente le condizioni di lavoro con l’applicazione di un nuovo contratto collettivo stipulato dopo il trasferimento» (6).

42.      La Corte precisa che «[u]na valutazione del genere è poi conforme alla finalità della detta direttiva, che si limita a salvaguardare i diritti e gli obblighi dei lavoratori vigenti al momento del trasferimento. La direttiva [77/187] non ha invece inteso proteggere mere aspettative e quindi gli ipotetici benefici derivanti dalle evoluzioni future dei contratti collettivi» (7).

43.      D’altro lato, la Corte ha rilevato che, come indicato nello stesso testo dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 77/187, «gli Stati membri possono limitare il periodo di salvaguardia delle condizioni di lavoro derivanti dal contratto collettivo, a condizione che tale periodo non sia inferiore a un anno» (8).

44.      La Corte ha precisato, inoltre, che «se, conformemente alla finalità [di tale] direttiva, occorre tutelare i diritti dei lavoratori interessati dal trasferimento, non possono essere ignorati quelli del cessionario, che dev’essere in grado di procedere agli adeguamenti ed ai cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività» (9).

45.      La Corte ha poi messo a raffronto la rivendicazione del ricorrente, volta ad ottenere che la clausola contrattuale fosse interpretata in modo dinamico, con la libertà di associazione del cessionario.

46.      A tal proposito, secondo la Corte, «l’interpretazione “statica” della detta clausola (…) consente di evitare che il cessionario dell’azienda, che non è parte del contratto collettivo, sia vincolato alle future evoluzioni di quest’ultimo. Il suo diritto di non associarsi è così pienamente garantito» (10). Pertanto, «il ricorrente non può sostenere che una clausola contenuta in un contratto di lavoro individuale che rinvia ai contratti collettivi stipulati in un settore determinato ha necessariamente un carattere “dinamico” e rinvia, in applicazione dell’art[icolo] 3, [paragrafo] 1, della direttiva [77/187], ai contratti collettivi conclusi dopo la data di trasferimento d’impresa» (11).

47.      Sulla base di tale ragionamento la Corte è pervenuta alla soluzione menzionata al paragrafo 33 delle presenti conclusioni.

48.      Benché la Corte, in considerazione del contesto nel quale era interpellata, non si sia spinta fino a dichiarare che l’articolo 3 della direttiva 77/187 ostasse a che contratti collettivi successivi al trasferimento di stabilimento potessero essere resi opponibili al cessionario, il ragionamento da essa svolto contiene in nuce tale soluzione, che del resto sarà adottata anni dopo dalla sentenza Alemo‑Herron e a. Tuttavia, si vedrà in prosieguo che la Corte, per pervenire a tale soluzione, elabora un ragionamento differente.

2.      La sentenza Alemo‑Herron e a.

49.      All’origine di tale causa, uno dei consigli distrettuali di Londra aveva ceduto il servizio «tempo libero» a un’impresa del settore privato, che aveva assunto i lavoratori di tale servizio tra il suo personale. Tale impresa aveva poi a sua volta ceduto detto servizio a un’altra impresa del settore privato.

50.      All’epoca in cui il servizio «tempo libero» dipendeva dal settore pubblico, i lavoratori di tale servizio fruivano delle condizioni di lavoro negoziate periodicamente in seno al NJC, organismo di contrattazione collettiva del settore pubblico locale. L’assoggettamento agli accordi negoziati in seno al NJC non derivava dalla legge, bensì da una clausola contrattuale prevista nel contratto di lavoro.

51.      A seguito del trasferimento d’impresa, è stato concluso un nuovo accordo in seno al NJC. L’impresa cessionaria ha ritenuto che il nuovo accordo, a causa della sua posteriorità rispetto al trasferimento, non la vincolasse e, di conseguenza, ha rifiutato di applicare ai lavoratori l’aumento di salario che ne derivava, per il motivo che l’accordo era stato concluso dopo il trasferimento.

52.      Adita in via pregiudiziale nell’ambito della controversia tra i lavoratori e l’impresa cessionaria, la Corte ha dichiarato che l’articolo 3 della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro preveda, nel caso di un trasferimento d’impresa, che le clausole di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento siano opponibili al cessionario, qualora quest’ultimo non abbia la possibilità di partecipare al processo di negoziazione di siffatti contratti collettivi conclusi dopo il trasferimento.

53.      Per pervenire a tale soluzione, la Corte ha iniziato ricordando che dalla sua sentenza Werhof risultava che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187 dev’essere interpretato nel senso che non osta a che, qualora il contratto di lavoro rinvii ad un contratto collettivo vincolante per il cedente, il cessionario, che non è parte di un siffatto contratto, non sia vincolato a contratti collettivi successivi a quello in vigore al momento del trasferimento d’impresa.

54.      Posto che tale disposizione non osta a che il diritto nazionale preveda che una clausola di rinvio abbia unicamente carattere statico, la Corte ha poi verificato se l’articolo 8 della direttiva 2001/23 potesse consentire agli Stati membri di adottare disposizioni nazionali più favorevoli ai lavoratori. Ricordo, in proposito, che tale disposizione precisa che la direttiva di cui trattasi «non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori». Secondo la Corte, la verifica era giustificata dalla circostanza che le clausole di rinvio dinamico risultano più favorevoli ai lavoratori rispetto alle clausole statiche.

55.      Al fine di valutare il margine di manovra lasciato agli Stati membri dall’articolo 8 della direttiva 2001/23 nelle circostanze del caso in esame, la Corte ha evidenziato i seguenti elementi.

56.      In primo luogo, a suo avviso, la direttiva 2001/23 «non mira unicamente a salvaguardare, in occasione di un trasferimento di impresa, gli interessi dei lavoratori, ma intende assicurare un giusto equilibrio tra gli interessi di questi ultimi, da un lato, e quelli del cessionario, dall’altro. Più specificamente, essa precisa che il cessionario dev’essere in grado di procedere agli adeguamenti ed ai cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività» (12).

57.      Ciò è necessario a fortiori quando si tratta di un trasferimento d’impresa dal settore pubblico al settore privato (13). Orbene, secondo la Corte, «una clausola di rinvio dinamico a contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento di impresa di cui trattasi, destinati a disciplinare l’evoluzione delle condizioni di lavoro nel settore pubblico, può limitare considerevolmente il margine di manovra necessario all’adozione di dette misure di adeguamento e cambiamento da parte di un cessionario privato» (14). In una siffatta situazione, la Corte ha considerato che «una clausola del genere è atta [a] pregiudicare il giusto equilibrio tra gli interessi del cessionario nella sua veste di datore di lavoro, da una parte, e quelli dei lavoratori, dall’altra» (15).

58.      In secondo luogo, la Corte ha considerato che l’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2001/23 doveva conformarsi all’articolo 16 della Carta, che sancisce la libertà d’impresa, una delle cui componenti è la libertà contrattuale (16).

59.      Secondo la Corte, «[a]lla luce dell’articolo 3 della direttiva 2001/23, ne deriva che, in virtù della libert[à] d’impresa, il cessionario deve avere la possibilità di fare valere efficacemente i propri interessi in un iter contrattuale al quale partecipa e di negoziare gli elementi che determinano l’evoluzione delle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti in vista della sua futura attività economica» (17).

60.      In proposito, la Corte ha rilevato che il cessionario di cui trattavasi nel caso in esame non aveva alcuna possibilità di fare parte dell’organismo di contrattazione collettiva, il che lo privava della possibilità di fare valere efficacemente i propri interessi (18). In una situazione siffatta, la Corte ha ritenuto che la libertà contrattuale del cessionario fosse talmente ridotta che una limitazione del genere poteva pregiudicare la sostanza stessa del suo diritto alla libertà d’impresa (19).

61.      Poiché «l’articolo 3 della direttiva 2001/23, in combinato disposto con l’articolo 8 della medesima direttiva, non può essere interpretato nel senso che autorizza gli Stati membri ad adottare le misure che, pur essendo più favorevoli ai lavoratori, possono pregiudicare la sostanza stessa del diritto del cessionario alla libertà d’impresa» (20), la Corte è pervenuta alla soluzione citata al paragrafo 52 delle presenti conclusioni.

62.      Dalla summenzionata sentenza si evince che, sebbene gli Stati membri possano, in linea di principio, avvalendosi dell’articolo 8 della direttiva 2001/23, optare per il carattere dinamico delle clausole contrattuali di rinvio ai contratti collettivi, l’attuazione di tale possibilità è tuttavia subordinata al rispetto dei diritti fondamentali, e più particolarmente di quello della libertà d’impresa del cessionario. Orbene, la libertà d’impresa del cessionario non è rispettata se questi non ha la possibilità di partecipare al processo di negoziazione dei contratti collettivi conclusi successivamente al trasferimento.

B –    Valutazione

63.      Sono del parere che, al fine di rispondere alle questioni sottoposte dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro), la Corte dovrebbe basare il proprio ragionamento su quello da essa svolto nella sentenza Werhof. Ciò sarebbe tanto più giustificato dal momento che, in entrambi i casi, si tratta di porre a raffronto il diritto tedesco con le norme relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’impresa enunciate dalla direttiva 2001/23. Più essenzialmente, mi sembra necessario che la Corte tragga dalla presente causa l’occasione per chiarire il modo in cui gli articoli 3, paragrafi 1 e 3, e 8 della direttiva in parola devono articolarsi.

1.      Il punto di partenza: la clausola contrattuale di rinvio ad un contratto collettivo rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23

64.      Secondo la formulazione dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, «[i] diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario». Come già precisato dalla Corte, tale disposizione «si richiama in termini generali e senza alcuna restrizione ai diritti e agli obblighi [summenzionati]» (21). Conseguentemente, da detta disposizione discende che tutti i diritti e gli obblighi sono trasferiti al cessionario, dal momento che risultano da un contratto di lavoro stipulato tra il cedente e i lavoratori interessati da un trasferimento d’impresa.

65.      Da costante giurisprudenza risulta che la direttiva 2001/23 è volta a garantire il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento dell’imprenditore, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni pattuite con il cedente (22).

66.      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, il cessionario è surrogato al cedente nei diritti e negli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro (23).

67.      La Corte, peraltro, ha dichiarato che le norme della direttiva 2001/23 vanno ritenute imperative, nel senso che non è consentito derogarvi in senso sfavorevole ai lavoratori. Ne consegue che i contratti e i rapporti di lavoro in essere alla data del trasferimento di un’impresa tra il cedente e i lavoratori occupati nell’impresa trasferita si trasmettono ipso iure al cessionario per il solo fatto del trasferimento dell’impresa (24).

68.      Secondo il governo norvegese, l’interpretazione letterale e teleologica dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 dovrebbe indurre a ritenere che i diritti e gli obblighi derivanti da un contratto di lavoro ai sensi del quale il lavoratore e il cedente hanno pattuito di osservare le condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo nella sua versione dinamica applicabile – ipotesi che ricorre nel caso in esame – siano trasferiti al cessionario.

69.      La tesi che privilegia la prosecuzione del beneficio delle condizioni di lavoro previste da contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento si basa sull’idea secondo la quale il cedente e i lavoratori, inserendo una clausola di rinvio a un contratto collettivo nel proprio contratto di lavoro, hanno volontariamente accettato che le disposizioni di tale contratto collettivo disciplinino il loro rapporto di lavoro. Il lavoratore si vedrebbe quindi riconosciuto un diritto contrattuale a beneficiare delle condizioni periodicamente pattuite a livello collettivo. La fonte dell’obbligazione sarebbe il contratto di lavoro individuale e non il contratto collettivo. Tale constatazione implicherebbe l’applicazione pura e semplice dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, a favore del protrarsi dei diritti e degli obblighi indicati nel contratto di lavoro. Atteso che il diritto per il lavoratore di beneficiare delle condizioni di lavoro periodicamente pattuite a livello collettivo è opponibile al cedente, a seguito del trasferimento esso dovrebbe poter essere opposto al cessionario in quanto il contratto si considera concluso fin dall’origine con quest’ultimo.

70.      Ritengo tuttavia che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 non possa essere letto isolatamente, ma debba essere interpretato in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, della medesima direttiva.

2.      Il limite: in presenza di una clausola contrattuale di rinvio ad un contratto collettivo, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 dev’essere letto in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, della medesima direttiva

71.      Ricordo che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23:

«Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.

Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno».

72.      L’articolo 3, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2001/23 presenta un’articolazione tra due norme. Anzitutto, la regola generale secondo la quale i diritti e gli obblighi derivanti da un contratto di lavoro esistente alla data di un trasferimento ai sensi di detta direttiva devono essere trasferiti al cessionario. Poi, i limiti in cui il cessionario rimane vincolato da condizioni pattuite nel contesto di un contratto collettivo applicabile al cedente alla data del trasferimento.

73.      Se una clausola del contratto di lavoro concluso tra il datore di lavoro cedente e il suo personale effettua un rinvio alle condizioni di lavoro periodicamente definite mediante contrattazione collettiva, a mio avviso la situazione è disciplinata dal combinato disposto dei paragrafi 1 e 3 dell’articolo 3 della direttiva 2001/23.

74.      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, la clausola di un contratto di lavoro che effettua un rinvio alle condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo è trasferita al cessionario in conseguenza del trasferimento di stabilimento.

75.      Tuttavia, nei limiti in cui si tratta di condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 interviene a delimitare la portata degli obblighi gravanti sul cessionario in forza di tale clausola. Dalla disposizione in esame deriva che soltanto le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo vigente alla data del trasferimento devono essere mantenute dal cessionario. Infatti, da detta disposizione discende che l’obbligo di rispettare tali condizioni di lavoro perdura fintantoché il contratto collettivo vigente al momento del trasferimento rimane in vigore, ossia «fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo».

76.      Inoltre, gli Stati membri dispongono della possibilità di limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno. Occorre precisare che il diritto tedesco prevede espressamente un siffatto limite temporale.

77.      L’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 rappresenta una soluzione di compromesso destinata a conciliare gli interessi del cessionario e quelli dei lavoratori oggetto del trasferimento d’impresa.

78.      Va sottolineato che, nella sua proposta di direttiva, presentata il 29 maggio 1974, la Commissione aveva già preso in considerazione l’ipotesi di un trasferimento d’impresa nel contesto del quale l’acquirente non sia parte del contratto collettivo che vincola il cedente e tale contratto non sia stato reso obbligatorio (25). Secondo la Commissione, «sarebbe in tal caso contrario al principio della libertà di associazione imporre all’acquirente di aderire contro la propria volontà ad un contratto collettivo. Tuttavia, per evitare che i lavoratori cessino di beneficiare della protezione delle proprie condizioni di lavoro previste dal contratto, si è cercato, al paragrafo 3, di trovare una soluzione di compromesso: pur senza essere vincolato dai contratti collettivi, l’acquirente sarebbe nondimeno tenuto a rispettare le condizioni ivi fissate, fino alla scadenza nel caso di un contratto a tempo determinato e per un periodo di un anno nel caso di un contratto a tempo indeterminato» (26).

79.      L’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 garantisce quindi un equilibrio tra interessi concorrenti: da un lato, il dipendente ha diritto a beneficiare delle specifiche condizioni precedentemente pattuite con il cedente, ma, d’altro lato, il cessionario ha un legittimo diritto a conoscere la portata dei propri obblighi futuri e, dunque, a non essere vincolato da nuove condizioni di lavoro definite al termine di un processo di contrattazione collettiva al quale non vuole o non può partecipare.

80.      L’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 offre anche agli Stati membri la possibilità, nell’interesse del cessionario, di limitare la durata del periodo nel corso del quale quest’ultimo sarà vincolato dalle condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo vigente al momento del trasferimento, purché detta durata non sia inferiore ad un anno. Tale disposizione rispecchia così l’equilibrio voluto dal legislatore dell’Unione tra i rispettivi interessi dei lavoratori e del cessionario in caso di trasferimento d’impresa.

81.      Sono del parere che la clausola di rinvio dinamico cessi di produrre i propri effetti nei casi previsti all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23: scadenza, risoluzione o sostituzione nonché, qualora lo Stato membro l’abbia previsto, il decorso di almeno un anno dalla trasmissione dell’impresa. Tali clausole non includono dunque i contratti collettivi stipulati successivamente alla data del trasferimento, fatta salva l’ipotesi in cui il nuovo datore di lavoro esprima una volontà differente.

82.      A mio avviso, non è possibile affrontare il problema sollevato dalla controversia di cui al procedimento principale mediante una lettura isolata dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Una simile lettura condurrebbe, ai sensi di tale disposizione, a vincolare il cessionario al rispetto dell’insieme delle clausole contrattuali che vincolavano il cedente, a prescindere dalla loro natura. Se è vero che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 non effettua alcuna distinzione a seconda del contenuto delle clausole contrattuali, la situazione in cui una clausola contrattuale rinvia a condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo è di natura particolare. Infatti, un siffatto rinvio alle condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo costituisce una situazione che combina, da un lato, il mantenimento dei diritti e degli obblighi derivanti da un contratto di lavoro e, dall’altro, il mantenimento delle condizioni di lavoro derivanti da un contratto collettivo.

83.      Tale situazione mista mi induce a ritenere che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 non possa essere interpretato senza tener conto dell’articolo 3, paragrafo 3, della medesima direttiva, che afferma la provvisorietà del mantenimento delle condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo.

84.      Ha scarsa rilevanza, in proposito, che l’applicazione ai lavoratori delle condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo derivi direttamente da quest’ultimo, in forza della sua efficacia obbligatoria per l’impresa o il settore interessato, oppure indirettamente da tale contratto, in forza di un rinvio effettuato da una clausola del contratto di lavoro.

85.      In proposito, occorre menzionare l’apporto della sentenza dell’11 settembre 2014, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑328/13, EU:C:2014:2197; in prosieguo: la «sentenza Österreichischer Gewerkschaftsbund»). In tale sentenza, la Corte ha, infatti, precisato che «l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 non è inteso a mantenere l’applicazione di un contratto collettivo in quanto tale ma delle “condizioni di lavoro” convenute dal contratto medesimo» (27). Quindi, «l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva impone il mantenimento delle condizioni di lavoro convenute con un contratto collettivo, ove l’origine esatta della loro applicazione non è determinante» (28). Ne consegue, secondo la Corte, che «le condizioni di lavoro convenute in un contratto collettivo ricadono, in linea di principio, nell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23, indipendentemente dalla tecnica utilizzata per rendere tali condizioni di lavoro applicabili agli interessati. Al riguardo, è sufficiente che tali condizioni siano state convenute da un contratto collettivo e siano effettivamente vincolanti per il cedente e [per i] lavoratori trasferiti» (29). Applicando il suesposto ragionamento al caso in esame, la Corte ha dichiarato che «le condizioni di lavoro fissate mediante un contratto collettivo non possono essere ritenute escluse dalla sfera di applicazione di tale disposizione sulla base del solo rilievo che si applicano agli interessati in forza della regola dell’ultrattività dei contratti collettivi oggetto del procedimento principale» (30).

86.      Vero è che tale sentenza non riguardava una clausola di rinvio contenuta in un contratto di lavoro, ma ritengo che essa sia applicabile per analogia nel contesto del caso in esame.

87.      La ratio di una clausola di rinvio, infatti, consiste nel condurre allo stesso risultato che si otterrebbe qualora il contratto collettivo fosse direttamente applicato all’impresa o al settore di cui trattasi, per esempio in forza dell’affiliazione dell’impresa all’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato il contratto collettivo oppure della circostanza che detto contratto sia stato oggetto di una dichiarazione di applicazione generale, ossia di un’estensione del contratto da parte dello Stato nei confronti di tutti i datori di lavoro e, dunque, di tutti i lavoratori subordinati del settore. La clausola di rinvio interviene quindi a colmare la lacuna derivante dalla circostanza che il datore di lavoro non è vincolato dall’efficacia normativa di un contratto collettivo.

88.      La clausola di rinvio consente così ai datori di lavoro facenti parte di un’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato un contratto collettivo di settore di applicarlo anche ai lavoratori subordinati non iscritti ad un sindacato.

89.      Tale clausola consente inoltre ai datori di lavoro che non fanno parte di un’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato un contratto collettivo – ipotesi che ricorre nella presente causa – di applicarlo volontariamente ai lavoratori subordinati (iscritti o meno ad un sindacato).

90.      A mio avviso, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, della medesima direttiva, è destinato a disciplinare entrambi i tipi di situazioni. Ai miei occhi, è dunque indifferente che il cedente non faccia parte dell’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato il contratto collettivo di cui trattasi.

91.      Vero è che l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 prevede che le condizioni di lavoro devono essere mantenute «nei termini previsti [dal contratto collettivo] per il cedente». La disposizione in esame garantisce così che, a dispetto del trasferimento di stabilimento, le condizioni di lavoro disciplinate dai contratti perdurino «conformemente alla volontà delle parti contraenti del contratto collettivo» (31). Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice del rinvio e dal governo norvegese, non ritengo tuttavia che l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23, come interpretato dalla Corte, esiga ai fini della propria applicazione che il cedente faccia parte dell’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato il contratto collettivo di cui trattasi. L’importante è che il cedente sia effettivamente vincolato dal contratto collettivo, come indicato dalla Corte al punto 25 della sentenza Österreichischer Gewerkschaftsbund. Il contratto collettivo di cui trattasi può dunque essere opponibile al cedente in via diretta o indiretta. In entrambi i casi, il cedente, in un modo o nell’altro, ha espresso la propria volontà di essere vincolato dal contratto collettivo.

92.      Inoltre, ritengo che far dipendere l’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 dalla posizione del cedente rispetto al contratto collettivo in esame condurrebbe a disparità di trattamento tra i lavoratori subordinati in occasione di trasferimenti di imprese, a seconda che il cedente faccia o meno parte dell’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato il contratto collettivo.

93.      Aggiungo che le considerazioni svolte dalla Corte nella sentenza Werhof riguardo al combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 3 della direttiva 77/187 sono formulate in maniera generale e non sembrano limitarsi alla situazione in cui il cedente sia membro di un’organizzazione di datori di lavoro che ha negoziato e adottato il contratto collettivo di cui trattasi.

94.      Alla luce delle precedenti considerazioni, ritengo dunque che, in una situazione quale quella di cui al procedimento principale e in forza del combinato disposto dei paragrafi 1 e 3 dell’articolo 3 della direttiva 2001/23, i contratti collettivi che non erano in vigore alla data in cui il trasferimento ha avuto luogo, ma che sono stati negoziati e adottati successivamente ad esso, non possano vincolare il cessionario indefinitamente.

95.      Come precisato dalla Corte al punto 29 della sentenza Werhof, la finalità della direttiva «si limita a salvaguardare i diritti e gli obblighi dei lavoratori vigenti al momento del trasferimento» (32), nulla di più. Quindi, la direttiva 2001/23 non garantisce al lavoratore che presso il cessionario beneficerà delle stesse condizioni di lavoro di cui avrebbe potuto fruire, mediante il meccanismo della clausola di rinvio dinamico, se fosse rimasto a lavorare presso il cedente.

96.      Peraltro, dichiarando nella summenzionata sentenza che la direttiva «non ha (…) inteso proteggere mere aspettative e quindi gli ipotetici benefici derivanti dalle evoluzioni future dei contratti collettivi» (33), la Corte ha indubbiamente mostrato sensibilità per l’incertezza e l’imprevedibilità delle condizioni di lavoro derivanti dalla futura evoluzione dei contratti collettivi, nonché per gli effetti negativi che ciò può avere sul cessionario.

97.      Come evidenziato dall’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nelle conclusioni da questi presentate nella causa Werhof (34), «se gli accordi collettivi futuri incidessero in modo permanente sulla posizione di un datore di lavoro estraneo alla loro contrattazione, (…) [p]otrebbe accadere che il datore di lavoro che non ha firmato un accordo venga assoggettato ad obblighi ulteriori rispetto a quelli da lui sottoscritti, venendosi così a trovare in una situazione di incertezza, esposto all’alea di eventuali accordi stipulati a sua insaputa».

98.      La Corte sembra aver ammesso che, in una certa fase, gli interessi del cessionario esigono che siano posti taluni limiti alla tutela concessa ai lavoratori in occasione di un trasferimento d’impresa. In proposito, la Corte ha fatto esplicito riferimento ai limiti di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 77/187, il quale, va ricordato, corrisponde all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23.

99.      Al punto 28 della sentenza Werhof, tale disposizione è presentata come «limita[nte] il principio dell’applicabilità del contratto collettivo al quale fa riferimento il contratto di lavoro». Uno di detti limiti è che «le condizioni di lavoro previste da tale contratto collettivo sono salvaguardate solo fino alla data della sua risoluzione o della sua scadenza, ovvero fino all’entrata in vigore o all’applicazione di un altro contratto collettivo», come spiega il punto 29 della sentenza.

100. Sarebbe incompatibile con l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 la circostanza che l’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva avesse l’effetto di rendere obbligatori per il cessionario i contratti collettivi adottati successivamente al trasferimento, ai quali rinvii una clausola inclusa nel contratto di lavoro, poiché ciò equivarrebbe a valicare il limite esplicito previsto all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23.

101. Di conseguenza, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale né il cedente né il cessionario sono parti di un contratto collettivo, una clausola di rinvio a tale contratto è opponibile al cessionario soltanto entro i limiti previsti all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23.

102. A mio avviso, non vi è alcuna ragione per adottare una soluzione differente qualora un trasferimento di stabilimento abbia luogo all’interno di un medesimo gruppo. Infatti, la Corte ha già dichiarato che la direttiva 77/187 può essere applicata ad un trasferimento tra due consociate di uno stesso gruppo (35). Nell’ambito della presente causa, la clausola di rinvio è stata inserita nei contratti di lavoro dalla KLS FM in una data in cui tale società non era ancora entrata a far parte del gruppo Asklepios. Alla luce della summenzionata giurisprudenza, la circostanza che la contestazione del carattere dinamico della clausola sia intervenuta successivamente all’inserimento della KLS FM all’interno del gruppo e, più precisamente, in occasione del trasferimento all’Asklepios della parte di stabilimento nella quale lavorano i ricorrenti, non è atta ad escludere l’applicazione delle norme previste dalla direttiva 2001/23.

103. Infine, il governo norvegese ha sottolineato la diversità di contesto tra la causa che ha dato luogo alla sentenza Werhof e la presente causa.

104. Nella causa che ha dato luogo alla sentenza Werhof, erano in discussione una clausola di rinvio redatta in modo statico e la rivendicazione dei lavoratori volta ad ottenere che tale clausola fosse interpretata come avente carattere dinamico. Per pervenire alla conclusione che la direttiva 77/187 non imponeva il carattere dinamico della clausola, la Corte ha svolto un ragionamento che specificava le ragioni per le quali l’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 2, della medesima, doveva essere interpretato come conferente a tale tipo di clausole di rinvio carattere statico. In altre parole, la Corte ha elencato le ragioni per le quali il cessionario non poteva essere tenuto ad applicare gli aumenti di salari risultanti da contratti collettivi adottati successivamente al trasferimento.

105. La situazione di cui trattasi nel procedimento principale si presenta secondo un’ottica opposta. Infatti, la clausola di rinvio è redatta in modo dinamico. A fronte della rivendicazione dei lavoratori volta ad ottenere che le modifiche apportate al contratto collettivo oggetto di tale clausola, intervenute successivamente al trasferimento di stabilimento, siano opponibili al cessionario, il giudice del rinvio chiede alla Corte di dichiarare se la direttiva 2001/23 osti al carattere dinamico della clausola in esame.

106. La diversità di contesto tra le due cause non deve tuttavia occultare la circostanza che si tratta, in ogni caso, della medesima problematica giuridica, ossia della compatibilità del carattere dinamico di una clausola di rinvio con le norme del diritto derivato dell’Unione in materia di trasferimento d’impresa.

107. Così, nonostante la diversità di contesto tra le due cause, resta nondimeno il fatto che le ragioni illustrate dalla Corte nella sentenza Werhof al fine di spiegare perché una clausola statica, in considerazione di quanto previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187, letto alla luce dell’articolo 3, paragrafo 2, della medesima, non potesse essere interpretata come avente carattere dinamico, sono le stesse che, a mio avviso, dovrebbero indurre la Corte a dichiarare che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, della medesima, in caso di trasferimento di stabilimento, osta al riconoscimento del carattere dinamico di una clausola di rinvio ad un contratto collettivo.

3.      La facoltà offerta agli Stati membri di adottare disposizioni più favorevoli ai lavoratori: l’articolo 8 della direttiva 2001/23.

108. Ricordo che, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2001/23, quest’ultima «non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori».

109. Come rilevato dalla Corte nella sentenza Alemo‑Herron e a., l’interpretazione secondo la quale le clausole contrattuali di rinvio a un contratto collettivo hanno carattere dinamico può rivelarsi più favorevole ai lavoratori, se si muove dall’ipotesi che le future evoluzioni del contratto collettivo conterranno miglioramenti per i diritti dei lavoratori.

110. In circostanze come quelle della controversia di cui al procedimento principale, non mi sembra tuttavia possibile ammettere che, con il pretesto di adottare una soluzione più favorevole ai lavoratori sulla base dell’articolo 8 della direttiva 2001/23, le autorità giurisdizionali nazionali, seguendo l’interpretazione secondo la quale le clausole di rinvio hanno carattere dinamico, possano aggirare le norme di cui all’articolo 3, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2001/23, che sono state trasposte dall’articolo 613a del BGB.

111. Infatti, la Repubblica federale di Germania, in sede di trasposizione della direttiva 2001/23, ha chiaramente optato per un mantenimento provvisorio delle condizioni di lavoro previste da contratti collettivi, in particolare scegliendo di limitare il periodo di mantenimento di dette condizioni di lavoro a una durata di un anno. In tale contesto, non mi sembra che l’articolo 8 della direttiva in parola consenta ai giudici nazionali di adottare una soluzione che sarebbe in contrasto con la scelta così operata dal legislatore tedesco.

112. Peraltro, come risulta dalla sentenza Alemo‑Herron e a., l’attuazione da parte degli Stati membri dell’articolo 8 della direttiva 2001/23 deve rispettare i diritti fondamentali tutelati dalla Carta.

113. Non vedo, tuttavia, la necessità di affrontare la problematica sollevata dalla presente causa sotto il profilo dei diritti fondamentali protetti dalla Carta, in quanto detta problematica può essere risolta applicando unicamente l’articolo 3, paragrafi 1 e 3 della direttiva 2001/23. Preciso, in proposito, che, evitando di far gravare sul cessionario in modo incerto e in assenza di limiti obblighi derivanti da contratti collettivi futuri sui quali non può influire, la soluzione che auspico è idonea a rispondere alla preoccupazione, espressa dalla Corte nella sentenza Alemo‑Herron e a., di garantire la libertà d’impresa del cessionario.

114. Inoltre, nella misura in cui, secondo la mia analisi, la regola in forza della quale le condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo, in caso di trasferimento, devono essere mantenute dal cessionario soltanto in via provvisoria, anche nella situazione nella quale un contratto di lavoro rinvii a tale contratto collettivo, deriva dall’articolo 3, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2001/23, come trasposto dall’articolo 613a del BGB, a mio avviso, non occorre interrogarsi sull’effettività, contestata dall’Asklepios, delle possibilità di cui il cessionario disporrebbe, secondo il diritto tedesco dei contratti, al fine di modificare, unilateralmente o consensualmente, la clausola di rinvio inserita nel contratto di lavoro.

IV – Conclusione

115. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere al Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania) nel modo seguente:

In una situazione quale quella in esame nel procedimento principale, in cui il contratto di lavoro concluso tra il cedente e i lavoratori contiene una clausola di rinvio alle condizioni di lavoro definite da un contratto collettivo, e in cui né il cedente né il cessionario possono partecipare al processo di negoziazione di tale contratto collettivo, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, della medesima direttiva, dev’essere interpretato nel senso che osta a che siffatta clausola presenti, successivamente al trasferimento di stabilimento, carattere dinamico, ovvero che essa sia interpretata come facente rinvio anche ai futuri adeguamenti di detto contratto collettivo. Al contrario, l’articolazione tra i paragrafi 1 e 3 dell’articolo 3 della direttiva 2001/23 richiede che il rinvio contenuto nella clausola inserita nel contratto di lavoro sia soggetto ai limiti temporali di cui all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva in parola, applicabili alle condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2001, L 82, pag. 16.


3      Direttiva del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU 1977, L 61, pag. 26).


4      Punto 27 della sentenza Werhof.


5      Punto 28 della sentenza Werhof.


6      Punto 29 della sentenza Werhof.


7      Punto 29 della sentenza Werhof.


8      Punto 30 della sentenza Werhof.


9      Punto 31 della sentenza Werhof.


10      Punto 35 della sentenza Werhof.


11      Punto 36 della sentenza Werhof.


12      Punto 25 della sentenza Alemo‑Herron e a.


13      Punti 26 e 27 della sentenza Alemo‑Herron e a.


14      Punto 28 della sentenza Alemo‑Herron e a.


15      Punto 29 della sentenza Alemo‑Herron e a.


16      Punti 31 e 32 della sentenza Alemo‑Herron e a.


17      Punto 33 della sentenza Alemo‑Herron e a.


18      Punto 34 della sentenza Alemo‑Herron e a.


19      Punto 35 della sentenza Alemo‑Herron e a.


20      Punto 36 della sentenza Alemo‑Herron e a.


21      V., in particolare, sentenza del 7 febbraio 1985, Abels (135/83, EU:C:1985:55, punto 36).


22      V., in particolare, sentenza del 27 novembre 2008, Juuri (C‑396/07, EU:C:2008:656, punto 28 e giurisprudenza ivi citata), nonché sentenza del 6 marzo 2014, Amatori e a. (C‑458/12, EU:C:2014:124, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).


23      V., in particolare, sentenza del 14 settembre 2000, Collino e Chiappero (C‑343/98, EU:C:2000:441, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).


24      V., in particolare, sentenza Werhof (punto 26 e giurisprudenza ivi citata).


25      V. proposta di direttiva del Consiglio relativa all’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri per quanto riguarda il mantenimento dei diritti e dei vantaggi dei lavoratori in caso di fusioni di società, di trasferimenti di aziende e di concentrazioni di imprese [COM(74) 351 definitivo].


26      V. pag. 6 di detta proposta di direttiva.


27      Punto 23 della sentenza Österreichischer Gewerkschaftsbund.


28      Punto 24 della sentenza Österreichischer Gewerkschaftsbund.


29      Punto 25 della sentenza Österreichischer Gewerkschaftsbund. Il corsivo è mio.


30      Punto 26 della sentenza Österreichischer Gewerkschaftsbund.


31      V. sentenza del 27 novembre 2008, Juuri (C‑396/07, EU:C:2008:656, punto 33).


32      Il corsivo è mio.


33      Punto 29 della sentenza Werhof.


34      C‑499/04, EU:C:2005:686, paragrafo 52.


35      V. sentenza del 6 marzo 2014, Amatori e a. (C‑458/12, EU:C:2014:124, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).