Language of document : ECLI:EU:C:2019:864

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

EVGENI TANCHEV

presentate il 16 ottobre 2019 (1)

Causa C371/18

Sky plc,

Sky International AG,

Sky UK Limited

contro

SkyKick UK Limited,

SkyKick Inc

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England and Wales), Chancery Division] [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione della Chancery, Regno Unito]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri – Marchi – Identificazione dei prodotti o servizi per i quali è richiesta la protezione dei marchi – Requisito di chiarezza e precisione – Malafede – Malafede determinata dalla mancanza di intenzione di utilizzare il marchio per i prodotti o servizi specificati – Interpretazione della sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361)»







1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale di cui trattasi, proposta dalla High Court of Justice (England and Wales) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles)] solleva alcune importanti questioni relative al diritto dei marchi dell’Unione europea. Ciò trova riscontro anche nella sentenza del giudice del rinvio nel procedimento principale, del 6 febbraio 2018 ([2018] EWHC 155 (Ch), giudice Arnold), pronunciata al termine di un processo durato cinque giorni e lunga 94 pagine (358 punti) (in prosieguo: «la sentenza nel procedimento principale»).

2.        Nel procedimento principale, le ricorrenti (collettivamente «Sky», che sono, in sostanza, emittenti televisive satellitari e digitali) sostengono che le resistenti (collettivamente «SkyKick», posto che SkyKick Inc è una start-up che fornisce servizi informatici di Cloud Migration (2)) hanno violato quattro marchi dell’Unione di proprietà della seconda ricorrente (in prosieguo: «Sky AG») e un marchio del Regno Unito di proprietà della prima ricorrente (in prosieguo: «Sky plc»), costituiti dalla parola SKY (in prosieguo: i «marchi») attraverso l’uso del segno «SkyKick» e altre varianti dello stesso.

3.        La causa è alquanto complessa ma, in sostanza, SkyKick respinge l’accusa di contraffazione e chiede, in via riconvenzionale, che la registrazione dei marchi venga dichiarata in tutto o in parte nulla, per i seguenti motivi: i) le specificazioni di prodotti e servizi mancano di chiarezza e di precisione e ii) le domande sono state presentate in malafede.

4.        Il caso è significativo in quanto consente alla Corte di affrontare questioni relative ad una serie di carenze emerse nel sistema dei marchi dell’Unione. Come osservato da SkyKick, tutte e cinque le questioni poste dal giudice del rinvio vertono su uno degli aspetti più problematici di un marchio, il ruolo e la funzione della cosiddetta «specificazione» dei prodotti e servizi. La maggior parte della giurisprudenza della Corte in materia di marchi ha riguardato il segno registrato come marchio. Il diritto è ora relativamente ben definito su tale aspetto. Nell’ordinamento restano, tuttavia, lacune e incongruenze relative alle specificazioni di prodotti e servizi. La protezione dei marchi dell’Unione è conferita in base al principio di specialità (3), vale a dire in relazione a prodotti e servizi specifici la cui natura e il cui numero determinano l’estensione della protezione conferita al titolare del marchio, in rapporto al segno.

5.        Il giudice del rinvio sottolinea che il problema è rappresentato, in particolare, dal fatto che SkyKick non sembra avere una difesa rispetto alle accuse di contraffazione dei marchi di Sky ai sensi della normativa applicabile dell’Unione e nazionale in materia di marchi. Ciò dà origine alla questione se si sia giunti ad un punto, nell’ambito del diritto dei marchi, che conferisce al titolare di un marchio una posizione di assoluto monopolio, a fronte della quale non ci si può più difendere in un’azione per contraffazione, nonostante il marchio non sia stato utilizzato ed è probabile che non verrà utilizzato per molti dei prodotti e servizi per cui è stato registrato. Pertanto, la causa di cui trattasi illustra la tensione oggi presente tra i diversi interessi che devono essere oggetto di bilanciamento.

I.      Fatti all’origine della controversia nel procedimento principale e questioni pregiudiziali

6.        I marchi di Sky in questione sono: i) marchio figurativo dell’Unione europea n. 3 166 352, depositato il 14 aprile 2003 e registrato il 12 settembre 2012 (in prosieguo: «EU352») per prodotti e servizi delle classi 9, 16, 18, 25, 28, 35, 38, 41 e 42; ii) marchio figurativo dell’Unione europea n. 3 203 619, depositato il 30 aprile 2003 e registrato il 6 settembre 2012 (in prosieguo: «EU619») per prodotti e servizi delle classi 9, 16, 18, 25, 28, 35, 38, 41 e 42; iii) marchio denominativo dell’Unione europea SKY n. 5 298 112, depositato il 6 settembre 2006 e registrato il 18 giugno 2015 (in prosieguo: «EU112») per prodotti e servizi delle classi 9, 16, 28, 35, 37, 38, 41; iv) marchio denominativo dell’Unione europea SKY n. 6 870 992, depositato il 18 aprile 2008 e registrato l’8 agosto 2012 (in prosieguo: «EU992») per prodotti e servizi delle classi 3, 4, 7, 9, 11, 12, 16, 17, 18, 25, 28 e da 35 a 45; e v) marchio denominativo del Regno Unito SKY n. 2 500 604, depositato il 20 ottobre 2008 e registrato il 7 settembre 2012 (in prosieguo: «UK604») per prodotti e servizi delle classi 3, 4, 7, 9, 11, 12, 16, 17, 18, 25, 28 e da 35 a 45.

7.        Sky ha avviato un procedimento affermando che SkyKick aveva violato detti marchi. Ai fini della loro azione per contraffazione, Sky invoca le registrazioni dei marchi per i seguenti prodotti e servizi (sebbene non tutti i marchi siano stati registrati per tutti i prodotti e i servizi in parola): i) software per computer (classe 9); ii) software per computer fornito da Internet (classe 9); iii) software per computer e apparecchi di telecomunicazione in grado di stabilire una connessione con le banche dati ed Internet (classe 9); iv) archiviazione dati (classe 9); v) servizi di telecomunicazione (classe 38); vi) servizi di posta elettronica (classe 38); vii) servizi di portale Internet (classe 38); e viii) servizi informatici per accedere e recuperare informazioni/dati tramite computer o rete informatica (classe 38).

8.        Sky ha fatto un utilizzo estensivo del marchio SKY in relazione a una gamma di prodotti e servizi, e in particolare prodotti e servizi relativi alle principali aree di attività di Sky, di i) telediffusione, ii) telefonia e iii) fornitura della banda larga. SkyKick ammette che, nel novembre 2014, SKY era un nome molto noto nel Regno Unito e in Irlanda in tali settori. Tuttavia, Sky non offre prodotti o servizi di migrazione di posta elettronica o di backup su cloud, né tantomeno esiste prova che progetti di offrirli in un immediato futuro.

9.        SkyKick sostiene che ciascuno dei marchi dovrebbe essere dichiarato (parzialmente) nullo in quanto essi sono registrati per prodotti e servizi non specificati con sufficiente chiarezza e precisione.

10.      Il giudice del rinvio afferma che tale controversia solleva due questioni. La prima è se si possa invocare tale motivo di nullità nei confronti di un marchio registrato.

11.      La sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361) ha stabilito (e l’articolo 33, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/1001 (4) ora impone) che il richiedente un marchio deve specificare i prodotti e i servizi per i quali è chiesta la registrazione con chiarezza e precisione sufficienti a consentire alle autorità competenti e ai terzi di determinare il grado di protezione conferito da tale marchio. Se il richiedente non lo fa, l’autorità competente non dovrebbe consentire che la domanda prosegua verso la registrazione se la specifica non viene modificata per renderla sufficientemente chiara e precisa.

12.      Secondo il giudice del rinvio, non ne consegue necessariamente che, se il richiedente omette di farlo e l’ufficio competente non si assicura che il richiedente corregga la mancanza di chiarezza o precisione nel corso dell’esame della domanda, il marchio possa essere dichiarato nullo sulla base di tale motivo dopo la registrazione. I motivi di nullità elencati nel regolamento non richiedono espressamente che la descrizione dei prodotti e dei servizi di una domanda di registrazione di un marchio dell’Unione sia chiara e precisa. La posizione è sostanzialmente la medesima in relazione ad un marchio nazionale.

13.      Il secondo aspetto sollevato dal giudice del rinvio è se le specificazioni dei prodotti e servizi di tutti i marchi possano essere oggetto di contestazione qualora si possa invocare il motivo di nullità.

14.      Il giudice del rinvio ritiene che la registrazione di un marchio per «software per computer» sia troppo ampia, ingiustificata e contraria all’interesse pubblico. Tuttavia, il medesimo afferma altresì che da ciò non consegue necessariamente che detto termine sia privo di chiarezza e precisione. Infatti, esso sembra prima facie un termine dal significato ragionevolmente chiaro e preciso. Pertanto, è sufficientemente chiaro e preciso da consentire di stabilire se i prodotti di SkyKick corrispondono ad esso. D’altro canto, il giudice del rinvio ha difficoltà a comprendere perché il ragionamento degli uffici dei marchi che formano la rete europea di marchi e disegni (European Trade Mark and Design Network in prosieguo: la «TMDN»), descritto nella Comunicazione comune del 20 novembre 2013 in relazione alle «macchine» della classe 7, non possa allo stesso modo essere applicato al «software per computer» (5).

15.      Il giudice del rinvio, inoltre, si chiede se la validità dei marchi in esame possa essere pregiudicata dalla malafede del richiedente al momento della domanda di registrazione dei marchi.

16.      SkyKick sostiene, nel procedimento principale, che i marchi sono stati registrati in malafede perché Sky non aveva intenzione di utilizzarli per tutti i prodotti e servizi indicati nelle rispettive specificazioni. SkyKick ammette che Sky aveva intenzione di utilizzare i marchi in relazione ad alcuni dei prodotti e servizi specificati. Tuttavia, SkyKick sostiene, in via principale, che i marchi siano totalmente nulli. In subordine, SkyKick fa valere che i marchi sono nulli nella misura in cui le specificazioni includevano prodotti e servizi in relazione ai quali Sky non aveva alcuna intenzione di utilizzare i marchi.

17.      Il giudice del rinvio afferma che, rispetto alla giurisprudenza dei giudici dell’Unione, gli organi giurisdizionali del Regno Unito si sono concentrati maggiormente sul requisito dell’intenzione d’uso, in considerazione del ruolo che l’articolo 32, paragrafo 3, dello United Kingdom Trade Marks Act 1994 (legge del 1994 sui marchi d’impresa del Regno Unito; in prosieguo: la «legge del 1994») svolge nel sistema dei marchi del Regno Unito (6).

18.      Il giudice del rinvio si chiede, tuttavia, se detta disposizione sia compatibile con il diritto dell’Unione. Nel caso in cui essa sia ritenuta compatibile, il giudice del rinvio nutre altresì dubbi circa la portata del requisito dell’intenzione di utilizzare il marchio.

19.      La High Court of Justice (Alta Corte di giustizia), Chancery Division (divisione della cancelleria) ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«(1)      Se un marchio dell’Unione europea o un marchio nazionale registrato in uno Stato membro possa essere dichiarato totalmente o parzialmente nullo in quanto alcuni o tutti i termini nella specificazione dei prodotti e servizi non sono sufficientemente chiari e precisi per consentire alle autorità competenti e ai terzi di determinare, sulla sola base dei predetti termini, la portata della protezione conferita dal marchio.

(2)      In caso di risposta [affermativa] alla [prima] questione, se un termine come “software per computer” sia troppo generico e designi prodotti troppo vari per essere compatibile con la funzione del marchio quale indicazione di origine, sicché tale termine non è sufficientemente chiaro e preciso per consentire alle autorità competenti e ai terzi di determinare, sulla sola base di tale termine, la portata della protezione conferita dal marchio.

(3)      Se possa costituire malafede il mero fatto di chiedere la registrazione di un marchio senza l’intenzione di farne uso in relazione ai prodotti o servizi specificati.

(4)      In caso di risposta [affermativa] alla [terza] questione, se sia possibile concludere che il richiedente abbia presentato la domanda in parte in buona fede ed in parte in malafede se, e nei limiti in cui, il richiedente aveva intenzione di utilizzare il marchio in relazione ad alcuni dei prodotti o servizi specificati, ma non intendeva utilizzare il marchio in relazione ad altri prodotti o servizi specificati.

(5)      Se l’articolo 32, paragrafo 3, dell’UK Trade Marks Act 1994 sia compatibile con la [direttiva (UE) 2015/2436 (7)] e con le precedenti direttive».

II.    Analisi

20.      Sky, SkyKick, i governi del Regno Unito, finlandese, francese, ungherese, polacco e slovacco e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Tutte le parti hanno partecipato all’udienza, ad eccezione dei governi ungherese, polacco, slovacco e finlandese.

A.      Prima e seconda questione pregiudiziale

1.      Breve sintesi degli argomenti delle parti

21.      Sky sostiene che il requisito di chiarezza e di precisione, derivante dalla sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361), sia collegato soltanto alla domanda di registrazione. Pertanto, l’unica sanzione possibile in caso di inosservanza di tale requisito è un’azione avviata d’ufficio da parte delle autorità per garantire che la domanda di cui trattasi non conduca alla registrazione di prodotti e servizi descritti con termini che non sono né chiari né precisi. Sky afferma che gli impedimenti alla registrazione e i motivi di nullità sono tassativamente previsti dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione e che essi non includono il requisito che la specificazione sia chiara e precisa. Inoltre, nelle sentenze del 16 febbraio 2017, Brandconcern/EUIPO e Scooters India (C‑577/14 P, EU:C:2017:122, punti 29 e 30) e dell’11 ottobre 2017, EUIPO/Cactus (C‑501/15 P, EU:C:2017:750, punto 38), la Corte ha dichiarato che il requisito di chiarezza e di precisione derivante dalla sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361) non dovrebbe essere invocato per marchi già registrati. Sky propone che si risponda in senso negativo alla seconda questione, in quanto termini come «software per computer» su cui si basa l’azione per contraffazione del marchio registrato soddisfano il criterio della chiarezza e precisione.

22.      SkyKick propone di rispondere in senso affermativo alla prima questione. In caso contrario, società come Sky non disporrebbero di alcun mezzo di ricorso nei procedimenti per contraffazione avviati nei loro confronti laddove il titolare di un marchio faccia valere un termine privo della chiarezza e della precisione richieste dal diritto dell’Unione. La Corte ha pertanto chiarito che la direttiva 2008/95/CE (8) e [per analogia, il regolamento (CE) n. 207/2009 (9)] prevede che le specificazioni siano chiare e precise. Tuttavia, la Corte non si è pronunciata espressamente sulle conseguenze nel caso in cui la specificazione di un marchio registrato non abbia soddisfatto detti requisiti. Se Sky avesse ragione, l’importanza della sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361) sarebbe molto limitata nella pratica.

23.      Secondo SkyKick, il requisito di chiarezza e di precisione può essere desunto dagli articoli 4, 7, paragrafo 1, lettera a) e 8, del regolamento 2017/1001 e dagli articoli 3, 4 e 5, della direttiva 2015/2436, letti alla luce della sentenza del 12 dicembre 2002, Sieckmann (C‑273/00, EU:C:2002:748). SkyKick afferma che è rimarchevole che sia la Corte stessa a fare riferimento, nella sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361, punti da 43 a 45), a dette disposizioni e al fatto che esse prevedano impedimenti alla registrazione o motivi di nullità.

24.      SkyKick afferma, in sostanza, che occorre rispondere in senso affermativo alla seconda questione. Essi sostengono che l’imprecisione provocata dalla genericità di un termine e dall’applicazione dello stesso a diversi tipi di prodotti e servizi rientra nell’ambito del vizio individuato dalla sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361).

25.      I governi del Regno Unito, francese, ungherese, polacco, slovacco e finlandese propongono di rispondere alla prima questione in senso negativo, in quanto gli impedimenti alla registrazione sono elencati in modo tassativo e nella normativa non vi è alcuna disposizione che richieda in modo esplicito che la specificazione dei prodotti e servizi debba essere chiara e precisa. Inoltre, dalla giurisprudenza (paragrafo 21 delle presenti conclusioni) si evince che il requisito di chiarezza e di precisione sia applicabile solo nella fase di registrazione di un marchio.

26.      I governi del Regno Unito e finlandese non ritengono necessario rispondere alla seconda questione, data la risposta che essi propongono per la prima questione.

27.      I governi ungherese, francese, polacco e slovacco fanno valere, in sostanza, che il termine «software» non è troppo generico e non designi prodotti troppo vari per identificare i prodotti e servizi oggetto di registrazione.

28.      La Commissione afferma, essenzialmente, sulla base di argomenti simili a quelli dei governi intervenienti, che alla prima questione si debba rispondere in senso negativo. La Commissione aggiunge che la valutazione del carattere distintivo si basa sulla relazione esistente tra un «segno» e i «prodotti o servizi», non sulla precisione o sull’imprecisione della specificazione dei prodotti o servizi in parola (10). Se la specificazione dei prodotti è vaga, essa sarà interpretata a svantaggio del relativo titolare e si giungerà alla conclusione che manchi il carattere distintivo. La Commissione afferma che, tenuto conto della risposta apportata alla prima questione, non occorre rispondere alla seconda questione. Tuttavia, essa ritiene che la Comunicazione comune non si applichi ratione temporis ai marchi controversi.

2.      Valutazione

29.      Con la prima e la seconda questione, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la mancanza di chiarezza e di precisione dei termini che descrivono i prodotti e i servizi coperti dai marchi possa costituire un motivo di nullità di un marchio registrato. In caso di risposta affermativa, il medesimo intende sapere se il termine «software per computer» di cui trattasi nel procedimento principale sia sufficientemente chiaro e preciso per consentire alle autorità competenti e ai terzi di determinare, sulla sola base del termine, la portata della protezione conferita dal marchio.

30.      Ciò premesso, ritengo che si debba rispondere a quest’ultima questione anche se la risposta alla prima questione è negativa. È infatti necessario analizzare se la mancanza di chiarezza e di precisione della specificazione dei prodotti e servizi coperti dalla registrazione di un marchio può essere collegata ad uno dei motivi di nullità esplicitamente previsti dalla normativa applicabile dell’Unione.

31.      Prima di passare al merito delle questioni, nel prendere in esame tali aspetti il giudice del rinvio dovrà valutare quale specifico contesto normativo dell’Unione sia applicabile ratione temporis, dal momento che nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale purtroppo egli non fa specifico riferimento ad alcun atto in particolare.

32.      Il procedimento riguarda sia i marchi dell’Unione europea, da un lato, sia un marchio nazionale, dall’altro, per il periodo dal 2003 al 2018. La natura della domanda principale (contraffazione) e della domanda riconvenzionale di nullità insieme indicano che al procedimento possa applicarsi più di un regolamento e di una direttiva dell’acquis dell’Unione in materia di marchi.

33.      Come sottolineato dalla Commissione, la data rilevante ai fini dell’esame della domanda riconvenzionale proposta nel procedimento per contraffazione è la data della domanda di registrazione. Le ricorrenti hanno presentato la domanda di registrazione dei marchi nel periodo dal 14 aprile 2003 al 20 ottobre 2008. Per quanto riguarda i marchi dell’Unione europea, ciò significherebbe che la normativa pertinente è il regolamento (CE) n. 40/94 (11) (e non il regolamento n. 207/2009) e, nel caso del marchio nazionale, è la direttiva 89/104/CEE (12) (e non la direttiva 2015/2436).

34.      Per quanto riguarda le azioni per contraffazione, in relazione ai marchi dell’Unione europea di cui trattasi, i procedimenti sono relativi ai periodi di vigenza del regolamento n. 207/2009; in relazione al marchio nazionale, la normativa pertinente è la direttiva 2008/95.

35.      Ne consegue che, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, in relazione ai marchi dell’Unione europea, il regolamento n. 207/2009 si applica alla contraffazione e il regolamento n. 40/94 alla domanda di registrazione; e per il marchio nazionale, la direttiva 2008/95 si applica alla contraffazione e la direttiva 89/104 alla domanda di registrazione.

36.      Per comodità, nelle presenti conclusioni è sufficiente che la discussione abbia quale oggetto principale le disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, anche perché non vi è alcuna differenza sostanziale, ai fini della presente causa, tra le disposizioni pertinenti del precedente regolamento n. 40/94 e quelle dell’atto normativo successivo, il regolamento n. 207/2009, sebbene parte della numerazione degli articoli sia cambiata; lo stesso vale per la direttiva 89/104 e per la direttiva 2008/95 (13).

a)      Il requisito di chiarezza e di precisione non rientra fra i motivi di nullità tassativamente previsti dalla normativa dell’Unione

37.      Nella prima questione pregiudiziale si chiede alla Corte di precisare la portata della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361). In particolare, il giudice del rinvio si interroga sulle conseguenze da trarre da tale giurisprudenza quando un marchio registrato non soddisfa il requisito di chiarezza e di precisione.

38.      Sono giunto alla conclusione – e sul punto vi è un ampio consenso tra tutti gli Stati membri intervenienti e la Commissione – che alla prima questione si debba rispondere in senso negativo.

39.      La ragione di ciò è semplice: la normativa pertinente non contiene alcuna disposizione che preveda la nullità di un marchio registrato per il fatto che alcuni o tutti i termini della specificazione dei prodotti o dei servizi non siano sufficientemente chiari e precisi.

40.      Se è vero che la mancanza di chiarezza e di precisione della rappresentazione del segno è un motivo di nullità ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 89/104 (e della direttiva 2008/95) e dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 40/94, resta il fatto che ciò non è altrettanto vero per quanto concerne la specificazione dei prodotti e servizi. Ogni altra interpretazione priverebbe l’articolo 2 della direttiva 89/104 e l’articolo 4 di detto regolamento di gran parte della loro efficacia.

41.      Per quanto riguarda i marchi nazionali, l’articolo 3 della direttiva 89/104 (impedimenti alla registrazione o motivi di nullità) semplicemente non prevede uno specifico motivo di nullità fondato sulla mancanza di chiarezza e di precisione dei prodotti o servizi oggetto della registrazione. Il giudice del rinvio lo riconosce (v. punto 159 della sentenza nel procedimento principale).

42.      Anche la giurisprudenza sottolinea che «[c]ome risulta dal suo settimo “considerando”, la direttiva n. 89/104 disciplina esaurientemente gli impedimenti alla registrazione o i motivi di nullità inerenti al marchio d’impresa stesso» (14). Essa chiarisce inoltre, in relazione alla direttiva 2008/95, la quale ha codificato la direttiva 89/104, che essa «vieta agli Stati membri di introdurre motivi di impedimento o di nullità diversi da quelli figuranti nella detta direttiva» (15).

43.      Nei limiti in cui la mancanza di chiarezza e di precisione dei termini usati nella specificazione dei prodotti e servizi oggetto della registrazione di un marchio nazionale non è dunque espressamente prevista dall’articolo 3 della direttiva 89/104, non si può ritenere che essa costituisca un motivo di nullità che si aggiunge a quelli previsti da tale articolo.

44.      Analogamente, per quanto riguarda i marchi dell’Unione, occorre rilevare che l’elenco delle cause di nullità assoluta enunciate dall’articolo 51 del regolamento n. 40/94 e dall’articolo 7 di detto regolamento, cui rinvia l’articolo 51, non include un motivo di nullità fondato sulla mancanza di chiarezza o di precisione dei termini utilizzati per specificare i prodotti e i servizi oggetto della registrazione di un marchio dell’Unione.

45.      L’articolo 96 del regolamento n. 40/94, rubricato «Domanda riconvenzionale», dispone che «[l]a domanda riconvenzionale di decadenza o di nullità può essere fondata soltanto sui motivi di decadenza o di nullità previsti nel presente regolamento».

46.      La giurisprudenza menzionata nel paragrafo 42 delle presenti conclusioni si applica chiaramente anche ai regolamenti in materia di marchi e ai marchi dell’Unione.

47.      Ne consegue che l’elenco delle cause di nullità assoluta di cui all’articolo 51 del regolamento n. 40/94 è esaustivo e che non si può ritenere che la mancanza di chiarezza e di precisione nella specificazione dei prodotti e servizi oggetto della registrazione di un marchio dell’Unione costituisca un motivo di nullità che si aggiunge a quelli previsti dal legislatore dell’Unione in detto regolamento.

48.      Ritengo, infatti, che aspetti quali la mancanza di chiarezza e di precisione siano importanti nel diritto dei marchi, ma che si tratti di questioni che devono essere esaminate dai competenti uffici in materia di marchi quando si trovano di fronte ad una domanda di registrazione di un marchio.

49.      Sebbene le registrazioni esistenti che non soddisfano il requisito di chiarezza e di precisione non possano essere dichiarate nulle su tale base, resta il fatto che ciò avrà ripercussioni sull’ambito di protezione del marchio registrato.

50.      La considerazione di cui sopra è corroborata da un’analisi sistematica del contesto normativo dell’Unione. Come evidenziato dalla Commissione, è lecito chiedersi per quale motivo il legislatore sia giunto alla conclusione che la mancanza di chiarezza e di precisione nella rappresentazione del segno debba essere un motivo di nullità, mentre non debba esserlo in relazione alla specificazione di prodotti e servizi. Ciò dipende dal fatto che la rappresentazione del segno, una volta presentata la domanda di registrazione del marchio, non può essere modificata in linea di principio (salvo alcune eccezioni molto limitate) per motivi di certezza del diritto. Pertanto, non si può rimediare ex post alla constatazione che la domanda di registrazione o la registrazione di un segno è avvenuta in violazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 89/104 o dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 40/94. Il rifiuto (prima della registrazione) o la cancellazione (dopo la registrazione) sono le uniche opzioni disponibili in tali circostanze.

51.      Per contro, a norma del regolamento n. 40/94, la specificazione di prodotti e servizi può sempre essere oggetto di una restrizione o di una rinuncia parziale (il titolare può a posteriori specificare ulteriormente e restringere, ma mai ampliare l’elenco dei prodotti e servizi e porre così rimedio alla mancanza di chiarezza e di precisione). Pertanto, anteriormente o successivamente alla registrazione si può porre rimedio a qualsiasi mancanza di chiarezza e di precisione nella specificazione dei prodotti e servizi. La direttiva 89/104 prevede un’autonomia procedurale che consente agli Stati membri di fare altrettanto.

b)      Il requisito di chiarezza e di precisione può essere collegato ad un motivo di nullità previsto dalla normativa dell’Unione?

52.      È ora necessario esaminare se la mancanza di chiarezza e di precisione nella specificazione dei prodotti e servizi oggetto della registrazione di un marchio possa essere collegata ad uno dei motivi di nullità tassativamente stabiliti dalla normativa applicabile dell’Unione.

53.      SkyKick ha prospettato due possibilità a tale riguardo.

54.      In primo luogo, essa sostiene che, sebbene la sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361) non specifichi dove esattamente, nel testo delle direttive e dei regolamenti applicabili, si dovrebbero dedurre implicitamente le parole in grado di attribuire efficacia alla condizione implicita della chiarezza della specificazione individuata in tale causa, «da essa risulta molto chiaramente che [la chiarezza] è un requisito implicito per la registrazione e di fatto per la validità di un marchio e quale condizione per la registrazione». Una siffatta condizione implicita, per i marchi nazionali, potrebbe naturalmente dedursi dall’articolo 2 in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 89/104 e, per i marchi dell’Unione, dall’articolo 4 in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 40/94.

55.      Nella sentenza del 12 dicembre 2002, Sieckmann (C‑273/00, EU:C:2002:748, punti 51 e 52), la Corte ha dichiarato, in relazione alla rappresentazione grafica dei segni, che «gli operatori economici devono poter accertare con chiarezza e precisione le registrazioni effettuate o le domande di registrazione formulate dai loro concorrenti attuali o potenziali e beneficiare in tal modo di informazioni pertinenti riguardanti i diritti dei terzi» e «affinché gli utilizzatori del detto registro siano in grado di determinare, in base alla registrazione di un marchio d’impresa, l’esatta natura di quest’ultimo, la sua rappresentazione grafica nel registro dev’essere di per sé completa, facilmente accessibile ed intellegibile».

56.      SkyKick afferma che lo stesso dovrebbe valere in relazione al requisito di chiarezza e precisione nella specificazione dei prodotti e servizi oggetto della registrazione.

57.      È sufficiente constatare che, come affermato in sostanza da tutte le parti ad eccezione di SkyKick, la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361) – nonostante l’incisività del linguaggio utilizzato dalla Corte – semplicemente non può essere interpretata nel senso che essa introdurrebbe un nuovo motivo di nullità, in particolare in quanto la stessa normativa è così chiara da rendere esaustivo l’elenco dei motivi di nullità.

58.      Ritengo (al pari della Commissione) che, nel tracciare un’analogia con la sentenza del 12 dicembre 2002, Sieckmann (C‑273/00, EU:C:2002:748), nella causa Chartered Institute of Patent Attorneys, la Corte è stata estremamente cauta nel precisare che l’obiettivo del requisito di chiarezza e di precisione applicato ai segni fosse quello di individuare l’oggetto della protezione per determinare la portata della protezione richiesta (16). La registrazione di un segno come marchio deve essere sempre richiesta per determinati prodotti o servizi. Sebbene il requisito della rappresentazione grafica abbia lo scopo specifico di definire il marchio stesso, al fine di individuare l’esatto oggetto della protezione conferita attraverso il marchio d’impresa (17), la portata di detta protezione è determinata dalla natura e dal numero dei prodotti e dei servizi individuati nella domanda di cui trattasi. Di conseguenza, dalla sentenza Chartered Institute of Patent Attorneys si evince che essa può dar luogo soltanto ad opposizione alla registrazione di un marchio e non vi è alcuna base in tale sentenza per un’azione diretta ad ottenere una dichiarazione di nullità una volta che si è verificata la registrazione. La Corte non si è pronunciata sulle conseguenze della registrazione di un marchio non conforme al requisito di chiarezza e di precisione.

59.      In secondo luogo, SkyKick sostiene che il requisito in parola potrebbe altresì rientrare nell’impedimento alla registrazione o nel motivo di nullità dei marchi di impresa contrari all’ordine pubblico o al buon costume di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 89/104 e all’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 40/94.

60.      Sono giunto alla conclusione che ciò avviene nel caso di specie e, come spiegherò (paragrafo 79 delle presenti conclusioni), concordo con il giudice del rinvio sul fatto che la registrazione di un marchio per «software per computer» è ingiustificata e contraria all’interesse pubblico.

61.      Dalla giurisprudenza è altresì possibile evincere che un marchio il quale non soddisfa il requisito di chiarezza e di precisione è contrario all’ordine pubblico [v. in particolare, sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361, punti da 46 a 48)].

62.      Se, inoltre, la registrazione può essere ottenuta con troppa facilità e/o eccessiva ampiezza, il risultato sarà un aumento delle barriere all’ingresso di terzi poiché la quantità dei marchi disponibili diminuirà, aumentando i costi che possono essere trasferiti in capo ai consumatori, e un’erosione del dominio pubblico (v. paragrafo 95 delle presenti conclusioni).

63.      Ritengo, anzitutto, che nella sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361), la Corte abbia espressamente previsto che i termini ampi che possono applicarsi ad una varietà di prodotti e di servizi diversi siano privi di chiarezza e di precisione. In secondo luogo, come evidenziato da SkyKick, i termini eccessivamente generici suscitano chiaramente le stesse preoccupazioni di ordine pubblico di altri tipi di termini vaghi e imprecisi. Il considerando 28 del regolamento 2017/1001 enuncia tale problema di ordine pubblico. In terzo luogo, consentire la registrazione di prodotti e servizi definiti in modo così ampio è incompatibile con la funzione essenziale del marchio, come stabilita nella sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 28).

64.      Il giudice del rinvio ha ritenuto che, supponendo che i marchi avessero validamente ad oggetto i prodotti e i servizi in parola, sarebbe forzato rilevare una contraffazione del marchio basandosi sul raffronto tra i prodotti e servizi, definiti in modo molto ampio, registrati da Sky (indipendentemente dall’effettivo utilizzo da parte di Sky e dalla notorietà di tali beni e servizi; infatti, come vedremo in seguito, si può parlare di marchi utilizzati per «una gamma estremamente ampia e diffusa di prodotti») e i prodotti e servizi di SkyKick. È evidente che il giudice del rinvio fosse a disagio rispetto a tale conclusione.

65.      Il giudice del rinvio ha accertato sul piano fattuale l’ampiezza della gamma di prodotti e servizi indicati nelle domande di marchio (v. ordinanza di rinvio, punto 4): ad esempio, alle date di deposito dei marchi dell’Unione da parte di Sky, quest’ultima non aveva intenzione di utilizzare i suoi marchi dell’Unione in relazione a tutti i prodotti e servizi coperti dalle specificazioni (v. sentenza nel procedimento principale, punto 250). La dichiarazione resa da Sky in relazione al marchio del Regno Unito a norma dell’articolo 32, paragrafo 3, del Trade Mark Act 1994 (legge del 1994 sui marchi d’impresa del Regno Unito; in prosieguo: la «legge del 1994»), secondo la quale essa stava utilizzando il marchio (o intendeva utilizzarlo) in relazione ai prodotti/servizi per i quali era stata richiesta la protezione dei marchi, era parzialmente falsa (v. sentenza nel procedimento principale, punto 254).

66.      Le specificazioni, inoltre, includono prodotti/servizi in relazione ai quali per Sky non sussisteva alcuna logica commerciale ragionevole per chiederne la registrazione. Il giudice adito nel procedimento principale, dopo aver esaminato tutti gli elementi di prova, ha dichiarato: «devo concludere che l’inclusione di siffatti prodotti e servizi fosse motivata dal fatto che Sky aveva una strategia diretta ad ottenere una protezione molto ampia del marchio, indipendentemente dal fatto che ciò fosse giustificato dal punto di vista commerciale» (sentenza nel procedimento principale, punto 250). Ad esempio, le specificazioni erano estremamente ampie per la domanda di EU112 (2 836 parole), EU992 (8 127 parole) e UK604 (8 255 parole) (ordinanza di rinvio, punto 4). Il testimone di Sky in più occasioni non era in grado di affermare che Sky avesse intenzione di utilizzare i marchi in relazione a determinati prodotti e servizi coperti dalle specificazioni (sentenza nel procedimento principale, punto 246).

67.      A tal riguardo, sottolineo che il giudice del rinvio ha esaminato le diverse categorie e ha tratto conclusioni da detta analisi, ha ascoltato testimoni e ha accertato i fatti, il che è di fatto il tipo di esame che dovrebbe essere effettuato in un caso come quello di specie.

68.      Ritengo che, se l’utilizzo non è un presupposto necessario per la registrazione di un marchio, in definitiva l’intero sistema funziona in base all’attribuzione di (qualche) utilizzo prima o poi.

69.      A tale proposito, ricordo il considerando 9 della direttiva 2008/95 e il considerando 10 del regolamento n. 207/2009.

70.      La Corte (18) ha ritenuto che «risulta (…) [dai considerando in parola] che il legislatore [dell’Unione] ha inteso subordinare il mantenimento dei diritti collegati al marchio, rispettivamente, nazionale e [dell’Unione europea] alla condizione che esso sia effettivamente utilizzato. (…) Un marchio [dell’Unione europea] non utilizzato potrebbe ostacolare la concorrenza limitando il novero dei segni che possono essere registrati come marchi da altri e privando i concorrenti della possibilità di utilizzare tale marchio, o un marchio simile, al momento di immettere nel mercato interno prodotti e/o servizi identici o simili a quelli contraddistinti dal marchio in questione. Di conseguenza, il mancato uso di un marchio [dell’Unione europea] rischia altresì di limitare la libera circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi». Se è vero che tali commenti si riferiscono all’obiettivo della decadenza dopo cinque anni di mancato uso, le posizioni espresse si applicano all’obbligo di utilizzo per tutto il ciclo di vita di un marchio, così come le preoccupazioni circa la confusione del registro confermano ulteriormente la necessità di una precisione maggiore (19). In precedenza, la Corte ha dichiarato che il registro dei marchi deve essere «adeguato e preciso» (20). Infatti, la confusione del registro sbilancia il «compromesso» in materia di proprietà intellettuale a scapito dell’interesse pubblico, che impone a coloro i quali chiedono protezione di precisare con chiarezza cosa essi desiderano validamente proteggere (21).

71.      Rilevo inoltre che la nuova direttiva 2015/2436 è formulata in termini ancora più incisivi. I suoi considerando 31 e 32 così recitano: «[i] marchi d’impresa raggiungono la loro finalità di distinguere prodotti o servizi e di consentire ai consumatori di effettuare scelte informate solo quando sono effettivamente utilizzati sul mercato. Il requisito dell’uso è altresì necessario per ridurre il numero totale dei marchi d’impresa registrati e protetti nell’Unione, e di conseguenza il numero di conflitti che insorgono tra loro. È pertanto essenziale prescrivere che i marchi d’impresa registrati siano effettivamente utilizzati in relazione ai prodotti o ai servizi per i quali sono stati registrati o che, se non utilizzati in relazione a questi entro cinque anni dalla data di conclusione della procedura di registrazione, possano decadere» (il corsivo è mio) e di conseguenza, «è opportuno che un marchio d’impresa registrato sia protetto solo nella misura in cui sia effettivamente utilizzato». Infatti, non vi è alcuna ragione per la quale un marchio dell’Unione dovrebbe essere protetto se non viene effettivamente utilizzato (22).

72.      Se i termini non applicabili, ma che figurano comunque nel registro, sono vaghi e incerti, ciò determinerà anche un effetto dissuasivo sui concorrenti che stiano valutando di entrare nel mercato (23) nella misura in cui una società come Sky apparirà sul mercato più grande di quanto non sia in realtà.

73.      In sintesi, Sky non aveva alcuna intenzione di utilizzare i marchi in relazione ai prodotti e ai servizi oggetto delle registrazioni, sotto tre diversi profili (sentenza nel procedimento principale, punto 251): i) le specificazioni includono prodotti e servizi indicati in modo specifico in relazione ai quali Sky non aveva alcuna intenzione di utilizzare i marchi, quali ad esempio i «preparati per la sbianca», i «materiali isolanti» e le «fruste»; ii) le specificazioni includono categorie di prodotti e servizi così ampie che Sky non intendeva utilizzare detti marchi per tutta l’ampiezza della categoria: l’esempio paradigmatico è il «software per computer», ma ve ne sono altri, come «telecomunicazioni/servizi di telecomunicazione» in tutte e cinque le registrazioni; e iii) le specificazioni erano destinate a coprire tutti i prodotti/servizi delle classi pertinenti (ad esempio, tutti i tipi di software per computer che la classe 9 era destinata a coprire, indipendentemente dal fatto che Sky non abbia mai fornito né avrebbe mai potuto fornire tutti i tipi di software) ma Sky aveva intenzione di includere tutti i prodotti della classe 9. La classe in parola contiene centinaia di prodotti diversi, dai campanelli elettrici per porte ai contaminuti per cucina, agli avvisatori d’incendio e ai fili fusibili. Sky ha utilizzato i marchi (e altri marchi di cui è titolare) per opporsi a parti di domande di registrazione presentate da terzi e riguardanti prodotti e servizi in relazione ai quali Sky non aveva alcuna intenzione di utilizzare i marchi (sentenza nel procedimento principale, punto 255).

74.      Se, in un certo senso, il termine «software per computer» è chiaro (è comprensivo di un codice informatico), esso è senza dubbio privo di precisione nel senso che riguarda prodotti troppo variabili, sotto il profilo della funzione e del campo di utilizzo, per essere compatibile con la funzione di un marchio.

75.      Come dichiarato dalla Corte nella sentenza del 19 giugno 2012, Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2012:361, punto 54), «talune delle indicazioni generali che compaiono nei titoli delle classi della classificazione di Nizza (…) non sono idonee a soddisfare [il requisito di essere sufficientemente chiare e precise] giacché sono troppo generiche e comprendono prodotti o servizi troppo diversi tra loro per essere compatibili con la funzione d’origine del marchio» (il corsivo è mio).

76.      Si tratta proprio della situazione con cui dobbiamo confrontarci nel caso di specie. Infatti, sono d’accordo con il giudice del rinvio sul fatto che la registrazione di un marchio per «software per computer» è troppo ampia per i motivi addotti dal giudice Laddie nella causa Mercury v. Mercury (24), che si applicano con incisività ancora maggiore quasi un quarto di secolo più tardi, ora che il software per computer è molto più diffuso che nel 1995.

77.      Nella sentenza in parola, il giudice Laddie ha affermato che «secondo il convenuto, la registrazione del ricorrente, sulla base del suo attuale tenore, crea un monopolio in relazione al marchio (e a marchi tanto simili da creare confusione) quando viene utilizzato per una gamma estremamente ampia e diffusa di prodotti, ivi compresi prodotti su cui il ricorrente non ha alcun interesse legittimo. Nel corso della discussione ho fatto osservare [alla parte ricorrente] che la registrazione di un marchio per “software per computer” coprirebbe qualsiasi insieme di istruzioni digitali registrate usate per controllare qualsiasi tipo di computer. Essa non riguarderebbe soltanto il tipo di prodotti del ricorrente, ma software per giochi, software di contabilità, software per la progettazione di alberi genealogici, software usati in campo medico diagnostico, software usati per controllare i computer nei satelliti e software usati nei computer che gestiscono il sistema della metropolitana di Londra. Ritengo che, in definitiva, egli abbia ammesso che alcuni di essi erano talmente distanti dai prodotti commercializzati dal suo cliente e rispetto ai quali aveva un interesse che poteva essere forse auspicabile una limitazione della portata della registrazione per escludere alcuni dei prodotti più esoterici. In ogni caso, che lo si ammetta o meno, a mio avviso, vi è un argomento incisivo a favore del fatto che la registrazione di un marchio semplicemente per “software per computer” sarà di norma troppo ampia. A mio avviso, la caratteristica che definisce un software per computer non è il supporto su cui esso è registrato, né il fatto che esso controlli un computer, né i canali commerciali attraverso cui passa, bensì la funzione che svolge. Un software che permette ad un computer di comportarsi come un simulatore di volo è un prodotto completamente diverso da un software che, per esempio, permette ad un computer di effettuare una lettura ottica dei caratteri di un testo o di progettare una fabbrica chimica. A mio avviso, è assolutamente inopportuno che un commerciante interessato ad un settore limitato di software debba acquisire, con la registrazione, un monopolio legale di durata indeterminata esteso a tutti i tipi di software, compresi quelli distanti dal proprio settore di interesse commerciale».

78.      A tale riguardo, SkyKick osserva correttamente che nella società moderna una serie praticamente illimitata di prodotti «intelligenti» includono (o sono dotati di) software: console per videogiochi, libri elettronici, elettrodomestici, giocattoli, televisori, orologi ecc. (per non parlare di applicazioni come il software di controllo per il funzionamento del Large Hadron Collider). Tutti contengono software per computer, ma sono tipi di prodotti completamente diversi tra loro. Dopo tutto, non rientra nelle finalità delle norme dell’Unione in materia di marchi il fatto che un’impresa che fornisce un frigorifero intelligente debba essere giudicata per contraffazione di marchio sulla base della circostanza che essa fornisce prodotti identici – software per computer – a quelli di un fornitore di una piattaforma per la negoziazione di titoli.

79.      In breve, a mio avviso, la registrazione di un marchio per «software per computer» è ingiustificata e contraria all’interesse pubblico, in quanto conferisce al titolare un monopolio di enorme portata, che non può essere giustificato da un legittimo interesse commerciale del titolare.

80.      È degno di nota, come enunciato dal giudice del rinvio, il fatto che la posizione di cui sopra sia riconosciuta anche nella prassi dello United States Patent and Trademark Office (Ufficio brevetti degli Stati Uniti; in prosieguo: «USPTO») e nel suo manuale di procedura di esame in materia di marchi (in prosieguo: «TMEP») (nel sistema statunitense dei marchi, non è consentito presentare domanda per «software per computer» in quanto tali – piuttosto, per esigenze di precisione, il richiedente deve altresì indicare il tipo/lo scopo del software e il settore di utilizzo) (25). Il 21 giugno 2012 l’esaminatore dell’USPTO ha sollevato obiezioni circa i termini «software per computer» e «servizi informatici»: «il termine “software per computer” (…) è indefinito e deve essere chiarito in quanto il suo scopo deve essere nell’elenco (…). L’identificazione del software deve specificare lo scopo o la funzione del software».

81.      Concordo altresì con il giudice del rinvio sul fatto che è difficile comprendere per quale motivo il ragionamento del TMDN relativo alle «macchine» della classe 7 non si possa ugualmente applicare al «software per computer» (v. nota 5 delle presenti conclusioni); ai «servizi di telecomunicazione» (v. sentenza nel procedimento principale, punto 163); o ai «servizi finanziari» (26) sotto tale profilo.

c)      Quali sono i criteri rilevanti per stabilire se un termine è sufficientemente chiaro e preciso?

82.      Sono giunto alla conclusione che il punto di partenza per l’analisi dei criteri rilevanti per determinare la chiarezza e la precisione deve essere individuato nella giurisprudenza attuale dei giudici dell’Unione per stabilire se il requisito dell’«uso» sia stato soddisfatto in relazione ad alcuni ma non a tutti i prodotti o i servizi. Come suggerito dalla dottrina (27), ciò è importante in quanto spiega in che modo le parti non utilizzate di un marchio siano distinte dalle parti utilizzate. Ciò indica il livello di specificità idealmente necessario perché il marchio sia valido e, in ogni caso, quanto debba essere preciso dopo cinque anni.

83.      Finora soltanto il Tribunale ha avuto modo di pronunciarsi su tale aspetto. Nella sentenza del 14 luglio 2005, Reckitt Benckiser (España) v. UAMI – Aladin (ALADIN) (T‑126/03, EU:T:2005:288; non impugnata) (28), il medesimo ha definito l’approccio fondamentale all’uso parziale di un prodotto o un servizio, identificando le due forze che limitano l’ambito di utilizzazione. Qualora un marchio sia stato utilizzato soltanto in relazione ad alcuni prodotti o servizi, non si può considerare utilizzato per tutti i prodotti o servizi per i quali è stato registrato (punto 44 della sentenza in parola). Ritengo che tale approccio sia corretto nella misura in cui esso prende in considerazione determinati prodotti in termini di categorie e sottocategorie. L’utilizzazione in una categoria è sufficiente a ricomprendere l’intera categoria qualora essa non sia suddivisibile in sottocategorie sufficientemente distinte (punti 45 e 46) se non in modo arbitrario (29). Occorre dunque valutare se una categoria includa delle sottocategorie autonome di modo che la Corte di giustizia possa decidere se la prova dell’uso è stata addotta unicamente per tale sottocategoria di prodotti o servizi o, invece, nel caso in cui simili sottocategorie non siano ipotizzabili, se l’uso può essere determinato per l’intera categoria (30).

84.      Ritengo, pertanto, che la Corte dovrebbe dichiarare che all’intenzione di utilizzare il marchio dovrebbe corrispondere la decadenza per mancato uso (31).

85.      Infatti, La Commissione ha già proposto un simile approccio circa 11 anni fà, nella causa che ha condotto alla sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361, v. punti 31 e 32) (32), in base alla quale l’EUIPO deve verificare al momento del procedimento di registrazione di un segno come marchio se tale registrazione venga effettuata al fine di utilizzare effettivamente tale marchio. Per contro, qualora l’EUIPO registri come marchio un segno e quest’ultimo, in seguito, non venga effettivamente utilizzato, i terzi potranno, in forza dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94, anche far valere, prima dello scadere di un termine di cinque anni, che il richiedente era in malafede al momento della registrazione del detto segno come marchio e chiedere che il medesimo venga, per tale motivo, dichiarato nullo. Quanto ai criteri pertinenti al fine di determinare se il richiedente fosse in malafede, la Commissione menziona il comportamento di quest’ultimo sul mercato, il comportamento di altri operatori rispetto al segno che è stato depositato, il fatto che il richiedente disponga, al momento del deposito, di un portafoglio di marchi, nonché tutte le altre circostanze proprie del caso di specie.

86.      Si tratta di un approccio ragionevole, nella misura in cui «alla data del deposito, l’uso previsto di un marchio non sarebbe sufficiente a superare un’azione di decadenza cinque anni più tardi, un giudice dovrebbe concludere che la domanda sia stata presentata in malafede. Non cambierebbe nulla nel corso dell’esame, l’ufficio marchi non sarebbe comunque tenuto a stabilire se vi fosse l’intenzione di utilizzare al momento del deposito, (…) piuttosto sarebbe lasciato a terzi il compito di chiedere che il marchio sia dichiarato nullo una volta concesso [o in un procedimento di opposizione dinanzi all’ufficio marchi in cui possono essere sollevate obiezioni per impedimenti assoluti alla registrazione] (…). In pratica, ciò significherebbe (normalmente) che solo se un terzo vuole effettivamente utilizzare il marchio non utilizzato [come nel procedimento principale], verrebbe chiesta la dichiarazione di nullità; altrimenti, i marchi non utilizzati (compresi quelli in relazione ai quali manca del tutto l’intenzione di utilizzarli) semplicemente resterebbero nel registro (come adesso)» (33).

B.      Terza questione pregiudiziale

1.      Breve sintesi degli argomenti delle parti

87.      Sky afferma che per l’uso di un marchio registrato a livello di Stato membro o a livello di Unione non esistono requisiti diversi da quelli specificamente stabiliti dalla normativa applicabile dell’Unione da valutare in modo del tutto oggettivo nell’ambito di una richiesta inter partes di imposizione di sanzioni, presentata una volta decorso un periodo ininterrotto di cinque anni di mancato uso. L’applicazione di sanzioni per mancato uso non dipende dall’esistenza di un’intenzione soggettiva in capo al titolare del marchio. Sky aggiunge che non è consentito adottare o applicare alcuna norma in base alla quale la protezione dei marchi mediante registrazione sia o sia mai stata subordinata all’esistenza di una «dichiarazione dell’intenzione di utilizzare il marchio», esplicita o implicita, alla data della domanda di registrazione, a livello di Stato membro o a livello di Unione. Il Regno Unito non può da parte sua adottare o applicare norme diverse sulla base della notifica data in applicazione della regola 7, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione comune all’accordo e al protocollo di Madrid (34). Non è consentito adottare o applicare alcuna norma in base alla quale l’esistenza della malafede possa essere semplicemente equiparata all’assenza di intenzione di utilizzare un marchio per prodotti o servizi oggetto di una domanda di registrazione di detto marchio depositata a livello di Stato membro o a livello di Unione.

88.      SkyKick fa valere, in sostanza, che alla terza questione si debba rispondere in senso affermativo, in quanto Sky ha agito in malafede.

89.      Il governo del Regno Unito propone di rispondere alla terza e alla quarta questione congiuntamente e in senso affermativo.

90.      Il governo francese afferma che la terza, la quarta e la quinta questione debbano essere trattate insieme e risolte in senso negativo. In particolare, esso sostiene che la Corte prevede anche che il richiedente abbia intenzione di danneggiare un terzo, con la conseguenza che il semplice fatto di aver presentato una domanda di registrazione di un marchio senza aver intenzione di utilizzarlo non rappresenta un motivo sufficiente per stabilire la malafede. Inoltre, secondo il governo in parola, se il titolare, nel periodo di tolleranza di cinque anni, non ha intrapreso un uso effettivo del marchio dell’Unione in relazione ai prodotti o ai servizi per i quali è stato registrato, il marchio è sottoposto a sanzione per mancato uso e siffatta sanzione deve essere applicata indipendentemente dalla circostanza che il titolare del marchio abbia intenzione di utilizzare i prodotti o servizi elencati nella sua domanda di registrazione.

91.      I governi ungherese, polacco e slovacco non propongono una risposta alla questione di cui trattasi.

92.      Il governo finlandese propone di rispondere in senso negativo alla terza questione. Il governo finlandese e la Commissione adducono argomenti simili e affermano che l’intenzione può, in talune circostanze, «costituire un elemento della malafede» del richiedente, qualora l’unico fine sia quello di impedire che un terzo entri nel mercato. Il fatto che non vi sia alcuna effettiva intenzione di utilizzare il marchio può, «in talune circostanze», corroborare la conclusione che la domanda sia stata depositata in malafede quando sia accertato che il richiedente abbia fatto registrare il marchio unicamente al fine di impedire che un terzo «entri nel mercato» (35).

2.      Valutazione

93.      La terza questione analizza se i marchi siano stati registrati in malafede per il motivo che Sky non aveva intenzione di utilizzarli in relazione a tutti i prodotti e servizi elencati nelle rispettive specificazioni e, di fatto, ha chiesto la registrazione di alcuni dei marchi senza avere alcuna intenzione di utilizzarli in relazione ai prodotti o servizi specificati. Pertanto, nella presente causa la Corte dovrà pronunciarsi sul significato e sull’ambito di applicazione della nozione di «malafede» di cui all’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 e all’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 89/104 (36).

94.      A mio avviso, laddove il giudice del rinvio abbia constatato che il richiedente, come Sky nel caso di specie, abbia avuto l’intenzione deliberata di acquisire diritti che non aveva intenzione di esercitare, potenzialmente, tra l’altro, per impedire a terzi di utilizzare il marchio registrato per vendere detti prodotti e servizi, allora vi è malafede (37). Ciò deriva dal fatto che la deliberata richiesta di registrazione in relazione a prodotti e servizi per i quali non vi è alcuna intenzione commerciale riflette l’intenzione di abusare del sistema dei marchi. Ammettere che un marchio sia dichiarato nullo in caso di malafede in quanto non vi era l’intenzione di utilizzarlo in relazione ad alcuni dei prodotti e servizi specificati è in linea non soltanto con il reale obiettivo del regolamento n. 40/94 e della direttiva 89/104 (e delle norme successive), ma anche con la genesi normativa di tale nozione (v. paragrafo 116 delle presenti conclusioni).

95.      Il giudice del rinvio correttamente evidenzia che si tratta di aspetti importanti: le circostanze in cui può essere conseguita la registrazione di un marchio e l’ambito della copertura così ottenuta sono elementi fondamentali di qualsiasi sistema dei marchi e cruciali per l’equilibrio del sistema. Vi sono indubbi vantaggi nel consentire la registrazione di marchi senza richiederne l’uso effettivo, così come prevede il sistema dell’Unione (a differenza, ad esempio, del sistema statunitense). Due dei principali vantaggi sono che ciò rende più facile per i titolari di marchi ottenere la protezione dei loro marchi prima di un lancio commerciale e rende il processo di registrazione più semplice, rapido e meno costoso. Tuttavia, se la registrazione può essere ottenuta troppo facilmente e/o in modo troppo ampio, come nel caso di specie, allora ne conseguirà un aumento degli ostacoli all’accesso dei terzi, in quanto si riduce la disponibilità di marchi adeguati, aumentando i costi che possono essere trasferiti in capo ai consumatori, e un’erosione del dominio pubblico.

96.      Condivido altresì l’opinione del giudice del rinvio, secondo cui qualora il richiedente chieda la registrazione di un marchio senza l’intenzione di farne uso in relazione ai prodotti e servizi specificati, nulla impedisce che il marchio sia registrato (posto che il marchio sia comunque registrabile). L’unico modo in cui la registrazione può essere annullata o limitata nella portata, prima della scadenza del periodo di cinque anni richiesto per la contestazione di mancato utilizzo, è in ragione del fatto che la domanda sia stata fatta in malafede. Se un marchio può essere registrato senza l’intenzione di utilizzarlo in relazione a tutti o alcuni dei prodotti e servizi specificati e se la registrazione non può essere contestata o limitata per malafede, il sistema sarà aperto ad abusi. Esempi di siffatti abusi emergono dalla giurisprudenza (38).

97.      Tali aspetti sono stati opportunamente analizzati dalla Corte in una causa recente. Concordo con l’avvocato generale Kokott, che propone una verifica della malafede basata sul fatto che la malafede venga stabilita a partire dal momento in cui un operatore ottiene un vantaggio indebito dal sistema dei marchi dell’Unione (39).

98.      Nella sentenza pronunciata in detta causa [sentenza del 12 settembre 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO (C‑104/18 P, EU:C:2019:724, punto 45)], la Corte ha anzitutto ricordato che le norme sul marchio dell’Unione europea sono dirette, in particolare, a contribuire al sistema di concorrenza non falsata nell’Unione europea. In tale sistema, ogni impresa dev’essere in grado, per attirare e conservare la clientela con la qualità dei suoi prodotti o servizi, di far registrare come marchi d’impresa segni che consentano al consumatore di distinguere senza possibile confusione tali prodotti o servizi da quelli di provenienza diversa.

99.      Al punto 46 di detta sentenza, la Corte ha poi dichiarato che «il motivo di nullità assoluta di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 si applica laddove emerga da indizi pertinenti e concordanti che il titolare di un marchio dell’Unione europea ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio, non con l’obiettivo di partecipare in maniera leale al gioco della concorrenza, ma con l’intenzione di pregiudicare, in modo non conforme alle consuetudini di lealtà, gli interessi di terzi, o con l’intenzione di ottenere, senza neppur mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio, in particolare la funzione essenziale di indicare l’origine».

100. A tale proposito, la Corte ha statuito, in precedenza, che «l’esistenza della malafede del richiedente, ai sensi dell’art[icolo] 51, n. 1, lett[era] b), del regolamento n. 40/94, dev’essere valutata globalmente, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie» e che «l’intenzione del richiedente al momento pertinente è un elemento soggettivo che deve essere determinato con riferimento alle circostanze oggettive del caso di specie» (40).

101. Nella sentenza del 12 settembre 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO (C‑104/18 P, EU:C:2019:724, punto 62 e segg.), la Corte di giustizia ha altresì ritenuto importante affermare che, nel caso in esame, il Tribunale «si è (…) astenuto dall’esaminare se la domanda di un marchio contenente la parola stilizzata “KOTON” per prodotti e servizi delle classi 25, 35 e 39 ai sensi dell’Accordo di Nizza presentasse una logica commerciale alla luce delle attività dell’interveniente». Ha inoltre dichiarato che, pur avendo menzionato la «logica commerciale nella quale si iscrive il deposito della domanda di registrazione» e «la cronologia degli eventi che hanno caratterizzato tale deposito» come elementi che possono essere rilevanti, il Tribunale non li ha pienamente esaminati nel prosieguo della sua sentenza. La Corte di giustizia ha accolto il motivo di impugnazione e annullato la sentenza del Tribunale.

102. A differenza della Corte di giustizia, il Tribunale ha già elaborato una giurisprudenza in materia di malafede. Se è vero che molte cause possono dipendere dai fatti individuali che ne sono a fondamento, la giurisprudenza del Tribunale riconosce anche che, almeno in alcune circostanze, registrare un marchio senza l’intenzione (effettiva) di utilizzarlo può costituire malafede (41).

103. A mio avviso, la suddetta giurisprudenza del Tribunale conferma giustamente che è pertinente svolgere indagini sulla logica commerciale del ricorrente nel depositare la propria domanda (42). Ad esempio, il Tribunale ha dichiarato che un comportamento che non sia un legittimo comportamento commerciale, ma sia contrario agli obiettivi del regolamento n. 207/2009, costituisca malafede in quanto assimilabile ad un abuso di diritto. Detta sentenza sostiene altresì la tesi secondo cui depositare un marchio senza l’intenzione di utilizzarlo in relazione ai prodotti e ai servizi specificati indica, in linea di principio, la malafede(43).

104. Contrariamente a quanto sostenuto dal governo francese, ritengo che il mio approccio e la mia interpretazione della nozione di «malafede» del richiedente – concernente casi in cui il medesimo registra un segno per prodotti e servizi senza avere intenzione di utilizzare il segno in parola per tali prodotti e servizi – non rischino di privare il meccanismo della decadenza del suo effetto utile. Come illustrato all’udienza mediante l’esempio presentato dal governo del Regno Unito, se qualcuno ha depositato una domanda di registrazione del marchio «Taxi» in relazione a tre tipi i prodotti alimentari: biscotti, yogurt e carni cotte, ha intenzione di utilizzare il marchio per tutti e tre i tipi. Qualora, quindi, cinque anni più tardi, il richiedente non l’abbia utilizzato per i biscotti, il suo marchio rischia semplicemente la decadenza per mancato uso in relazione ai biscotti. In altri termini, sarà difficile per il richiedente far valere detto marchio nei confronti di un altro produttore. Nell’esempio di cui trattasi, non esiste incompatibilità con la malafede. Vi era una giustificazione commerciale nel fatto che il richiedente volesse coprire l’eventualità di utilizzare o estendere in futuro l’uso del suo marchio ad altri prodotti. D’altro lato, se il richiedente chiedesse la registrazione dello stesso marchio «Taxi» per biscotti, yogurt, carni cotte, aeroplani e strumenti chirurgici, il suo monopolio impedirebbe a qualsiasi produttore di aeroplani e di strumenti chirurgici di utilizzare il termine «Taxi» come marchio per la propria azienda. Pertanto, qualora il deposito del ricorrente fosse diretto a impedire a terzi l’uso di detto termine pur non avendo intenzione di utilizzarlo come marchio, la richiesta di registrazione sarebbe abusiva, in quanti essa non avrebbe nulla a che fare con le attività commerciali del richiedente.

105. L’attenzione si concentra inoltre sulla motivazione al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio, mentre per quanto riguarda la decadenza è necessario concentrarsi sull’uso che ne è stato fatto o non ne è stato fatto nei primi cinque anni.

106. Per contro, ritengo che, in realtà, potrebbe essere il meccanismo di decadenza a rischiare potenzialmente di privare il meccanismo della malafede del proprio ambito di applicazione.

107. Il Tribunale ha altresì statuito che «l’intenzione di impedire ad un terzo di commercializzare un prodotto può, in talune circostanze, caratterizzare la malafede da parte [del] richiedente, quando emerge con evidenza, in seguito, che il richiedente ha chiesto la registrazione di un segno come marchio dell’Unione europea senza avere intenzione di utilizzarlo» (44). Si può sostenere che si tratti di una chiara affermazione del fatto che chiedere la registrazione di un marchio senza avere intenzione di utilizzarlo in relazione a prodotti o servizi specifici costituisce, in quanto tale, malafede.

108. Condivido altresì la posizione della giurisprudenza del Regno Unito (45), secondo cui la malafede «include la disonestà e (…) talune operazioni che non rispettano i parametri di un comportamento commerciale accettabile osservati da uomini ragionevoli ed esperti nel particolare settore in esame» (46).

109. Dalla giurisprudenza attuale della Corte si può già dedurre che registrare un marchio senza avere alcuna intenzione di utilizzarlo può costituire malafede (47). Infatti, ritengo (così come il giudice del rinvio) che, in primo luogo, sebbene nei regolamenti o nelle direttive applicabili non sia espressamente richiesta l’intenzione d’uso e un marchio registrato non possa essere dichiarato decaduto in caso di mancato uso se non sono decorsi cinque anni, la giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale suggerisca che, almeno in talune circostanze, chiedere la registrazione di un marchio senza avere alcuna intenzione di utilizzarlo in relazione ai prodotti e ai servizi specificati possa costituire malafede, nella misura in cui ciò rappresenti un abuso del sistema dei marchi (si tratta anche della posizione del governo del Regno Unito e della Commissione). In secondo luogo, secondo la giurisprudenza, il fatto che il richiedente abbia chiesto la registrazione del marchio per un’ampia gamma di prodotti o servizi non è sufficiente a dimostrare la malafede se il richiedente ha una logica commerciale ragionevole per chiedere detta protezione alla luce dell’utilizzo che fa o intende fare del marchio.

110. Aggiungerei che, quando un richiedente presenta una domanda di registrazione di un marchio senza alcuna intenzione di utilizzarlo, viene meno la ragion d’essere della domanda di registrazione. In tal caso, non si tratta di una domanda di registrazione di un marchio con una funzione sostanziale, ma assomiglia molto ad una domanda anticoncorrenziale volta ad impedire a terzi di sviluppare le proprie attività commerciali. Questo non è, con tutta evidenza, l’obiettivo del sistema dei marchi.

111. La Corte ha altresì riconosciuto che presentare una domanda di marchio senza avere intenzione di utilizzarlo commercialmente ma al solo scopo di utilizzarlo per registrare un dominio di Internet può costituire malafede (48). La parte ricorrente in detta causa voleva registrare il dominio di Internet «.eu» per una parola tedesca (in relazione a pneumatici per automobili) registrandolo come marchio svedese (in relazione a cinture di sicurezza per automobili o «cinture di sicurezza»), per poi convertirlo in un nome di dominio ai sensi della normativa applicabile. La Corte ha applicato tale regola nella causa Lindt (49) e ha affermato che risulta dalla decisione di rinvio che, la ricorrente, pur facendo registrare il marchio denominativo &R&E&I&F&E&N& in Svezia per cinture di sicurezza, non aveva affatto l’intenzione di utilizzare il marchio in parola in quanto «intendeva in realtà gestire un sito Internet dedicato al commercio degli pneumatici di cui essa prevedeva la registrazione». Pertanto, ciò che si stava di fatto verificando in tal caso era piuttosto un tentativo di «eludere» le regole in materia di marchi (50). In altre parole, la Corte ha concluso che presentare domanda di marchio allo scopo di praticare «cybersquatting» (appropriazione illegale di nomi di dominio corrispondenti a marchi altrui) potrebbe costituire malafede nell’ambito di detta normativa. Come sostengo nelle presenti conclusioni, un ragionamento simile si applica più in generale al sistema di registrazione dei marchi.

112. Il Tribunale ha anche riconosciuto che depositare una domanda di registrazione di un marchio dell’Unione presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale nell’ambito di una strategia di blocco può costituire malafede (51).

113. Il Tribunale ha affermato, al punto 51 della sentenza in parola, che «il successivo concatenarsi di domande di registrazione di marchi nazionali per il medesimo segno per prodotti e servizi rientranti in classi almeno in parte identiche mira a conferire al sig. A una posizione di blocco. Infatti, nel momento in cui un terzo deposita una domanda di registrazione di un marchio dell’Unione europea identico o simile, il sig. A. chiede la registrazione di un marchio dell’Unione europea, rivendica la priorità dello stesso basandosi sull’ultimo anello della catena delle domande di registrazione di marchi nazionali e formula un’opposizione basandosi sulla citata domanda di marchio dell’Unione europea. Il successivo concatenarsi di domande di registrazione di marchi nazionali mira pertanto a conferirgli una posizione di blocco per un periodo che eccede la durata del termine di riflessione semestrale previsto all’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 e addirittura quella del periodo di tolleranza di cinque anni di cui all’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento».

114. Ritengo che, qualora non abbia intenzione di utilizzare il marchio, è irrilevante se il ricorrente ha intenzione di impedire l’utilizzo del marchio ad un determinato terzo o a tutti i terzi. Nelle circostanze in parola, il richiedente sta illegittimamente tentando di ottenere un monopolio per impedire a potenziali concorrenti di utilizzare il segno che egli non ha intenzione di utilizzare. Ciò equivale ad un abuso del sistema dei marchi.

115. Infine, a mio parere i lavori preparatori  corroborano l’analisi di cui sopra. Essi suggeriscono, per quanto riguarda la nozione di malafede, che la dichiarazione di nullità di un marchio in caso di malafede comprenda anche situazioni in cui una siffatta domanda di marchio viene depositata senza l’intenzione di utilizzare tutti/alcuni prodotti/servizi specificati. Nel 1984, in seno al gruppo di lavoro del Consiglio relativo ad un regolamento in materia di marchi, la delegazione tedesca propose espressamente che il deposito di una domanda di marchio dell’Unione presupponesse l’esistenza di una «intenzione d’uso caratterizzata da buona fede» (Schreiben der deutschen Delegation doc. 12 ottobre 1984 9755/84, pagg. 7 e 8). La proposta in parola è stata successivamente accolta nel 1985 e nel 1986 è stata introdotta nell’articolo 41, paragrafo 1, lettera b) come causa di nullità assoluta. Nelle versioni successive di tale disposizione, la formulazione costituita dall’assenza dell’intenzione d’uso «caratterizzata da buona fede» è stata sostituita dal più generale termine «malafede», che ha condotto infine all’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 (ora articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/2001).

116. Secondo parte della dottrina (52), la sostituzione dell’esplicito requisito dell’intenzione in buona fede di utilizzare un marchio con la mera «malafede» ha avuto luogo per escludere il requisito dell’intenzione d’uso dal regolamento (e dalla direttiva). Ritengo che tale posizione sia errata.

117. Non vedo alcunché, nei lavori preparatori, che deponga a favore di tale tesi e ritengo molto più persuasiva la posizione di altra parte della dottrina (53), secondo cui la sostituzione dell’esplicito requisito con la più generale «malafede» è stata realizzata per ampliare l’ambito di applicazione della disposizione, in quanto si riteneva che essa comprendesse l’intenzione d’uso caratterizzata da buona fede e altri tipi di malafede (54).

C.      Quarta questione pregiudiziale

1.      Breve sintesi degli argomenti delle parti

118. Sky sostiene che, laddove sia accolta un’obiezione relativa alla malafede, essa deve essere obbligatoriamente applicata soltanto in relazione agli specifici prodotti o servizi. Secondo una giurisprudenza costante, la valutazione dei motivi di impedimento alla registrazione deve vertere su ciascuno dei prodotti o servizi per i quali la registrazione del marchio è richiesta o ottenuta (55).

119. La tesi principale di SkyKick è che, qualora un marchio sia stato richiesto senza l’intenzione di utilizzarlo per tutti i prodotti e servizi per i quali il richiedente ha chiesto la registrazione e qualora la ricerca di diritti eccessivamente ampi sia stata una decisione strategica deliberata, la conseguenza dev’essere che la registrazione è interamente nulla. SkyKick si basa sull’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 2017/1001, a norma del quale un marchio dell’Unione «è dichiarato nullo» allorché «al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede». Essa afferma che l’unica sentenza dei giudici dell’Unione (di cui sia a conoscenza) che affronta detta questione suffraga direttamente la tesi principale di SkyKick. Nella sentenza GRUPPO SALINI (56), il Tribunale ha dichiarato che «l’esistenza della malafede al momento del deposito della domanda di registrazione comporta di per sé la nullità in toto del marchio contestato». Ciò è altresì coerente con il principio del fraus omnia corrumpit (la frode rende nullo/distrugge tutto), comune negli ordinamenti di molti Stati membri, compreso il common law inglese (57).

120. In subordine, SkyKick afferma che la risposta alla questione se la malafede comporti la nullità di un marchio dipende da un’analisi caso per caso, che a sua volta dipende da un’analisi multifattoriale. I fattori che devono essere presi in considerazione includono l’esistenza di giustificazioni commerciali; la misura in cui il richiedente non ha osservato il principio di certezza del diritto nei confronti di terzi e delle autorità; le dimensioni e le risorse a disposizione del titolare; il numero dei prodotti e servizi elencati e la misura in cui essi si sovrappongono; la misura in cui il marchio ha ad oggetto prodotti/servizi per i quali il richiedente non aveva alcuna intenzione di utilizzarlo; il carattere distintivo del marchio; la circostanza se i diritti di cui trattasi rappresentano una duplicazione/sono divenuti «perenni»; eventuali misure esecutive intraprese sulla base dei marchi in relazione a prodotti/servizi che non aveva intenzione di utilizzare; e se il titolare ha una ragionevole giustificazione per la domanda che ha presentato malgrado la mancanza di intenzione.

121. Il governo del Regno Unito propone una risposta alla questione in parola nell’ambito della sua risposta alla terza questione. Il governo francese propone di rispondere alla questione congiuntamente alla terza e alla quinta questione. I governi ungherese, polacco e slovacco non propongono una risposta alla questione di cui trattasi.

122. Il governo finlandese e la Commissione sostengono, in sostanza, che si debba rispondere in senso affermativo alla quarta questione. L’estensione degli effetti della causa di nullità anche ai prodotti e ai servizi per i quali il marchio è effettivamente utilizzato sarebbe una conseguenza, avente natura di sanzione, che non è suffragata dal tenore letterale delle disposizioni.

2.      Valutazione

123. Alla luce della risposta affermativa data alla terza questione, è necessario chiarire quali siano le conseguenze della malafede di un richiedente al momento del deposito della domanda, qualora tale malafede riguardi soltanto alcuni dei prodotti e dei servizi oggetto della registrazione.

124. A mio avviso, correttamente il giudice del rinvio suggerisce che un marchio possa essere dichiarato parzialmente nullo se la domanda è stata presentata parzialmente in malafede.

125. È sufficiente rilevare che dall’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94 e dall’articolo 13 della direttiva 89/104 si evince chiaramente che, laddove la causa di nullità sussista soltanto in relazione ad alcuni dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio è registrato, il marchio deve essere dichiarato nullo soltanto per quanto riguarda detti prodotti o servizi.

126. Ritengo, pertanto, che la giurisprudenza del Tribunale (58) che suggerisce il contrario (vale a dire, che la presenza della malafede comporta la nullità in toto del marchio) sia errata.

127. Ne consegue che, alla luce dell’articolo 13 della direttiva 89/104 e dell’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94, qualora la causa di nullità sussista soltanto in relazione ad alcuni dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio è registrato, il marchio deve essere dichiarato nullo soltanto per quanto riguarda detti prodotti o servizi.

D.      Quinta questione pregiudiziale

1.      Breve sintesi degli argomenti delle parti

128. Sky afferma che l’articolo 32, paragrafo 3, della legge del 1994 sia incompatibile con il regime della normativa dell’Unione applicabile alla protezione dei marchi mediante registrazione a livello di Stato membro e a livello di Unione. È in ogni caso inammissibile interpretare o applicare un provvedimento legislativo nazionale come l’articolo 32, paragrafo 3: i) in modo da giungere ad un accertamento della malafede non compatibile con l’autonoma nozione di malafede stabilita dal diritto dell’Unione; o ii) in modo da sancire, direttamente o indirettamente, per l’uso dei marchi registrati un requisito diverso o più rigoroso di quello materialmente imposto e disciplinato dalla normativa dell’Unione applicabile alla decadenza del marchio e alla «prova dell’uso» quale presupposto per l’esercizio dei diritti conferiti dalla registrazione, con efficacia solo a partire dal momento della registrazione.,

129. Il governo del Regno Unito sostiene che la questione in parola è irricevibile in quanto la direttiva 2015/2436 non è stata ancora recepita nell’ordinamento del Regno Unito.

130. SkyKick e il governo del Regno Unito (in via subordinata) affermano che l’articolo 32, paragrafo 3 impone un requisito procedurale in base al quale la domanda deve indicare che il marchio viene effettivamente utilizzato o che il richiedente ha intenzione di utilizzarlo ed è dunque compatibile con la normativa dell’Unione sui marchi nazionali e dell’Unione europea.

131. Il governo francese propone di rispondere alla questione in parola congiuntamente alla terza e alla quarta questione. I governi ungherese, polacco, slovacco e finlandese non propongono alcuna risposta a tale questione.

132. La Commissione afferma, in sostanza, che l’articolo 32, paragrafo 3, della legge del 1994 è compatibile con il diritto dell’Unione.

2.      Valutazione

133. Il giudice del rinvio spiega che secondo gli organi giurisdizionali del Regno Unito la violazione dell’articolo 32, paragrafo 3, della legge del 1994 mediante presentazione di una falsa dichiarazione può essere fatta valere nell’ambito di una domanda di dichiarazione di nullità di un marchio basata sul divieto di malafede. In altre parole, nel Regno Unito la dichiarazione presentata ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 3 può fungere da elemento di prova attestante la potenziale malafede del richiedente, che è una causa di nullità assoluta.

134. Il giudice del rinvio si interroga circa la compatibilità di detto articolo con la direttiva 2015/2436 e le norme precedenti, pertanto l’argomento relativo all’irricevibilità addotto dal governo del Regno Unito dovrebbe essere respinto.

135. Le direttive pertinenti rimettono agli Stati membri gli elementi relativi all’autonomia procedurale, ma vi sono altresì taluni elementi sostanziali che non sono oggetto di armonizzazione. Infatti, ai sensi del considerando 5 della direttiva 89/104 (che corrisponde al considerando 6 della direttiva 2008/95), «[g]li Stati membri mantengono inoltre la piena libertà di fissare le disposizioni procedurali relative alla registrazione, alla decadenza o alla nullità dei marchi d’impresa acquisiti in seguito a registrazione; (…) spetta loro, ad esempio, stabilire la forma delle procedure di registrazione e di nullità, decidere se debbano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione o nella procedura di nullità ovvero in entrambe, o ancora, qualora possano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione, prevedere una procedura di opposizione o un esame d’ufficio, ovvero entrambi; che gli Stati membri mantengono la facoltà di determinare gli effetti della decadenza o della nullità dei marchi d’impresa» (il corsivo è mio).

136. Per giunta, il considerando 7 della direttiva in parola (corrispondente al considerando 8 della direttiva 2008/95) prevede, tra l’altro, che «gli Stati membri potranno mantenere o introdurre nelle rispettive legislazioni impedimenti alla registrazione o motivi di nullità connessi a condizioni di acquisizione o di conservazione del diritto sul marchio d’impresa, per le quali non esistono disposizioni di armonizzazione relative, per esempio, alla legittimazione ad essere titolare del marchio d’impresa, al rinnovo del marchio, al regime fiscale o alla mancata osservanza delle norme procedurali» (59).

137. In ogni caso, ciò che rileva ai fini della presente causa è che, a mio avviso, l’articolo 32, paragrafo 3, della legge del 1994 non prevede un nuovo motivo di nullità.

138. Esso stabilisce piuttosto solo i requisiti procedurali relativi alle domande, in quanto definisce gli elementi che devono accompagnare una domanda di marchio. Una disposizione come l’articolo 32, paragrafo 3 può anche perseguire una serie di finalità collegate alla decadenza o alla nullità, compresa l’inosservanza di norme procedurali o sostanziali.

139. Se è vero che la violazione dell’obbligo procedurale di cui a tale articolo può determinare la nullità di un marchio registrato, resta il fatto che detta nullità, se accertata, si baserà sul requisito della malafede di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 89/104.

140. Ritengo (al pari della Commissione) che l’articolo 32, paragrafo 3, in quanto tale, sia un mero requisito procedurale relativo all’inosservanza, che contribuisce a provare la malafede in tutte le circostanze del caso. L’articolo 32, paragrafo 3 non specifica le conseguenze giuridiche di una dichiarazione inesatta da parte del richiedente il marchio. Ciò dovrebbe di per sé essere assimilato ad un motivo di nullità in base al quale la malafede è accertata se il richiedente non intendeva in buona fede utilizzare il marchio per tutti i prodotti e servizi specificati. In altre parole, un motivo di nullità per malafede non può essere considerato applicabile soltanto sulla base di una falsa dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 3, della legge del 1994. Potrebbe, tuttavia, far parte degli elementi di prova.

141. Non vedo quindi in che modo l’articolo 32, paragrafo 3 potrebbe costituire un ostacolo all’adempimento, da parte del giudice, del suo obbligo di interpretare il diritto nazionale in conformità alla direttiva, nella misura in cui l’articolo 32, paragrafo 3 non precisa le conseguenze giuridiche di una dichiarazione inesatta del richiedente il marchio.

142. Ne consegue che l’articolo 32, paragrafo 3, della legge del 1994 è compatibile con la direttiva 89/104, purché non costituisca l’unico fondamento per l’accertamento della malafede.

III. Conclusione

143. Per detti motivi, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dalla High Court of Justice (England and Wales), Chancery Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione della Chancery, Regno Unito] come segue:

(1)      Un marchio dell’Unione europea o un marchio nazionale non può essere dichiarato totalmente o parzialmente nullo per il solo motivo che alcuni o tutti i termini nella specificazione dei prodotti e servizi non sono sufficientemente chiari e precisi. La mancanza di chiarezza e di precisione nella specificazione dei prodotti e servizi può tuttavia essere presa in considerazione nel valutare l’ambito della protezione da conferire a siffatta registrazione.

(2)      Tuttavia, il requisito di chiarezza e di precisione può rientrare nell’impedimento alla registrazione o motivo di nullità dei marchi contrari all’ordine pubblico, come previsti dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera f), della prima direttiva 89/104 del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, e dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario, nella misura in cui la registrazione di un marchio per «software per computer» è ingiustificata e contraria all’interesse pubblico. Un termine come «software per computer» è troppo generico e designa prodotti e servizi troppo vari per essere compatibile con la funzione del marchio quale indicazione di origine, sicché tale termine non è sufficientemente chiaro e preciso per consentire alle autorità competenti e ai terzi di determinare, sulla sola base di tale termine, la portata della protezione conferita dal marchio.

(3)      In talune circostanze, chiedere la registrazione di un marchio senza l’intenzione di farne uso in relazione ai prodotti o servizi specificati può costituire un elemento di malafede, in particolare se l’obiettivo del richiedente sia unicamente quello di impedire che un terzo entri nel mercato, anche quando vi è la prova di una strategia di deposito abusivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare.

(4)      Alla luce dell’articolo 13 della direttiva 89/104 e dell’articolo 51, paragrafo 3, del regolamento n. 40/94, qualora il motivo di nullità sussista soltanto in relazione ad alcuni dei prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, il marchio deve essere dichiarato nullo soltanto in relazione a tali prodotti o servizi.

(5)      L’articolo 32, paragrafo 3, dello United Kingdom Trade Marks Act 1994 (legge del 1994 sui marchi d’impresa del Regno Unito) è compatibile con la direttiva 89/104, purché non costituisca l’unico fondamento per l’accertamento della malafede.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Detto tipo di servizi di «migrazione» è altresì noto come «kick». Gli specifici prodotti delle resistenti sono servizi di migrazione su cloud, backup su cloud e gestione di cloud. Essi sono forniti in aggiunta al software Microsoft Office 365. Il nome «SkyKick» è stato scelto perché suonava come «sidekick» ed era evocativo del servizio della società, in cui gli utenti «lanciano» («kick») (migrano) i loro dati nel «cielo» («sky») (cloud).


3      Conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Praktiker Bau- und Heimwerkermärkte (C‑418/02, EU:C:2005:12, paragrafo 47).


4      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).


5      La Comunicazione ha indicato cinque termini inclusi nei titoli delle classi che non soddisfano il requisito di chiarezza e di precisione: classe 7, macchine; classe 37, riparazione; classe 37, servizi d’installazione; classe 40, trattamento di materiali; e classe 45, servizi personali e sociali resi da terzi destinati a soddisfare necessità individuali. Essa afferma che «il termine “macchine” non indica in maniera chiara quali macchine riguardi. Le macchine possono avere caratteristiche o finalità differenti, possono richiedere livelli molto diversi di capacità tecniche e di competenza per essere fabbricate e/o utilizzate, possono essere rivolte a diversi consumatori, essere vendute attraverso canali di vendita differenti e, di conseguenza, si riferiscono a diversi settori di mercato».


6      Tale articolo dispone che «la domanda [di registrazione di un marchio] deve indicare che il marchio è utilizzato dal richiedente o con il suo consenso, in relazione a quei prodotti o servizi [i prodotti o servizi per i quali è richiesta la registrazione del marchio], o che il richiedente intende, in buona fede, utilizzarlo in tal senso» (il corsivo è mio).


7      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1).


8      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).


9      Regolamento del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1).


10      Sentenze del 12 febbraio 2004, Koninklijke KPN Nederland (C‑363/99, EU:C:2004:86, punto 34), e del 7 luglio 2005, Nestlé (C‑353/03, EU:C:2005:432, punto 25).


11      Regolamento del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato dal regolamento del Consiglio (CE) n. 1891/2006, del 18 dicembre 2006 (GU 2006, L 386, pag. 14).


12      Prima direttiva del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).


13      V. sentenza del 19 giugno 2014, Oberbank e a. (C‑217/13 e C‑218/13, EU:C:2014:2012, punto 31).


14      Sentenza del 9 marzo 2006, Matratzen Concord (C‑421/04, EU:C:2006:164, punto 19).


15      Sentenza del 27 giugno 2013, Malaysia Dairy Industries (C‑320/12, EU:C:2013:435, punto 42).


16      V. altresì le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Chartered Institute of Patent Attorneys (C‑307/10, EU:C:2011:784, paragrafo 68).


17      Sentenza del 12 dicembre 2002, Sieckmann (C‑273/00, EU:C:2002:748, punto 48).


18      Sentenza del 19 dicembre 2012, Leno Merken (C‑149/11, EU:C:2012:816, punto 32).


19      Johnson, P., «So Precisely What Will You Use Your Trade Mark For?», International Review of Intellectual Property and Competition Law, 49(8), 2018, pagg. da 940 a 970, sezione 2.3. Inoltre, uno studio indipendente, commissionato e pubblicato dall’Ufficio del Regno Unito per la proprietà intellettuale ha rilevato che anche i marchi contenenti più di 1 000 parole erano utilizzati solo allo 0,08% del totale richiesto all’atto della registrazione. V. Graevenitz, G., Ashmead, R., Greenhaigh, C., Cluttering and non-use of trade marks in Europe, UK IPO, agosto 2015.


20      Sentenza del 12 dicembre 2002, Sieckmann (C‑273/00, EU:C:2002:748, punto 50).


21      Come rilevato in Graevenitz, G., Ashmead, R., Greenhaigh, C., op. cit., pag. 96.


22      Per quanto riguarda la questione relativa ad un marchio mai utilizzato e se si possa in abstracto far valere siffatto marchio, v. la causa ad oggi pendente C‑622/18, Cooper International Spirits e a. La Corte dovrà essere coerente nell’affrontare detta causa e la presente causa.


23      V. sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361, vedi punti 43 e 44).


24      Mercury Communications Ltd v. Mercury Interactive (UK) Ltd [1995] FSR 850, in particolare 864-865.


25      Il TMEP enuncia, al §1402.03(d): «Ogni identificazione di prodotti per programmi informatici deve essere abbastanza specifica da consentire di assumere decisioni in relazione al rischio di confusione. Il requisito di specificità nell’identificazione dei programmi informatici ha lo scopo di evitare inutili rifiuti di registrazione (…) qualora i prodotti effettivi delle parti non siano collegati e non vi siano conflitti sul mercato. A causa della proliferazione e del grado di specializzazione dei programmi informatici, [anche] specificazioni ampie come “programmi informatici in campo medico” o “programmi informatici nel campo dell’educazione” non verranno accettate, a meno che la particolare funzione o il particolare scopo del programma in tale campo non siano indicati. (…) “Programmi informatici utilizzati nella diagnosi oncologica” o “programmi informatici utilizzati nell’insegnamento della lettura ai bambini” potrebbero essere accettati».


26      V. altro caso del giudice del rinvio nella causa FIL Ltd v. Fidelis Underwriting Ltd [2018] EWHC 1097 (Pat), in particolare [95], giudice Arnold.


27      Johnson, P., op. cit., sezione 5.2. Detta parte delle conclusioni richiama l’analisi già proposta dal professor Johnson.


28      Detta giurisprudenza del Tribunale è stata analizzata dalla Corte di giustizia nella causa C‑714/18 P, ACTC/EUIPO e nelle cause riunite C‑720/18 e C‑721/18, Ferrari (cause attualmente pendenti).


29      V. sentenza del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI — Altana Pharma (RESPICUR) (T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 24).


30      V. sentenza del 27 marzo 2014, Intesa Sanpaolo/UAMi — equinet Bank (EQUITER) (T‑47/12, EU:T:2014:159, punto 20).


31      Come già proposto da Johnson, P., op. cit., sezione 5.3.


32      V. altresì le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston in Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:148, paragrafo 48).


33      Johnson, P., op. cit., sezione 4.3, il quale spiega come ciò sia compatibile con i lavori preparatori.


34      Il sistema di Madrid in materia di registrazione internazionale di marchi è disciplinato dall’accordo di Madrid, inizialmente concluso nel 1892, e dal protocollo relativo all’accordo di Madrid, inizialmente concluso nel 1989.


35      La Commissione si basa, in sostanza, sulle sentenze dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361); del 13 dicembre 2012, pelicantravel.com/UAMI – Pelikan (Pelikan) (T‑136/11, non pubblicata, EU:T:2012:689; non impugnata); e del 7 luglio 2016, Copernicus-Trademarks/EUIPO – Maquet (LUCEO) [T‑82/14, EU:T:2016:396; impugnazione rigettata con ordinanza del 14 dicembre 2017, Verus/EUIPO (C‑101/17 P, non pubblicata, EU:C:2017:979)].


36      Mentre la prima disposizione del regolamento configura la malafede al momento del deposito della domanda del marchio come motivo di nullità assoluta, lo stesso non vale direttamente per l’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 89/104. Infatti, detto articolo concede agli Stati il potere discrezionale di recepire il motivo di nullità di cui trattasi nel loro ordinamento nazionale. In ogni caso, la sostanza delle due disposizioni in parola deve essere interpretata allo stesso modo.


37      V. sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361).


38      V., ad esempio, la sentenza nella causa LUCEO.


39      Cfr. sue conclusioni nella causa Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO (C‑104/18 P, EU:C:2019:287, paragrafo 32).


40      Sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361, punti 37 e 42).


41      V., ad esempio, sentenze del 7 giugno 2011, Psytech International/UAMI – Institute for Personality & Ability Testing (16PF) (T‑507/08, non pubblicata, EU:T:2011:253, punti 88 e 89; non impugnata); del 14 febbraio 2012, Peeters Landbouwmachines/UAMI – Fors MW (BIGAB) (T‑33/11, EU:T:2012:77, punti da 24 a 26; non impugnata); Pelikan (punti 54 e 55 e da 58 a 60); dell’8 maggio 2014, Simca Europe/UAMI – PSA Peugeot Citroën (Simca) (T‑327/12, EU:T:2014:240, punti 38 e 39; non impugnata); e LUCEO (punti da 28 a 33 e da 48 a 52).


42      V., in tal senso, sentenza del 29 giugno 2017, Cipriani/EUIPO – Hotel Cipriani (CIPRIANI) (T‑343/14, EU:T:2017:458; punti 46 e 47; non impugnata).


43      Sentenza nella causa LUCEO (punti da 28 a 33 e da 48 a 52).


44      Sentenza del 5 maggio 2017, PayPal/EUIPO – Hub Culture (VENMO) (T‑132/16, non pubblicata, EU:T:2017:316, punti da 63 a 65; non impugnata).


45      V. la sentenza nel procedimento principale, punto 210. Ritengo che, a tal proposito, il fatto che le norme del Regno Unito prescrivano espressamente l’intenzione di utilizzare il marchio in applicazione dell’articolo 32, paragrafo 3, della legge del 1994 non sia necessariamente determinante.


46      V. Gromax Plasticulture Ltd v. Don & Low Nonwovens Ltd [1999] RPC 367, punto 379. V. altresì DEMON ALE Trade Mark [2000] RPC 345, Decon Laboratories Ltd v. Fred Baker Scientific Ltd [2001] RPC 17, LABORATOIRE DE LA MER Trade Marks [2002] FSR 51, Knoll AG’s Trade Mark [2003] RPC 10, Ferrero SpÀs Trade Marks [2004] RPC 29, 32Red plc v. WHG (International) Ltd [2012] EWCA Civ 19, Red Bull GmbH v. Sun Mark Ltd [2012] EWHC 1929 (Ch), Total Ltd v. YouView TV Ltd [2014] EWHC 1963 (Ch), Jaguar Land Rover Ltd v. Bombadier Recreational Products Inc [2016] EWHC 3266 (Ch), HTC Corp v. One Max Ltd (O/486/17), Paper Stacked Ltd v. CKL Holdings NV (O/036/18).


47      Sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361).


48      Sentenza del 3 giugno 2010, Internetportal und Marketing (C‑569/08, EU:C:2010:311).


49      Sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361).


50      V. altresì la recente decisione della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO nella causa R 1849/2017-2, Monopolio, 22 luglio 2019 (il marchio dell’Unione contestato aveva ad oggetto numerosi prodotti e servizi che rappresentavano semplicemente una ripetizione dei precedenti marchi dell’Unione, già esistenti, «MONOPOLIO». Da tutte le circostanze menzionate si desumeva che l’intenzione del titolare consistesse nel trarre vantaggio dalle norme in materia di marchi creando artificialmente una situazione in cui lo stesso non dovesse provare l’uso effettivo dei suoi marchi precedenti in relazione ai prodotti e ai servizi menzionati e la malafede è stata così in parte provata).


51      Sentenza nella causa LUCEO.


52      Tsoutsanis, A., Trade mark registrations in bad faith, Oxford University Press, 2010, pag. 65.


53      Johnson, P., op. cit., sezione 4.3, il quale spiega più dettagliatamente in che modo vi siano almeno cinque ragioni per le quali detta tesi è quella corretta.


54      La nozione di malafede è senza dubbio una nozione più ampia, che comprende altre forme di abuso del sistema dei marchi, ad esempio per combattere il traffico di marchi, ma anche per garantire la buona amministrazione del sistema di registrazione dei marchi e per evitare che a terzi sia impedita la registrazione dei propri (potenziali) segni come marchi (v. Schreiben der deutschen Delegation, citato al paragrafo 115 delle presenti conclusioni).


55      Sentenza del 17 ottobre 2013, Isdin/Bial-Portela (C‑597/12 P, EU:C:2013:672, punti da 24 a 30).


56      Sentenza dell’11 luglio 2013, SA.PAR./UAMI – Salini Costruttori (GRUPPO SALINI) (T‑321/10, EU:T:2013:372; non impugnata).


57      V., ad esempio, Tsoutsanis, A., op. cit., paragrafo 2.38 e citazioni ivi contenute.


58      V. sentenze del 14 febbraio 2012, Peeters Landbouwmachines/UAMI – Fors MW (BIGAB) (T‑33/11, EU:T:2012:77, punto 32; non impugnata) e dell’11 luglio 2013, SA.PAR./UAMI – Salini Costruttori (GRUPPO SALINI) (T‑321/10, EU:T:2013:372, punti 47 e 48; non impugnata).


59      V. sentenza del 7 luglio 2005, Praktiker Bau- und Heimwerkermärkte (C‑418/02, EU:C:2005:425, punto 30). Come sottolineato dalla Commissione, nella sentenza del 27 giugno 2013, Malaysia Dairy Industries (C‑320/12, EU:C:2013:435) detto considerando è stato interpretato in senso alquanto restrittivo, in quanto esso è limitato ai motivi previsti nella direttiva stessa e non vi era alcuna interpretazione del significato della frase «mantenere o introdurre (…) per le quali non esistono disposizioni di armonizzazione».