Language of document : ECLI:EU:C:2018:267

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 19 aprile 2018 (1)

Causa C123/17

Nefiye Yön

contro

Landeshauptstadt Stuttgart

con l’intervento di:

Vertreter des Bundesinteresses beim Bundesverwaltungsgericht

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Accordo di associazione CEE-Turchia – Decisione n. 2/76 – Articolo 7 – Clausola di standstill – Nuove restrizioni alle condizioni di accesso all’occupazione – Ricongiungimento familiare – Protocollo addizionale – Articolo 59 – Giustificazione – Motivi imperativi di interesse generale»






1.        Gli accordi bilaterali tra l’Unione europea e la Turchia ostano a norme più restrittive in materia di immigrazione per i cittadini turchi, introdotte dalla Germania nell’ottobre 1980, che impediscono il ricongiungimento familiare tra un lavoratore turco, soggiornante di lunga durata in tale Stato membro, e il coniuge turco? Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), vengono chieste indicazioni riguardo all’ambito di applicazione ratione temporis e ratione materiae della clausola di standstill prevista all’articolo 7 della decisione n. 2/76 (2), che attua l’articolo 12 dell’Accordo di associazione CEE‑Turchia (in prosieguo: l’«Accordo di associazione») (3) relativo alla libera circolazione dei lavoratori. Essa offre alla Corte l’opportunità di chiarire l’ambito di applicazione ratione temporis di due decisioni successive del Consiglio di associazione CEE‑Turchia (4) – la decisione n. 2/76 e la decisione n. 1/80 (5) – e di spiegare ulteriormente il modo in cui tali decisioni dovrebbero essere interpretate.

 Diritto dell’Unione

 Accordo di associazione e protocollo addizionale

2.        L’Accordo di associazione è stato concluso nel 1963. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, l’Accordo ha lo scopo di promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le Parti. L’Associazione doveva comportare una fase preparatoria, una fase transitoria e una fase definitiva (6). Durante la fase preparatoria, la Turchia doveva rafforzare la propria economia in modo da poter assumere le obbligazioni che sarebbero state ad essa incombenti nelle due fasi successive (7). La fase transitoria era intesa a realizzare progressivamente un’unione doganale tra le parti e a ravvicinare le loro politiche economiche (8). La fase definitiva, basata sull’unione doganale, doveva implicare il rafforzamento della coordinazione delle politiche economiche della Turchia e dell’Unione (9).

3.        L’articolo 9 prevede che nel campo di applicazione dell’Accordo, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari eventualmente fissate in applicazione dell’articolo 8, qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità è vietata in conformità del principio enunciato nell’attuale articolo 18 TFUE.

4.        Il capitolo 3 è intitolato «Altre disposizioni di carattere economico». Nell’ambito di tale capitolo, l’articolo 12 dispone che «Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli [articoli 45 TFUE, 46 TFUE e 47 TFUE] per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori».

5.        Nel 1970 la CEE e la Turchia hanno firmato il protocollo addizionale all’Accordo di associazione, che segnava il passaggio dalla fase preparatoria alla fase transitoria (10).

6.        L’articolo 36 prevede che la libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri della Comunità e la Turchia sia realizzata gradualmente, conformemente ai principi enunciati all’articolo 12 dell’Accordo di associazione. Esso conferisce al Consiglio di associazione, istituito in forza di detto Accordo, il potere di decidere le disposizioni necessarie a tale scopo.

7.        L’articolo 41, paragrafo 1, ha introdotto una clausola di standstill che vieta alle parti contraenti dell’Accordo di associazione di introdurre tra loro «nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi».

8.        L’articolo 59 prevede che «Nei settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù del Trattato che istituisce la Comunità».

9.        In forza dell’articolo 62, il protocollo addizionale e i suoi allegati costituiscono parte integrante dell’Accordo di associazione.

 Decisione n. 2/76

10.      La decisione n. 2/76 del Consiglio di associazione prevedeva diverse misure intese a promuovere la libera circolazione dei lavoratori. In particolare, essa stabiliva «le modalità di attuazione dell’articolo 36 del Protocollo addizionale» per una prima tappa la cui durata «è fissata in quattro anni dal 1o dicembre 1976» (11). Le sue disposizioni dovevano continuare, tuttavia, ad applicarsi fino all’inizio della fase successiva (12).

11.      L’articolo 7 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni concernenti le condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori che, sul loro rispettivo territorio, sono in regola in materia di soggiorno e di occupazione».

12.      L’articolo 9 ammette deroghe alle disposizioni della decisione per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

13.      La decisione n. 2/76 è entrata in vigore il 20 dicembre 1976 (13).

 Decisione n. 1/80

14.      La decisione n. 1/80 è stata anch’essa adottata dal Consiglio di associazione per promuovere la libera circolazione dei lavoratori. Nel terzo considerando si afferma che, nel settore sociale, «[è necessario] migliorare (…) il regime di cui beneficiano i lavoratori e i loro familiari rispetto al regime istituito con decisione n. 2/76».

15.      L’articolo 13 così dispone:

«Gli Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione».

16.      L’articolo 14, paragrafo 1, rende possibile derogare alle disposizioni della decisione per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

17.      L’articolo 16 prevedeva che il Consiglio di associazione esaminasse i risultati dell’applicazione di tali disposizioni «allo scopo di elaborare le soluzioni possibili a decorrere dal 1o dicembre 1983». Non sono state tuttavia adottate ulteriori misure di tal genere (14).

18.      Le disposizioni pertinenti della decisione n. 1/80 sono state applicate a decorrere dal 1o dicembre 1980 (15).

 Diritto tedesco

19.      Il 1o luglio 1980 l’articolo 1 dell’Elfte Verordnung zur Änderung der Verordnung zur Durchführung des Ausländergesetzes (Undicesimo regolamento che modifica il regolamento di attuazione della legge sugli stranieri) ha introdotto un obbligo generale di visto per i cittadini turchi con effetto a decorrere dal 5 ottobre 1980. Prima di tale modifica, i cittadini turchi dovevano essere in possesso di un permesso di soggiorno sotto forma di visto solo ai fini dell’esercizio di un’attività professionale in Germania (16).

20.      Conformemente all’articolo 4 dell’Aufenthaltsgesetz (legge in materia di soggiorno), in mancanza di disposizioni in senso contrario nel diritto dell’Unione o nella legislazione delegata e ad eccezione del caso in cui sussista un diritto di soggiorno in forza dell’Accordo di associazione, i cittadini di un paese terzo devono essere in possesso di un permesso di soggiorno per entrare e risiedere in Germania.

21.      L’articolo 5, paragrafo 2, della legge in materia di soggiorno prevede che un permesso di soggiorno temporaneo possa essere concesso solo quando il cittadino di un paese terzo sia entrato in Germania con il visto necessario ed abbia già fornito, nella domanda di visto, le informazioni necessarie per il rilascio di tale permesso di soggiorno. Tali condizioni possono essere revocate qualora i requisiti sostanziali per il rilascio di un permesso di soggiorno siano soddisfatti o qualora, tenuto conto delle particolari circostanze del caso di specie, sarebbe irragionevole riavviare il procedimento per il rilascio del visto. L’articolo 6, paragrafo 3, prevede che, per soggiorni di maggiore durata, è necessario il rilascio di un visto nazionale prima che il cittadino di un paese terzo entri in Germania.

22.      L’articolo 30 della legge in materia di soggiorno riguarda il ricongiungimento dei coniugi. Al coniuge di un cittadino di un paese terzo deve essere concesso un permesso di soggiorno temporaneo qualora l’interessato sia in grado di comunicare in tedesco almeno a livello elementare (17). Il permesso di soggiorno temporaneo viene concesso, a prescindere da tale condizione, nel caso in cui il coniuge non sia in grado di provare la conoscenza elementare del tedesco a causa di una malattia fisica, mentale o psicologica, oppure quando, nelle circostanze del caso specifico, non sia possibile o ragionevole attendersi che lo stesso acquisisca una conoscenza elementare del tedesco prima di entrare in Germania (18).

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

23.      La sig.ra Nefiye Yön è una cittadina turca. Il marito, anch’egli cittadino turco, risiede in Germania dal 1995. Egli ha presentato un’iniziale domanda di asilo che è stata respinta. Ha poi sposato una cittadina tedesca, dalla quale ha successivamente divorziato Nel 2004 ha sposato la sig.ra Yön. È in possesso di un permesso di soggiorno permanente almeno dal 2005 e lavora in un panificio dal 2009. La coppia ha tre figli maggiorenni che vivono in Austria, in Germania e in Turchia.

24.      La sig.ra Yön ha presentato una prima domanda di visto all’ambasciata tedesca ad Ankara per raggiungere il marito a fini di ricongiungimento familiare nel 2007. La sig.ra Yön ha presentato altre due domande nel 2011. Tutte e tre le domande sono state respinte per insufficiente conoscenza della lingua tedesca da parte della stessa. Nel marzo 2013 la sig.ra Yön è entrata nei Paesi Bassi con un visto Schengen olandese per far visita alla sorella che viveva in tale paese. Nell’aprile 2013 si è recata in Germania per raggiungere il marito. Nel maggio 2013 la sig.ra Yön ha richiesto in Germania un permesso di soggiorno temporaneo a fini di ricongiungimento familiare. Si riteneva che la stessa avesse problemi di salute, che fosse analfabeta e che, pertanto, fosse dipendente dall’aiuto del marito.

25.      La Landeshauptstadt Stuttgart (città di Stoccarda, capitale dello Stato federale, Germania) ha respinto la domanda della sig.ra Yön nel marzo 2014 con la motivazione che la stessa non aveva dimostrato di poter comunicare in tedesco a livello elementare e che era entrata in Germania senza il visto nazionale necessario.

26.      Il Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo, Germania) ha accolto l’impugnazione proposta dalla sig.ra Yön avverso tale decisione. Esso ha considerato che i motivi di rigetto della domanda presentata dalla sig.ra Yön erano contrari alle clausole di standstill previste nelle decisioni n. 2/76 e n. 1/80.

27.      La città di Stoccarda ha proposto ricorso avverso tale sentenza dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale; in prosieguo: il «giudice del rinvio»).

28.      Il giudice del rinvio considera che se il requisito della lingua ai fini del rilascio del permesso di soggiorno temporaneo stabilito dall’articolo 30, paragrafo 1, della legge in materia di soggiorno dovesse costituire una «nuova restrizione» ai sensi delle clausole di standstill, tale restrizione potrebbe essere tuttavia giustificata in base a un motivo imperativo di interesse generale. La legge in materia di soggiorno è stata modificata per rispettare il principio di proporzionalità, riconoscendo al richiedente la possibilità di essere esonerato dall’obbligo della conoscenza linguistica. Tuttavia, il giudice del rinvio chiarisce che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non riguarda il requisito della lingua, in quanto tale questione non è stata ancora esaminata dai giudici nazionali, ma piuttosto l’obbligo (di cui all’articolo 5, paragrafo 2, della legge in materia di soggiorno) di entrare nel territorio nazionale con il visto necessario, obbligo costituente una condizione preliminare per il rilascio di un permesso di soggiorno.

29.      Il giudice del rinvio osserva inoltre che l’obbligo di visto potrebbe essere considerato una «nuova restrizione» alla libera circolazione dei lavoratori turchi. In tale contesto il giudice del rinvio ha sottoposto a questa Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la clausola di standstill di cui all’articolo 7 della decisione n. 2/76 del Consiglio di associazione sia stata integralmente sostituita dalla clausola di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione o se la legittimità di nuove restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori, introdotte tra l’entrata in vigore della decisione n. 2/76 e il momento in cui l’articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione è divenuto applicabile, debba continuare ad essere valutata ai sensi del succitato articolo 7.

2)      Qualora occorra rispondere alla prima questione nel senso che l’articolo 7 della decisione n. 2/76 del Consiglio di associazione non è stato integralmente sostituito: se la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea riguardante l’articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione debba essere integralmente trasposta anche all’applicazione dell’articolo 7 della decisione n. 2/76 di detto Consiglio, con la conseguenza che quest’ultimo articolo ricomprende anche una normativa nazionale introdotta con effetto dal 5 ottobre 1980 che subordina il ricongiungimento del coniuge di un lavoratore turco al rilascio di un visto nazionale.

3)      Se l’introduzione di una siffatta disciplina nazionale sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, in particolare, dall’obiettivo di un efficace controllo dell’immigrazione e di gestione dei flussi migratori ove si tenga conto di particolari circostanze del caso specifico attraverso una clausola relativa ai casi che presentano particolari difficoltà».

30.      La sig.ra Yön ha presentato osservazioni scritte particolarmente sintetiche. La ricorrente in cassazione nel procedimento principale, il governo tedesco nonché la Commissione europea hanno presentato, a loro volta, osservazioni scritte più dettagliate. All’udienza, tenutasi il 18 gennaio 2018, hanno formulato osservazioni orali la ricorrente in cassazione nel procedimento principale, il governo tedesco e la Commissione.

 Valutazione

 Osservazioni generali

 Lo scopo dell’Accordo di associazione e la graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori

31.      L’Accordo di associazione ha lo scopo di stabilire vincoli sempre più stretti con la Turchia e di promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra la Turchia e l’Unione (19). Mentre l’adesione della Turchia all’Unione europea costituisce un obiettivo di lungo periodo (20), l’obiettivo dell’Accordo di associazione è essenzialmente di natura economica (21). Questi due aspetti dell’Accordo di associazione non sono incompatibili fra loro. La «fase definitiva» dell’Associazione viene espressamente definita come unione doganale e la formulazione nonché la struttura dell’Accordo riflettono la sua natura economica (22). Ma l’Accordo fa anche espresso riferimento alla possibilità per la Turchia di accedere all’Unione europea (23). Tale futuro obiettivo è destinato a fondarsi sui risultati economici dell’Accordo di associazione, necessitando però di ulteriori interventi delle parti.

32.      Il capitolo 3 dell’Accordo di associazione («Altre disposizioni di carattere economico») si apre con l’articolo 12, che individua il principio della libera circolazione dei lavoratori. L’articolo 36 del protocollo addizionale stabilisce quindi un piano decennale per realizzare «gradualmente» la libera circolazione dei lavoratori e prevede che il Consiglio di associazione debba stabilire «le modalità all’uopo necessarie». Il Consiglio di associazione ha regolarmente adottato la decisione n. 2/76 che stabilisce il contenuto della prima di dette tappe che devono realizzarsi «gradualmente» (24). Un ulteriore passo per «rilanciare e sviluppare l’Associazione» ha avuto luogo nel 1980, con l’adozione della decisione n. 1/80 (25). E, a quel punto, il processo legislativo si è bloccato. Sebbene l’articolo 16 della decisione n. 1/80 abbia incaricato il Consiglio di associazione di «esamin[are] i risultati dell’applicazione delle disposizioni [sulla libera circolazione dei lavoratori] allo scopo di elaborare le soluzioni possibili a decorrere dal 1o dicembre 1983», non è stato adottato alcun atto legislativo che sviluppasse ulteriormente la libera circolazione dei lavoratori. Pertanto, come ha sottolineato la Corte, alcuni elementi essenziali di tale programma non sono stati sino ad ora attuati e la realizzazione graduale della libera circolazione dei lavoratori non è stata completata (26).

33.      Diversamente da altri accordi specifici quali l’Accordo SEE e l’Accordo con la Svizzera sulla libera circolazione delle persone (27), l’Accordo di associazione non prevede alcuna estensione generale delle disposizioni in materia di mercato interno a favore della Turchia. Tale Accordo non istituisce la libera circolazione dei lavoratori tra l’Unione europea e la Turchia. Esso prevede semplicemente la graduale realizzazione di detta libertà di circolazione. (28) Così la Corte ha ripetutamente dichiarato che, a differenza dei lavoratori dell’Unione, i cittadini turchi non beneficiano attualmente della libertà di circolazione all’interno dell’Unione; l’Accordo di associazione garantisce il godimento di taluni diritti limitatamente al territorio dello Stato membro ospitante (29).

 L’interpretazione dell’Accordo di associazione e delle decisioni del Consiglio di associazione

34.      Un accordo internazionale concluso dall’Unione deve essere interpretato non solo in base alla sua formulazione, ma anche alla luce dei suoi obiettivi (30). La Corte ha ricordato che l’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (31) stabilisce che un trattato deve essere interpretato in buona fede, seguendo il senso ordinario da attribuire ai suoi termini nel loro contesto, ed alla luce del suo oggetto e del suo fine (32). L’identica formulazione delle disposizioni contenute nei Trattati dell’Unione e negli accordi internazionali non comporta automaticamente un’interpretazione uniforme (in prosieguo: il «principio Polydor») (33).

35.      Il principio Polydor trova altresì applicazione nel contesto dell’Accordo di associazione e nei suoi strumenti di attuazione. Pertanto, la possibilità di applicare l’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione ad una disposizione, redatta in termini analoghi, simili o addirittura identici, contenuta in un accordo concluso dall’Unione con un paese terzo dipende, tra l’altro, dallo scopo perseguito da ciascuna disposizione nel suo ambito specifico. Per stabilire se una disposizione di diritto dell’Unione si presti ad un’applicazione analogica nell’ambito dell’associazione CEE‑Turchia, è pertanto necessario confrontare la finalità perseguita dall’Accordo di associazione nonché il contesto in cui esso si inserisce, da un lato, e quelle dello strumento del diritto dell’Unione di cui trattasi, dall’altro (34). Inoltre, l’esistenza di un obiettivo di adesione non significa che la giurisprudenza che interpreta le disposizioni dei trattati dell’Unione debba essere estesa automaticamente a un accordo con un paese terzo (35).

36.      Nell’articolo 12 dell’Accordo di associazione, le parti contraenti hanno convenuto «di ispirarsi» alle disposizioni di diritto primario dell’Unione relative alla libera circolazione dei lavoratori. Come ha osservato l’avvocato generale Cruz Villalón, l’espressione «di ispirarsi» indica che alla libertà di natura economica individuata dal diritto primario dell’Unione è attribuito un carattere esemplare. Tuttavia, la formulazione scelta chiarisce del pari che la libertà economica individuata dal diritto primario dell’Unione non può essere trasposta integralmente al rapporto di associazione. L’espressione «di ispirarsi» non indica invero un’identità, consentendo piuttosto in linea di principio considerazioni di diverso tenore (36).

37.      A partire dalla sentenza Bozkurt, secondo una costante giurisprudenza, i principi accolti nell’ambito delle disposizioni di diritto primario dell’Unione sulla libera circolazione dei lavoratori devono essere trasposti, nei limiti del possibile, ai cittadini turchi che beneficiano di diritti in base all’Accordo di associazione (37). Tuttavia, le parti contraenti non sono obbligate ad applicare dette norme in quanto tali (38) Piuttosto, siffatti principi dovrebbero essere applicati con riferimento al tenore letterale e all’obiettivo perseguito dalla specifica disposizione interpretata e al sistema da essa istituito (39).

38.      La Corte ha dimostrato la propria volontà di applicare liberamente la formula «nei limiti del possibile» e non ha esitato ad avvalersi delle disposizioni di diritto secondario dell’Unione nell’interpretare le disposizioni dell’Accordo di associazione e della normativa collegata (40). Pertanto, per interpretare la nozione di «familiare» di cui all’articolo 6 della decisione n. 1/80, la Corte ha fatto riferimento al regolamento (CEE) n. 1612/68 (41). Per determinare la portata dell’eccezione di ordine pubblico di cui all’articolo 14 della decisione n. 1/80, la Corte ha dichiarato che «occorre far riferimento all’interpretazione di tale eccezione elaborata in tema di libera circolazione dei lavoratori che siano cittadini degli Stati membri» e più in particolare alla direttiva 64/221/CEE del Consiglio (42).

39.      La sentenza Toprak è arrivata al punto di tracciare analogie tra la clausola di standstill, prevista all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e la clausola di standstill prevista nella sesta direttiva IVA (43). (Tale causa è stata decisa senza le conclusioni dell’avvocato generale e io stessa dubito che sia realmente opportuno applicare per analogia l’interpretazione della normativa tributaria alle disposizioni in materia di mercato del lavoro rientranti negli accordi di associazione tra l’Unione e un paese terzo).

40.      La Corte ha applicato per analogia anche i principi derivanti dalla sua giurisprudenza in materia di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione alla libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri e la Turchia. Già nella sentenza Kus la Corte ha fatto riferimento ai principi stabiliti nella sentenza Antonissen (44) per dichiarare che un lavoratore turco potrebbe far valere direttamente l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 1/80 per ottenere il rinnovo non solo del permesso di lavoro ma anche del permesso di soggiorno (45).

41.      La Corte ha inoltre rinviato alla propria giurisprudenza relativa ad altri accordi internazionali conclusi con paesi terzi, indipendentemente dalla loro natura (se fossero o meno accordi di associazione) e dal loro obiettivo (se riguardassero o meno l’adesione all’Unione europea) (46).

42.      Tuttavia, la giurisprudenza ha altresì riconosciuto alcuni limitazioni importanti all’applicazione della formula «nei limiti del possibile».

43.      In primo luogo, nella sentenza Demirkan la Corte ha dichiarato che «l’interpretazione data alle disposizioni del diritto dell’Unione relative al mercato interno, comprese quelle del Trattato, non può essere trasposta in modo automatico all’interpretazione di un accordo concluso dall’Unione con uno Stato terzo, salvo che lo stesso accordo non contenga espresse disposizioni in tal senso» (47).

44.      Pertanto, quando non esistono specifiche disposizioni, nella normativa di Associazione CEE‑Turchia, che affrontino una particolare questione, la Corte ha espressamente rifiutato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione a tale questione in via analogica. Nella sentenza Bozkurt essa ha dichiarato che in mancanza di una disposizione specifica che attribuisca ai lavoratori turchi il diritto di rimanere nel territorio di uno Stato membro dopo avervi svolto un’attività lavorativa, il diritto di soggiorno del cittadino turco viene meno qualora l’interessato sia colpito da inabilità totale e permanente al lavoro. Poiché le condizioni alle quali i lavoratori dell’Unione potevano esercitare il diritto di rimanere erano subordinate, conformemente all’attuale articolo 45, paragrafo 3, lettera d), TFUE, all’emanazione di un regolamento da parte della Commissione, non era possibile applicare senz’altro ai lavoratori turchi il regime previsto da tale regolamento (48).

45.      In secondo luogo, quando gli obiettivi e il contenuto delle disposizioni di diritto derivato dell’Unione vanno oltre gli obiettivi delle disposizioni equivalenti della normativa di Associazione CEE‑Turchia, la Corte ha escluso l’interpretazione delle seconde per analogia con le prime. Ad esempio, il regime di tutela contro l’allontanamento di cui beneficiano i cittadini dell’Unione ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE (49), non potrebbe essere trasposto mutatis mutandis alle garanzie contro l’allontanamento offerte ai cittadini turchi ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della decisione n. 1/80. Nel dichiarare ciò, la Corte ha osservato che la finalità della direttiva 2004/38 non era esclusivamente economica ma era anche quella di rafforzare i diritti dei cittadini dell’Unione, che la sua base giuridica era più ampia delle disposizioni sulla libera circolazione dei lavoratori, e che i due regimi giuridici in questione non potevano essere considerati equivalenti (50).

46.      In terzo luogo, la Corte ha rifiutato di trasporre l’interpretazione elaborata nella propria giurisprudenza di una libertà prevista dal diritto dell’Unione all’associazione CEE‑Turchia nei casi in cui si è giunti a tale interpretazione in una sentenza emessa dopo l’adozione delle norme di associazione e non sussistono indicazioni circa la volontà delle parti contraenti, all’atto della firma dell’Accordo di associazione e del protocollo addizionale, che detti atti fossero interpretati in tal modo. Pertanto, l’interpretazione, nel diritto dell’Unione, della libera prestazione di servizi nel senso che essa include la libertà «passiva» dei destinatari dei servizi di recarsi in un altro Stato membro per ricevere un servizio in tale Stato, riconosciuta dalla giurisprudenza nel 1984 (51), non potrebbe essere applicata alla clausola di standstill riguardante la libera prestazione di servizi di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, firmato nel 1970 (52).

 La natura e la funzione delle clausole di standstill previste nelle decisioni del Consiglio di associazione

47.      Le clausole di standstill previste nelle decisioni del Consiglio di associazione sono state oggetto di vari rinvii pregiudiziali a partire dalla sentenza Sevince. In tale sentenza la Corte ha riconosciuto che siffatte clausole hanno efficacia diretta (53).

48.      Una clausola di standstill non crea di per sé diritti (54). L’obbligo che essa stabilisce si configura giuridicamente come un dovere di astensione. Detta clausola opera non come norma materiale, che rende inapplicabile il diritto sostanziale pertinente al quale si sostituirebbe. Essa è piuttosto una norma di natura quasi procedurale, che stabilisce, ratione temporis, quali siano le disposizioni della normativa di uno Stato membro alla luce delle quali occorra valutare la posizione di un cittadino turco che intenda avvalersi delle sue libertà economiche in uno Stato membro (55). Tali disposizioni possono fissare, in particolare, le condizioni sostanziali o procedurali in materia di prima ammissione nel territorio di uno Stato membro di cittadini turchi che intendano esercitare le loro libertà economiche (56).

49.      Le clausole di standstill previste nelle decisioni del Consiglio di associazione non rimettono in discussione la competenza di principio degli Stati membri a determinare la loro politica nazionale in materia di immigrazione (57). Esse ostano semplicemente all’adozione di nuove restrizioni nella normativa nazionale che possano porre ulteriori ostacoli al processo di graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri e la Turchia. Volendo esprimere il concetto graficamente: esse congelano, nel momento in cui la clausola di standstill è entrata in vigore, il diritto applicabile in ciascuno Stato membro, riguardante le restrizioni alle condizioni di accesso all’occupazione dei cittadini turchi.

 Prima questione

50.      La prima questione riguarda l’ambito di applicazione ratione temporis della clausola di standstill prevista nella decisione n. 2/76. Il giudice del rinvio chiede in sostanza se tale decisione sia ancora applicabile alla normativa nazionale di cui trattasi, emanata il 5 ottobre 1980 (ossia, prima dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, avvenuta il 1o dicembre 1980).

51.      La Landeshauptstadt Stuttgart e il governo tedesco sostengono che la decisione n. 2/76 e la sua clausola di standstill non possono essere più applicate. Essi affermano che l’articolo 59, paragrafo 1, lettera a) della CVDT e la giurisprudenza di questa Corte nella sentenza Bozkurt confermano tale approccio (58). Il governo tedesco ha asserito in udienza che, dopo la sua entrata in vigore, la decisione n. 1/80 ha sostituito retroattivamente la decisione n. 2/76 a tutti gli effetti ed è quindi divenuta l’unico punto di riferimento per valutare la validità delle nuove restrizioni. Tuttavia, poiché la normativa tedesca di cui trattasi già esisteva al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, essa non rientra nell’ambito di applicazione della clausola di standstill prevista all’articolo 13 di tale decisione.

52.      La Commissione sostiene che la clausola di standstill prevista all’articolo 7 della decisione n. 2/76 continua ad essere applicata alle misure nazionali introdotte fra il 1o dicembre 1976 e il 30 novembre 1980 incluso.

53.      Condivido il parere della Commissione.

54.      L’ambito di applicazione ratione temporis della decisione n. 2/76 viene espressamente definito da tale decisione in combinato disposto con la decisione n. 1/80. La decisione n. 2/76 è entrata in vigore il 20 dicembre 1976 (59) ed è stata applicata per una «prima tappa» di quattro anni, a decorrere dal 1o dicembre 1976. Le disposizioni della decisione n. 2/76 dovevano «continu[are] ad essere applicate fino all’entrata in vigore [della] tappa successiva» (60). La decisione n. 1/80 ha segnato l’inizio della tappa successiva. Tale decisione è entrata in vigore il 1o luglio 1980 (61) ma la sezione 1 («Problemi relativi all’occupazione e alla libera circolazione dei lavoratori») del capitolo II («Disposizioni sociali») è stata applicata a decorrere dal 1o dicembre 1980 (62).

55.      I testi delle due decisioni e il sistema di graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori contemplato dalla normativa di Associazione CEE‑Turchia chiariscono che la decisione n. 1/80 era intesa nel senso che avrebbe sostituto la decisione n. 2/76 senza soluzione di continuità. La decisione n. 2/76 è stata quindi applicata dal 20 dicembre 1976 al 30 novembre 1980 (63). La sezione pertinente della decisione n. 1/80 è stata applicata dal 1o dicembre 1980 (64).

56.      Non vi sono elementi, nella decisione n. 1/80 o nell’impianto sistematico generale della normativa di Associazione CEE‑Turchia che indichino che tale decisione era destinata ad avere effetto retroattivo sull’ambito di applicazione ratione temporis della decisione n. 2/76 o ad annullarla ex tunc. La sostituzione di un atto legislativo da parte di quello successivo dispiega i suoi effetti ex nunc, salvo che all’atto legislativo successivo non sia attribuita efficacia retroattiva o lo stesso non annulli il precedente atto ex tunc (65).

57.      Inoltre, l’interpretazione proposta dal governo tedesco farebbe sorgere, ex post, una lacuna normativa. La decisione n. 1/80 non può essere applicata retroattivamente a situazioni verificatesi anteriormente al 1o dicembre 1980. Dette situazioni, che erano precedentemente comprese nell’ambito di applicazione della decisione n. 2/76, sarebbero divenute – secondo la logica del governo tedesco – prive di disciplina al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80 e sarebbero rimaste prive di disciplina anche in seguito. Ciò non può essere considerato legittimo.

58.      Nella sentenza Bozkurt la Corte ha osservato che la decisione n. 1/80 costituisce una tappa supplementare verso la realizzazione della libera circolazione dei lavoratori e ha sostituito, dalla sua entrata in vigore, le disposizioni corrispondenti, meno favorevoli, della decisione n. 2/76 (66). Secondo la mia interpretazione di tale sentenza, tuttavia, la Corte non ha indicato in alcun passaggio che, al momento della sua entrata in vigore, la decisione n. 1/80 ha cancellato gli effetti giuridici prodotti dalla decisione n. 2/76 sugli eventi (nella fattispecie, l’entrata in vigore delle norme tedesche controverse il 5 ottobre 1980) verificatisi durante il periodo di validità di quest’ultima.

59.      Concludo, pertanto, che la legittimità di nuove restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori, introdotte da uno Stato membro fra l’entrata in vigore della decisione n. 2/76 e l’entrata in vigore della decisione n. 1/80, deve essere valutata ai sensi dell’articolo 7 della decisione n. 2/76.

 Seconda questione

60.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, alla luce della giurisprudenza della Corte relativa alla clausola di standstill prevista all’articolo 13 della decisione n. 1/80, la clausola di standstill prevista all’articolo 7 della decisione n. 2/76 debba essere interpretata nel senso che essa osta all’applicazione di nuove restrizioni al ricongiungimento familiare per i familiari dei lavoratori turchi.

61.      La Landeshauptstadt Stuttgart e il governo tedesco sostengono che il ricongiungimento familiare non rientra nell’ambito di applicazione della clausola di «standstill» prevista all’articolo 7 della decisione n. 2/76, in quanto tale disposizione non riguarda i familiari dei cittadini turchi. La Landeshauptstadt Stuttgart aggiunge che i cittadini turchi sono anche soggetti a un obbligo di visto in forza del diritto dell’Unione (67).

62.      La Commissione sostiene che, al pari delle clausole di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, l’articolo 7 decisione n. 2/76 comprende anche il ricongiungimento familiare. La giurisprudenza della Corte relativa a tali altre disposizioni (68) dovrebbe essere ormai trasposta alla clausola di standstill prevista nella decisione n. 2/76.

63.      Come osservato correttamente dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, la circostanza che l’espressione «nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione» debba includere restrizioni al ricongiungimento familiare non è stata prevista da alcun atto legislativo della normativa di Associazione CEE‑Turchia. Analizzerò quindi, anzitutto, la portata e l’interpretazione di tale locuzione e, successivamente, passerò a esaminare se la giurisprudenza della Corte sul significato di tale espressione nel contesto della decisione n. 1/80 debba essere trasposta alla precedente decisione n. 2/76.

 La portata e l’interpretazione dell’espressione «nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione» contenuta nella decisione n. 1/80

64.      La questione del ricongiungimento familiare nella normativa di Associazione CEE‑Turchia, avente ad oggetto la libera circolazione dei lavoratori è stata esaminata per la prima volta nella causa Demirel (69), in cui alla moglie di un cittadino turco che viveva e lavorava in Germania era stato ordinato di lasciare il paese alla scadenza del visto. Il visto in questione era valido solo a fini di visita e non di ricongiungimento familiare.

65.      Nelle sue conclusioni l’avvocato generale Darmon ha esaminato la portata della clausola di standstill prevista dalla decisione n. 1/80 nel contesto del ricongiungimento familiare. Egli ha sottolineato che il diritto al ricongiungimento familiare per lavoratori cittadini di uno Stato membro aveva dovuto essere introdotto mediante una disposizione espressa contenuta nel regolamento n. 1612/68. In mancanza di una disposizione analoga nella normativa di Associazione CEE‑Turchia, non si poteva ritenere che tale diritto sorgesse implicitamente. È pacifico che il ricongiungimento al nucleo familiare è un elemento necessario per realizzare la libera circolazione dei lavoratori; tuttavia esso diviene un diritto solo qualora sia realizzata la libertà che esso rappresenta e siano state adottate disposizioni specifiche in materia di ricongiungimento L’avvocato generale Darmon ha concluso che la clausola di standstill prevista all’articolo 13 della decisione n. 1/80 «riguarda l’accesso al lavoro e non il ricongiungimento al nucleo familiare. Essa subordina il soggiorno dei familiari ad un’autorizzazione rilasciata dall’autorità competente [delle parti contraenti]. Non si può quindi interpretarla nel senso ch’essa implichi un diritto di ricongiungimento al nucleo familiare (…)» (70).

66.      La Corte ha sostenuto tale conclusione. Essa ha rilevato che la decisione n. 1/80 era l’unica decisione adottata dal Consiglio di associazione per la graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori (71), e che tale decisione ha vietato nuove restrizioni per quel che riguarda le condizioni di accesso al lavoro nei confronti dei lavoratori turchi già regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri. Nel settore del ricongiungimento al nucleo familiare non era stata adottata alcuna decisione (72). La Corte ha quindi proceduto ad analizzare la causa di cui era investita esclusivamente in base agli articoli 7 e 12 dell’Accordo di associazione e all’articolo 36 del protocollo addizionale. Essa ha dichiarato che l’articolo 12 dell’Accordo di associazione e l’articolo 36 del protocollo addizionale «hanno portata essenzialmente programmatica e non costituiscono disposizioni sufficientemente precise e incondizionate per poter disciplinare direttamente la circolazione dei lavoratori», e che «dall’articolo 7 dell’Accordo di associazione non si può desumere un divieto d’imporre nuove restrizioni per quanto riguarda il ricongiungimento del nucleo familiare» (73). È quindi del tutto evidente che la Corte, nella sentenza Demirel, ha considerato che la decisione n. 1/80 (compresa la clausola di standstill di cui all’articolo 13 di tale decisione) non riguardava restrizioni al ricongiungimento familiare per i lavoratori turchi.

67.      Ventinove anni dopo la questione è stata nuovamente sottoposta alla Corte nella causa Genc (74). La Corte ha condensato le quattro questioni assai dettagliate e circostanziate, sollevate dal giudice del rinvio, in un’unica questione suddivisa in due parti: i) se un provvedimento nazionale che rendeva il ricongiungimento familiare più difficile rientrasse nella clausola di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e ii) in caso di risposta affermativa, se la restrizione contenuta nel provvedimento nazionale controverso potesse essere tuttavia giustificata. Discostandosi dalla chiara pronuncia contenuta nella sentenza Demirel (senza fare tuttavia riferimento a quest’ultima), la Corte ha risposto a tali due parti, rispettivamente, in senso affermativo e in senso negativo. Vale la pena esaminare con attenzione l’iter logico seguito dalla Corte nel giungere alla prima parte di tale conclusione, prima di chiedersi se esso debba essere trasposto dalla decisione n. 1/80 al suo predecessore, la decisione n. 2/76.

68.      La Corte ha iniziato citando, quale giurisprudenza costante, una sentenza sulla libertà di stabilimento nel contesto dell’Accordo CEE‑Turchia (sentenza Savas) (75)e una sentenza relativa alla decisione n. 1/80 avente ad oggetto il pagamento di diritti per il rilascio di permessi di soggiorno (sentenza Sahin) (76)per suffragare l’affermazione secondo la quale «le clausole di “standstill” di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale proibiscono in generale l’introduzione di qualsiasi nuova misura interna che abbia per oggetto o per effetto di assoggettare l’esercizio da parte di un cittadino turco di una libertà economica nel territorio dello Stato membro considerato a condizioni più restrittive di quelle che erano ad egli applicabili al momento dell’entrata in vigore della suddetta decisione o del suddetto protocollo nei confronti di tale Stato membro» (77). Nella sentenza Savas (ai punti da 56 a 63) la Corte ha fatto ampio rinvio alle pronunce riguardanti la decisione n. 1/80 con riferimento ai principi che «debbono valere altresì, in via analogica, nell’ambito [del] (…) diritto di stabilimento». Nella sentenza Sahin (al punto 65) la Corte aveva già dichiarato che, «poiché (…) la clausola di “standstill” di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 è una disposizione avente la stessa natura di quella contenuta nell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale e (…) le due clausole hanno un’identica finalità (v. sentenze 11 maggio 2000, causa C‑37/98, Savas, Racc. pag. I‑2927, punto 50, nonché Abatay e a., cit., punti 70‑74), l’interpretazione [dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale] menzionata al punto precedente [(78)]deve valere anche per quanto riguarda l’obbligo di status quo che costituisce il fondamento del summenzionato articolo 13 in materia di libera circolazione dei lavoratori».

69.      Apro qui una parentesi per osservare che, nella sentenza Abatay e a., la Corte aveva già provveduto a combinare la formulazione dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, che osta in generale all’introduzione di «nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi» con la formulazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80, che vieta «nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino [nel territorio dell’Unione e della Turchia] in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione» (il corsivo è mio) (79). È evidente, tuttavia, che la formulazione delle due disposizioni è notevolmente diversa. Nell’applicare i principi interpretativi sanciti dalla Corte nella giurisprudenza precedente – in particolare il principio Polydor e i principi interpretativi generali nonché il principio «nei limiti del possibile» (80) – sarebbe necessario tenere debitamente conto di tale differenza testuale nonché del contesto e del sistema complessivo delle misure (libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi in termini generali all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale; la realizzazione graduale della libera circolazione dei lavoratori all’articolo 36 del protocollo addizionale, sul quale è basata la decisione n. 1/80). Sia un approccio testuale che un approccio teleologico indicano quindi che alle due serie di disposizioni non dovrebbero essere attribuite esattamente la stessa interpretazione e portata.

70.      Nella sentenza Genc la Corte ha poi confermato che il punto di riferimento per l’analisi in base all’articolo 13 della decisione n. 1/80 non è il familiare in arrivo, ma piuttosto il lavoratore turco che soggiorna nello Stato membro considerato (81). Nel caso di specie, occorre quindi accertare se il marito, il sig. Yön, sia danneggiato dalle misure controverse (ammesso che si tratti di «nuove» restrizioni) – non già se sia la sig.ra Yön ad essere danneggiata. Si dovrebbe concentrare l’attenzione sui diritti di libera circolazione del lavoratore.

71.      La Corte ha continuato ad importare ragionamenti dalla recente sentenza nella causa Dogan. In tale causa, la moglie di un uomo d’affari turco (l’amministratore delegato di una piccola società) stabilito in Germania e ivi residente dal 1998 aveva presentato domanda di visto in Turchia a fini di ricongiungimento familiare. La domanda era stata respinta con la motivazione che la richiedente non aveva la conoscenza elementare della lingua tedesca necessaria per ottenere un visto a fini di ricongiungimento familiare (82). La Corte ha dichiarato che tale condizione, introdotta dopo l’entrata in vigore del protocollo addizionale, era vietata dalla clausola di standstill di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del medesimo protocollo (83).

72.      Nel citare la sentenza Dogan, la Corte ha sottolineato che «la decisione di un cittadino turco di stabilirsi in uno Stato membro per ivi esercitare un’attività economica in modo stabile può essere influenzata negativamente qualora la normativa di tale Stato membro renda difficile o impossibile il ricongiungimento familiare, di modo che detto cittadino può eventualmente trovarsi costretto a scegliere tra la sua attività nello Stato membro interessato e la propria vita di famiglia in Turchia» (84).Sul presupposto che le clausole di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale hanno la stessa natura e perseguono un’identica finalità, la Corte ha concluso che l’interpretazione dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, esposta nella sentenza Dogan, sarebbe trasponibile alla sentenza Genc (85).La Corte ha immediatamente aggiunto che «solo qualora una normativa nazionale che inasprisce le condizioni del ricongiungimento familiare (…) sia tale da incidere sull’esercizio da parte dei lavoratori turchi (…) di un’attività economica nel territorio dello Stato membro interessato, occorre considerare che una normativa siffatta rientra nell’ambito di applicazione (…) [de]ll’articolo 13 della decisione n. 1/80» e che «le clausole di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, come interpretate dalla Corte, non prevedono affatto il riconoscimento di un diritto al ricongiungimento familiare né un diritto di stabilimento e di soggiorno per i familiari dei lavoratori turchi» (86).

73.      Infine, la Corte ha distinto la sentenza Demirkan (87) in base ai fatti (dato che tale causa riguardava un beneficiario passivo del diritto di ricevere servizi, non esisteva alcun collegamento con l’esercizio di un’attività economica) e ha dichiarato che l’interpretazione che essa forniva in quel momento, basata sulla sentenza Dogan, era «coerente con quella effettuata dalla Corte, in merito all’articolo 7, primo comma, della decisione n. 1/80, secondo la quale l’obiettivo di tale altra disposizione (…) consiste nel favorire il ricongiungimento familiare nello Stato membro ospitante al fine di facilitare l’occupazione e il soggiorno del lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro nel suddetto Stato membro» (88).

74.      Con tutto il rispetto per la Corte, l’approccio adottato nella sentenza Genc presenta talune difficoltà.

75.      In primo luogo, esso non tiene conto della significativa differenza di formulazione tra due clausole di standstill contenute in due atti aventi un diverso status gerarchico. Le parti contraenti avevano convenuto di includere, nel protocollo addizionale, una clausola generale di standstill concernente «nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi» (89). Il Consiglio di associazione, avvalendosi di poteri delegati in base all’articolo 36 del protocollo addizionale per realizzare «gradualmente» la libera circolazione dei lavoratori, ha concepito, nella decisione n. 1/80, una clausola di standstill assai più limitata, comprendente soltanto «nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino [nel territorio dell’Unione e della Turchia] in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione».

76.      In secondo luogo, la sentenza Genc è in contrasto sia con la sentenza Demirel che con la giurisprudenza più recente in materia di Associazione CEE‑Turchia, in cui la Corte ha dichiarato che è necessaria una disposizione espressa in una decisione del Consiglio di associazione per conferire un diritto aggiuntivo a un lavoratore turco (90). Il Consiglio di associazione, a mio avviso, potrebbe naturalmente emanare norme in base all’articolo 36 del protocollo addizionale per occuparsi delle condizioni che ostacolano il ricongiungimento familiare per i lavoratori turchi – ma finora il Consiglio non ha provveduto in tal senso. In alternativa, la Corte avrebbe potuto esaminare le sentenze Demirel e Bozkurt nell’ambito della sentenza Genc e, qualora avesse inteso discostarsi dalle stesse, avrebbe potuto elaborare un’argomentazione più dettagliata (forse basata sulla generale evoluzione della giurisprudenza, sul ruolo della Carta dei diritti fondamentali, e così via). Ma non lo ha fatto.

77.      In terzo luogo, va osservato che il diritto primario dell’Unione sulla libera circolazione dei lavoratori (articolo 45 TFUE) non comprende il diritto al ricongiungimento familiare. Tale diritto, previsto per i lavoratori cittadini dell’Unione, è stato introdotto espressamente dal diritto derivato (91). Nell’ambito del regolamento n. 1612/68 (al quale la Corte ha già fatto ricorso per un orientamento nell’interpretazione della decisione n. 1/80) (92), è il titolo I della parte prima a trattare l’argomento dell’accesso all’occupazione. Una sezione successiva (titolo III della parte prima, intitolata «Famiglia dei lavoratori»), disciplina il ricongiungimento familiare per i lavoratori cittadini di uno Stato membro e già occupati in un altro Stato membro. Pertanto, il regolamento n. 1612/68 non collega il ricongiungimento familiare all’accesso all’occupazione (l’unica materia individuata dal testo dell’articolo 13 della decisione n. 1/80).

78.      In quarto luogo, altre disposizioni della decisione n. 1/80, riguardanti i familiari dei lavoratori fanno riferimento a soggetti che «sono stati autorizzati a raggiungere» tali lavoratori (93) o che soggiornano regolarmente nello Stato membro ospitante (94). Ciò indica che il Consiglio di associazione non intendeva la decisione n. 1/80 come diretta a disciplinare il primo ingresso dei familiari. E la Corte ha infatti espressamente dichiarato in altra sede che, nel contesto della normativa di Associazione CEE‑Turchia, «il ricongiungimento familiare non costituisce un diritto per i familiari del lavoratore migrante turco, ma dipende anzi da una decisione delle autorità nazionali adottata a norma del solo diritto dello Stato membro interessato» (95); e che «Gli Stati membri hanno conservato (…) la competenza a disciplinare l’ingresso nel proprio territorio di un familiare di un lavoratore turco» (96).

79.      Infine, la stessa sentenza Genc ribadisce che l’articolo 13 della decisione n. 1/80 è incentrata sulla situazione del lavoratore turco, non su quella del familiare (97). Il primo ingresso di un cittadino turco in uno Stato membro è subordinato alla condizione che esso intenda avvalersi della sua libertà economica di lavorare in tale Stato (98). Curiosamente, l’ingresso successivo di un familiare a fini di ricongiungimento con tale lavoratore risulta attualmente soggetto a un minor numero di condizioni rispetto al diritto principale dello stesso lavoratore.

80.      Nel formulare tali osservazioni, non intendo suggerire che le condizioni per l’ingresso e il soggiorno di familiari di un cittadino turco a fini di ricongiungimento familiare non incidano in qualche modo sulle decisioni di quest’ultimo quanto all’eventualità di esercitare, e per quanto tempo, un’attività economica all’interno dell’Unione. Certamente incideranno. La questione, nella fattispecie, è semplicemente se, in base a un’interpretazione testuale e teleologica, l’articolo 13 della decisione n. 1/80 abbia realmente il significato attribuitole dalla Corte nella sentenza Genc.

81.      Né sono contraria all’approccio liberale adottato dalla Corte nel riscontrare «nuove restrizioni» alle libertà economiche dei lavoratori turchi per quanto riguarda, in particolare, l’obbligo del permesso di lavoro per gli autotrasportatori (99), gli obblighi di visto per gli autotrasportatori non stabiliti in uno Stato membro (100), e la previsione del pagamento di diritti per ottenere un permesso di soggiorno nello Stato membro ospitante (101). Tutte queste decisioni hanno comportato restrizioni che potevano rientrare, senza particolari difficoltà, nella formulazione letterale e nella ratio dell’articolo 13 della decisione n. 1/80. Ritengo che non possa dirsi lo stesso delle nuove restrizioni che incidono sul ricongiungimento familiare.

 La portata e l’interpretazione della clausola di standstill prevista nella decisione n. 2/76.

82.      Il punto di partenza della mia analisi è costituito dall’osservazione secondo la quale la normativa di Associazione CEE‑Turchia prevede un miglioramento graduale delle condizioni che disciplinano l’occupazione dei lavoratori turchi all’interno dell’Unione.

83.      La decisione n. 2/76 ha stabilito le norme dettagliate relative alla «prima tappa» successiva all’adozione del protocollo addizionale (102). L’articolo 3 di tale decisione stabilisce che «[i] figli di un lavoratore turco, che risiedono regolarmente con i genitori in uno Stato membro (…) hanno il diritto (…) di accedere ai corsi di istruzione generale» e conferirebbe quindi loro il diritto di godere dei «vantaggi previsti dalle legislazioni nazionali in materia» (103). Nella decisione n. 2/76 non vi è altro accenno ai familiari dei lavoratori turchi. Il testo della clausola di standstill prevista in tale decisione (articolo 7) non contiene indicazioni circa il fatto che tale decisione fosse destinata a disciplinare il ricongiungimento familiare.

84.      Nella decisione n. 1/80 si afferma che è «[necessario] migliorare (…) il regime di cui beneficiano i lavoratori e i loro familiari rispetto al regime istituito con decisione n. 2/76» (104). Infatti, l’unica differenza di formulazione tra le due clausole di standstill – articolo 7 della decisione n. 2/76 e articolo 13 della decisione n. 1/80 – è che la seconda include, dopo la frase «nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori» [quattro] parole in più: «e dei loro familiari».

85.      Dato che le due decisioni rappresentano fasi successive nella «graduale» realizzazione della libera circolazione dei lavoratori e che la decisione n. 1/80 è intesa nel senso che essa è diretta a «migliorare il regime» di cui beneficiano i lavoratori e i loro familiari in base alla decisione n. 2/76, la tendenza nel tempo dovrebbe essere quella di passare da un «regime meno favorevole» a un «regime più favorevole». Non sarebbe pertanto inusuale interpretare le disposizioni della decisione n. 2/76 in senso meno estensivo, quando si tratta di materie concernenti la vita familiare e i familiari, rispetto alle disposizioni della decisione n. 1/80, che l’hanno sostituita.

86.      Per le ragioni individuate supra (105), l’analisi della Corte nella sentenza Genc, relativamente all’articolo 13 della decisione n. 1/80, non è così solida come sarebbe auspicabile. Invito la Corte a non trasporre tale interpretazione alla precedente clausola di standstill sulle restrizioni alle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori, ossia l’articolo 7 della decisione n. 2/76.

87.      Aggiungo che il risultato non è di privare i lavoratori turchi di qualsiasi diritto di farsi raggiungere dai propri familiari entro il territorio dell’Unione. La direttiva 2003/86/CE del Consiglio contiene una lex generalis che disciplina il ricongiungimento familiare (106). La normativa di Associazione CEE‑Turchia costituisce una lex specialis, che introduce disposizioni più specifiche applicabili ai cittadini turchi in materie alle quali si applica tale normativa (107). Qualora non rientrino nell’ambito di applicazione della lex specialis, i lavoratori turchi possono sempre far valere la lex generalis.

 Sull’effetto potenziale dell’articolo 59 del Protocollo addizionale

88.      Qualora la Corte, contrariamente alle opinioni da me espresse, dovesse considerare che la normativa nazionale di cui trattasi rientra nell’articolo 7 della decisione n. 2/76, sarà necessario esaminare se l’articolo 59 del protocollo addizionale escluda l’applicazione di tale clausola di standstill.

89.      L’articolo 59 del protocollo addizionale stabilisce che «Nei settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù [dei Trattati dell’Unione]». Tale norma riflette il principio secondo il quale l’appartenenza all’Unione europea costituisce il legame più profondo e particolare che lo Stato possa ottenere, e che qualsiasi altro rapporto fra un paese terzo e l’Unione (come l’Accordo di associazione CEE‑Turchia), di conseguenza, deve essere necessariamente meno privilegiato.

90.      Il protocollo addizionale è fonte di diritto primario nella gerarchia delle norme in materia di Associazione CEE‑Turchia. Le decisioni adottate dal Consiglio di Associazione, che esercita poteri delegati, devono essere quindi interpretate coerentemente con la regola del «trattamento non più favorevole» che esso stabilisce. Osservo che sentenze recenti che hanno incluso il ricongiungimento familiare nell’ambito di applicazione della clausola di «standstill» prevista all’articolo 13 della decisione n. 1/80 non sembrano aver esaminato questo ulteriore e necessario criterio interpretativo (108).

91.      Ciò detto, la Corte ha applicato in precedenza l’articolo 59 del protocollo addizionale nel contesto della libera circolazione di lavoratori turchi e ha costantemente dichiarato, correttamente, che i cittadini turchi non possono essere posti in una situazione più favorevole di quella dei cittadini dell’Unione (109). Esistono due orientamenti giurisprudenziali, uno riguardante i diritti sostanziali (positivi) stabiliti per i lavoratori turchi e i loro familiari e l’altro riguardante l’obbligo negativo imposto agli Stati membri dalle clausole di standstill.

92.      Nel primo orientamento, la Corte ha considerato la situazione globale più che l’esatta equivalenza in termini di diritti attribuiti ai cittadini turchi e di diritti attribuiti ai cittadini dell’Unione (110). La Corte, pertanto, ha rifiutato, ad esempio, di paragonare la situazione del figlio di un lavoratore turco a quella di un discendente di un cittadino di uno Stato membro, tenuto conto delle notevoli differenze esistenti fra le loro situazioni giuridiche rispettive (111).

93.      Nel secondo orientamento, consistente in due cause relative alla previsione del pagamento di diritti per ottenere un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi, la Corte ha adottato un diverso approccio. Essa ha dichiarato che l’articolo 13 della decisione n. 1/80 in combinato disposto con la regola del «trattamento non più favorevole» non osta all’introduzione di una normativa che subordini la concessione del permesso di soggiorno o di una proroga del periodo di validità dello stesso alla condizione del pagamento di diritti da parte dei cittadini turchi residenti nel territorio dello Stato membro ospitante. La Corte ha proseguito esaminando la proporzionalità della nuova restrizione che sarebbe altrimenti vietata dalla clausola di standstill (112).

94.      Dall’esame della giurisprudenza, da me svolto, desumo i seguenti principi: i) l’articolo 59 del protocollo addizionale non osta all’adozione di nuove restrizioni applicabili allo stesso modo nei confronti dei cittadini turchi e dei cittadini dell’Unione; ii) tuttavia, è necessario paragonare la conseguente situazione giuridica dei cittadini turchi, da un lato, e dei cittadini dell’Unione, dall’altro; iii) le nuove restrizioni per i lavoratori turchi non devono essere necessariamente identiche a quelle gravanti sui cittadini dell’Unione, ma devono essere equivalenti, tenuto conto delle diverse situazioni delle due categorie (113); iv) le nuove restrizioni per i lavoratori turchi non devono essere sproporzionate rispetto a quelle applicabili ai cittadini dell’Unione (114); v) le nuove restrizioni sproporzionate sarebbero altresì contrarie al principio di non discriminazione di cui all’articolo 9 dell’Accordo di associazione (115)

95.      Nel caso di specie, un adeguato confronto è quello tra il lavoratore turco che lavora in Germania e che intende farsi raggiungere dalla moglie turca e il cittadino dell’Unione, non tedesco, che lavora in Germania e che intende farsi raggiungere dal coniuge, cittadino di un paese terzo, compreso il coniuge di cittadinanza turca.

96.      Salvo che il familiare in questione non sia già in possesso di un permesso di soggiorno valido, l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 richiede un visto d’ingresso, conformemente al regolamento n. 539/2001 o, se del caso, alla legislazione nazionale (116). Dall’entrata in vigore di tale direttiva, sarebbe consentito, a mio avviso, agli Stati membri introdurre un obbligo di visto analogo per i familiari dei lavoratori turchi, purché gli obblighi ad essi imposti non siano sproporzionati rispetto all’obbligo di visto introdotto dalla direttiva 2004/38 (117).

97.      Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 prevede che quando un familiare di un cittadino dell’Unione non è in possesso dei documenti necessari o del visto di ingresso, questi non deve essere allontanato automaticamente ma deve essergli concessa ogni ragionevole opportunità di ottenere i documenti necessari. Per la stessa categoria di persone, l’articolo 9, paragrafo 3, prevede che l’inadempimento dell’obbligo di richiedere la carta di soggiorno rende l’interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie. Pertanto, secondo quanto afferma la Commissione, i familiari dei lavoratori turchi non si trovano in una situazione più favorevole rispetto ai cittadini di paesi terzi familiari di cittadini dell’Unione, in quanto per questi ultimi l’ingresso illegale in uno Stato membro non giustifica il rifiuto di un permesso di soggiorno. Ne deriverebbe pertanto che l’articolo 59 del protocollo addizionale non interviene in modo tale da modificare il risultato ottenuto mediante l’applicazione della clausola di standstill. Tuttavia, se il risultato di tale applicazione dovesse consistere nel fatto che i familiari di cittadini turchi, cittadini di paesi terzi, non sarebbero conseguentemente soggetti ad alcun obbligo di visto, mentre i familiari di cittadini dell’Unione, cittadini di paesi terzi, sarebbero soggetti a un obbligo di visto, ciò sarebbe vietato dall’articolo 59 del protocollo addizionale.

98.      Il fatto che un obbligo imposto a un cittadino turco sia più rigoroso di quello imposto ai cittadini dell’Unione non significa di per sé che il primo sia sproporzionato (118). Occorre considerare la particolare situazione dei cittadini turchi in quanto cittadini di paesi terzi, la necessità per gli Stati membri di rilasciare autorizzazioni conformemente alla legislazione nazionale in modo tale che i familiari possano raggiungere un lavoratore turco e le modalità di attuazione di siffatto obbligo.

99.      È altresì necessario esaminare se le conseguenze della violazione delle norme siano eccessivamente severe per il familiare di un lavoratore turco rispetto a quelle applicabili ai familiari di cittadini dell’Unione, cittadini di paesi terzi. Osservo, a questo punto, che l’articolo 5, paragrafo 2, della legge in materia di soggiorno prevede che si possa derogare all’obbligo di visto prima dell’ingresso in Germania qualora, tenuto conto delle particolari circostanze del caso di specie, sarebbe irragionevole riavviare il procedimento per il rilascio del visto. Mi sembra che questo sia un modo adeguato di tener conto della proporzionalità.

100. Per concludere in ordine alla seconda questione pregiudiziale: ritengo che la risposta a tale questione debba essere nel senso che l’introduzione di un obbligo di visto per il coniuge di un lavoratore turco che intenda raggiungere tale lavoratore a fini di ricongiungimento familiare non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 7 della decisione n. 2/76.

 Terza questione

101. La terza questione è rilevante solo nel caso in cui, contrariamente alle opinioni da me appena espresse, la Corte decida di trasporre la sua pronuncia nella causa Genc alla clausola di standstill di cui all’articolo 7 della decisione n. 2/76. Nella terza questione il giudice del rinvio chiede se la misura nazionale che richiede il visto possa essere giustificata in base a un motivo imperativo di interesse generale, in particolare dall’obiettivo di un efficace controllo dell’immigrazione e di gestione dei flussi migratori ove si tenga conto di particolari circostanze del caso specifico attraverso una clausola relativa ai casi che presentano particolari difficoltà.

102. La Landeshauptstadt Stuttgart, il governo tedesco e la Commissione sostengono tutti che la clausola di standstill prevista nella decisione n. 2/76 non osta all’introduzione di una normativa nazionale adottata con tale obiettivo, purché detta normativa rispetti il principio di proporzionalità.

103. Condivido tali affermazioni.

104. In primo luogo, tale interpretazione concorda con i principi sanciti dal TFUE e con la giurisprudenza della Corte relativa alla libera circolazione dei lavoratori, che devono applicarsi, nei limiti del possibile, alla libera circolazione dei lavoratori nel contesto dell’Associazione CEE‑Turchia (119).

105. La Corte ha introdotto la nozione di obiettivi legittimi che possono giustificare misure nazionali che limitano la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione a causa dell’ampia portata dell’attuale articolo 45 TFUE e del fatto che le deroghe alla libera circolazione dei lavoratori di cui all’articolo 45, paragrafo 3, TFUE devono essere interpretate restrittivamente. Pertanto, un ostacolo a tale libertà potrebbe essere nondimeno compatibile con l’articolo 45 TFUE, purché esso persegua uno scopo legittimo compatibile con il Trattato e sia giustificato da ragioni imperative di interesse generale e la sua applicazione sia atta a garantire la realizzazione dell’obiettivo che esso persegue e non ecceda quanto necessario per raggiungere tale obiettivo (120).

106. Analogamente, nel contesto della normativa di Associazione CEE‑Turchia l’interpretazione estensiva della libera circolazione dei lavoratori nella decisione n. 2/76 e nella decisione n 1/80, combinata con l’interpretazione restrittiva delle deroghe per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica (rispettivamente, agli articoli 9 e 14 di tali decisioni) (121), rende la nozione di motivi imperativi di interesse generale necessaria per stabilire il giusto equilibrio nel sistema della libera circolazione dei lavoratori nell’ambito dell’Associazione CEE‑Turchia, per analogia con la situazione nel mercato interno.

107. In secondo luogo, la giurisprudenza ha già riconosciuto tale giustificazione nel contesto del divieto di porre nuove condizioni al ricongiungimento dei lavoratori turchi con i loro familiari, nei limiti in cui le conseguenti restrizioni siano idonee a garantire il raggiungimento del legittimo obiettivo perseguito e non vadano al di là di quanto necessario per ottenerlo (122).

108. Quelli elencati di seguito sono già stati riconosciuti dalla giurisprudenza come motivi imperativi di interesse generale che giustificano l’introduzione di nuove restrizioni all’esercizio delle libertà economiche ai sensi della normativa di Associazione CEE‑Turchia: impedire l’ingresso e il soggiorno illegali (123), impedire i matrimoni forzati (124), garantire un’integrazione riuscita dei cittadini di Stati terzi (125), e gestire efficacemente i flussi migratori. (126) L’elenco non è esaustivo e concordo con l’avvocato generale Mengozzi sul fatto che la Corte riconosce che gli Stati membri godono di discrezionalità al riguardo (127).

109. Nel caso di specie, la Germania invoca l’efficace gestione dei flussi migratori per giustificare l’introduzione di un obbligo di visto a fini di ricongiungimento familiare con un lavoratore turco. Tale obiettivo è già stato riconosciuto come motivo imperativo di interesse generale che persegue un obiettivo compatibile con il Trattato. Esso è quindi idoneo, in linea di principio, a giustificare una restrizione supplementare nonostante la clausola di standstill (128). Tuttavia, sarà altresì necessario per il giudice nazionale verificare se l’obbligo di cui trattasi soddisfi il criterio di proporzionalità (129). Così facendo, esso deve esaminare se la misura nazionale sia idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vada al di là di quanto necessario per ottenerlo (130).

110. Per quanto riguarda l’adeguatezza della misura, mi sembra che la giurisprudenza abbia già riconosciuto che un obbligo di visto, che consente il controllo dei flussi migratori, sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo di gestire i flussi migratori efficacemente (131).

111. Riguardo alla questione se la misura di cui trattasi vada al di là di quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito, la Corte ha spiegato che, in via di principio, l’obbligo, per i cittadini di paesi terzi, di possedere un visto per entrare e soggiornare in uno Stato membro non può essere considerato, di per sé, sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito. Tuttavia, il principio di proporzionalità richiede altresì che le modalità di attuazione di siffatto obbligo non eccedano quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito (132).

112. A tal proposito, la normativa tedesca di cui trattasi richiede a un cittadino di un paese terzo che intenda ottenere un permesso di soggiorno di essere entrato nel paese munito del visto necessario e di aver già fornito, nella domanda di visto, le informazioni fondamentali ai fini del rilascio del permesso di soggiorno. Si può tuttavia prescindere dall’obbligo di visto qualora circostanze particolari, relative al singolo caso, rendano irragionevole richiedere una successiva domanda di visto.

113. Ritengo che, dal momento che istituisce una deroga per uno specifico caso individuale, la procedura prevista nella normativa tedesca di attuazione dell’obbligo di visto rispetti il principio di proporzionalità.

114. Spetta al giudice nazionale, che avrà a sua disposizione le informazioni necessarie, valutare se il caso della sig.ra Yön presenta le specifiche caratteristiche necessarie affinché tale deroga trovi applicazione. Tra i fattori rilevanti che potrebbero figurare l’età della sig.ra Yön, il suo stato di salute, il grado di dipendenza dal marito e la sua capacità di viaggiare (133).

115. Concludo pertanto che, qualora la Corte dovesse dichiarare che una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale costituisce una nuova restrizione alle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori turchi ai sensi dell’articolo 7 della decisione n. 2/76, tale restrizione può essere giustificata in base a motivi imperativi di interesse generale, come l’efficiente gestione dei flussi migratori. Qualsiasi restrizione deve essere idonea a garantire il raggiungimento del legittimo obiettivo perseguito e non andare al di là di quanto necessario per ottenerlo. Spetta al giudice nazionale stabilire se così avvenga nel caso di specie.

 Conclusione

116. Propongo quindi alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) come segue:

–        la legittimità di nuove restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori, introdotte da uno Stato membro fra l’entrata in vigore della decisione n. 2/76 del Consiglio di Associazione CEE‑Turchia e l’entrata in vigore della decisione n. 1/80 del Consiglio di Associazione CEE‑Turchia, deve essere valutata ai sensi dell’articolo 7 della decisione n. 2/76.

–        l’introduzione di un obbligo di visto per il coniuge di un lavoratore turco che intenda raggiungere tale lavoratore a fini di ricongiungimento familiare non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 7 della decisione n. 2/76.

–        nuove restrizioni alle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori turchi ai sensi dell’articolo 7 della decisione n. 2/76 possono essere giustificate in base a motivi imperativi di interesse generale, come l’efficiente gestione dei flussi migratori. Qualsiasi restrizione deve essere idonea a garantire il raggiungimento del legittimo obiettivo perseguito e non andare al di là di quanto necessario per ottenerlo. Spetta al giudice nazionale stabilire se così avvenga nel caso di specie.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Decisione n. 2/76 del Consiglio di associazione, del 20 dicembre 1976, relativa all’attuazione dell’articolo 12 dell’Accordo di associazione (in prosieguo: la «decisione n. 2/76»). Detta decisione non è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. È tuttavia disponibile in un’utile raccolta di testi pertinenti, pubblicata sotto l’egida del Consiglio nel 1992: v. https://www.ab.gov.tr/files/ardb/evt/EEC-Turkey_association_agreements_and_protocols_and_other_basic_texts.pdf (in prosieguo: la «raccolta di testi del Consiglio»).


3      Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia e protocollo addizionale, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 (GU 1973, C 113, pag. 1).


4      Per quanto riguarda l’istituzione e il funzionamento del Consiglio di associazione, v. articoli 22 e segg. dell’Accordo di associazione.


5      Decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione, adottata ai sensi dell’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»). Detta decisione non è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ma è disponibile nella raccolta di testi del Consiglio.


6      V. articolo 2, paragrafo 3, dell’Accordo di associazione. La prima e la seconda delle suddette fasi si sono concluse, rispettivamente, il 1o gennaio 1973, con l’entrata in vigore del protocollo addizionale all’Accordo di associazione, firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 (GU 1973, C 113, pag. 17; in prosieguo: il «protocollo addizionale»), e il 31 dicembre 1995 [con l’entrata in vigore della decisione n. 1/95 del Consiglio di associazione CEE‑Turchia, del 22 dicembre 1995, relativa all’attuazione della fase finale dell’Unione doganale (prevista all’articolo 2, paragrafo 2, dell’Accordo di associazione) (GU 1996, L 35, pag. 1)].


7      Articolo 3 dell’Accordo di associazione.


8      V. articolo 4, paragrafo 1, dell’Accordo di associazione.


9      Articolo 5 dell’Accordo di associazione.


10      V. terzo considerando del protocollo addizionale.


11      Articolo 1, paragrafi 1 e 2, della decisione n. 2/76. Pertanto, sebbene il titolo della decisione indichi che si tratta di una decisione «relativa all’attuazione dell’articolo 12 dell’[Accordo di associazione]», il suo secondo considerando e l’articolo 1, paragrafo 1, chiariscono che la vera base giuridica è l’articolo 36 del protocollo addizionale.


12      Articolo 11 della decisione n. 2/76.


13      Articolo 13 della decisione n. 2/76.


14      Il Consiglio di associazione ha adottato altre misure, non pertinenti ai fini della causa in esame, riguardanti i diritti dei lavoratori turchi, in particolare la decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale degli Stati membri delle Comunità europee ai lavoratori turchi ed ai loro familiari (GU 1983, C 110, pag. 60).


15      Articolo 16, paragrafo 1, della decisione n. 1/80.


16      Articolo 5, paragrafo 1, punto 1 della Verordnung zur Durchführung des Ausländergesetzes (regolamento di attuazione della legge sugli stranieri).


17      Articolo 30, paragrafo 1, della legge in materia di soggiorno.


18      Articolo 30, paragrafo 1, della legge in materia di soggiorno.


19      Primo considerando e articolo 2, paragrafo 1, dell’Accordo di associazione.


20      Quarto considerando e articolo 28 dell’Accordo di associazione. Quest’ultimo si limita a segnalare che quando il funzionamento dell’Accordo consentirà di prevedere l’accettazione integrale da parte della Turchia degli obblighi derivanti dal TFUE, le Parti Contraenti dovranno esaminare la possibilità di adesione della Turchia all’Unione. V. anche sentenza del 4 maggio 1999, Sürül (C‑262/96, EU:C:1999:228, punto 70).


21      Sentenze dell’8 dicembre 2011, Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 64); del 24 settembre 2013, Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punti 50 e 51), e del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 52).


22      V., in tal senso, articoli 2, paragrafi 1 e 2, 3, 4 e 5 dell’Accordo di associazione. Il fine economico è altresì ravvisabile nelle rubriche dei capitoli 1, 2 e 3 del titolo II dell’Accordo, relativo all’attuazione della fase transitoria. Tali capitoli sono rispettivamente intitolati «Unione doganale», «Agricoltura» e «Altre disposizioni di carattere economico». V., a tal proposito, sentenza del 24 settembre 2013, Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 51).


23      V. quarto considerando dell’Accordo di associazione.


24      V. quinto considerando e articolo 1, paragrafo 1, della decisione n. 2/76.


25      V. secondo considerando e articolo 1 della decisione n. 1/80. V. anche, in tal senso, sentenza del 6 giugno 1995, Bozkurt (C‑434/93, EU:C:1995:168, punto 14).


26      Sentenza del 18 dicembre 2014, Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 52). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Kokott (EU:C:2014:2114, paragrafo 79).


27      Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3) e Accordo tra la Comunità Europea ed i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione Svizzera, dall’altra sulla libera circolazione delle persone (GU 2002, L 114, pag. 6). V. anche, a tal proposito, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2114, paragrafi da 74 a 80).


28      Sentenza del 18 dicembre 2014, Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 50).


29      Sentenza del 24 settembre 2013, Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).


30      Sentenza dell’8 dicembre 2011, Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).


31      Firmata a Vienna il 23 maggio 1969, United Nations Treaty Series, vol. 1155, pag. 331 (in prosieguo: la «CVDT»).


32      Parere 1/91 (primo parere sull’Accordo SEE) del 14 dicembre 1991 (EU:C:1991:490, punto 14).


33      Sentenza del 9 febbraio 1982, Polydor e RSO Records (270/80, EU:C:1982:43, punto 15). Tale causa riguardava l’accordo concluso fra la Comunità economica europea e la Repubblica portoghese, firmato il 22 luglio 1972 (GU 1972, L 301, pag. 167).


34      Sentenza dell’8 dicembre 2011, Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 62).


35      V., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2001, Gloszczuk (C‑63/99, EU:C:2001:488, punto 52), nel contesto dell’Accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Polonia, dall’altra (GU 1993, L 348, pag. 2). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:237, paragrafo 63).


36      V. conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:237, paragrafo 60).


37      V. in tal senso sentenza del 6 giugno 1995, Bozkurt (C‑434/93, EU:C:1995:168, punto 20). V. anche sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).


38      Sentenza del 18 dicembre 2014, Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 51).


39      V., in tal senso, sentenza del 29 marzo 2012, Kahveci (C‑7/10 e C‑9/10, EU:C:2012:180, punto 25); v. inoltre i principi definiti supra al paragrafo 35.


40      Il primo passo in tal senso è stato compiuto nella sentenza del 5 ottobre 1994, Eroglu (C‑355/93, EU:C:1994:369, punto 21), riguardante la possibilità per i lavoratori turchi di prorogare i propri permessi di soggiorno. V. anche sentenza del 10 febbraio 2000, Nazli (C‑340/97, EU:C:2000:77, punti 56 e 57), riguardante la portata dell’eccezione dell’ordine pubblico prevista dall’articolo 14, paragrafo 1 della decisione n. 1/80. Nell’ambito della libera prestazione dei servizi, v. sentenza dell’11 maggio 2000, Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punti 47 e 48), nella quale viene fatto ricorso all’articolo 53 CE per interpretare l’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale.


41      Regolamento del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 475). V. sentenza del 19 luglio 2012, Dülger (C‑451/11, EU:C:2012:504, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).


42      Direttiva del 25 febbraio 1964 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, L 56, pag. 850). V. sentenza del 4 ottobre 2007, Polat (C‑349/06, EU:C:2007:581, punti 30 e 31 e giurisprudenza ivi citata).


43      Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1). V. sentenza del 9 dicembre 2010, Toprak (C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756, punti da 56 a 58).


44      Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80). La Corte ha dichiarato al punto 13 di tale sentenza che i principi sanciti dal Trattato, relativi alla libera circolazione dei lavoratori, implicano il diritto per i cittadini dell’Unione di soggiornare negli altri Stati membri al fine di cercarvi un lavoro.


45      Sentenza del 16 dicembre 1992, Kus (C‑237/91, EU:C:1992:527, punto 35). Il riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia di libera circolazione dei lavoratori ai sensi del diritto dell’Unione ha costituito da allora prassi comune. V., in particolare, sentenze del 10 febbraio 2000, Nazli (C‑340/97, EU:C:2000:77, punto 57), e dell’11 novembre 2004, Cetinkaya (C‑467/02, EU:C:2004:708, punti 44 e 45).


46      V., ad esempio, sentenza del 21 ottobre 2003, Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 81), sull’interpretazione della clausola di standstill prevista all’articolo 13 della decisione n. 1/80, in cui la Corte ha tratto ispirazione dalla propria giurisprudenza relativa all’associazione con la Grecia (sentenza del 23 marzo 1983, Peskeloglou, 77/82, EU:C:1983:92). V. anche ordinanza del 25 luglio 2008, Real Sociedad de Fútbol e Kahveci (C‑152/08, EU:C:2008:450, punti 21 e segg.), in cui la Corte ha fatto riferimento alla propria giurisprudenza relativa all’Accordo di associazione con la Slovacchia e all’Accordo di partenariato con la Russia [Accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca, dall’altra (GU 1994, L 359, pag. 2) e Accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra (GU 1997, L 327, pag. 3)] e ha considerato le analogie sufficientemente evidenti per decidere la causa con ordinanza motivata. Tuttavia, nella sentenza (non correlata) del 29 marzo 2012, Kahveci (C‑7/10 e C‑9/10, EU:C:2012:180, punto 34), la Corte ha operato una distinzione tra la decisione n. 1/80, da un lato, e l’Accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea ed il Regno del Marocco (GU 1978, L 264, pag. 2), dall’altro, a causa della diversità degli obiettivi generali che tali atti hanno perseguito in materie sociali.


47      V., a tal proposito, sentenza del 24 settembre 2013, Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 44).


48      V., in tal senso, sentenza del 6 giugno 1995, Bozkurt (C‑434/93, EU:C:1995:168, punti 40 e 41).


49      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77) (in prosieguo: la «direttiva 2004/38»).


50      Sentenza dell’8 dicembre 2011, Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punti 60 e segg.).


51      Sentenza del 31 gennaio 1984, Luisi e Carbone (286/82 e 26/83, EU:C:1984:35).


52      Sentenza del 24 settembre 2013, Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punti 59 e segg.).


53      V., in tal senso, sentenza del 20 settembre 1990, Sevince (C‑192/89, EU:C:1990:322, punti 15 e segg.).


54      Nel sistema istituito dall’Accordo di associazione la creazione di nuovi diritti o privilegi per i cittadini delle parti contraenti è rimessa alla competenza legislativa del Consiglio di associazione (v. articolo 36 del protocollo addizionale).


55      V., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2011, Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 89 e giurisprudenza ivi citata).


56      Sentenza del 21 luglio 2011, Oguz (C‑186/10, EU:C:2011:509, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).


57      V. sentenza del 20 settembre 2007, Tum e Dari (C‑16/05, EU:C:2007:530, punto 58) nel contesto della libertà di stabilimento.


58      Sentenza del 6 giugno 1995, Bozkurt (C‑434/93, EU:C:1995:168).


59      Articolo 13 della decisione n. 2/76.


60      Articolo 11 della decisione n. 2/76; v. inoltre il quinto considerando di tale decisione.


61      Articolo 30 della decisione n. 1/80.


62      Articolo 16 della decisione n. 1/80.


63      Possono esservi dubbi sull’eventualità che la decisione n. 2/76 fosse applicabile retroattivamente fra il 1o dicembre 1976 e il 20 dicembre 1976 (cfr. articoli 1, paragrafo 2, e 13 di tale decisione). Per fortuna, non è necessario decidere tale questione per rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice nazionale.


64      L’articolo 16, paragrafo 2, della decisione n. 1/80 prevede l’adozione di un nuovo atto contenente «soluzioni possibili a decorrere dal 1o dicembre 1983». Tuttavia, non è stato adottato alcun atto di tal genere e la decisione n. 1/80 non contiene alcuna «data limite» per la sezione 1 del capitolo II.


65      Come ha osservato la Commissione in udienza, questa è anche la soluzione adottata dalla CVDT. Ai sensi dell’articolo 70 della CVDT (sulle conseguenze dell’estinzione di un trattato), l’estinzione di un trattato «non pregiudica alcun diritto, alcun obbligo né alcuna situazione giuridica delle parti che sia venuta a crearsi a motivo dell’esecuzione del trattato prima della sua cessazione» [Articolo 70, paragrafo 1, lettera b)]. La Landeshauptstadt Stuttgart e il governo tedesco hanno fatto valere l’articolo 59 della CVDT (estinzione di un trattato o sospensione della sua applicazione derivanti implicitamente dalla conclusione di un trattato successivo); ritengo, tuttavia, che nessuna delle due condizioni ivi previste sia soddisfatta nella fattispecie. In particolare, niente indica che le parti intendessero la decisione n. 1/80, oltreché finalizzata a disciplinare le situazioni future, anche dotata di efficacia retroattiva.


66      Sentenza del 6 giugno 1995, Bozkurt (C‑434/93, EU:C:1995:168, punto 14).


67      Regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2001, L 81, pag. 1), come modificato più di recente dal regolamento (UE) 2017/850 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, che modifica il regolamento n. 539/2001 (GU 2017, L 133, pag. 1).


68      Sentenze del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247), e del 10 luglio 2014, Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066).


69      Sentenza del 30 settembre 1987, Demirel (12/86, EU:C:1987:400).


70      Conclusioni dell’avvocato generale Darmon nella causa Demirel (12/86, EU:C:1987:232, paragrafi 27 e 28). Il regolamento n. 15 relativo ai primi provvedimenti per l’attuazione della libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1961, 57, pag. 1073) (in prosieguo: il «regolamento n. 15») conteneva altresì alcune disposizioni sul ricongiungimento familiare per i cittadini degli Stati membri che avessero esercitato il loro diritto alla libera circolazione dei lavoratori.


71      Ai sensi dell’articolo 36 del protocollo addizionale, il Consiglio di associazione è competente in via esclusiva a stabilire norme dettagliate in tal senso.


72      V. sentenza del 30 settembre 1987, Demirel (12/86, EU:C:1987:400, punto 22).


73      V., in tal senso, sentenza del 30 settembre 1987, Demirel (12/86, EU:C:1987:400, punti 23 e 24).


74      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 46).


75      Sentenza dell’11 maggio 2000, Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224).


76      Sentenza del 17 settembre 2009, Sahin (C‑242/06, EU:C:2009:554).


77      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 33). Sembra che tale formula sia stata aggiunta, per la prima volta, relativamente all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale dalla sentenza dell’11 maggio 2000, Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punto 69) (ove appare così redatta «having the object or the effect of» [abbia per oggetto o per effetto di] – l’espressione costantemente utilizzata dalla Corte). L’espressione «intended to» [che abbia per oggetto] [N.d.T.: nella versione italiana, l’espressione è identica in entrambe le sentenze], contenuta nella sentenza Genc sembra essere una variazione introdotta in fase di traduzione. La giurisprudenza successiva della Corte è stata costante al riguardo. V., in particolare, sentenza del 29 marzo 2017, Tekdemir (C‑652/15, EU:C:2017:239, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).


78      Il punto precedente è così redatto: «(…) l’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale vieta l’introduzione, a partire dall’entrata in vigore nello Stato membro ospitante dell’atto giuridico di cui tale disposizione fa parte, di qualsiasi nuova restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi, incluse quelle riguardanti le condizioni sostanziali e/o procedurali in materia di prima ammissione nel territorio [di] detto Stato dei cittadini turchi che intendono ivi avvalersi di tali libertà economiche (v. sentenze 20 settembre 2007, causa C‑16/05, Tum e Dari, Racc. pag. I‑7415, punto 69, nonché Soysal e Savatli, cit., punti 47 e 49)».


79      Sentenza del 21 ottobre 2003, Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 117). Detta combinazione è stata mantenuta nella giurisprudenza successiva. V., in particolare, sentenza del 29 marzo 2017, Tekdemir (C‑652/15, EU:C:2017:239, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).


80      V. supra, paragrafi da 34 a 37.


81      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punti 45 e 46).


82      Sentenza del 10 luglio 2014, Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066). Sebbene la richiedente avesse presentato un certificato del Goethe Institute attestante il superamento, da parte della stessa, di un esame di lingua di livello A1, risultava chiaramente che si trattava di una persona analfabeta che aveva svolto il test indicando a caso le risposte di un questionario a scelta multipla e imparando a memoria tre frasi tipo. V. punti da 17 a 23 della sentenza per un’esposizione più completa dei fatti che hanno portato al rinvio pregiudiziale.


83      Sentenza del 10 luglio 2014, Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066, punto 36). Tale sentenza è stata oggetto di numerose critiche. V., ad esempio, Hailbronner, K., «The standstill clauses in the EU‑Turkey Association Agreement and their impact upon immigration law in the EU Member States», in Rights of third-country nationals under EU association agreements, Brill, Nijhoff, Leida, Boston, 2015, pagg. da 186 a 201, in particolare, da 194 a 197.


84      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 40), che cita la sentenza del 10 luglio 2014, Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066, punto 35).


85      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punti 41 e 42), che cita la sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 48).


86      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punti 44 e 45).


87      Sentenza del 24 settembre 2013, Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583).


88      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 49), che cita la sentenza del 17 aprile 1997, Kadiman (C‑351/95, EU:C:1997:205, punti da 34 a 36); sentenze del 22 giugno 2000, Eyüp (C‑65/98, EU:C:2000:336, punto 26), e del 30 settembre 2004, Ayaz (C‑275/02, EU:C:2004:570 punto 41).


89      È vero che l’articolo 41, paragrafo 2, conferisce al Consiglio di associazione il potere di stabilire le modalità secondo le quali sopprimere progressivamente le restrizioni esistenti alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Evidentemente, l’abolizione di restrizioni esistenti costituisce una questione separata dal garantire, mediante una clausola di standstill, che non siano introdotte nuove restrizioni.


90      Sentenza del 30 settembre 1987, Demirel (12/86, EU:C:1987:400). Nella sentenza Bozkurt la Corte ha rifiutato di riconoscere il diritto di un lavoratore turco di rimanere nello Stato membro in cui lavorava dopo essere stato colpito da inabilità permanente al lavoro, in quanto non esistevano disposizioni espresse nella normativa di Associazione CEE‑Turchia che conferissero tale diritto. V. sentenza del 6 giugno 1995 (C‑434/93, EU:C:1995:168, punto 40).


91      V. regolamento n. 15 (articoli da 11 a 15) e regolamento n. 1612/68 (articoli da 10 a 12). Il quinto considerando del secondo regolamento riconosce che l’esercizio della libera circolazione dei lavoratori richiede che siano eliminati gli ostacoli che si oppongono al diritto per il lavoratore di farsi raggiungere dalla famiglia.


92      Nelle sentenze del 19 luglio 2012, Dülger (C‑451/11, EU:C:2012:504, punto 49), e del 30 settembre 2004, Ayaz (C‑275/02, EU:C:2004:570, punto 45), la Corte ha fatto riferimento all’articolo 10 del regolamento n. 1612/68 per interpretare la nozione di «familiare» contenuta nella decisione n. 1/80.


93      Articoli 7, paragrafo 1, e 11 della decisione n. 1/80.


94      Articoli 7, paragrafo 1, primo e secondo trattino, 9 e 13 della decisione n. 1/80.


95      Sentenza del 18 luglio 2007, Derin (C‑325/05, EU:C:2007:442, punto 64).


96      Sentenza del 21 gennaio 2010, Bekleyen (C‑462/08, EU:C:2010:30, punto 36), che cita la sentenza del 16 marzo 2000, Ergat (C‑329/97, EU:C:2000:133, punto 42).


97      V., in tal senso, sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punti 45 e 46).


98      Sentenza del 7 novembre 2013, Demir (C‑225/12, EU:C:2013:725, punto 34). In una fase precedente, nella sentenza del 21 ottobre 2003, Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 84), la Corte ha dichiarato che un cittadino turco può beneficiare dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 solo se abbia rispettato la normativa dello Stato membro ospitante in materia di ingresso, soggiorno e, eventualmente, lavoro, e se pertanto si trovi legittimamente nel territorio del detto Stato.


99      Sentenza del 21 ottobre 2003, Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572).


100      Sentenza del 19 febbraio 2009, Soysal e Savatli (C‑228/06, EU:C:2009:101).


101      Sentenza del 17 settembre 2009, Sahin (C‑242/06, EU:C:2009:554).


102      V. secondo e quinto considerando della decisione n. 2/76.


103      La formulazione del testo inglese è particolare, in quanto enuncia quanto segue: «They [Essi, ossia, i figli dei lavoratori turchi] may also be entitled [possono anche avere il diritto]»di beneficiare di tali vantaggi. Per fortuna, in questa sede, non è necessario approfondire tale punto.


104      V. quarto considerando della decisione n. 1/80.


105      V. supra, paragrafi da 74 a 81.


106      Direttiva del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).


107      L’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2003/86 stabilisce espressamente che essa fa salve le disposizioni più favorevoli contenute, in particolare, «negli accordi bilaterali (…) stipulati tra la Comunità o tra la Comunità e i suoi Stati membri, da una parte, e dei paesi terzi, dall’altra». Siffatti accordi bilaterali includono ovviamente l’Accordo di associazione e la decisione n. 1/80. Qualora le disposizioni di quest’ultima siano più favorevoli, sono tali disposizione che prevalgono in ogni caso. V. anche le mie conclusioni nella causa Pehlivan (C‑484/07, EU:C:2010:410, paragrafo 65).


108      V. sentenze del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247), e del 29 marzo 2017, Tekdemir (C‑652/15, EU:C:2017:239).


109      Sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 62 e giurisprudenza ivi citata). V. anche sentenza del 26 maggio 2011, Akdas e a. (C‑485/07, EU:C:2011:346, punto 59), nel particolare contesto delle prestazioni previdenziali a favore dei lavoratori turchi.


110      V. le mie conclusioni nella causa Pehlivan (C‑484/07, EU:C:2010:410, paragrafo 63).


111      Sentenze del 18 luglio 2007, Derin (C‑325/05, EU:C:2007:442, punto 68), e del 16 giugno 2011, Pehlivan (C‑484/07, EU:C:2011:395, punto 65). Per un’analisi più dettagliata dell’iter logico seguito nella sentenza Derin, v. le mie conclusioni nella causa Bozkurt (C‑303/08, EU:C:2010:413, paragrafo 50).


112      Sentenza del 17 settembre 2009, Sahin (C‑242/06, EU:C:2009:554, punti 67 e segg.). Tale approccio è stato confermato nella sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punti 55 e segg.).


113      V., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).


114      Sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


115      Sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 75).


116      L’allegato I del regolamento n. 539/2001 contiene l’elenco dei paesi i cui cittadini devono essere in possesso di visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri. Tale elenco comprende la Turchia.


      Il riferimento nell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla legislazione nazionale ha lo scopo di ricomprendere la situazione degli Stati membri che non applicano il regolamento. V. proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (presentata dalla Commissione in applicazione dell’articolo 250, paragrafo 2, del trattato CE) COM(2003) 199 definitivo.


117      Mi riferisco qui alla direttiva 2004/38 semplicemente per verificare la situazione ai sensi dell’articolo 59 del Protocollo addizionale.


118      V., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2010, Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 71).


119      V. supra, paragrafo 36.


120      V., in particolare, sentenza dell’11 gennaio 2007, Lyyski (C‑40/05, EU:C:2007:10, punto 38).


121      V., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2004, Cetinkaya (C‑467/02, EU:C:2004:708, punti da 42 a 48).


122      V. sentenza del 10 luglio 2014, Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066.2014, punto 37), nel contesto della libertà di stabilimento. In tale causa è stato seguito l’iter logico esposto nella sentenza del 7 novembre 2013, Demir (C‑225/12, EU:C:2013:725, punti 40 e segg.), relativa all’ammissione nel territorio di uno Stato membro di un cittadino turco che intendeva iniziare un’attività lavorativa subordinata. V. anche sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 57).


123      Sentenza del 7 novembre 2013, Demir (C‑225/12, EU:C:2013:725, punto 41).


124      Sentenza del 10 luglio 2014, Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066, punto 38). Sebbene non abbia espressamente riconosciuto tale giustificazione, la Corte ha proceduto «supponendo» che l’obiettivo di contrastare i matrimoni forzati potesse costituire un motivo imperativo di interesse generale.


125      Sentenza del 12 aprile 2016, Genc (C‑561/14, EU:C:2016:247, punto 56).


126      Sentenza del 29 marzo 2017, Tekdemir (C‑652/15, EU:C:2017:239, punto 39).


127      Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Genc (C‑561/14, EU:C:2016:28, paragrafo 34).


128      Sentenza del 29 marzo 2017, Tekdemir (C‑652/15, EU:C:2017:239, punti da 35 a 39).


129      Nelle sentenze Tekdemir e Genc le norme nazionali in questione non concedevano deroghe e la Corte ha avuto a disposizione gli elementi necessari per dichiarare che tali misure erano sproporzionate. Nella fattispecie, al contrario, le norme nazionali prevedono effettivamente un’eccezione in determinate circostanze. Solo il giudice nazionale dispone degli elementi necessari per controllare la legittimità della decisione delle autorità competenti. V. sentenza dell’11 gennaio 2007, Lyyski (C‑40/05, EU:C:2007:10, punto 48).


130      Sentenza del 10 luglio 2014, Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066, punto 37).


131      V., in tal senso, sentenza del 29 marzo 2017, Tekdemir (C‑652/15, EU:C:2017:239, punto 41).


132      V., in tal senso, in relazione all’obbligo del permesso di soggiorno, sentenza del 29 marzo 2017, Tekdemir (C‑652/15, EU:C:2017:239, punti 42 e 43).


133      Sulla base dei fatti, la situazione della sig.ra Yön risulta significativamente diversa da quella del ricorrente nella causa Tekdemir. Furkan Tekdemir era un bambino, nato in Germania neanche un mese prima che la domanda di rilascio del permesso di soggiorno venisse presentata per suo conto. Egli risiedeva legalmente in Germania con il padre, un lavoratore turco (v. sentenza del 29 marzo 2017, Tekdemir, C‑652/15, EU:C:2017:239). Per contro, la sig.ra Yön risiedeva in Turchia (per quanto possa rilevare ai fini della causa in esame) tra la data del suo matrimonio con il sig. Yön (2004) e la data del suo ingresso nei Paesi Bassi mediante un visto Schengen rilasciato da tale Stato membro (marzo 2013).