Language of document : ECLI:EU:C:2014:2111

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 17 luglio 2014 (1)

Cause riunite da C‑148/13 a C‑150/13

A (C‑148/13), B (C‑149/13) e C (C‑150/13)

contro

Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Paesi Bassi)]

«Sistema europeo comune di asilo — Direttiva 2004/83/CE — Status di rifugiato — Direttiva 2005/85/CE — Valutazione di domande di protezione internazionale — Valutazione di fatti e circostanze — Credibilità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente»





1.        Nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale il Raad van State, Afdeling Bestuursrechtspraak [Consiglio di Stato, Sezione Amministrativa; in prosieguo: il «Raad van State» (Paesi Bassi) o il «giudice del rinvio»] solleva l’ampia questione concettuale se il diritto dell’Unione limiti l’azione degli Stati membri nella valutazione delle richieste di asilo presentate da un richiedente che tema persecuzioni nel proprio paese di origine a causa del suo orientamento sessuale. Tale questione dà adito a complicate e delicate tematiche relative, da una parte, ai diritti individuali quali l’identità personale e i diritti fondamentali e, dall’altra, alla posizione degli Stati membri nell’applicazione di misure di armonizzazione minima, vale a dire la direttiva qualifiche (2) e la direttiva procedure (3), nella raccolta e nella valutazione delle prove relative alle domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato. Nell’affrontare tali tematiche, ne emergono di ulteriori. Gli Stati membri devono accettare l’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente? Il diritto dell’Unione consente alle autorità competenti degli Stati membri di verificare un orientamento sessuale dichiarato e come dovrebbe essere condotto un siffatto esame in modo che siano rispettati i diritti fondamentali? Le domande di asilo fondate sull’orientamento sessuale sono diverse da quelle fatte per altre ragioni e si devono applicare norme speciali quando gli Stati membri esaminano tali richieste?

 Diritto internazionale

 La Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati

2.        Ai sensi dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, primo comma, della Convenzione di Ginevra (4), il termine «rifugiato» è applicabile a chiunque «per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese».

3.        L’articolo 3 stabilisce che la Convenzione deve essere applicata in modo coerente con il principio di non-discriminazione.

 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

4.        L’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (5) vieta la tortura e i trattamenti e le pene inumani o degradanti. L’articolo 8 garantisce il diritto al rispetto alla vita privata e familiare. L’articolo 13 prevede il diritto ad un ricorso effettivo. L’articolo 14 vieta la discriminazione (6). Il Protocollo 7 della CEDU prevede talune garanzie processuali in ordine all’espulsione di stranieri, compreso il diritto dello straniero a far valere le sue ragioni contro la sua espulsione, il diritto a far esaminare il suo caso e il diritto a farsi rappresentare a tale scopo.

 Diritto dell’Unione europea

 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

5.        L’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (7), stabilisce che la dignità umana è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. L’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), stabilisce che nell’ambito della medicina e della biologia si deve ottenere il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge. L’articolo 4 corrisponde all’articolo 3 della CEDU. L’articolo 7 dispone: «[o]gni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni». Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea dall’articolo 18 della Carta. La discriminazione fondata, inter alia, sull’orientamento sessuale è vietata dall’articolo 21. L’articolo 41 della Carta è diretto alle istituzioni e garantisce il diritto ad una buona amministrazione (8). L’articolo 52, paragrafo 1, stabilisce che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge nel rispetto del principio di proporzionalità. Possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. L’articolo 52, paragrafo 3, stabilisce che i diritti contenuti nella Carta devono essere interpretati conformemente ai corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU.

 Il regime europeo comune in materia di asilo

6.        Il sistema europeo comune di asilo (in prosieguo: il «CEAS») ha avuto inizio dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel maggio 1999 e mira all’attuazione della Convenzione di Ginevra (9). Le misure adottate ai fini del CEAS rispettano i diritti fondamentali e osservano i principi riconosciuti nella Carta (10). Nel trattamento delle persone che rientrano nell’ambito di applicazione di tali misure, gli Stati membri sono vincolati dai loro obblighi previsti dagli strumenti di diritto internazionale che vietano la discriminazione (11). Lo scopo del CEAS è quello di armonizzare il contesto normativo applicato negli Stati membri sulla base di norme minime comuni. Discende dalla natura stessa delle misure che prevedono norme minime che gli Stati membri abbiano la facoltà di stabilire o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli (12). Il CEAS ha portato all’adozione di numerose misure (13).

 La direttiva qualifiche

7.        La direttiva qualifiche mira a fissare norme minime e criteri comuni per tutti gli Stati membri per il riconoscimento e il contenuto dello status di rifugiato, per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, e per una procedura d’asilo corretta ed efficiente (14).

8.        L’articolo 2, lettera c), della direttiva dispone che si intende per: «“rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12».

9.        L’articolo 4 reca il titolo «Esame dei fatti e delle circostanze». Esso è così formulato:

«1.      Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

2.      Gli elementi di cui al paragrafo 1 sono le dichiarazioni del richiedente e tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale.

3.      L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)      di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e relative modalità di applicazione;

b)      della dichiarazione e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

c)      della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

d)      dell’eventualità che le attività svolte dal richiedente dopo aver lasciato il paese d’origine abbiano mirato esclusivamente o principalmente a creare le condizioni necessarie alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, al fine di stabilire se dette attività espongano il richiedente a persecuzione o a danno grave in caso di rientro nel paese;

e)      dell’eventualità che ci si possa ragionevolmente attendere dal richiedente un ricorso alla protezione di un altro paese di cui potrebbe dichiararsi cittadino.

(…)

5.      Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a)      il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;

b)      tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c)      le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;

d)      il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto buoni motivi per ritardarla; e

e)      è accertato che il richiedente è in generale attendibile».

10.      L’articolo 9 della direttiva definisce gli atti di persecuzione. Tali atti devono essere sufficientemente gravi, per loro natura, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti inderogabili (stabiliti dall’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU), o costituire la somma di diverse misure il cui impatto sia sufficientemente grave da rappresentare una siffatta violazione dei diritti umani fondamentali (15). Atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale, possono rientrare nella definizione di atti di persecuzione (16). I motivi di cui all’articolo 10 devono essere collegati agli atti di persecuzione di cui all’articolo 9 della direttiva qualifiche (17).

11.      L’articolo 10 reca il titolo «Motivi di persecuzione». L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), prevede quanto segue:

«si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:

–        i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e

–        tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante.

In funzione delle circostanze nel paese d’origine, un particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale. L’interpretazione dell’espressione «orientamento sessuale» non può includere atti classificati come penali dal diritto interno degli Stati membri; possono valere considerazioni di genere, sebbene non costituiscano di per sé stesse una presunzione di applicabilità del presente articolo;

(…)

2.      Nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni» (18).

 La direttiva procedure

12.      L’obiettivo della direttiva procedure è stabilire un quadro minimo sulle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato (19). Si applica a tutte le domande di asilo presentate nel territorio dell’Unione (20). Ogni Stato membro deve designare un’autorità accertante che sarà competente per l’esame delle domande a norma della direttiva procedure (21).

13.      I criteri applicabili all’esame delle domande sono fissati dall’articolo 8. Gli Stati membri devono provvedere affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di asilo siano adottate previo congruo esame. A tal fine gli Stati membri dispongono: a) che le domande siano esaminate e le decisioni prese in modo individuale, obiettivo ed imparziale; b) che pervengano da varie fonti informazioni precise e aggiornate, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (in prosieguo: l’«UNHCR»); e c) che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia una conoscenza dei criteri applicabili in materia di asilo e di diritto dei rifugiati (22).

14.      La decisione con cui viene respinta una domanda deve essere corredata di motivazioni de jure e de facto (articolo 9, paragrafo 2, primo comma) e, prima che l’autorità accertante decida, è data facoltà al richiedente asilo di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda in condizioni che gli consentano di esporre in modo esauriente i motivi della domanda (articolo 12).

15.      L’articolo 13 fissa i criteri applicabili al colloquio personale che si svolge, di norma, senza la presenza di altri familiari, in condizioni atte ad assicurare la riservatezza adeguata e a consentire al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda (23). A tal fine gli Stati membri devono provvedere affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza sufficiente per tener conto del contesto personale o generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale o la vulnerabilità del richiedente, per quanto ciò sia possibile, e devono selezionare un interprete idoneo a garantire una comunicazione appropriata fra il richiedente e la persona incaricata di condurre il colloquio (24).

16.      L’articolo 14 stabilisce che gli Stati membri devono disporre che sia redatto il verbale di ogni singolo colloquio personale, in cui figurino almeno le informazioni più importanti in merito alla domanda, presentata dal richiedente, a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva qualifiche e che devono provvedere affinché i richiedenti abbiano accesso tempestivo a tale verbale (25). Gli Stati membri possono chiedere che il richiedente approvi il contenuto del verbale del colloquio personale (26).

17.      Gli Stati membri devono accordare ai richiedenti asilo la possibilità di consultare, a loro spese, un avvocato o altro consulente legale riconosciuto a norma della legislazione nazionale per dare consulenze sulle domande di asilo (27).

18.      L’articolo 23, dal titolo «Procedure di esame», fa parte del capo III della direttiva procedure, che stabilisce le direttive di primo grado da seguire. Gli Stati membri devono esaminare le domande di asilo con procedura di esame conformemente ai principi fondamentali di cui al capo II della stessa direttiva. Essi devono provvedere affinché siffatta procedura sia espletata quanto prima possibile, fatto salvo un esame adeguato e completo (28).

19.      L’articolo 39 prevede che gli Stati membri devono disporre che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso, inter alia, la decisione sulla sua domanda (29).

 Diritto nazionale

20.      In base all’esposizione delle norme nazionali fornita dal giudice del rinvio, l’onere di stabilire la plausibilità dei motivi sulla base dei quali viene richiesto l’asilo e di fornire le informazioni rilevanti a sostegno di tale richiesta ricade sul richiedente. Le autorità competenti quindi invitano il richiedente a due colloqui. Sono disponibili per i richiedenti i servizi di un interprete e servizi di gratuito patrocinio al fine di ottenere assistenza legale. Viene fornito al richiedente il verbale dei colloqui. Egli ha poi la facoltà di chiedere che siano apportate modifiche al verbale e di presentare ulteriori informazioni. Il Ministro competente prende una decisione sulla domanda di asilo del richiedente e la comunica al richiedente stesso prima che diventi definitiva, così che il richiedente possa presentare osservazioni scritte. Il Ministro quindi comunica al richiedente la sua decisione definitiva che il richiedente può impugnare presentando un ricorso giurisdizionale (30).

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

21.      A, B, e C hanno presentato alle autorità olandesi richieste di permesso di soggiorno temporaneo (asilo) ai sensi della Vreemdelingenwet 2000 sulla base del fatto che avevano il fondato timore di essere perseguitati nei propri rispettivi paesi di origine poiché sono uomini omosessuali.

22.      A aveva presentato una precedente richiesta volta al riconoscimento dello status di rifugiato fondata sul suo orientamento sessuale, che il Ministro aveva respinto come non credibile. Con decisione del 12 luglio 2011, il Ministro ha respinto anche la successiva richiesta volta al riconoscimento dello status di rifugiato di A, sulla base del fatto che non ha ritenuto credibili i fatti da lui esposti. Il Ministro ha considerato che il fatto che A avesse dichiarato la sua disponibilità a sottoporsi ad un test per dimostrare la sua omosessualità non significava che egli dovesse accettare incondizionatamente l’orientamento sessuale dichiarato dallo stesso A senza effettuare alcuna valutazione della credibilità.

23.      In relazione a B, il Ministro ha concluso che la sua domanda non fosse credibile poiché era superficiale e vaga, sia in relazione ai fatti esposti concernenti un rapporto sessuale che B aveva avuto nella sua giovinezza con un amico, sia per quanto riguarda la dichiarazione di B sulla sua consapevolezza di essere omosessuale. Ad avviso del Ministro, poiché B proviene da una famiglia musulmana e da un paese dove l’omosessualità non è accettata, dovrebbe essere in grado di fornire dettagli sui suoi sentimenti e su come è giunto ad accettare la propria omosessualità. Il Ministro ha respinto la richiesta volta al riconoscimento dello status di rifugiato di B con decisione del 1° agosto 2012.

24.      Il Ministro ha ritenuto che la dichiarazione di C relativa alla propria omosessualità mancasse di credibilità, poiché i fatti da lui esposti presentavano delle discrepanze. C ha affermato che solo dopo aver lasciato il proprio paese di origine è stato in grado di riconoscere di poter essere omosessuale. Egli riteneva di aver avuto tali sentimenti fin da quando aveva 14 o 15 anni e ha informato le autorità competenti di aver avuto un rapporto sessuale con un uomo in Grecia. Ciò nonostante egli aveva precedentemente fondato la sua domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato sul fatto che aveva avuto dei problemi nel suo paese di origine poiché aveva avuto un rapporto sessuale con la figlia del suo datore di lavoro. Il Ministro era dell’opinione che C avrebbe potuto, e avrebbe dovuto, dichiarare il suo orientamento sessuale nel procedimento precedente. Il Ministro ha ritenuto che il fatto che C abbia prodotto un film che lo rappresentava mentre compiva atti sessuali con un uomo non stabiliva che fosse omosessuale. Inoltre, C non è stato in grado di esporre in modo chiaro come sia diventato consapevole del suo orientamento sessuale né di rispondere a domande quali quelle relative all’individuazione di organizzazioni nei Paesi Bassi a difesa dei diritti degli omosessuali. Il Ministro ha respinto la richiesta volta al riconoscimento dello status di rifugiato di C con decisione dell’8 ottobre 2012.

25.      A, B, e C hanno impugnato le decisioni del Ministro nell’ambito di procedimenti diretti ad ottenere provvedimenti provvisori dinanzi al Rechtbank ’s-Gravenhage (Tribunale di Gravenhage; in prosieguo: il «Rechtbank»). Gli appelli sono stati respinti come infondati, rispettivamente il 9 settembre 2001, il 23 agosto 2012 e il 30 ottobre 2012. Ognuno dei richiedenti ha successivamente presentato appello dinanzi al Raad van State contro la sentenza del Rechtbank che ne ha respinto l’appello.

26.      Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio ha espressamente tenuto conto di due cause dinanzi a questa Corte: Y e Z (31), nella quale era già stata pronunciata sentenza, e X, Y, e Z (32) (rinvio del Raad von State del 18 aprile 2012), allora ancora pendente dinanzi alla Corte. Nella seconda causa sono state chieste indicazioni, inter alia, sulla questione se cittadini stranieri con un orientamento omosessuale costituiscano un particolare gruppo sociale ai fini dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva qualifiche. Gli appelli nel procedimento principale sono stati sospesi in attesa dell’esito della causa X, Y e Z.

27.      Nel procedimento principale A, B e C hanno dichiarato che il Ministro ha errato nell’adozione della sua decisione, poiché non ha fondato la sua decisione relativa alla questione se essi fossero omosessuali sulle loro rispettive dichiarazioni concernenti il loro orientamento sessuale. Essi hanno asserito che la posizione del Ministro si poneva in contrasto con gli articoli 1, 3, 4, 7 e 21 della Carta in quanto costituiva diniego di un orientamento sessuale dichiarato.

28.      Il giudice del rinvio ha ritenuto che la verifica di un orientamento sessuale dichiarato sia più complessa della verifica di altri motivi di persecuzione elencati nell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva qualifiche. A tal proposito, ha osservato che negli Stati membri non vi è una modalità uniforme di espletamento di tale verifica (33). Tuttavia, esso ha considerato dubbie le argomentazioni dei richiedenti, secondo cui il Ministro era tenuto ad accettare un orientamento sessuale dichiarato e gli era preclusa una verifica. Alla luce di tali considerazioni, della sentenza della Corte nella causa Y e Z e della causa X, Y e Z (allora pendente), il Raad van State ha chiesto indicazioni sulla questione se il diritto dell’Unione imponga limiti all’inchiesta che le autorità nazionali competenti possono effettuare in relazione all’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente il diritto di asilo. Pertanto, tale giudice sottopone alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Quali limiti siano posti [dalla direttiva qualifiche] e [dalla Carta], e segnatamente dai suoi articoli 3 e 7, alle modalità di valutazione della credibilità di un orientamento sessuale asserito e se detti limiti siano diversi dai limiti vigenti per la valutazione della credibilità di altri motivi di persecuzione e, in tal caso, sotto quale profilo».

29.      A e B, l’UNHCR, i Paesi Bassi, il Belgio, la Repubblica ceca, la Francia, la Germania e la Grecia, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. Ad eccezione di B, della Repubblica ceca e della Germania, tutte le parti hanno anche svolto le loro difese all’udienza del 25 febbraio 2014.

 Valutazione

 Osservazioni preliminari

30.      È diritto consolidato che la Convenzione di Ginevra costituisca la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati. La direttiva qualifiche è stata adottata al fine di aiutare le autorità competenti degli Stati membri ad applicare detta Convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni (34). L’interpretazione delle disposizioni di detta direttiva deve pertanto essere effettuata alla luce dell’impianto sistematico e della finalità di quest’ultima, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. Inoltre, tale interpretazione della direttiva qualifiche deve essere effettuata anche nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta (35).

31.      Nell’ambito del CEAS, la direttiva procedure stabilisce un ambito comune di garanzie idonee ad assicurare il pieno rispetto della Convenzione di Ginevra e dei diritti fondamentali con riferimento alle procedure applicabili per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato negli Stati membri (36).

32.      Tuttavia, né la stessa direttiva procedure né la Convenzione di Ginevra o la Carta stabiliscono norme precise in relazione a come valutare la credibilità di un richiedente che chiede il riconoscimento dello status di rifugiato per uno qualsiasi dei motivi elencati nell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva qualifiche, compreso il fatto di appartenere ad un particolare gruppo sociale a causa dell’orientamento sessuale. Tale valutazione pertanto rientra nell’ambito delle norme nazionali (37); ma il diritto dell’Unione può limitare la discrezionalità degli Stati membri quanto alle norme che possono applicare nella valutazione della credibilità dei richiedenti asilo.

 Qualifica di rifugiato

33.      Come spiega il giudice del rinvio, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale sorge nel contesto di una precedente domanda dello stesso giudice nella causa X, Y e Z (38). Talune questioni relative all’interpretazione della direttiva qualifiche, nella misura in cui si applica alle richieste volte al riconoscimento dello status di rifugiato fondate sull’orientamento sessuale, sono state risolte dalla sentenza della Corte in tale causa. La Corte ha confermato che un orientamento omosessuale è un motivo per affermare che il richiedente è membro di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva (39). La Corte ha spiegato che non ci si deve aspettare che tali richiedenti si comportino in un determinato modo, per esempio esprimendo il loro orientamento sessuale in modo limitato o celando il loro orientamento sessuale nel loro paese di origine (40). In relazione alla valutazione se il timore di persecuzione sia fondato, la Corte ha stabilito che le autorità competenti devono appurare se le circostanze accertate rappresentino o meno una minaccia tale da far fondatamente temere alla persona interessata, alla luce della sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto di atti di persecuzione (41). La valutazione dell’entità del rischio deve in ogni caso essere operata con vigilanza e prudenza ed è fondata unicamente sull’esame concreto dei fatti e delle circostanze conformemente alle disposizioni figuranti, segnatamente, all’articolo 4 della direttiva qualifiche (42).

34.      La presente questione deve essere considerata in tale contesto. Pertanto, essa non richiede, per esempio, che la Corte stabilisca se un richiedente che afferma di essere omosessuale debba automaticamente ottenere lo status di rifugiato all’interno di uno Stato membro. Piuttosto, le fasi stabilite dal sistema normativo comportano la determinazione in primo luogo dell’appartenenza del richiedente ad un particolare gruppo sociale (43). La protezione viene offerta anche nei casi in cui i richiedenti non sono membri di tale gruppo (qui, omosessuale) ma sono percepiti come tali (44). Si deve poi stabilire se un particolare richiedente abbia il timore fondato di persecuzione (45).

35.      La domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice del rinvio non indica se l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva qualifiche sia pertinente in quanto tale. Le circostanze relative alla questione sollevata vengono esposte brevemente e, di conseguenza, in maniera piuttosto astratta. Pertanto, porrò la mia attenzione sulla questione se, ai sensi del diritto dell’Unione, sia consentito alle autorità nazionali competenti verificare se un richiedente sia membro di un particolare gruppo sociale ai fini dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), sulla base della sua omosessualità (piuttosto che semplicemente credergli sulla parola), come debba svolgersi un procedimento di verifica e se vi siano limiti alla modalità mediante la quale tale questione può essere valutata.

 Orientamento sessuale dichiarato dal richiedente

36.      È pacifico tra le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte che la sessualità di un individuo rappresenti una questione altamente complessa, fondamentale per la sua identità personale e nella sfera della sua vita privata. Inoltre, tutte le parti concordano sul fatto che non vi sia una modalità oggettiva di verifica di un orientamento sessuale dichiarato. Tuttavia, vi sono differenti opinioni su come le autorità competenti dello Stato membro debbano verificare se un richiedente sia omosessuale e sia pertanto membro di un gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva qualifiche.

37.      A e B affermano entrambi che solo il richiedente stesso è in grado di definire la propria sessualità e che non è conforme al diritto alla vita privata (46) che le autorità competenti degli Stati membri verifichino un orientamento sessuale dichiarato. A afferma che non vi sono caratteristiche generali tipiche dell’omosessualità e che non vi è consenso in relazione ai fattori che influiscono su un siffatto orientamento sessuale. In tale contesto, le autorità nazionali non hanno la competenza per sostituire la propria valutazione all’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente. Tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte dichiarano che le proprie rispettive autorità nazionali sono competenti a verificare la credibilità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente. La Commissione condivide tale opinione, affermando che è conforme all’articolo 4 della direttiva qualifiche. L’UNHCR afferma che la verifica della dichiarazione di un richiedente relativa al proprio orientamento sessuale è un normale elemento della valutazione fattuale in tali cause e dovrebbe costituire il punto di partenza di un esame di tale questione (47).

38.      Anch’io sono dell’avviso che l’orientamento sessuale di una persona sia una questione complessa, indissolubilmente legata alla sua identità e che rientra nella sfera privata della sua vita. Pertanto, la questione se l’orientamento sessuale dichiarato di un individuo debba essere accettato senza ulteriori verifiche dalle autorità nazionali competenti dovrebbe essere valutata all’interno del seguente contesto. In primo luogo, il diritto alla vita privata è garantito dall’articolo 7 della Carta e la tutela dalla discriminazione fondata anche sull’orientamento sessuale è espressamente prevista dall’articolo 21, paragrafo 1. Tali diritti corrispondono all’articolo 8, letto, ove necessario, in combinato disposto con l’articolo 14, della CEDU (48). Tuttavia, essi non fanno parte dei diritti fondamentali per i quali non è consentita alcuna deroga (49). In secondo luogo, la Corte di Strasburgo ha stabilito che la nozione di «vita privata» è ampia e che non è suscettibile di definizione esaustiva. Ricomprende l’integrità fisica e psichica di un individuo, compresi elementi quali l’orientamento sessuale e la vita sessuale che rientrano nella sfera personale tutelata dall’articolo 8 della CEDU (50).

39.      In terzo luogo, nelle cause relative all’identità di genere e alla transessualità, la Corte di Strasburgo ha stabilito che la nozione di autonomia personale è un principio importante sotteso alle garanzie di cui all’articolo 8 della CEDU (51). È vero che le questioni sollevate dalla suddetta giurisprudenza non sono esattamente le stesse che vengono sollevate ove sia in questione l’orientamento sessuale; tuttavia, ritengo che possano offrire valide indicazioni (52). La Corte di Strasburgo non ha avuto occasione di pronunciarsi sulla questione se l’articolo 8 della CEDU garantisca il diritto a che l’orientamento sessuale dichiarato non sia verificato dalle autorità competenti in particolare nell’ambito di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato. Ho interpretato la giurisprudenza esistente nel senso che essa afferma che la nozione di autonomia personale è un importante principio sotteso all’interpretazione della tutela accordata dall’articolo 8 CEDU, così che gli individui hanno il diritto di definire la propria identità, compreso il proprio orientamento sessuale.

40.      La definizione, da parte di un richiedente, del proprio orientamento sessuale deve pertanto giocare un ruolo importante nell’ambito del processo di valutazione delle domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 4 della direttiva qualifiche. Concordo con l’UNHCR che tale dichiarazione dovrebbe, perlomeno, costituire il punto di partenza del processo di valutazione. Ma agli Stati membri è precluso verificare tali dichiarazioni?

 Valutazione ai sensi della direttiva qualifiche

41.      L’articolo 4 della direttiva qualifiche impone agli Stati membri di valutare tutte le domande di protezione internazionale. Non viene fatta distinzione tra i vari motivi di persecuzione elencati all’articolo 10 di tale direttiva. Ne consegue che i richiedenti che chiedono il riconoscimento dello status di rifugiato sulla base del fatto che sono omosessuali e appartengono ad un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), non sono esenti dal processo di valutazione ai sensi della direttiva (53).

42.      L’articolo 4, paragrafo 1, consente agli Stati membri di porre a carico dei richiedenti l’onere di «(…) produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale (…)» (54). Tale disposizione pone anche a carico degli Stati membri un dovere positivo di agire in cooperazione con il richiedente per valutare gli elementi rilevanti della sua domanda. L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (55). L’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva qualifiche riconosce che un richiedente possa non essere sempre in grado di circostanziare la sua domanda con prove documentali o di altro tipo. Tali prove non sono dunque richieste ove siano soddisfatte le condizioni cumulative di cui all’articolo 4, paragrafo 5, lettere dalla a) alla e) (56).

43.      Ove un richiedente invochi l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato in ragione del fatto che è membro di un particolare gruppo sociale sulla base del suo orientamento sessuale, è – credo – virtualmente inevitabile che l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva entri in gioco. Un orientamento sessuale dichiarato non può essere facilmente verificato in modo oggettivo; ed è improbabile che vi siano prove documentali o di altro tipo a sostegno dell’autodichiarazione del richiedente relativa al suo orientamento sessuale (57). La credibilità quindi diventa la questione centrale.

44.      La valutazione della credibilità di un richiedente è conforme alla Carta e al rispetto dei diritti fondamentali?

45.      Ritengo che lo sia.

46.      L’articolo 18 della Carta garantisce il diritto di asilo nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra e dei trattati. Non vi è un diritto corrispondente nella CEDU, sebbene l’articolo 1 del Protocollo n. 7 preveda talune garanzie in ordine all’espulsione di stranieri. In relazione alle domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto che gli Stati contraenti hanno il diritto, ai sensi del diritto internazionale (salvi i loro obblighi derivanti dal trattato) di controllare l’accesso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri nel loro territorio (58). Ciò non sorprende. Nell’applicazione di una politica di asilo, spetta agli Stati membri stabilire chi siano coloro che hanno davvero necessità di protezione e accoglierli come rifugiati. Allo stesso modo, hanno la facoltà di rifiutare l’assistenza ai falsi richiedenti.

47.      La questione se un richiedente sia membro di un particolare gruppo sociale ai fini dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d) [o sia percepito come membro, rendendo applicabile l’articolo 10, paragrafo 2)] è indissolubilmente legata alla questione se egli abbia un fondato timore di persecuzione (59). La valutazione dell’esistenza di un rischio effettivo deve necessariamente essere rigorosa (60), operata con vigilanza e prudenza. Si tratta di questioni d’integrità della persona umana, di libertà individuali e di valori fondamentali dell’Unione europea (61).

48.      Sebbene l’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente debba necessariamente essere il punto di partenza, le autorità nazionali competenti hanno la facoltà di esaminare tale elemento della richiesta insieme a tutti gli altri elementi al fine di valutare se vi sia un timore fondato di persecuzione ai sensi della direttiva qualifiche e della Convenzione di Ginevra.

49.      Ne consegue ineluttabilmente che le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato sulla base dell’orientamento sessuale, come ogni altra domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, sono soggette ad un processo di valutazione come imposto dall’articolo 4 della direttiva qualifiche. Tale valutazione deve, tuttavia, essere operata nel rispetto dei diritti dell’individuo come garantiti dalla Carta. (Quanto detto è, effettivamente, pacifico tra le parti).

 Valutazione della credibilità

50.      Né la direttiva qualifiche né la direttiva procedure contengono specifiche disposizioni relative alla modalità di valutazione della credibilità di un richiedente. Pertanto, la posizione generale è quella secondo la quale, in mancanza di norme dell’Unione in relazione ad un argomento, spetta al sistema giuridico interno di ogni Stato membro determinare le condizioni procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela conferita dal diritto dell’Unione (62).

51.      Tale posizione generale è soggetta a limiti sulla base del diritto dell’Unione?

52.      A e B sostengono che in ogni valutazione sia necessario accertare i fatti relativi a quanto esposto dal richiedente, che fondano la sua richiesta volta al riconoscimento dello status di rifugiato, e che lo scopo della fase successiva (il processo di cooperazione tra il richiedente e le autorità nazionali) è di determinare se tali fatti possano trovare conferma. Ai richiedenti non può essere imposto di fornire prove a supporto delle richieste volte al riconoscimento dello status di rifugiato con modalità che compromettono la loro dignità o la loro integrità personale. Di conseguenza, modalità quali gli esami medici, le domande sulle esperienze sessuali del richiedente o il raffronto del richiedente in questione con stereotipi omosessuali non sono conformi alla Carta (63).

53.      I Paesi Bassi rilevano che l’articolo 4 della direttiva qualifiche non prevede le modalità secondo le quali debba essere esaminata la dichiarazione di un richiedente relativa alla propria sessualità. Spetta pertanto agli stessi Stati membri determinare tali modalità ai sensi delle norme nazionali. La Repubblica ceca sostiene che debbano essere impiegate le modalità meno invasive rispetto alla vita privata del richiedente. Tuttavia, non può essere escluso il ricorso ad altre procedure se modalità meno impegnative non permettono di stabilire la credibilità del richiedente e se il medesimo acconsente. I governi francese, tedesco e greco concordano che le linee guida UNHCR forniscono utili indicazioni in relazione al processo di valutazione della credibilità. La Germania sostiene che analisi pseudo-mediche o la richiesta ai richiedenti di compiere atti sessuali per stabilire il loro orientamento sessuale si porrebbero in contrasto con l’articolo 1 della Carta. Anche il governo belga promuove le linee guida dell’UNHCR, dichiarando che non è necessario verificare clinicamente o scientificamente l’orientamento sessuale di un richiedente. Ciò che conta è se i fatti esposti dal richiedente siano plausibili. Il diritto alla vita privata viene già tenuto debitamente in considerazione dal testo della direttiva qualifiche e della direttiva procedure. Tale diritto non può pertanto essere fatto valere una seconda volta per ridurre la severità della valutazione o per creare una maggiore flessibilità nelle norme a favore dei richiedenti l’asilo che affermano di essere omosessuali.

54.      L’UNHCR divide i vari metodi di valutazione della credibilità di cui trattasi in due categorie. Alcuni, che si pongono in ogni caso in contrasto con la Carta, vengono descritti come ricompresi in una «lista nera». Essi riguardano: interrogatori invasivi concernenti i dettagli delle pratiche sessuali di un richiedente; esami medici o pseudo-medici, e richieste abusive quanto alle prove, come chiedere ai richiedenti di produrre loro fotografie mentre compiono atti sessuali. La seconda categoria dell’UNHCR viene descritta come «lista grigia»; essa riguarda pratiche che, se non effettuate in maniera adeguata o delicata, rischiano di porsi in contrasto con la Carta. La lista grigia comprende pratiche quali concludere che un richiedente non sia credibile perché non ha utilizzato il suo orientamento sessuale come motivo di richiesta dello status di rifugiato alla prima occasione, o perché non ha dato una risposta corretta a domande su argomenti di carattere generale, per esempio relative alle organizzazioni che rappresentano gli omosessuali nel paese dove viene richiesto l’asilo. La lista grigia dell’UNHCR contempla anche le procedure nazionali che non offrono al richiedente l’opportunità di chiarire elementi che non appaiono credibili.

55.      La Commissione sostiene che la direttiva qualifiche non pone limiti a nessun tipo di prova che può essere presentata a sostegno di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato. Tuttavia, le prove devono essere raccolte in modo da rispettare i diritti fondamentali dei richiedenti. Metodi degradanti o non conformi alla dignità umana, come analisi pseudo-mediche o valutazioni compiute tramite il riferimento a stereotipi, non sono conformi né alla direttiva qualifiche né alla Carta. La Commissione ritiene che non sia possibile dare indicazioni generali ulteriori oltre a quelle già fornite dall’articolo 4 della direttiva qualifiche e dagli articoli 3 e 7 della Carta.

56.      È vero che la direttiva qualifiche non disciplina esplicitamente la discrezionalità degli Stati membri in relazione alle pratiche o alle modalità di valutazione della credibilità di un richiedente. Tuttavia, da ciò non consegue, a mio avviso, che il diritto dell’Unione non ponga limiti a tale discrezionalità.

57.      La Carta prevede norme generali che devono essere applicate nell’attuazione di ogni direttiva. La direttiva qualifiche armonizza attraverso l’introduzione di norme minime per l’ottenimento dello status di rifugiato nell’ambito dell’Unione europea (64). Verrebbe compromesso il CEAS, in particolare il sistema di Dublino, se gli Stati membri dovessero applicare pratiche ampiamente divergenti nella valutazione di tali domande. Non sarebbe auspicabile che dalle differenze nella sua attuazione derivi una maggiore probabilità che le domande vengano accolte in un ordinamento piuttosto che in un altro perché i requisiti probatori sono più facili da soddisfare.

58.      Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, ritengo necessario individuare le pratiche non conformi al diritto dell’Unione. Le osservazioni dell’UNHCR sono particolarmente utili a tal proposito. Nondimeno, non ho adottato le espressioni «lista nera» o «lista grigia» per due ragioni. In primo luogo, predisporre una lista nera implica stabilire norme prescrittive di applicazione generale, incarico più adatto al legislatore. In secondo luogo, nell’ambito del presente procedimento tale qualificazione non porterebbe chiarezza né certezza del diritto perché la valutazione della Corte nell’ambito del procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE è limitata al materiale presentatole e non sarebbe chiaro se ciascuna delle liste fosse intesa come esemplificativa o esaustiva.

59.      Devo anche rilevare che non concordo con la posizione del governo belga, in quanto considero che la questione crei una maggiore flessibilità a favore dei richiedenti lo status di rifugiato sulla base dell’orientamento sessuale. Si tratta piuttosto di stabilire i parametri dell’azione degli Stati membri nell’applicazione della direttiva qualifiche e della direttiva procedure. Di conseguenza, individuerò di seguito le pratiche che considero incompatibili con l’articolo 4 della direttiva qualifiche interpretata alla luce della Carta.

60.      All’interno dell’Unione europea, l’omosessualità non è più considerata una condizione medica o psicologica (65). Non vi sono esami medici riconosciuti che possano essere impiegati al fine di stabilire l’orientamento sessuale di una persona. Quanto al diritto alla vita privata, il diritto di un individuo al suo orientamento sessuale può essere pregiudicato solo ove, inter alia, ciò sia previsto dalla legge e sia conforme al principio di proporzionalità (66).

61.      Dal momento che l’omosessualità non è una condizione medica, qualsiasi presunta analisi medica effettuata per determinare l’orientamento sessuale di un richiedente non potrebbe, a mio avviso, essere ritenuta conforme all’articolo 3 della Carta. Non rispetterebbe neanche il requisito della proporzionalità (articolo 52, paragrafo 1) in relazione alla violazione del diritto alla vita privata e alla vita familiare, poiché, per definizione, una siffatta analisi non può raggiungere l’obiettivo di stabilire l’orientamento sessuale di un individuo. Ne consegue che analisi mediche non possono essere utilizzate al fine di stabilire la credibilità di un richiedente, poiché violano gli articoli 3 e 7 della Carta (67).

62.      Il governo tedesco e l’UNHCR hanno commentato in particolare l’analisi pseudo-medica della fallometria (68) nelle loro rispettive osservazioni. Da quanto ho affermato ai paragrafi 60 e 61 delle presenti conclusioni, che vale mutatis mutandis per tali analisi pseudo-mediche, consegue che ritengo siffatte analisi vietate dagli articoli 3 e 7 della Carta. La fallometria è una modalità particolarmente dubbia di verifica dell’orientamento sessuale. In primo luogo, essa comporta che le autorità nazionali competenti incentivino l’approvvigionamento di pornografia al fine di consentire l’effettuazione di tali analisi. In secondo luogo, essa ignora il fatto che la mente umana sia uno strumento potente e una reazione fisica al materiale posto davanti al richiedente potrebbe essere provocata dall’individuo che immagina qualcosa di diverso dall’immagine che gli viene mostrata. Tali test non riescono a distinguere tra richiedenti sinceri e falsi e sono pertanto chiaramente inefficaci, nonché in violazione di diritti fondamentali.

63.      Ritengo che anche domande esplicite relative alle attività e alle inclinazioni sessuali di un richiedente non siano conformi agli articoli 3 e 7 della Carta. Per la loro stessa natura, tali questioni violano l’integrità dell’individuo come garantita dall’articolo 3, paragrafo 1, della Carta. Sono invasive e violano il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Inoltre, il loro valore probatorio nell’ambito di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato è discutibile. In primo luogo, un falso richiedente può facilmente inventare le informazioni necessarie. In secondo luogo, una siffatta pratica può arrecare disagio a taluni individui (compresi richiedenti sinceri) e pertanto compromettere il principio di cooperazione tra il richiedente e le autorità nazionali (articolo 4, paragrafo 1, della direttiva qualifiche).

64.      Inoltre, la Corte nella sentenza X, Y e Z ha dichiarato che, in relazione all’espressione dell’orientamento sessuale, nulla nel tenore letterale dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva qualifiche indica che il legislatore dell’Unione abbia inteso escludere dall’ambito di applicazione di tale disposizione taluni altri tipi di atti o di espressioni legati all’orientamento sessuale (69). Così, l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva qualifiche non prevede limitazioni quanto all’atteggiamento che i membri di uno specifico gruppo sociale possono adottare relativamente alla loro identità o ai comportamenti rientranti o meno nella nozione di orientamento sessuale ai fini di tale disposizione (70).

65.      Ciò mi fa pensare che in tale sentenza la Corte abbia riconosciuto che le autorità competenti non dovrebbero esaminare le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato sulla base di un archetipo omosessuale. Malauguratamente, un esame basato su domande relative alle attività sessuali di un richiedente implicherebbe effettivamente che tali autorità stiano fondando la loro valutazione su stereotipi in relazione al comportamento omosessuale. Tali domande difficilmente sarebbero in grado di distinguere i richiedenti sinceri dai falsi richiedenti che si sono allenati nella predisposizione della loro domanda, e sono pertanto inappropriate e sproporzionate ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

66.      A mio avviso, imporre ai richiedenti di produrre prove quali film o fotografie o richiedere che compiano atti sessuali al fine di dimostrare il loro orientamento sessuale si pone chiaramente in contrasto con l’articolo 7 della Carta. Aggiungo che, ancora una volta, il valore probatorio di tali prove è dubbio perché esse possono essere fabbricate se necessario e non possono distinguere il richiedente sincero dal falso.

67.      Anche se un richiedente acconsente ad una delle tre pratiche (esami medici (71), interrogatori invasivi o produzione di prove di natura esplicita), tale consenso non cambia la mia valutazione. Il consenso del richiedente ad un’analisi medica per qualcosa (l’omosessualità) che non costituisce una condizione medica riconosciuta i) non può legittimare una violazione dell’articolo 3 della Carta, ii) non aumenterebbe il valore probatorio delle prove ottenute e iii) non può rendere una violazione siffatta dei diritti garantiti dall’articolo 7 della Carta proporzionata ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1. Inoltre, nutro forti dubbi anche in relazione alla questione se possa davvero considerarsi che un richiedente, che è la parte debole nel procedimento di domanda per lo status di rifugiato, abbia dato un consenso pienamente libero e informato alle autorità nazionali competenti in tali circostanze.

68.      Tutte le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte concordano sul fatto che l’orientamento sessuale è una questione complessa. Pertanto, nell’effettuare la valutazione di credibilità le autorità nazionali non dovrebbero applicare nozioni stereotipate alle domande dei richiedenti. Gli accertamenti non dovrebbero basarsi sulla presunzione che vi siano risposte «corrette» e risposte «errate» alle domande dell’esaminatore – per esempio, che un richiedente non è credibile perché non ha provato ansia quando si è reso conto di essere omosessuale e non eterosessuale, o che non dimostra conoscenza di questioni politiche o di attività particolari relative agli omosessuali. Tali pratiche non sono conformi all’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva qualifiche che impone alle autorità competenti di valutare le circostanze individuali e personali del richiedente in questione. Per il buon ordine delle cose, aggiungo che lo scopo del colloquio è invitare il richiedente ad esporre i fatti. Se nel fare ciò egli fornisce volontariamente, per esempio, informazioni sessuali esplicite su se stesso, tale situazione va distinta da quella in cui le autorità competenti gli pongono tale domanda. Tuttavia, spetta ancora a tali autorità valutare la sua credibilità tenendo conto del fatto che informazioni di tale natura non possono determinare il suo orientamento sessuale. A tal proposito richiamo l’attenzione sulle linee guida UNHCR.

69.      Concludo che, poiché non è possibile determinare l’orientamento sessuale di un individuo in modo definitivo, pratiche che si prefiggono di fare ciò non dovrebbero avere nessun ruolo nel processo di valutazione ai sensi dell’articolo 4 della direttiva qualifiche. Tali pratiche violano gli articoli 3 e 7 della Carta. A seconda delle circostanze del caso, potrebbero altresì violare altri diritti garantiti dalla Carta. La valutazione per stabilire se lo status di rifugiato debba essere riconosciuto dovrebbe invece concentrarsi sulla credibilità del richiedente. Ciò significa che occorre valutare se i fatti esposti dal medesimo siano plausibili e coerenti.

 Il processo di valutazione della credibilità

70.      La credibilità di un richiedente viene in primo luogo valutata dalle autorità nazionali competenti (in prosieguo: il «procedimento di primo grado») la cui decisione può essere sottoposta a sindacato giurisdizionale se il richiedente propone appello contro tale decisione dinanzi ai relativi giudici nazionali.

71.      I principi di base e le garanzie del procedimento di primo grado si trovano nel capo II della direttiva procedure (72). Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante (73) relative alle domande di asilo siano adottate previo congruo esame (74). Ai richiedenti deve essere data la facoltà di partecipare ad un colloquio personale prima che l’autorità accertante decida (75). I criteri applicabili al colloquio personale sono stabiliti dall’articolo 13 della direttiva procedure. Essi comprendono il fatto di provvedere affinché il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. Di conseguenza, gli Stati membri devono provvedere affinché i funzionari incaricati di condurre il colloquio abbiano la competenza sufficiente e affinché i richiedenti abbiano accesso ai servizi di un interprete che li assista (76).

72.      In relazione alla valutazione di credibilità, B sostiene che se la Corte non accettasse che la questione dell’orientamento sessuale di un richiedente debba essere stabilita esclusivamente sulla base della sua dichiarazione, allora l’onere della prova dovrebbe spostarsi sulle autorità competenti, che devono dimostrare che egli non è omosessuale.

73.      Non condivido tale posizione. Il procedimento di cooperazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva qualifiche non è un processo. Piuttosto, si tratta di un’opportunità per il richiedente di esporre i fatti e di presentare le sue prove e per le autorità competenti di raccogliere informazioni, di vedere e ascoltare il richiedente, di valutare il suo atteggiamento e di mettere in questione la plausibilità e la coerenza di tali fatti esposti. La parola «cooperazione» presuppone una collaborazione tra le due parti in vista di un obiettivo comune (77). È vero che tale disposizione consente agli Stati membri di imporre al richiedente di produrre gli elementi necessari a fondare la sua domanda. Da ciò non consegue, tuttavia, che sia conforme all’articolo 4 della direttiva qualifiche imporre requisiti probatori che abbiano l’effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile (per esempio, un livello di prova elevato, quale quello oltre ogni ragionevole dubbio o un livello di prova quale quello richiesto nei procedimenti penali o aventi carattere quasi penale) per un richiedente produrre gli elementi necessari a fondare la sua richiesta ai sensi della direttiva qualifiche (78). Né dovrebbe essere imposto al richiedente di «dimostrare» il suo orientamento sessuale in base ad altri (diversi) livelli di prova, dal momento che tale elemento non può essere dimostrato in quanto tale. Pertanto, è importante che il funzionario che effettua l’accertamento abbia l’opportunità di vedere il richiedente mentre espone la sua versione o, perlomeno, che gli sia presentata una relazione complessiva quanto al suo atteggiamento nel corso dell’esame (ritengo preferibile la prima).

74.      I richiedenti lo status di rifugiato sinceri si trovano spesso a chiedere l’asilo perché hanno sofferto supplizi e sopportato circostanze ardue e dolorose. Spesso è necessario dare loro il beneficio del dubbio quando si tratta di valutare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a sostegno delle stesse. Ritengo che questo sia il principio sotteso all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva qualifiche, Tuttavia, quando vengono date informazioni in relazione alle quali vi sono forti ragioni di dubitare la veridicità delle produzioni di un richiedente l’asilo, l’individuo deve fornire una spiegazione soddisfacente alle presunte discrepanze (79).

75.      Ove le autorità competenti ritengano dubbia la credibilità di un richiedente, deve essergli data comunicazione prima che sia presa una decisione sfavorevole?

76.      La direttiva procedure non impone nulla del genere. L’articolo 14, paragrafo 1, impone solamente che sia redatto e fornito al richiedente un verbale degli esiti del colloquio personale, in cui figurino «almeno» le informazioni più importanti in merito alla domanda. Inoltre, lo Stato membro può chiedere al richiedente di approvare il contenuto del verbale, mentre i punti sui quali dissente possono essere eventualmente registrati nel suo fascicolo personale. Al richiedente pertanto deve essere garantita l’opportunità di rettificare taluni elementi prima che sia adottata un decisione o, se non è possibile, dopo la sua adozione nell’ambito di un appello. Inoltre, la decisione con cui viene respinta una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato deve essere corredata di motivazioni e il richiedente deve essere informato dei mezzi per impugnare tale decisione (articolo 9 della direttiva procedure).

77.      Tali procedure (80) sono predisposte per garantire che il richiedente abbia un processo equo in primo grado. Il richiedente ha l’opportunità di presentare il suo caso e di portare ulteriori elementi all’attenzione delle autorità competenti nella fase del colloquio personale. Tuttavia, la direttiva procedure non chiarisce se il legislatore avesse specificamente in mente la misura in cui la valutazione di credibilità possa permettere di determinare cause quali quelle di cui al procedimento principale, in cui viene richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato sulla base dell’orientamento sessuale del richiedente ma non vi sono elementi di prova che corroborano l’omosessualità dichiarata. In tali cause, l’importanza dell’atteggiamento del richiedente mentre espone i fatti è pari all’importanza dei fatti esposti stessi. La direttiva procedure non impone che la decisione sia presa dal funzionario incaricato di condurre il colloquio (ai sensi degli articoli 12 e 13 di tale direttiva). Pertanto, la decisione può essere presa da un funzionario che non ha visto né sentito il richiedente, sulla base di un fascicolo che potrebbe contenere un verbale con spazi vuoti che indica che il richiedente non ha risposto a domande sul suo comportamento sessuale o non ha dimostrato conoscenza dei «diritti dei gay». Se la videoregistrazione di interviste potrebbe mitigare in qualche modo il problema, essa comporta tuttavia rischi propri, specialmente in un settore talmente sensibile.

78.      Nella sentenza M.M. (81) la Corte ha stabilito che il rispetto del diritto ad una buona amministrazione comporta il diritto di ogni individuo di essere ascoltato e si impone quand’anche la normativa applicabile non preveda espressamente siffatta formalità(82). Inoltre, tale diritto garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il suo punto di vista durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi (83).

79.      A seconda delle circostanze del caso, se le autorità competenti omettono di i) informare il richiedente che la sua domanda probabilmente non sarà accolta perché esse dubitano della sua credibilità, ii) comunicargli le ragioni di tale posizione e iii) dargli l’opportunità di rispondere a tali specifiche questioni, ciò può comportare una violazione di tali criteri procedurali generali.

80.      Nelle cause in questione nel procedimento principale, il giudice del rinvio illustra che, ai sensi delle norme procedurali applicate nei Paesi Bassi, ai rispettivi richiedenti deve essere data l’opportunità di fare osservazioni sulle conclusioni delle autorità competenti relative alla questione della credibilità. Ferma restando la necessità di verifica da parte del giudice del rinvio che ciò sia effettivamente avvenuto nelle cause in questione, non ritengo che in esse si sia verificata una siffatta violazione.

81.      L’articolo 4, paragrafo 5, lettera b), della direttiva qualifiche stabilisce che, qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove di altro tipo, tutti gli elementi pertinenti in suo possesso devono essere prodotti e deve essere fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi. Ciò mi fa pensare che le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato debbano garantire che ai richiedenti sia data in particolare l’opportunità di rispondere a domande relative alla loro credibilità in casi in cui le uniche prove del loro orientamento sessuale siano le loro stesse dichiarazioni.

82.      Mi sembrerebbe opportuno e prudente che gli Stati membri provvedano affinché ai richiedenti sia data l’opportunità di rispondere a specifiche questioni relative alla loro credibilità nel corso della fase amministrativa (o del procedimento di primo grado), prima che le autorità accertanti prendano una decisione definitiva.

83.      A e B contestano entrambi la descrizione, operata dal giudice del rinvio, del modo in cui le direttive qualifiche e procedure sono state recepite nel diritto nazionale e del processo di valutazione delle domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato nei Paesi Bassi, in particolare del sistema di sindacato giurisdizionale delle decisioni delle autorità nazionali competenti. Per parte sua, il governo olandese dichiara di ritenere la descrizione del giudice del rinvio competente e accurata. Il giudice del rinvio ha indicato che i giudici dinanzi ai quali sono stati proposti i tre appelli dei richiedenti contro le decisioni del Ministro hanno esaminato la questione della credibilità dei rispettivi richiedenti.

84.      Vi è una questione di principio in relazione a quanto debba essere approfondito il sindacato di una decisione amministrativa sfavorevole allorché la mancanza di credibilità del richiedente è la base per respingere una richiesta volta al riconoscimento dello status di rifugiato. Tale sindacato deve essere limitato a questioni di diritto o deve essere esteso ad un esame degli elementi probatori? Tale questione non è stata sollevata dal giudice del rinvio nel presente procedimento e pertanto non la tratterò qui. Inoltre, siccome scopo del rinvio pregiudiziale non è valutare se i Paesi Bassi siano venuti meno al loro obbligo di recepimento della direttiva qualifiche o della direttiva procedure (non si tratta di procedure d’infrazione), alla Corte non viene richiesto di statuire sulla differenza di opinioni tra A e B e il governo olandese quanto al sistema effettivamente in vigore (84).

85.      I limiti previsti dal diritto dell’Unione che si applicano alla valutazione di credibilità delle domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato fondate sull’orientamento sessuale sono diversi da quelli che si applicano alle domande fondate su altri motivi di persecuzione di cui alla direttiva qualifiche?

86.      A mio avviso, no.

87.      La Carta prevede un contesto generale per l’interpretazione della direttiva qualifiche e della direttiva procedure in relazione a tutti i motivi di persecuzione contenuti nell’articolo 10 della prima. È possibile che vengano invocati diritti fondamentali diversi in relazione a motive diversi. Per esempio, il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (articolo 10 della Carta) potrebbe logicamente essere invocato in relazione ad una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato fondata su motivi di persecuzione religiosa (85). Tuttavia, in tutte le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato la valutazione dei fatti e delle circostanze è soggetta ai criteri stabiliti dall’articolo 4 della direttiva qualifiche e dalla direttiva procedure. Tale opinione è coerente con il principio di non discriminazione contenuto nell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra e nell’articolo 21 della Carta. Le lacune normative che ho individuato sarebbero altrettanto rilevanti in relazione a domande fondate su qualsiasi motivo di persecuzione elencato all’articolo 10 della direttiva qualifiche, in quanto la credibilità del richiedente è la questione fondamentale ove vi siano pochi o nessun elemento probatorio a sostegno.

88.      Ho già rilevato che la questione del giudice del rinvio viene posta in termini astratti e che la Corte ha molto poco materiale a disposizione relativo alle circostanze delle cause individuali nel procedimento principale. Per il buon ordine delle cose, osservo quanto segue in relazione ad esse.

89.      A ha dichiarato alle autorità nazionali competenti la sua disponibilità a sottoporsi ad un esame per dimostrare il suo orientamento omosessuale. A mio avviso, tuttavia, non sarebbe conforme agli articoli 3 e 7 della Carta che tali autorità acconsentissero ad una siffatta procedura al fine di stabilire il suo orientamento sessuale.

90.      Il Ministro ha respinto la domanda di B perché i) ha ritenuto che i fatti esposti da B non fossero adeguati e ii) B non ha soddisfatto le aspettative relative a come dovrebbe reagire un uomo omosessuale, proveniente da una famiglia musulmana e da un paese dove l’omosessualità non è accettata, nel rendersi conto di essere lui stesso omosessuale. Nei limiti in cui la decisione del Ministro sia fondata sul punto i), spetterà al relativo giudice nazionale quale unico giudice dei fatti determinare se a B sia stata data un’opportunità adeguata di fornire tutte le informazioni rilevanti ai sensi dell’articolo 4 della direttiva qualifiche. Al fine di garantire che il diritto di B ad una buona amministrazione sia rispettato, è importante che le autorità nazionali abbiano provveduto affinché B fosse stato informato dei punti in cui gli elementi a sostegno dei fatti da lui esposti sono stati ritenuti carenti e che gli fosse stata concessa l’opportunità di rispondere a tali questioni. Tuttavia, in relazione al punto ii), non sarebbe conforme all’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva che le autorità nazionali fondassero la loro decisione esclusivamente su stereotipi in base ai quali, siccome B è musulmano e proviene da un paese dove l’omosessualità non è accettata, i fatti da lui esposti non possono essere credibili senza una dichiarazione dettagliata sui suoi sentimenti e su come è arrivato ad accettare la sua omosessualità.

91.      Il Ministro ha respinto la domanda di C in quanto ha ritenuto: i) che essa presentasse delle discrepanze; ii) che essa fosse carente di informazioni in quanto C non ha esposto in modo chiaro i fatti relativi al suo rendersi conto di essere omosessuale: e iii) che un film che rappresenta C mentre compie un atto sessuale con un uomo non può accertare il suo orientamento sessuale. In relazione ai punti i) e ii), nei limiti in cui la decisione del Ministro sia fondata su di essi, spetterà al relativo giudice nazionale quale unico giudice dei fatti determinare se a C sia stata data un’opportunità adeguata di fornire tutte le informazioni rilevanti ai sensi dell’articolo 4 della direttiva qualifiche. Al fine di garantire che il diritto di C ad una buona amministrazione sia rispettato, è importante che le autorità nazionali abbiano provveduto affinché C fosse stato informato dei punti in cui gli elementi a sostegno dei fatti da lui esposti sono stati ritenuti carenti e che gli fosse stata concessa l’opportunità di rispondere a tali questioni. Quanto al punto iii), ritengo che si porrebbe in contrasto con gli articoli 3 e 7 della Carta il fatto che le autorità competenti accettino da C la prova di un film che lo mostra mentre compie un atto sessuale.

92.      Infine, suggerisco che sarebbe auspicabile e prudente accertarsi che tutti e tre i richiedenti abbiano avuto l’opportunità di rispondere a qualsiasi questione relativa alla loro credibilità nel corso della fase amministrativa (o del procedimento di primo grado), prima che le autorità competenti prendano una decisione definitiva, e che il funzionario che effettua l’accertamento (preferibilmente) abbia visto il loro atteggiamento quando hanno esposto le loro versioni dei fatti o, perlomeno, abbia accesso ad informazioni che rivelino il loro comportamento nel corso del colloquio.

 Conclusioni

93.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Raad van State (Paesi Bassi) come segue:

Ove una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, presentata ai sensi della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, e valutata ai sensi delle norme della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, sia fondata sulla dichiarazione che un richiedente appartiene ad un particolare gruppo sociale a causa del suo orientamento sessuale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83, tale domanda è soggetta ad una valutazione dei fatti e delle circostanze ai fini dell’articolo 4 della direttiva 2004/83. Lo scopo di tale valutazione è di stabilire se i fatti esposti dal richiedente siano credibili; le autorità competenti, nell’effettuare il loro esame, devono rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare gli articoli 3 e 7 di quest’ultima.

La dichiarazione di un richiedente relativa al proprio orientamento sessuale è un elemento importante da prendere in considerazione. Al contrario, pratiche quali esami medici, esami pseudo-medici, interrogatori invasivi relativi alle attività sessuali del richiedente e l’accoglimento di prove di natura esplicita che lo mostrano mentre compie atti sessuali sono incompatibili con gli articoli 3 e 7 della Carta, e domande generali da parte delle autorità competenti basate su stereotipi relativi agli omosessuali sono incompatibili con la valutazione dei fatti relativa ad un particolare individuo richiesta dall’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/83.


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in prosieguo: la «direttiva qualifiche»); v. infra nota 13. Tale direttiva è stata rifusa, abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337, pag. 9), con effetto dal 21 dicembre 2013.


3 –      Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13; in prosieguo: la «direttiva procedure»); v. infra nota 13. Tale direttiva è stata rifusa, abrogata e sostituita dalla direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU L 180, pag. 60), con effetto dal 21 luglio 2015.


4 –      La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967. Farò riferimento alla Convenzione e al Protocollo congiuntamente come la «Convenzione di Ginevra».


5 –      Firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).


6 –      I diritti fondamentali ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU sono il diritto alla vita (articolo 2), i divieti di tortura, schiavitù e lavori forzati (rispettivamente articoli 3 e 4) e il diritto individuale a non essere punito senza un previo regolare procedimento giudiziario (articolo 7).


7 –      GU 2010, C 83, pag. 389.


8 –      V. infra, paragrafo 78 e nota 83.


9 –      V. considerando 3 della direttiva qualifiche.


10 –      V. considerando 10 delle direttive qualifiche e considerando 8 della direttiva procedure.


11 –      V. considerando 11 e considerando 9 dei preamboli rispettivamente delle direttive qualifiche e procedure.


12 –      V. considerando 8 e articolo 3 della direttiva qualifiche e considerando 7 e articolo 5 della direttiva procedure.


13 –      Oltre alla direttiva qualifiche e alla direttiva procedure, v. direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (GU L 212, pag. 12); direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18), e le misure conosciute come «il sistema di Dublino» (regolamenti Dublino e EURODAC), in particolare il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU L 50, pag. 1). Nel 2013 sono state stabilite nuove norme che disciplinano il CEAS. Ho indicato le misure che sostituiscono le direttive qualifiche e procedure rispettivamente nelle note 2 e 3. Non ho elencato le restanti nuove misure perché tali strumenti non sono direttamente in questione nella presente causa.


14 –      V. considerando da 1 a 4, 6, 7, 8, 10, 11 e 17 della direttiva qualifiche.


15 –      Articolo 9, paragrafo 1.


16 –      Articolo 9, paragrafo 2.


17 –      Articolo 9, paragrafo 3.


18 –      I motivi di persecuzione elencati nell’articolo 10 comprendono i termini razza, religione, cittadinanza e opinion politica.


19 –      V. considerando 2, 3, 5, 7, 8, 10, 13 e 22 della direttiva procedure.


20 –      Articolo 3, paragrafo 1.


21 –      Articolo 4, paragrafo 1.


22 –      Articolo 8, paragrafo 2.


23 –      Articolo 13, paragrafi 1, 2 e 3.


24 –      Articolo 13, paragrafo 3, lettere a) e b).


25 –      Articolo 14, paragrafi 1 e 2.


26 –      Articolo 14, paragrafo 3.


27 –      Articolo 15, paragrafo 1.


28 –      Articolo 23, paragrafo 2.


29 –      Articolo 39, paragrafo 1, lettera a).


30 –      Le norme nazionali sono contenute nell’articolo 31, paragrafo 1, della Vreemdelingenwet 2000 (legge del 2000 sugli stranieri), nell’articolo 3.111, del Vreemdelingenbesluit 2000 (decreto del 2000 sugli stranieri) e nell’articolo 3.35, del Voorschrift Vreemdelingen 2000 (regolamento del 2000 sugli stranieri). Indicazioni relative a tali disposizioni sono contenute nella Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri), in particolare ai paragrafi C2/2.1, C2/2.1.1 e da C14/2.1 a C14/2.4.


31 –      Sentenza Y e Z, C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518, relativa alla nozione di credo religioso ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), della direttiva qualifiche.


32 –      Sentenza X, Y e Z, C‑199/12, C‑200/12 e C‑201/12, EU:C:2013:720.


33 –      V. la relazione a nome di Sabine Jensen e Thomas Spijkerboer, «Fleeing homophobia – asylum claims related to sexual orientation and gender identity in Europe», (in prosieguo: «Fleeing homophobia»), Vrije Universiteit Amsterdam, 2011.


34 –      Sentenza Salahadin Abdulla e a., C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, EU:C:2010:105, punto 52; Y e Z, citata alla precedente nota 31, punto 47, e X, Y e Z, EU:C:2013:720, citata alla nota 32, punto 39.


35 –      Sentenza X, Y e Z, EU:C:2013:720, citata alla nota 32, punto 40. V. anche articolo 10 della Carta.


36 –      V. considerando 2, 3, 5, 7 e 8 del preambolo della direttiva procedure e l’articolo 1 della stessa. V. inoltre sentenza Samba Diouf, C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 34.


37 –      V. la giurisprudenza consolidata che risale alla sentenza Rewe Zentralfinanz, 33/76, EU:C:1976:188, punto 5; più recentemente, v. sentenza Unibet, C‑432/05, EU:C:2007:163, punto 39.


38 –      V. paragrafo 28 delle presenti conclusioni.


39 –      Sentenza X, Y e Z, EU:C:2013:720, citata alla nota 32, punti 46 e 47.


40 –      Sentenza X, Y e Z, EU:C:2013:720, citata alla nota 32, punti da 67 a 69.


41 –      Sentenza X, Y e Z, EU:C:2013:720, citata alla nota 32, punto 72 e giurisprudenza citata.


42 –      Sentenza X, Y e Z, EU:C:2013:720, citata alla nota 32, punto 73 e giurisprudenza citata.


43 –      Articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva qualifiche.


44 –      Articolo 10, paragrafo 2, della direttiva qualifiche.


45 –      Articoli 2, lettera c), e 9 della direttiva qualifiche.


46 –      Come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte di Strasburgo»).


47 –      Per quanto riguarda l’(utile) intervento dell’UNHCR, rilevo che il paragrafo 7 delle linee guida UNHCR sulla protezione internazionale n. 9 (in prosieguo: le «linee guida UNHCR») richiamano i principi di Yogyakarta sull’applicazione del diritto internazionale in materia di diritti umani in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere (in prosieguo: i «principi di Yogyakarta»), adottati nel marzo 2007. I principi di Yogyakarta non sono giuridicamente vincolanti, ma riflettono nondimeno principi consolidati di diritto internazionale. Nel paragrafo 4 del preambolo dei principi di Yogyakarta, «l’orientamento sessuale» fa riferimento alla «capacità di ciascuno di provare una profonda attrazione emotiva, affettiva e sessuale nei confronti di individui di diverso genere o dello stesso genere o di entrambi e di intrattenere relazioni intime e sessuali con tali individui».


48 –      La Corte di Strasburgo ha dovuto esaminare varie cause in cui veniva lamentata una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale nella sfera della vita privata e familiare; v. sentenza Corte Eur. D.U., X e altri c. Austria [GC], n. 19010/07, punto 92 e giurisprudenza citata, Recueil des arrêts et décisions 2013, relativa all’interpretazione dell’articolo 8 CEDU considerato separatamente e letto in combinato disposto con l’articolo 14 CEDU.


49 –      V. nota 6.


50 –      Sentenza Corte Eur. D.U., Van Kück c. Germania, n. 35968/97, punto 69 e giurisprudenza citata, Recueil des arrêts et décisions 2003‑VII.


51 Sentenza Van Kück c. Germania citata alla nota 50, punti 69 e da 73 a 75.


52 V., per esempio, sentenza Corte Eur. D.U., Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], n. 28957/95, Recueil des arrêts et décisions 2002‑VI, e Van Kück c. Germania citata alla nota 50. Nella causa Goodwin la questione era se, non avendo riconosciuto la conversione del sesso della richiedente, il Regno Unito non avesse rispettato taluni obblighi di garantire, in particolare, il suo diritto alla vita privata. La richiedente nella causa Van Kück affermava che le decisioni dei giudici tedeschi e i relativi procedimenti, che respingevano le sue domande di rimborso delle spese mediche affrontate per i trattamenti di conversione del sesso, violavano, inter alia, il suo diritto alla vita privata nella misura in cui i giudici chiedevano la dimostrazione che la conversione del sesso fosse l’unico possibile trattamento per la sua condizione.


53 –      V. considerando 11 della direttiva qualifiche e il principio di non discriminazione contenuto nell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra e nell’articolo 21 della Carta.


54 –      Gli elementi menzionati dall’articolo 4, paragrafo 1, sono elencati in dettaglio all’articolo 4, paragrafo 2; vedi paragrafo 9 delle presenti conclusioni. V. anche sentenza M.M., C‑277/11, EU:C:2012:744, punto 73.


55 –      Articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva qualifiche, V. anche articolo 8, paragrafo 2, della direttiva procedure.


56 –      V. paragrafo 9 delle presenti conclusioni.


57 –      V. paragrafi 60 e 61 delle presenti conclusioni.


58 –      Sentenza Corte Eur. D.U., del 18 dicembre 2012, F.N. e altri c. Svezia, n. 28774/09, punto 65 e giurisprudenza citata.


59 –      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva qualifiche.


60 –      Sentenza Corte Eur. D.U., del 27 giugno 2013, M.K.N. c. Svezia, n. 72413/10, punto 27 e giurisprudenza citata.


61 –      Sentenza Salahdin Abdulla e a., EU:C: 2010:105, citata alla nota 34, punto 90.


62 –      V., per esempio, sentenza Agrokonsulting, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 36.


63 –      I richiedenti fanno riferimento agli articoli 1, 3, 4 (i diritti fondamentali), 7, 18, 19, 21 e 41 della Carta.


64 –      Articolo 1 della direttiva.


65 –      La classificazione ICD‑9 dell’Organizzazione mondiale della sanità (1977) qualificava l’omosessualità come malattia mentale; è stata rimossa dalla classificazione ICD‑10, con l’approvazione della quarantatreesima Assemblea mondiale della sanità il 17 maggio 1990 [La International Classification of Diseases (ICD) è lo strumento diagnostico standard per l’epidemiologia, la gestione della sanità e per fini clinici].


66 –      Articolo 7 letto in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.


67 –      Le analisi mediche effettuate senza il consenso del richiedente potrebbero violare gli articoli 1 e 4 della Carta. Sarebbero chiaramente incompatibili con l’articolo 4 della direttiva qualifiche, dal momento che sono incompatibili con il principio di cooperazione. Nella sentenza della Corte Eur. D.U., Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, Recueil des arrêts et décisions 2006‑XI, la Corte di Strasburgo ha stabilito principi generali relativi all’interpretazione dell’articolo 3 della CEDU (che corrisponde all’articolo 4 della Carta) concernente l’effettuazione di analisi mediche. I maltrattamenti devono raggiungere un livello minimo di severità per rientrare nell’ambito dell’articolo 3. Tale valutazione è relativa; dipende da tutte le circostanze del caso in questione ed è soggetta ad un onere della prova gravoso, oltre ogni ragionevole dubbio (v. punto 67). La Corte di Strasburgo ha anche preso in considerazione nella sua valutazione la questione se l’obiettivo del trattamento medico sia di umiliare e degradare la persona interessata (v. inoltre punti 68 e da 69 a 74).


68 –      Le analisi fallometriche si concentrano sulla reazione fisica dell’individuo alla pornografia che può includere materiale eterosessuale o omosessuale (maschile e femminile). V. inoltre paragrafo 6.3.5. della relazione «Fleeing homophobia», citata alla nota 33.


69 –      Al di fuori di tali atti penalmente rilevanti ai sensi del diritto interno degli Stati membri, v. punto 67. V. anche paragrafo 34 delle presenti conclusioni.


70 –      V. sentenza X, Y e Z, EU:C:2013:720, citata alla nota 32, punto 68.


71 –      V. articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della Carta.


72 –      Obiettivo di tale direttiva è stabilire norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; v. articolo 1.


73 –      L’«autorità accertante» rientra nel termine «autorità competenti» di cui alla direttiva qualifiche.


74 –      I criteri applicabili a tale esame sono stabiliti dall’articolo 8, paragrafo 2, lettere dalla a) alla c), della direttiva procedure. V. inoltre articoli da 9 a 11 di tale direttiva relativi ai criteri per una decisione dell’autorità accertante, alle garanzie per i richiedenti e agli obblighi di questi ultimi.


75 –      Articolo 12, paragrafo 1, della direttiva procedure.


76 –      Articolo 13, paragrafo 3, della direttiva procedure.


77 –      V. le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa M.M., EU:C:2012:253, citata alla nota 54, paragrafo 59.


78 –      V., per esempio, sentenza San Giorgio, 199/82, EU:C:1983:318, punto 14, relativa a norme nazionali che imponevano un prova che di fatto rendeva praticamente impossibile ottenere il rimborso dei tributi riscossi in contrasto col diritto (allora) comunitario. A tal proposito, secondo costante giurisprudenza, il principio di effettività vieta agli Stati membri di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione; v. sentenza Littlewood Retail Ltd e a., C‑591/10, EU:C:2012:478, punto 28 e giurisprudenza citata.


79 –      Corte Eur. D.U., J.H c. Regno Unito, del 20 dicembre 2011, n. 48839/09, punto 50, e giurisprudenza citata.


80 –      Articolo 4 della direttiva qualifiche letto in combinato disposto con la direttiva procedure.


81 –      EU:C:2012:774, citata alla nota 54.


82 –      Sentenza M.M., EU:C:2012:744, citata alla nota 54, punti 83 e 86 e giurisprudenza citata.


83 –      Sentenza M.M., EU:C:2012:744, citata alla nota 54, punto 87. L’articolo 41 della Carta è, in quanto tale, diretto esclusivamente alle istituzioni dell’Unione e non agli Stati membri; v., per esempio, sentenza Cicala, C‑482/10, EU:C:2011:868, punto 28. Tuttavia, come la Corte ha spiegato nella sentenza M.M., gli Stati membri sono soggetti ai principi generali contenuti in tale disposizione.


84 –      Sentenza Sjöberg e Gerdin, C‑447/08 e C‑448/08, EU:C:2010:415, punto 45.


85 –      Articolo 10, paragrafo 2, lettera b), della direttiva qualifiche.