Language of document : ECLI:EU:C:2006:517

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

7 settembre 2006 (*)

«Direttiva 1999/70/CE – Clausole 1, lett. b), e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – Costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione delle norme che disciplinano i contratti a tempo determinato stipulati in successione – Possibilità di deroga per i contratti di lavoro conclusi con una pubblica amministrazione »

Nel procedimento C‑53/04,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Genova, con decisione 21 gennaio 2004, pervenuta alla Corte il 10 febbraio 2004, nella causa tra

Cristiano Marrosu,

Gianluca Sardino

e

Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dal sig. R. Schintgen (relatore), dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. G. Arestis e J. Klučka, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 luglio 2005,

considerate le osservazioni presentate:

–        per i sigg. Marrosu e Sardino, dagli avv.ti G. Bellieni e A. Lanata;

–        per l’Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate, dall’avv. C. Ciminelli;

–        per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dai sigg. D. Del Gaizo e P. Gentili, avvocati dello Stato;

–        per il governo ellenico, dal sig. I. Bakopoulos, in qualità di agente;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra N. Yerrell e dal sig. A. Aresu, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 20 settembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole 1, lett. b), e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia sorta tra i sigg. Marrosu e Sardino e il loro datore di lavoro, l’Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate (in prosieguo: l’«azienda ospedaliera»), avente ad oggetto il mancato rinnovo dei contratti di lavoro che li legavano a quest’ultima.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3        Ai sensi della clausola 1, l’accordo quadro ha l’obiettivo di:

«a)      migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;

b)      creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».

4        La clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro prevede che questo «si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».

5        Ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro:

«1.      Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a)      ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b)      la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c)      il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2.      Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:

a)      devono essere considerati “successivi”;

b)      devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

6        Conformemente all’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri erano tenuti a mettere in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi ad essa al più tardi entro il 10 luglio 2001.

 La normativa nazionale

7        Con la legge 29 dicembre 2000, n. 422, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2000 (Supplemento ordinario alla GURI n. 16, del 20 gennaio 2001; in prosieguo: la «legge n. 422/2000»), il legislatore nazionale ha delegato il governo ad emanare i decreti legislativi necessari per l’attuazione delle direttive comunitarie di cui agli allegati A e B di tale legge. Nell’allegato B è menzionata segnatamente la direttiva 1999/70.

8        L’art. 2, primo comma, lett. b), della legge n. 422/2000 dispone in particolare che, «per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse (…)» e la stessa disposizione, alla lett. f), enuncia che «i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime (…)».

9        Il 6 settembre 2001, il governo italiano ha adottato, fondandosi sull’art. 2, primo comma, lett. f), della legge n. 422/2000, il decreto legislativo n. 368, concernente l’attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235 del 9 ottobre 2001, pag. 4; in prosieguo: il «d. lgs. n. 368/2001»).

10      L’art. 1, primo comma, del d. lgs. n. 368/2001 prevede che «è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo».

11      Ai sensi dell’art. 4, primo comma, del d. lgs. n. 368/2001, il termine del contratto di lavoro può essere prorogato una sola volta, quando la sua durata iniziale sia inferiore a tre anni, «a condizione che [la proroga] sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato». Tuttavia, in tale ipotesi, la durata complessiva del detto contratto non potrà essere superiore ai tre anni.

12      L’art. 5 del d. lgs. n. 368/2001, intitolato «Scadenza del termine e sanzioni. Successione dei contratti», così dispone:

«1.      Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell’articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore.

2.      Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

3.      Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell’articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

4.      Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto».

13      L’art. 10 del d. lgs. n. 368/2001 contiene una lista di casi in cui è esclusa l’applicazione della nuova regolamentazione relativa ai contratti a durata determinata. Nessuno di tali casi riguarda l’amministrazione pubblica.

14      Il d. lgs. n. 368/2001 è entrato in vigore, secondo il giudice del rinvio, il 21 settembre 2001. Il suo art. 11, primo comma, precisa che, «[d]alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogate (…) tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto legislativo». Il terzo comma di tale articolo aggiunge che «i contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza».

15      Peraltro, in forza dell’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, concernente norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106 del 9 maggio 2001; in prosieguo: il «d. lgs. n. 165/2001»):

«1.      Le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. I contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo (…).

2.      In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave».

16      Il giudice del rinvio sottolinea che la Corte costituzionale ha giudicato, nella sua sentenza 13 marzo 2003, n. 89, che l’art. 36, secondo comma, prima frase, del d. lgs. n. 165/2001 è conforme ai principi costituzionali di uguaglianza e di buon andamento dell’amministrazione, sanciti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione italiana. La Corte costituzionale ha considerato che il principio fondamentale secondo cui l’accesso all’impiego negli enti pubblici si effettua mediante concorso, in applicazione dell’art. 97, terzo comma, della Costituzione, rende legittima la differenza di trattamento esistente tra i lavoratori del settore privato e quelli dell’amministrazione pubblica nel caso di accertata illegittimità al momento della conclusione di una successione di contratti a tempo determinato.

 Causa principale e questione pregiudiziale

17      I ricorrenti nella causa principale sono stati impiegati, con la qualifica di «operatore tecnico cuoco», presso l’azienda ospedaliera in virtù di una serie di contratti a tempo determinato, gli ultimi dei quali conclusi nel corso del gennaio 2002 per una durata di sei mesi.

18      Tali assunzioni sono state effettuate sulla base di una graduatoria redatta in esito ad una selezione pubblica, indetta nel 1998 dall’azienda ospedaliera per l’assunzione di personale a tempo determinato con la qualifica di «operatore tecnico cuoco», selezione alla quale i ricorrenti nella causa principale avevano partecipato con successo.

19      Gli ultimi contratti a durata determinata, giunti a scadenza nel corso del luglio 2002, non sono stati rinnovati dall’azienda ospedaliera, la quale ha proceduto al licenziamento formale dei ricorrenti nella causa principale, quando questi si sono presentati al loro posto di lavoro alla scadenza dei rispettivi contratti.

20      I ricorrenti nella causa principale hanno impugnato l’atto di licenziamento dinanzi al Tribunale di Genova, chiedendo a quest’ultimo, da un lato, di dichiarare, in applicazione del d. lgs. n. 368/2001, la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’azienda ospedaliera, decorrente dalla data d’inizio dei primi rapporti di lavoro in corso al momento dell’entrata in vigore di tale decreto legislativo, e, dall’altro, di condannare tale azienda al pagamento delle retribuzioni dovute e al risarcimento del danno subito.

21      Nella fattispecie, il giudice del rinvio constata, per ciascuno dei casi controversi dinanzi ad esso, che sono trascorsi otto giorni tra la data di scadenza del penultimo contratto concluso con l’azienda ospedaliera e quella di inizio dell’ultimo contratto. Orbene, l’art. 5, terzo comma, del d. lgs. n. 368/2001 prevede che, qualora un lavoratore venga riassunto a termine «entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi», il secondo contratto si considera automaticamente concluso a tempo indeterminato.

22      L’azienda ospedaliera sostiene che l’art. 5 del d. lgs. n. 368/2001 non è applicabile al caso di specie, poiché l’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001 vieta alle amministrazioni pubbliche di concludere contratti di lavoro a tempo indeterminato.

23      Il giudice del rinvio osserva che l’accordo quadro non identifica alcun settore d’attività che possa essere sottratto al suo campo di applicazione, ad eccezione di alcuni rapporti di formazione professionale o di lavoro considerati alla clausola 2, punto 2, dello stesso accordo quadro, che sono però estranei alla causa di cui tale giudice è stato investito. Inoltre, la legge n. 422/2000, che ha delegato il governo ad attuare la direttiva 1999/70, non avrebbe previsto nessuna limitazione quanto alla sua applicazione al settore del pubblico impiego. Infatti, il d. lgs. n. 368/2001 non conterrebbe alcuna restrizione di tal sorta. Essendo successivo al d. lgs. n. 165/2001, esso avrebbe addirittura abrogato espressamente «tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto legislativo».

24      Il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità dell’art. 36, secondo comma, prima frase, del d. lgs. n. 165/2001 con il diritto comunitario, in quanto, trattandosi delle conseguenze di una violazione delle norme imperative concernenti la successione di contratti di lavoro a tempo determinato, tale frase opera una distinzione molto netta tra questi, a seconda che essi siano stati conclusi con amministrazioni pubbliche o con datori di lavoro appartenenti al settore privato. A tal riguardo, detto giudice osserva che la tutela risarcitoria, che nell’ordinamento giuridico interno ha carattere generale, non può essere considerata equivalente alla reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato, tenuto conto in particolare dei problemi di onere della prova del danno che essa pone al lavoratore. Quest’ultima forma di tutela risponderebbe meglio all’esigenza di prevenire gli abusi cui potrebbe dare corso un datore di lavoro che stipulasse una serie di contratti a tempo determinato.

25      Alla luce di ciò, il Tribunale di Genova ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva 1999/70/CE (articolo 1 nonché clausole 1, lett. b, e clausola 5 dell’accordo quadro (…)) debba essere intesa nel senso che osta ad una disciplina interna (previgente all’attuazione della direttiva stessa) che differenzia i contratti di lavoro stipulati con la pubblica amministrazione, rispetto ai contratti con datori di lavoro privati, escludendo i primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione di regole imperative sulla successione dei contratti a termine».

 Sulla questione pregiudiziale

 Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.

 Osservazioni presentate alla Corte

26      L’azienda ospedaliera ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile, in quanto la direttiva 1999/70 non sarebbe direttamente applicabile alla causa principale, in considerazione della mancanza di efficacia diretta orizzontale delle direttive, poiché essa non dipende né dallo Stato italiano né da alcun ministero. Si tratterebbe di un’azienda autonoma con propri dirigenti, che hanno l’obbligo, nell’ambito della loro gestione, di applicare le norme del diritto interno, che non potrebbero sindacare e a cui non potrebbero derogare.

27      Il governo italiano sostiene anch’esso che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile. Esso considera, da un lato, che tale domanda sia puramente ipotetica in quanto il giudice del rinvio, il quale è l’unico competente ad interpretare le norme di diritto interno, non avrebbe alcun dubbio circa l’applicabilità, nella causa principale, dell’art. 5 del d. lgs. n. 368/2001, il quale costituisce una deroga all’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001.

28      Esso ritiene, dall’altro, che tale domanda non abbia alcuna rilevanza per la soluzione della causa principale, in quanto i primi contratti sono stati conclusi prima della scadenza del termine per il recepimento della direttiva 1999/70, fissato al 10 luglio 2001.

 Giudizio della Corte

29      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’eccezione di irricevibilità sollevata dall’azienda ospedaliera, è sufficiente rilevare che risulta dalla decisione di rinvio che il giudice nazionale considera provato il fatto che tale azienda costituisce un ente del settore pubblico collegato alla pubblica amministrazione. Ora, secondo una giurisprudenza costante, una direttiva può essere fatta valere non solo nei confronti delle autorità statali, ma anche nei confronti di organismi o enti sottoposti all’autorità o al controllo dello Stato o che dispongono di poteri che oltrepassano quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli, quali enti territoriali o organismi che, indipendentemente dalla loro forma giuridica, sono stati incaricati, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio d’interesse pubblico (sentenze 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, Racc. pag. 1839, punto 31; 12 luglio 1990, causa C‑188/89, Foster e a., Racc. pag. I-3313, punto 19, nonché 5 febbraio 2004, causa C‑157/02, Rieser Internationale Transporte, Racc. pag. I‑1477, punto 24).

30      Pertanto, la suddetta eccezione di irricevibilità non può essere accolta nel caso di specie.

31      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la prima eccezione di irricevibilità sollevata dal governo italiano, occorre constatare che risulta dalla giurisprudenza che, nell’ambito di un procedimento introdotto ai sensi dell’art. 234 CE, non spetta certamente alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale o sulla compatibilità delle disposizioni di diritto nazionale con il diritto comunitario (v., segnatamente, sentenze 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger, Racc. pag. 349, in particolare pag. 366, e 8 settembre 2005, causa C‑40/04, Yonemoto, Racc. pag. I‑7755, punto 27).

32      Tuttavia, si deve rilevare che, per giurisprudenza costante, nell’ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali, istituita dal medesimo articolo del Trattato CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., segnatamente, sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman, Racc. pag. I‑4921, punto 59, e 10 novembre 2005, causa C-316/04, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, Racc. pag. I‑9759, punto 29).

33      È solo in ipotesi eccezionali che spetta alla Corte esaminare le condizioni in presenza delle quali è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (v., in tal senso, sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia, Racc. pag. 3045, punto 21). La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo quando risulta manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa principale, quando il problema è di natura ipotetica o quando la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, citate sentenze Bosman, punto 61, e Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, punto 30).

34      Orbene, nel caso di specie non si può validamente sostenere che l’interpretazione della direttiva 1999/70 non abbia alcuna relazione con la realtà o l’oggetto della causa principale o che il problema sia di natura ipotetica, in quanto l’interpretazione chiesta dal giudice del rinvio è diretta precisamente a permettere a questo di rispondere ad una questione relativa alla compatibilità di una disposizione del diritto nazionale con tale direttiva.

35      Anche questa eccezione di irricevibilità deve pertanto essere respinta.

36      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la seconda eccezione di irricevibilità sollevata dal governo italiano, basta constatare che risulta dalla direttiva 1999/70, il cui termine di recepimento è scaduto il 10 luglio 2001, che quest’ultima è diretta a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato e che le sue disposizioni vertono principalmente sul rinnovo dei contratti a tempo determinato e sulle condizioni alle quali tale rinnovo è subordinato. Ora, i rinnovi dei contratti su cui verte la causa principale sono intervenuti rispettivamente in data 10 e 11 gennaio 2002 e sono dunque posteriori alla data in cui detta direttiva doveva essere recepita nel diritto nazionale. Di conseguenza, non può essere validamente sostenuto che l’interpretazione di quest’ultima sia del tutto priva di rilevanza per la soluzione della controversia all’esame del giudice del rinvio.

37      Dalle considerazioni che precedono risulta che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Nel merito

38      Con la sua domanda, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’accordo quadro debba essere interpretato nel senso che esso osti ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso risultante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi ultimi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre una tale trasformazione è prevista per quanto riguarda i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato.

39      Al fine di risolvere tale questione, occorre innanzi tutto rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano in udienza, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro si applicano ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri enti del settore pubblico (sentenza 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I‑6057, punto 54).

40      Infatti, le disposizioni di questi due atti non contengono alcuna indicazione dalla quale possa dedursi che il loro campo di applicazione si limiterebbe ai contratti a tempo determinato conclusi dai lavoratori con i datori di lavoro del solo settore privato (sentenza Adeneler e a., cit., punto 55).

41      Al contrario, da un lato, come risulta dalla stessa formulazione della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, il campo di applicazione di quest’ultimo viene inteso in senso lato, riguardando in maniera generale i «lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro». Inoltre, la definizione della nozione di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro, enunciata nella clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 56).

42      Dall’altro, la clausola 2, punto 2, dello stesso accordo quadro, lungi dal prevedere l’esclusione dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con un datore di lavoro del settore pubblico, si limita a offrire agli Stati membri e/o alle parti sociali la facoltà di sottrarre al campo di applicazione di tale accordo quadro i «rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato», nonché i contratti e rapporti di lavoro «definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici» (sentenza Adeneler e a., cit., punto 57).

43      Occorre ricordare anche che, come risulta dalla clausola 1, lett. b), dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

44      A tal fine la clausola 5, punto 1, impone agli Stati membri l’obbligo di introdurre nel loro ordinamento giuridico almeno una delle misure elencate nel detto punto 1, lett. a)‑c), qualora non siano già in vigore nello Stato membro interessato disposizioni normative equivalenti volte a prevenire in modo effettivo l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza Adeneler e a., cit., punto 65).

45      Tuttavia, occorre rilevare che, come si desume dalla sua formulazione, tale disposizione riconosce agli Stati membri la facoltà, in quanto ciò sia oggettivamente giustificato, di tenere in considerazione le esigenze particolari degli specifici settori d’attività e/o delle categorie di lavoratori considerate.

46      Vero è che la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro non riconosce esplicitamente la stessa facoltà agli Stati membri per ciò che riguarda la fissazione delle condizioni alle quali i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione debbano essere considerati come conclusi per una durata indeterminata.

47      Tuttavia, dal momento che tale disposizione non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi (sentenza Adeneler e a., cit., punto 91), essa lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia.

48      Ne consegue che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

49      Tuttavia, come risulta dal punto 105 della citata sentenza Adeneler e a., affinché una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione.

50      Per quanto riguarda quest’ultima condizione, occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti.

51      Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 94).

52      Anche se le modalità di attuazione di siffatte norme attengono all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere tuttavia meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenze 14 dicembre 1995, causa C‑312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I‑4599, punto 12, nonché Adeneler e a., cit., punto 95).

53      Ne consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Infatti, secondo i termini stessi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta] direttiva» (sentenza Adeneler e a., cit., punto 102).

54      Non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto interno, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio, il quale deve, nella fattispecie, determinare se i requisiti ricordati ai tre punti precedenti siano soddisfatti dalla normativa nazionale pertinente. Tuttavia la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può fornire, ove necessario, precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (v. sentenza 21 febbraio 2006, causa C‑255/02, Halifax e a., Racc. pag. I‑1609, punti 76 e 77).

55      A tal riguardo occorre rilevare che una normativa nazionale quale quella controversa nella causa principale, che prevede norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato, nonché il diritto al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa del ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, sembra prima facie soddisfare i requisiti ricordati ai punti 51-53 della presente sentenza.

56      Tuttavia, spetta al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché l’attuazione effettiva dell’art. 36, secondo comma, prima frase, del d. lgs. n. 165/2001 ne fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.

57      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la questione sollevata dichiarando che l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

 Sulle spese

58      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

Firme


* Lingua processuale: l'italiano.