Language of document : ECLI:EU:C:2019:392

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate l’8 maggio 2019 (1)

Causa C168/18

Pensions- Sicherungs- Verein VVaG

contro

Günther Bauer

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesarbeitsgericht (Tribunale federale del lavoro, Germania)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Tutela dei lavoratori in caso d’insolvenza del datore di lavoro – Direttiva 2008/94/CE – Articolo 8 – Regimi di previdenza complementare – Tutela del diritto a prestazioni di vecchiaia – Ambito di applicazione – Compensazione di una precedente riduzione della pensione da parte dell’ex datore di lavoro – Livello minimo di tutela garantito – Effetti diretti nei confronti di un ente che fornisce previdenza complementare aziendale»






1.        L’articolo 8 della direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela del lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (GU 2008, L 283, pag. 36), prevede che un ente che fornisce l’assicurazione contro l’insolvenza, responsabile delle pensioni complementari aziendali, si faccia carico dei pagamenti che un datore di lavoro, ora in stato d’insolvenza, aveva l’obbligo di effettuare ad un ex dipendente al fine di conformarsi ad un obbligo giuridico? Se, da un lato, la domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dal Bundesarbeitsgericht (Tribunale federale del lavoro, Germania) pone essenzialmente tale questione, dall’altro essa chiede altresì alla Corte di pronunciarsi ancora una volta sull’ambito di applicazione e sull’interpretazione di detta disposizione.

2.        L’obbligo di cui trattasi deriva dal diritto nazionale, secondo il quale i datori di lavoro sono tenuti a compensare eventuali riduzioni nelle prestazioni pensionistiche corrisposte da una cassa mutua quando tali prestazioni venivano corrisposte sulla base di contributi del datore di lavoro.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Direttiva 80/987

3.        La direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU 1980, L 283, pag. 23), prevedeva all’articolo 8:

«Gli Stati membri si assicurano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e quelli delle persone che hanno già lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo, per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale».

4.        La direttiva 80/987 è stata abrogata dalla direttiva 2008/94, che è entrata in vigore il 17 novembre 2008.

2.      Direttiva 2008/94

5.        I considerando 3, 6, 7 e 9 della direttiva 2008/94 prevedono:

«(3)      Sono necessarie disposizioni per tutelare i lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro e per assicurare loro un minimo di tutela, in particolare per garantire loro il pagamento dei diritti non pagati, tenendo conto della necessità di un equilibrato sviluppo economico e sociale nella Comunità. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero creare un organismo che garantisca ai lavoratori interessati il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati.

(…)

(6)      Per garantire la certezza del diritto per i lavoratori subordinati nei casi d’insolvenza di imprese che svolgono la loro attività in più Stati membri e per consolidare i diritti dei lavoratori subordinati secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, è opportuno prevedere disposizioni che indichino esplicitamente l’organismo competente per il pagamento in tali casi delle spettanze pendenti dei lavoratori subordinati, oltre a fissare quale obiettivo della cooperazione tra le amministrazioni competenti degli Stati membri la massima celerità nel pagamento ai lavoratori subordinati dei diritti non corrisposti loro. (…)

(7)      Gli Stati membri possono stabilire limitazioni alla responsabilità degli organismi di garanzia, limitazioni che devono essere compatibili con l’obiettivo sociale della direttiva e possono tener conto dei diversi livelli dei diritti.

(…)

(9)      (…) La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».

6.        L’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva così recita:

«La presente direttiva si applica ai diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei confronti di datori di lavoro che si trovano in stato di insolvenza ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1».

7.        Conformemente all’articolo 2, paragrafo 2 della direttiva 2008/94:

«La presente direttiva non pregiudica il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione dei termini “lavoratore subordinato”, “datore di lavoro”, “retribuzione”, “diritto maturato” e “diritto in corso di maturazione”.

Tuttavia gli Stati membri non possono escludere dall’ambito di applicazione della presente direttiva:

(a)       i lavoratori a tempo parziale ai sensi della direttiva 97/81/CE;

(b)       i lavoratori con contratto a tempo determinato ai sensi della direttiva 1999/70/CE;

(c)       i lavoratori aventi un rapporto di lavoro interinale ai sensi dell’articolo 1, punto 2, della direttiva 91/383/CEE».

8.        L’articolo 8 della direttiva 2008/94 stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri si accertano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e quelli delle persone che hanno lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo, per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale».

9.        L’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/94 prevede:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare e di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli per i lavoratori subordinati».

B.      Diritto nazionale

10.      L’articolo 1 del Gesetz zur Verbesserung der betrieblichen Altersversorgung (Betriebsrentengesetz) (legge per il miglioramento dei regimi pensionistici aziendali; in prosieguo: la «legge sulle pensioni»), rubricato «Impegno del datore di lavoro a fornire una previdenza complementare aziendale», prevede (come da ultimo modificato dalla legge del 17 agosto 2017) quanto segue:

«Qualora il datore di lavoro si impegni a fornire al lavoratore, in ragione del rapporto di lavoro con questi intercorrente, prestazioni di vecchiaia (…) (previdenza complementare aziendale), trovano applicazione le disposizioni della presente legge. La previdenza complementare aziendale può essere attuata direttamente dal datore di lavoro oppure tramite uno degli organismi previdenziali di cui all’articolo 1b, paragrafi da 2 a 4. Il datore di lavoro risponde dell’adempimento delle prestazioni promesse anche qualora l’attuazione non venga assicurata da lui direttamente».

11.      L’articolo 1b della legge sulle pensioni elenca tra l’altro le possibilità a disposizione del datore di lavoro con riferimento alla previdenza complementare aziendale. Esso prevede, in sostanza, che il datore di lavoro possa concludere un’assicurazione sulla vita del lavoratore (paragrafo 2) oppure che la previdenza complementare aziendale – come nel caso di specie – possa essere assicurata da una Pensionskasse (cassa mutua per le pensioni) o da un Pensionsfonds (fondo pensionistico) (paragrafo 3) oppure da una cosiddetta Unterstützungskasse (cassa mutua previdenziale) (paragrafo 4).

12.      L’articolo 7, paragrafo 1, della legge sulle pensioni, rubricato: «Portata della copertura assicurativa», così recita:

«I beneficiari di una prestazione previdenziale, i cui diritti non possono essere soddisfatti in forza di un impegno previdenziale del datore di lavoro, in quanto sul patrimonio o sulla successione di quest’ultimo è stata aperta una procedura di insolvenza (…) possono reclamare nei confronti dell’ente che fornisce l’assicurazione contro l’insolvenza il pagamento di una somma corrispondente all’importo che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare in forza dell’impegno previdenziale, se non fosse stata avviata la procedura d’insolvenza (…)».

13.      L’articolo 10, paragrafo 1, della legge sulle pensioni, rubricato «Obbligo contributivo e modalità di calcolo dei contributi», dispone:

«I mezzi per l’attuazione dell’assicurazione contro l’insolvenza vengono raccolti, in forza di un obbligo di diritto pubblico, tramite contributi di tutti i datori di lavoro che si sono impegnati a fornire direttamente prestazioni di previdenza complementare aziendale oppure che assicurano una previdenza complementare aziendale attraverso una cassa mutua previdenziale, una Direktversicherung (assicurazione diretta) (…) o un fondo pensionistico».

14.      L’articolo 14 della legge sulle pensioni, rubricato «Ente che fornisce l’assicurazione contro l’insolvenza», precisa che l’ente che fornisce l’assicurazione contro l’insolvenza è la compagnia mutua di assicurazione Pensions- Sicherungs- Verein Versicherungsverein auf Gegenseitigkeit.

15.      Esso è al contempo l’ente che assicura contro l’insolvenza gli impegni previdenziali delle imprese lussemburghesi in conformità ad un accordo del 22 settembre 2000 stipulato fra la Repubblica federale di Germania e il Granducato del Lussemburgo sulla cooperazione nel settore dell’assicurazione contro il rischio di insolvenza della previdenza complementare aziendale.

II.    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

16.      Nel dicembre 2000, il ricorrente di cui al procedimento principale, il sig. Bauer, ha percepito dalla sua ex datrice di lavoro prestazioni di previdenza complementare aziendale, vale a dire:

–        una pensione, versata tramite un ente pensionistico di previdenza complementare (PKDW), sulla base dei contributi versati dall’ex datrice di lavoro;

–        un’indennità pensionistica mensile versata direttamente dall’ex datrice di lavoro;

–        una gratifica natalizia annuale, anch’essa versata dalla sua ex datrice di lavoro (2).

17.      A metà del 2003, la PKDW si è trovata in difficoltà economiche ed ha ricevuto da parte delle autorità statali l’autorizzazione a ridurre l’importo delle pensioni versate. Ogni anno è dunque stata gradualmente applicata una riduzione dall’1,25% all’1,4%. In totale, tra il 2003 e il 2013, l’importo dell’indennità pensionistica ricevuta dal sig. Bauer si è ridotto del 13,8%, rappresentando una perdita di EUR 82,74 al mese. Secondo il governo tedesco, rispetto alla previdenza complementare aziendale complessiva, la percentuale di riduzione delle prestazioni equivale solamente al 7,4% (3).

18.      In base al diritto tedesco, vi è un obbligo di intervento volto alla compensazione e la ex datrice di lavoro del sig. Bauer era tenuta a compensare tali riduzioni delle prestazioni pensionistiche.

19.      Il 30 gennaio 2012, è stata aperta una procedura di insolvenza sul patrimonio dell’ex datrice di lavoro del sig. Bauer.

20.      Con avviso del 12 settembre 2012, la convenuta (PSV) comunicava al ricorrente che si sarebbe accollata il pagamento dell’indennità pensionistica mensile, nonché della gratifica natalizia annuale. Tuttavia, PSV si rifiutava di farsi carico dell’importo pagato dalla ex datrice di lavoro del sig. Bauer per compensare la riduzione delle prestazioni che interessavano la pensione della cassa mutua.

21.      Il sig. Bauer contesta tale rifiuto per il motivo che PSV ha l’obbligo di intervenire in caso di insolvenza della sua ex datrice di lavoro. PSV ha replicato che sulla stessa non incombe l’obbligo, in forza del diritto nazionale, di garantire pagamenti effettuati da un datore di lavoro a compensazione di una precedente riduzione di prestazioni pensionistiche.

22.      In tali circostanze, il Bundesarbeitsgericht (Tribunale federale del lavoro) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«(1)      Se l’articolo 8 della direttiva [2008/94] sia applicabile qualora le prestazioni di previdenza complementare aziendale vengano fornite attraverso un ente previdenziale interprofessionale soggetto al controllo statale dei servizi finanziari, e quest’ultimo riduca legittimamente per motivi finanziari, con il consenso dell’autorità di vigilanza, le prestazioni erogate, e il datore di lavoro, pur dovendo rispondere delle riduzioni, in forza del diritto nazionale, nei confronti degli ex dipendenti, non possa tuttavia, a causa del suo stato di insolvenza, adempiere all’obbligo ad esso incombente di compensare tali riduzioni delle prestazioni.

(2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione:

In quali circostanze le perdite subite dall’ex dipendente con riferimento alle prestazioni di previdenza complementare aziendale a causa dello stato di insolvenza del datore di lavoro possono essere considerate manifestamente sproporzionate ed obblighino pertanto gli Stati membri a garantire una tutela minima, sebbene l’ex dipendente percepisca almeno la metà delle prestazioni derivanti dai diritti pensionistici maturati.

(3)      In caso di risposta affermativa alla prima questione:

Se l’articolo 8 della direttiva 2008/94 esplichi effetti diretti e se tale disposizione, qualora uno Stato membro non abbia recepito tale direttiva nel diritto nazionale o l’abbia recepita in modo non corretto, conferisca al singolo diritti che questi può far valere dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti dello Stato membro.

(4)      In caso di risposta affermativa alla terza questione:

Se un ente di diritto privato, il quale sia designato dallo Stato membro – con effetti vincolanti per il datore di lavoro – quale ente che assicura contro l’insolvenza le prestazioni di previdenza complementare aziendale, sia soggetta al controllo statale dei servizi finanziari e riscuota dai datori di lavoro i contributi necessari per l’assicurazione contro l’insolvenza finanziaria in forza di disposizioni di diritto pubblico e, al pari di un’autorità amministrativa, possa creare i presupposti dell’esecuzione forzata mediante un atto amministrativo, sia un’autorità pubblica dello Stato membro».

III. Analisi

A.      Prima questione

23.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 8 della direttiva 2008/94 debba essere interpretato nel senso che esso è applicabile alla perdita di un’indennità quale quella di cui al procedimento principale a causa dello stato di insolvenza dell’ex datore di lavoro. Nel caso di specie, l’indennità veniva pagata dal datore di lavoro per compensare, come prescritto dal diritto nazionale, la precedente riduzione della previdenza complementare aziendale erogata per suo conto tramite un ente previdenziale interprofessionale soggetto al controllo statale, che per motivi finanziari, con il consenso dell’autorità di vigilanza, aveva dovuto ridurre l’importo erogato.

24.      Poiché la questione sollevata riguarda direttamente l’applicazione dell’articolo 8 della direttiva 2008/94, è di conseguenza opportuno iniziare tale analisi esaminando quali siano le condizioni per l’applicazione della disposizione in esame.

25.      Ai sensi di detto articolo, «Gli Stati membri si accertano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e quelli delle persone che hanno lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo, per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia, (…) previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale». Pertanto, perché si applichi l’articolo 8, devono essere soddisfatte quattro condizioni, vale a dire:

–        il ricorrente deve essere un lavoratore subordinato o una persona che ha lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo;

–        il datore di lavoro deve trovarsi in stato di insolvenza;

–        tale insolvenza deve incidere sui diritti maturati o sui diritti in corso di maturazione in materia di prestazioni di vecchiaia;

–        le prestazioni di vecchiaia di cui trattasi devono essere state erogate nell’ambito di regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi nazionali di sicurezza sociale.

26.      La prima condizione è chiaramente soddisfatta e non è in discussione.

27.      La seconda condizione (4) presuppone che il datore di lavoro si trovi in stato d’insolvenza. Di conseguenza, l’articolo 8 non si applica, in linea di principio, alla situazione in cui è solamente l’ente che fornisce la previdenza complementare aziendale ad affrontare difficoltà finanziarie (5). Ciò è in linea con l’articolo 1 della direttiva 2008/94, che impone, ai fini dell’applicazione della direttiva, che il diritto appartenga ad un lavoratore subordinato nei confronti del suo datore di lavoro o ex datore di lavoro. Si deve ricordare, infatti, che la direttiva 2008/94 non mira a garantire in ogni circostanza i diritti dei lavoratori subordinati o degli ex lavoratori subordinati a prestazioni di vecchiaia ma, ai sensi del considerando 3 della medesima direttiva, a tutelarli semplicemente in caso d’insolvenza del datore di lavoro. Come ha dichiarato la Corte, in caso di difficoltà dell’ente di previdenza complementare aziendale, solo quando il datore di lavoro tenuto a garantire il pagamento delle prestazioni istituite da un regime previdenziale e si trova in stato d’insolvenza, si può applicare l’articolo 8 (6).

28.      Quanto alla terza condizione, che si riferisce alle formulazioni «diritti maturati» e «diritti in corso di maturazione», occorre notare che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, prima frase, della direttiva 2008/94, essa viene espressa nel senso che per quanto riguarda la definizione dei termini, la direttiva non pregiudica il diritto nazionale. Tuttavia, l’espressione «non pregiudica» può dare luogo ad una certa ambiguità, in quanto essa può essere intesa nel senso che o entrambe le nozioni di «diritti maturati» e «diritti in corso di maturazione» devono essere interpretate in riferimento al diritto nazionale o che la direttiva 2008/94 non è volta a modificare la definizione di tali nozioni, che la normativa nazionale ha fornito in qualche altro settore del diritto.

29.      L’articolo 2, paragrafo 2, seconda frase precisa, tuttavia, in che modo debba essere intesa la prima frase. Infatti, mentre la prima frase menziona, tra i concetti che la direttiva 2008/48 non pregiudica, il termine «lavoratore subordinato», la seconda frase della medesima disposizione prevede che gli Stati membri non possono escludere dall’ambito di applicazione della direttiva di cui trattasi talune categorie di lavoratori subordinati. Poiché la seconda frase mira a limitare l’autonomia degli Stati membri nel definire uno dei termini indicati nella prima frase, la prima frase deve essere intesa nel senso che essa conferisce agli Stati membri il potere di definire i termini in esame. Di conseguenza, le nozioni di «diritto maturato» e «diritto in corso di maturazione» e, per estensione, dunque, l’applicazione della terza condizione si basano sul diritto nazionale.

30.      Per quanto riguarda la quarta condizione, ritengo altresì che la definizione dell’espressione «prestazioni (…) previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale» sia parimenti subordinata al diritto nazionale (7). Ciò discende semplicemente dal riferimento alla nozione di «regimi legali di sicurezza sociale», che non può essere valutata altrimenti che facendo riferimento al diritto nazionale (8).

31.      Le quattro condizioni in parola devono essere soddisfatte, oltre a quelle previste nell’articolo 1 in relazione all’applicazione generale della direttiva 2008/94, riguardo a cui non sono state sollevate questioni dinanzi alla Corte. Il fatto, dunque, che il lavoratore subordinato abbia fatto valere un diritto derivante da un contratto di lavoro, come previsto dall’articolo 1 della direttiva 2008/94, non è di per sé sufficiente a giustificare l’applicazione dell’articolo 8.

32.      Nella presente causa il giudice del rinvio chiede se l’articolo 8 sia applicabile alla perdita, provocata dall’insolvenza dell’ex datrice di lavoro, di un’indennità come quella di cui trattasi nel procedimento principale. Nel caso di specie, l’indennità veniva pagata dall’ex datrice di lavoro per compensare, come previsto dal diritto nazionale, una riduzione della previdenza complementare aziendale erogata inizialmente da tale datore di lavoro tramite un ente previdenziale interprofessionale soggetto al controllo statale dei servizi finanziari, il cui ammontare è stato ridotto, per motivi finanziari, con il consenso dell’autorità di vigilanza.

33.      Alla luce della terza e della quarta questione di cui sopra, per stabilire se si applica l’articolo 8, è anzitutto necessario accertare lo status dei diritti del ricorrente al momento dell’insorgere dell’insolvenza dell’ex datore di lavoro.

34.      Nella presente causa, la peculiarità della situazione consiste nel fatto che i diritti esistenti erano già stati oggetto di una precedente riduzione. Pertanto, lo stato giuridico di tali diritti al momento dell’insorgere dell’insolvenza dell’ex datrice di lavoro dipende dalle conseguenze prodotte da tale intervento, che a sua volta dipende dalla circostanza se tale intervento fosse già disciplinato dall’articolo 8 della direttiva 2008/94 (o, in precedenza, dall’articolo 8 della direttiva 80/987). Infatti, se l’articolo 8 non era applicabile in quel momento, la conseguenza prodotta da siffatta riduzione era soggetta al diritto nazionale, di modo che non si potrebbe statuire che una parte dei diritti in parola siano decaduti o che le somme versate per compensare detta riduzione non siano state pagate nell’ambito di «regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali».

35.      Nel caso in esame, la difficoltà consiste nel fatto che il giudice del rinvio non ha precisato la ragione per la quale l’ente che fornisce la previdenza complementare aziendale ha avuto difficoltà finanziarie a partire dal 2003. Sembra, tuttavia, dalle informazioni ricevute dal giudice del rinvio, confermate dalle parti all’udienza, che ai sensi dell’articolo 1 della legge sulle pensioni, i datori di lavoro rispondano dell’adempimento delle prestazioni di previdenza complementare aziendale erogate nell’ambito del rapporto di lavoro, anche se detti pagamenti sono effettuati tramite un organismo intermedio di pensione aziendale. Di conseguenza, il datore di lavoro deve garantire il pagamento in oggetto anche nel caso in cui la cassa mutua non versi le prestazioni riconosciute o le versi soltanto in parte.

36.      In ogni caso, all’udienza tutte le parti concordavano sul fatto che la riduzione non aveva modificato né la natura né l’entità dei diritti del sig. Bauer. Infatti, sembra che, in considerazione delle informazioni fornite dal giudice del rinvio, in base al diritto tedesco, quando un datore di lavoro istituisce un regime previdenziale, il medesimo continua ad essere comunque responsabile di garantire l’erogazione successiva delle prestazioni.

37.      Poiché, dunque, è stata l’insolvenza della ex datrice di lavoro del ricorrente nel 2012 a produrre l’effetto di compromettere i diritti maturati o in corso di maturazione alle prestazioni di vecchiaia e non è oggetto di contestazione che detti diritti siano stati concessi in base ad un regime di previdenza professionale o interprofessionale diverso dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale, propongo di rispondere alla prima questione che l’articolo 8 deve essere interpretato nel senso che in quest’ultimo rientra la perdita di un pagamento, quale quello di cui trattasi nel procedimento principale, effettuato da un ex datore di lavoro per compensare, come previsto dal diritto nazionale, una riduzione della previdenza complementare aziendale. Se è vero che le esatte circostanze del caso di specie sono anomale, rimane il fatto che la mancata erogazione del pagamento supplementare, da parte dell’ex datrice di lavoro, in relazione alle riduzioni della pensione altrimenti a carico del lavoratore subordinato, rientra tuttavia direttamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 8.

 Seconda questione

38.      Con la sua seconda questione, il giudice nazionale chiede in quali circostanze, menzionate nel punto 35 della sentenza del 24 novembre 2016, Webb‑Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:891), le perdite subite dal lavoratore subordinato a causa dello stato di insolvenza dell’ex datore di lavoro possano essere considerate manifestamente sproporzionate alla luce dell’obbligo di tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati, di cui all’articolo 8 della direttiva 2008/94, anche se tali perdite non superano la metà delle prestazioni di vecchiaia derivanti dai diritti pensionistici maturati per i quali ha versato contributi nell’ambito di un regime complementare di previdenza professionale.

39.      Tale questione rende necessaria un’integrale rivalutazione della giurisprudenza della Corte sino ad oggi, per quanto riguarda l’articolo 8 della direttiva 2008/94.

40.      Come ha sottolineato la Corte, il livello di tutela richiesto dalla direttiva 2008/94 deve essere determinato tenendo conto dei termini utilizzati nella disposizione in esame e, all’occorrenza, alla luce degli obiettivi perseguiti da detta direttiva (9).

41.      Secondo la formulazione dell’articolo 8 della direttiva 2008/94, gli Stati membri si accertano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e quelli delle persone che hanno lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo, per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale.

42.      Nelle sue conclusioni nella causa Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2006:476, paragrafi 70 e 82), l’avvocato generale Kokott ha ritenuto che l’articolo 8 esigesse una tutela integrale degli interessi dei lavoratori, anche se tale tutela non significa necessariamente che i regimi pensionistici devono essere integralmente finanziati in ogni momento. Tuttavia, l’avvocato generale ha sostenuto che l’articolo 8 richiede, nei casi in cui l’insufficienza di finanziamento unitamente all’insolvenza del datore di lavoro causi un pregiudizio agli interessi dei lavoratori, che gli Stati membri adottino misure atte a garantire il soddisfacimento dei diritti pensionistici dei lavoratori.

43.      Nei punti 36 e 45 della sua sentenza del 25 gennaio 2007, nella causa Robins e a. (in prosieguo: «Robins») (C‑278/05, EU:C:2007:56), la Corte ha tuttavia dichiarato che la formulazione dell’articolo 8 lascia agli Stati membri un ampio potere discrezionale nella scelta del meccanismo adottato ai fini di tale tutela e del livello di tutela fornito. La Corte ha concluso che quest’ultimo obbligo non comprende l’obbligo di garanzia integrale di dette prestazioni pensionistiche.

44.      Tale affermazione è piuttosto sorprendente. Pur potendosi ammettere senz’altro che l’articolo 8 lascia un ampio potere discrezionale agli Stati membri per quanto concerne il meccanismo adottato al fine di garantire tale tutela, detta disposizione è tuttavia alquanto chiara riguardo al livello di tutela che deve essere fornito. In ogni caso, la normale conseguenza del fatto che ad uno Stato membro sia stata conferita ampia discrezionalità da parte di una determinata direttiva è che tale Stato può sottrarsi alla propria responsabilità qualora dimostri di aver adottato tutte le misure idonee che ci si può ragionevolmente attendere allo scopo di adempiere tale obbligo specifico (10). Devo però confessare che non sono a conoscenza di altri casi in cui l’esistenza di un margine discrezionale nella scelta del meccanismo da utilizzare per raggiungere un determinato obiettivo abbia portato a riconoscere che tale obiettivo deve essere raggiunto soltanto parzialmente o in cui si è ritenuto che uno Stato avesse assolto il proprio obbligo di raggiungere un siffatto obiettivo facendo riferimento ad un qualche compromesso piuttosto generico a causa dell’ampiezza della discrezionalità in tal modo conferita dal pertinente atto normativo.

45.      Tornando alla sentenza Robins, la Corte ha proseguito dichiarando che «disposizioni nazionali suscettibili di condurre in talune situazioni a una garanzia delle prestazioni limitata al 20 o al 49% dei diritti che un lavoratore subordinato poteva far valere, vale a dire a meno della metà degli stessi, non possono essere considerate rispondenti alla nozione di “tutela” accolta all’art. 8 della direttiva». La situazione oggetto di quel procedimento era uno di tali casi specifici, in quanto, in primo luogo, «circa 65 000 iscritti a regimi pensionistici hanno subito perdite superiori al 20% delle dette prestazioni» e, in secondo luogo, «circa 35 000 di loro, vale a dire quasi il 54%, hanno subito perdite superiori al 50% delle dette prestazioni».

46.      Sembrerebbe, pertanto, che secondo la Corte una riduzione delle prestazioni a cui un determinato lavoratore subordinato aveva diritto, a prescindere dalla percentuale, non fosse di per sé sufficiente a far sorgere la responsabilità dello Stato membro interessato: la persona interessata deve spingersi oltre e dimostrare che, in generale, lo Stato membro non garantisce una tutela sufficiente ai lavoratori subordinati. Tale approccio, in linea con la teoria di un obbligo di mezzi, si riflette altresì nelle considerazioni della Corte con riguardo agli effetti diretti di detta disposizione, in relazione a cui la Corte ha dichiarato che la determinazione della responsabilità dello Stato membro è subordinata alla constatazione di una «violazione grave e manifesta», da parte dello stesso, dei limiti posti al suo potere discrezionale.

47.      Si deve, tuttavia, riconoscere che l’effetto della sentenza Robins consiste non soltanto nel fatto che, per far valere un diritto di cui all’articolo 8, i lavoratori subordinati devono dimostrare l’esistenza di una «violazione grave e manifesta» da parte dello Stato interessato per ottenere una compensazione finanziaria in caso di siffatto inadempimento degli obblighi dello Stato, ma anche nel fatto che in ogni caso gli Stati membri non sono tenuti a garantire integralmente i diritti dei lavoratori subordinati. Per i motivi che ora esporrò, non posso fare a meno di pensare che la soglia del 50% abbia in qualche misura compromesso l’ambito della tutela garantita ai lavoratori subordinati dall’articolo 8. Per parte mia, ritengo che nella causa Robins l’avvocato generale Kokott abbia correttamente interpretato l’ambito di applicazione dell’articolo 8.

48.      Sono di tale avviso per le seguenti ragioni. In primo luogo, il linguaggio dell’articolo 8 («(…) si accertano (…)») impone chiaramente un obbligo agli Stati membri. In secondo luogo, è evidente che detto obbligo si estende a «tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati (…) per quanto riguarda i diritti maturati o in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia (…)». In terzo luogo, l’articolo 8 non stabilisce di per sé alcun limite o percentuale per quanto concerne la portata dell’obbligo a carico dello Stato.

49.      Di conseguenza, mi risulta difficile capire in che modo l’obbligo di cui all’articolo 8 possa, in linea di principio, riguardare qualcosa di meno dell’integrale soddisfacimento dei diritti pensionistici del lavoratore subordinato. Come ha osservato l’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni nella causa Robins, «[n]on risponde all’interesse di un lavoratore ricevere solo il pagamento pro quota dei diritti pensionistici concordati contrattualmente».

50.      Se, come avviene di certo nel caso di specie, è proprio l’interesse del lavoratore subordinato che lo Stato membro è tenuto a tutelare ai sensi dell’articolo 8, non vi è allora alcun valore magico particolare nel 50% stabilito dalla Corte nella sentenza Robins come cifra minima che un lavoratore subordinato dovrebbe ricevere in relazione alle prestazioni di vecchiaia a seguito dell’insolvenza del datore di lavoro. Se, come avviene senz’altro nel caso di specie, l’articolo 8 impone agli Stati membri l’obbligo di assicurarsi che tali interessi dei lavoratori subordinati siano tutelati, avrei dovuto pensare che l’obbligo in parola si estendesse alla totalità delle prestazioni di vecchiaia di cui trattasi e non soltanto ad una parte di esse. Va ricordato che in molti casi una diminuzione del 50% circa delle prestazioni di vecchiaia può causare un’enorme difficoltà finanziaria reale per le persone che beneficiano di siffatte pensioni.

51.      Se il legislatore dell’Unione avesse voluto attenuare la portata dell’obbligo degli Stati membri di tutelare i pensionati dall’impatto causato dell’insolvenza dei datori di lavoro sui loro diritti pensionistici in un modo potenzialmente così esteso, ritengo che a tale scopo sarebbe stata utilizzata una formulazione molto chiara. Ciò è tanto più vero se si considera la manifesta importanza sociale di tale particolare obbligo.

52.      Di conseguenza, se il legislatore dell’Unione avesse ritenuto che la misura di tale obbligo fosse semplicemente quella indicata dalla Corte nel quartetto di cause iniziate con la causa Robins, l’articolo 8 sarebbe stato presumibilmente redatto in modo diverso, in modo tale da precisare che l’obbligo da parte degli Stati membri si estende semplicemente al punto di assicurare che il 50% (o altra percentuale) di tali prestazioni venisse tutelato.

53.      Al riguardo si può osservare che l’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva prevede espressamente che gli Stati membri possono limitare il numero di mesi che può dare luogo al diritto al pagamento del salario non pagato da parte del fondo per il caso di insolvenza. Infatti, l’articolo 4, paragrafo 3, permette agli Stati membri di fissare massimali «per i pagamenti effettuati dall’organismo di garanzia», sebbene tali massimali non possano essere inferiori ad una soglia «socialmente compatibile con l’obiettivo sociale della presente direttiva».

54.      È certamente significativa l’assenza di restrizioni o limitazioni analoghe nell’articolo 8 in relazione alla portata degli obblighi degli Stati membri riguardanti la tutela dei diritti dei lavoratori subordinati a prestazioni di vecchiaia a causa dello stato di insolvenza del datore di lavoro. Come ha osservato l’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni nella causa Robins, il fatto stesso che le limitazioni espressamente poste alla portata dell’obbligo, imposto agli Stati membri, di tutelare i lavoratori subordinati in caso di insolvenza, si configurino altrove nella direttiva serve semplicemente a rafforzare detto argomento con riguardo alla natura e alla portata dell’obbligo previsto dall’articolo 8.

55.      Per tutti i motivi evidenziati, pertanto, ritengo che l’articolo 8 imponga agli Stati membri l’obbligo di tutelare tutte le prestazioni di vecchiaia colpite dall’insolvenza di un datore di lavoro e non soltanto una parte o una percentuale determinata di tali prestazioni. A tale riguardo, condivido pienamente il ragionamento dell’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni nella causa Robins. Ne consegue, a sua volta, che a mio avviso il ragionamento della Corte nella sentenza Robins sulla questione dell’articolo 8 non può essere sostenuto e ora non dovrebbe essere seguito dalla Corte.

56.      Niente di ciò implica, tuttavia, che gli Stati membri non abbiano potere discrezionale nella scelta del meccanismo che deve essere adottato ai fini di tale tutela. Infatti, come risulta dal tenore dell’articolo 8, l’obbligo imposto agli Stati membri non consiste nel dover essi stessi garantire l’erogazione delle pensioni, ma piuttosto nell’«accerta[rsi] che vengano adottate le misure necessarie» a tal fine. Condivido, al riguardo, le conclusioni raggiunte dalla Corte nella sentenza Robins, nel senso che un singolo non può semplicemente lamentare di aver subito una riduzione della propria pensione e poi chiedere che lo Stato membro interessato compensi tale riduzione. È invece necessario che il ricorrente vada oltre e dimostri che detto Stato membro non ha adottato le misure che avrebbero potuto essere ragionevolmente ritenute sufficienti per tutelare gli interessi in oggetto.

57.      Come spero di dimostrare ora, una conseguenza della interpretazione erronea dell’articolo 8 a mio avviso adottata dalla Corte nella sentenza Robins consiste nel fatto che la Corte ha successivamente avuto difficoltà a giustificare la soluzione in parola in considerazione dell’effettiva formulazione dello stesso articolo 8.

58.      Mi pare che ciò sia ben illustrato nella sentenza pronunciata nella causa Hogan e a. (11). Nel caso in esame la Corte ha in effetti abbandonato la condizione relativa all’esistenza di circostanze particolari. Essa ha ritenuto invece che un corretto recepimento dell’articolo 8 della direttiva 2008/94 imponesse che un lavoratore percepisse, in caso di insolvenza del suo datore di lavoro, almeno la metà delle prestazioni di vecchiaia derivanti dai diritti pensionistici maturati per i quali aveva versato contributi nell’ambito di un regime complementare di previdenza professionale (12).

59.      Nella sua successiva sentenza del 24 novembre 2016, Webb‑Sämann  (C‑454/15, EU:C:2016:891, punto 35), la Corte ha aggiunto che l’obbligo degli Stati membri di tutelare i lavoratori subordinati dalla perdita di almeno metà delle loro prestazioni di vecchiaia non escludeva che «in altre circostanze, le perdite subite [potessero] pure, anche se la loro percentuale [era] differente, essere considerate manifestamente sproporzionate alla luce dell’obbligo di tutela degli interessi dei lavoratori subordinati, previsto dall’articolo 8 della direttiva [2008/94] (…)».

60.      Nella sentenza emessa più recentemente dalla Corte sull’argomento, ovvero la sentenza del 6 settembre 2018, Hampshire (C‑17/17, EU:C:2018:674), la Corte ha ribadito che alcune perdite subite, sebbene di percentuale inferiore alla metà delle prestazioni attese, possono essere parimenti considerate manifestamente sproporzionate alla luce dell’obbligo di tutela degli interessi dei lavoratori, previsto da detta disposizione (13).

61.      Come avviene rispetto alla cifra del 50%, la Corte non ha fornito giustificazioni o chiarimenti circa quale diminuzione delle prestazioni possa altrimenti costituire un’interferenza manifestamente sproporzionata rispetto ai diritti dei lavoratori subordinati di cui trattasi.

62.      Si può tuttavia osservare che nelle sentenze Webb‑Sämann (14) e Hampshire (15)la Corte ha dichiarato che l’obbligo degli Stati membri di garantire almeno la metà delle prestazioni di vecchiaia derivanti dai diritti pensionistici maturati per i quali un lavoratore subordinato ha versato contributi nell’ambito di un regime complementare di previdenza professionale, costituisce una garanzia minima individuale per ogni lavoratore subordinato. Sembra, pertanto, che nelle due sentenze in parola la Corte abbia ritenuto che l’applicazione della regola del 50% non esaurisse completamente gli effetti di detta disposizione. In altri termini, gli Stati membri avrebbero dunque l’obbligo di accertarsi che ogni lavoratore subordinato sia stato garantito almeno per il 50% delle prestazioni a cui aveva diritto nell’ambito di un regime complementare di previdenza professionale in caso di insolvenza del suo datore di lavoro (16), ma tale obbligo non li esimerebbe dall’adottare le misure necessarie (finanziarie, prudenziali o di altro tipo) per tutelare integralmente gli interessi dei lavoratori subordinati. Qualora la riduzione sia inferiore al 50%, i dipendenti interessati possono quindi ottenere un indennizzo se dimostrano che lo Stato non ha adempiuto al proprio obbligo di mezzi omettendo di accertare che fossero state adottate le misure necessarie (finanziarie, prudenziali o di altro tipo) per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati. Pertanto, ripetendo le parole usate nella sentenza Robins, anche se la riduzione subita non raggiunge tale soglia, un lavoratore subordinato può tuttavia chiedere di essere integralmente indennizzato da parte dello Stato membro interessato in caso di «violazione grave e manifesta», da parte dello stesso, dei limiti posti al suo potere discrezionale di adottare misure idonee.

63.      Dette recenti decisioni possono, dunque, essere intese come un tacito impegno della Corte ad allontanarsi dalla giurisprudenza Robins e a muoversi invece nella direzione di ciò che ritengo essere l’obiettivo fondamentale dell’articolo 8 della direttiva 2008/94, ovvero quello di tutelare tutti i diritti previdenziali complementari dei pensionati dal rischio di perdite causate dall’insolvenza del datore di lavoro.

64.      In tale contesto, l’esistenza di perdite sproporzionate può essere considerata di per sé la prova, a sostegno di una presunzione relativa, che lo Stato membro non ha adempiuto il proprio obbligo di mezzi di garantire detta tutela.

65.      In ogni caso, ritengo che la Corte dovrebbe tenere maggiormente conto della proporzionalità della perdita subita.

66.      In ogni corretta analisi della proporzionalità, il contesto è, naturalmente, di importanza cruciale. Si deve ricordare in questa sede che l’erogazione di pensioni di anzianità è stata parte della struttura del contratto sociale negli Stati europei sin dall’epoca di Bismarck. Investire in pensioni private è per alcuni lavoratori subordinati, un elemento chiave di tale contratto sociale, in quanto grazie al meccanismo in parola coloro che svolgono un lavoro subordinato possono, nel corso dei loro anni di attività, risparmiare per la pensione, nella convinzione che potranno provvedere a sé e alle proprie famiglie una volta terminati i propri anni di lavoro. Prevedere una pensione privata è pertanto, per molti lavoratori subordinati impiegati nel settore privato, una decisione finanziaria cruciale come, ad esempio, acquistare una casa o premunirsi per la futura crescita ed istruzione dei figli.

67.      Per tale motivo anche la perdita parziale di un diritto pensionistico a causa dell’insolvenza del datore di lavoro è un problema così grave e serio per il lavoratore subordinato interessato. Non soltanto il dipendente in parola deve avere la sensazione che i migliori progetti relativi ad un prudente risparmio per la pensione sono stati vanificati a causa di fattori esterni su cui non ha controllo, ma la capacità del lavoratore subordinato di reagire a siffatta perdita sarà spesso seriamente compromessa a causa dell’anzianità. In termini più semplici, dunque, la capacità di un settantenne medio di compensare tale perdita finanziaria sarà fortemente compromessa, in quanto, a tutti gli effetti, la prospettiva di rientrare nel mondo del lavoro semplicemente non è un’opzione possibile per la maggior parte dei pensionati.

68.      La salvaguardia degli interessi dei pensionati che hanno investito in pensioni private da perdite subite a causa dello stato di insolvenza dell’ex datore di lavoro deve essere, pertanto, un obiettivo politico fondamentale degli Stati membri. È, in un certo senso, di vitale importanza come predisporre un sistema di istruzione o di alloggi o come tutelare la sicurezza dei depositi bancari.

69.      In tale contesto, interrogati all’udienza circa il fatto se, ad esempio, una riduzione del 25% dei diritti pensionistici a causa dell’insolvenza del datore di lavoro rappresenterebbe una perdita sproporzionata per il pensionato in questione, i rappresentanti sia del PSV sia del governo tedesco hanno apertamente riconosciuto che essa sarebbe penosa per il pensionato in questione. Non posso però fare a meno di pensare che una siffatta perdita sarebbe qualcosa di più: essa rappresenterebbe una perdita imprevista di reddito che essi avevano tutte le ragioni di ritenere sarebbe stato messo a loro disposizione al termine della loro vita lavorativa. Il moderno stato sociale esiste proprio per tutelare i propri cittadini contro perdite potenzialmente gravi di tale tipo.

70.      Tale è, pertanto, il contesto in cui deve essere valutata la proporzionalità di una perdita. Anche altri fattori sono indubbiamente rilevanti, compresa la questione se l’importo della pensione ora a disposizione del pensionato e delle persone a suo carico sia sufficiente a far fronte alle sue necessità, tenuto conto del tenore di vita dei pensionati prevalente nello Stato membro interessato (17).

71.      È vero che riduzioni relativamente esigue dei diritti previdenziali professionali possono in genere essere considerate minime o, quantomeno, ad un livello tale da non compromettere l’essenza del diritto alla pensione e la corrispondente aspettativa che quest’ultimo ha originato nel pensionato in questione.

72.      Qualora però la perdita della pensione privata a causa dell’insolvenza del datore di lavoro non possa essere considerata minima, a seguito di ciò apparirà ad un certo punto lo spettro della sproporzione, anche se non esiste neppure una cifra magica che renda automaticamente sproporzionata tale perdita. Al contrario di quanto può essere stato precedentemente accennato dalla Corte, ritengo che in molti casi una perdita inferiore al 50% del diritto previdenziale a causa dell’insolvenza del datore di lavoro sarebbe sproporzionata. I diritti previdenziali della maggior parte dei pensionati sono relativamente modesti e anche una piccola riduzione alla pensione generalmente è per loro troppo gravosa.

73.      Sebbene si tratti, in definitiva, di un aspetto che spetta al giudice del rinvio verificare, all’udienza il rappresentante del sig. Bauer ha affermato che la sua perdita di previdenza complementare aziendale potrebbe essere in ultima analisi compresa tra il 30% e il 33% (a seconda dell’età). Se fosse davvero così, allora è difficile concludere, tenuto conto del livello di reddito relativamente modesto a cui corrisponde anche il 100% del suo diritto totale alla previdenza complementare aziendale, che la perdita di cui trattasi non sia stata sproporzionata, in considerazione del contesto generale che ho appena descritto.

74.      In sintesi, ritengo che i fattori in parola siano rilevanti ai fini della questione della proporzionalità, che sino ad oggi non è stata forse sufficientemente evidenziata dalla giurisprudenza.

75.      Sotto tale profilo, pertanto, ritengo che la Corte dovrebbe andare oltre decisioni come la sentenza Robins e rispondere alla seconda questione nel senso che le circostanze alle quali la Corte fa riferimento nel punto 35 della sentenza del 24 novembre 2016, Webb‑Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:891) sono quelle in cui il ricorrente dimostra che lo Stato membro non ha adempiuto il proprio obbligo di accertare che siano state adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati o delle persone che hanno già lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro e in cui la riduzione dei diritti previdenziali non sia ad un livello minimo o sia ad un livello tale da pregiudicare altrimenti l’essenza dei diritti alla previdenza complementare aziendale la cui percezione, se non fosse subentrata l’insolvenza del datore di lavoro, il pensionato avrebbe avuto tutte le ragioni di attendersi.

 Terza questione

76.      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se, qualora uno Stato membro non abbia recepito la direttiva 2008/94 in modo corretto nel diritto nazionale, l’articolo 8 possa essere fatto valere dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti dello Stato membro.

77.      A tale riguardo, come ho già illustrato in precedenza, la Corte ha dichiarato, in un primo momento cautamente, che, poiché né l’articolo 8, né altra disposizione della direttiva contengono elementi che permettano di stabilire con precisione il livello minimo di tutela richiesto per i diritti alle prestazioni, la responsabilità dello Stato membro interessato è subordinata alla constatazione di una violazione grave e manifesta, da parte dello stesso, dei limiti posti al suo potere discrezionale (18).

78.      Nella sentenza Hampshire (19), la Corte ha abbandonato in parte la sua iniziale cautela e ha dichiarato che, per quanto riguarda l’obbligo degli Stati membri di garantire almeno la metà delle prestazioni di vecchiaia a cui avrebbero di norma diritto i lavoratori subordinati, l’articolo 8 può essere invocato nei confronti dello Stato membro dinanzi ad un giudice nazionale non appena un dipendente subisce una perdita superiore al 50% delle prestazioni a cui ha diritto.

79.      Per giungere a tale conclusione, la Corte ha rammentato che, secondo la giurisprudenza, la disposizione di una direttiva può essere fatta valere dai singoli contro uno Stato membro se detta disposizione è incondizionata e sufficientemente precisa e che tale esame deve riguardare tre aspetti, ossia la determinazione dei beneficiari della tutela prevista dall’articolo 8, il contenuto di tale tutela e l’identità del soggetto tenuto a tale tutela (20).

80.      Condivido pienamente l’analisi della Corte al riguardo, anche se il ragionamento della Corte circa l’identità del soggetto tenuto alla tutela prevista dall’articolo 8 merita altresì di essere contestualizzato.

81.      Per quanto riguarda i beneficiari della tutela di cui all’articolo 8 della direttiva 2008/94, emerge chiaramente dal tenore letterale di tale disposizione che la direttiva de qua è diretta a tutelare i lavoratori subordinati interessati da un’insolvenza del loro datore di lavoro (21).

82.      Quanto al soggetto tenuto alla tutela prevista dall’articolo 8 della direttiva 2008/94, tale disposizione designa a tal fine in modo chiaro e incondizionato gli Stati membri.

83.      È vero che l’articolo 8 lascia agli Stati membri un certo potere discrezionale. Tale discrezionalità si riferisce, in sostanza, ai meccanismi che devono essere adottati per garantire la conformità all’articolo 8 (22). Pertanto, essa non ha a che fare con l’identità dei soggetti tenuti alla tutela prevista dall’articolo 8, che sono gli Stati membri.

84.      Infine, per quanto riguarda il contenuto della tutela prevista dall’articolo 8 della direttiva 2008/94, sebbene gli Stati godano di un ampio potere discrezionale nella scelta della forma e del metodo per recepire l’articolo 8 (23), l’articolo in parola può essere fatto valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali. Infatti, anche se gli Stati membri hanno un certo margine di discrezionalità per attuare una disposizione di diritto dell’Unione, detta disposizione può tuttavia essere fatta valere nei confronti di uno Stato membro se essa oltrepassa tale margine, in particolare perché la normativa nazionale della stessa non assicura il livello minimo di tutela richiesto dalla disposizione di cui trattasi (24).

85.      Ne consegue che, con riguardo al livello minimo di tutela di cui all’articolo 8, dal momento che secondo la Corte il livello minimo di tutela consiste nell’obbligo di tutelare i lavoratori subordinati da riduzioni superiori al 50% dei loro diritti acquisiti, se uno Stato membro non fornisce tale tutela, se ne deve necessariamente dedurre che lo Stato membro ha oltrepassato il suo margine di manovra. Di conseguenza, una siffatta violazione può essere fatta valere direttamente contro lo Stato membro in parola.

86.      Quanto all’obbligo degli Stati membri di accertarsi che siano adottate le misure necessarie per evitare perdite sproporzionate, menzionato nel punto 35 della sentenza Webb‑Sämann (25), è vero che la Corte non ha indicato la situazione a cui faceva riferimento. Occorre tuttavia ricordare che un obbligo può essere considerato non soltanto chiaro e preciso quando è espressamente previsto in un testo, ma anche quando si può dedurre dal testo attraverso metodi interpretativi comunemente accettati, il che è, a mio avviso, quanto avviene nel caso di specie, in quanto dal tenore letterale dell’articolo 8 si può desumere che esso tutela i diritti che appartengono integralmente ai lavoratori subordinati.

87.      Tuttavia, dal momento che lo Stato membro interessato ha soltanto un obbligo di mezzi, i ricorrenti sono tenuti a dimostrare che le misure adottate dallo Stato membro in parola non sono state sufficienti ad assicurare tale tutela, sempre che l’esistenza della perdita sproporzionata sia considerata una prova a sostegno della presunzione di tale insufficienza.

88.      Inoltre, occorre rilevare che la tutela conferita dall ’articolo 8 si riferisce ai diritti maturati o in corso di maturazione, una nozione la cui definizione si basa sul diritto nazionale, e non agli effetti finanziari collegati a tali diritti. Esistono di fatto due tipi di regimi pensionistici complementari: «regimi a prestazione definita» o «regimi a contribuzione definita» (26). Pertanto, se, in base al diritto nazionale, i diritti acquisiti da una persona sono solo diritti a quote di utili e non, come sembra avvenire nel diritto tedesco, diritti a prestazioni definite, l’obbligo che incombe allo Stato membro consiste nell’assicurare che il lavoratore subordinato goda di fatto integralmente dei diritti a tali quote, fermo restando l’importo che verrà infine corrisposto al lavoratore subordinato.

89.      In sintesi, propongo di rispondere alla terza questione in senso affermativo, vale a dire che l’articolo 8 della direttiva 2008/94 esplica effetti diretti di modo che, qualora uno Stato membro non abbia recepito tale direttiva nel diritto nazionale o l’abbia recepita in modo non corretto, detta disposizione conferisce al singolo diritti che questi può far valere dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti dello Stato membro.

 Quarta questione

90.      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede se, quando, in materia di erogazione di pensioni complementari aziendali, lo Stato membro ha designato – con effetti vincolanti per il datore di lavoro – un ente di diritto privato quale ente che assicura contro l’insolvenza le prestazioni di previdenza complementare aziendale e quando tale ente è soggetto al controllo statale dei servizi finanziari e, inoltre, riscuote dai datori di lavoro i contributi necessari per l’assicurazione contro l’insolvenza finanziaria in forza di disposizioni di diritto pubblico e, al pari di un’autorità amministrativa, può creare i presupposti dell’esecuzione forzata mediante un atto amministrativo, l’ente in parola debba essere considerato un’autorità pubblica dello Stato membro, di modo che la disposizione di una direttiva possa essere fatta valere direttamente nei suoi confronti.

91.      A tale proposito, si deve ricordare che la Corte ha già affermato che disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva sono invocabili dagli amministrati non soltanto nei confronti di uno Stato membro e di tutti gli organi della sua amministrazione, quali gli enti territoriali, ma anche nei confronti di istituzioni, organismi o enti soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che dispongono di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (27).

92.      Siffatte istituzioni, organismi o enti si distinguono dai singoli e devono essere equiparati allo Stato, vuoi perché sono persone giuridiche di diritto pubblico facenti parte dello Stato in senso ampio, vuoi perché sono stati incaricati da un’autorità pubblica di svolgere un compito di interesse pubblico e sono stati a tal fine dotati di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (28).

93.      Dato che, nella sua questione, il giudice del rinvio ha fatto riferimento ad una causa in cui uno Stato membro ha designato – con effetti vincolanti per il datore di lavoro – una determinata istituzione quale ente che assicura contro l’insolvenza le prestazioni di previdenza complementare aziendale ed ha conferito a quest’ultima il diritto di riscuotere dai datori di lavoro i contributi necessari per l’assicurazione contro l’insolvenza finanziaria in forza di disposizioni di diritto pubblico, tale ente deve essere equiparato allo Stato anche se è costituito in base al diritto privato.

94.      Tuttavia, perché un obbligo derivante da una direttiva possa essere fatto valere direttamente nei confronti di siffatto ente, i compiti che esso è tenuto a svolgere nell’interesse pubblico devono includere, espressamente o implicitamente, l’adempimento di tale obbligo. Infatti, il semplice fatto che uno Stato membro abbia conferito ad un ente poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli non significa che l’ente di cui trattasi possa essere ritenuto responsabile di qualsiasi obbligo imposto dal diritto dell’Unione a detto Stato membro.

95.      Nella sua questione, il giudice nazionale fa riferimento ad una situazione in cui uno Stato membro ha incaricato un ente di garantire la previdenza complementare aziendale. Tuttavia, gli atti di causa, unitamente alle informazioni fornite all’udienza sembrano indicare che i compiti trasferiti dal governo tedesco in capo al Pensions-Sicherungs-Verein VVaG riguardino soltanto le situazioni in cui la previdenza complementare aziendale è realizzata dal datore di lavoro con una promessa diretta o una «Direktversicherung» (assicurazione diretta) o tramite una «Unterstützungskasse» (un ente assicurativo giuridicamente indipendente dal datore di lavoro) o un «Pensionsfonds» (fondo pensionistico) (29). Il caso in cui la previdenza complementare aziendale è fornita dal datore di lavoro tramite una Pensionskasse (cassa mutua), nel caso di specie la PKDW, non rientra pertanto nell’ambito applicativo di alcuno dei compiti in parola.

96.      In ogni caso, spetta al giudice nazionale valutare, tenuto conto della natura specifica dell’obbligo invocato, ossia la violazione dell’obbligo di evitare le perdite sproporzionate a cui fa riferimento il punto 35 della sentenza Webb‑Sämann (30), se detto Stato membro ha delegato a tale ente l’obbligo di cui trattasi (31).

97.      Di conseguenza, propongo di rispondere alla quarta questione nel senso che, quando, in materia di erogazione di pensioni complementari aziendali, lo Stato membro ha designato – con effetti vincolanti per i datori di lavoro – un ente di diritto privato quale ente che assicura contro l’insolvenza le prestazioni di previdenza complementare aziendale e quando tale ente è soggetto al controllo statale dei servizi finanziari e, inoltre, riscuote dai datori di lavoro i contributi necessari per l’assicurazione contro l’insolvenza finanziaria in forza di disposizioni di diritto pubblico e, al pari di un’autorità amministrativa, può creare i presupposti dell’esecuzione forzata mediante un atto amministrativo, l’ente in parola deve essere considerato un’autorità pubblica dello Stato membro. Tuttavia, l’inadempimento dell’obbligo imposto dall’articolo 8 della direttiva 2008/94 può essere fatto valere nei confronti dell’ente in parola soltanto se l’adempimento di detto obbligo rientra nell’ambito dei compiti delegatigli dallo Stato, elemento che spetta al giudice nazionale determinare.

 Conclusione

98.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere come segue al Bundesarbeitsgericht (Tribunale federale del lavoro, Germania):

1)      L’articolo 8 della direttiva 2008/94 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro, deve essere interpretato nel senso che esso disciplina la perdita di un’erogazione come quella di cui trattasi al procedimento principale, effettuata da un ex datore di lavoro per compensare, come richiesto dal diritto nazionale, una riduzione della previdenza complementare aziendale.

2)      Le circostanze alle quali la Corte fa riferimento nel punto 35 della sentenza del 24 novembre 2016, Webb‑Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:891) sono quelle in cui il ricorrente dimostra che lo Stato membro non ha adempiuto il proprio obbligo di accertare che siano state adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati o delle persone che hanno già lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro e in cui la riduzione dei diritti previdenziali non sia ad un livello minimo o ad un livello tale da pregiudicare altrimenti l’essenza dei diritti alla previdenza complementare aziendale la cui percezione, se non fosse subentrata l’insolvenza del datore di lavoro, il pensionato avrebbe avuto tutte le ragioni di attendersi.

3)      L’articolo 8 della direttiva 2008/94 esplica effetti diretti di modo che, qualora uno Stato membro non abbia recepito tale direttiva nel diritto nazionale o l’abbia recepita in modo non corretto, detta disposizione conferisce al singolo diritti che questi può far valere dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti dello Stato membro.

4)      Quando, in materia di erogazione di pensioni complementari aziendali, lo Stato membro ha designato – con effetti vincolanti per i datori di lavoro – un ente di diritto privato quale ente che assicura contro l’insolvenza le prestazioni di previdenza complementare aziendale e quando tale ente è soggetto al controllo statale dei servizi finanziari e, inoltre, riscuote dai datori di lavoro i contributi necessari per l’assicurazione contro l’insolvenza finanziaria in forza di disposizioni di diritto pubblico e, al pari di un’autorità amministrativa, può creare i presupposti dell’esecuzione forzata mediante un atto amministrativo, l’ente in parola deve essere considerato un’autorità pubblica dello Stato membro. Tuttavia, l’inadempimento di un obbligo imposto dall’articolo 8 della direttiva 2008/94 può essere fatto valere nei confronti dell’ente in parola soltanto se l’adempimento di detto obbligo rientra nell’ambito dei compiti delegatigli dallo Stato, elemento che spetta al giudice nazionale determinare.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Il ricorrente ha altresì ottenuto, attraverso propri contributi, un aumento dell’importo della propria pensione. La domanda di pronuncia pregiudiziale in oggetto non incide su tale importo supplementare. Inoltre, il giudice del rinvio non ha specificato l’ammontare della pensione legale di cui il ricorrente beneficiava.


3      Dal 2013 continua ad applicarsi una riduzione dell’1,25% all’anno.


4      La nozione di insolvenza è definita all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva in esame.


5      L’articolo 9, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (GU 2003, L 235, pag. 10) dispone che «ciascuno Stato membro provvede, riguardo a ogni ente avente sede nel suo territorio, (…) qualora l’impresa promotrice garantisca il pagamento delle prestazioni pensionistiche, che essa si impegni a finanziarle regolarmente» (Il corsivo è mio). Ciò significa, a contrario, che il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri di provvedere affinché il datore di lavoro garantisca tale pagamento.


6      V. sentenza del 25 aprile 2013, Hogan e a., C‑398/11, EU:C:2013:272, punti da 35 a 40. Nei casi in cui la Corte si è già pronunciata, o dalla descrizione dei fatti effettuata dal giudice del rinvio risulta che il datore di lavoro si fosse impegnato a garantire il pagamento o la Corte è partita dal presupposto che le cose stessero in quel modo.


7      V., per analogia, per quanto riguarda il concetto di compensazione utilizzato nell’articolo 3, paragrafo 1, sentenza del 28 giugno 2018, Checa Honrado, C‑57/17, EU:C:2018:512, punto 30.


8      Nell’adottare la direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU 1977, L 61, pag. 26), che fa parte dello stesso pacchetto normativo della direttiva 80/987, la Commissione ha abbandonato il suo tentativo di legiferare sul trasferimento dei diritti alla previdenza complementare in maniera armonizzata. La ragione dichiarata di ciò consisteva nel fatto che «le condizioni, le forme e i tipi [degli obblighi pensionistici] sono apparsi variabili e i modi della loro organizzazione così diversi, che si rende impossibile l’inclusione nella proposta di direttiva di disposizioni comunitarie caso per caso». V. conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Webb‑Sämann, C‑454/15, EU:C:2016:653, paragrafo 62.


9      Sentenza del 25 gennaio 2007, Robins e a., C‑278/05, EU:C:2007:56, punto 41.


10      V., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2014, UPC Telekabel Wien, C‑314/12, EU:C:2014:192, punti 52 e 53.


11      Sentenza del 25 aprile 2013, C‑398/11, EU:C:2013:272, punto 43.


12      Tuttavia, statuendo in tal senso, la Corte ha abbandonato l’idea di un obbligo di mezzi.


13      Punto 50.


14      Sentenza del 24 novembre 2016, C‑454/15, EU:C:2016:891.


15      Sentenza del 6 settembre 2018, C‑17/17, EU:C:2018:674.


16      Come precisa la Corte, gli Stati membri hanno un obbligo di risultato soltanto a «[a] tale riguardo», ovvero quello di garantire un livello minimo di tutela. V. sentenza del 24 novembre 2016, Webb‑Sämann, C‑454/15, EU:C:2016:891, punto 35.


17      È vero che nella sentenza Hogan e a. (punto 33) la Corte ha dichiarato che l’articolo 8 della direttiva 2008/94 deve essere interpretato nel senso che, al fine di determinare se uno Stato membro abbia adempiuto l’obbligo previsto da tale articolo, non possono essere prese in considerazione le prestazioni della pensione legale. Ritengo tuttavia che, quando la Corte ha fatto tale affermazione, abbia considerato soltanto la soglia del 50%. In primo luogo, quando la sentenza in parola è stata pronunciata, non era ancora emersa la soluzione adottata nelle cause Webb‑Sämann e Hampshire. In secondo luogo, da un punto di vista logico, dal fatto che nell’articolo 8 rientrino soltanto i diritti relativi a regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale non si può dedurre che le prestazioni della pensione legale non possano essere prese in considerazione per valutare se uno Stato membro abbia adempiuto l’obbligo previsto da tale articolo. In realtà, l’estensione di una garanzia non corrisponde all’importo della sua copertura. Nel settore della sicurezza sociale, è comune che sia disposta l’erogazione di una compensazione in considerazione di una situazione particolare (disabilità, disabilità grave, status di orfano), ma che il relativo importo vari in base a fattori esterni, come ad esempio l’intero reddito percepito. Tuttavia, l’interpretazione data dalla Corte nella sentenza Hogan e a. è corretta dal punto di vista della regola del 50%, in quanto, per definizione, per valutare se la riduzione subita eccede tale soglia, si devono prendere in considerazione soltanto le prestazioni erogate nell’ambito di regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali.


18      Sentenza del 25 gennaio 2007, Robins e a., C‑278/05, EU:C:2007:56, punti 80 e 82.


19      Sentenza del 6 settembre 2018, C‑17/17, EU:C:2018:674.


20      Ibidem, punto 56.


21      Ibidem, punto 57.


22      V., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2001, Gharehveran, C‑441/99, EU:C:2001:551, punto 44.


23      Vedi sentenze del 25 gennaio 2007, Robins e a., C‑278/05, EU:C:2007:56, punti da 36 a 45, e del 25 luglio 2018, Guigo, C‑338/17, EU:C:2018:605, punti 30 e 31.


24      V., in tal senso, sentenza del 25 aprile 2013, Hogan e a., C‑398/11, EU:C:2013:272 punto 46.


25      Sentenza del 24 novembre 2016, C‑454/15, EU:C:2016:891.


26      Come risulta dal nome, in un piano pensionistico a prestazioni definite, la persona interessata percepisce una pensione fissa, il che può comportare che il datore di lavoro debba reintegrare il piano in caso di scarso rendimento degli investimenti effettuati, mentre l’erogazione percepita con un piano a contribuzione definita dipende dal rendimento degli investimenti effettuati con una contribuzione fissa versata dal datore di lavoro.


27      V. sentenza del 10 ottobre 2017, Farrell, C‑413/15, EU:C:2017:745, punto 33.


28      Ibidem, punto 34.


29      Articolo 7, paragrafo 1, della legge sulle pensioni.


30      Sentenza del 24 novembre 2016, C‑454/15, EU:C:2016:891.


31      Nelle sentenze del 16 dicembre 1993, Wagner Miret, C‑334/92, EU:C:1993:945, punto 18; e del 18 ottobre 2001, Gharehveran, C‑441/99, EU:C:2001:551, punto 38, La Corte ha pertanto statuito che l’articolo 3 della direttiva 80/987 (ora articolo 3 della direttiva 2008/94) prevede che la direttiva sull’insolvenza dei datori di lavoro non obbliga gli Stati membri a creare un unico organismo di garanzia per tutte le categorie di lavoratori e, di conseguenza, a far dipendere il personale direttivo dall’organismo di garanzia istituito per le altre categorie di lavoratori subordinati.