CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE
presentate il 22 febbraio 2018 (1)
Causa C‑44/17
The Scotch Whisky Association, The Registered Office
contro
Michael Klotz
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo, Germania)]
«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose – Regolamento (CE) n. 110/2008 – Articolo 16, lettere a), b) e c) – Allegato III – Indicazione geografica registrata come “Scotch Whisky” – Whisky prodotto in Germania e commercializzato con la denominazione “Glen Buchenbach” – Nozione di “impiego indiretto” di un’indicazione geografica registrata – Nozione di “evocazione” di una siffatta indicazione – Nozione di “indicazione falsa o ingannevole” – Necessità d’identità con l’indicazione, di una similitudine fonetica e/o visiva, o di una qualsiasi associazione di idee per il consumatore di riferimento – Eventuale considerazione del contesto in cui si inserisce la denominazione controversa»
I. Introduzione
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo, Germania) verte sull’interpretazione dell’articolo 16 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio (2). Tale articolo 16 protegge tutte le indicazioni geografiche (3) registrate nell’allegato III del regolamento n. 110/2008 dalle pratiche che possono indurre in errore i consumatori in merito all’origine di tali prodotti.
2. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale si colloca nel contesto di una controversia tra un’organizzazione del Regno Unito, che si occupa di promuovere gli interessi dell’industria del whisky scozzese, e un commerciante tedesco e riguarda un’azione volta a far cessare la commercializzazione, da parte di quest’ultimo, di un whisky prodotto in Germania e denominato «Glen Buchenbach». La ricorrente nel procedimento principale sostiene che l’uso del termine «Glen» pregiudichi l’indicazione geografica registrata «Scotch Whisky», costituendo sia un impiego commerciale indiretto che un’evocazione di quest’ultima, nonché un’indicazione falsa o ingannevole, vietati rispettivamente dalle lettere a), b) e c) dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008.
3. Il giudice del rinvio invita la Corte a specificare, anzitutto, se la nozione di «impiego (…) indiretto» ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del suddetto regolamento presupponga che l’indicazione geografica protetta sia utilizzata in una forma identica o foneticamente e/o visivamente simile, o se, al contrario, sia sufficiente che il termine controverso susciti, nella mente dei consumatori destinatari, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione geografica protetta. Il giudice del rinvio chiede inoltre se, qualora sia ritenuto sufficiente che il termine susciti una semplice associazione di idee con l’indicazione geografica protetta, nell’applicare la disposizione in esame si debba tener conto del contesto in cui si inserisce il termine utilizzato per designare il prodotto di cui trattasi e, in particolare, del fatto che sull’etichetta di quest’ultimo sia indicata la sua vera origine.
4. Detto giudice chiede inoltre alla Corte se la nozione di «evocazione» di cui all’articolo 16, lettera b), del suddetto regolamento implichi l’esistenza di una similarità fonetica e/o visiva tra l’indicazione geografica protetta e il termine in questione, o se sia sufficiente che quest’ultimo susciti nel pubblico di riferimento una qualsiasi associazione di idee con tale indicazione. Il giudice del rinvio chiede inoltre se, qualora una siffatta associazione fosse sufficiente, nell’applicare la disposizione in esame si debba considerare il contesto in cui tale termine è utilizzato.
5. Infine, il giudice chiede se la verifica dell’esistenza di un’«altra indicazione falsa o ingannevole» ai sensi dell’articolo 16, lettera c), dello stesso regolamento richieda egualmente di considerare il contesto in cui si colloca il termine controverso.
6. La presente causa si differenzia da quelle in cui la Corte ha già interpretato le disposizioni dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 (4), in quanto essa presenta la peculiarità di avere per oggetto la situazione inedita in cui – come evidenziato dalle questioni qui sollevate – la denominazione controversa non presenta alcuna somiglianza, né fonetica né visiva, con l’indicazione geografica protetta, ma asseritamente in grado di indurre i consumatori ad effettuare un collegamento improprio con quest’ultima. La Corte è inoltre indirettamente chiamata a chiarire il modo in cui le norme di cui all’articolo 16, lettere da a) a c), si articolano alla luce delle diverse situazioni ivi menzionate.
II. Quadro normativo
7. L’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, intitolato «Protezione delle indicazioni geografiche», stabilisce che «(…) le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III sono protette da:
a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili alla bevanda spiritosa registrata con tale indicazione geografica o nella misura in cui l’uso di tale indicazione consenta di sfruttare indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica registrata;
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se la vera origine del prodotto è indicata o se l’indicazione geografica è usata in forma tradotta o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “modo”, “stile”, “marca”, “gusto” o altri termini simili;
c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole in relazione alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del medesimo, tale da indurre in errore sull’origine;
d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto».
8. L’allegato III del regolamento n. 110/2008, intitolato «Indicazioni geografiche», precisa che lo «Scotch Whisky» è stato registrato come indicazione geografica appartenente alla categoria 2 di prodotti, ossia «Whisky/Whiskey», aventi come paese d’origine il «Regno Unito (Scozia)».
III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
9. La Scotch Whisky Association, The Registered Office (in prosieguo: la «TSWA») è un’organizzazione di diritto scozzese che ha, in particolare, lo scopo di garantire la protezione del commercio del whisky scozzese sia in Scozia che all’estero.
10. Il sig. Michael Klotz commercializza, tramite un sito Internet, un whisky denominato «Glen Buchenbach» prodotto dalla distilleria Waldhorn, che ha sede a Berglen, nella valle di Buchenbach, in Svevia (Baden-Württemberg, Germania).
11. L’etichetta apposta sulle bottiglie del whisky in questione riporta, oltre all’indirizzo completo del produttore tedesco e al disegno stilizzato di un corno da caccia (in tedesco «Waldhorn»), le seguenti informazioni: «Waldhornbrennerei [in italiano “distilleria Waldhorn”], Glen Buchenbach, Swabian Single Malt Whisky [whisky svevo di malto singolo], 500 ml, 40% vol, Deutsches Erzeugnis [prodotto tedesco], Hergestellt in den Berglen [prodotto nel Berglen]».
12. La TSWA ha investito il Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo) di un’azione finalizzata a far cessare l’uso da parte del sig. Klotz della denominazione «Glen Buchenbach» per il whisky in questione, sostenendo che tale impiego sarebbe contrario, in particolare, all’articolo 16, lettere da a) a c), del regolamento n. 110/2008 (5), che protegge le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III del medesimo regolamento, tra le quali vi è l’indicazione «Scotch Whisky». La TSWA ha in particolare fatto valere, da un lato, che tali disposizioni si applicherebbero non solo all’utilizzo di una siffatta indicazione di per sé, ma anche a tutte le ipotesi in cui l’indicazione geografica protetta venga suggerita, e, dall’altro, che la denominazione «Glen» susciterebbe nella mente del pubblico di riferimento un’associazione con la Scozia e lo Scotch Whisky, nonostante l’aggiunta di altre diciture riguardanti l’origine tedesca del prodotto. Il sig. Klotz ha chiesto di respingere tale ricorso.
13. In tale contesto, con decisione del 19 gennaio 2017, pervenuta alla Corte il 27 gennaio 2017, il Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se un “impiego commerciale (…) indiretto [di un’indicazione geografica registrata per bevande spiritose]” ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento (CE) n. 110/2008 postuli che l’indicazione geografica registrata sia usata in forma identica o simile sul piano fonetico e/o visivo [(6)] ovvero se sia sufficiente che l’elemento controverso del segno susciti nel pubblico di riferimento un’associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata ovvero con la zona geografica.
In tale ultimo caso: se ai fini dell’accertamento dell’eventuale esistenza di un “impiego commerciale indiretto” rilevi altresì il contesto in cui sia inserito l’elemento controverso del segno, oppure se detto contesto non possa escludere un impiego commerciale indiretto dell’indicazione geografica registrata neanche qualora all’elemento controverso del segno si aggiunga un’indicazione della provenienza reale del prodotto stesso.
2) Se un’“evocazione” dell’indicazione geografica registrata di cui all’articolo 16, lettera b), del regolamento (CE) n. 110/2008 postuli la sussistenza di una somiglianza fonetica e/o visiva tra l’indicazione geografica registrata e l’elemento controverso del segno ovvero se sia sufficiente che tale elemento susciti nel pubblico di riferimento un’associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata oppure con la zona geografica.
In tale ultimo caso: se ai fini dell’accertamento dell’eventuale esistenza di un’“evocazione” rilevi altresì il contesto in cui sia inserito l’elemento controverso del segno oppure se detto contesto non possa escludere un’evocazione illegittima dell’indicazione geografica registrata neanche qualora all’elemento controverso del segno si aggiunga un’indicazione della provenienza reale del prodotto stesso.
3) Se, ai fini dell’accertamento dell’eventuale esistenza di un’“altra indicazione falsa o ingannevole” di cui all’articolo 16, lettera c), del regolamento (CE) n. 110/2008, rilevi altresì il contesto in cui sia inserito l’elemento controverso del segno oppure se detto contesto non possa escludere un’indicazione ingannevole neanche qualora all’elemento controverso del segno si aggiunga un’indicazione della provenienza reale del prodotto stesso».
14. Sono state depositate osservazioni scritte da parte della TSWA, del sig. Klotz, dei governi di Grecia, Francia, Italia, Paesi Bassi e della Commissione europea. Non si è tenuta alcuna udienza di discussione.
IV. Analisi
A. Osservazioni preliminari
15. In primo luogo, rilevo che entrambe le parti nel procedimento principale presentano censure relative al tenore letterale della decisione di rinvio.
16. Da un lato, il sig. Klotz sostiene che il giudice del rinvio ha presentato i fatti del procedimento principale in forma abbreviata e incompleta, e fornisce indicazioni integrative di tale presentazione (7).
17. A tale proposito, ricordo che, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, la Corte di giustizia non è competente ad accertare o valutare le circostanze di fatto relative al procedimento principale e che spetta esclusivamente ai giudici nazionali accertare i fatti che hanno dato origine alla controversia e trarne le conseguenze per la decisione che sono chiamati a pronunciare (8). Tuttavia, la Corte può, in uno spirito di cooperazione, dare al giudice nazionale tutte le indicazioni che ritenga necessarie per fornire a quest’ultimo una risposta utile (9).
18. Dall’altro lato, la TSWA contesta al giudice nazionale di aver mal formulato le questioni pregiudiziali (10). Nelle sue osservazioni presentate alla Corte, essa le ha riformulate, fornendo anche le relative risposte (11).
19. Orbene, spetta ai soli giudici nazionali, investiti della controversia e della responsabilità della decisione giudiziaria da emanare, valutare sia la necessità di una domanda di pronuncia pregiudiziale per poter emettere la sentenza, sia la pertinenza delle questioni sollevate dinanzi alla Corte. Conseguentemente, non si può accogliere la richiesta di una delle parti nel procedimento principale di riformulare nei termini da essa indicati la questione sollevata (12). Tuttavia la Corte, dovendo fornire a tali giudici una risposta utile che consenta loro di risolvere la controversia principale, potrà, ove necessario, riformulare le questioni pregiudiziali ad essa sottoposte (13).
20. In secondo luogo, per quanto riguarda l’articolazione tra i vari punti dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, sottolineo fin da ora che, in linea con il governo francese, ritengo che tali disposizioni proteggano le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III del regolamento stesso, prevedendo una serie di ipotesi che si riferiscono in modo via via più indiretto a queste.
21. A mio avviso, infatti, la lettera a) riguarda i casi in cui si fa riferimento all’indicazione geografica registrata in quanto tale; la lettera b) vieta qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione di tale indicazione, anche se la denominazione controversa non vi fa esplicito riferimento; la lettera c) vieta qualsiasi altra dicitura ingannevole circa l’origine del prodotto, mentre la lettera d) riguarda qualsiasi altra pratica commerciale che possa indurre in errore il consumatore circa l’origine del prodotto. Nel corso della seguente analisi ritornerò sulle specificità che differenziano le lettere da a) a c), cui si fa riferimento nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale, e sull’interpretazione che, a mio avviso, se ne deduce (14).
B. Sulla nozione di «impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (prima questione)
1. Sulla forma prescritta di «impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (prima parte della prima questione)
22. La prima questione pregiudiziale invita la Corte a pronunciarsi su cosa occorra intendere per «impiego commerciale (…) indiretto [di un’]indicazione geografica registrata» in relazione ad una bevanda spiritosa, ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008.
23. La prima parte di tale questione riguarda in sostanza la questione se, per poter stabilire l’esistenza di un simile impiego, vietato in forza della suddetta lettera a), la dicitura controversa debba presentarsi in forma identica o simile da un punto di vista fonetico e/o visivo all’indicazione geografica protetta, o se sia sufficiente che essa susciti, nei consumatori di riferimento, una qualsiasi associazione con l’indicazione o con la zona geografica interessata.
24. Il giudice nazionale ritiene che l’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 possa avere due diverse interpretazioni. Secondo un primo approccio, che è suggerito da una parte della dottrina tedesca (15), un «impiego (…) indiretto», ai sensi di tale disposizione, implicherebbe che l’indicazione geografica registrata venga utilizzata in una forma identica o, almeno, simile da un punto di vista fonetico e/o visivo, e che vi venga fatto riferimento non sul prodotto o sulla confezione, come nel caso dell’«impiego (…) diretto», ma in qualsiasi altro contesto quale, ad esempio, in una pubblicità o in documenti che accompagnano il prodotto. Il giudice nazionale precisa che, alla luce di una simile interpretazione, la lettera a) non sarebbe applicabile nel caso di specie, in quanto le denominazioni «Glen» e «Scotch Whisky» non sono né identiche né simili. Al contrario, seguendo un secondo approccio, sarebbe sufficiente che l’elemento controverso del segno susciti nel pubblico di riferimento una qualsiasi associazione con l’indicazione geografica o con l’area geografica interessata (16).
25. La TSWA e i governi greco e italiano sostengono questa seconda interpretazione. Al contrario, il sig. Klotz, i governi francese e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione ritengono, sostanzialmente, che non possa parlarsi di «impiego (…) indiretto» ai sensi dell’articolo 16, lettera a), quando si utilizza una denominazione di tutt’altra forma rispetto all’indicazione geografica registrata in questione (17). Condivido quest’ultima interpretazione, per i motivi illustrati qui di seguito.
26. Innanzitutto, rammento che, conformemente a una giurisprudenza consolidata della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (18).
27. In primo luogo, sono del parere che, quanto al tenore letterale dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008, la TSWA sostenga erroneamente che tale disposizione debba essere interpretata in senso ampio, vale a dire nel senso che un impiego commerciale «indiretto» di un’indicazione geografica registrata implica non un uso, totale o parziale, di tale indicazione di per sé, bensì un riferimento implicito a essa, nella misura in cui tale uso sia relativo a «prodotti (…) comparabili» o «[sfrutta] (…) la rinomanza dell’indicazione geografica registrata» in questione (19).
28. A questo proposito, sono del parere che l’espressione «impiego commerciale diretto o indiretto [di una] indicazione geografica registrata» (20) di cui all’articolo 16, lettera a), richieda un impiego dell’indicazione in questione nella forma in cui questa è stata registrata o, quanto meno, in una forma così strettamente connessa ad essa da risultarne chiaramente indissociabile (21). Mi sembra, infatti, che il termine «impiego» richieda, per definizione, l’utilizzo della indicazione geografica protetta stessa, che deve pertanto risultare identica o almeno simile (22), foneticamente e/o visivamente, al marchio controverso (23).
29. Si noti che la Corte ha già fornito elementi di definizione per quanto riguarda la nozione di impiego «diretto» ai sensi dell’articolo 16, lettera a), ammettendo che essa possa contemplare l’uso di un marchio contenente un’indicazione geografica o un termine corrispondente a tale indicazione e la sua traduzione per bevande spiritose che non soddisfano le specifiche corrispondenti, come nel caso dei marchi figurativi di cui trattasi nel procedimento principale. Per contro, la Corte non si è ancora pronunciata su cosa si intenda per impiego «indiretto» ai sensi della stessa disposizione.
30. A mio avviso, tale carattere indiretto non si riferisce alle ipotesi in cui la denominazione in questione non fa esplicito riferimento a una delle indicazioni geografiche registrate nell’allegato III del regolamento n. 110/2008, come sostiene la TSWA, bensì alle ipotesi in cui si faccia uso di un mezzo indiretto per utilizzare una siffatta indicazione. Infatti, in linea con il sig. Klotz, il governo dei Paesi Bassi e la Commissione, ritengo che, contrariamente ad un impiego «diretto», che implica che l’indicazione geografica protetta venga apposta direttamente sul prodotto in questione o sulla sua confezione, un impiego «indiretto» implichi che tale indicazione figuri in strumenti complementari di marketing o di informazione, quali una pubblicità del prodotto (24) o documenti ad esso relativi (25).
31. In secondo luogo, per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce la disposizione in questione, sottolineo che la lettera a) dell’articolo 16 ha necessariamente un campo di applicazione distinto dalle previsioni contenute successivamente nella stessa norma. Essa deve, in particolare, essere debitamente differenziata dalla lettera b), che si riferisce ai casi di «usurpazione, imitazione o evocazione», ossia a casi in cui l’indicazione geografica non è utilizzata in quanto tale, bensì suggerita, mediante un riferimento più sottile di quello di cui alla lettera a), ai consumatori destinatari.
32. Orbene, la lettera b) dell’articolo 16 perderebbe il suo effetto utile se la lettera a) del medesimo articolo fosse interpretata in maniera estensiva, come proposto nella prima questione pregiudiziale, diventando applicabile anche alle ipotesi in cui il marchio contestato si limiti a suscitare una qualsiasi associazione di idee con un’indicazione geografica registrata o con la relativa area geografica. L’impianto generale dell’articolo 16, come sottolineano il governo francese e la Commissione, dimostra pertanto che la nozione di «impiego commerciale diretto o indiretto [di un’]indicazione geografica registrata» ai sensi della lettera a) di detto articolo non è applicabile a tali ipotesi.
33. Questa conclusione mi sembra suffragata dalla giurisprudenza della Corte (26) secondo la quale è richiesto un sufficiente legame di prossimità all’indicazione geografica protetta anche per quanto riguarda la nozione di mera «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b) (27), requisito che, a mio parere, si applica a fortiori alla nozione di «impiego» ai sensi della lettera a) di tale articolo.
34. In terzo luogo, per quanto riguarda gli obiettivi del regolamento n. 110/2008, noto innanzitutto che il suo considerando 4 sottolinea che il legislatore dell’Unione europea ha mirato ad «assicurare un’impostazione più sistematica nella (…) normativa [in materia di bevande spiritose]», stabilendo «precisi criteri», in particolare per «la protezione delle indicazioni geografiche» (28).
35. Dubito che l’ammissione di un criterio quale quello evocato dal giudice nazionale, vale a dire il fatto di «suscita[re] nella mente del pubblico di riferimento una qualsiasi associazione con l’indicazione geografica registrata o con l’area geografica» (29) sia compatibile con questa esplicita preoccupazione del legislatore per la certezza del diritto, trattandosi di un criterio che non è stato assolutamente previsto dal legislatore e i cui contorni appaiono troppo incerti. Per quanto riguarda le disposizioni dell’articolo 16 di tale regolamento, la Corte ha indubbiamente già menzionato il rischio di «creare nella (…) mente [del pubblico] un’associazione di idee quanto all’origine del prodotto» (30), ma mi sembra tuttavia che essa non abbia inteso elevare tale considerazione di carattere generale a fattore decisivo di valutazione ai fini dell’applicazione di una o dell’altra previsione.
36. Inoltre, da un punto di vista più sostanziale, rilevo che il considerando 2 del regolamento n. 110/2008 afferma che le misure ivi previste «dovrebbero contribuire al raggiungimento di un livello elevato di protezione dei consumatori, alla prevenzione delle pratiche ingannevoli e alla realizzazione della trasparenza del mercato e di eque condizioni di concorrenza». Il considerando 9 aggiunge che tali misure «dovrebbero altresì impedire l’usurpazione (…) delle denominazioni delle bevande spiritose per prodotti che non soddisfano le definizioni di cui [a tale] regolamento». Il suo considerando 14 fa riferimento alla protezione specifica concessa alle indicazioni geografiche registrate nell’allegato III di tale regolamento «quando una determinata qualità, la rinomanza o altre caratteristiche della bevanda spiritosa siano essenzialmente attribuibili [a una determinata] origine geografica».
37. Per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti, in particolare, dall’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, emerge chiaramente dal suo titolo che esso ha lo scopo di garantire la «[p]rotezione delle indicazioni geografiche» mediante la loro registrazione, tesa, da un lato, a consentire l’identificazione delle bevande spiritose come originarie di un determinato territorio nei casi di cui al suddetto considerando 14 e, dall’altro, a contribuire alla realizzazione degli obiettivi più generali espressi nel considerando 2 (31).
38. Pertanto, ritengo che le disposizioni del regolamento n. 110/2008, e in particolare quelle dell’articolo 16, siano tese ad impedire che sia fatto un uso abusivo delle indicazioni geografiche protette, non solo nell’interesse degli acquirenti, ma anche nell’interesse dei produttori che si sono adoperati per garantire le qualità previste per i prodotti recanti legittimamente siffatte indicazioni, come già sottolineato dalla Corte in relazione a una disposizione del diritto dell’Unione (32) il cui testo è analogo (33) a quello dell’articolo 16 di questo regolamento (34). A tal fine, la lettera a) del suddetto articolo 16 vieta più specificamente, in modo espresso, ad altri operatori di utilizzare a fini commerciali un’indicazione geografica registrata per prodotti che non ne soddisfano tutti i requisiti (35), in particolare allo scopo di sfruttare indebitamente la rinomanza di tale indicazione geografica (36).
39. A mio parere, ne consegue che, se garantire un elevato livello di tutela dei consumatori è certamente uno degli obiettivi delle disposizioni in esame, non si può tuttavia dedurre, come suggerito dai governi greco e italiano, che sarebbe sufficiente, per l’applicazione del divieto di cui alla lettera a), che la denominazione controversa sia tale da indurre in qualunque modo il consumatore in errore circa l’origine del prodotto in questione, esattamente come se l’indicazione geografica fosse stata utilizzata in forma identica o simile a quella registrata. Non va dimenticato, infatti, che tali disposizioni mirano anche a salvaguardare le qualità riconosciute ai prodotti recanti siffatta indicazione e, di conseguenza, a tutelare gli interessi economici degli operatori che hanno investito per garantire tali qualità nonché, più in generale, a promuovere la trasparenza del mercato e una concorrenza leale.
40. Propongo pertanto di rispondere alla prima parte della prima questione dichiarando che l’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che l’«impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata, vietato da tale disposizione, richiede che la denominazione controversa sia identica o foneticamente e/o visivamente simile all’indicazione in questione. Non è dunque sufficiente che tale denominazione possa suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione o con la relativa zona geografica.
2. Sull’impatto di eventuali informazioni relative al segno controverso alla luce dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (seconda parte della prima questione)
41. La seconda parte della prima questione pregiudiziale è sottoposta alla Corte di giustizia solo nel caso in cui questa abbia stabilito che una semplice associazione di idee con l’indicazione geografica registrata o la zona geografica in questione possa essere sufficiente a caratterizzare l’esistenza di un «impiego commerciale (…) indiretto» di tale indicazione ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008.
42. Avendo proposto di rispondere alla prima parte di tale questione accogliendo l’interpretazione contraria, non ritengo necessario che la Corte si pronunci sulla sua seconda parte. Ciononostante, presenterò qui di seguito alcune osservazioni in merito a quest’ultimo punto.
43. Il giudice del rinvio si chiede se, per dimostrare l’esistenza di un impiego commerciale indiretto, sia necessario tener conto del contesto in cui si inserisce la dicitura controversa, in particolare del fatto che quest’ultima sia accompagnata da una precisazione sulla vera origine del prodotto, in modo tale che, in base alle informazioni ivi fornite, si possa respingere l’allegazione in base alla quale i requisiti di cui all’articolo 16, lettera a), non sarebbero stati soddisfatti. Più in concreto, il giudice del rinvio si chiede se l’elemento controverso «Glen» debba essere valutato isolatamente o alla luce delle varie diciture riportate sull’etichetta, indicanti che il prodotto in questione è originario della Germania (37). Esso ritiene di poter ordinare il divieto assoluto di commercializzazione richiesto dalla TSWA nel procedimento principale solo nel caso in cui la Corte interpreti la lettera a) dell’articolo 16 nel senso che vieta l’impiego di un termine che dia origine ad una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione geografica registrata, indipendentemente dal contesto in cui esso viene impiegato.
44. La TSWA e il governo greco sostengono l’irrilevanza delle indicazioni aggiuntive fornite sull’etichetta e sull’imballaggio del prodotto (38) ai fini dell’esclusione dell’applicabilità dell’articolo 16, lettera a). Il governo italiano sostiene che, sebbene il contesto in cui si inserisce l’elemento controverso possa avere una qualche rilevanza, non si può escludere l’esistenza di un impiego indiretto, ai sensi della disposizione in esame, anche nei casi in cui tale elemento è accompagnato da informazioni sull’origine del prodotto. Il governo dei Paesi Bassi ritiene che non sussista un impiego indiretto nei casi in cui non vi sia alcun riferimento all’indicazione geografica protetta e, oltretutto, l’etichetta indichi chiaramente il luogo in cui la bevanda è stata prodotta (39).
45. Da parte mia, mi limiterò a sottolineare, a titolo sussidiario (40), che l’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 non menziona esplicitamente nella lettera a), come accade invece nella lettera b), le condizioni in cui è possibile constatare un’«usurpazione, imitazione o evocazione» di un’indicazione geografica registrata «anche se la vera origine del prodotto è indicata».
46. Questa differenza di formulazione si spiega, a mio parere, con il fatto che, laddove si faccia riferimento ad un possibile «impiego commerciale diretto o indiretto» di un’indicazione geografica protetta, ai sensi dell’articolo 16, lettera a), tale ipotesi presuppone che detta indicazione sia utilizzata in quanto tale o in una forma equiparabile, e non sotto forma di un’indicazione di tutt’altro tipo (41). Non vi è pertanto alcun dubbio circa il fatto che l’analisi della situazione in questione debba focalizzarsi sulla constatazione dell’impiego o meno di una delle indicazioni geografiche registrate nell’allegato III dello stesso regolamento.
47. D’altro canto, nel caso di cui alla lettera b) del suddetto articolo 16, quando si tratta di un’«usurpazione, imitazione o evocazione», la valutazione della situazione deve andare chiaramente oltre una simile constatazione obiettiva, richiedendo una visione prospettica, nell’ambito della quale il legislatore dell’Unione ha tenuto a precisare espressamente che determinati fattori potenziali di valutazione, in particolare il fatto che sia indicata la «vera origine del prodotto» (42), non consentono di escludere una delle tre qualificazioni (43). A mio avviso, ciò dovrebbe avvenire, a fortiori, per il caso più semplice di cui alla lettera a) dello stesso articolo 16, supponendo che la Corte ritenga necessario, ai fini dell’applicazione della disposizione in esame, valutare il contesto in cui si inserisce il segno controverso.
C. Sulla nozione di «evocazione» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (seconda questione)
1. Sulla forma prescritta di «evocazione» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (prima parte della seconda questione)
48. La seconda questione pregiudiziale chiede alla Corte di pronunciarsi sulla nozione di «evocazione» di un’indicazione geografica registrata relativa ad una bevanda spiritosa ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008.
49. Con la prima parte di tale questione, il giudice del rinvio chiede se, per poter stabilire l’esistenza di una siffatta evocazione, e quindi vietarla in forza della lettera b) suddetta, la dicitura controversa debba presentarsi in forma identica o foneticamente e/o visivamente simile all’indicazione geografica protetta, o se sia al contrario sufficiente che tale dicitura susciti, nella mente dei consumatori di riferimento, una qualsiasi associazione con l’indicazione protetta o con la relativa zona geografica.
50. A sostegno della propria domanda, il giudice nazionale spiega che la Corte ha costantemente interpretato la nozione di «evocazione» contenuta all’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, nonché in precedenti disposizioni analoghe di diritto dell’Unione, nel senso che essa «si riferisce all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, alla merce che beneficia di tale denominazione» (44). Il giudice aggiunge che, a sua conoscenza, la Corte non si è tuttavia ancora pronunciata sulla questione se una somiglianza fonetica e/o visiva tra i segni in questione (45) sia un requisito indispensabile per stabilire l’esistenza di un’evocazione vietata. A suo avviso, è fondamentale avere una risposta a questa domanda, in quanto una siffatta somiglianza non è rilevabile nel caso di specie (46).
51. La TSWA e i governi greco, francese e italiano propongono di rispondere nel senso che l’«evocazione» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), non richiede che il termine controverso presenti una somiglianza fonetica e/o visiva con l’indicazione in questione e che è sufficiente che tale termine susciti, nella mente del pubblico di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione o con l’area geografica. Il sig. Klotz e il governo dei Paesi Bassi sostengono il contrario.
52. La Commissione adotta una sorta di posizione intermedia, secondo la quale la nozione di «evocazione» non richiederebbe necessariamente un’affinità fonetica e/o visiva o semplicemente un’associazione di idee, ma piuttosto, nella fattispecie, «l’esistenza, tra l’indicazione geografica registrata e la designazione contestata, di una somiglianza concettuale tale da indurre un consumatore normalmente informato a stabilire un legame diretto e inequivocabile tra la designazione contestata e [tale] indicazione» (47). Propendo per un’interpretazione vicina a quest’ultima, per i seguenti motivi.
53. Prima di tutto, noto che il tenore letterale della lettera b) in questione non contiene alcun elemento che consenta di definire con precisione cosa si intenda per «evocazione» di un’indicazione geografica protetta. Al massimo, un esame alla luce delle altre due ipotesi citate precedentemente nella disposizione in oggetto, ossia l’«usurpazione» e l’«imitazione», permette di ritenere che la nozione di «evocazione» implichi un certo grado di somiglianza con l’indicazione geografica in questione, anche se sembra richiedere il grado di somiglianza più basso tra le tre nozioni.
54. Inoltre, a mio parere, è opportuno trarre una serie di insegnamenti dalla giurisprudenzadella Corte in merito all’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 o ad altre disposizioni del diritto dell’Unione la cui formulazione è analoga a quella della norma in esame.
55. Come rilevato dal giudice nazionale, la Corte ha ritenuto che sussista effettivamente un’«evocazione» ai sensi, in particolare, della lettera b) suddetta, qualora la designazione controversa «incorpori una parte di una denominazione protetta» (48). Ritengo che una siffatta incorporazione parziale (49), che era presente nelle controversie principali che hanno dato origine alle sentenze della Corte in esame (50), non sia tuttavia una condizione sine qua non per l’applicazione di questa disposizione.
56. Infatti, come sottolineato dal governo francese, dall’espressione «di modo che», che segue la formulazione sopracitata, risulta che il criterio fondamentale e decisivo per valutare l’esistenza di una siffatta «evocazione» sia quello di verificare se «il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, alla merce che beneficia di tale denominazione [protetta]» (51). La Corte ha peraltro già precisato che «il giudice nazionale deve sostanzialmente fondarsi sulla presunta reazione del consumatore nei confronti del termine utilizzato per designare il prodotto in questione, essendo essenziale che il consumatore effettui un collegamento tra detto termine e la denominazione protetta» (52). Essa ha inoltre precisato che tale giudice deve «tener conto dell’aspettativa presunta di un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto» (53). È infatti possibile che, anche se la denominazione protetta in questione è parte integrante del marchio contestato, il consumatore medio, in presenza di un prodotto recante tale marchio, non associ necessariamente il medesimo al prodotto che beneficia della suddetta denominazione (54).
57. La Corte ha inoltre ripetutamente statuito che è «legittimo considerare che sussista evocazione di una denominazione protetta allorquando, trattandosi di prodotti di apparenza analoga, le denominazioni di vendita presentino una similarità fonetica e visiva» che «non è frutto di circostanze fortuite», precisando che «una tale similarità è evidente laddove il termine utilizzato per designare il prodotto in questione finisca con le due medesime sillabe della denominazione protetta e comprenda il medesimo numero di sillabe di quest’ultima» (55).
58. Tuttavia, concordo con la maggioranza delle parti che hanno presentato osservazioni nella presente causa (56), che l’identificazione di una similarità fonetica e visiva non è una condizione imperativa per verificare la sussistenza di un’«evocazione», ma piuttosto una delle valutazioni, tra le altre indicate dalla Corte, che consentono di effettuare tale verifica. Mi sembra che il riferimento della Corte ad una «similarità» o «somiglianza» fonetica e visiva fosse legato alle circostanze di fatto specifiche delle cause che hanno dato origine alle sentenze in cui essa compare (57) e che non si possa pertanto escludere la possibilità di rilevare un’«evocazione» anche in assenza di una siffatta similarità.
59. Oltre al summenzionato criterio dell’incorporazione parziale di una denominazione protetta (58), un altro dei fattori di valutazione rilevanti è quello della «“somiglianza concettuale” esistente tra i termini, pur di lingue diverse». Sottolineo che la Corte ha differenziato questo criterio da quello della «similarità fonetica e visiva» e che esso, come gli altri criteri, è stato ricollegato alla valutazione della percezione del consumatore, che appare quindi la condizione fondamentale e necessaria affinché sussista un’«evocazione» (59).
60. Ritengo pertanto che, ai fini della caratterizzazione di un’«evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, l’unico criterio determinante sia quello di valutare se «il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, alla merce che beneficia [della] denominazione [protetta]» (60), circostanza che il giudice nazionale deve valutare tenendo conto, se del caso, dell’incorporazione parziale di una denominazione protetta nella designazione contestata, o di una similarità fonetica o visiva, o di una somiglianza concettuale.
61. D’altro canto, a mio parere, non sarebbe conforme alle finalità sopracitate delle disposizioni in esame (61) ammettere un criterio così impreciso ed ampio come quello di cui alla seconda questione pregiudiziale, vale a dire che l’elemento controverso del segno «susciti nel pubblico di riferimento un’associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata oppure con la zona geografica» (62).
62. Inoltre, tenuto conto dell’economia generale dell’articolo 16, è necessario, come ho indicato in relazione alla sua lettera a) (63), far sì di non interpretarne la lettera b) in un senso che comporterebbe che quest’ultima disposizione incida sul campo di applicazione delle disposizioni che la seguono nel medesimo articolo, vale a dire le lettere c) e d), che riguardano situazioni in cui il riferimento all’indicazione geografica protetta è ancora più sottile rispetto a un’«evocazione» della medesima.
63. Infine, per quanto riguarda il contesto più generale in cui si inscrive il regolamento n. 110/2008, e in particolare il suo articolo 16, il sig. Klotz sottolinea giustamente che, se la Corte stabilisse che è sufficiente, per caratterizzare un’«evocazione», suscitare un’associazione di qualsiasi tipo, ciò porterebbe ad un’imprevedibile estensione del campo di applicazione di tale regolamento e comporterebbe rischi significativi per la libera circolazione delle merci, posto che la protezione della proprietà industriale e commerciale, quale fornita dal regolamento in esame (64), rappresenta una delle possibili giustificazioni alle restrizioni di tale libertà (65).
64. Più precisamente, se la protezione dell’indicazione geografica, in questo caso «Scotch Whisky», garantita dal suddetto articolo 16, lettera b), dovesse essere estesa all’impiego di un termine per nulla analogo a quello protetto, anche i prodotti o i marchi che non fanno in alcun modo riferimento al tenore letterale dell’indicazione protetta rientrerebbero nel divieto previsto dalla disposizione in esame. Ciò comporterebbe, come sottolineato dal governo dei Paesi Bassi, una riduzione significativa delle possibilità per i produttori di whisky provenienti da paesi diversi dal «Regno Unito (Scozia)» (66) di distinguersi attraverso i propri prodotti o marchi (67).
65. Pertanto, propongo di rispondere alla prima parte della seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che l’«evocazione» di un’indicazione geografica registrata, vietata da tale disposizione, non richiede che la denominazione controversa presenti necessariamente una similarità fonetica e visiva con l’indicazione in questione, ma che non è tuttavia sufficiente che tale denominazione sia in grado di suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione protetta o con la relativa zona geografica. In mancanza di una siffatta similarità, occorre tener conto della somiglianza concettuale esistente, se del caso, tra l’indicazione di cui trattasi e la denominazione contestata, a condizione che detta somiglianza sia tale da far sì che il consumatore abbia in mente, come immagine di riferimento, il prodotto che beneficia dell’indicazione suddetta.
66. Per quanto riguarda l’applicazione di tale conclusione al contesto del procedimentoprincipale, ricordo che spetta unicamente al giudice nazionale stabilire se, nel caso di specie, vi sia «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), (68), e non alla Corte, sebbene quest’ultima possa comunque fornire indicazioni ai giudici nazionali per guidarli nella loro valutazione (69).
67. A questo proposito, osservo che il giudice nazionale, dopo aver ricordato gli argomenti delle parti nel procedimento principale (70), precisa che il termine «glen» è una parola di origine gaelica che significa «valle stretta» e che 31 delle 116 distillerie che producono «Scotch Whisky», cioè whisky di origine scozzese, recano il nome del glen in cui sono situate. Tale giudice sottolinea che, tuttavia, esistono anche whisky prodotti al di fuori della Scozia e recanti il termine «glen» nella loro denominazione, quali il «Glen Breton» proveniente dal Canada (71), il «Glendalough» dall’Irlanda e il «Glen Els» dalla Germania (72). Esso fa inoltre riferimento ad un’indagine, presentata dalla TSWA e contestata dal sig. Klotz, da cui risulterebbe, tra l’altro, che il 4,5% dei consumatori tedeschi di whisky interpellati avrebbe affermato che il termine «glen» evocherebbe a loro avviso il whisky scozzese o qualcosa di scozzese.
68. Alla luce di questi elementi, condivido l’opinione della Commissione secondo la quale non si può affermare con certezza che, in circostanze come quelle del procedimento principale, vi sia, tra l’indicazione geografica protetta e la denominazione contestata, una somiglianza concettuale sufficiente per considerare quest’ultima un’«evocazione» della prima ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (73). A tale riguardo, spetterà unicamente al giudice del rinvio determinare se un consumatore medio europeo sia indotto a pensare (74) direttamente allo «Scotch Whisky» in presenza di un prodotto comparabile recante la designazione «Glen», nonostante il fatto che la scelta di quest’ultimo nome per un whisky non sia senza dubbio puramente accidentale (75). Anche supponendo che tale giudice consideri che i consumatori associno sistematicamente il termine «Glen» al whisky, potrebbe tuttavia mancare il necessario legame stretto tra questo termine e il whisky scozzese, e quindi l’indispensabile somiglianza all’indicazione «Scotch Whisky».
2. Sull’impatto di eventuali informazioni relative al segno controverso, alla luce dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (seconda parte della seconda questione)
69. La seconda parte della seconda questione pregiudiziale è sottoposta alla Corte unicamente per il caso in cui quest’ultima abbia stabilito che una similarità fonetica e visiva non è imperativa ai fini della determinazione dell’esistenza di un’«evocazione» di tale indicazione ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, e che possa essere sufficiente una semplice associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata o la zona geografica in questione.
70. Alla luce della risposta che ho suggerito di fornire alla prima parte di tale questione (76), ritengo necessario prendere posizione anche sulla seconda parte della medesima.
71. Il giudice del rinvio chiede alla Corte se, al fine di determinare se vi sia concretamente un’«evocazione» vietata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), l’elemento controverso del segno debba essere analizzato isolatamente oppure tenendo conto del contesto in cui esso viene impiegato, in particolare quando è accompagnato da indicazioni cosiddette di «delocalizzazione» che precisano la vera origine del prodotto in questione (77).
72. Tale giudice nota che l’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 stabilisce espressamente che «qualsiasi (…) evocazione» è vietata «anche se la vera origine del prodotto è indicata», chiarimento che potrebbe precludere la valutazione del contesto che circonda l’elemento controverso. A suo parere, tuttavia, ciò non precluderebbe necessariamente di considerarlo «nell’accertamento a monte in merito alla sussistenza di un’“evocazione”».
73. Il governo dei Paesi Bassi ritiene che non sia necessario analizzare la seconda parte della seconda questione pregiudiziale, tenuto conto della risposta da esso proposta alla sua prima parte. Il sig. Klotz sostiene che il contesto in cui si inserisce la dicitura controversa dovrebbe avere un ruolo nell’applicazione del suddetto articolo 16, lettera b) (78). Il governo italiano non rigetta questa possibilità, ma afferma che non si possa escludere un’«evocazione» illegale ai sensi della disposizione in esame, anche qualora sul prodotto in questione sia menzionata espressamente la sua origine esatta. La TSWA, i governi greco e francese, nonché la Commissione, ritengono sostanzialmente che le informazioni supplementari fornite dall’etichettatura e dall’imballaggio (79) del prodotto in questione non possono svolgere alcun ruolo ai fini della valutazione dell’esistenza di un’«evocazione», anche qualora l’elemento controverso sia corredato da informazioni circa la vera origine del prodotto. Condivido quest’ultima interpretazione, per i motivi illustrati qui di seguito.
74. Prima di tutto, dal tenore letterale dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, emerge, a mio parere inequivocabilmente, che il fatto che la «vera origine del prodotto» sia portata a conoscenza dei consumatori di riferimento non costituisce un elemento tale da rimediare al carattere fuorviante della denominazione contestata, e quindi da escludere che quest’ultima possa rientrare nella qualificazione di «evocazione» ai sensi della disposizione stessa.
75. Le altre precisazioni contenute nella lettera b), che riguardano i casi in cui l’indicazione geografica protetta è utilizzata sotto forma di traduzione o accompagnata da un’espressione attenuante (80), confermano, a mio parere, l’interpretazione secondo cui è irrilevante, per tale qualificazione, che informazioni complementari sull’origine del prodotto in questione siano fornite nella sua designazione, presentazione, etichettatura o addirittura nel suo imballaggio (81).
76. In secondo luogo, condivido il parere della TSWA, del governo francese e della Commissione, secondo cui la giurisprudenza della Corte fornisce elementi che corroborano tale interpretazione.
77. In effetti, la Corte ha chiaramente indicato che l’eventuale uso delle diciture espressamente menzionate all’articolo 16, lettera b), in particolare per quanto riguarda la vera origine del prodotto, non sarebbe «atta a modificare [la] qualificazione» di «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (82).
78. Inoltre, la Corte ha statuito che la mancanza di un qualunque rischio di confusione, nella mente del pubblico di riferimento, tra i prodotti in questione non può ostare a tale qualificazione di «evocazione» (83).
79. Di conseguenza, l’utilizzo di una denominazione qualificata come «evocazione», ai sensi di tale disposizione, di un’indicazione geografica registrata nell’allegato III del suddetto regolamento non può nondimeno essere autorizzato tenendo conto di particolari circostanze che caratterizzino il prodotto recante detta denominazione illecita, o in assenza di rischio di confusione con un prodotto autorizzato a recare tale indicazione geografica(84). Il giudice nazionale non dispone pertanto di un margine di valutazione del contesto a tale titolo (85).
80. In particolare, da questa giurisprudenza emerge l’irrilevanza, ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del fatto che la denominazione controversa corrisponda al nome della società e/o del luogo in cui il prodotto è fabbricato (86), come sostenuto dal sig. Klotz, il quale fa valere che la designazione «Glen Buchenbach» sarebbe un gioco di parole basato sui nomi del luogo di origine della bevanda in questione nel procedimento principale (Berglen)e di un fiume locale (Buchenbach) (87).
81. La Corte ha inoltre precisato che il fatto che la denominazione controversa faccia riferimento ad un luogo di fabbricazione che sarebbe noto ai consumatori dello Stato membro in cui è fabbricato il prodotto, non costituirebbe un fattore rilevante ai fini della valutazione della nozione di «evocazione» ai sensi della suddetta lettera b), in quanto tale disposizione protegge le indicazioni geografiche registrate da qualsiasi evocazione in tutto il territorio dell’Unione e, vista la necessità di garantire una protezione effettiva e uniforme delle medesime nell’intero territorio, sono coinvolti tutti i consumatori dell’Unione (88).
82. Tale irrilevanza è, a mio avviso, valida anche nel caso in cui il riferimento al luogo di fabbricazione del prodotto in questione sia contenuto, come sembra avvenire nella presente controversia principale, non solo nella denominazione controversa stessa, ma anche in diciture che la integrano(89).
83. Propongo pertanto di rispondere alla seconda parte della seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che, ai fini di caratterizzare l’esistenza di un’«evocazione» vietata da tale disposizione, non si devono tenere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare quelle relative alla vera origine di quest’ultimo.
D. Sull’impatto di eventuali informazioni relative al segno controverso alla luce dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 (terza questione)
84. La terza questione pregiudiziale invita la Corte a chiarire se, per accertare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole (…) tale da indurre in errore sull’origine» ai sensi dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, occorra tener conto del contesto in cui è utilizzata la dicitura controversa, in particolare quando quest’ultima è accompagnata dall’indicazione della vera origine del prodotto di cui trattasi.
85. Il giudice del rinvio si chiede se, ai fini dell’accertamento nella controversia principale dell’esistenza di un’indicazione ingannevole circa la provenienza del prodotto, si debba considerare soltanto l’elemento controverso del segno, vale a dire «Glen», o anche il contesto in cui si inserisce tale elemento. Nel caso di specie, tale contesto includerebbe, in particolare, il termine «Buchenbach», che segue il termine «Glen» nella denominazione contestata, nonché le altre diciture che compaiono sull’etichetta che porterebbero a una delocalizzazione del prodotto (90).
86. A tale proposito, il sig. Klotz, la Commissione e sostanzialmente il governo dei Paesi Bassi (91) ritengono che, per valutare se esiste un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi dell’articolo 16, lettera c), si debba tener conto del contesto in cui si colloca il segno controverso e, in particolare, procedere ad un’analisi globale dell’etichetta. Secondo il governo italiano, l’esame di tale contesto non può escludere la possibilità che vi possa essere un’indicazione ingannevole, anche in presenza di una dicitura che indichi la vera origine del prodotto. La TSWA e i governi greco e francese sostengono l’irrilevanza del contesto ai fini dell’applicazione della disposizione in esame, anche qualora l’elemento in questione sia accompagnato da informazioni relative alla vera origine del prodotto. Condivido quest’ultima opinione per i seguenti motivi.
87. Innanzitutto, per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, sottolineo in primo luogo come tale disposizione non faccia alcun riferimento agli elementi che possono delimitare, integrare o addirittura correggere la designazione controversa.
88. In secondo luogo, la Commissione sostiene, a mio avviso erroneamente, che «sia gli aggettivi “qualsiasi altra” sia il riferimento congiunto a “designazione, (…) presentazione o (…) etichettatura del prodotto” indicano inequivocabilmente la necessità di considerare tutte le indicazioni relative all’origine nel loro insieme, e, congiuntamente, la designazione, la presentazione e l’etichettatura», cosicché, nel procedimento principale, la valutazione dovrebbe vertere sulla totalità delle informazioni che figurano sull’etichetta.
89. A questo proposito, rilevo che nella versione in lingua tedesca (92) di tale articolo 16, le lettere a) e b), che iniziano con il termine «jede [ogni]» seguito dal singolare, sono senza dubbio formulate in modo diverso rispetto alle lettere c) e d) dello stesso articolo, in cui si usa il termine «alle [tutte]» seguito dal plurale, costruzione che potrebbe forse suggerire un’idea di globalità per questi ultimi due punti.
90. Tuttavia, tale variazione nella formulazione dei vari casi di cui al suddetto articolo 16 non esiste in altre versioni linguistiche, nelle quali il termine che significa sostanzialmente «ogni» all’inizio sia della lettera c) sia delle lettere a), b) e d) di detto articolo non comporta, a mio avviso, la necessità di esaminare nel loro insieme tutti i dati riportati, nel caso di specie, sull’etichetta per valutare se una situazione come quella di cui al procedimento principale rientri specificamente nel divieto di cui a tale lettera c) (93).
91. Orbene, secondo giurisprudenza costante, le disposizioni del diritto dell’Unione devono essere interpretate e applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni redatte in tutte le lingue dell’Unione europea, e, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche, la disposizione in esame deve essere interpretata alla luce dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa costituisce un elemento (94). Ciò mi porta a sostenere un’interpretazione contraria a quella proposta dalla Commissione (95).
92. Per quanto riguarda l’espressione «indicazione falsa o ingannevole (…) nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del prodotto», non vedo nemmeno in questo caso come tale enumerazione, in cui viene peraltro utilizzata la congiunzione coordinativa «o» (96) ‑ che solitamente indica un’alternativa – induca la Commissione a concluderne che si dovrebbe procedere ad una valutazione definita «collettiva», che consisterebbe nel dover prendere in considerazione la totalità delle informazioni relative al prodotto in esame che corredano il segno controverso per determinare se tale segno rappresenti un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi della lettera c) dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 (97).
93. Peraltro, il sig. Klotz richiama l’espressione «tale da indurre in errore sull’origine» utilizzata alla fine del suddetto articolo 16, lettera c). Egli sostiene che, se la Corte ritenesse che, per caratterizzare l’esistenza di un’«evocazione» ai sensi della lettera b) di tale articolo, si debba fare riferimento alla concreta percezione d’insieme di un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (98), ciò varrebbe a maggior ragione per valutare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi della summenzionata lettera c). Tuttavia, a mio parere, questa tesi non è applicabile, tenuto conto della risposta che propongo di fornire alla seconda parte della seconda questione pregiudiziale (99).
94. Personalmente, ritengo che, se il legislatore dell’Unione avesse effettivamente inteso consentire che un’indicazione recante di per sé un carattere falso o ingannevole, ai sensi dell’articolo 16, lettera c), del regolamento in esame, possa nondimeno essere autorizzata sulla base di informazioni supplementari che corredano l’indicazione medesima, una siffatta restrizione del campo di applicazione di tale disposizione sarebbe stata espressamente prevista, soprattutto alla luce degli obiettivi di protezione perseguiti (100).
95. Insecondo luogo, per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce la lettera c) di tale articolo 16, condivido il punto di vista espresso dalla Commissione che nota che il caso previsto da tale disposizione deve essere distinto da quelli previsti alle lettere a) e b) dello stesso articolo (101), ma ritengo, da parte mia, che non emerga dall’economia generale di tale lettera c) che questa imponga un esame d’insieme dell’etichetta del prodotto.
96. Come sottolineato dall’avvocato generale Campos Sánchez‑Bordona in merito ad una disposizione del diritto dell’Unione analoga all’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 (102), ritengo che questa norma contenga un elenco graduato di atti vietati, in cui la lettera c) si differenzia dalle due disposizioni che la precedono. In effetti, mentre la lettera a) di tale articolo 16 si limita agli atti di impiego di un’indicazione geografica protetta e la lettera b) del medesimo agli atti di usurpazione, imitazione o evocazione, la lettera c) estende il perimetro protetto, incorporandovi le «indicazioni» (vale a dire le informazioni fornite ai consumatori) contenute nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del prodotto in questione, le quali, pur non evocando realmente l’indicazione geografica protetta, sono qualificabili come «fals[e] o ingannevol[i]» rispetto al legame che creano tra il prodotto e l’indicazione geografica protetta (103).
97. Ciononostante, non ritengo si possa dedurre dalla differenza constatata, sia nella formulazione che nella portata, tra le lettere a), b) e c) del suddetto articolo 16, che quest’ultima debba essere necessariamente interpretata nel senso che, per stabilire se la denominazione controversa costituisca un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi di tale disposizione, si debbano tenere in considerazione tutte le altre informazioni riportate, in particolare, sull’etichetta del prodotto in questione. Al contrario, mi sembra che occorra che tale valutazione sia incentrata sull’indicazione controversa in quanto tale, presa singolarmente, senza che le informazioni che la corredano possano metterne in discussione una siffatta qualificazione, dato che altrimenti si rischierebbe di far perdere alla lettera c) il suo effetto utile, lettera che, a mio parere, dovrebbe piuttosto essere applicata in senso ampio, come spiegherò qui di seguito.
98. In terzo luogo, l’interpretazione da me sostenuta è, a mio avviso, corroborata dall’analisi degli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 110/2008 in generale e dalle disposizioni in esame in particolare.
99. Come ho già accennato (104), ritengo che le disposizioni del regolamento n. 110/2008, ed in particolare quelle dell’articolo 16, siano tese a proteggere le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III di tale regolamento, sia nell’interesse dei consumatori, che non devono essere indotti in errore da indicazioni improprie, sia nell’interesse degli operatori economici che sostengono costi più elevati per garantire la qualità dei prodotti che meritano di recare tali indicazioni, e che devono pertanto essere protetti contro atti di concorrenza sleale.
100. Per quanto riguarda più specificamente la lettera c) dell’articolo 16, a mio avviso il legislatore dell’Unione ha inteso conferirgli un campo di applicazione sufficientemente ampio da garantire il conseguimento degli obiettivi summenzionati. In linea con il governo francese, ritengo infatti che l’espressione «qualsiasi altra indicazione», utilizzata in questa disposizione, possa includere qualsiasi tipo di indizio o segno, segnatamente un testo, un’immagine o un contenitore, che possa fornire informazioni sulle caratteristiche del prodotto. Inoltre, la formulazione flessibile di localizzazione dell’indicazione di cui alla lettera c) (105) consente a mio avviso di ritenere che un qualsiasi elemento di uno dei tre mezzi ivi menzionati, nella fattispecie una dicitura presente sull’etichetta della bevanda in questione, potrebbe essere di per sé « tale da indurre in errore sull’origine» ai sensi di tale disposizione. Di conseguenza, il contenuto del resto dell’etichettatura del prodotto in questione non può, a mio parere, compensare il carattere eventualmente falso o ingannevole dell’indicazione contestata, anche qualora quest’ultima sia corredata da informazioni relative alla vera origine del prodotto.
101. In altri termini, come sottolinea il governo francese, la realizzazione degli obiettivi sopracitati sarebbe compromessa se la protezione delle indicazioni geografiche potesse essere limitata dal fatto che, accanto ad un’indicazione di per sé falsa o ingannevole ai sensi dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, compaiono informazioni complementari. L’adozione di un’interpretazione del genere equivarrebbe infatti ad ammettere l’impiego di un’indicazione falsa o ingannevole purché accompagnata da informazioni esatte, le quali ne compenserebbero dunque in qualche modo il carattere fuorviante.
102. Infine, quanto alla trasposizionedella giurisprudenzarelativa alladirettiva 2000/13/CE (106), abrogata dal regolamento (UE) n. 1169/2011 (107), che mi sembra essere proposta dalla Commissione (108), dubito che questa sia effettivamente rilevante per rispondere alla terza questione pregiudiziale.
103. In effetti, il regolamento n. 110/2008, di cui viene qui richiesta l’interpretazione, ha una finalità distinta da quella della direttiva 2000/13, in quanto quest’ultima regola in modo generale e orizzontale (109) «l’etichettatura dei prodotti alimentari (…) nonché determinati aspetti concernenti la loro presentazione e la relativa pubblicità» (110), mentre il regolamento n. 110/2008, adottato successivamente, disciplina in modo specifico e verticale la «definizione, [la] designazione, [la] presentazione, [l’]etichettatura e [la] protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose» (111). Ciò comporta differenze sia in termini di obiettivi che di portata della protezione offerta da questi due strumenti giuridici, differenze che, a mio parere, devono essere tenute in considerazione, nonostante il fatto che l’indicazione di denominazioni geografiche sull’etichettatura di siffatte bevande possa talvolta rientrare simultaneamente nei loro rispettivi campi di applicazione (112).
104. Più in particolare, in merito alla formulazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 2000/13, oggetto della giurisprudenza richiamata nelle osservazioni della Commissione, ritengo che il contenuto di tale disposizione, che riguarda le «[p]ratiche leali di informazione» (113), non sia realmente equivalente, almeno nella sostanza, a quello dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, che concerne la «[p]rotezione delle indicazioni geografiche» (114), su cui verte la terza questione qui sollevata.
105. Rilevo inoltre che, nella giurisprudenza sopracitata, la Corte si è certamente pronunciata a favore di un esame della situazione controversa che comprenda tutte le informazioni riportate sull’etichettatura del prodotto in questione (115), nonché di alcuni elementi fattuali esterni (116), al fine di valutare se una denominazione sia in grado di indurre i consumatori in errore (117), tuttavia ciò riguardava diciture non registrate in quanto denominazioni di origine o indicazioni geografiche che sarebbero protette a livello dell’Unione (118), ipotesi che non corrisponde alle circostanze del presente caso di specie, in cui si tratta di una protezione di quest’ultimo tipo. Ritengo pertanto inopportuno procedere ad un ragionamento per analogia con tale giurisprudenza in un siffatto contesto.
106. Propongo pertanto di rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che, per caratterizzare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole» vietata da tale disposizione, non si devono prendere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare in merito alla vera origine di quest’ultimo.
107. Per quanto riguarda il caso di specie, alla luce dei principi già richiamati di ripartizione delle competenze tra i giudici nazionali e la Corte (119), mi limiterò a precisare che dubito che, se quest’ultima adottasse l’interpretazione qui proposta, tale divieto debba essere applicato in circostanze come quelle del procedimento principale, poiché il termine controverso, «Glen», non presenta con l’indicazione geografica protetta in questione, «Scotch Whisky», né con il paese a cui questa si ricollega, vale a dire il «Regno Unito (Scozia)», legami sufficientemente diretti e stretti da ritenere che esso costituisca un’«indicazione falsa o ingannevole (…) tale da indurre in errore sull’origine» (120).
108. A titolo sussidiario, nel caso in cui la Corte interpreti la lettera c) nel senso che si debba esaminare l’insieme delle informazioni relative al segno controverso, ritengo che tale esame dovrebbe logicamente condurre, a fortiori, allo stesso risultato concreto. Se infatti, nel caso di specie, si dovesse tener conto di tutti gli elementi figuranti sull’etichetta che menzionano esplicitamente l’origine esatta del prodotto in questione, come sottolineato dalla Commissione, sarebbe difficile ipotizzare che l’impiego del termine «Glen» rientri nel divieto previsto da tale disposizione (121).
V. Conclusioni
109. Alla luce di quanto esposto, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo, Germania):
1) L’articolo 16, lettera a), del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che «l’impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata, vietato da tale disposizione, richiede che la denominazione controversa sia identica o foneticamente e/o visivamente simile all’indicazione in questione. Non è dunque sufficiente che tale denominazione possa suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione o con la relativa zona geografica.
2) L’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che l’«evocazione» di un’indicazione geografica registrata, vietata da tale disposizione, non richiede che la denominazione controversa presenti necessariamente una similarità fonetica e visiva con l’indicazione in questione, ma che non è tuttavia sufficiente che tale denominazione sia in grado di suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione protetta o con la relativa zona geografica. In mancanza di una siffatta similarità, occorre tener conto della somiglianza concettuale esistente, se del caso, tra l’indicazione di cui trattasi e la denominazione contestata, a condizione che detta somiglianza sia tale da far sì che il consumatore abbia in mente, come immagine di riferimento, il prodotto che beneficia dell’indicazione suddetta.
Ai fini di caratterizzare l’esistenza di una «evocazione» vietata dal suddetto articolo 16, lettera b), non si devono tenere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare quelle relative alla vera origine di quest’ultimo.
3) L’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che, per caratterizzare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole» vietata da tale disposizione, non si devono prendere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare in merito alla vera origine di quest’ultimo.