Language of document : ECLI:EU:C:2018:111

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 22 febbraio 2018 (1)

Causa C44/17

The Scotch Whisky Association, The Registered Office

contro

Michael Klotz

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose – Regolamento (CE) n. 110/2008 – Articolo 16, lettere a), b) e c) – Allegato III – Indicazione geografica registrata come “Scotch Whisky” – Whisky prodotto in Germania e commercializzato con la denominazione “Glen Buchenbach” – Nozione di “impiego indiretto” di un’indicazione geografica registrata – Nozione di “evocazione” di una siffatta indicazione – Nozione di “indicazione falsa o ingannevole” – Necessità d’identità con l’indicazione, di una similitudine fonetica e/o visiva, o di una qualsiasi associazione di idee per il consumatore di riferimento – Eventuale considerazione del contesto in cui si inserisce la denominazione controversa»






I.      Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo, Germania) verte sull’interpretazione dell’articolo 16 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio (2). Tale articolo 16 protegge tutte le indicazioni geografiche (3) registrate nell’allegato III del regolamento n. 110/2008 dalle pratiche che possono indurre in errore i consumatori in merito all’origine di tali prodotti.

2.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale si colloca nel contesto di una controversia tra un’organizzazione del Regno Unito, che si occupa di promuovere gli interessi dell’industria del whisky scozzese, e un commerciante tedesco e riguarda un’azione volta a far cessare la commercializzazione, da parte di quest’ultimo, di un whisky prodotto in Germania e denominato «Glen Buchenbach». La ricorrente nel procedimento principale sostiene che l’uso del termine «Glen» pregiudichi l’indicazione geografica registrata «Scotch Whisky», costituendo sia un impiego commerciale indiretto che un’evocazione di quest’ultima, nonché un’indicazione falsa o ingannevole, vietati rispettivamente dalle lettere a), b) e c) dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008.

3.        Il giudice del rinvio invita la Corte a specificare, anzitutto, se la nozione di «impiego (…) indiretto» ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del suddetto regolamento presupponga che l’indicazione geografica protetta sia utilizzata in una forma identica o foneticamente e/o visivamente simile, o se, al contrario, sia sufficiente che il termine controverso susciti, nella mente dei consumatori destinatari, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione geografica protetta. Il giudice del rinvio chiede inoltre se, qualora sia ritenuto sufficiente che il termine susciti una semplice associazione di idee con l’indicazione geografica protetta, nell’applicare la disposizione in esame si debba tener conto del contesto in cui si inserisce il termine utilizzato per designare il prodotto di cui trattasi e, in particolare, del fatto che sull’etichetta di quest’ultimo sia indicata la sua vera origine.

4.        Detto giudice chiede inoltre alla Corte se la nozione di «evocazione» di cui all’articolo 16, lettera b), del suddetto regolamento implichi l’esistenza di una similarità fonetica e/o visiva tra l’indicazione geografica protetta e il termine in questione, o se sia sufficiente che quest’ultimo susciti nel pubblico di riferimento una qualsiasi associazione di idee con tale indicazione. Il giudice del rinvio chiede inoltre se, qualora una siffatta associazione fosse sufficiente, nell’applicare la disposizione in esame si debba considerare il contesto in cui tale termine è utilizzato.

5.        Infine, il giudice chiede se la verifica dell’esistenza di un’«altra indicazione falsa o ingannevole» ai sensi dell’articolo 16, lettera c), dello stesso regolamento richieda egualmente di considerare il contesto in cui si colloca il termine controverso.

6.        La presente causa si differenzia da quelle in cui la Corte ha già interpretato le disposizioni dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 (4), in quanto essa presenta la peculiarità di avere per oggetto la situazione inedita in cui – come evidenziato dalle questioni qui sollevate – la denominazione controversa non presenta alcuna somiglianza, né fonetica né visiva, con l’indicazione geografica protetta, ma asseritamente in grado di indurre i consumatori ad effettuare un collegamento improprio con quest’ultima. La Corte è inoltre indirettamente chiamata a chiarire il modo in cui le norme di cui all’articolo 16, lettere da a) a c), si articolano alla luce delle diverse situazioni ivi menzionate.

II.    Quadro normativo

7.        L’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, intitolato «Protezione delle indicazioni geografiche», stabilisce che «(…) le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III sono protette da:

a)      qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili alla bevanda spiritosa registrata con tale indicazione geografica o nella misura in cui l’uso di tale indicazione consenta di sfruttare indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica registrata;

b)      qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se la vera origine del prodotto è indicata o se l’indicazione geografica è usata in forma tradotta o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “modo”, “stile”, “marca”, “gusto” o altri termini simili;

c)      qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole in relazione alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del medesimo, tale da indurre in errore sull’origine;

d)      qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto».

8.        L’allegato III del regolamento n. 110/2008, intitolato «Indicazioni geografiche», precisa che lo «Scotch Whisky» è stato registrato come indicazione geografica appartenente alla categoria 2 di prodotti, ossia «Whisky/Whiskey», aventi come paese d’origine il «Regno Unito (Scozia)».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

9.        La Scotch Whisky Association, The Registered Office (in prosieguo: la «TSWA») è un’organizzazione di diritto scozzese che ha, in particolare, lo scopo di garantire la protezione del commercio del whisky scozzese sia in Scozia che all’estero.

10.      Il sig. Michael Klotz commercializza, tramite un sito Internet, un whisky denominato «Glen Buchenbach» prodotto dalla distilleria Waldhorn, che ha sede a Berglen, nella valle di Buchenbach, in Svevia (Baden-Württemberg, Germania).

11.      L’etichetta apposta sulle bottiglie del whisky in questione riporta, oltre all’indirizzo completo del produttore tedesco e al disegno stilizzato di un corno da caccia (in tedesco «Waldhorn»), le seguenti informazioni: «Waldhornbrennerei [in italiano “distilleria Waldhorn”], Glen Buchenbach, Swabian Single Malt Whisky [whisky svevo di malto singolo], 500 ml, 40% vol, Deutsches Erzeugnis [prodotto tedesco], Hergestellt in den Berglen [prodotto nel Berglen]».

12.      La TSWA ha investito il Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo) di un’azione finalizzata a far cessare l’uso da parte del sig. Klotz della denominazione «Glen Buchenbach» per il whisky in questione, sostenendo che tale impiego sarebbe contrario, in particolare, all’articolo 16, lettere da a) a c), del regolamento n. 110/2008 (5), che protegge le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III del medesimo regolamento, tra le quali vi è l’indicazione «Scotch Whisky». La TSWA ha in particolare fatto valere, da un lato, che tali disposizioni si applicherebbero non solo all’utilizzo di una siffatta indicazione di per sé, ma anche a tutte le ipotesi in cui l’indicazione geografica protetta venga suggerita, e, dall’altro, che la denominazione «Glen» susciterebbe nella mente del pubblico di riferimento un’associazione con la Scozia e lo Scotch Whisky, nonostante l’aggiunta di altre diciture riguardanti l’origine tedesca del prodotto. Il sig. Klotz ha chiesto di respingere tale ricorso.

13.      In tale contesto, con decisione del 19 gennaio 2017, pervenuta alla Corte il 27 gennaio 2017, il Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un “impiego commerciale (…) indiretto [di un’indicazione geografica registrata per bevande spiritose]” ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento (CE) n. 110/2008 postuli che l’indicazione geografica registrata sia usata in forma identica o simile sul piano fonetico e/o visivo [(6)] ovvero se sia sufficiente che l’elemento controverso del segno susciti nel pubblico di riferimento un’associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata ovvero con la zona geografica.

In tale ultimo caso: se ai fini dell’accertamento dell’eventuale esistenza di un “impiego commerciale indiretto” rilevi altresì il contesto in cui sia inserito l’elemento controverso del segno, oppure se detto contesto non possa escludere un impiego commerciale indiretto dell’indicazione geografica registrata neanche qualora all’elemento controverso del segno si aggiunga un’indicazione della provenienza reale del prodotto stesso.

2)      Se un’“evocazione” dell’indicazione geografica registrata di cui all’articolo 16, lettera b), del regolamento (CE) n. 110/2008 postuli la sussistenza di una somiglianza fonetica e/o visiva tra l’indicazione geografica registrata e l’elemento controverso del segno ovvero se sia sufficiente che tale elemento susciti nel pubblico di riferimento un’associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata oppure con la zona geografica.

In tale ultimo caso: se ai fini dell’accertamento dell’eventuale esistenza di un’“evocazione” rilevi altresì il contesto in cui sia inserito l’elemento controverso del segno oppure se detto contesto non possa escludere un’evocazione illegittima dell’indicazione geografica registrata neanche qualora all’elemento controverso del segno si aggiunga un’indicazione della provenienza reale del prodotto stesso.

3)      Se, ai fini dell’accertamento dell’eventuale esistenza di un’“altra indicazione falsa o ingannevole” di cui all’articolo 16, lettera c), del regolamento (CE) n. 110/2008, rilevi altresì il contesto in cui sia inserito l’elemento controverso del segno oppure se detto contesto non possa escludere un’indicazione ingannevole neanche qualora all’elemento controverso del segno si aggiunga un’indicazione della provenienza reale del prodotto stesso».

14.      Sono state depositate osservazioni scritte da parte della TSWA, del sig. Klotz, dei governi di Grecia, Francia, Italia, Paesi Bassi e della Commissione europea. Non si è tenuta alcuna udienza di discussione.

IV.    Analisi

A.      Osservazioni preliminari

15.      In primo luogo, rilevo che entrambe le parti nel procedimento principale presentano censure relative al tenore letterale della decisione di rinvio.

16.      Da un lato, il sig. Klotz sostiene che il giudice del rinvio ha presentato i fatti del procedimento principale in forma abbreviata e incompleta, e fornisce indicazioni integrative di tale presentazione (7).

17.      A tale proposito, ricordo che, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, la Corte di giustizia non è competente ad accertare o valutare le circostanze di fatto relative al procedimento principale e che spetta esclusivamente ai giudici nazionali accertare i fatti che hanno dato origine alla controversia e trarne le conseguenze per la decisione che sono chiamati a pronunciare (8). Tuttavia, la Corte può, in uno spirito di cooperazione, dare al giudice nazionale tutte le indicazioni che ritenga necessarie per fornire a quest’ultimo una risposta utile (9).

18.      Dall’altro lato, la TSWA contesta al giudice nazionale di aver mal formulato le questioni pregiudiziali (10). Nelle sue osservazioni presentate alla Corte, essa le ha riformulate, fornendo anche le relative risposte (11).

19.      Orbene, spetta ai soli giudici nazionali, investiti della controversia e della responsabilità della decisione giudiziaria da emanare, valutare sia la necessità di una domanda di pronuncia pregiudiziale per poter emettere la sentenza, sia la pertinenza delle questioni sollevate dinanzi alla Corte. Conseguentemente, non si può accogliere la richiesta di una delle parti nel procedimento principale di riformulare nei termini da essa indicati la questione sollevata (12). Tuttavia la Corte, dovendo fornire a tali giudici una risposta utile che consenta loro di risolvere la controversia principale, potrà, ove necessario, riformulare le questioni pregiudiziali ad essa sottoposte (13).

20.      In secondo luogo, per quanto riguarda l’articolazione tra i vari punti dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, sottolineo fin da ora che, in linea con il governo francese, ritengo che tali disposizioni proteggano le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III del regolamento stesso, prevedendo una serie di ipotesi che si riferiscono in modo via via più indiretto a queste.

21.      A mio avviso, infatti, la lettera a) riguarda i casi in cui si fa riferimento all’indicazione geografica registrata in quanto tale; la lettera b) vieta qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione di tale indicazione, anche se la denominazione controversa non vi fa esplicito riferimento; la lettera c) vieta qualsiasi altra dicitura ingannevole circa l’origine del prodotto, mentre la lettera d) riguarda qualsiasi altra pratica commerciale che possa indurre in errore il consumatore circa l’origine del prodotto. Nel corso della seguente analisi ritornerò sulle specificità che differenziano le lettere da a) a c), cui si fa riferimento nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale, e sull’interpretazione che, a mio avviso, se ne deduce (14).

B.      Sulla nozione di «impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (prima questione)

1.      Sulla forma prescritta di «impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (prima parte della prima questione)

22.      La prima questione pregiudiziale invita la Corte a pronunciarsi su cosa occorra intendere per «impiego commerciale (…) indiretto [di un’]indicazione geografica registrata» in relazione ad una bevanda spiritosa, ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008.

23.      La prima parte di tale questione riguarda in sostanza la questione se, per poter stabilire l’esistenza di un simile impiego, vietato in forza della suddetta lettera a), la dicitura controversa debba presentarsi in forma identica o simile da un punto di vista fonetico e/o visivo all’indicazione geografica protetta, o se sia sufficiente che essa susciti, nei consumatori di riferimento, una qualsiasi associazione con l’indicazione o con la zona geografica interessata.

24.      Il giudice nazionale ritiene che l’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 possa avere due diverse interpretazioni. Secondo un primo approccio, che è suggerito da una parte della dottrina tedesca (15), un «impiego (…) indiretto», ai sensi di tale disposizione, implicherebbe che l’indicazione geografica registrata venga utilizzata in una forma identica o, almeno, simile da un punto di vista fonetico e/o visivo, e che vi venga fatto riferimento non sul prodotto o sulla confezione, come nel caso dell’«impiego (…) diretto», ma in qualsiasi altro contesto quale, ad esempio, in una pubblicità o in documenti che accompagnano il prodotto. Il giudice nazionale precisa che, alla luce di una simile interpretazione, la lettera a) non sarebbe applicabile nel caso di specie, in quanto le denominazioni «Glen» e «Scotch Whisky» non sono né identiche né simili. Al contrario, seguendo un secondo approccio, sarebbe sufficiente che l’elemento controverso del segno susciti nel pubblico di riferimento una qualsiasi associazione con l’indicazione geografica o con l’area geografica interessata (16).

25.      La TSWA e i governi greco e italiano sostengono questa seconda interpretazione. Al contrario, il sig. Klotz, i governi francese e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione ritengono, sostanzialmente, che non possa parlarsi di «impiego (…) indiretto» ai sensi dell’articolo 16, lettera a), quando si utilizza una denominazione di tutt’altra forma rispetto all’indicazione geografica registrata in questione (17). Condivido quest’ultima interpretazione, per i motivi illustrati qui di seguito.

26.      Innanzitutto, rammento che, conformemente a una giurisprudenza consolidata della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (18).

27.      In primo luogo, sono del parere che, quanto al tenore letterale dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008, la TSWA sostenga erroneamente che tale disposizione debba essere interpretata in senso ampio, vale a dire nel senso che un impiego commerciale «indiretto» di un’indicazione geografica registrata implica non un uso, totale o parziale, di tale indicazione di per sé, bensì un riferimento implicito a essa, nella misura in cui tale uso sia relativo a «prodotti (…) comparabili» o «[sfrutta] (…) la rinomanza dell’indicazione geografica registrata» in questione (19).

28.      A questo proposito, sono del parere che l’espressione «impiego commerciale diretto o indiretto [di una] indicazione geografica registrata» (20) di cui all’articolo 16, lettera a), richieda un impiego dell’indicazione in questione nella forma in cui questa è stata registrata o, quanto meno, in una forma così strettamente connessa ad essa da risultarne chiaramente indissociabile (21). Mi sembra, infatti, che il termine «impiego» richieda, per definizione, l’utilizzo della indicazione geografica protetta stessa, che deve pertanto risultare identica o almeno simile (22), foneticamente e/o visivamente, al marchio controverso (23).

29.      Si noti che la Corte ha già fornito elementi di definizione per quanto riguarda la nozione di impiego «diretto» ai sensi dell’articolo 16, lettera a), ammettendo che essa possa contemplare l’uso di un marchio contenente un’indicazione geografica o un termine corrispondente a tale indicazione e la sua traduzione per bevande spiritose che non soddisfano le specifiche corrispondenti, come nel caso dei marchi figurativi di cui trattasi nel procedimento principale. Per contro, la Corte non si è ancora pronunciata su cosa si intenda per impiego «indiretto» ai sensi della stessa disposizione.

30.      A mio avviso, tale carattere indiretto non si riferisce alle ipotesi in cui la denominazione in questione non fa esplicito riferimento a una delle indicazioni geografiche registrate nell’allegato III del regolamento n. 110/2008, come sostiene la TSWA, bensì alle ipotesi in cui si faccia uso di un mezzo indiretto per utilizzare una siffatta indicazione. Infatti, in linea con il sig. Klotz, il governo dei Paesi Bassi e la Commissione, ritengo che, contrariamente ad un impiego «diretto», che implica che l’indicazione geografica protetta venga apposta direttamente sul prodotto in questione o sulla sua confezione, un impiego «indiretto» implichi che tale indicazione figuri in strumenti complementari di marketing o di informazione, quali una pubblicità del prodotto (24) o documenti ad esso relativi (25).

31.      In secondo luogo, per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce la disposizione in questione, sottolineo che la lettera a) dell’articolo 16 ha necessariamente un campo di applicazione distinto dalle previsioni contenute successivamente nella stessa norma. Essa deve, in particolare, essere debitamente differenziata dalla lettera b), che si riferisce ai casi di «usurpazione, imitazione o evocazione», ossia a casi in cui l’indicazione geografica non è utilizzata in quanto tale, bensì suggerita, mediante un riferimento più sottile di quello di cui alla lettera a), ai consumatori destinatari.

32.      Orbene, la lettera b) dell’articolo 16 perderebbe il suo effetto utile se la lettera a) del medesimo articolo fosse interpretata in maniera estensiva, come proposto nella prima questione pregiudiziale, diventando applicabile anche alle ipotesi in cui il marchio contestato si limiti a suscitare una qualsiasi associazione di idee con un’indicazione geografica registrata o con la relativa area geografica. L’impianto generale dell’articolo 16, come sottolineano il governo francese e la Commissione, dimostra pertanto che la nozione di «impiego commerciale diretto o indiretto [di un’]indicazione geografica registrata» ai sensi della lettera a) di detto articolo non è applicabile a tali ipotesi.

33.      Questa conclusione mi sembra suffragata dalla giurisprudenza della Corte (26) secondo la quale è richiesto un sufficiente legame di prossimità all’indicazione geografica protetta anche per quanto riguarda la nozione di mera «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b) (27), requisito che, a mio parere, si applica a fortiori alla nozione di «impiego» ai sensi della lettera a) di tale articolo.

34.      In terzo luogo, per quanto riguarda gli obiettivi del regolamento n. 110/2008, noto innanzitutto che il suo considerando 4 sottolinea che il legislatore dell’Unione europea ha mirato ad «assicurare un’impostazione più sistematica nella (…) normativa [in materia di bevande spiritose]», stabilendo «precisi criteri», in particolare per «la protezione delle indicazioni geografiche» (28).

35.      Dubito che l’ammissione di un criterio quale quello evocato dal giudice nazionale, vale a dire il fatto di «suscita[re] nella mente del pubblico di riferimento una qualsiasi associazione con l’indicazione geografica registrata o con l’area geografica» (29) sia compatibile con questa esplicita preoccupazione del legislatore per la certezza del diritto, trattandosi di un criterio che non è stato assolutamente previsto dal legislatore e i cui contorni appaiono troppo incerti. Per quanto riguarda le disposizioni dell’articolo 16 di tale regolamento, la Corte ha indubbiamente già menzionato il rischio di «creare nella (…) mente [del pubblico] un’associazione di idee quanto all’origine del prodotto» (30), ma mi sembra tuttavia che essa non abbia inteso elevare tale considerazione di carattere generale a fattore decisivo di valutazione ai fini dell’applicazione di una o dell’altra previsione.

36.      Inoltre, da un punto di vista più sostanziale, rilevo che il considerando 2 del regolamento n. 110/2008 afferma che le misure ivi previste «dovrebbero contribuire al raggiungimento di un livello elevato di protezione dei consumatori, alla prevenzione delle pratiche ingannevoli e alla realizzazione della trasparenza del mercato e di eque condizioni di concorrenza». Il considerando 9 aggiunge che tali misure «dovrebbero altresì impedire l’usurpazione (…) delle denominazioni delle bevande spiritose per prodotti che non soddisfano le definizioni di cui [a tale] regolamento». Il suo considerando 14 fa riferimento alla protezione specifica concessa alle indicazioni geografiche registrate nell’allegato III di tale regolamento «quando una determinata qualità, la rinomanza o altre caratteristiche della bevanda spiritosa siano essenzialmente attribuibili [a una determinata] origine geografica».

37.      Per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti, in particolare, dall’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, emerge chiaramente dal suo titolo che esso ha lo scopo di garantire la «[p]rotezione delle indicazioni geografiche» mediante la loro registrazione, tesa, da un lato, a consentire l’identificazione delle bevande spiritose come originarie di un determinato territorio nei casi di cui al suddetto considerando 14 e, dall’altro, a contribuire alla realizzazione degli obiettivi più generali espressi nel considerando 2 (31).

38.      Pertanto, ritengo che le disposizioni del regolamento n. 110/2008, e in particolare quelle dell’articolo 16, siano tese ad impedire che sia fatto un uso abusivo delle indicazioni geografiche protette, non solo nell’interesse degli acquirenti, ma anche nell’interesse dei produttori che si sono adoperati per garantire le qualità previste per i prodotti recanti legittimamente siffatte indicazioni, come già sottolineato dalla Corte in relazione a una disposizione del diritto dell’Unione (32) il cui testo è analogo (33) a quello dell’articolo 16 di questo regolamento (34). A tal fine, la lettera a) del suddetto articolo 16 vieta più specificamente, in modo espresso, ad altri operatori di utilizzare a fini commerciali un’indicazione geografica registrata per prodotti che non ne soddisfano tutti i requisiti (35), in particolare allo scopo di sfruttare indebitamente la rinomanza di tale indicazione geografica (36).

39.      A mio parere, ne consegue che, se garantire un elevato livello di tutela dei consumatori è certamente uno degli obiettivi delle disposizioni in esame, non si può tuttavia dedurre, come suggerito dai governi greco e italiano, che sarebbe sufficiente, per l’applicazione del divieto di cui alla lettera a), che la denominazione controversa sia tale da indurre in qualunque modo il consumatore in errore circa l’origine del prodotto in questione, esattamente come se l’indicazione geografica fosse stata utilizzata in forma identica o simile a quella registrata. Non va dimenticato, infatti, che tali disposizioni mirano anche a salvaguardare le qualità riconosciute ai prodotti recanti siffatta indicazione e, di conseguenza, a tutelare gli interessi economici degli operatori che hanno investito per garantire tali qualità nonché, più in generale, a promuovere la trasparenza del mercato e una concorrenza leale.

40.      Propongo pertanto di rispondere alla prima parte della prima questione dichiarando che l’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che l’«impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata, vietato da tale disposizione, richiede che la denominazione controversa sia identica o foneticamente e/o visivamente simile all’indicazione in questione. Non è dunque sufficiente che tale denominazione possa suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione o con la relativa zona geografica.

2.      Sull’impatto di eventuali informazioni relative al segno controverso alla luce dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (seconda parte della prima questione)

41.      La seconda parte della prima questione pregiudiziale è sottoposta alla Corte di giustizia solo nel caso in cui questa abbia stabilito che una semplice associazione di idee con l’indicazione geografica registrata o la zona geografica in questione possa essere sufficiente a caratterizzare l’esistenza di un «impiego commerciale (…) indiretto» di tale indicazione ai sensi dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008.

42.      Avendo proposto di rispondere alla prima parte di tale questione accogliendo l’interpretazione contraria, non ritengo necessario che la Corte si pronunci sulla sua seconda parte. Ciononostante, presenterò qui di seguito alcune osservazioni in merito a quest’ultimo punto.

43.      Il giudice del rinvio si chiede se, per dimostrare l’esistenza di un impiego commerciale indiretto, sia necessario tener conto del contesto in cui si inserisce la dicitura controversa, in particolare del fatto che quest’ultima sia accompagnata da una precisazione sulla vera origine del prodotto, in modo tale che, in base alle informazioni ivi fornite, si possa respingere l’allegazione in base alla quale i requisiti di cui all’articolo 16, lettera a), non sarebbero stati soddisfatti. Più in concreto, il giudice del rinvio si chiede se l’elemento controverso «Glen» debba essere valutato isolatamente o alla luce delle varie diciture riportate sull’etichetta, indicanti che il prodotto in questione è originario della Germania (37). Esso ritiene di poter ordinare il divieto assoluto di commercializzazione richiesto dalla TSWA nel procedimento principale solo nel caso in cui la Corte interpreti la lettera a) dell’articolo 16 nel senso che vieta l’impiego di un termine che dia origine ad una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione geografica registrata, indipendentemente dal contesto in cui esso viene impiegato.

44.      La TSWA e il governo greco sostengono l’irrilevanza delle indicazioni aggiuntive fornite sull’etichetta e sull’imballaggio del prodotto (38) ai fini dell’esclusione dell’applicabilità dell’articolo 16, lettera a). Il governo italiano sostiene che, sebbene il contesto in cui si inserisce l’elemento controverso possa avere una qualche rilevanza, non si può escludere l’esistenza di un impiego indiretto, ai sensi della disposizione in esame, anche nei casi in cui tale elemento è accompagnato da informazioni sull’origine del prodotto. Il governo dei Paesi Bassi ritiene che non sussista un impiego indiretto nei casi in cui non vi sia alcun riferimento all’indicazione geografica protetta e, oltretutto, l’etichetta indichi chiaramente il luogo in cui la bevanda è stata prodotta (39).

45.      Da parte mia, mi limiterò a sottolineare, a titolo sussidiario (40), che l’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 non menziona esplicitamente nella lettera a), come accade invece nella lettera b), le condizioni in cui è possibile constatare un’«usurpazione, imitazione o evocazione» di un’indicazione geografica registrata «anche se la vera origine del prodotto è indicata».

46.      Questa differenza di formulazione si spiega, a mio parere, con il fatto che, laddove si faccia riferimento ad un possibile «impiego commerciale diretto o indiretto» di un’indicazione geografica protetta, ai sensi dell’articolo 16, lettera a), tale ipotesi presuppone che detta indicazione sia utilizzata in quanto tale o in una forma equiparabile, e non sotto forma di un’indicazione di tutt’altro tipo (41). Non vi è pertanto alcun dubbio circa il fatto che l’analisi della situazione in questione debba focalizzarsi sulla constatazione dell’impiego o meno di una delle indicazioni geografiche registrate nell’allegato III dello stesso regolamento.

47.      D’altro canto, nel caso di cui alla lettera b) del suddetto articolo 16, quando si tratta di un’«usurpazione, imitazione o evocazione», la valutazione della situazione deve andare chiaramente oltre una simile constatazione obiettiva, richiedendo una visione prospettica, nell’ambito della quale il legislatore dell’Unione ha tenuto a precisare espressamente che determinati fattori potenziali di valutazione, in particolare il fatto che sia indicata la «vera origine del prodotto» (42), non consentono di escludere una delle tre qualificazioni (43). A mio avviso, ciò dovrebbe avvenire, a fortiori, per il caso più semplice di cui alla lettera a) dello stesso articolo 16, supponendo che la Corte ritenga necessario, ai fini dell’applicazione della disposizione in esame, valutare il contesto in cui si inserisce il segno controverso.

C.      Sulla nozione di «evocazione» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (seconda questione)

1.      Sulla forma prescritta di «evocazione» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (prima parte della seconda questione)

48.      La seconda questione pregiudiziale chiede alla Corte di pronunciarsi sulla nozione di «evocazione» di un’indicazione geografica registrata relativa ad una bevanda spiritosa ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008.

49.      Con la prima parte di tale questione, il giudice del rinvio chiede se, per poter stabilire l’esistenza di una siffatta evocazione, e quindi vietarla in forza della lettera b) suddetta, la dicitura controversa debba presentarsi in forma identica o foneticamente e/o visivamente simile all’indicazione geografica protetta, o se sia al contrario sufficiente che tale dicitura susciti, nella mente dei consumatori di riferimento, una qualsiasi associazione con l’indicazione protetta o con la relativa zona geografica.

50.      A sostegno della propria domanda, il giudice nazionale spiega che la Corte ha costantemente interpretato la nozione di «evocazione» contenuta all’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, nonché in precedenti disposizioni analoghe di diritto dell’Unione, nel senso che essa «si riferisce all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, alla merce che beneficia di tale denominazione» (44). Il giudice aggiunge che, a sua conoscenza, la Corte non si è tuttavia ancora pronunciata sulla questione se una somiglianza fonetica e/o visiva tra i segni in questione (45) sia un requisito indispensabile per stabilire l’esistenza di un’evocazione vietata. A suo avviso, è fondamentale avere una risposta a questa domanda, in quanto una siffatta somiglianza non è rilevabile nel caso di specie (46).

51.      La TSWA e i governi greco, francese e italiano propongono di rispondere nel senso che l’«evocazione» di un’indicazione geografica registrata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), non richiede che il termine controverso presenti una somiglianza fonetica e/o visiva con l’indicazione in questione e che è sufficiente che tale termine susciti, nella mente del pubblico di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione o con l’area geografica. Il sig. Klotz e il governo dei Paesi Bassi sostengono il contrario.

52.      La Commissione adotta una sorta di posizione intermedia, secondo la quale la nozione di «evocazione» non richiederebbe necessariamente un’affinità fonetica e/o visiva o semplicemente un’associazione di idee, ma piuttosto, nella fattispecie, «l’esistenza, tra l’indicazione geografica registrata e la designazione contestata, di una somiglianza concettuale tale da indurre un consumatore normalmente informato a stabilire un legame diretto e inequivocabile tra la designazione contestata e [tale] indicazione» (47). Propendo per un’interpretazione vicina a quest’ultima, per i seguenti motivi.

53.      Prima di tutto, noto che il tenore letterale della lettera b) in questione non contiene alcun elemento che consenta di definire con precisione cosa si intenda per «evocazione» di un’indicazione geografica protetta. Al massimo, un esame alla luce delle altre due ipotesi citate precedentemente nella disposizione in oggetto, ossia l’«usurpazione» e l’«imitazione», permette di ritenere che la nozione di «evocazione» implichi un certo grado di somiglianza con l’indicazione geografica in questione, anche se sembra richiedere il grado di somiglianza più basso tra le tre nozioni.

54.      Inoltre, a mio parere, è opportuno trarre una serie di insegnamenti dalla giurisprudenzadella Corte in merito all’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 o ad altre disposizioni del diritto dell’Unione la cui formulazione è analoga a quella della norma in esame.

55.      Come rilevato dal giudice nazionale, la Corte ha ritenuto che sussista effettivamente un’«evocazione» ai sensi, in particolare, della lettera b) suddetta, qualora la designazione controversa «incorpori una parte di una denominazione protetta» (48). Ritengo che una siffatta incorporazione parziale (49), che era presente nelle controversie principali che hanno dato origine alle sentenze della Corte in esame (50), non sia tuttavia una condizione sine qua non per l’applicazione di questa disposizione.

56.      Infatti, come sottolineato dal governo francese, dall’espressione «di modo che», che segue la formulazione sopracitata, risulta che il criterio fondamentale e decisivo per valutare l’esistenza di una siffatta «evocazione» sia quello di verificare se «il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, alla merce che beneficia di tale denominazione [protetta]» (51). La Corte ha peraltro già precisato che «il giudice nazionale deve sostanzialmente fondarsi sulla presunta reazione del consumatore nei confronti del termine utilizzato per designare il prodotto in questione, essendo essenziale che il consumatore effettui un collegamento tra detto termine e la denominazione protetta» (52). Essa ha inoltre precisato che tale giudice deve «tener conto dell’aspettativa presunta di un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto» (53). È infatti possibile che, anche se la denominazione protetta in questione è parte integrante del marchio contestato, il consumatore medio, in presenza di un prodotto recante tale marchio, non associ necessariamente il medesimo al prodotto che beneficia della suddetta denominazione (54).

57.      La Corte ha inoltre ripetutamente statuito che è «legittimo considerare che sussista evocazione di una denominazione protetta allorquando, trattandosi di prodotti di apparenza analoga, le denominazioni di vendita presentino una similarità fonetica e visiva» che «non è frutto di circostanze fortuite», precisando che «una tale similarità è evidente laddove il termine utilizzato per designare il prodotto in questione finisca con le due medesime sillabe della denominazione protetta e comprenda il medesimo numero di sillabe di quest’ultima» (55).

58.      Tuttavia, concordo con la maggioranza delle parti che hanno presentato osservazioni nella presente causa (56), che l’identificazione di una similarità fonetica e visiva non è una condizione imperativa per verificare la sussistenza di un’«evocazione», ma piuttosto una delle valutazioni, tra le altre indicate dalla Corte, che consentono di effettuare tale verifica. Mi sembra che il riferimento della Corte ad una «similarità» o «somiglianza» fonetica e visiva fosse legato alle circostanze di fatto specifiche delle cause che hanno dato origine alle sentenze in cui essa compare (57) e che non si possa pertanto escludere la possibilità di rilevare un’«evocazione» anche in assenza di una siffatta similarità.

59.      Oltre al summenzionato criterio dell’incorporazione parziale di una denominazione protetta (58), un altro dei fattori di valutazione rilevanti è quello della «“somiglianza concettuale” esistente tra i termini, pur di lingue diverse». Sottolineo che la Corte ha differenziato questo criterio da quello della «similarità fonetica e visiva» e che esso, come gli altri criteri, è stato ricollegato alla valutazione della percezione del consumatore, che appare quindi la condizione fondamentale e necessaria affinché sussista un’«evocazione» (59).

60.      Ritengo pertanto che, ai fini della caratterizzazione di un’«evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, l’unico criterio determinante sia quello di valutare se «il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, alla merce che beneficia [della] denominazione [protetta]» (60), circostanza che il giudice nazionale deve valutare tenendo conto, se del caso, dell’incorporazione parziale di una denominazione protetta nella designazione contestata, o di una similarità fonetica o visiva, o di una somiglianza concettuale.

61.      D’altro canto, a mio parere, non sarebbe conforme alle finalità sopracitate delle disposizioni in esame (61) ammettere un criterio così impreciso ed ampio come quello di cui alla seconda questione pregiudiziale, vale a dire che l’elemento controverso del segno «susciti nel pubblico di riferimento un’associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata oppure con la zona geografica» (62).

62.      Inoltre, tenuto conto dell’economia generale dell’articolo 16, è necessario, come ho indicato in relazione alla sua lettera a) (63), far sì di non interpretarne la lettera b) in un senso che comporterebbe che quest’ultima disposizione incida sul campo di applicazione delle disposizioni che la seguono nel medesimo articolo, vale a dire le lettere c) e d), che riguardano situazioni in cui il riferimento all’indicazione geografica protetta è ancora più sottile rispetto a un’«evocazione» della medesima.

63.      Infine, per quanto riguarda il contesto più generale in cui si inscrive il regolamento n. 110/2008, e in particolare il suo articolo 16, il sig. Klotz sottolinea giustamente che, se la Corte stabilisse che è sufficiente, per caratterizzare un’«evocazione», suscitare un’associazione di qualsiasi tipo, ciò porterebbe ad un’imprevedibile estensione del campo di applicazione di tale regolamento e comporterebbe rischi significativi per la libera circolazione delle merci, posto che la protezione della proprietà industriale e commerciale, quale fornita dal regolamento in esame (64), rappresenta una delle possibili giustificazioni alle restrizioni di tale libertà (65).

64.      Più precisamente, se la protezione dell’indicazione geografica, in questo caso «Scotch Whisky», garantita dal suddetto articolo 16, lettera b), dovesse essere estesa all’impiego di un termine per nulla analogo a quello protetto, anche i prodotti o i marchi che non fanno in alcun modo riferimento al tenore letterale dell’indicazione protetta rientrerebbero nel divieto previsto dalla disposizione in esame. Ciò comporterebbe, come sottolineato dal governo dei Paesi Bassi, una riduzione significativa delle possibilità per i produttori di whisky provenienti da paesi diversi dal «Regno Unito (Scozia)» (66) di distinguersi attraverso i propri prodotti o marchi (67).

65.      Pertanto, propongo di rispondere alla prima parte della seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che l’«evocazione» di un’indicazione geografica registrata, vietata da tale disposizione, non richiede che la denominazione controversa presenti necessariamente una similarità fonetica e visiva con l’indicazione in questione, ma che non è tuttavia sufficiente che tale denominazione sia in grado di suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione protetta o con la relativa zona geografica. In mancanza di una siffatta similarità, occorre tener conto della somiglianza concettuale esistente, se del caso, tra l’indicazione di cui trattasi e la denominazione contestata, a condizione che detta somiglianza sia tale da far sì che il consumatore abbia in mente, come immagine di riferimento, il prodotto che beneficia dell’indicazione suddetta.

66.      Per quanto riguarda l’applicazione di tale conclusione al contesto del procedimentoprincipale, ricordo che spetta unicamente al giudice nazionale stabilire se, nel caso di specie, vi sia «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), (68), e non alla Corte, sebbene quest’ultima possa comunque fornire indicazioni ai giudici nazionali per guidarli nella loro valutazione (69).

67.      A questo proposito, osservo che il giudice nazionale, dopo aver ricordato gli argomenti delle parti nel procedimento principale (70), precisa che il termine «glen» è una parola di origine gaelica che significa «valle stretta» e che 31 delle 116 distillerie che producono «Scotch Whisky», cioè whisky di origine scozzese, recano il nome del glen in cui sono situate. Tale giudice sottolinea che, tuttavia, esistono anche whisky prodotti al di fuori della Scozia e recanti il termine «glen» nella loro denominazione, quali il «Glen Breton» proveniente dal Canada (71), il «Glendalough» dall’Irlanda e il «Glen Els» dalla Germania (72). Esso fa inoltre riferimento ad un’indagine, presentata dalla TSWA e contestata dal sig. Klotz, da cui risulterebbe, tra l’altro, che il 4,5% dei consumatori tedeschi di whisky interpellati avrebbe affermato che il termine «glen» evocherebbe a loro avviso il whisky scozzese o qualcosa di scozzese.

68.      Alla luce di questi elementi, condivido l’opinione della Commissione secondo la quale non si può affermare con certezza che, in circostanze come quelle del procedimento principale, vi sia, tra l’indicazione geografica protetta e la denominazione contestata, una somiglianza concettuale sufficiente per considerare quest’ultima un’«evocazione» della prima ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (73). A tale riguardo, spetterà unicamente al giudice del rinvio determinare se un consumatore medio europeo sia indotto a pensare (74) direttamente allo «Scotch Whisky» in presenza di un prodotto comparabile recante la designazione «Glen», nonostante il fatto che la scelta di quest’ultimo nome per un whisky non sia senza dubbio puramente accidentale (75). Anche supponendo che tale giudice consideri che i consumatori associno sistematicamente il termine «Glen» al whisky, potrebbe tuttavia mancare il necessario legame stretto tra questo termine e il whisky scozzese, e quindi l’indispensabile somiglianza all’indicazione «Scotch Whisky».

2.      Sull’impatto di eventuali informazioni relative al segno controverso, alla luce dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (seconda parte della seconda questione)

69.      La seconda parte della seconda questione pregiudiziale è sottoposta alla Corte unicamente per il caso in cui quest’ultima abbia stabilito che una similarità fonetica e visiva non è imperativa ai fini della determinazione dell’esistenza di un’«evocazione» di tale indicazione ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, e che possa essere sufficiente una semplice associazione di idee di qualsiasi tipo con l’indicazione geografica registrata o la zona geografica in questione.

70.      Alla luce della risposta che ho suggerito di fornire alla prima parte di tale questione (76), ritengo necessario prendere posizione anche sulla seconda parte della medesima.

71.      Il giudice del rinvio chiede alla Corte se, al fine di determinare se vi sia concretamente un’«evocazione» vietata ai sensi dell’articolo 16, lettera b), l’elemento controverso del segno debba essere analizzato isolatamente oppure tenendo conto del contesto in cui esso viene impiegato, in particolare quando è accompagnato da indicazioni cosiddette di «delocalizzazione» che precisano la vera origine del prodotto in questione (77).

72.      Tale giudice nota che l’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 stabilisce espressamente che «qualsiasi (…) evocazione» è vietata «anche se la vera origine del prodotto è indicata», chiarimento che potrebbe precludere la valutazione del contesto che circonda l’elemento controverso. A suo parere, tuttavia, ciò non precluderebbe necessariamente di considerarlo «nell’accertamento a monte in merito alla sussistenza di un’“evocazione”».

73.      Il governo dei Paesi Bassi ritiene che non sia necessario analizzare la seconda parte della seconda questione pregiudiziale, tenuto conto della risposta da esso proposta alla sua prima parte. Il sig. Klotz sostiene che il contesto in cui si inserisce la dicitura controversa dovrebbe avere un ruolo nell’applicazione del suddetto articolo 16, lettera b) (78). Il governo italiano non rigetta questa possibilità, ma afferma che non si possa escludere un’«evocazione» illegale ai sensi della disposizione in esame, anche qualora sul prodotto in questione sia menzionata espressamente la sua origine esatta. La TSWA, i governi greco e francese, nonché la Commissione, ritengono sostanzialmente che le informazioni supplementari fornite dall’etichettatura e dall’imballaggio (79) del prodotto in questione non possono svolgere alcun ruolo ai fini della valutazione dell’esistenza di un’«evocazione», anche qualora l’elemento controverso sia corredato da informazioni circa la vera origine del prodotto. Condivido quest’ultima interpretazione, per i motivi illustrati qui di seguito.

74.      Prima di tutto, dal tenore letterale dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, emerge, a mio parere inequivocabilmente, che il fatto che la «vera origine del prodotto» sia portata a conoscenza dei consumatori di riferimento non costituisce un elemento tale da rimediare al carattere fuorviante della denominazione contestata, e quindi da escludere che quest’ultima possa rientrare nella qualificazione di «evocazione» ai sensi della disposizione stessa.

75.      Le altre precisazioni contenute nella lettera b), che riguardano i casi in cui l’indicazione geografica protetta è utilizzata sotto forma di traduzione o accompagnata da un’espressione attenuante (80), confermano, a mio parere, l’interpretazione secondo cui è irrilevante, per tale qualificazione, che informazioni complementari sull’origine del prodotto in questione siano fornite nella sua designazione, presentazione, etichettatura o addirittura nel suo imballaggio (81).

76.      In secondo luogo, condivido il parere della TSWA, del governo francese e della Commissione, secondo cui la giurisprudenza della Corte fornisce elementi che corroborano tale interpretazione.

77.      In effetti, la Corte ha chiaramente indicato che l’eventuale uso delle diciture espressamente menzionate all’articolo 16, lettera b), in particolare per quanto riguarda la vera origine del prodotto, non sarebbe «atta a modificare [la] qualificazione» di «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 (82).

78.      Inoltre, la Corte ha statuito che la mancanza di un qualunque rischio di confusione, nella mente del pubblico di riferimento, tra i prodotti in questione non può ostare a tale qualificazione di «evocazione» (83).

79.      Di conseguenza, l’utilizzo di una denominazione qualificata come «evocazione», ai sensi di tale disposizione, di un’indicazione geografica registrata nell’allegato III del suddetto regolamento non può nondimeno essere autorizzato tenendo conto di particolari circostanze che caratterizzino il prodotto recante detta denominazione illecita, o in assenza di rischio di confusione con un prodotto autorizzato a recare tale indicazione geografica(84). Il giudice nazionale non dispone pertanto di un margine di valutazione del contesto a tale titolo (85).

80.      In particolare, da questa giurisprudenza emerge l’irrilevanza, ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del fatto che la denominazione controversa corrisponda al nome della società e/o del luogo in cui il prodotto è fabbricato (86), come sostenuto dal sig. Klotz, il quale fa valere che la designazione «Glen Buchenbach» sarebbe un gioco di parole basato sui nomi del luogo di origine della bevanda in questione nel procedimento principale (Berglen)e di un fiume locale (Buchenbach) (87).

81.      La Corte ha inoltre precisato che il fatto che la denominazione controversa faccia riferimento ad un luogo di fabbricazione che sarebbe noto ai consumatori dello Stato membro in cui è fabbricato il prodotto, non costituirebbe un fattore rilevante ai fini della valutazione della nozione di «evocazione» ai sensi della suddetta lettera b), in quanto tale disposizione protegge le indicazioni geografiche registrate da qualsiasi evocazione in tutto il territorio dell’Unione e, vista la necessità di garantire una protezione effettiva e uniforme delle medesime nell’intero territorio, sono coinvolti tutti i consumatori dell’Unione (88).

82.      Tale irrilevanza è, a mio avviso, valida anche nel caso in cui il riferimento al luogo di fabbricazione del prodotto in questione sia contenuto, come sembra avvenire nella presente controversia principale, non solo nella denominazione controversa stessa, ma anche in diciture che la integrano(89).

83.      Propongo pertanto di rispondere alla seconda parte della seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che, ai fini di caratterizzare l’esistenza di un’«evocazione» vietata da tale disposizione, non si devono tenere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare quelle relative alla vera origine di quest’ultimo.

D.      Sull’impatto di eventuali informazioni relative al segno controverso alla luce dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 (terza questione)

84.      La terza questione pregiudiziale invita la Corte a chiarire se, per accertare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole (…) tale da indurre in errore sull’origine» ai sensi dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, occorra tener conto del contesto in cui è utilizzata la dicitura controversa, in particolare quando quest’ultima è accompagnata dall’indicazione della vera origine del prodotto di cui trattasi.

85.      Il giudice del rinvio si chiede se, ai fini dell’accertamento nella controversia principale dell’esistenza di un’indicazione ingannevole circa la provenienza del prodotto, si debba considerare soltanto l’elemento controverso del segno, vale a dire «Glen», o anche il contesto in cui si inserisce tale elemento. Nel caso di specie, tale contesto includerebbe, in particolare, il termine «Buchenbach», che segue il termine «Glen» nella denominazione contestata, nonché le altre diciture che compaiono sull’etichetta che porterebbero a una delocalizzazione del prodotto (90).

86.      A tale proposito, il sig. Klotz, la Commissione e sostanzialmente il governo dei Paesi Bassi (91) ritengono che, per valutare se esiste un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi dell’articolo 16, lettera c), si debba tener conto del contesto in cui si colloca il segno controverso e, in particolare, procedere ad un’analisi globale dell’etichetta. Secondo il governo italiano, l’esame di tale contesto non può escludere la possibilità che vi possa essere un’indicazione ingannevole, anche in presenza di una dicitura che indichi la vera origine del prodotto. La TSWA e i governi greco e francese sostengono l’irrilevanza del contesto ai fini dell’applicazione della disposizione in esame, anche qualora l’elemento in questione sia accompagnato da informazioni relative alla vera origine del prodotto. Condivido quest’ultima opinione per i seguenti motivi.

87.      Innanzitutto, per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, sottolineo in primo luogo come tale disposizione non faccia alcun riferimento agli elementi che possono delimitare, integrare o addirittura correggere la designazione controversa.

88.      In secondo luogo, la Commissione sostiene, a mio avviso erroneamente, che «sia gli aggettivi “qualsiasi altra” sia il riferimento congiunto a “designazione, (…) presentazione o (…) etichettatura del prodotto” indicano inequivocabilmente la necessità di considerare tutte le indicazioni relative all’origine nel loro insieme, e, congiuntamente, la designazione, la presentazione e l’etichettatura», cosicché, nel procedimento principale, la valutazione dovrebbe vertere sulla totalità delle informazioni che figurano sull’etichetta.

89.      A questo proposito, rilevo che nella versione in lingua tedesca (92) di tale articolo 16, le lettere a) e b), che iniziano con il termine «jede [ogni]» seguito dal singolare, sono senza dubbio formulate in modo diverso rispetto alle lettere c) e d) dello stesso articolo, in cui si usa il termine «alle [tutte]» seguito dal plurale, costruzione che potrebbe forse suggerire un’idea di globalità per questi ultimi due punti.

90.      Tuttavia, tale variazione nella formulazione dei vari casi di cui al suddetto articolo 16 non esiste in altre versioni linguistiche, nelle quali il termine che significa sostanzialmente «ogni» all’inizio sia della lettera c) sia delle lettere a), b) e d) di detto articolo non comporta, a mio avviso, la necessità di esaminare nel loro insieme tutti i dati riportati, nel caso di specie, sull’etichetta per valutare se una situazione come quella di cui al procedimento principale rientri specificamente nel divieto di cui a tale lettera c) (93).

91.      Orbene, secondo giurisprudenza costante, le disposizioni del diritto dell’Unione devono essere interpretate e applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni redatte in tutte le lingue dell’Unione europea, e, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche, la disposizione in esame deve essere interpretata alla luce dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa costituisce un elemento (94). Ciò mi porta a sostenere un’interpretazione contraria a quella proposta dalla Commissione (95).

92.      Per quanto riguarda l’espressione «indicazione falsa o ingannevole (…) nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del prodotto», non vedo nemmeno in questo caso come tale enumerazione, in cui viene peraltro utilizzata la congiunzione coordinativa «o» (96) ‑ che solitamente indica un’alternativa – induca la Commissione a concluderne che si dovrebbe procedere ad una valutazione definita «collettiva», che consisterebbe nel dover prendere in considerazione la totalità delle informazioni relative al prodotto in esame che corredano il segno controverso per determinare se tale segno rappresenti un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi della lettera c) dell’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 (97).

93.      Peraltro, il sig. Klotz richiama l’espressione «tale da indurre in errore sull’origine» utilizzata alla fine del suddetto articolo 16, lettera c). Egli sostiene che, se la Corte ritenesse che, per caratterizzare l’esistenza di un’«evocazione» ai sensi della lettera b) di tale articolo, si debba fare riferimento alla concreta percezione d’insieme di un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (98), ciò varrebbe a maggior ragione per valutare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi della summenzionata lettera c). Tuttavia, a mio parere, questa tesi non è applicabile, tenuto conto della risposta che propongo di fornire alla seconda parte della seconda questione pregiudiziale (99).

94.      Personalmente, ritengo che, se il legislatore dell’Unione avesse effettivamente inteso consentire che un’indicazione recante di per sé un carattere falso o ingannevole, ai sensi dell’articolo 16, lettera c), del regolamento in esame, possa nondimeno essere autorizzata sulla base di informazioni supplementari che corredano l’indicazione medesima, una siffatta restrizione del campo di applicazione di tale disposizione sarebbe stata espressamente prevista, soprattutto alla luce degli obiettivi di protezione perseguiti (100).

95.      Insecondo luogo, per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce la lettera c) di tale articolo 16, condivido il punto di vista espresso dalla Commissione che nota che il caso previsto da tale disposizione deve essere distinto da quelli previsti alle lettere a) e b) dello stesso articolo (101), ma ritengo, da parte mia, che non emerga dall’economia generale di tale lettera c) che questa imponga un esame d’insieme dell’etichetta del prodotto.

96.      Come sottolineato dall’avvocato generale Campos Sánchez‑Bordona in merito ad una disposizione del diritto dell’Unione analoga all’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 (102), ritengo che questa norma contenga un elenco graduato di atti vietati, in cui la lettera c) si differenzia dalle due disposizioni che la precedono. In effetti, mentre la lettera a) di tale articolo 16 si limita agli atti di impiego di un’indicazione geografica protetta e la lettera b) del medesimo agli atti di usurpazione, imitazione o evocazione, la lettera c) estende il perimetro protetto, incorporandovi le «indicazioni» (vale a dire le informazioni fornite ai consumatori) contenute nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del prodotto in questione, le quali, pur non evocando realmente l’indicazione geografica protetta, sono qualificabili come «fals[e] o ingannevol[i]» rispetto al legame che creano tra il prodotto e l’indicazione geografica protetta (103).

97.      Ciononostante, non ritengo si possa dedurre dalla differenza constatata, sia nella formulazione che nella portata, tra le lettere a), b) e c) del suddetto articolo 16, che quest’ultima debba essere necessariamente interpretata nel senso che, per stabilire se la denominazione controversa costituisca un’«indicazione falsa o ingannevole» ai sensi di tale disposizione, si debbano tenere in considerazione tutte le altre informazioni riportate, in particolare, sull’etichetta del prodotto in questione. Al contrario, mi sembra che occorra che tale valutazione sia incentrata sull’indicazione controversa in quanto tale, presa singolarmente, senza che le informazioni che la corredano possano metterne in discussione una siffatta qualificazione, dato che altrimenti si rischierebbe di far perdere alla lettera c) il suo effetto utile, lettera che, a mio parere, dovrebbe piuttosto essere applicata in senso ampio, come spiegherò qui di seguito.

98.      In terzo luogo, l’interpretazione da me sostenuta è, a mio avviso, corroborata dall’analisi degli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 110/2008 in generale e dalle disposizioni in esame in particolare.

99.      Come ho già accennato (104), ritengo che le disposizioni del regolamento n. 110/2008, ed in particolare quelle dell’articolo 16, siano tese a proteggere le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III di tale regolamento, sia nell’interesse dei consumatori, che non devono essere indotti in errore da indicazioni improprie, sia nell’interesse degli operatori economici che sostengono costi più elevati per garantire la qualità dei prodotti che meritano di recare tali indicazioni, e che devono pertanto essere protetti contro atti di concorrenza sleale.

100. Per quanto riguarda più specificamente la lettera c) dell’articolo 16, a mio avviso il legislatore dell’Unione ha inteso conferirgli un campo di applicazione sufficientemente ampio da garantire il conseguimento degli obiettivi summenzionati. In linea con il governo francese, ritengo infatti che l’espressione «qualsiasi altra indicazione», utilizzata in questa disposizione, possa includere qualsiasi tipo di indizio o segno, segnatamente un testo, un’immagine o un contenitore, che possa fornire informazioni sulle caratteristiche del prodotto. Inoltre, la formulazione flessibile di localizzazione dell’indicazione di cui alla lettera c) (105) consente a mio avviso di ritenere che un qualsiasi elemento di uno dei tre mezzi ivi menzionati, nella fattispecie una dicitura presente sull’etichetta della bevanda in questione, potrebbe essere di per sé « tale da indurre in errore sull’origine» ai sensi di tale disposizione. Di conseguenza, il contenuto del resto dell’etichettatura del prodotto in questione non può, a mio parere, compensare il carattere eventualmente falso o ingannevole dell’indicazione contestata, anche qualora quest’ultima sia corredata da informazioni relative alla vera origine del prodotto.

101. In altri termini, come sottolinea il governo francese, la realizzazione degli obiettivi sopracitati sarebbe compromessa se la protezione delle indicazioni geografiche potesse essere limitata dal fatto che, accanto ad un’indicazione di per sé falsa o ingannevole ai sensi dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, compaiono informazioni complementari. L’adozione di un’interpretazione del genere equivarrebbe infatti ad ammettere l’impiego di un’indicazione falsa o ingannevole purché accompagnata da informazioni esatte, le quali ne compenserebbero dunque in qualche modo il carattere fuorviante.

102. Infine, quanto alla trasposizionedella giurisprudenzarelativa alladirettiva 2000/13/CE (106), abrogata dal regolamento (UE) n. 1169/2011 (107), che mi sembra essere proposta dalla Commissione (108), dubito che questa sia effettivamente rilevante per rispondere alla terza questione pregiudiziale.

103. In effetti, il regolamento n. 110/2008, di cui viene qui richiesta l’interpretazione, ha una finalità distinta da quella della direttiva 2000/13, in quanto quest’ultima regola in modo generale e orizzontale (109) «l’etichettatura dei prodotti alimentari (…) nonché determinati aspetti concernenti la loro presentazione e la relativa pubblicità» (110), mentre il regolamento n. 110/2008, adottato successivamente, disciplina in modo specifico e verticale la «definizione, [la] designazione, [la] presentazione, [l’]etichettatura e [la] protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose» (111). Ciò comporta differenze sia in termini di obiettivi che di portata della protezione offerta da questi due strumenti giuridici, differenze che, a mio parere, devono essere tenute in considerazione, nonostante il fatto che l’indicazione di denominazioni geografiche sull’etichettatura di siffatte bevande possa talvolta rientrare simultaneamente nei loro rispettivi campi di applicazione (112).

104. Più in particolare, in merito alla formulazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 2000/13, oggetto della giurisprudenza richiamata nelle osservazioni della Commissione, ritengo che il contenuto di tale disposizione, che riguarda le «[p]ratiche leali di informazione» (113), non sia realmente equivalente, almeno nella sostanza, a quello dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, che concerne la «[p]rotezione delle indicazioni geografiche» (114), su cui verte la terza questione qui sollevata.

105. Rilevo inoltre che, nella giurisprudenza sopracitata, la Corte si è certamente pronunciata a favore di un esame della situazione controversa che comprenda tutte le informazioni riportate sull’etichettatura del prodotto in questione (115), nonché di alcuni elementi fattuali esterni (116), al fine di valutare se una denominazione sia in grado di indurre i consumatori in errore (117), tuttavia ciò riguardava diciture non registrate in quanto denominazioni di origine o indicazioni geografiche che sarebbero protette a livello dell’Unione (118), ipotesi che non corrisponde alle circostanze del presente caso di specie, in cui si tratta di una protezione di quest’ultimo tipo. Ritengo pertanto inopportuno procedere ad un ragionamento per analogia con tale giurisprudenza in un siffatto contesto.

106. Propongo pertanto di rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che, per caratterizzare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole» vietata da tale disposizione, non si devono prendere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare in merito alla vera origine di quest’ultimo.

107. Per quanto riguarda il caso di specie, alla luce dei principi già richiamati di ripartizione delle competenze tra i giudici nazionali e la Corte (119), mi limiterò a precisare che dubito che, se quest’ultima adottasse l’interpretazione qui proposta, tale divieto debba essere applicato in circostanze come quelle del procedimento principale, poiché il termine controverso, «Glen», non presenta con l’indicazione geografica protetta in questione, «Scotch Whisky», né con il paese a cui questa si ricollega, vale a dire il «Regno Unito (Scozia)», legami sufficientemente diretti e stretti da ritenere che esso costituisca un’«indicazione falsa o ingannevole (…) tale da indurre in errore sull’origine» (120).

108. A titolo sussidiario, nel caso in cui la Corte interpreti la lettera c) nel senso che si debba esaminare l’insieme delle informazioni relative al segno controverso, ritengo che tale esame dovrebbe logicamente condurre, a fortiori, allo stesso risultato concreto. Se infatti, nel caso di specie, si dovesse tener conto di tutti gli elementi figuranti sull’etichetta che menzionano esplicitamente l’origine esatta del prodotto in questione, come sottolineato dalla Commissione, sarebbe difficile ipotizzare che l’impiego del termine «Glen» rientri nel divieto previsto da tale disposizione (121).

V.      Conclusioni

109. Alla luce di quanto esposto, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo, Germania):

1)      L’articolo 16, lettera a), del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che «l’impiego (…) indiretto» di un’indicazione geografica registrata, vietato da tale disposizione, richiede che la denominazione controversa sia identica o foneticamente e/o visivamente simile all’indicazione in questione. Non è dunque sufficiente che tale denominazione possa suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione o con la relativa zona geografica.

2)      L’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che l’«evocazione» di un’indicazione geografica registrata, vietata da tale disposizione, non richiede che la denominazione controversa presenti necessariamente una similarità fonetica e visiva con l’indicazione in questione, ma che non è tuttavia sufficiente che tale denominazione sia in grado di suscitare, nella mente del consumatore di riferimento, una qualsiasi associazione di idee con l’indicazione protetta o con la relativa zona geografica. In mancanza di una siffatta similarità, occorre tener conto della somiglianza concettuale esistente, se del caso, tra l’indicazione di cui trattasi e la denominazione contestata, a condizione che detta somiglianza sia tale da far sì che il consumatore abbia in mente, come immagine di riferimento, il prodotto che beneficia dell’indicazione suddetta.

Ai fini di caratterizzare l’esistenza di una «evocazione» vietata dal suddetto articolo 16, lettera b), non si devono tenere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare quelle relative alla vera origine di quest’ultimo.

3)      L’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 deve essere interpretato nel senso che, per caratterizzare l’esistenza di un’«indicazione falsa o ingannevole» vietata da tale disposizione, non si devono prendere in considerazione le informazioni supplementari che compaiono accanto al segno controverso nella designazione, presentazione o etichettatura del prodotto in questione, in particolare in merito alla vera origine di quest’ultimo.


1      Lingua originale: francese.


2      GU 2008, L 39, pag. 16. Sebbene tale regolamento sia stato oggetto di diverse modifiche, le disposizioni rilevanti per il caso in esame non ne sono state coinvolte.


3      Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 110/2008, per «indicazione geografica» si intende «un’indicazione che identifichi una bevanda spiritosa come originaria del territorio di un paese, o di una regione o località di detto territorio, quando una determinata qualità, la rinomanza o altra caratteristica della bevanda spiritosa sia essenzialmente attribuibile alla sua origine geografica».


4      V. sentenze del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C–4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punti 2 e 16), nonché del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C–75/15, EU:C:2016:35, punti 10 e 11).


5      Secondo la TSWA, l’uso della designazione controversa potrebbe rientrare cumulativamente nelle tre nozioni di cui al suddetto articolo 16, lettere a), b) e c), che sono menzionate nelle questioni pregiudiziali. A tale proposito, mi limiterò ad osservare che il giudice nazionale non ha stabilito un grado di priorità tra i casi citati in tali disposizioni, né ha chiesto alla Corte di pronunciarsi circa la possibilità di un tale cumulo di qualificazioni.


6      Preciso che la decisione di rinvio utilizza l’aggettivo tedesco «optisch», la cui traduzione letterale in italiano è «ottico», ma che mi sembra più corretto, sul piano lessicale, utilizzare il termine «visivo», che impiegherò quindi nelle presenti conclusioni, in linea con la più recente giurisprudenza della Corte in materia.


7      V., in particolare, la nota 72 delle presenti conclusioni.


8      V., in particolare, sentenze del 13 febbraio 2014, Maks Pen (C‑18/13, EU:C:2014:69, punto 30); del 3 settembre 2015, Costea (C‑110/14, EU:C:2015:538, punto 13), nonché del 10 marzo 2016, Safe Interenvíos (C‑235/14, EU:C:2016:154, punto 119).


9      V., in particolare, sentenze del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 31), nonché del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C‑42/17, EU:C:2017:936, punto 23).


10      Essa precisa di aver presentato un ricorso per porre rimedio a tale situazione, il quale è stato dichiarato irricevibile da tale giudice.


11      V., in particolare, la nota 38 delle presenti conclusioni.


12      V., in particolare, sentenza del 4 aprile 2000, Darbo (C‑465/98, EU:C:2000:184, punto 19).


13      V., in particolare, sentenza del 1o febbraio 2017, Município de Palmela (C‑144/16, EU:C:2017:76, punto 20).


14      V., in particolare, i paragrafi 31, 62 nonché 95 e segg. delle presenti conclusioni.


15      Il giudice nazionale cita al riguardo: «Tilmann GRUR 1992, 829, 832 e seg.; Ströbele/Hacker, Markengesetz, 11a edizione, § 135 punto 16», specificando che tali autori hanno espresso il loro parere su una disposizione analoga all’articolo 16 del regolamento n. 110/2008, vale a dire l’articolo 13 del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2012, L 343, pag. 1) e «Ingerl/Rohnke, Markengesetz, 3a edizione, § 135 punto 4».


16      Tale giudice osserva che la Corte di giustizia fino ad ora ha dichiarato solo in termini generali che «[l’articolo 16, lettere da a) a d),] del regolamento n. 110/2008 contempla diverse ipotesi in cui la commercializzazione di un prodotto si accompagna ad un riferimento esplicito o implicito ad un’indicazione geografica in condizioni idonee o a indurre il pubblico in errore o, quanto meno, a creare nella sua mente un’associazione quanto all’origine del prodotto, o a permettere all’operatore di sfruttare indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica in questione» (sentenza del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac, C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 46).


17      Più precisamente, secondo il sig. Klotz, la dicitura controversa dovrebbe necessariamente essere «identica» all’indicazione geografica protetta; secondo il governo francese, essa dovrebbe essere «identica o [quantomeno] molto simile dal punto di vista fonetico e/o visivo»; secondo il governo dei Paesi Bassi, vi dovrebbe essere comunque un «riferimento» all’indicazione geografica, anche qualora un’associazione possa essere fatta nella mente del pubblico interessato; secondo la Commissione, non vi è «impiego» dell’indicazione geografica quando viene utilizzata un’«altra designazione».


18      V., in particolare, sentenza del 15 novembre 2017, Geissel e Butin (C‑374/16 e C‑375/16, EU:C:2017:867, punto 32 e giurisprudenza citata).


19      In quest’ultimo caso, la TSWA sostiene che la denominazione «Glen» debba essere vietata, nel caso di specie, in quanto si tratta di un prodotto «comparabile» allo «Scotch Whisky», ma che non è di origine scozzese. Essa ritiene che la questione sollevata riguardi, tuttavia, anche la seconda ipotesi di cui all’articolo 16, lettera a), in quanto il fatto che i prodotti siano comparabili non escluderebbe uno sfruttamento della rinomanza dell’indicazione geografica protetta. Noto che il giudice nazionale non ha preso posizione al riguardo, ma che la Corte ha già stabilito che «[quando] i prodotti non coperti da un’indicazione geografica sono bevande spiritose, sembra legittimo ritenere che possa trattarsi di prodotti comparabili alla bevanda spiritosa registrata con la medesima indicazione geografica» (sentenza del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac, C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 54).


20      Il corsivo è mio.


21      V., per analogia, sentenza del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punti 114 e seguenti.), che richiama criteri di associazione tra il segno controverso e la denominazione protetta, che si riferiscono alla percezione da parte del pubblico pertinente di un’«unità logica e concettuale» o di un «riferimento geografico al vino di Porto che gode della denominazione di origine di cui trattasi».


22      Analogamente, nelle sue conclusioni nella causa Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (C‑393/16, EU:C:2017:581, punti 42 e seguenti), l’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona ha anche ritenuto, in merito ad una disposizione equivalente all’articolo 16, lettera a), che la nozione di «impiego commerciale diretto o indiretto» possa comprendere un impiego della denominazione di origine protetta (nella presente fattispecie, l’indicazione geografica protetta) non solo in una forma identica, ma anche in una forma simile.


23      La Commissione precisa che il fatto che l’indicazione geografica debba essere utilizzata in quanto tale, non escluderebbe comunque l’impiego di una traduzione della medesima, aggiungendo che tale ipotesi non è tuttavia chiaramente rinvenibile nel caso di specie.


24      Il governo dei Paesi Bassi riporta l’esempio ‑ fittizio – di un impiego commerciale indiretto dell’indicazione geografica protetta «Scotch Whisky» nell’ambito di una campagna pubblicitaria che sarebbe formulata nel modo seguente: «Glen Buchenbach ha il sapore dello Scotch Whisky».


25      V. anche la dottrina citata nella decisione di rinvio di cui alla nota 15 delle presenti conclusioni.


26      V. sentenze 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punti 56 e 57), nonché 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 33 e 35).


27      Per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 16, lettera b), v. la risposta alla seconda questione pregiudiziale di cui ai paragrafi 48 e segg. delle presenti conclusioni.


28      V. anche il considerando 1 del regolamento n. 110/2008, nonché la relazione introduttiva alla proposta della Commissione del 15 dicembre 2005, che ha portato all’adozione di questo strumento [Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione e all’etichettatura delle bevande spiritose COM(2005) 125 definitivo, pag. 2], in cui si sottolineava la necessità di migliorare la chiarezza delle norme del diritto dell’Unione vigenti in materia di bevande spiritose.


29      Il corsivo è mio.


30      V. punto citato nella nota 16 di queste conclusioni, in relazione al quale la TSWA sostiene che la versione in lingua tedesca (che menziona solo una «associazione») è più restrittiva di quelle in lingua spagnola, inglese, francese o italiana (che menzionano una «associazione di idee») e che si dovrebbe preferire quest’ultima formulazione, più ampia, in modo che l’«associazione» venga riferita alla mente del pubblico di riferimento rispetto all’indicazione geografica, e non ad un’associazione con l’indicazione geografica stessa.


31      Gli obiettivi di cui all’articolo 16 sono evidenziati nelle sentenze del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 47), nonché del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 23 e 24).


32      Vale a dire l’articolo 118 quaterdecies, paragrafo 2, del regolamento (CE) del Consiglio del 22 ottobre 2007, n. 1234/2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM) (GU 2007, L 299, pag. 1), modificato dal regolamento (CE) del Consiglio del 25 maggio 2009, n. 491/2009 (GU 2009, L 154, pag. 1).


33      Per quanto riguarda le analogie tra l’articolo 16 del regolamento n. 110/2008 e l’articolo 118 quaterdecies, paragrafo 2, del regolamento n. 1234/2007, v. sentenza del 20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (C‑393/16, EU:C:2017:991, punti 18, 34, 39 e 40) e le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (C‑393/16, EU:C:2017:581, paragrafo 60 e nota 16).


34      Secondo la sentenza del 20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (C‑393/16, EU:C:2017:991, punto 38), «per quanto riguarda le protezioni delle [denominazioni di origine protette] e delle [indicazioni geografiche protette], il regolamento n. 1234/2007 costituisce uno strumento della politica agricola comune mirante essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli muniti di un’indicazione geografica registrata in forza di tale regolamento presentino, a causa della loro provenienza da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari e, pertanto, offrano una garanzia di qualità dovuta alla loro provenienza geografica, allo scopo di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi e di impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della rinomanza discendente dalla qualità di tali prodotti» (il corsivo è mio).


35      Ricordo che l’articolo 15, paragrafo 4, del regolamento n. 110/2008 stabilisce che «[l]e bevande spiritose recanti un’indicazione geografica registrata nell’allegato III sono conformi a tutti i requisiti della scheda tecnica di cui all’articolo 17, paragrafo 1».


36      V., in tal senso, sentenze del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 46), e del 20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (C‑393/16, EU:C:2017:991, punti 39 e 40).


37      Vale a dire, «Swabian (…) Whisky» (in italiano: whisky (…) svevo), «Deutsches Erzeugnis» (prodotto tedesco), «Hergestellt in den Berglen» (prodotto nel Berglen).


38      La TSWA propone di riformulare in questo modo la seconda parte della prima questione pregiudiziale, sostenendo che la nozione di «contesto» («Umfeld» in tedesco, la lingua processuale) utilizzata dal giudice nazionale non figura né nel regolamento n. 110/2008 né nella giurisprudenza della Corte, e che occorra quindi fare riferimento piuttosto alle nozioni di «presentazione», «etichettatura» e «imballaggio» di cui ai punti da 15 a 17 dell’allegato I di tale regolamento, che, alla luce dei motivi della decisione di rinvio, sembrano essere sostanzialmente evocati nella questione di cui trattasi.


39      Il sig. Klotz, il governo francese e la Commissione non prendono posizione al riguardo, tenendo conto della risposta che propongono di fornire alla prima parte della prima questione pregiudiziale.


40      Per i motivi indicati al paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


41      V. anche il paragrafo 40 di queste conclusioni.


42      L’articolo 16, lettera b), precisa inoltre che è irrilevante se «l’indicazione geografica è usata in forma tradotta o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “modo”, “stile”, “marca”, “gusto” o altri termini simili». Infatti, nonostante l’uso di tali espressioni apparentemente correttive, il consumatore rimane indotto in errore dal messaggio trasmesso dalla designazione principale, la quale effettua un collegamento indebito alla suddetta indicazione.


43      Per quanto riguarda l’eventuale rilevanza del contesto che circonda l’elemento controverso alla luce dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, v la risposta alla seconda parte della seconda questione pregiudiziale, di cui ai paragrafi 69 e segg. delle presenti conclusioni.


44      Sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 21 e giurisprudenza citata).


45      Come accadeva, secondo l’esempio fornito dal giudice nazionale, tra la denominazione controversa «Verlados» e l’indicazione geografica registrata «Calvados» nella causa che ha dato origine alla sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35).


46      L’elemento controverso «Glen», infatti, è chiaramente diverso sia foneticamente che visivamente dall’indicazione geografica registrata «Scotch Whisky».


47      Faccio notare che anche i governi francese e italiano sottolineano l’importanza del criterio della «somiglianza concettuale», tuttavia essi fondano la risposta che propongono non su questo criterio, ma sul criterio dell’«associazione» cui fa riferimento il giudice del rinvio.


48      Sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 21 e giurisprudenza citata).


49      D’altra parte, invece, non sussiste una semplice «evocazione», ma un «impiego», ai sensi di una disposizione analoga all’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008, qualora la denominazione protetta sia incorporata in forma integrale nel nome del prodotto alimentare per indicarne il gusto (v. sentenza del 20 dicembre 2017, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, C‑393/16, EU:C:2017:991, punti 57 e 58).


50      Per quanto riguarda le designazioni contestate «Cambozola», «parmesan», «KONJAKKI», «Verlados» e «Port Charlotte», v., rispettivamente, sentenze del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (C‑87/97, EU:C:1999:115, punto 25); del 26 febbraio 2008, Commissione/Germania (C‑132/05, EU:C:2008:117, punto 44); del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punto 56); del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 21), nonché del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punto 122).


51      V., in particolare, sentenza del 21 gennaio 2016 in Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 21, 32, 35 e 48, nonché giurisprudenza citata). Secondo la Commissione, questo criterio giurisprudenziale implica la creazione immediata e precisa di un’associazione tra il prodotto in questione e l’indicazione geografica protetta.


52      Sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 22), il corsivo è mio.


53      Sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 25, 28 e 48).


54      V., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punti da 122 a 125).


55      V., in particolare, sentenza del 21 gennaio 2016 in Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 33, 34, da 38 a 40 e 48, nonché giurisprudenza citata).


56      Vale a dire, tutte le parti tranne il sig. Klotz e il governo dei Paesi Bassi.


57      V., in particolare, sentenze del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (C‑87/97, EU:C:1999:115, punto 27); del 26 febbraio 2008, Commissione/Germania (C‑132/05, EU:C:2008:117, punto 46); del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484, punti 57 e 58); nonché del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti da 38 a 40).


58      V. paragrafo 55 delle presenti conclusioni.


59      V. sentenze del 26 febbraio 2008, Commissione/Germania (C‑132/05, EU:C:2008:117, punti 47 e 48), nonché del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 35).


60      Chiaramente, è irrilevante che il consumatore medio europeo non rischi di confondere il prodotto controverso con un prodotto che porta legittimamente la denominazione protetta in questione (v. giurisprudenza citata al paragrafo 79 delle presenti conclusioni).


61      Obiettivi analizzati nei paragrafi 34 e segg. delle presenti conclusioni.


62      Il corsivo è mio.


63      V. paragrafi 31 e segg. delle presenti conclusioni.


64      V., per analogia, sentenza del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punti 80 e 81).


65      A questo proposito, il sig. Klotz fa riferimento, in particolare, alla sentenza del 20 maggio 2003, Consorzio del Prosciutto di Parma e Salumificio S. Rita (C‑108/01, EU:C:2003:296, punto 66 e giurisprudenza citata).


66      Paese d’origine come elencato nell’allegato III del regolamento n. 110/2008 per l’indicazione geografica protetta «Scotch Whisky».


67      Il governo dei Paesi Bassi sottolinea, a giusto titolo, i legami esistenti tra la protezione accordata dal regolamento n. 110/2008 alle indicazioni geografiche e la libertà delle imprese di scegliere un nome per i loro prodotti, tutelato o meno dal diritto dei marchi, osservando che questo regolamento mira a prevenire l’uso improprio della denominazione «Scotch Whisky» per un whisky non prodotto in Scozia, mentre la protezione individuale del marchio mira a dare ad un’impresa la possibilità di distinguersi e di impedire a terzi di utilizzare il marchio protetto (sui legami creati con il diritto dei marchi dall’articolo 23 del regolamento n. 110/2008, v. Blakeney, M., The protection of geographical indications, Law and practice, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, 2014, pag. 286).


68      Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito di un procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, che si basa su una chiara separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, qualsiasi valutazione dei fatti rientra nella competenza esclusiva del giudice nazionale (v., in particolare, sentenze dell’8 maggio 2008, Danske Svineproducenter, C‑491/06, EU:C:2008:263, punto 23, nonché del 25 ottobre 2017, Polbud - Wykonawstwo, C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 27), tanto più che la Corte non dispone necessariamente di tutti gli elementi essenziali a tale riguardo (v., in particolare, sentenze del 21 giugno 2007, Omni Metal Service, C‑259/05, EU:C:2007:363, punto 15, nonché del 9 febbraio 2017, Madaus, C‑441/15, EU:C:2017:103, punto 35).


69      V. giurisprudenza citata alla nota 9 delle presenti conclusioni.


70      Secondo la TSWA, il segno controverso, vale a dire «Glen», deriva dal gaelico scozzese ed è utilizzato soprattutto in Scozia come nome di luogo comune e assai diffusamente come elemento del nome del whisky scozzese, a cui i consumatori europei e tedeschi assocerebbero in primo luogo questo termine. D’altra parte, secondo il sig. Klotz, questo termine non caratterizza un’origine scozzese, in quanto è una parola comune in inglese, che deriva dal gaelico irlandese ed è proprio di molte città, fiumi e valli al di fuori della Scozia, nonché di whisky prodotti nel resto del mondo.


71      La Commissione osserva che la TSWA aveva tentato senza successo di impedire la registrazione del marchio «Glen Breton» da parte della distilleria Glenora situata in Nuova Scozia (Canada) [v. sentenza della Cour d’appel fédérale, Canada, (Corte Federale d’Appello, Canada), del 22 gennaio 2009, Glenora Distillers International Ltd contro The Scotch Whisky Association, 2009 FCA 16, (2010) 1 F.C.R. 195]. Essa aggiunge che, per contro, la TSWA non si è opposta alla registrazione in Germania, nel 2013, del marchio «Glen Buchenbach», oggetto del procedimento principale. Noto che la TSWA non è neppure riuscita a far impedire l’impiego in Francia del marchio «Wel Scotch» per una birra, sulla base degli articoli 10 e 16 del regolamento n. 110/2008 [v. sentenza della Cour de cassation, Chambre commerciale (Corte di cassazione, sezione commerciale, Francia), del 29 novembre 2011, 10-25.703, pubblicata nel bollettino].


72      Il sig. Klotz precisa che questo elenco non è esaustivo, citando il whisky «Old Glen Malt Whisky» prodotto nel Kentucky (Stati Uniti) e quello prodotto in Australia dalla Castle Glen Distillery. Va tuttavia ricordato che, affinché tali dati siano determinanti, occorrerebbe accertare che il consumatore medio europeo ne sia a conoscenza.


73      La Commissione sostiene che il termine «Glen» non crea un legame sufficiente con l’indicazione geografica protetta «Scotch Whisky», posto che non tutti i whisky scozzesi sono commercializzati con la designazione «Glen», che tale termine non è una denominazione comunemente utilizzata dai consumatori per il whisky scozzese, che non si tratta di una parola di origine unicamente scozzese, ma anche gaelica e che viene impiegata anche in Irlanda, e che l’indagine citata è limitata al mercato tedesco e non descrive un’associazione di idee automatica.


74      Come definito dalla giurisprudenza della Corte di cui al paragrafo 56 delle presenti conclusioni.


75      La Commissione osserva che non si può escludere che l’impiego del termine «Glen», che non ha un significato autonomo in tedesco, miri a conferire un certo prestigio al prodotto in questione, in quanto è utilizzato anche per alcuni tipi di whisky di alta gamma, ma che sembra trattarsi tuttavia solo di un’abile strategia commerciale, data la mancanza di un collegamento sufficiente con l’indicazione registrata «Scotch Whisky».


76      V. paragrafo 65 delle presenti conclusioni.


77      Sulle indicazioni fornite dall’etichetta del prodotto oggetto del procedimento principale in merito alla sua origine tedesca, v. nota 37 delle presenti conclusioni.


78      Secondo il sig. Klotz, bisognerebbe necessariamente tener conto del fatto che l’elemento controverso «Glen» è incorporato nel segno globale «Glen Buchenbach» e che sull’etichetta figurano numerose diciture indicanti la vera origine del prodotto, di cui il consumatore verrebbe a conoscenza contemporaneamente al segno «Glen Buchenbach» nel suo insieme.


79      Su questa particolare formulazione della risposta proposta, v. le osservazioni della TSWA di cui alla nota 38 delle presenti conclusioni.


80      V. il richiamo alle altre precisazioni contenuto nella nota 42 delle presenti conclusioni.


81      Possibili vettori di informazioni previsti non solo nei punti da 14 a 17 dell’allegato I del regolamento n. 110/2008 (che definiscono le quattro nozioni), ma anche espressamente nell’articolo 16, lettera c), che fa riferimento alle indicazioni contenute nella «designazione, (…) presentazione o (…) etichettatura» del prodotto (tre termini che figurano anche nel titolo del regolamento). Sull’interpretazione richiesta per quest’ultima disposizione, si vedano i paragrafi 84 e segg. delle presenti conclusioni.


82      V. sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 43 e la giurisprudenza citata), nonché, per analogia, sentenza del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (C‑87/97, EU:C:1999:115, punti 29 e 43).


83      V., in particolare, sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 45, 51 e 52, e la giurisprudenza citata). V. anche, per quanto riguarda la denominazione di origine protetta «Porto/Port» e il marchio «Port Charlotte», le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:394, punti 95 e seg.), nonché la sentenza del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:693, punto 123).


84      Sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 11, 12, 29, 49 e seg.), per quanto riguarda una bevanda chiamata «Verlados», il cui nome si asseriva facesse riferimento a quello dell’azienda (Viiniverla) nonché al villaggio (Verla, Finlandia) in cui tale bevanda è prodotta, e non all’indicazione geografica francese «Calvados».


85      Nella sentenza del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (C‑87/97, EU:C:1999:115, punti 27 e 28), la Corte ha indubbiamente ritenuto opportuno che il giudice nazionale tenesse conto di un documento pubblicitario che sembrava indicare che l’analogia fonetica tra le denominazioni «Cambozola» e «Gorgonzola» non era il risultato di circostanze fortuite, ma ciò solamente ai fini di identificare tale analogia, e quindi per stabilire la qualificazione di «evocazione».


86      Sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 42 e seg.).


87      Altrettanto irrilevante è il fatto che il prodotto sia, eventualmente, commercializzato solo a livello locale e/o in quantità limitate (sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punti 46 e 47).


88      V. sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla (C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 27).


89      Nel caso di specie, sull’etichetta del prodotto figurano le diciture «Swabian [svevo]», «Deutsches Erzeugnis [prodotto tedesco]» e «Hergestellt in den Berglen [prodotto nel Berglen]».


90      Il giudice nazionale ritiene di essere chiamato a stabilire se il termine «Glen» induca in errore il pubblico di riferimento solo nel caso in cui il contesto non sia rilevante. Al contrario, se si dovesse tener conto del contesto, la TSWA non potrebbe fondare il proprio ricorso sull’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, in quanto tale ricorso mira ad un divieto assoluto dell’uso del termine, a prescindere dall’eventuale presenza di indicazioni cosiddette di «delocalizzazione».


91      Più precisamente, secondo il governo dei Paesi Bassi, «non può trattarsi di un’indicazione falsa o ingannevole, ai sensi dell’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008, se non si fa alcun riferimento ad un’indicazione geografica, o a un termine corrispondente a tale indicazione e alla sua traduzione, e in aggiunta l’etichetta del prodotto indica chiaramente la provenienza della bevanda spiritosa» (il corsivo è mio). Per quanto riguarda il primo elemento della risposta così proposta, tale governo invoca il punto 60 della sentenza del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484), che si riferisce all’«impiego di un marchio contenente un’indicazione geografica, o un termine corrispondente a tale indicazione e alla sua traduzione», che mi sembra tuttavia specifico delle circostanze di fatto di quel caso (v., in particolare, punti 16 e 38 della sentenza).


92      Lingua processuale.


93      C’è anche una variazione nella versione in lingua spagnola [«todo» seguito dal singolare alle lettere a) e b); «cualquier» alle lettere c) e d), ma senza l’uso del plurale presente nella versione tedesca]. D’altra parte, invece, viene utilizzata una parola identica, il cui significato evoca un elemento preso isolatamente da un insieme, seguita dal singolare, sia alla lettera c) che alle lettere a), b) e d), in particolare, nelle versioni danese («enhver»), inglese («any»), francese («toute»), italiano («qualsiasi»), portoghese («qualquer») e svedese («varje»).


94      V., in particolare, sentenze del 26 luglio 2017, Mengesteab (C‑670/16, EU:C:2017:587, punto 82), nonché del 12 ottobre 2017, Lombard Ingatlan Lízing (C‑404/16, EU:C:2017:759, punto 21).


95      Per quanto riguarda il sistema normativo in cui si inserisce l’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 e gli obiettivi da questo perseguiti, v. Paragrafi 95 e segg. delle presenti conclusioni.


96      Anche nella versione tedesca dell’articolo 16, lettera c).


97      Mi sembra che questa espressione precisi soltanto che l’indicazione sospettata di essere falsa o ingannevole può trovarsi su uno o sull’altro dei tre supporti menzionati, senza chiarire se tale indicazione debba essere esaminata isolatamente o in combinazione con le altre informazioni eventualmente presenti anche nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura.


98      Il governo francese ritiene inoltre che, al fine di valutare se l’indicazione controversa sia «tale da indurre in errore sull’origine» ai sensi dell’articolo 16, lettera c), la percezione rilevante dovrebbe essere quella di un «consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto», come ha statuito la Corte in relazione alla lettera b) dello stesso articolo (v. sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 28). Noto, tuttavia, che la Corte non è stata interrogata a questo proposito nella presente causa.


99      Risposta secondo cui non è necessario prendere in considerazione i fattori contestuali che circondano il segno controverso al fine di determinare se vi sia un’«evocazione» ai sensi della lettera b) (v. paragrafi 69 e segg. delle presenti conclusioni).


100      Sugli obiettivi perseguiti dalle norme in questione, si vedano i punti 98 e seguenti delle presenti conclusioni.


101      Secondo la Commissione, «[i]l terzo caso di protezione, di cui alla lettera c), differisce dai primi due in quanto il termine controverso non crea automaticamente nella mente del consumatore un’associazione con l’indicazione geografica registrata».


102      Vale a dire l’articolo 118 quaterdecies, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1234/2007 (v. anche le note 32 e 33 delle presenti conclusioni).


103      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez‑Bordona nella causa Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, (C‑393/16, EU:C:2017:581, paragrafi 46 e 104).


104      V. paragrafi 36 e segg. delle presenti conclusioni.


105      Vale a dire «qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole (…) nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del [prodotto]».


106      Direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU 2000, L 109, pag. 29).


107      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU 2011, L 304, pag. 18).


108      La Commissione sostiene che il suo parere, che invoca un esame globale dell’etichetta, «è in linea con la giurisprudenza sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1169/20[1]1, secondo la quale è rilevante anche l’impressione complessiva», e cita le sentenze del 10 settembre 2009, Severi (C‑446/07, EU:C:2009:530, punti 58 e seg.), nonché del 4 giugno 2015, Teekanne (C‑195/14, EU:C:2015:361, punti da 36 a 42). I passaggi citati riguardano, infatti, l’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 2000/13, secondo cui l’etichettatura e le sue modalità di realizzazione non devono essere tali da indurre in errore l’acquirente, soprattutto per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento, in particolare circa la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, l’origine o la provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione, disposizione equivalente nella sostanza a quella citata dell’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011.


109      Secondo i considerando 4 e 5 della direttiva 2000/13, lo scopo della medesima è quello di «stabilire le norme comunitarie di carattere generale ed orizzontale applicabili a tutti i prodotti alimentari immessi in commercio», mentre «[l]e norme di carattere specifico e verticale riguardanti soltanto determinati prodotti alimentari devono invece essere stabilite nell’ambito delle disposizioni che disciplinano tali prodotti».


110      Conformemente all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2000/13.


111      Il considerando 9 del regolamento n. 110/2008 sottolinea questa differenza con la direttiva 2000/13, sebbene alcune disposizioni di tale regolamento (in particolare l’articolo 8, l’articolo 9, paragrafo 9, e l’articolo 11, paragrafo 4) rinviino a questa.


112      V. anche, sulle differenze tra la direttiva 2000/13 e il regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU 1992, L 208, pag. 1), sentenza del 10 settembre 2009, Severi (C‑446/07, EU:C:2009:530, punto 58) e conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella stessa causa (C‑446/07, EU:C:2009:289, paragrafi da 47 a 49).


113      Come risulta dal titolo dell’articolo 7 del regolamento n. 1169/2011, che corrisponde all’articolo 2 della direttiva 2000/13 (v. nota 108 delle presenti conclusioni).


114      Come risulta dal titolo del suddetto articolo 16.


115      Nella sentenza del 4 giugno 2015, Teekanne (C‑195/14, EU:C:2015:361, punti da 37 a 44), la Corte ha stabilito che i giudici nazionali devono procedere ad un esame globale dei vari elementi dell’etichettatura, in particolare dell’elenco degli ingredienti che figurano sull’imballaggio.


116      Nella sentenza del 10 settembre 2009, Severi (C‑446/07, EU:C:2009:530, punti 62 e 63), la Corte ha stabilito che i giudici nazionali possono tener conto della durata dell’impiego della denominazione, ma non dell’eventuale buona fede del fabbricante o del rivenditore.


117      Si ricorda che l’articolo 16, lettera c), del regolamento n. 110/2008 fa riferimento al caso di un’«indicazione (…) tale da indurre in errore sull’origine».


118      V. sentenze del 10 settembre 2009, Severi (C‑446/07, EU:C:2009:530, punti 59 e 63), nonché del 4 giugno 2015, Teekanne (C‑195/14, EU:C:2015:361, punti da 27 a 29).


119      V., in particolare, paragrafo 66 delle presenti conclusioni.


120      V. anche la nota 75 delle presenti conclusioni.


121      La Commissione sottolinea giustamente che l’etichetta, lungi dal rafforzare l’effetto vago della designazione «Glen», contiene, al contrario, una serie di informazioni, in caratteri di grandezza sufficientemente visibile, che rendono impossibile che un consumatore possa credere che il prodotto sia scozzese. Infatti, non solo la parola «Glen» è utilizzata in abbinamento al toponimo «Buchenbach», che è chiaramente di derivazione tedesca, ma si specifica anche che si tratta di un whisky «svevo», di un «prodotto tedesco», prodotto dalla distilleria Waldhorn di Berglen, informazione sormontata dal disegno stilizzato di un corno da caccia («Waldhorn» in tedesco) che, a differenza di una cornamusa, non è tipico della Scozia.