Language of document : ECLI:EU:C:2017:240

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 29 marzo 2017(1)

Causa C93/16

Ornua Co-operative Limited, già The Irish Dairy Board Co‑operative Limited

contro

Tindale & Stanton Ltd España SL

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Alicante (Corte provinciale di Alicante, Spagna)]

«Rinvio pregiudiziale – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (CE) n. 207/2009 – Carattere unitario – Articolo 1 – Rischio di confusione – Pregiudizio alla notorietà – Articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c) – Marchi in conflitto che includono un’indicazione di provenienza geografica – Coesistenza pacifica dei marchi in conflitto in una parte del territorio dell’Unione»






 Introduzione

1.        La presente domanda pregiudiziale è stata proposta nell’ambito di una controversia originata da un conflitto tra i segni KERRYGOLD e KERRYMAID. Mentre i segni in questione, protetti rispettivamente quali marchio dell’Unione europea e marchi nazionali, coesistono pacificamente in Irlanda e nel Regno Unito da più di vent’anni, la presente controversia – pendente dinanzi ad un giudice spagnolo adito in qualità di tribunale dei marchi dell’Unione europea – riguarda un conflitto tra tali due segni nel resto del territorio dell’Unione europea.

2.        Il particolare contesto della presente causa offre alla Corte l’opportunità di sviluppare la sua giurisprudenza relativa al principio del carattere unitario del marchio dell’Unione europea (2). Si tratterà, in particolare, di precisare in che modo l’analisi del rischio di confusione e del pregiudizio alla notorietà, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (CE) n. 207/2009 (3), debba integrare due aspetti, vale a dire, da un lato, il fatto che i marchi in conflitto coesistano pacificamente in una parte del territorio dell’Unione e, dall’altro, il fatto che essi includano un’indicazione di provenienza geografica (4).

 Contesto normativo

3.        L’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 così dispone:

«Il marchio [dell’Unione europea] ha carattere unitario. Esso produce gli stessi effetti in tutta [l’Unione]: può essere registrato, trasferito, formare oggetto di rinuncia, di decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità e il suo uso può essere vietato soltanto per l’intera [Unione]. Tale principio si applica salvo disposizione contraria del presente regolamento».

4.        L’articolo 9, paragrafo 1, di tale regolamento dispone quanto segue:

«Il marchio [dell’Unione europea] conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

(…)

b)      un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio [dell’Unione europea] e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio [dell’Unione europea] e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio;

c)      un segno identico o simile al marchio [dell’Unione europea] per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio [dell’Unione europea] gode di notorietà nell[’Unione] e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio [dell’Unione europea] o reca pregiudizio agli stessi».

5.        L’articolo 12 del medesimo regolamento così dispone:

«(…) il diritto conferito al titolare [del marchio dell’Unione europea] non gli consente di impedire ai terzi l’uso nel commercio:

(…)

b)      di indicazioni relative (…) alla provenienza geografica (…);

(…)

purché quest’uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale».

 Il procedimento principale

6.        La società irlandese Ornua Co-operative Limited, già The Irish Dairy Board Co-operative Limited (in prosieguo: la «Ornua») è titolare del marchio denominativo dell’Unione europea KERRYGOLD, registrato nel 1998, nonché dei due marchi figurativi contenenti il medesimo elemento denominativo, registrati rispettivamente nel 1998 e nel 2011, per prodotti alimentari (in prosieguo, congiuntamente: i «marchi KERRYGOLD»).

7.        La società spagnola Tindale & Stanton Ltd España SL (in prosieguo: la «T&S») importa e distribuisce in Spagna, con il segno KERRYMAID, i prodotti lattiero-caseari della Kerry Group plc.

8.        La Kerry Group è titolare dei marchi nazionali denominativi KERRYMAID, registrati in Irlanda e nel Regno Unito.

9.        Il 29 gennaio 2014, la Ornua ha avviato, dinanzi al Juzgado de lo Mercantil de Alicante (Tribunale di commercio di Alicante, in qualità di tribunale dei marchi dell’Unione europea, Spagna) un’azione per contraffazione nei confronti della T&S riguardante l’asserita violazione dei marchi KERRYGOLD a causa dell’uso del segno KERRYMAID. Tale azione era fondata sull’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento n. 207/2009.

10.      Detto giudice ha respinto il ricorso con la motivazione che l’unica somiglianza tra i marchi in conflitto derivava dall’elemento comune «Kerry», che si riferisce alla contea irlandese nota per l’allevamento di bovini, e che era assodato che, in Irlanda e nel Regno Unito, detti marchi coesistevano pacificamente.

11.      Invero, secondo tale giudice, le conseguenze della coesistenza pacifica nei due suddetti Stati membri, tenuto conto del carattere unitario del marchio dell’Unione europea, dovrebbero essere estese all’intera Unione. Per lo stesso motivo, non potrebbe esservi un vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà dei marchi invocati, in quanto l’uso del segno KERRYMAID in Spagna è finalizzato alla commercializzazione di un prodotto che, da molti anni, viene commercializzato in altri Stati membri senza opposizione da parte del titolare dei marchi KERRYGOLD.

12.      La Ornua ha impugnato tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio.

13.      Quest’ultimo afferma che i marchi KERRYGOLD godono di notorietà in tutta l’Unione. Esso osserva che il titolare di tali marchi riconosce la loro coesistenza pacifica con il marchio KERRYMAID soltanto in Irlanda e nel Regno Unito. Il giudice del rinvio nutre pertanto dubbi circa la possibilità di prendere in considerazione tale circostanza nell’analisi del rischio di confusione e del pregiudizio alla notorietà vertente sull’intero territorio dell’Unione.

 Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

14.      In tali circostanze, l’Audiencia Provincial de Alicante (Corte provinciale di Alicante, Spagna) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del [regolamento n. 207/2009], nella parte in cui subordina alla sussistenza di un rischio di confusione la possibilità per il titolare di un marchio [dell’Unione europea] di vietare ai terzi di usare nel commercio un segno, salvo il proprio consenso, nei casi previsti dalla medesima disposizione, possa essere interpretato nel senso che esso consente di escludere il rischio di confusione quando il marchio [dell’Unione europea] anteriore sia coesistito pacificamente per anni, per tolleranza del titolare, in due Stati membri dell’Unione con marchi nazionali simili, cosicché l’assenza del rischio di confusione nei due Stati suddetti si estenda ad altri Stati membri, o a tutta l’Unione, tenuto conto del trattamento unitario imposto dal marchio [dell’Unione europea].

2)      Nell’ipotesi prospettata nella prima questione, se, per valutare il rischio di confusione, sia possibile prendere in considerazione circostanze geografiche, demografiche, economiche o di altra natura degli Stati membri in cui si è prodotta la coesistenza, così da estendere a un terzo Stato membro, o a tutta l’Unione, l’assenza di rischio di confusione in detti Stati membri.

3)      Quanto all’ipotesi prevista all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del [regolamento n. 207/2009], se tale disposizione debba essere interpretata nel senso che, qualora il marchio anteriore sia coesistito pacificamente con il segno confliggente per un certo numero di anni in due Stati membri dell’Unione senza opposizione del titolare del marchio anteriore, detta tolleranza del titolare verso l’uso del segno posteriore nei suddetti due Stati membri in particolare può essere estesa al resto del territorio dell’Unione al fine di stabilire se ricorra un giusto motivo per l’uso da parte di terzi di un segno posteriore, in ragione del trattamento unitario imposto dal marchio [dell’Unione europea]».

15.      La decisione di rinvio è pervenuta alla cancelleria della Corte il 15 febbraio 2016. Osservazioni scritte sono state depositate dalle parti del procedimento principale, dai governi tedesco e francese nonché dalla Commissione europea.

16.      La Corte ha inviato al giudice del rinvio una richiesta di chiarimenti, alla quale quest’ultimo ha risposto il 12 dicembre 2016. Le parti del procedimento principale e la Commissione hanno partecipato all’udienza che si è tenuta il 18 gennaio 2017.

 Analisi

 Osservazioni preliminari

17.      La presente causa richiede l’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento n. 207/2009 su due aspetti.

18.      Da una parte, dato che i due marchi in conflitto coesistono pacificamente in Irlanda e nel Regno Unito, il giudice del rinvio si interroga – con le sue tre questioni pregiudiziali – sull’eventuale conclusione da trarre da tale circostanza ai fini della valutazione del rischio di confusione e del pregiudizio alla notorietà nel resto del territorio dell’Unione.

19.      Dall’altra, la presente causa consentirà inoltre alla Corte di precisare le condizioni di analisi di un rischio di confusione tra marchi che includono una medesima indicazione di provenienza geografica (5).

20.      Infatti, dalla decisione di rinvio risulta che il termine «Kerry», comune ad entrambi i marchi in conflitto, è il nome di una contea irlandese nota per l’allevamento di bovini. La rilevanza di tale aspetto – che non è esplicitamente menzionato nel testo delle questioni pregiudiziali – è stata confermata mediante una richiesta di chiarimenti inviata dalla Corte al giudice del rinvio, mentre gli interessati hanno potuto esprimersi utilmente su tale argomento all’udienza. Occorre, pertanto, ampliare la portata delle questioni pregiudiziali su tale aspetto, conformemente alla giurisprudenza costante che consente un siffatto ampliamento al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio (6).

 Sull’applicazione dell’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 in caso di coesistenza pacifica dei marchi in conflitto in una parte del territorio dell’Unione

21.      Con le tre questioni pregiudiziali, che propongo di analizzare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda in sostanza se, ed eventualmente in che modo, il fatto che i marchi in conflitto coesistano pacificamente in una parte del territorio dell’Unione possa influire sull’analisi dell’esistenza di un rischio di confusione e di un pregiudizio alla notorietà, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento n. 207/2009, nel resto del territorio dell’Unione.

22.      Va osservato, anzitutto, che la coesistenza pacifica dei marchi in conflitto costituisce un aspetto relativamente poco trattato nella giurisprudenza della Corte.

23.      Per quanto riguarda l’analisi del rischio di confusione, da una giurisprudenza costante risulta che l’esistenza di un tale rischio nella mente del pubblico di riferimento deve essere oggetto di valutazione globale, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie (7).

24.      A questo proposito, la Corte ha riconosciuto che non può essere escluso che la coesistenza pacifica dei marchi in un mercato determinato possa eventualmente contribuire, unitamente ad altri elementi, a ridurre il rischio di confusione tra di essi (8).

25.      Tale considerazione è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza del Tribunale relativa ai procedimenti di opposizione, secondo la quale una siffatta coesistenza deve non soltanto essere pacifica, ma anche fondarsi sull’insussistenza di un rischio di confusione per il pubblico di riferimento (9).

26.      Sebbene la Corte non abbia ancora avuto la possibilità di precisare le condizioni relative all’applicazione del concetto di «coesistenza pacifica», da detta giurisprudenza risulta nondimeno che la coesistenza pacifica dei marchi in conflitto nel mercato interessato costituisce un elemento pertinente che deve essere preso in considerazione nella valutazione globale del rischio di confusione.

27.      Nel caso di specie, è assodato che la coesistenza tra i marchi in conflitto, pacifica e di lunga durata, è tale da escludere l’esistenza di un rischio di confusione nel mercato interessato in Irlanda e nel Regno Unito.

28.      La presente discussione si concentra pertanto sulla questione se tale circostanza debba essere presa in considerazione ai fini della valutazione di un siffatto rischio in Spagna, territorio nel quale l’asserita contraffazione sarebbe stata commessa, nonché nel resto del territorio dell’Unione.

29.      La Ornua considera che, per poter essere presa in considerazione nella valutazione di un rischio di confusione con il marchio dell’Unione europea, la coesistenza pacifica deve essere dimostrata per l’intero territorio dell’Unione. Tale considerazione deriva, a suo avviso, dal principio del carattere unitario del marchio dell’Unione europea, nonché dal fatto che l’effetto di un tale marchio si estende all’intero territorio dell’Unione. La coesistenza in una parte del territorio dell’Unione non consente, secondo la Ornua, di trarre alcuna conclusione per il resto di tale territorio.

30.      Tale interpretazione è condivisa, nella sostanza, dai governi tedesco e francese. Anche la Commissione afferma che la coesistenza pacifica tra i marchi in conflitto deve, in linea di principio, essere dimostrata per tutto il territorio nel quale si verifica la presunta infrazione e, di conseguenza, per quanto riguarda il marchio dell’Unione europea, nell’intero territorio dell’Unione. Essa aggiunge, tuttavia, che non si può escludere che la situazione nel territorio in cui coesistono i marchi in conflitto possa fornire informazioni utili alla valutazione del rischio di confusione in altri mercati.

31.      Va osservato che una simile interpretazione – che richiede la dimostrazione della coesistenza pacifica nell’intero territorio dell’Unione – risulta anche dalla prassi dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) relativa ai procedimenti di opposizione (10), convalidata dal Tribunale (11). Secondo tale orientamento, se il rischio di confusione esiste potenzialmente in tutto il territorio dell’Unione, a causa della portata del marchio dell’Unione europea, l’assenza di rischio di confusione grazie alla coesistenza deve, a sua volta, essere dimostrata per l’intero territorio dell’Unione.

32.      La T&S propone una diversa interpretazione e considera che la coesistenza pacifica costituisce un elemento pertinente anche nel caso in cui essa riguardi soltanto una parte del territorio dell’Unione. A suo avviso, qualora i marchi in conflitto siano coesistiti in una parte sostanziale del territorio dell’Unione senza creare un rischio di confusione, se ne potrebbe concludere che un tale rischio non esiste in alcuna parte dell’Unione.

33.      Non mi convince nessuna di queste due posizioni, che sono diametralmente opposte.

34.      È pur vero che il sistema del marchio dell’Unione europea si basa sul principio del carattere unitario di tale marchio, il quale ne esige la protezione uniforme in tutto il territorio dell’Unione.

35.      Dalle caratteristiche del sistema istituito dal regolamento n. 207/2009 risulta nondimeno che, in alcune situazioni, la valutazione del rischio di confusione di un segno con il marchio dell’Unione europea non porta ad un risultato unico, valido per l’intero territorio dell’Unione.

36.      Nella sentenza combit Software, la Corte ha dichiarato che tale principio del carattere unitario non osta a che un tribunale dei marchi dell’Unione europea constati che l’uso di un segno ingenera un rischio di confusione con un marchio dell’Unione europea in una parte del territorio dell’Unione, ma non in un’altra parte di tale territorio, né a che detto tribunale tragga le conseguenze di tale constatazione, pronunciando, a titolo eccezionale e sulla base degli elementi forniti in linea di principio dal convenuto, un ordine di cessazione territorialmente limitato (12).

37.      Infatti, qualora si constati l’inesistenza di qualsiasi rischio di confusione in una determinata parte dell’Unione, il commercio legittimo risultante dall’uso del segno in esame in tale parte dell’Unione non può formare oggetto di divieto (13).

38.      Dalla medesima sentenza risulta che la constatazione della violazione del diritto esclusivo conferito dal marchio dell’Unione europea può essere, a titolo eccezionale, territorialmente limitata. Ne deriva inoltre che l’assenza di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto in una parte del territorio dell’Unione non esclude che venga constatato un siffatto rischio in un’altra parte di tale territorio.

39.      Di conseguenza – contrariamente a quanto sostiene la T&S – quand’anche fosse dimostrato, mediante l’argomento vertente sulla coesistenza pacifica, che l’uso dei marchi in conflitto non crea alcun rischio di confusione in Irlanda e nel Regno Unito, tale circostanza non impedirebbe, di per sé, che venga constatata l’esistenza di un siffatto rischio in un’altra parte dell’Unione.

40.      Tuttavia – contrariamente alla posizione sostenuta dalla Ornua – non ne consegue neanche, a mio avviso, che la coesistenza pacifica in una parte del territorio dell’Unione sia irrilevante per l’analisi del rischio di confusione con un marchio dell’Unione europea.

41.      La valutazione di un rischio di confusione, in una controversia vertente sulla violazione del diritto esclusivo conferito dal marchio dell’Unione europea, richiede un’analisi globale di tutti fattori pertinenti potenzialmente relativi all’intero territorio dell’Unione. Nell’ambito di tale operazione, la pertinenza di un elemento non può essere esclusa per il solo fatto che esso si riferisca alla situazione esistente in una parte soltanto del territorio dell’Unione.

42.      La coesistenza pacifica dei due marchi a livello nazionale può risultare da varie circostanze. Non si può escludere, a tale riguardo, che l’assenza di un rischio di confusione in una parte del territorio dell’Unione in cui i marchi interessati sono stati utilizzati in modo prolungato e intensivo possa essere indicativa dell’assenza di un tale rischio in altre parti dell’Unione, qualora le condizioni del mercato e la percezione del pubblico di riferimento non varino in modo significativo (14).

43.      Così, qualora, come nel caso di specie, fosse dimostrato che l’uso dei segni in questione non crea rischi di confusione in una parte del territorio dell’Unione in cui tali segni coesistono pacificamente da molto tempo, tale elemento potrebbe incidere sulla valutazione del rischio di confusione in altre zone di potenziale conflitto.

44.      Mi sembra che tale possa essere stata l’intenzione del giudice spagnolo di primo grado, quando ha affermato che l’unica somiglianza tra i marchi in conflitto risultava dall’indicazione geografica «Kerry» e che, inoltre, detti marchi coesistevano pacificamente in Irlanda e nel Regno Unito, cosicché non vi era alcuna ragione di ritenere che l’attività della T&S ingenerasse una confusione in un’altra parte dell’Unione.

45.      Infatti, come risulta dalla mia analisi qui di seguito (15), il fatto che i marchi in conflitto includano un’indicazione di provenienza geografica, vale a dire il riferimento alla contea irlandese – il che potrebbe essere una delle circostanze che spiegano la coesistenza pacifica in Irlanda e nel Regno Unito – costituisce un elemento pertinente ai fini della valutazione del rischio di confusione a livello dell’Unione.

46.      È pur vero che, come osservano giustamente i governi tedesco e francese nonché la Commissione, la coesistenza pacifica in alcuni Stati membri non può essere estesa al resto dell’Unione. Una tale estensione automatica deve essere esclusa. Resta però il fatto che, a mio avviso, le circostanze che caratterizzano la coesistenza pacifica in una parte del territorio dell’Unione possono costituire un indizio pertinente per la valutazione di un rischio di confusione nell’intera Unione.

47.      Alla luce di quanto precede, ritengo quindi che la coesistenza pacifica dei segni in conflitto in una parte del territorio dell’Unione costituisca un elemento che, pur non essendo decisivo, può essere preso in considerazione nell’ambito della valutazione globale di un rischio di confusione con un marchio dell’Unione europea in un’altra parte di tale territorio, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

48.      La medesima considerazione vale, a mio avviso, per quanto riguarda l’analisi di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, che istituisce una protezione più ampia a favore dei marchi notori.

49.      La constatazione relativa ad uno dei pregiudizi al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore previsti da tale disposizione deve basarsi, in particolare, sull’esistenza di un nesso tra i marchi in conflitto, che dipenda da un certo grado di somiglianza tra essi. L’esistenza di un tale nesso deve essere valutata globalmente, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie, tra i quali il rischio di confusione nella mente del pubblico (16).

50.      Per le stesse ragioni che ho menzionato con riferimento all’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, nell’ambito della valutazione globale richiesta dalla lettera c) di tale articolo, occorre tener conto, se del caso, del fatto che i marchi coesistano pacificamente in una parte del territorio dell’Unione.

51.      Pertanto, benché, nel testo della terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio menzioni la possibilità di tener conto della coesistenza pacifica quale giusto motivo dell’uso, ritengo che tale circostanza debba essere presa in considerazione nell’ambito della valutazione globale relativa all’esistenza di un nesso tra i marchi. Qualora mancasse un tale nesso, non sarebbe necessario esaminare l’esistenza di un giusto motivo.

52.      A tale riguardo, rammento che il requisito relativo alla notorietà deve considerarsi soddisfatto qualora il marchio dell’Unione europea goda di notorietà in una parte sostanziale del territorio dell’Unione, parte che può corrispondere eventualmente, in particolare, al territorio di un solo Stato membro (17). A mio avviso, la circostanza relativa alla coesistenza pacifica potrebbe essere ancora più pertinente in tale contesto, quando essa riguardi la parte dell’Unione che funge da riferimento per stabilire la notorietà del marchio anteriore.

53.      Alla luce di tutte queste osservazioni, ritengo che le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento n. 207/2009 debbano essere interpretate nel senso che il fatto che i marchi in conflitto coesistano pacificamente in una parte del territorio dell’Unione, senza ingenerare confusione, non significa che il rischio di confusione sia automaticamente escluso in un’altra parte di tale territorio. Tale coesistenza costituisce, tuttavia, un elemento pertinente che, se del caso, può essere preso in considerazione nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione e dell’esistenza di un nesso tra i marchi in questione, che stanno a fondamento, rispettivamente, di ciascuna di tali disposizioni.

 Sull’applicazione dell’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 nel caso di marchi che includono un’indicazione di provenienza geografica

54.      Rilevo che, adottando il regolamento n. 207/2009, il legislatore dell’Unione ha riconosciuto l’esistenza di un interesse generale a preservare la disponibilità delle indicazioni che possano servire a designare la provenienza geografica dei prodotti interessati. Tale considerazione è sottesa a diverse disposizioni di tale regolamento, segnatamente a quelle relative agli impedimenti assoluti alla registrazione, alla limitazione degli effetti di un marchio, nonché agli effetti di un marchio collettivo (18).

55.      Ai sensi dell’articolo 12, lettera b), del regolamento n. 207/2009, il titolare del marchio dell’Unione europea non può impedire ai terzi l’uso nel commercio di indicazioni relative, in particolare, alla provenienza geografica di un prodotto, purché quest’uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. Una limitazione analoga è prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95/CE (19).

56.      Tale limitazione dei diritti esclusivi conferiti da un marchio mira a conciliare gli interessi del titolare del marchio con quelli di altri produttori nel mercato interno, tenendo conto dell’assiologia del diritto dei marchi quale elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato FUE intende stabilire e conservare (20).

57.      L’esistenza di un interesse generale a preservare la disponibilità dei segni o delle indicazioni atti a designare la provenienza geografica, e in particolare dei nomi geografici, è stata riconosciuta nella giurisprudenza della Corte (21).

58.      Al fine di far valere l’interesse generale in questione, è sufficiente che il nome geografico sia idoneo a designare la provenienza dei prodotti interessati. Occorre pertanto determinare se un nome geografico indichi un luogo che presenta attualmente, agli occhi degli ambienti commerciali interessati, un nesso con la categoria di prodotti di cui si tratta o se sia ragionevole presumere che, in futuro, un nesso del genere possa stabilirsi (22).

59.      In tal senso, nel contesto della controversia sorta da un conflitto tra il segno «KERRY Spring» e il marchio GERRI, per bevande rinfrescanti, la Corte ha dichiarato che il titolare di un marchio nazionale può vietare l’uso dell’indicazione di provenienza geografica relativa ad un altro Stato membro solo ove tale uso non sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. La sola circostanza che esista un rischio di confusione fonetica tra i due segni non può essere sufficiente per concludere che nel commercio l’uso di tale indicazione non sia conforme alle consuetudini di lealtà (23).

60.      Tali considerazioni, formulate dalla Corte tenendo conto della grande diversità linguistica della Comunità europea dell’epoca, composta da quindici Stati membri, sono oggi ancora più pertinenti.

61.      Anche supponendo che l’indicazione di provenienza geografica relativa ad uno Stato membro possa essere considerata, agli occhi dei consumatori in un altro Stato membro, simile al termine incluso in un marchio, il titolare di tale marchio non può vietare un siffatto uso fintantoché quest’ultimo resta conforme alle consuetudini di lealtà. La somiglianza derivante da tale termine non può quindi essere presa in considerazione per stabilire l’esistenza di un rischio di confusione.

62.      Nel caso di specie, come risulta dalla decisione di rinvio, il termine «Kerry», comune ai due segni in conflitto, è il nome di una contea irlandese nota per l’allevamento di bovini, che può quindi fungere da indicazione di provenienza dei prodotti lattiero-caseari di cui trattasi nel procedimento principale.

63.      In tali circostanze, il tribunale dei marchi dell’Unione europea non può tener conto di una tale somiglianza tra i segni, risultante da un uso di detta indicazione geografica conforme alle consuetudini di lealtà, per constatare l’esistenza di un rischio di confusione con il marchio dell’Unione europea o di un pregiudizio alla notorietà di tale marchio.

64.      Invero, spetta a detto tribunale verificare che la constatazione della violazione dei diritti esclusivi conferiti dal marchio dell’Unione europea in dette circostanze non contravvenga alla limitazione degli effetti di tale marchio prevista dall’articolo 12, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

65.      Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento n. 207/2009 debba essere interpretato nel senso che il fatto che i marchi in questione includano il medesimo termine, costituente un’indicazione di provenienza geografica utilizzata conformemente alle consuetudini di lealtà, non può servire da fondamento al fine di constatare l’esistenza di un rischio di confusione con un marchio dell’Unione europea o di un pregiudizio alla notorietà di tale marchio.

 Conclusione

66.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei termini seguenti alla questione pregiudiziale sollevata dall’Audiencia Provincial de Alicante (Corte provinciale di Alicante, Spagna):

1)      L’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che il fatto che i marchi in conflitto coesistano pacificamente in una parte del territorio dell’Unione, senza ingenerare confusione, non significa che il rischio di confusione sia automaticamente escluso in un’altra parte di tale territorio. Tale coesistenza costituisce, tuttavia, un elemento pertinente che, se del caso, può essere preso in considerazione nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione e dell’esistenza di un nesso tra i marchi in questione, che stanno a fondamento, rispettivamente, di ciascuna di tali disposizioni.

2)      L’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento n. 207/2009 deve essere interpretato nel senso che il fatto che i marchi in questione includano il medesimo termine, costituente un’indicazione di provenienza geografica utilizzata conformemente alle consuetudini di lealtà, non può servire da fondamento al fine di constatare l’esistenza di un rischio di confusione con un marchio dell’Unione europea o di un pregiudizio alla notorietà di tale marchio.


1      Lingua originale: il francese.


2      V. sentenze del 12 aprile 2011, DHL Express France (C‑235/09, EU:C:2011:238), e del 22 settembre 2016, combit Software (C‑223/15, EU:C:2016:719).


3      Regolamento del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), nella versione applicabile ratione temporis al caso di specie. Disposizioni essenzialmente analoghe sono riprodotte nell’articolo 9, paragrafo 2, lettere b) e c), di tale regolamento, come modificato dal regolamento (UE) n. 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015 (GU 2015, L 341, pag. 21).


4      Utilizzo l’espressione derivante dal testo dell’articolo 12 del regolamento n. 207/2009. Vari strumenti giuridici internazionali e dell’Unione utilizzano le espressioni «indicazione di provenienza» e «indicazione geografica», la cui precisa portata giuridica dipende dallo strumento in questione.


5      V. sentenze del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee (C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230), e del 7 gennaio 2004, Gerolsteiner Brunnen (C‑100/02, EU:C:2004:11).


6      V., in particolare, sentenze del 7 dicembre 2000, Telaustria e Telefonadress (C‑324/98, EU:C:2000:669, punto 59), e del 7 marzo 2013, Efir (C‑19/12, non pubblicata, EU:C:2013:148, punto 27).


7      V., in particolare, sentenza del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer (C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 18).


8      Sentenza del 3 settembre 2009, Aceites del Sur-Coosur/Koipe (C‑498/07 P, EU:C:2009:503, punto 82).


9      Sentenze dell’11 maggio 2005, Grupo Sada/UAMI – Sadia (GRUPO SADA) (T‑31/03, EU:T:2005:169, punto 86), e dell’11 dicembre 2007, Portela & Companhia/UAMI – Torrens Cuadrado e Sanz (Bial) (T‑10/06, non pubblicata, EU:T:2007:371, punto 76).


10      Le direttive dell’EUIPO prevedono che, qualora il marchio anteriore invocato a sostegno dell’opposizione sia un marchio dell’Unione europea, il richiedente deve dimostrare una coesistenza in tutta l’Unione. V. «Direttive relative all’esame dinanzi all’Ufficio», Parte C‑2-6, pag. 7 (https://euipo.europa.eu/ohimportal/it/trade-mark-guidelines).


11      Sentenza del 10 aprile 2013, Höganäs/UAMI – Haynes (ASTALOY) (T‑505/10, non pubblicata, EU:T:2013:160, punti 49 e 50).


12      Sentenza del 22 settembre 2016, combit Software (C‑223/15, EU:C:2016:719, punto 36).


13      Sentenza del 22 settembre 2016, combit Software (C‑223/15, EU:C:2016:719, punti 31 e 32); v., inoltre, in tal senso, sentenza del 12 aprile 2011, DHL Express France (C‑235/09, EU:C:2011:238, punti da 46 a 48).


14      Va rilevato che la Commissione afferma, pur escludendo qualsiasi estensione automatica, che nulla osta a che un giudice nazionale tenga conto delle informazioni relative alla situazione in altri Stati membri, qualora le caratteristiche linguistiche e socio-culturali, nonché quelle del mercato interessato, siano comparabili.


15      V. paragrafo 65 delle presenti conclusioni.


16      V., per analogia, sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation (C‑252/07, EU:C:2008:655, punti 30, 41 e 42 nonché giurisprudenza ivi citata).


17      V., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 2009, PAGO International (C‑301/07, EU:C:2009:611, punti 27 e 29), e del 3 settembre 2015, Iron & Smith (C‑125/14, EU:C:2015:539, punto 19).


18      Rispettivamente, articolo 7, paragrafo 1, lettera c), articolo 12, lettera b), e articolo 66, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.


19      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).


20      V., in tal senso, in relazione alla disposizione identica contenuta nell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della prima direttiva del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (89/104/CEE) (GU 1989, L 40, pag. 1), sentenza del 7 gennaio 2004, Gerolsteiner Brunnen (C‑100/02, EU:C:2004:11, punto 16).


21      V., per analogia, sentenza del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee (C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punto 26).


22      Sentenza del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee (C‑108/97 e C‑109/97, EU:C:1999:230, punto 31).


23      Sentenza del 7 gennaio 2004, Gerolsteiner Brunnen (C‑100/02, EU:C:2004:11, punti 25 e 27).