Language of document : ECLI:EU:C:2018:425

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 12 giugno 2018 (1)

Causa C594/16

Enzo Buccioni

contro

Banca d’Italia

intervenienti:

Banca Network Investimenti SpA in liquidazione coatta amministrativa

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Accesso all’attività degli enti creditizi e vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento – Segreto professionale – Fallimento o liquidazione coatta amministrativa degli enti creditizi – Divulgazione di informazioni riservate nell’ambito di procedimenti civili o commerciali – Domanda di accesso ai documenti prima dell’avvio del procedimento civile o commerciale – Domanda di risarcimento danni»






I.      Introduzione

1.        Il sig. Enzo Buccioni era titolare di un conto corrente presso la Banca Network Investimenti SpA. Nel 2012 tale banca è stata sottoposta a una procedura di liquidazione coatta amministrativa. Egli ha ricevuto solo un rimborso parziale del denaro presente sul conto, effettuato a suo favore grazie al sistema italiano di garanzia dei depositi. Di conseguenza, il sig. Buccioni ha perso più di EUR 81 000.

2.        Il sig. Buccioni ha presentato una domanda di accesso ai documenti riguardanti la vigilanza di detta banca alla Banca d’Italia, l’autorità italiana di vigilanza bancaria. Egli ha chiesto informazioni per valutare se potesse eventualmente avviare un procedimento nei confronti della Banca d’Italia per il danno pecuniario subito. Quest’ultima ha negato l’accesso ad alcuni documenti richiesti con la motivazione che questi contenevano informazioni riservate.

3.        Il sig. Buccioni ha impugnato tale decisione dinanzi ai giudici amministrativi italiani. Citando varie disposizioni di diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 53 della direttiva 2013/36/UE (2), il Consiglio di Stato (Italia) ha adito questa Corte in via pregiudiziale. Detto giudice chiede in sostanza se a una persona che si trova nella situazione del sig. Buccioni, che intende promuovere un’azione di risarcimento danni nei confronti dell’autorità nazionale di vigilanza bancaria per ottenere il risarcimento del danno pecuniario asseritamente subito a causa della carente vigilanza da cui è derivata la liquidazione coatta amministrativa di una banca, possa essere accordato l’accesso ai documenti necessari a esercitare siffatta azione.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Direttiva 2013/36

4.        La direttiva 2013/36 stabilisce norme sull’accesso all’attività degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Essa stabilisce altresì norme sui poteri e sugli strumenti di vigilanza finalizzati alla vigilanza prudenziale di tali enti.

5.        L’articolo 53 della direttiva è intitolato «Segreto professionale». Tale disposizione stabilisce, al paragrafo 1, quanto segue:

«Gli Stati membri impongono a tutte le persone che esercitano o hanno esercitato un’attività per conto delle autorità competenti, nonché ai revisori o esperti incaricati dalle autorità competenti, l’obbligo di rispettare il segreto professionale.

Le informazioni riservate che tali persone, revisori o esperti ricevono nell’esercizio delle loro funzioni possono essere comunicate soltanto in forma sommaria o aggregata, cosicché non si possano individuare i singoli enti creditizi, salvo che nei casi contemplati dal diritto penale.

Tuttavia, nei casi concernenti un ente creditizio dichiarato fallito o soggetto a liquidazione coatta ordinata da un tribunale, le informazioni riservate che non riguardino i terzi partecipanti ai tentativi di salvataggio possono essere comunicate nell’ambito di procedimenti civili o commerciali».

B.      Diritto italiano

6.        In Italia l’accesso agli atti amministrativi è disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, e successive modificazioni (in prosieguo: la «legge n. 241/1990»).

7.        Ai sensi dell’articolo 22, commi 2 e 3, della legge n. 241/1990:

«2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza.

3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6».

8.        L’articolo 24 della legge n. 241/1990 prevede ipotesi di esclusione dal diritto di accesso. I commi 1, lettera a), 2 e 7 del medesimo articolo così recitano:

«1. Il diritto di accesso è escluso:

a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo;

(…)

2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1.

(…)

7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.»

9.        L’articolo 7 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, è intitolato «Segreto d’ufficio e collaborazione tra autorità». Tale disposizione stabilisce, al comma 1, quanto segue:

«Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d’ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, a eccezione del Ministro dell’economia e delle finanze, Presidente del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Il segreto non può essere opposto all’autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini o i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente».

10.      Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del provvedimento del Governatore della Banca d’Italia, del 16 maggio 1994, recante il regolamento per l’esclusione dell’esercizio del diritto di accesso ai sensi dell’articolo [24, comma 2] della legge n. 241/1990 (in prosieguo: il «provvedimento del Governatore della Banca d’Italia»):

«Ai sensi dell’articolo 24, comma 1, della legge n. 241/1990, sono sottratti all’accesso:

a) i documenti amministrativi, di contenuto generale o particolare, contenenti notizie, informazioni e dati in possesso della Banca d’Italia in ragione dell’attività di vigilanza informativa, regolamentare, ispettiva e di gestione delle crisi, esercitata nei confronti delle banche, dei gruppi bancari (…), nonché in ragione di ogni altra attività di vigilanza riguardante l’accesso all’intermediazione bancaria o finanziaria e il suo esercizio, coperti da segreto d’ufficio ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 [e diversi altri atti legislativi nazionali]».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

11.      Nel 2004 il sig. Buccioni (in prosieguo: il «ricorrente») ha aperto un conto corrente presso la Banca Network Investimenti SpA (in prosieguo: la «BNI»), una banca italiana. Il 5 agosto 2012 il saldo del conto corrente era pari a EUR 181 325,31. Dopo che la BNI è stata sottoposta a una procedura di liquidazione coatta amministrativa, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (il sistema italiano di garanzia dei depositi) gli ha rimborsato solo EUR 100 000 della somma detenuta sul conto.

12.      Il 3 aprile 2015 il ricorrente ha presentato una domanda di accesso ai documenti alla Banca d’Italia, l’autorità italiana di vigilanza bancaria, considerata dallo stesso l’autorità di vigilanza della BNI. Come confermato dalle parti interessate in udienza, egli ha tentato di avere accesso a documenti che gli avrebbero consentito di valutare se esistessero informazioni utili per l’avvio di un procedimento nei confronti della Banca d’Italia, al fine di accertare la responsabilità di quest’ultima per il danno pecuniario subito a seguito della liquidazione coatta amministrativa della BNI.

13.      Con decisione del 20 maggio 2015, la Banca d’Italia ha consentito l’accesso a taluni documenti richiesti dal ricorrente, ma ha negato la divulgazione di altri specifici documenti. Essa sosteneva che questi ultimi riguardavano i dati in suo possesso per finalità di vigilanza bancaria e pertanto sottratti all’accesso in base al combinato disposto dell’articolo 24, commi 1 e 2, della legge n. 241/1990 e dell’articolo 2 del provvedimento del Governatore della Banca d’Italia.

14.      Il ricorrente ha proposto un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) chiedendo l’annullamento della decisione della Banca d’Italia e, pertanto, il riconoscimento del suo diritto di consultare e ottenere copie di tutti i documenti elencati nella sua domanda di accesso. Il giudice di primo grado ha respinto detto ricorso con sentenza del 2 dicembre 2015.

15.      Il ricorrente ha poi proposto un’impugnazione dinanzi al giudice del rinvio, il Consiglio di Stato. Nell’ambito di tale impugnazione, egli ha affermato, in particolare, che il giudice di primo grado aveva erroneamente applicato l’articolo 53 della direttiva 2013/36 (3). Il ricorrente ha altresì asserito che i documenti ai quali intendeva avere accesso non erano più coperti dal segreto professionale, in quanto la BNI era sottoposta a una procedura di liquidazione coatta amministrativa e, pertanto, non poteva più esercitare attività bancarie.

16.      La Banca d’Italia ha sostenuto che il ricorrente non aveva ancora avviato un procedimento civile al momento della presentazione della domanda di accesso. L’articolo 53 della direttiva 2013/36 non era quindi applicabile. La Banca d’Italia ha altresì sottolineato che la liquidazione coatta amministrativa della BNI era ancora in corso, cosicché l’obbligo di riservatezza rimaneva immutato.

17.      In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il principio di trasparenza, enunciato chiaramente dall’articolo 15 della versione consolidata del [Trattato sul funzionamento dell’Unione europea], nel suo obiettivo cogente generale, laddove inteso nel senso che (tale principio) possa essere regolato con le fonti regolamentari o equivalenti ivi previste al paragrafo 3, i cui contenuti potrebbero essere manifestazione di una discrezionalità eccessivamente estesa, e priva di base in una superiore fonte del diritto europeo circa la necessaria prefissazione di principi minimi non derogabili, non confligga con un simile intendimento limitativo nel settore della normativa europea in materia di funzioni di vigilanza sugli istituti creditizi, fino al punto da svuotare il medesimo principio di trasparenza anche in ipotesi ove l’interesse all’accesso risulti ancorato a interessi essenziali del richiedente manifestamente omogenei a quelli eccettuati, in senso favorevole, dalle ipotesi limitative del settore;

2)      se, in conseguenza di ciò, l’articolo 22, paragrafo 2, nonché l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15.10.2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, non siano da interpretare come ipotesi non eccezionali di derogabilità della non accessibilità dei documenti, quanto piuttosto come norme da interpretare nelle finalità più ampie dell’articolo 15 della versione consolidata del [Trattato sul funzionamento dell’Unione europea] e, come tali, riconducibili ad un principio normativo generale del diritto dell’Unione, per cui l’accesso sia non restringibile, secondo un ragionevole e proporzionato bilanciamento delle esigenze del settore creditizio con gli interessi fondamentali del risparmiatore coinvolto in un caso di burden sharing, in dipendenza delle circostanze rilevanti acquisite da un’autorità di vigilanza che presenti caratteri organizzativi e competenze di settore analoghi a quelli della stessa Banca [c]entrale [e]uropea;

3)      se pertanto, considerando l’articolo 53 della direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.6.2013 sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (Testo rilevante ai fini del SEE), e le norme dell’ordinamento nazionale in quanto conformi a tale disposizione, esso non sia da conciliare con il quadro delle restanti norme e principi del diritto europeo enunciate al punto [1)] nel senso che l’accesso possa essere consentito, in caso di istanza in tal senso proposta successivamente alla sottoposizione dell’istituto bancario alla procedura di liquidazione coatta amministrativa anche laddove l’istante non faccia richiesta d’accesso esclusivamente nell’ambito di procedimenti civili o commerciali effettivamente instaurati per la tutela di interessi patrimoniali rimasti pregiudicati a seguito della sottoposizione dell’istituto bancario alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, bensì, anche nel caso che tale istante adisca, proprio al fine di verificare la concreta proponibilità di tali procedimenti civili o commerciali, in via preventiva rispetto ad essi, un’autorità giurisdizionale abilitata dallo Stato nazionale a tutelare il diritto di accesso e di trasparenza proprio in ragione della tutela piena del diritto di difesa e di azione, con specifico riguardo alla domanda di un risparmiatore che abbia già sopportato gli effetti del burden sharing in sede di una procedura di risoluzione dell’insolvenza dell’istituto creditizio presso cui aveva depositato i suoi risparmi».

18.      Hanno presentato osservazioni scritte la Banca d’Italia, i governi italiano e portoghese, nonché la Commissione europea. Il sig. Buccioni, la Banca d’Italia, il governo italiano e la Commissione hanno presentato osservazioni orali all’udienza del 21 marzo 2018.

IV.    Valutazione

19.      Le presenti conclusioni sono articolate come segue. Inizierò esaminando la questione della ricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale (A). Tenterò successivamente di valutare quali disposizioni del diritto dell’Unione, citate dal giudice del rinvio, siano applicabili nel caso di specie (B). Passerò poi all’interpretazione dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 (C).

A.      Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

20.      Nel corso della fase scritta del presente procedimento il governo italiano e la Banca d’Italia hanno suggerito che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale dovrebbe essere dichiarata irricevibile. A loro avviso, la domanda di accesso ai documenti formulata dal ricorrente era stata accolta. Pertanto, non sussisteva più una controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio.

21.      Sembrerebbe, infatti, che il 10 marzo 2017, dopo la presentazione della domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte, il ricorrente abbia informato il giudice del rinvio di aver ricevuto dalla Banca d’Italia tutti i documenti elencati nella domanda iniziale di accesso. Ciò è stato confermato dalla Banca d’Italia il 14 marzo 2017.

22.      Con lettera datata 18 luglio 2017, la Corte ha chiesto al giudice del rinvio se, alla luce di tali circostanze, intendesse mantenere la sua domanda di pronuncia pregiudiziale. Con ordinanza del 22 settembre 2017, il giudice del rinvio ha dichiarato che intendeva mantenere la domanda, confermando di ritenersi validamente adito e che la causa è tuttora pendente dinanzi ad esso. Esso ha osservato, in particolare, che il ricorrente precisava di voler continuare il procedimento principale, in quanto non tutte le sue richieste erano state ancora soddisfatte.

23.      In linea di principio, occorre rammentare che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale godono di una presunzione di rilevanza (4). Le questioni se, per quanto tempo e fino a quando un giudice nazionale sia validamente investito della causa, così che esista una causa pendente dinanzi a tale giudice ai sensi dell’articolo 267 TFUE, sono oggetto di determinazione da parte del giudice nazionale, ai fini dell’interpretazione, da parte dello stesso, sia dei fatti della causa di cui è investito sia delle norme processuali nazionali (5). Ciò che è decisivo per questa Corte è il fatto che, secondo una dichiarazione inequivocabile resa dal giudice del rinvio, detto giudice conferma di ritenersi ancora validamente adito ai sensi del diritto nazionale (6).

24.      Pertanto, tenuto conto di tale conferma, ritengo che la Corte debba concludere che è opportuno rispondere alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

B.      Disposizioni applicabili di diritto dell’Unione

25.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede che sia data un’interpretazione dell’articolo 15 TFUE. Con la seconda, detto giudice chiede che siano interpretati gli articoli 22, paragrafo 2, e 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1024/2013 (7), in combinato disposto con l’articolo 15 TFUE. La terza questione riguarda l’articolo 53 della direttiva 2013/36, anch’esso interpretato alla luce dell’articolo 15 TFUE. In sostanza, con tali questioni si tenta di accertare se le disposizioni summenzionate autorizzino la divulgazione di documenti come quelli richiesti dal ricorrente.

26.      Per quanto riguarda le prime due questioni, ritengo che né l’articolo 15 TFUE né il regolamento n. 1024/2013 siano in effetti applicabili nel caso di specie.

27.      L’articolo 15, paragrafo 1, TFUE sancisce il principio di trasparenza nel modo di operare delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione. Analogamente, l’articolo 15, paragrafo 3, TFUE stabilisce «il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione». Il dettato di tali disposizioni, nonché la giurisprudenza di questa Corte, confermano che l’articolo 15 TFUE si applica soltanto alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione, e ai documenti in loro possesso, anche quando tali documenti sono redatti da un’altra istituzione o da uno Stato membro (8). Anche se l’articolo 15 TFUE viene interpretato in combinato disposto con altre disposizioni di diritto primario che menzionano il principio di trasparenza, come l’articolo 1, secondo comma, TUE e l’articolo 298 TFUE, o con l’articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (9), resta il fatto che tali disposizioni fissano, in modo simile all’articolo 15 TFUE, l’obiettivo di un’amministrazione europea – più che nazionale – trasparente (10).

28.      Pertanto, l’accesso ai documenti in possesso di amministrazioni nazionali non è disciplinato dall’articolo 15 TFUE, bensì dalle norme nazionali in materia di accesso ai documenti. Nel procedimento principale ciò significa che è l’ordinamento italiano a disciplinare, in linea di principio, una domanda presentata alla Banca d’Italia di accesso a documenti redatti o detenuti da quest’ultima.

29.      Per quanto riguarda la seconda questione, l’articolo 1, primo comma, del regolamento n. 1024/2013, intitolato «Oggetto e ambito di applicazione», stabilisce che «[i]l presente regolamento attribuisce alla [Banca centrale europea (in prosieguo: la “BCE”)] compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (…)». È pertanto evidente che il regolamento n. 1024/2013 si applica soltanto alla BCE, non già alle autorità nazionali competenti cui è affidata la vigilanza prudenziale degli enti creditizi, come la Banca d’Italia. Ciò è ulteriormente confermato dal quinto comma del medesimo articolo, il quale stabilisce che «[i]l presente regolamento fa salve le competenze delle autorità competenti degli Stati membri partecipanti a assolvere i compiti di vigilanza non attribuiti dal presente regolamento alla BCE, e i relativi poteri». Pertanto, le circostanze del caso di specie, che comportano l’esame degli obblighi di un’autorità di vigilanza nazionale relativi alla divulgazione di informazioni riservate, non sembrano rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1024/2013.

30.      Pertanto, l’unica disposizione di diritto dell’Unione direttamente rilevante nella fattispecie sembra essere quella invocata dal giudice del rinvio nella terza questione: l’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36. Tuttavia, prima di passare all’interpretazione di tale specifica disposizione, intendo chiarire due punti.

31.      In primo luogo, poiché l’articolo 15 TFUE non è applicabile alle domande di accesso ai documenti presentate alle autorità nazionali, non ritengo possibile interpretare l’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 alla luce dell’articolo 15 TFUE o, più in generale, del principio dell’Unione di apertura o trasparenza. Ciò si avvicinerebbe pericolosamente a un’elusione dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e a un’estensione dello stesso a settori e questioni che esso non intende chiaramente disciplinare.

32.      In secondo luogo, tuttavia, come ho già accennato al paragrafo 28 delle presenti conclusioni, una domanda (come quella presentata dal ricorrente) a un’autorità di vigilanza nazionale (come la Banca d’Italia), diretta ad ottenere l’accesso ai documenti in possesso della stessa per finalità di vigilanza bancaria, è soggetta alla normativa nazionale pertinente in materia di accesso ai documenti. Pertanto, il primo livello di norme da applicare nella fattispecie è costituito dalle norme nazionali sull’accesso ai documenti. Il secondo livello di norme è quindi formato dalla disposizione generale sul segreto professionale sancita dall’articolo 53, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2013/36. Tale disposizione costituisce un’eccezione introdotta dal diritto dell’Unione al principio generale di accesso ai documenti che sembra essere previsto dal diritto nazionale. Infine, la norma di terzo livello è rappresentata dall’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, che prevede un’eccezione alla norma di secondo livello. Pertanto, nella fattispecie, nonché, del resto, in casi analoghi in cui il richiedente chiede l’accesso ai documenti in possesso di un’autorità nazionale, la norma contenuta nell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva equivale, in concreto, a un ritorno al principio contenuto nella norma di primo livello: il principio generale di accesso ai documenti.

33.      In altri termini, se la regola generale sull’accesso ai documenti prevista dal diritto nazionale è di garantire l’accesso, è in realtà il principio generale di cui all’articolo 53, paragrafo 1 (primo comma), della direttiva 2013/36 (e le norme nazionali di attuazione di tale disposizione) a costituire l’eccezione a detta regola.

C.      Articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36

1.      Origine della norma

34.      La causa in esame costituisce la prima occasione offerta alla Corte di interpretare l’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 o le norme precedenti equivalenti, ossia l’articolo 44, paragrafo 1, della direttiva 2006/48 e l’articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2000/12/CE (11).

35.      Prima di tali norme, esisteva una disposizione equivalente anche nell’articolo 12, paragrafo 1, della prima direttiva 77/780/CEE del Consiglio (12) (in prosieguo: la «prima direttiva del Consiglio»). Tuttavia, tale disposizione non esisteva nella versione iniziale della prima direttiva del Consiglio. Quest’ultima conteneva soltanto una disposizione in gran parte simile a quella attualmente rinvenibile all’articolo 53, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2013/36. Essa stabiliva l’obbligo generale di mantenere il segreto professionale, vietando che le informazioni riservate fossero «divulgat[e] a qualsiasi persona o autorità se non in forza di disposizioni legislative».

36.      Nel 1989 la seconda direttiva 89/646/CEE del Consiglio (13) (in prosieguo: la «seconda direttiva del Consiglio») ha modificato la prima direttiva del Consiglio, sostituendo l’articolo 12, paragrafo 1, con un nuovo testo che includeva le prescrizioni attualmente rinvenibili all’articolo 53, paragrafo 1, secondo e terzo comma, della direttiva 2013/36.

37.      La modifica determinata dalla seconda direttiva del Consiglio è stata adottata dopo la sentenza della Corte nella causa Hillenius (14). Il ricorrente in tale causa era il comune di Hillegom, nei Paesi Bassi. Detto comune aveva depositato denaro in una banca olandese, dichiarata in seguito insolvente. Il ricorrente ha chiesto e ottenuto un’ordinanza di escussione di testimoni a futura memoria, una procedura che, nel diritto dei Paesi Bassi, era disponibile prima che avesse inizio il procedimento di merito. Il convenuto, il sig. Hillenius, lavorava per la De Nederlandsche Bank (la Banca centrale dei Paesi Bassi), che costituiva l’autorità di vigilanza ai sensi della prima direttiva del Consiglio. Egli era uno dei testimoni chiamati a rendere testimonianza riguardo all’insolvenza. Lo scopo dei quesiti che gli furono rivolti era di avvalorare il convincimento del ricorrente secondo il quale la Banca centrale aveva omesso di vigilare adeguatamente sulle attività dell’ente in stato di fallimento. Il sig. Hillenius si è rifiutato di rispondere ad alcune domande per ragioni di segreto bancario, in quanto i quesiti riguardavano il modo in cui la Banca centrale dei Paesi Bassi aveva esercitato la vigilanza.

38.      Nella sentenza la Corte ha dichiarato che l’obbligo di osservare il segreto d’ufficio ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, della prima direttiva del Consiglio comprendeva altresì le deposizioni testimoniali dei dipendenti di un’autorità di vigilanza nell’ambito di una causa civile (15). Riguardo all’eccezione, contenuta in tale disposizione, al divieto di divulgare informazioni riservate – «se non in forza di disposizioni legislative» – la Corte ha dichiarato che, in mancanza di un chiaro orientamento nel diritto nazionale, spettava al giudice nazionale contemperare «l’interesse all’accertamento della verità – indispensabile per l’amministrazione della giustizia – e l’interesse che determinate informazioni rimangano riservate (…). In questo contesto, gli spetta in particolare valutare, se del caso, il peso che si deve attribuire al fatto che le informazioni siano state ricevute dalle competenti autorità di altri Stati membri, a norma dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva» (16).

39.      Quattro anni dopo la sentenza Hillenius, l’articolo 12, paragrafo 1, è stato sostanzialmente modificato dalla seconda direttiva del Consiglio. L’espressione «se non in forza di disposizioni legislative» è stata sostituita dal divieto di divulgare informazioni riservate «se non in forma sommaria o globale cosicché non si possano individuare i singoli enti, salvo che nei casi rilevanti per il diritto penale». Ciò era quindi assai simile alla formulazione dell’attuale articolo 53, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/36. Inoltre, è stata aggiunta la norma contenuta attualmente nell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, che è rimasta virtualmente immutata.

40.      La genesi e il contesto dell’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 dimostra due aspetti.

41.      In primo luogo, la genesi dell’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 dimostra che, inizialmente, il legislatore dell’Unione non riteneva necessario prevedere specifiche eccezioni al principio della tutela del segreto professionale, basate sul diritto dell’Unione. Esso rinviava semplicemente alle eccezioni previste dal diritto nazionale. Solo in seguito anche le eccezioni in quanto tali si sono «europeizzate».

42.      In secondo luogo, la formulazione dell’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 (considerato congiuntamente alle sue precedenti espressioni) è stata oggetto di un’importante evoluzione, in particolare per quanto attiene alle eccezioni che esso prevede. Pertanto, la formulazione di tali eccezioni non è stata certamente scolpita nella pietra.

43.      Tale affermazione viene ulteriormente confermata dal fatto che atti paralleli di diritto dell’Unione, che contengono disposizioni simili, sembrano essere formulati diversamente. Ad esempio, l’articolo 76, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2014/65/UE (17) (che ha sostituito le identiche disposizioni dell’articolo 54, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/39/CE (18)) presenta una formulazione simile all’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36. Più in particolare, la disposizione simile – ma non identica – all’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 è l’articolo 76, paragrafo 2, della direttiva 2014/65 (19). Un’altra disposizione simile – ma non identica – è l’articolo 102, paragrafo 1, della direttiva 2009/65/CE (20). Ciò è in netto contrasto con l’approccio dell’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2004/109/CE (21), che rinvia semplicemente alle eventuali eccezioni previste dal diritto nazionale, seguendo la stessa logica della versione originale della prima direttiva del Consiglio. Per quanto riguarda la divulgazione da parte delle autorità di vigilanza europee, sia l’articolo 70 del regolamento (UE) n. 1093/2010 (22) che l’articolo 70 del regolamento (UE) n. 1095/2010 (23) contengono la regola generale dell’obbligo del segreto professionale e la deroga per il diritto penale e per le comunicazioni in forma sommaria o aggregata, ma non consentono alcuna deroga relativa ai procedimenti civili o commerciali.

44.      In sintesi, alla luce di tale diversità storica e contestuale, non solo sotto il profilo dell’esatta formulazione ma anche dell’approccio seguito, proporrei di applicare una sana dose di scetticismo in relazione agli argomenti che insistono nel sottolineare che, se l’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36, come risulta formulato attualmente, non dovesse essere interpretato il più restrittivamente possibile, l’effettiva vigilanza sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento sarebbe fatalmente compromessa. Sembrerebbe che sia nei regimi precedenti che in quelli contemporanei (che sono certamente altrettanto delicati) le norme siano state o siano formulate in modo diverso, talvolta meno restrittivamente, apparentemente senza lo sgretolamento e il crollo immediati dell’intero edificio.

2.      Interpretazione dell’espressione riferita ai «procedimenti civili o commerciali»: sentenza Altmann

45.      Il giudice del rinvio parte dal presupposto che le informazioni alle quali il ricorrente intende accedere siano riservate e che non riguardino terzi coinvolti nei tentativi di salvataggio della BNI. Il giudice del rinvio dichiara inoltre (e ciò è stato confermato in udienza) che la BNI è (tuttora) in liquidazione coatta amministrativa. Pertanto, l’unica questione che resta ancora da esaminare nella fattispecie, riguardo all’interpretazione dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 (24), è la portata dell’espressione «nell’ambito di procedimenti civili o commerciali».

46.      Al riguardo, il ricorrente ritiene di avere diritto di accedere ai documenti richiesti alla Banca d’Italia nei limiti in cui intenda utilizzarli ai fini dei (potenziali) procedimenti civili o commerciali. Quanto alla Banca d’Italia, essa ritiene che l’accesso a tali documenti potrebbe essere concesso soltanto nel corso di procedimenti (pendenti) civili o commerciali.

47.      La causa in esame costituisce la prima occasione per la Corte di interpretare l’espressione «nell’ambito di procedimenti civili o commerciali» ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36. Tuttavia, una nozione analoga è già stata interpretata dalla Corte nella sentenza Altmann e a. nel contesto di una disposizione simile contenuta nell’articolo 54, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/39(25)

48.      I sigg. Altmann e altri investitori hanno chiesto l’accesso ai documenti e alle informazioni in possesso del Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (l’autorità di vigilanza finanziaria federale tedesca; in prosieguo: il «BaFin»), riguardo alla Phoenix Kapitaldienst GmbH (in prosieguo: la «Phoenix»), un’impresa d’investimento il cui modello commerciale era principalmente finalizzato a truffare gli investitori su larga scala. La Phoenix è stata sciolta e successivamente sottoposta a una procedura di liquidazione coatta amministrativa. Inizialmente si è tenuto un procedimento penale nei confronti di due dirigenti della Phoenix. Successivamente, i sigg. Altmann e gli altri investitori hanno presentato domanda di accesso ai documenti, accolta solo in parte dal BaFin. L’accesso ad alcuni documenti è stato negato con la motivazione che tali documenti erano coperti dall’obbligo di riservatezza come previsto dalla normativa tedesca di attuazione della direttiva 2004/39. I richiedenti hanno quindi proposto un ricorso dinanzi a un giudice tedesco avverso la decisione del BaFin. Tale giudice ha sottoposto una questione pregiudiziale alla Corte chiedendo se, considerato che le informazioni richieste si riferivano ad atti penalmente perseguibili e ad altre gravi violazioni del diritto, esso potesse, in via eccezionale, non tener conto del segreto professionale derivante dalla direttiva.

49.      Citando la sentenza Hillenius, la Corte ha osservato che «[i]l funzionamento efficace del controllo dell’attività delle imprese di investimento (…) richiede che sia le imprese sorvegliate sia le autorità competenti possano avere la certezza che le informazioni riservate conservino in linea di principio il loro carattere riservato» (26), aggiungendo che l’assenza di una siffatta fiducia avrebbe potuto «compromettere la trasmissione agevole delle informazioni riservate necessarie per l’attività di vigilanza» (27).

50.      Tuttavia, anche l’articolo 54 della direttiva 2004/39 prevedeva eccezioni al divieto generale di divulgazione delle informazioni riservate. Nell’esaminare tali eccezioni, la Corte ha considerato quella avente il tenore «fatti salvi i casi contemplati dal diritto penale» di cui all’articolo 54, paragrafo 1 (28), nonché l’eccezione «nel quadro di procedimenti civili o commerciali» di cui all’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva. Riguardo alla seconda eccezione, la Corte ha dichiarato che «all’obbligo di mantenere il segreto professionale può essere derogato, fatti salvi i casi contemplati dal diritto penale, solo ove siano soddisfatte le tre condizioni [previste dall’articolo 54, paragrafo 2], vale a dire, che tali informazioni riservate non riguardino terzi, che dette informazioni possano essere rivelate nel quadro di procedimenti civili o commerciali e che dette informazioni siano necessarie a tali procedimenti» (29). La Corte ha concluso come segue: «[o]rbene, dalla decisione di rinvio non emerge che il procedimento principale, che riguarda un procedimento amministrativo vertente su una domanda di accesso alle informazioni e ai documenti detenuti da un’autorità nazionale di vigilanza a titolo dell[a normativa tedesca pertinente], (…) rientri nel quadro di procedimenti civili o commerciali proposti dalle ricorrenti nel procedimento principale» (30).

51.      È interessante osservare che l’espressione «in the course of», utilizzata nella versione in lingua inglese della sentenza, non compare nel testo dell’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39 (31). Oltre a ciò, la Corte ha aggiunto che la domanda, in tale causa, non veniva presentata in procedimenti «proposti dalle ricorrenti», il che potrebbe essere inteso nel senso che tali procedimenti avrebbero dovuto essere già proposti affinché la norma fosse applicabile.

52.      Tuttavia, la Corte non ha espressamente dichiarato che i procedimenti civili o commerciali devono essere già pendenti affinché l’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39 sia applicabile. Ciò è in contrasto con le conclusioni presentate in tale causa dall’avvocato generale Jääskinen, che sottolineava la necessità di un’interpretazione restrittiva della norma. Egli ha sottolineato che «il legislatore dell’Unione ha consentito la rivelazione nel quadro di procedimenti civili o commerciali e non ai fini di simili procedimenti. Di conseguenza, in base alla formulazione dell’eccezione, che deve essere interpretata restrittivamente, un procedimento civile o commerciale pendente è sempre richiesto per l’applicabilità dell’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39» (32). A suo avviso, «non rientra nella suddetta eccezione una domanda che sia volta a ottenere l’accesso alle informazioni riservate detenute dall’autorità di vigilanza competente, allo scopo di verificare se, tra queste informazioni, ve ne siano di utili per un successivo ricorso indipendente, ricorso che non si inserisce nel quadro di un procedimento civile o commerciale esistente» (33).

3.      Le ragioni per cui la portata della sentenza Altmann non dovrebbe essere estesa ulteriormente

53.      L’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 e l’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39 sono formulati in termini in gran parte simili. Si potrebbe quindi sostenere che l’approccio adottato nella sentenza Altmann dovrebbe essere applicato al caso di specie, come suggerito dalla Banca d’Italia, dai governi italiano e portoghese, e dalla Commissione. Infatti, essi ritengono concordemente che la sentenza Altmann debba essere intesa nel senso che richiede, ai fini dell’applicazione dell’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39, che i procedimenti civili o commerciali siano già pendenti.

54.      Qualora siffatta interpretazione fosse applicata per analogia al caso di specie, ciò significherebbe che l’eccezione di cui all’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 al divieto (generale) di divulgare informazioni non sarebbe applicabile. La domanda di accesso ai documenti non è stata presentata nel quadro di procedimenti civili o commerciali, ma piuttosto ai fini di procedimenti civili o commerciali. Pertanto, al ricorrente sarebbe precluso l’accesso a qualsiasi documento o informazione.

55.      Vorrei sottolineare ancora una volta il fatto che la Corte nella sentenza Altmann – in contrasto con l’avvocato generale Jääskinen nelle sue conclusioni – non ha dichiarato espressamente che tali procedimenti dovessero essere pendenti quale condizione di applicabilità di tale disposizione. Tuttavia, anche supponendo che la Corte abbia fissato implicitamente siffatta condizione, ravviso una serie di ragioni per cui un’applicazione per analogia di tale norma al caso di specie sarebbe problematica, comportando conseguenze assai discutibili. Prima di evidenziare tali numerosi problemi (c), esporrò le differenze normative (a) e fattuali (b) che distinguono la causa Altmann da quella in esame.

a)      Differenze normative

56.      Pur essendo, infatti, disposizioni in gran parte simili, l’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 e l’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39 differiscono altresì nella loro esatta formulazione.

57.      In primo luogo, mentre l’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39 consente la divulgazione di informazioni riservate solo nel caso in cui «non riguardino terzi», l’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 consente la divulgazione di informazioni riservate purché «non riguardino i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio» (il corsivo è mio). Pertanto, la seconda disposizione restringe la portata del divieto di divulgazione di informazioni riguardanti i terzi: tale divieto comprende soltanto le informazioni riservate riguardanti non semplicemente qualsiasi terzo (come nel caso della direttiva 2004/39), ma solo i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio di un ente creditizio dichiarato fallito o soggetto a liquidazione coatta ordinata da un tribunale. In altri termini, ciò significa che, ai sensi della direttiva 2013/36, la possibilità di consentire la divulgazione è più ampia di quella prevista dalla direttiva 2004/39.

58.      In secondo luogo, mentre l’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39 consente la divulgazione di informazioni riservate nel quadro di procedimenti civili o commerciali «se necessarie a tali procedimenti» (34), la direttiva 2013/36 non contiene, circostanza questa significativa, una restrizione siffatta. La formulazione della direttiva 2004/39 è quindi più limitata rispetto a quella della direttiva 2013/36. La mancanza di tale requisito nell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 consente ancora una volta un margine di discrezionalità più ampio per la divulgazione rispetto a quanto previsto nella direttiva 2004/39.

59.      In terzo luogo, occorre osservare in via sussidiaria che, in alcune versioni linguistiche, l’espressione stessa «in civil or commercial proceedings» non è equivalente in entrambe le direttive. Ciò avviene in particolare nella versione italiana delle direttive, come ha sottolineato in udienza il ricorrente, e in altre versioni linguistiche (35). Per altre versioni linguistiche, tuttavia, la nozione utilizzata in entrambe le direttive è la stessa (36).

60.      In sintesi, l’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 è una disposizione di portata più ampia rispetto all’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39. Oppure, considerato dalla prospettiva opposta, la possibilità di negare la divulgazione è più limitata in casi in cui un ente creditizio sia stato dichiarato fallito o sia sottoposto a liquidazione coatta amministrativa. Tale differenza, se considerata ancora una volta nel contesto sia della genesi di tale disposizione che degli altri atti simili che disciplinano lo stesso aspetto (37), fa sorgere dubbi riguardo alla questione se fosse intenzione del legislatore dell’Unione, sempre che sussistesse effettivamente siffatto coordinamento legislativo, che entrambe le disposizioni avessero la stessa portata.

b)      Differenze fattuali e contestuali

61.      Oltre alle differenze normative tra la causa in esame e quella che ha dato luogo alla sentenza Altmann, vorrei sottolineare una duplice differenza, fattuale e contestuale, tra tali cause a livello nazionale.

62.      In primo luogo, in termini procedurali, la causa in esame riguarda una situazione di semplice accesso ai documenti, in gran parte indipendente dalla procedura di insolvenza in quanto tale. Durante l’udienza, è stato confermato che la procedura di liquidazione coatta amministrativa riguardante la BNI è ancora in corso e che il ricorrente ha partecipato a tale procedura come creditore non garantito. Tuttavia, l’accesso a documenti come quelli che il ricorrente ha richiesto alla Banca d’Italia potrebbe, a quanto sembra, non essergli stato concesso nell’ambito della procedura di liquidazione mediante domanda presentata ai liquidatori. La ragione è che, semplicemente, i liquidatori non detengono il genere di documenti richiesto. Pertanto, la discussione relativa alla questione se la procedura di insolvenza possa essere considerata di per sé come «procedimento civile o commerciale» ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, e se eventualmente l’accesso al tipo di documenti richiesto dal ricorrente avrebbe potuto essere richiesto o meno in tale sede, è alquanto vana, dato che, nell’ambito di tale procedura il ricorrente non avrebbe mai potuto ricevere il tipo di documenti ai quali chiede di accedere.

63.      In secondo luogo, in termini di natura dei documenti richiesti, sia il ricorrente che la Banca d’Italia hanno confermato in udienza che la domanda del ricorrente di accesso ai documenti riguardava solo ed esclusivamente documenti redatti dalla Banca d’Italia relativamente alla vigilanza di quest’ultima sulla BNI. Il ricorrente tenta quindi di avere accesso a documenti redatti da una pubblica autorità nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza, al fine di accertare se possa sussistere una base sostanziale per promuovere un’azione di responsabilità civile dello Stato nei confronti di tale autorità.

64.      Per contro, nella sentenza Altmann, i documenti ai quali i ricorrenti tentavano di avere accesso erano relazioni dei revisori contabili e commenti interni, rapporti, corrispondenza, documenti, accordi, contratti, annotazioni e lettere riguardanti la vita interna della società sottoposta a una procedura di liquidazione coatta amministrativa (38). I documenti di cui trattasi erano quindi documenti privati o documenti interni della società in possesso dell’autorità tedesca di vigilanza, il BaFin.

65.      Tali differenze pongono nettamente in evidenza una questione fondamentale e più ampia sottesa alla causa in esame: nell’adottare l’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, il legislatore dell’Unione intendeva escludere completamente, tacendo in merito a tale aspetto, la possibilità di concedere qualsiasi accesso in via amministrativa a documenti che riguardano un segreto professionale a livello nazionale, ed anche, per la stessa ragione, escludere l’accesso a siffatti documenti per il tramite dei giudici amministrativi nel corso di un controllo giurisdizionale su una decisione amministrativa che neghi l’accesso a siffatti documenti? O ciò è piuttosto la conseguenza di una semplice omessa inclusione da parte del legislatore di detto tipo di accesso che, se associata a un’interpretazione testuale particolarmente restrittiva dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36, porta a conseguenze alquanto assurde?

c)      Problemi pratici derivanti dall’estensione della portata della sentenza Altmann

66.      Infine, o direi piuttosto soprattutto, l’estensione per analogia dell’approccio Altmann al caso di specie, supponendo ancora una volta che tale sentenza debba essere intesa nel senso che richiede che i procedimenti civili o commerciali siano pendenti, determinerebbe una serie di problemi da un punto di vista pratico.

67.      In primo luogo, tale approccio sa fortemente di circolo vizioso: per accertare se sia ragionevole proporre un ricorso, un soggetto deve in primis proporre un ricorso. Un cinico (o un realista, dipende dai punti di vista) potrebbe forse osservare che l’incertezza è un elemento insito nell’agire in giudizio. Tuttavia, forse in contrasto con i necessari limiti alla possibilità di determinare con esattezza la posizione di particelle subatomiche in un determinato momento, l’applicazione del principio di incertezza (di Heisenberg) (39) ai procedimenti giudiziari dovrebbe rimanere l’eccezione. Ciò è ancor più vero per i ricorrenti che siano già stati esposti a notevoli perdite e che, per verificare se una di tali perdite sia o meno potenzialmente recuperabile, siano obbligati a imbarcarsi in un’incerta «battuta di pesca» giudiziaria con ulteriori notevoli spese annesse. Non solo siffatto risultato sembra alquanto problematico per il singolo ricorrente, ma è anche poco ragionevole ai fini della buona amministrazione della giustizia a livello nazionale.

68.      A quanto sopra indicato è connessa un’ulteriore questione: in vari Stati membri la divulgazione preprocessuale non è contemplata dal diritto processuale nazionale per analoghi tipi di procedimento. Pertanto, il singolo, per poter chiedere al giudice di ordinare la divulgazione di informazioni, dovrebbe esperire un’azione integrale di risarcimento danni. Sempre che siffatta azione non sia immediatamente respinta da un giudice nazionale in quanto manifestamente infondata o addirittura fittizia, il ricorrente può solo sperare che il giudice stesso individui l’illecito (l’illegalità) e il nesso causale tra l’illecito e il presunto danno (che costituisce probabilmente l’unico elemento dell’azione risarcitoria che il singolo sarebbe in grado di provare).

69.      Come confermato dal governo italiano in udienza, non esiste in Italia alcuna divulgazione preprocessuale in siffatti tipi di procedimento. Certo, si potrebbe argomentare che, nell’interesse di un’effettiva applicazione dei diritti fondati sull’ordinamento dell’Unione, uno Stato membro dovrebbe prevedere siffatta divulgazione, al fine di consentire l’accesso a un ricorso effettivo e/o a un giudice imparziale, come garantito dall’articolo 47 della Carta.

70.      Ritengo che questo non sia un approccio particolarmente sensato. Esso implicherebbe, in effetti, che invece di affrontare il problema originario, consistente nella discutibile redazione dell’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36, e di risolvere tale problema alla fonte, ossia con una ragionevole interpretazione di tale disposizione, detto problema sarebbe cristallizzato dal punto di vista interpretativo e quindi riversato, di fatto, sui sistemi giudiziari degli Stati membri. Il fatto che, nella maggior parte dei sistemi civili di procedura civile, disporre la divulgazione preprocessuale non sia affatto semplice, ha costituito proprio la ragione per cui il legislatore dell’Unione ha incluso norme sulla divulgazione delle prove nella direttiva 2014/104/UE (40), nel settore delle azioni risarcitorie per violazioni del diritto della concorrenza.

71.      Per contro, non esistono norme analoghe di diritto dell’Unione in materia di divulgazione nel settore della vigilanza bancaria. Persone come il ricorrente nel procedimento principale avrebbero quindi scarse possibilità di ottenere l’accesso ai documenti riguardanti i compiti svolti da un’autorità di vigilanza, a meno che ciò non sia possibile in base alle norme sull’accesso ai documenti. Nella fattispecie, ciò è tanto più valido in quanto, come ho osservato al paragrafo 62 delle presenti conclusioni, il ricorrente non potrebbe ottenere l’accesso a tali documenti nell’ambito del procedimento di insolvenza, mediante una domanda presentata ai liquidatori responsabili della liquidazione della BNI.

72.      In secondo luogo, occorre sottolineare che la nozione di «informazioni riservate» può essere potenzialmente interpretata in senso assai ampio (41). Estendere questo approccio ampio all’interpretazione dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36 potrebbe comportare un eccessivo restringimento dell’eccezione prevista da tale disposizione. In effetti, qualsiasi informazione riguardante un ente creditizio costituirebbe quindi un’informazione riservata.

73.      In terzo luogo, da un punto di vista sistematico, non ravviso alcun motivo imperativo per il quale l’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 debba essere interpretato nel senso di escludere la possibilità per i giudici amministrativi che esercitano un controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative (42) di avere accesso alle informazioni riservate degli enti creditizi che siano stati dichiarati falliti o siano sottoposti a liquidazione coatta amministrativa, qualora detti giudici necessitino di tali informazioni ai fini dello svolgimento del loro procedimento. Gli unici esempi previsti espressamente da tale disposizione sono i «casi contemplati dal diritto penale» e i «procedimenti civili o commerciali». Ciò dovrebbe essere interpretato nel senso di escludere categoricamente i giudici amministrativi che esercitano un controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative dall’accesso alle informazioni riservate?

74.      Per rispondere a tale quesito, è importante considerare la potenziale logica sottesa alle eccezioni, di cui all’articolo 53, paragrafo 1, al divieto di divulgare informazioni riservate. Se, da un lato, l’idea alla base di tali eccezioni era che l’accesso alle informazioni riservate possa essere concesso solo quando tale accesso sia controllato da un giudice, non vedo motivi per escludere l’accesso sotto il controllo di un giudice amministrativo. Posso considerare una serie di azioni legali (43) per le quali i giudici amministrativi necessitano dell’accesso a tali informazioni riservate.

75.      Se, d’altro lato, l’idea alla base di tali eccezioni era piuttosto quella di disporre di un esperto per decidere quali informazioni possano essere divulgate e quali informazioni debbano rimanere riservate, ritengo che le autorità di vigilanza (nella fattispecie, la Banca d’Italia) siano, in effetti, le più idonee per effettuare siffatta valutazione, data la loro competenza e conoscenza. Pertanto, sembra alquanto strano escludere qualsiasi possibilità di divulgazione ai sensi della normativa nazionale sull’accesso ai documenti, suggerendo indirettamente che un giudice civile di primo grado è più idoneo a disporre siffatta divulgazione in qualsivoglia procedimento civile o commerciale eventualmente pendente dinanzi ad esso. In ogni caso, le decisioni delle autorità di vigilanza a tal riguardo potrebbero essere sempre soggette al controllo giurisdizionale di un giudice amministrativo.

76.      In sintesi, devo ammettere di avere notevoli difficoltà, dal punto di vista intellettivo, ad accettare l’interpretazione dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36, proposta dalla Banca d’Italia, dai governi italiano e portoghese, e dalla Commissione.

4.      Interpretazione (alternativa) dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36

77.      Alla luce delle differenze normative e fattuali summenzionate tra la causa in esame e la causa Altmann, e in particolare alla luce dei problemi pratici sollevati da un’interpretazione restrittiva di tale disposizione, propongo una lettura più sfumata dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36. A mio avviso, la possibilità di divulgare informazioni riservate «nell’ambito di procedimenti civili o commerciali» ai sensi di tale disposizione dovrebbe essere intesa come «ai fini di procedimenti civili o commerciali».

78.      Desidero aggiungere tre rapidi chiarimenti.

79.      In primo luogo, anche con un’interpretazione siffatta dell’espressione «nell’ambito di procedimenti civili o commerciali», è evidente che le altre condizioni previste dall’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, rimarrebbero applicabili. Ciò significa che tale disposizione potrebbe essere invocata solo quando, anzitutto, un ente creditizio è stato dichiarato fallito o è sottoposto a liquidazione coatta amministrativa e, inoltre, fatto più importante, per l’accesso a informazioni riservate che non riguardino i terzi partecipanti ai tentativi di salvataggio di tale ente creditizio.

80.      In secondo luogo, è altresì piuttosto evidente che tale interpretazione non equivarrebbe certo a concedere improvvisamente un accesso illimitato alle informazioni riservate relative a un ente creditizio dichiarato fallito o sottoposto a liquidazione coatta amministrativa a chiunque affermi di avere, forse un giorno, l’intenzione di promuovere un’azione civile o commerciale. A tal proposito, l’espressione «ai fini di procedimenti civili o commerciali» significa in sostanza: per essere in grado di avviare procedimenti civili o commerciali. Logicamente ciò può solo riguardare persone direttamente interessate dal fallimento o dalla liquidazione dell’ente creditizio, quali investitori, clienti o dipendenti. La cerchia di coloro ai quali potrebbe essere garantito l’accesso sarebbe quindi limitata solo a persone che, prima facie, possano ragionevolmente affermare di essere state direttamente danneggiate dal fallimento o dalla liquidazione.

81.      In terzo luogo, fatto alquanto importante, tale interpretazione consente alle autorità di vigilanza di mantenere il pieno controllo sulle informazioni che possono essere effettivamente divulgate. Infatti, il controllo sia di chi possa avere accesso alle informazioni riservate sia di quali informazioni riservate possano essere divulgate sarebbe nella disponibilità delle autorità che si occupano dell’accesso ai documenti a livello nazionale. In una controversia come quella oggetto del procedimento principale, la domanda di divulgazione sarebbe rivolta, anzitutto, all’autorità nazionale di vigilanza. La decisione di tale autorità sarebbe poi naturalmente soggetta a un potenziale controllo giurisdizionale da parte di un giudice amministrativo. La logica della divulgazione controllata delle informazioni riservate, che si potrebbe definire sottostante all’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva, sarebbe quindi pienamente preservata. Con questo duplice controllo, vi è certamente un pericolo limitato di conseguenze esorbitanti: chi può avere accesso e ciò a cui si può avere accesso sarebbe sempre determinato dall’autorità di vigilanza sotto il controllo del giudice nazionale competente.

82.      Si rendono necessarie tre osservazioni conclusive sul più ampio contesto in cui la Corte è chiamata a fornire l’interpretazione di una specifica disposizione della direttiva 2013/36.

83.      In primo luogo, è necessaria una ragionevole ponderazione tra gli interessi individuali in gioco. Ciò è stato già confermato nella sentenza Hillenius (44), in cui la Corte ha osservato che i giudici nazionali devono trovare un giusto equilibrio tra i diversi interessi che sorgono quando si dà applicazione all’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma (o alla norma che lo ha preceduto).

84.      Durante la «normale» esistenza di un ente creditizio, la tutela del segreto professionale e delle informazioni riservate è di fondamentale importanza ai sensi della direttiva 2013/36. La segretezza e la riservatezza costituiscono, infatti, la regola. Tuttavia, come stabilisce lo stesso articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36, una volta che un ente creditizio sia «dichiarato fallito o soggetto a liquidazione coatta amministrativa ordinata da un tribunale», tale norma generale inizia a mutare.

85.      Non intendo certamente affermare che la necessità di tutelare le informazioni riservate viene semplicemente meno una volta che l’ente creditizio sia fallito o sia soggetto a liquidazione coatta. Sussiste ancora un’attuale esigenza di tutelare talune informazioni riservate (ad esempio riguardanti il know‑how della società, le sue pratiche commerciali, e così via), nei limiti in cui tali informazioni possano avere ancora un valore come attivi realizzabili in sede di liquidazione dell’entità (45). Inoltre, per quanto riguarda le informazioni riguardanti i terzi partecipanti ai tentativi di salvataggio di tale ente creditizio, la riservatezza è in ogni caso garantita dall’articolo 53, paragrafo 1. Infine, sussiste altresì l’esigenza di tutelare l’interesse pubblico al corretto funzionamento del sistema di vigilanza prudenziale.

86.      Pur riconoscendo pienamente tali riserve, ciò che intendo effettivamente affermare è che, dopo il fallimento dell’ente creditizio, il contemperamento generale degli interessi inizia a mutare. L’imperativo (attuale) di tutelare gli interessi elencati nel precedente paragrafo deve essere contemperato con due altri nuovi interessi: anzitutto, sussistono gli interessi (privati) di coloro che sono stati lesi dalla liquidazione dell’ente creditizio, da proteggere in particolare consentendo loro di chiedere il risarcimento dei danni. Inoltre, sussiste altresì il legittimo interesse (pubblico) a conoscere ciò che non ha funzionato, al fine di accertare se l’ente creditizio sia fallito semplicemente per il suo operato, oppure se ciò possa essere stato causato almeno in parte dall’autorità di vigilanza.

87.      Il fatto che tutti questi legittimi interessi debbano essere conciliati dopo che un ente creditizio sia stato dichiarato fallito depone ancora una volta a favore di un’interpretazione più sfumata dell’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36.

88.      In secondo luogo, i due nuovi interessi che entrano in gioco una volta che l’ente creditizio sia stato dichiarato fallito sono con tutta probabilità complementari. Consentire l’accesso ai documenti a coloro che intendono proporre un ricorso per tutelare i propri interessi privati contribuisce indirettamente, se e quando tale ricorso viene proposto, a tutelare l’interesse pubblico al controllo delle attività delle autorità di vigilanza. Inoltre, ciò potrebbe anche giovare al pubblico interesse al buon funzionamento generale del sistema di vigilanza prudenziale. Infatti, garantire un livello di controllo più elevato sulle autorità di vigilanza – anche se indirettamente, mediante ricorsi proposti da parti private dinanzi a un giudice nazionale – comporta probabilmente il miglioramento non solo della responsabilità di dette autorità, ma anche della qualità del loro lavoro (46).

89.      Si rende necessaria una terza e ultima osservazione sull’effettiva percezione della vigilanza prudenziale. In generale, la Corte ha confermato l’esigenza di preservare la riservatezza di taluni tipi di informazione, così da non compromettere la trasmissione di informazioni tra le entità controllate e le autorità di vigilanza, al fine ultimo di tutelare il corretto funzionamento del sistema di vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento (47).

90.      Ancora una volta, riconosco con decisione la fondamentale importanza del corretto funzionamento del sistema di vigilanza prudenziale stabilito dalla direttiva 2013/36. Tuttavia, il problema con tale argomento, come dimostrato anche nel corso dell’attuale procedimento, è che esso sembra essere invocato a un livello alquanto elevato di astrazione, fornendo pochissimi dettagli concreti sul preciso modo in cui tale supervisione sarebbe messa a repentaglio. In una fattispecie come quella in esame, non vedo per quale ragione tale argomento debba equivalere, in concreto, all’immunità degli enti creditizi e potenzialmente delle stesse autorità di vigilanza, da ricorsi proposti da una parte lesa che sostiene di aver subito un danno per effetto di una presunta cattiva amministrazione dell’ente creditizio e/o del malfunzionamento del sistema di vigilanza prudenziale (48). Pertanto, non vi è ragione di suggerire che un meccanismo limitato di divulgazione, disponibile solo in caso di fallimento o di liquidazione e sotto il controllo dell’autorità di vigilanza e dei giudici competenti, metterebbe necessariamente a repentaglio il corretto funzionamento del sistema di vigilanza prudenziale, nel senso che comprometterebbe la trasmissione di informazioni riservate dalle entità controllate all’autorità di vigilanza.

91.      In conclusione, nonostante l’affermazione retorica secondo la quale accentuare l’importanza dell’affidabilità e della fiducia reciproca talvolta evoca più l’idea della comunicazione tra pari, vale la pena forse ricordare che la trasmissione di informazioni dagli enti creditizi o dalle imprese di investimento alle autorità di vigilanza ai sensi della direttiva 2013/36 non costituisce una questione di buona fede, ma un obbligo imposto dal diritto pubblico alle imprese operanti in determinati mercati. Pertanto, anche se l’affidabilità e la fiducia reciproca devono essere certamente accolte e incentivate, non dovrebbero essere estese fino al punto di perdere di vista il fatto che ciò che occorre realizzare non è né l’affidabilità prudenziale né la fiducia prudenziale, bensì la vigilanza prudenziale.

V.      Conclusione

92.      Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Consiglio di Stato (Italia) nei seguenti termini:

L’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE, dovrebbe essere interpretato nel senso che la possibilità di divulgare informazioni riservate «nell’ambito di procedimenti civili o commerciali» si applica ad una situazione in cui una persona tenta, ai sensi delle disposizioni nazionali sull’accesso ai documenti, di ottenere l’accesso ai documenti relativi alla vigilanza di un ente creditizio ai fini della valutazione della possibilità di intentare un’azione nei confronti dell’autorità di vigilanza competente per i danni che detta persona avrebbe asseritamente subito a causa del fallimento o della liquidazione di tale ente creditizio.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (GU 2013, L 176, pag. 338).


3      O piuttosto la disposizione precedente, inizialmente invocata dal ricorrente, ossia l’articolo 44 della direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU 2006, L 177, pag. 1). Tuttavia, la direttiva 2006/48, nel frattempo, era stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2013/36. È quindi quest’ultima direttiva ad essere applicabile nella fattispecie, ed è anche la direttiva in relazione alla quale il giudice del rinvio ha formulato la terza questione.


4      Sentenza del 23 gennaio 2018, F. Hoffmann‑La Roche e a. (C‑179/16, EU:C:2018:25, punto 45).


5      V., ad esempio, sentenza del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C‑470/12, EU:C:2014:101, punto 30). V. anche sentenze del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punti da 39 a 41), o del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punti da 29 a 31).


6      A prescindere dalla questione se ciò sia dovuto al fatto che il ricorrente potrebbe avere ancora un interesse giuridico a ottenere una sentenza dichiarativa oppure, come confermato dalle parti in udienza, al fatto che, dopo che il giudice del rinvio aveva proposto la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il ricorrente ha chiesto l’accesso ad ulteriori documenti ai quali la Banca d’Italia non ha ancora consentito l’accesso.


7      Regolamento (UE) del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63).


8      Sentenza del 18 luglio 2017, Commissione/Breyer (C‑213/15 P, EU:C:2017:563, punto 49). Dopo l’adozione del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43), è stata abolita la cosiddetta «regola dell’autore» [v. sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione (C‑64/05 P, EU:C:2007:802, punto 56)], cosicché l’elemento decisivo che determina l’applicabilità del regolamento n. 1049/2001 è se il documento sia in possesso di un’istituzione, indipendentemente dall’identità del suo autore.


9      Che sancisce «il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione».


10      V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2017, Commissione/Breyer (C‑213/15 P, EU:C:2017:563, punto 52).


11      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU 2000, L 126, pag. 1).


12      Prima direttiva del Consiglio, del 12 dicembre 1977, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio (GU 1977, L 322, pag. 30).


13      Seconda direttiva del Consiglio, del 15 dicembre 1989, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE (GU 1989, L 386, pag. 1).


14      Sentenza dell’11 dicembre 1985, Hillenius (110/84, EU:C:1985:495).


15      Sentenza dell’11 dicembre 1985, Hillenius (110/84, EU:C:1985:495, punti 28 e 29).


16      Sentenza dell’11 dicembre 1985, Hillenius (110/84, EU:C:1985:495, punto 33).


17      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (GU 2014, L 173, pag. 349).


18      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU 2004, L 145, pag. 1).


19      Che così recita: «Qualora un’impresa di investimento, un gestore del mercato o un mercato regolamentato siano dichiarati falliti o siano soggetti a liquidazione coatta, le informazioni riservate che non riguardino terzi possono essere rivelate nel quadro di procedimenti civili o commerciali, se necessarie a tali procedimenti». Il corsivo è mio.


20      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) (GU 2009, L 302, pag. 32). L’articolo 102, paragrafo 1, secondo comma, stabilisce quanto segue: «Tuttavia, qualora un OICVM o un’impresa che concorre alla sua attività siano stati dichiarati falliti o un tribunale ne abbia ordinato la liquidazione coatta, le informazioni riservate che non riguardino terzi impegnati nei tentativi di salvataggio possono essere rivelate nell’ambito di procedimenti giudiziari in materia civile o commerciale». Il corsivo è mio.


21      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE (GU 2004, L 390, pag. 38). La seconda frase dell’articolo 25, paragrafo 1, così recita: «Le informazioni coperte dal segreto d’ufficio non possono essere comunicate ad alcun altro soggetto od autorità se non in forza di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro». Il corsivo è mio.


22      Regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione (GU 2010, L 331, pag. 12).


23      Regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/77/CE della Commissione (GU 2010, L 331, pag. 84).


24      Riportato supra, al paragrafo 5 delle presenti conclusioni.


25      Sentenza del 12 novembre 2014 (C‑140/13, EU:C:2014:2362).


26      Sentenza del 12 novembre 2014, Altmann e a.(C‑140/13, EU:C:2014:2362, punto 31).


27      Sentenza del 12 novembre 2014, Altmann e a.(C‑140/13, EU:C:2014:2362, punto 32).


28      Su tale eccezione v. le recenti conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa UBS Europe e a. (C‑358/16, EU:C:2017:606).


29      Sentenza del 12 novembre 2014, Altmann e a. (C‑140/13, EU:C:2014:2362, punto 38).


30      Sentenza del 12 novembre 2014, Altmann e a. (C‑140/13, EU:C:2014:2362, punto 39).


31      La versione in lingua francese utilizza la formula più neutra rinvenibile nell’articolo 54, paragrafo 2 («dans le cadre de»), senza qualificarla. Per quanto riguarda la versione in lingua tedesca, che era la lingua processuale, essa menziona il fatto che il procedimento amministrativo non è «parte di un procedimento civile o commerciale» («Teil zivil‑ oder handelsrechtlicher Verfahren»).


32      Conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Altmann e a. (C‑140/13, EU:C:2014:2168, paragrafo 52).


33      Conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Altmann e a. (C‑140/13, EU:C:2014:2168, paragrafo 56).


34      La Corte ha osservato che questa è una delle tre condizioni richieste per l’applicazione dell’articolo 54, paragrafo 2, della direttiva 2004/39: v. sentenza del 12 novembre 2014, Altmann e a. (C‑140/13, EU:C:2014:2362, punto 38).


35      Nella versione in lingua italiana la direttiva 2013/36 utilizza l’espressione «nell’ambito di procedimenti civili o commerciali», mentre la direttiva 2004/39 utilizzava l’espressione «nel quadro di procedimenti civili o commerciali»; lo stesso accade, ad esempio, per le versioni in lingua polacca (rispettivamente «w postępowaniach cywilnych» e «w ramach sądowej procedury cywilnej prawa handlowego»), portoghese («no âmbito de processos do foro cível ou comercial» e «em processos de direito civil ou comercial»), rumena («în cursul unor acțiuni în instanțe civile sau comerciale» e «în cadrul unor proceduri civile sau comerciale»), e spagnola («en el marco de procedimientos civiles o mercantiles» e «en el curso de procedimientos civiles o mercantiles»).


36      Oltre alla versione in lingua inglese, ciò è quanto avviene, ad esempio, anche per le versioni in lingua ceca («v občanském soudním řízení»), neerlandese («in het kader van civiele of handelsrechtelijke procedures»), francese («dans le cadre de procédures civiles ou commerciales») e tedesca («in zivil- oder handelsrechtlichen Verfahren»).


37      V. supra, paragrafi da 34 a 44 delle presenti conclusioni.


38      Sentenza del 12 novembre 2014, Altmann e a. (C‑140/13, EU:C:2014:2362, punti 14 e 15).


39      V. Heisenberg, W., «Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik», Zeitschrift für Physik, vol. 43 (3‑4), 1927, pag. 172.


40      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea (GU 2014, L 349, pag. 1).


41      V. le recenti conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (C‑15/16, EU:C:2017:958, paragrafi 64 e 65). In tali conclusioni l’avvocato generale Bot ha interpretato la nozione di «informazioni riservate» nel contesto dell’articolo 54 della direttiva 2004/39. Tuttavia, non vi è motivo di ritenere che l’interpretazione della stessa nozione ai fini della direttiva 2013/36 sia molto diversa.


42      Come il giudice del rinvio nel procedimento principale che esercita il controllo sulla decisione amministrativa della Banca d’Italia di non concedere l’accesso ai documenti richiesti dal ricorrente. Con tale formulazione (alquanto farraginosa), vorrei focalizzare l’attenzione sul settore della giustizia amministrativa definita dal punto di vista funzionale, ossia, escludendo i casi in cui, in taluni Stati membri, istituzioni definite giudici amministrativi possano essere chiamate a pronunciarsi in procedimenti civili o commerciali.


43      Come le azioni di responsabilità civile dello Stato esercitate nei confronti delle autorità di vigilanza in ordinamenti in cui tali cause sono assegnate ai giudici amministrativi, il controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative o le sanzioni relative all’amministrazione coatta amministrativa, come, ad esempio, ricorsi giurisdizionali contro provvedimenti di interdizione emessi nei confronti degli amministratori di tali enti creditizi, e così via.


44      Sentenza dell’11 dicembre 1985, Hillenius (110/84, EU:C:1985:495, punto 33).


45      Conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Altmann e a. (C‑140/13, EU:C:2014:2168, paragrafi da 43 a 45).


46      L’interesse pubblico che potrebbe essere, eventualmente, ulteriormente migliorato qualora siano state precedentemente impiegate somme consistenti di denaro pubblico nei tentativi di salvataggio di un ente creditizio o di un’impresa di investimento tra quelli ora dichiarati falliti.


47      Per quanto riguarda la norma precedente all’articolo 53, paragrafo 1, ossia l’articolo 12, paragrafo 1, della prima direttiva del Consiglio, v. sentenza dell’11 dicembre 1985, Hillenius (110/84, EU:C:1985:495, punto 27); riguardo all’articolo 54, paragrafo 1, della direttiva 2004/39, v. sentenza del 12 novembre 2014, Altmann e a.(C‑140/13, EU:C:2014:2362, punti da 31 a 33).


48      Desidero sottolineare che tale affermazione generale non implica alcuna presa di posizione sul merito di una qualunque possibile azione di responsabilità dello Stato di tal genere, compresa la problematica relativa a quale dovrebbe essere, eventualmente, l’esatta base giuridica di un’azione siffatta. La presente fattispecie è assai lontana da tali problematiche. Inoltre, circostanza ancor più importante, un’azione siffatta sarebbe automaticamente disciplinata dal diritto nazionale e non dal diritto dell’Unione, certamente non via principale. Contrasta, a tal proposito, la situazione completamente diversa esposta nella sentenza del 12 ottobre 2004, Paul e a. (C‑222/02, EU:C:2004:606), che esamina la questione relativa a se una serie di direttive, compresa la prima direttiva del Consiglio, ostassero a una norma nazionale che impediva ai singoli di chiedere il risarcimento del danno derivante da carenze nel controllo esercitato dall’autorità di vigilanza. La Corte ha osservato che, nelle tre direttive in questione, l’unico diritto chiaramente sancito a favore dei singoli era quello contenuto nell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 94/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (GU 1994, L 135, p. 5) (il sistema di garanzia dei depositi fino a ECU 20 000), in base al quale era stato già pagato il risarcimento in seguito a una sentenza dei giudici nazionali. La Corte ha proseguito confermando che, oltre a ciò, le tre direttive all’epoca in vigore non conferivano, in realtà, ulteriori diritti concreti ai depositanti a che le autorità nazionali competenti adottassero misure di vigilanza nel loro interesse in siffatte circostanze (punti 30, 41 e 46) e, pertanto, che il diritto dell’Unione non ostava alla norma nazionale di cui trattasi.