Language of document : ECLI:EU:C:2019:192

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

13 marzo 2019 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica relativa all’immigrazione – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Esclusioni dall’ambito di applicazione della direttiva – Articolo 3, paragrafo 2, lettera c) – Esclusione delle persone beneficiarie di protezione sussidiaria – Estensione a tali persone del diritto al ricongiungimento familiare operata dal diritto nazionale – Competenza della Corte – Articolo 11, paragrafo 2 – Assenza di documenti ufficiali che comprovano vincoli familiari – Spiegazioni ritenute non sufficientemente plausibili – Obblighi delle autorità degli Stati membri di svolgere ulteriori indagini – Limiti»

Nella causa C‑635/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag zittingsplaats Haarlem (tribunale dell’Aia, sede di Haarlem, Paesi Bassi), con decisione del 14 novembre 2017, pervenuta in cancelleria lo stesso giorno, nel procedimento

E.

contro

Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Arabadjiev (relatore), presidente di sezione, T. von Danwitz, M. Berger, C. Vajda e P.G. Xuereb, giudici,

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 ottobre 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per E., da M.L. van Riel e C.J. Ullersma, advocaten;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e C.S. Schillemans, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da G. Wils e C. Cattabriga, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 novembre 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), e dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra E., minorenne di nazionalità eritrea che vive in Sudan, e lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito al rigetto da parte di quest’ultimo della domanda di ricongiungimento familiare presentata, a favore di E., dalla sig.ra A., cittadina eritrea beneficiaria di protezione sussidiaria nei Paesi Bassi, asseritamente zia e tutrice di E.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 2003/86

3        Ai sensi del considerando 8 della direttiva 2003/86:

«La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare».

4        L’articolo 2 della direttiva 2003/86, che figura nel capo I della medesima, intitolato «Disposizioni generali», prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “cittadino di un paese terzo”: chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del trattato;

b)      “rifugiato”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide cui sia riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967;

c)      “soggiornante”: il cittadino di un paese terzo legalmente soggiornante in uno Stato membro che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare;

d)      “ricongiungimento familiare”: l’ingresso e il soggiorno in uno Stato membro dei familiari di un cittadino di un paese terzo che soggiorna legalmente in tale Stato membro, al fine di conservare l’unità familiare, indipendentemente dal fatto che il legame familiare sia anteriore;

e)      “permesso di soggiorno”: un’autorizzazione rilasciata dalle autorità di uno Stato membro che consente ad un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente sul proprio territorio (…);

(…)».

5        L’articolo 3 della suddetta direttiva, parimenti contenuto nel capo I di quest’ultima, così dispone:

«1.      La presente direttiva si applica quando il soggiornante è titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da tale Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno, e ha una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile, se i membri della sua famiglia sono cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal loro status giuridico.

2.      La presente direttiva non si applica quando il soggiornante:

(…)

c)      è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione, conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri, o abbia richiesto l’autorizzazione a soggiornare per lo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status.

(…)

5.      La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli».

6        L’articolo 4 della direttiva 2003/86, contenuto nel capo II della medesima, intitolato «Familiari», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

(…)

c)      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. (…)

(…)

I figli minorenni di cui al presente articolo devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non devono essere coniugati.

(…)».

7        Ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva, che figura nel capo III di quest’ultima, intitolato «Presentazione ed esame della domanda»:

«1.      Gli Stati membri determinano se, per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare, la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata alle autorità competenti dello Stato membro interessato dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.

2.      La domanda è corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari ed il rispetto delle condizioni previste dagli articoli 4 e 6 e, nel caso siano applicabili, dagli articoli 7 e 8, e di copie autenticate dei documenti di viaggio del membro o dei familiari.

Ove opportuno, per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie.

(…)

4.      Non appena possibile e comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione.

In circostanze eccezionali dovute alla complessità della domanda da esaminare, il termine di cui al comma precedente può essere prorogato.

La decisione di rifiuto della domanda è debitamente motivata. Eventuali conseguenze della mancata decisione allo scadere del termine di cui al primo comma sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

5.      Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori».

8        L’articolo 10 di tale direttiva, contenuto nel capo V della medesima, intitolato «Ricongiungimento familiare dei rifugiati», al suo paragrafo 2 così dispone:

«Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4, qualora essi siano a carico del rifugiato».

9        L’articolo 11 della direttiva 2003/86, contenuto nello stesso capo V, precisa quanto segue:

«1.      Per quanto concerne la presentazione e l’esame delle domande si applicano le disposizioni dell’articolo 5, fatto salvo il paragrafo 2 del presente articolo.

2.      Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, gli Stati membri tengono conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza di tali vincoli, da valutare conformemente alla legislazione nazionale. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori».

10      Il capo VII di tale direttiva, relativo a «[s]anzioni e mezzi di ricorso», comprende i suoi articoli da 16 a 18.

11      L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva medesima è così formulato:

«Gli Stati membri possono inoltre respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, oppure ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno dei familiari se è accertato che:

a)      sono state utilizzate informazioni false o ingannevoli, sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati, ovvero è stato fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti;

(…)».

12      L’articolo 17 della stessa direttiva prevede quanto segue:

«In caso di rigetto di una domanda, di ritiro o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine».

 Orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86

13      La comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 3 aprile 2014, concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86 [COM(2014) 210; in prosieguo: gli «orientamenti»], contiene i seguenti passaggi:

«(…)

3.      Presentazione ed esame della domanda

(…)

3.2.      Documenti a corredo della domanda

Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva la domanda di ricongiungimento familiare deve essere corredata:

a)      dei documenti che comprovano i vincoli familiari;

(…)

Gli Stati membri dispongono di una certa discrezionalità nel decidere sull’opportunità e necessità di verificare i documenti che comprovano i vincoli familiari tramite colloqui o altre indagini, compreso l’esame del DNA. In base ai criteri dell’opportunità e della necessità, tali indagini non sono ammesse se sussistono altri mezzi idonei meno restrittivi per accertare l’esistenza dei vincoli familiari. La domanda, i documenti che la corredano e l’opportunità e la necessità di colloqui e altre indagini devono essere valutati caso per caso.

(…)

6.      Ricongiungimento familiare dei beneficiari di protezione internazionale

6.1.      Rifugiati

(…)

La Commissione sottolinea che le disposizioni del capo V devono essere lette alla luce dei principi di cui all’articolo 5, paragrafo 5, e all’articolo 17. Pertanto, nell’esaminare le domande di ricongiungimento familiare dei rifugiati, gli Stati membri devono procedere, in ogni singola fattispecie, a una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco, tenendo nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei figli minorenni (…). Nessun elemento preso separatamente può portare automaticamente a una decisione; ciascuno va considerato solo come uno degli elementi pertinenti (…).

(…)

6.1.2.      Assenza di documentali probatori ufficiali

Ai sensi dell’articolo 11, per quanto concerne la presentazione e l’esame delle domande si applicano le disposizioni dell’articolo 5, fatta salva la deroga relativa ai documentali probatori ufficiali di cui all’articolo 11, paragrafo 2. Pertanto, in linea con l’articolo 5, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che la domanda sia corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari, e che possano essere effettuati colloqui e altre indagini, se opportuno e necessario.

Tuttavia, per i rifugiati che sono stati costretti a fuggire dal loro paese, e per i loro familiari, è spesso impossibile o pericoloso produrre documenti ufficiali o mettersi in contatto con le autorità consolari o diplomatiche del loro paese di origine.

L’articolo 11, paragrafo 2, è esplicito: senza lasciare alcuna discrezionalità, dispone che l’assenza di documenti probatori non può essere l’unico motivo del rigetto della domanda, e fa obbligo agli Stati membri, in tali casi, di tener “conto anche di altri mezzi idonei a provare” l’esistenza di tali vincoli. Poiché tali “altri mezzi idonei a provare” devono essere valutati conformemente al diritto nazionale, gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità; tuttavia dovrebbero adottare norme chiare che disciplinino tali condizioni in materia di prove. Esempi di “altri mezzi idonei a provare” l’esistenza dei vincoli familiari sono le dichiarazioni orali o scritte dei richiedenti, i colloqui con i familiari o le indagini sulla situazione all’estero. Tali dichiarazioni possono poi, ad esempio, essere corroborate da elementi di prova, quali documenti, materiale audiovisivo, eventuali documenti o prove materiali (come diplomi, la prova di trasferimenti di denaro ecc.) o la conoscenza di fatti specifici.

La valutazione individuale di cui all’articolo 17 esige che, nell’esaminare le prove fornite dal richiedente, gli Stati membri tengano conto di tutti gli elementi pertinenti, tra cui l’età, il genere, il livello d’istruzione, l’origine familiare e lo status sociale, nonché specifici aspetti culturali. La Commissione ritiene che se, nonostante l’esame di altri tipi di prova, permangono seri dubbi o se esistono forti indizi di intenzioni fraudolente, si può ricorrere all’esame del DNA come ultima ratio (…). In tali casi, gli Stati membri dovrebbero osservare i principi dell’[Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati(HCR)] sull’esame del DNA (…).

(…)».

 Diritto dei Paesi Bassi

14      Dalla decisione di rinvio risulta che la direttiva 2003/86 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico dei Paesi Bassi dal Vreemdelingenwet 2000 (legge del 2000 sugli stranieri), dalla Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri) e dalla Werkinstructie 2014/9 (istruzione di servizio 2014/9).

15      Il giudice del rinvio, il rechtbank Den Haag zittingsplaats Haarlem (tribunale dell’Aia, sede di Haarlem, Paesi Bassi), precisa che il Regno dei Paesi Bassi ha trasposto le disposizioni più favorevoli del capo V di tale direttiva, relative al ricongiungimento familiare dei rifugiati, comprese le disposizioni facoltative ivi contenute. In particolare, il Regno dei Paesi Bassi ha scelto di applicare tale direttiva ai beneficiari di protezione sussidiaria, anche se, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva medesima, quest’ultima non si applica loro. Il legislatore dei Paesi Bassi ha pertanto reso tale capo V direttamente e incondizionatamente applicabile alla loro situazione.

16      La circolare del 2000 sugli stranieri e l’istruzione di servizio 2014/9 vertono, in particolare, sulla valutazione della prova dell’esistenza dei legami familiari tra il soggiornante e il cittadino di un paese terzo a favore del quale è presentata la domanda di ricongiungimento familiare. Ne consegue che il Segretario di Stato accoglie tale domanda qualora sia accertato che il cittadino del paese terzo appartiene effettivamente alla famiglia del soggiornante.

17      A tale riguardo, il soggiornante deve dimostrare, secondo il giudice del rinvio, che il cittadino del paese terzo ha effettivamente fatto parte della propria famiglia prima dell’arrivo del soggiornante nei Paesi Bassi e che tale vincolo familiare effettivo non è stato spezzato. Anche se il soggiornante deve, in linea di principio, apportare tale prova per mezzo di documenti, gli è tuttavia possibile, in mancanza di tali documenti, fornire ulteriori informazioni o spiegazioni plausibili, credibili e coerenti sull’effettiva appartenenza alla propria famiglia del cittadino di un paese terzo di cui trattasi. In particolare, per valutare se un minorenne appartenga effettivamente alla famiglia del soggiornante, si tiene conto, segnatamente, della ragione per cui il minorenne è stato accolto in tale famiglia.

18      Infine, in caso di impossibilità di accertare l’esistenza di un effettivo vincolo familiare per mezzo di documenti ufficiali o di un’analisi del DNA, è possibile ricorrere a un colloquio con domande di identificazione. Il giudice del rinvio precisa che ciò avviene in particolare per quanto riguarda i minorenni nell’ambito della procedura di ricongiungimento familiare.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

19      La sig.ra A. e sua figlia risiedono regolarmente nei Paesi Bassi dall’11 marzo 2015 come beneficiarie di protezione sussidiaria, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2003/86. Il 16 aprile 2015 la sig.ra A. ha presentato alle autorità competenti dei Paesi Bassi una domanda di ricongiungimento familiare a favore di E.

20      A sostegno di tale domanda, essa ha fornito una dichiarazione del Fronte di Liberazione Eritreo del 6 aprile 2015 (in prosieguo: la «dichiarazione dell’ELF»), da cui risulterebbe che essa è zia di E. e sua tutrice dopo la morte dei suoi genitori biologici, avvenuta quando E. aveva cinque anni. Essa ha inoltre affermato che quest’ultimo aveva vissuto con lei in Sudan dopo la loro fuga dall’Eritrea, avvenuta nel 2013 quando E. aveva dieci anni, fino a quando lei era partita per i Paesi Bassi. Attualmente E. risiederebbe ancora in Sudan presso una famiglia affidataria.

21      Con decisione del 12 maggio 2016 il Segretario di Stato ha respinto la domanda di ricongiungimento familiare.

22      Il Segretario di Stato si è anzitutto basato sul fatto che non era stato fornito alcun documento ufficiale relativo all’effettività dei vincoli familiari tra E. e la sig.ra A., dal momento che l’unico documento prodotto a tal fine, vale a dire la dichiarazione dell’ELF, era stato emesso in modo non autorizzato. Il Segretario di Stato ha poi constatato che non era stata fornita alcuna spiegazione plausibile circa l’impossibilità di fornire documenti ufficiali, considerando che l’Eritrea rilascia questo tipo di documenti, quali certificati di morte e di tutela, carte d’identità o ancora tessere scolastiche o studentesche. Il Segretario di Stato ha aggiunto infine che, in tali circostanze, la domanda di ricongiungimento familiare poteva essere respinta senza che fosse necessario organizzare un colloquio con E. o con la sig.ra A. al fine di stabilire l’effettività del loro vincolo familiare.

23      Il ricorso proposto contro tale decisione è stato respinto con una decisione confermativa del 27 ottobre 2016.

24      Poiché dinanzi al giudice del rinvio era stato proposto un ricorso di annullamento contro il rigetto della domanda di ricongiungimento familiare di cui al procedimento principale, il 18 maggio 2017 si è tenuta un’udienza. La causa è stata quindi riassegnata a una formazione collegiale e una seconda udienza si è tenuta il 13 settembre 2017.

25      Il giudice del rinvio precisa che, nel corso di quest’ultima udienza, il Segretario di Stato ha abbandonato le sue obiezioni relative all’identità di E. e della sig.ra A., nonché all’esistenza di un legame biologico tra queste due persone. Analogamente, il Segretario di Stato ha rinunciato a invocare l’assenza di documenti ufficiali per quanto riguarda la tutela della sig.ra A. su E., poiché nel diritto eritreo una siffatta tutela sarebbe conferita ex lege. Ne consegue, secondo tale giudice, che i soli elementi ancora contestati nel procedimento principale sono quelli vertenti sull’assenza di certificati di morte dei genitori biologici di E. e sulla plausibilità delle spiegazioni fornite a tale proposito dalla sig.ra A.

26      Il giudice del rinvio nutre dubbi circa l’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 e, in particolare, si chiede se lo Stato membro in questione sia obbligato a «[tener] conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza [dei vincoli familiari]» nel caso in cui il rifugiato non fornisca alcuna spiegazione plausibile della sua incapacità di fornire documenti ufficiali.

27      Lo stesso giudice si interroga tuttavia, alla luce della sentenza del 18 ottobre 2012, Nolan (C‑583/10, EU:C:2012:638, punti da 53 a 56), sulla competenza della Corte a rispondere a una questione come quella di cui al procedimento principale, rilevando che, sebbene la situazione della sig.ra A. in quanto semplice beneficiaria della protezione sussidiaria esuli dall’ambito di applicazione delle disposizioni di tale direttiva, il diritto dei Paesi Bassi ha reso queste ultime applicabili a una siffatta situazione in modo diretto e incondizionato.

28      In simili circostanze, il rechtbank Den Haag, zittingsplaats Haarlem (tribunale dell’Aia, sede di Haarlem) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, in considerazione dell’articolo 3, paragrafo 2, [lettera] c), della [direttiva 2003/86] e della sentenza [del 18 ottobre 2012,] Nolan (C‑583/10, EU:C:2012:638), la Corte sia competente a rispondere a questioni pregiudiziali presentate dai giudici dei Paesi Bassi sull’interpretazione di disposizioni della menzionata [direttiva 2003/86] in un procedimento vertente sul diritto di soggiorno di un familiare di un avente diritto a protezione sussidiaria, posto che detta direttiva nel diritto dei Paesi Bassi è stata dichiarata direttamente e incondizionatamente applicabile agli aventi diritto alla protezione sussidiaria (…);

2)      Se l’articolo 11, paragrafo 2, della [direttiva 2003/86] debba essere interpretato nel senso che osta al rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare di un rifugiato solo per il fatto che quest’ultimo, nella sua domanda, non presenta documenti ufficiali che provino il vincolo familiare,

o

se l’articolo 11, paragrafo 2, della [direttiva 2003/86] debba essere interpretato nel senso che osta al rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare di un rifugiato unicamente a causa dell’assenza di documenti ufficiali, che provino il vincolo familiare, solo se il rifugiato in questione ha fornito una spiegazione plausibile del fatto di non aver presentato tali documenti e della sua affermazione di non essere in grado di produrli».

 Procedimento dinanzi alla Corte

29      Il giudice del rinvio ha chiesto di trattare il presente rinvio pregiudiziale con il procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto dall’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

30      Il 23 novembre 2017 la Prima Sezione della Corte ha deciso, dopo aver sentito l’avvocato generale, che non vi era luogo di accogliere tale domanda.

31      Tuttavia, con decisione del 27 novembre 2017, il presidente della Corte ha concesso di trattare la presente causa in via prioritaria, conformemente all’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

32      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la Corte sia competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui un giudice è chiamato a pronunciarsi su una domanda di ricongiungimento familiare presentata da un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora tale disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.

33      L’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2003/86, precisa, in particolare, che tale direttiva non si applica quando il soggiornante è un cittadino di un paese terzo, autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione, conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri.

34      Ne risulta che la direttiva 2003/86 deve essere interpretata nel senso che essa non si applica a cittadini di paesi terzi familiari di un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, quale la sig.ra A. (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 33).

35      Da una giurisprudenza costante della Corte risulta tuttavia che quest’ultima è competente a statuire su una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente su disposizioni del diritto dell’Unione, in situazioni in cui, anche se i fatti del procedimento principale non rientrano direttamente nell’ambito di applicazione di tale diritto, le disposizioni di detto diritto sono state rese applicabili dal diritto nazionale in forza di un rinvio operato da quest’ultimo al contenuto delle medesime (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

36      Infatti, in simili situazioni, sussiste un interesse certo dell’Unione europea a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

37      Pertanto, un’interpretazione, da parte della Corte, di disposizioni del diritto dell’Unione in situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione di queste ultime si giustifica quando tali disposizioni sono state rese applicabili a siffatte situazioni dal diritto nazionale in modo diretto e incondizionato, al fine di assicurare un trattamento identico a dette situazioni e a quelle rientranti nell’ambito di applicazione di tali disposizioni (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

38      Nel caso di specie, il giudice del rinvio, che è il solo competente a interpretare il diritto nazionale nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dall’articolo 267 TFUE (v., per analogia, sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 37 e giurisprudenza ivi citata), ha precisato che il legislatore dei Paesi Bassi ha scelto di garantire ai beneficiari dello status conferito dalla protezione sussidiaria un trattamento più favorevole di quello previsto dalla direttiva 2003/86, applicando loro le norme relative ai rifugiati previste da tale direttiva. Detto giudice ne ha dedotto di essere tenuto, ai sensi del diritto dei Paesi Bassi, ad applicare nel procedimento principale l’articolo 11, paragrafo 2, di tale direttiva.

39      In simili circostanze, si deve ritenere che tale disposizione sia stata resa applicabile in modo diretto e incondizionato dal diritto dei Paesi Bassi a situazioni come quella di cui al procedimento principale e che sussista pertanto un sicuro interesse dell’Unione a che la Corte si pronunci sulla domanda di pronuncia pregiudiziale (v., per analogia, sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 38).

40      Infatti, la Corte ha già dichiarato che, ove il requisito di cui al punto 37 della presente sentenza sia soddisfatto, la propria competenza può anche essere dimostrata in situazioni che rientrano in un caso di esclusione dall’ambito di applicazione di un atto dell’Unione (sentenza del 7 novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

41      In tale contesto, la competenza della Corte non può ragionevolmente variare a seconda che l’ambito di applicazione della disposizione pertinente sia stato delimitato per mezzo di una definizione positiva o mediate la definizione di taluni casi di esclusione, potendo tali due tecniche legislative essere usate indifferentemente (sentenza del 7 novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 39).

42      Inoltre, anche se il giudice del rinvio espone che i suoi dubbi quanto alla competenza della Corte risultano dalla sentenza del 18 ottobre 2012, Nolan (C‑583/10, EU:C:2012:638), si deve rilevare che la causa che ha dato luogo a tale sentenza era caratterizzata da specificità che non si ritrovano nel procedimento principale (v., per analogia, sentenza del 7 novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punti da 41 a 43).

43      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la Corte è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi su una domanda di ricongiungimento familiare presentata da un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora tale disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.

 Sulla seconda questione

44      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 debba essere interpretato nel senso che esso osta – in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – a che tale domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, a quanto riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.

 Sull’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/86

45      A tale riguardo, occorre rilevare che l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/86 consiste nel favorire il ricongiungimento familiare e che tale direttiva mira inoltre a concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, segnatamente ai minori (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 69).

46      In tale contesto, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva in esame impone agli Stati membri obblighi positivi precisi, cui corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti. Esso impone loro, nelle ipotesi contemplate da tale direttiva, di autorizzare il ricongiungimento familiare di taluni familiari del soggiornante senza potersi avvalere di discrezionalità (sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 60, nonché del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 70).

47      Tra i familiari del soggiornante dei quali lo Stato membro interessato deve autorizzare l’ingresso e il soggiorno sono inclusi, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86 «i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento».

48      Inoltre, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4 di tale direttiva, qualora essi siano a carico del rifugiato.

49      A tale riguardo, il giudice del rinvio ha precisato che il diritto dei Paesi Bassi autorizza il ricongiungimento familiare dei minorenni a cui il soggiornante è legato da vincoli familiari effettivi e che le autorità dei Paesi Bassi sono tenute ad autorizzare il ricongiungimento familiare richiesto se è accertata l’esistenza di un vincolo familiare tra il soggiornante e un minorenne.

50      Nel caso di specie, poiché la sig.ra A. sostiene di essere la tutrice di E., sembra che la domanda di ricongiungimento familiare in questione nel procedimento principale possa rientrare, quantomeno, nella situazione di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 e che, se tale ipotesi fosse accertata, il diritto dei Paesi Bassi imporrebbe alle autorità di tale paese di autorizzare il ricongiungimento familiare richiesto.

51      Pertanto, per ragioni analoghe a quelle esposte al punto 38 della presente sentenza, si deve considerare che l’articolo 11 di tale direttiva è stato reso applicabile dal diritto dei Paesi Bassi a una situazione come quella di cui al procedimento principale.

 Sulla valutazione, che deve essere effettuata dalle autorità nazionali competenti, di una richiesta di ricongiungimento familiare

52      Per quanto riguarda la valutazione che spetta alle autorità nazionali competenti effettuare, sia dall’articolo 5, paragrafo 2, sia dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 risulta che tali autorità dispongono di un margine discrezionale, in particolare, nel valutare l’esistenza o meno di vincoli familiari, valutazione che deve avvenire conformemente al diritto nazionale (v., in tal senso, sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 59, nonché del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 74).

53      Tuttavia, il margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri non deve essere impiegato dagli stessi in un modo che pregiudicherebbe l’obiettivo della direttiva 2003/86 e il suo effetto utile. Inoltre, come emerge dal considerando 2 di tale direttiva, quest’ultima riconosce i diritti fondamentali e rispetta i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punti 74 e 75).

54      Spetta pertanto agli Stati membri non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto dell’Unione, ma anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di un testo di diritto derivato contrastante con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 105; del 23 dicembre 2009, Detiček, C‑403/09 PPU, EU:C:2009:810, punto 34, nonché del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 78).

55      Orbene, l’articolo 7 della Carta, che riconosce il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, deve essere letto in correlazione con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, e tenendo conto della necessità per un minore di intrattenere regolarmente relazioni personali con i due genitori, necessità affermata all’articolo 24, paragrafo 3, della Carta (sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 58).

56      Ne consegue che le disposizioni della direttiva 2003/86 devono essere interpretate e applicate alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta, come risulta del resto dai termini del considerando 2 e dall’articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, che impongono agli Stati membri di esaminare le domande di ricongiungimento in questione nell’interesse dei minori coinvolti e nell’ottica di favorire la vita familiare (sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 80).

57      A tale riguardo, spetta alle autorità nazionali competenti procedere a una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco, tenendo conto in particolare di quelli dei minori coinvolti (sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 81).

58      Si deve inoltre tener conto dell’articolo 17 della direttiva 2003/86, che impone un’individualizzazione dell’esame delle domande di ricongiungimento (sentenze del 9 luglio 2015, K e A, C‑153/14, EU:C:2015:453, punto 60, nonché del 21 aprile 2016, Khachab, C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 43), che deve prendere in debita considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona, la durata della residenza nello Stato membro nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il rispettivo paese di origine (sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 64).

59      Di conseguenza, spetta alle autorità nazionali competenti, in sede di attuazione della direttiva 2003/86 e di esame delle domande di ricongiungimento familiare, procedere, in particolare, a una valutazione individuale che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie e che, ove necessario, presti particolare attenzione agli interessi dei minori coinvolti e all’ottica di favorire la vita familiare. In particolare, circostanze quali l’età dei minori coinvolti, la loro situazione nel paese di origine e il loro grado di dipendenza dai genitori possono incidere sulla portata e sull’intensità dell’esame richiesto (v., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 56). In ogni caso, come indicato al punto 6.1 degli orientamenti, nessun elemento preso separatamente può portare automaticamente a una decisione.

 Sugli obblighi del soggiornante nonché del suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare

60      Per quanto riguarda gli obblighi del soggiornante nonché del suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86, una simile domanda deve essere corredata, in particolare, di «documenti che comprovano i vincoli familiari». L’articolo 11, paragrafo 2, di tale direttiva precisa che detti documenti devono avere un carattere «ufficiale» e che, in loro mancanza, «gli Stati membri tengono conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza di tali vincoli». Quanto all’articolo 5, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva in esame, esso dispone che, ove «opportuno, per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie».

61      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 57 e 71 delle sue conclusioni, da tali disposizioni risulta che il soggiornante e il familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare sono tenuti a cooperare con le autorità nazionali competenti, segnatamente ai fini dell’accertamento della loro identità, dell’esistenza dei loro vincoli familiari, nonché delle ragioni che giustificano la loro domanda, il che comporta dover fornire, per quanto possibile, i documenti richiesti ed eventualmente le spiegazioni e informazioni sollecitate (v., per analogia, sentenza del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 38).

62      Tale obbligo di cooperare implica pertanto che il soggiornante o il suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare forniscano tutti gli elementi di prova pertinenti per valutare l’effettività dei vincoli familiari che allegano, ma anche che rispondano alle domande e alle richieste ad essi rivolte a tale riguardo dalle competenti autorità nazionali, che rimangano a disposizione di tali autorità per colloqui o altre indagini e che spieghino, in caso di impossibilità di fornire documenti ufficiali attestanti i loro vincoli familiari, le ragioni per cui non sono in grado di fornire tali documenti.

 Sull’esame degli elementi di prova forniti e delle dichiarazioni prodotte

63      Per quanto riguarda l’esame, da parte delle autorità nazionali competenti, del carattere probatorio o plausibile degli elementi di prova, delle dichiarazioni o delle spiegazioni in tal modo fornite dal soggiornante o dal suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare, la valutazione individuale richiesta impone a tali autorità di tenere conto di tutti gli elementi pertinenti, tra cui l’età, il genere, il livello d’istruzione, l’origine familiare e lo status sociale del soggiornante o del suo familiare interessato, nonché gli specifici aspetti culturali, come indicato anche al punto 6.1.2 degli orientamenti.

64      Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 65, 66, 77, 79 e 81 delle sue conclusioni, ne consegue che tali elementi, dichiarazioni e spiegazioni forniti, da un lato devono essere valutati oggettivamente, tenendo conto delle informazioni sia generali sia specifiche pertinenti, obiettive, affidabili, precise e aggiornate sulla situazione nel paese di origine, compresi, in particolare, lo stato della legislazione e il modo di applicarla, il funzionamento dei servizi amministrativi e, se del caso, l’esistenza di carenze riguardanti determinate località o determinati gruppi di persone in tale paese.

65      Dall’altro, le autorità nazionali devono tenere in considerazione anche la personalità del soggiornante o del suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare, la situazione concreta in cui si trovano e le specifiche difficoltà che devono affrontare, di modo che i requisiti che possono essere imposti per quanto attiene al carattere probatorio o plausibile degli elementi forniti dal soggiornante o dal familiare, in particolare al fine di determinare l’incapacità di fornire documenti ufficiali che comprovano i vincoli familiari, devono essere proporzionati e dipendono dalla natura e dal livello delle difficoltà cui essi sono esposti.

66      Infatti, ai sensi del considerando 8 della direttiva 2003/86, la situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. Come precisato parimenti al punto 6.1.2 degli orientamenti, la situazione particolare dei rifugiati presuppone che spesso è impossibile o pericoloso per i rifugiati o per i loro familiari produrre documenti ufficiali o mettersi in contatto con le autorità consolari o diplomatiche del loro paese di origine.

67      Inoltre, dalle considerazioni che precedono si evince che, se il soggiornante viene meno in modo flagrante al dovere di cooperazione che incombe su di esso o se risulta chiaramente, sulla base di elementi oggettivi a disposizione delle autorità nazionali competenti, che la domanda di ricongiungimento familiare ha carattere fraudolento, tali autorità nazionali hanno il diritto di respingerla.

68      Per contro, non verificandosi siffatte circostanze, la mancanza di documenti ufficiali che comprovano i vincoli familiari nonché l’eventuale implausibilità delle spiegazioni fornite a tale proposito devono essere considerate semplici elementi di cui tener conto nella valutazione individuale di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie e non esimono le autorità nazionali competenti dall’obbligo, previsto all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, di prendere in considerazione altri mezzi di prova.

69      Come infatti anche il punto 6.1.2 degli orientamenti ricorda, l’articolo 11, paragrafo 2, di tale direttiva dispone esplicitamente, senza lasciare alcuna discrezionalità a tale proposito, che l’assenza di documenti probatori non può essere l’unico motivo del rigetto della domanda, e fa obbligo agli Stati membri, in tali casi, di tener conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza dei vincoli familiari.

 Sulla conformità ai requisiti della direttiva 2003/86 dell’esame da parte del Segretario di Stato della domanda di cui al procedimento principale

70      Nel caso di specie, nelle sue decisioni del 12 maggio 2016 e del 27 ottobre 2016, il Segretario di Stato ha ritenuto, in particolare, che la sig.ra A. non avesse fornito alcun documento ufficiale relativo alla morte dei genitori di E. e alla tutela da essa esercitata sul minore né fornito spiegazioni plausibili quanto alla sua incapacità di fornire siffatti documenti, ove invece, secondo il Segretario di Stato, in Eritrea era possibile ottenere questo tipo di documenti.

71      È tuttavia pacifico che, all’udienza del 13 settembre 2017 dinanzi al giudice del rinvio, il Segretario di Stato ha abbandonato la sua obiezione relativa alla mancanza di documenti ufficiali relativi all’esistenza della tutela esercitata dalla sig.ra A. su E., dopo aver constatato che, nel diritto eritreo, siffatta tutela era conferita ex lege.

72      Ne consegue che la decisione di rigetto della domanda di ricongiungimento familiare di cui al procedimento principale è ormai basata soltanto sulla mancanza di certificati di morte dei genitori biologici di E. e sull’implausibilità delle spiegazioni fornite a tale proposito dalla sig.ra A.

73      In udienza dinanzi alla Corte, il governo dei Paesi Bassi ha sostenuto che sarebbe necessario accertare la morte dei genitori biologici di E. al fine di escludere le ipotesi di sottrazione di minori o addirittura di una tratta di esseri umani.

74      Orbene, e fatte salve le verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare, occorre constatare, in primo luogo, che dal fascicolo a disposizione della Corte non risulta alcuna violazione del dovere di cooperazione che incombe sulla sig.ra A. È infatti pacifico che quest’ultima ha risposto a tutte le domande e richieste che le sono state poste dal Segretario di Stato durante il procedimento amministrativo e che, in particolare, essa ha esposto le ragioni per cui lei stessa ed E. si erano trovati, dal suo punto di vista, nell’incapacità di fornire i documenti ufficiali che comprovano i vincoli familiari richiesti da dette autorità.

75      Riguardo a quest’ultimo punto, come risulta dal fascicolo a disposizione della Corte, la sig.ra A. ha sostenuto, anzitutto, che il rilascio di certificati di morte in Eritrea non rientrerebbe nella competenza dei servizi di stato civile di Asmara (Eritrea), bensì in quella delle amministrazioni locali, presso cui la procedura di rilascio varierebbe notevolmente a seconda della località. La sig.ra A. ha poi sottolineato di non aver mai posseduto siffatti certificati, dal momento che è originaria di un piccolo villaggio, usciva di casa solo per necessità e il possesso di certificati di morte era inusuale. Infine, sarebbe impossibile ottenere oggi i suddetti certificati, dato che lei ed E. avevano lasciato l’Eritrea illegalmente, di modo che la richiesta di siffatti certificati tramite conoscenti locali li avrebbe eventualmente esposti all’accusa di «condotte che integrano la diaspora» e avrebbe fatto correre pericoli alla loro famiglia rimasta in Eritrea e il rischio di dover pagare una «tassa sulla diaspora».

76      In secondo luogo, dal medesimo fascicolo si evince che, anche se il Segretario di Stato ha tenuto conto, ai fini dell’esame della plausibilità delle spiegazioni fornite dalla sig.ra A. delle informazioni generali disponibili relative alla situazione in Eritrea, non appare chiaramente che esso ha tenuto conto del modo in cui viene applicata la normativa pertinente né del fatto che il funzionamento dei servizi di stato civile di tale paese dipende eventualmente dai diversi contesti locali. Inoltre, tale fascicolo non consente nemmeno di verificare se, ed eventualmente in quale misura, il Segretario di Stato ha tenuto conto della personalità e della situazione concreta della sig.ra A. e di E. nonché delle specifiche difficoltà che essi si sono trovati ad affrontare, secondo quanto riferiscono, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.

77      In terzo luogo, nessun elemento del fascicolo a disposizione della Corte evidenzia che il Segretario di Stato avrebbe tenuto conto dell’età di E., della sua situazione di rifugiato in Sudan, paese in cui, stando alle informazioni fornite dalla sig.ra A., egli vivrebbe presso una famiglia affidataria senza alcun legame familiare, o l’interesse superiore di detto minore, come si presenterebbe in simili circostanze. Orbene, se le affermazioni della sig.ra A. dovessero risultare veritiere, l’accoglimento della domanda di ricongiungimento familiare di cui al procedimento principale potrebbe essere l’unico mezzo di garantire a E. la possibilità di crescere all’interno della famiglia. Orbene, come è stato rilevato al punto 59 della presente sentenza, siffatte circostanze sono tali da influire sulla portata e sull’intensità dell’esame richiesto.

78      Se è pur vero che le autorità nazionali competenti possono ricorrere a procedure finalizzate a individuare le domande fraudolente di ricongiungimento familiare in un contesto di sottrazione di minori o addirittura di tratta di esseri umani, come giustamente rilevato dal governo dei Paesi Bassi, tale circostanza non dispensa dette autorità dall’obbligo di tenere conto dell’interesse superiore di un minore che si trovi potenzialmente in circostanze come quelle descritte dalla sig.ra A.

79      Inoltre, la mancanza di un certificato di morte dei genitori biologici e l’insufficiente plausibilità delle spiegazioni fornite per giustificare tale mancanza non possono di per sé consentire di concludere nel senso che una domanda di ricongiungimento familiare esaminata si situi necessariamente in un contesto di sottrazione di minori o di tratta di esseri umani. A tale riguardo, dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 – secondo cui lo Stato membro interessato tiene conto di altri mezzi idonei a provare l’esistenza dei vincoli familiari e non può basarsi unicamente sull’assenza di documenti probatori, letto alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta – risulta che le autorità nazionali possono, a seconda delle circostanze del caso di specie, essere tenute a procedere a ulteriori verifiche necessarie, quali un colloquio con il soggiornante, al fine di escludere l’esistenza di simili fenomeni.

80      Spetta al giudice del rinvio, che è l’unico ad avere una conoscenza diretta della controversia sottopostagli, verificare, tenendo conto degli elementi indicati nei punti precedenti, se l’esame, condotto dal Segretario di Stato, della domanda di cui al procedimento principale sia conforme ai requisiti della direttiva 2003/86.

81      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che esso osta – in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – a che tale domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, stando a quanto essi riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.

 Sulle spese

82      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi su una domanda di ricongiungimento familiare presentata da un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora tale disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.

2)      L’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che esso osta – in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – a che tale domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, stando a quanto essi riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.