Language of document : ECLI:EU:C:2019:626

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

29 luglio 2019 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46, paragrafo 3 – Esame completo ed ex nunc – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto a un ricorso effettivo – Portata dei poteri del giudice di primo grado – Assenza di potere di riforma – Rifiuto dell’autorità amministrativa o quasi giurisdizionale competente di conformarsi a una decisione di tale giudice»

Nella causa C‑556/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Pécsi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Pécs, Ungheria), con decisione del 5 settembre 2017, pervenuta in cancelleria il 22 settembre 2017, nel procedimento

Alekszij Torubarov

contro

Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal e M. Vilaras, presidenti di sezione, A. Rosas, E. Juhász, M. Ilešič (relatore), M. Safjan, D. Šváby, C.G. Fernlund, C. Vajda, N. Piçarra, L.S. Rossi e I. Jarukaitis, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: I. Illéssy, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 gennaio 2019,

considerate le osservazioni presentate:

–        per A. Torubarov, da T. Fazekas e I. Bieber, ügyvédek;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;

–        per il governo slovacco, da B. Ricziová, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da M. Condou‑Durande e A. Tokár, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 aprile 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Alekszij Torubarov e il Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ufficio per l’immigrazione e l’asilo, Ungheria; in prosieguo: l’«Ufficio per l’immigrazione») in merito al rigetto da parte di quest’ultimo della domanda di protezione internazionale presentata dal sig. Torubarov.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 2011/95/UE

3        L’articolo 1 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9), prevede quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta».

4        L’articolo 2 della direttiva 2011/95 così recita:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria (…)

(…)

d)      “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

(…)

f)      “persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

(…)».

5        I capi da II a VI della direttiva succitata vertono, rispettivamente, sulla valutazione delle domande di protezione internazionale, sui requisiti per essere considerato rifugiato, sullo status di rifugiato, sui requisiti per la protezione sussidiaria e sullo status conferito da quest’ultima.

6        L’articolo 13 della direttiva in parola, intitolato «Riconoscimento dello status di rifugiato» e contenuto nel capo IV della medesima, così dispone:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III».

7        L’articolo 14 della direttiva 2011/95, intitolato «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato» e contenuto nello stesso capo IV, così recita:

«1.      Per quanto riguarda le domande di protezione internazionale (…), gli Stati membri revocano (…) lo status di rifugiato riconosciuto a un cittadino di un paese terzo o a un apolide da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario (…)

(…)

4.      Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare (…) lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario (…)

(…)».

8        L’articolo 15 della direttiva in questione, intitolato «Danno grave» e contenuto nel capo V della medesima, elenca i tipi di danni che fanno sorgere il diritto alla protezione sussidiaria.

9        L’articolo 18 della medesima direttiva, intitolato «Riconoscimento dello status di protezione sussidiaria» e contenuto nel capo VI della stessa, è del seguente tenore:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo o a un apolide aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria in conformità dei capi II e V».

10      L’articolo 19 della direttiva 2011/95, intitolato «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di protezione sussidiaria» e contenuto nello stesso capo VI, così dispone:

«1.      Per quanto riguarda le domande di protezione internazionale (…), gli Stati membri revocano (…) lo status di protezione sussidiaria riconosciuta a un cittadino di un paese terzo o a un apolide da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario (…)

2.      Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare (…) lo status di protezione sussidiaria riconosciuto (…) da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario (…)

(…)».

 Direttiva 2013/32

11      I considerando 18, 50 e 60 della direttiva 2013/32 così recitano:

«(18)      È nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo.

(…)

(50)      È un principio fondamentale del diritto dell’Unione che le decisioni relative a una domanda di protezione internazionale (…) siano soggette a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

(…)

(60)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti nella Carta. In particolare, la presente direttiva intende assicurare il pieno rispetto della dignità umana nonché promuovere l’applicazione degli articoli 1, 4, 18, 19, 21, 23, 24 e 47 della Carta e deve essere attuata di conseguenza».

12      Ai sensi del suo articolo 1, obiettivo della direttiva 2013/32 è stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95.

13      L’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32 definisce l’«autorità accertante» come «qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo».

14      A termini dell’articolo 46, paragrafi 1, 3 e 4, della direttiva succitata:

«1.      Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti [atti]:

a)      la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

i)      di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;

(…)

(…)

3.      Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95], quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado.

4.      Gli Stati membri prevedono termini ragionevoli e le altre norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad un ricorso effettivo di cui al paragrafo 1. (…)».

15      L’articolo 51, paragrafo 1, della medesima direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi (…) agli articoli da 32 a 46 (…) entro il 20 luglio 2015. (…)».

16      Ai sensi dell’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32:

«Gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate (…) dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente. Alle domande presentate prima del 20 luglio 2015 (…) si applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi della direttiva 2005/85/CE [del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13)]».

 Diritto ungherese

 Legislazione applicabile ai procedimenti relativi alla protezione internazionale in vigore prima del 15 settembre 2015

17      L’articolo 339, paragrafi 1 e 2, lettera j), della polgári perrendtartásról szóló 1952. évi III. törvény (legge n. III del 1952 recante codice di procedura civile), nella versione in vigore prima del 15 settembre 2015, prevedeva quanto segue:

«1.      Salvo diversamente disposto dalla legge, il giudice annulla le decisioni amministrative che reputa illegittime, fatta eccezione per la violazione di norme procedurali che non incidono sul merito del caso, e, se necessario, ordina all’autorità che adotta una decisione amministrativa di avviare un nuovo procedimento.

2.      Il giudice può riformare le decisioni amministrative seguenti:

(…)

j)      decisione sul riconoscimento dello status di rifugiato».

18      Una disposizione analoga al succitato articolo 339, paragrafo 2, lettera j), era contenuta nell’articolo 68, paragrafo 5, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007 sul diritto di asilo; in prosieguo: la «legge sul diritto d’asilo»).

 Legislazione applicabile ai procedimenti relativi alla protezione internazionale in vigore dopo il 15 settembre 2015

19      Il 15 settembre 2015, è entrata in vigore la egyes törvényeknek a tömeges bevándorlás kezelésével összefüggő módosításáról szóló 2015. évi CXL. törvény (legge n. CXL del 2015 sulla modifica di alcune leggi concernenti la gestione dell’immigrazione di massa; in prosieguo: la «legge relativa alla gestione dell’immigrazione di massa»). L’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), di tale legge ha abrogato l’articolo 339, paragrafo 2, lettera j), della legge n. III del 1952 recante codice di procedura civile. L’articolo 14 della legge relativa alla gestione dell’immigrazione di massa ha modificato l’articolo 68, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo.

20      A seguito di quest’ultima modifica, l’articolo 68, paragrafi 3, 5 e 6, della legge sul diritto di asilo, reso applicabile anche alle cause in corso al momento della sua entrata in vigore, è così formulato:

«3.      (…) Il giudice effettua un esame completo sia dei fatti sia dei punti di ordine giuridico alla data di adozione della decisione giurisdizionale.

(…)

5.      Il giudice non riforma la decisione dell’autorità competente in materia di asilo. Il giudice annulla le decisioni amministrative che reputa illegittime, fatta eccezione per la violazione di norme procedurali che non incidono sul merito, e, se necessario, ordina all’autorità competente in materia di asilo di avviare un nuovo procedimento.

6.      La decisione adottata dal giudice al termine del procedimento è definitiva e non impugnabile».

21      L’articolo 109, paragrafo 4, della közigazgatási hatósági eljárás és szolgáltatás általános szabályairól szóló 2004. évi CXL. Törvény (legge n. CXL del 2004 che stabilisce disposizioni generali in materia di procedimento e servizi amministrativi; in prosieguo: la «legge relativa al procedimento amministrativo») prevede quanto segue:

«L’autorità è vincolata dal dispositivo e dalle motivazioni della decisione adottata dal giudice competente in materia di ricorsi amministrativi e si conforma a essi nel nuovo procedimento e all’atto di adozione di una nuova decisione».

22      A termini dell’articolo 121, paragrafo 1, lettera f), della suddetta legge:

«Nei procedimenti disciplinati dal presente capo, le decisioni sono annullate:

(…)

(f)      quando il contenuto della decisione è in contrasto con quanto stabilito [al paragrafo 4] dell’articolo 109».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

23      Il sig. Torubarov, cittadino russo, esercitava la professione di imprenditore e partecipava, in qualità di membro, alle attività di un partito politico russo di opposizione e di un’organizzazione non governativa che rappresenta gli interessi degli imprenditori. Dal 2008, sono stati promossi nei suoi confronti vari procedimenti penali in Russia. Il sig. Torubarov ha quindi lasciato il territorio russo per trasferirsi inizialmente in Austria e successivamente nella Repubblica ceca, da dove è stato estradato in Russia il 2 maggio 2013.

24      Dopo il ritorno in Russia, egli è stato nuovamente rinviato a giudizio, ma lasciato in libertà per organizzare la propria difesa. Il 9 dicembre 2013, ha attraversato illegalmente il confine ungherese ed è stato subito fermato dalle forze di polizia di tale Stato membro. Poiché il sig. Torubarov non era in grado di dimostrare la legittimità del suo soggiorno in Ungheria, la polizia ha proceduto al suo arresto. In pari data, il sig. Torubarov ha presentato una domanda di protezione internazionale.

25      Con decisione del 15 agosto 2014, l’Ufficio per l’immigrazione ha respinto la suddetta domanda di protezione internazionale. A sostegno della sua decisione, esso ha addotto che sia le dichiarazioni rese dal sig. Torubarov sia le informazioni raccolte in relazione alla situazione nel suo paese di origine confermavano l’improbabilità del fatto che, per ragioni politiche o di altro tipo, egli fosse oggetto di persecuzioni in tale paese, o che vi subisse danni gravi, ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2011/95.

26      Il sig. Torubarov ha impugnato la summenzionata decisione dinanzi al Pécsi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Pécs, Ungheria), giudice del rinvio. Quest’ultimo, con sentenza del 6 maggio 2015, ha annullato la decisione in questione e ha ordinato all’Ufficio per l’immigrazione di avviare un nuovo procedimento e di adottare una nuova decisione. Tale annullamento è stato pronunciato con la motivazione che questa stessa decisione presentava contraddizioni e che l’Ufficio per l’immigrazione aveva, in generale, omesso di esaminare i fatti sottoposti alla sua valutazione o, per quanto riguarda quelli che aveva preso in considerazione, li aveva valutati in maniera tendenziosa, sicché la sua decisione era priva di fondamento e non poteva essere sottoposta a un sindacato giurisdizionale nel merito. Nella sua decisione, il medesimo giudice ha altresì fornito all’Ufficio per l’immigrazione indicazioni dettagliate sugli elementi che questo era tenuto a esaminare nell’ambito del nuovo procedimento da avviare.

27      In esito a questo secondo procedimento amministrativo, l’Ufficio per l’immigrazione, con decisione del 22 giugno 2016, ha nuovamente respinto la domanda di protezione internazionale del sig. Torubarov, adducendo, in particolare, che nel suo paese di origine gli sarebbe stato garantito il diritto a un procedimento giurisdizionale indipendente e che non sarebbe stato ivi esposto ad alcun rischio di persecuzione. A sostegno di questa nuova decisione, e conformemente alle indicazioni fornite dal giudice del rinvio, l’ufficio in questione, tenuto conto di tutti i documenti trasmessigli dal sig. Torubarov, ha in particolare raccolto informazioni relative alla corruzione in Russia e alle condizioni di detenzione nelle prigioni russe nonché sul funzionamento della giustizia in Russia.

28      In questa seconda decisione, l’Ufficio per l’immigrazione si è parimenti basato su una perizia dell’Alkotmányvédelmi Hivatal (Ufficio per la tutela della costituzione, Ungheria). Quest’ultimo ha ritenuto che la presenza del sig. Torubarov nel territorio ungherese arrecasse pregiudizio agli interessi della sicurezza nazionale, giacché l’interessato si sarebbe reso colpevole di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite, ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera c), della Convenzione sullo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954 e integrata e modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato a sua volta in vigore il 4 ottobre 1967.

29      Il sig. Torubarov ha impugnato la decisione dell’Ufficio per l’immigrazione del 22 giugno 2016 dinanzi al giudice del rinvio. Quest’ultimo ha annullato la medesima decisione con sentenza del 25 febbraio 2017 e ha ordinato all’Ufficio per l’immigrazione di avviare un nuovo procedimento e di adottare una nuova decisione. Esso ha infatti ritenuto che la decisione del 22 giugno 2016 fosse illegittima, in conseguenza di una valutazione manifestamente erronea, da un lato, delle informazioni relative al paese interessato e, dall’altro, della perizia dell’Ufficio per la tutela della costituzione.

30      A tale riguardo, il giudice del rinvio ha constatato che dai fatti descritti nella summenzionata decisione emergeva chiaramente che, contrariamente alla valutazione effettuata dall’Ufficio per l’immigrazione, il sig. Torubarov aveva il timore fondato di essere perseguitato in Russia per le sue opinioni politiche e di subirvi danni gravi. Esso ha, inoltre, rilevato che il contenuto e il dispositivo della perizia dell’Ufficio per la tutela della costituzione, la quale conteneva informazioni nazionali classificate, non concordavano e che l’Ufficio per l’immigrazione non aveva valutato il contenuto della stessa perizia, da cui si poteva chiaramente dedurre che i fatti ivi considerati non costituivano elementi a carico del sig. Torubarov, bensì, al contrario, prove che dimostravano la fondatezza della sua domanda di protezione internazionale.

31      Con decisione del 15 maggio 2017 (in prosieguo: la «decisione in questione»), l’Ufficio per l’immigrazione ha respinto, per la terza volta, la domanda di protezione internazionale del sig. Torubarov quanto al riconoscimento sia dello status di rifugiato sia dello status di protezione sussidiaria, argomentando in particolare che non poteva essere accertata nei suoi confronti alcuna persecuzione per motivi politici. Detto ufficio non ha tuttavia più fatto riferimento alla perizia dell’Ufficio per la tutela della costituzione a sostegno della sua decisione.

32      Il giudice del rinvio è attualmente investito di un terzo ricorso, questa volta avverso la decisione in questione, con il quale il sig. Torubarov chiede che la medesima venga riformata di modo che tale giudice gli riconosca, in via principale, lo status di rifugiato o, in subordine, quello di beneficiario della protezione sussidiaria.

33      A tale proposito, il giudice del rinvio riferisce, tuttavia, che, dopo l’entrata in vigore, il 15 settembre 2015, della legge relativa alla gestione dell’immigrazione di massa, il potere dei giudici amministrativi di riformare le decisioni amministrative relative al riconoscimento della protezione internazionale è stato soppresso.

34      Orbene, secondo il giudice del rinvio, la legislazione in parola finisce con il privare i richiedenti protezione internazionale di un ricorso giurisdizionale effettivo. L’unica conseguenza prevista dal diritto nazionale in caso di inosservanza, da parte dell’amministrazione, del suo obbligo di conformarsi al dispositivo e alla motivazione di una prima sentenza che annulla una prima decisione amministrativa di rigetto di una domanda di protezione internazionale consisterebbe infatti nell’annullamento della nuova decisione amministrativa. In una situazione del genere, il giudice adito non avrebbe quindi altra soluzione che ordinare all’amministrazione di avviare un nuovo procedimento e di adottare una nuova decisione. Lo stesso non potrebbe dunque né ingiungere all’amministrazione di riconoscere protezione internazionale al richiedente interessato né sanzionare l’inosservanza da parte di quest’ultima della sua prima sentenza, il che comporterebbe il rischio che il procedimento si prolunghi in maniera indefinita, in violazione dei diritti del richiedente.

35      È proprio quanto avviene nella causa di cui è investito il giudice del rinvio, in cui si sarebbe già verificato due volte l’annullamento delle decisioni dell’Ufficio per l’immigrazione e in cui tale ufficio avrebbe adottato una terza decisione, vale a dire la decisione in questione, che non sarebbe conforme alla sua sentenza del 25 febbraio 2017, nella quale il medesimo giudice aveva deciso che doveva essere riconosciuta al sig. Torubarov protezione internazionale, salvo in caso di comprovata minaccia per la sicurezza pubblica. Pertanto, dalla presentazione della sua domanda di protezione internazionale nel dicembre 2013, il sig. Torubarov vivrebbe, in assenza di una decisione definitiva sulla medesima domanda, in una situazione di incertezza giuridica, senza beneficiare di alcuno status nel territorio ungherese.

36      In una simile situazione, il giudice del rinvio ritiene che il diritto ungherese non garantisca il diritto a un ricorso effettivo, sancito dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 e dall’articolo 47 della Carta. Esso si chiede, di conseguenza, se tali disposizioni del diritto dell’Unione lo autorizzino a riformare una decisione come quella in questione disapplicando la legislazione nazionale che gli nega tale competenza.

37      Stante quanto precede, il Pécsi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Pécs) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva [2013/32], in combinato disposto con l’articolo 47 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che i giudici ungheresi hanno il potere di riformare le decisioni amministrative dell’autorità competente in materia di asilo con cui viene negata la protezione internazionale, nonché di concedere detta protezione».

 Sulla questione pregiudiziale

38      Con la questione posta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, conferisce a un giudice di primo grado, investito di un ricorso proposto avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale, il potere di riformare la medesima decisione amministrativa e di sostituire la propria decisione a quella dell’organo amministrativo che l’ha adottata.

39      In limine, è opportuno rilevare che, conformemente all’articolo 52, primo comma, prima frase, della direttiva 2013/32, gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, della stessa alle domande di protezione internazionale presentate «dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente».

40      Dai lavori preparatori della direttiva 2013/32 si evince che, aggiungendo l’espressione «o ad una data precedente» al succitato articolo 52, primo comma, prima frase, il legislatore dell’Unione ha inteso consentire agli Stati membri di applicare le loro disposizioni di attuazione di tale direttiva, con effetto immediato, alle domande di protezione internazionale presentate prima del 20 luglio 2015 (v., in tal senso, sentenze del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 71 e 72, e del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punti 63 e 64).

41      Tuttavia, giacché l’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32 offre varie possibilità di applicazione ratione temporis, è importante, affinché i principi di certezza del diritto e di uguaglianza dinanzi alla legge siano rispettati nell’attuazione del diritto dell’Unione e i richiedenti protezione internazionale siano in tal modo tutelati contro l’arbitrarietà, che ogni Stato membro vincolato da tale direttiva tratti in modo prevedibile e uniforme le domande di protezione internazionale presentate nel corso di uno stesso periodo nel suo territorio (v., in tal senso, sentenze del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 73, e del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 66).

42      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la domanda di protezione internazionale del sig. Torubarov è stata presentata il 9 dicembre 2013, ossia successivamente all’entrata in vigore della direttiva 2013/32, il 19 luglio 2013, ma precedentemente alla data ultima in cui quest’ultima doveva essere recepita nel diritto nazionale, vale a dire il 20 luglio 2015.

43      Inoltre, il giudice del rinvio ha indicato, in risposta a una richiesta di informazioni rivoltagli dalla Corte, di essere tenuto, in forza del diritto nazionale, a conformarsi alla normativa nazionale che recepisce la direttiva 2013/32, entrata in vigore il 15 settembre 2015, e che vieta a un giudice di riformare una decisione amministrativa in materia di domanda di protezione internazionale, anche nell’ambito di procedimenti giudiziari che, pur riguardando una domanda di protezione internazionale presentata prima del 20 luglio 2015, sono stati avviati, al pari del ricorso oggetto del procedimento principale, dopo tale data. Tale informazione è stata confermata dal governo ungherese nelle sue osservazioni scritte.

44      A tale riguardo, da un lato, dalla giurisprudenza richiamata al punto 40 della presente sentenza risulta che uno Stato membro può liberamente decidere di rendere la legislazione che recepisce la direttiva 2013/32 immediatamente applicabile a procedimenti di questo tipo.

45      Dall’altro, la Corte ha già precisato che una disposizione di diritto nazionale che prevede che un giudice debba fondare la propria decisione sulla situazione di fatto e di diritto esistente alla data della sua decisione garantisce che le domande di protezione internazionale, presentate nel corso di uno stesso periodo nel territorio nazionale e in merito alle quali non fosse ancora intervenuta una pronuncia definitiva, siano esaminate in modo prevedibile e uniforme (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punti 67 e 68).

46      Ciò premesso, l’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32 non osta a che un giudice nazionale, come il giudice del rinvio, applichi la normativa nazionale che recepisce la direttiva 2013/32 a un procedimento dinanzi a esso pendente, benché quest’ultimo riguardi una domanda di protezione internazionale presentata prima del 20 luglio 2015.

47      Stanti tali precisazioni preliminari, va rilevato che l’obiettivo della direttiva 2013/32, ai sensi del suo articolo 1, è quello di stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95.

48      Quest’ultima direttiva stabilisce, da parte sua e conformemente al suo articolo 1, norme, anzitutto, sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, poi, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché, infine, sul contenuto della protezione riconosciuta.

49      Come ha già precisato la Corte, dagli articoli 13 e 18 della direttiva 2011/95, letti in combinato disposto con le definizioni dei termini «rifugiato» e «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria», contenute nell’articolo 2, lettere d) e f), della stessa, risulta che la protezione internazionale contemplata in tale direttiva deve, in linea di principio, essere riconosciuta al cittadino di un paese terzo e apolide il quale abbia un timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, o che corra un rischio effettivo di subire danni gravi, ai sensi dell’articolo 15 della medesima direttiva (v., in tal senso, sentenze del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 47, e del 23 maggio 2019, Bilali, C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 36).

50      Pertanto, allorché una persona soddisfa le norme minime stabilite dal diritto dell’Unione per beneficiare di uno di tali status, in quanto rispetta i requisiti previsti, rispettivamente, ai capi II e III o ai capi II e V della direttiva 2011/95, gli Stati membri sono tenuti, fatte salve le cause di esclusione previste dalla medesima direttiva, a riconoscere la protezione internazionale richiesta, atteso che gli stessi Stati non dispongono di un potere discrezionale al riguardo [v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 63; del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 52, e del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato), C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 89].

51      L’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 riconosce ai richiedenti protezione internazionale il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni relative alla loro domanda. L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva in questione definisce la portata del diritto al ricorso effettivo, precisando che gli Stati membri vincolati dalla medesima devono assicurare che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale proceda all’«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]» (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 105 e 106).

52      La locuzione «ex nunc» mette in evidenza l’obbligo del giudice di procedere a una valutazione che tenga conto, se del caso, dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto dell’impugnazione. Quanto all’aggettivo «completo», esso conferma che il giudice è tenuto a esaminare sia gli elementi di cui l’autorità accertante ha tenuto o avrebbe potuto tenere conto sia quelli che sono intervenuti dopo l’adozione della decisione da parte della medesima (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 111 e 113).

53      Ne consegue che gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, ad adattare il loro diritto nazionale in modo tale che il trattamento dei ricorsi in questione preveda un esame, da parte del giudice, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentano di procedere a una valutazione aggiornata del caso di specie, di modo che la domanda di protezione internazionale possa essere trattata in maniera esaustiva, senza che sia necessario rinviare il fascicolo alla suddetta autorità. Un’interpretazione di questo tipo favorisce l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2013/32, diretto a garantire che simili domande siano trattate quanto prima possibile, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti da 109 a 112).

54      Tuttavia, l’articolo 46, paragrafo 3, della succitata direttiva si riferisce unicamente all’esame dell’impugnazione e non riguarda, pertanto, l’esito di un eventuale annullamento della decisione oggetto della medesima impugnazione. Adottando la direttiva 2013/32, il legislatore dell’Unione non ha inteso quindi introdurre una qualsiasi norma comune secondo la quale l’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), di tale direttiva dovrebbe perdere la sua competenza dopo l’annullamento della sua decisione iniziale relativa a una domanda di protezione internazionale, cosicché gli Stati membri conservano la facoltà di prevedere che il fascicolo debba, in seguito a un tale annullamento, essere rinviato al suddetto organo affinché esso adotti una nuova decisione (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 145 e 146).

55      Sebbene la direttiva 2013/32 riconosca agli Stati membri, in tal senso, un certo margine di manovra, in particolare, per determinare le norme relative al trattamento di una domanda di protezione internazionale qualora la decisione iniziale di un tale organo sia stata annullata da un giudice, si deve tuttavia rilevare, in primo luogo, che, nonostante un simile margine di manovra, gli Stati membri sono tenuti, nell’attuazione della direttiva in questione, a rispettare l’articolo 47 della Carta, il quale sancisce, a favore di ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati, il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice (v, in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). Le caratteristiche del ricorso previsto dall’articolo 46 della direttiva 2013/32 devono dunque essere determinate conformemente all’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 31, e del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 114).

56      In secondo luogo, si deve ricordare che l’articolo 47 della Carta è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 78). Alla luce, in particolare, di quanto ricordato al punto precedente, non si può pertanto diversamente ragionare con riguardo all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta.

57      In terzo luogo, il diritto a un ricorso effettivo sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico di uno Stato membro consentisse che una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria resti inoperante a danno di una parte (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Toma e Biroul Executorului Judecătoresc Horațiu‑Vasile Cruduleci, C‑205/15, EU:C:2016:499, punto 43).

58      È alla luce delle circostanze suesposte che la Corte ha ritenuto che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 sarebbe privato di tutto il suo effetto utile se si ammettesse che, dopo la pronuncia di una sentenza con la quale il giudice di primo grado ha proceduto, conformemente a tale disposizione, a una valutazione completa ed ex nunc delle esigenze di protezione internazionale del richiedente in forza della direttiva 2011/95, l’organo quasi giurisdizionale o amministrativo, di cui all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, possa adottare una decisione contrastante con la suddetta valutazione.

59      Di conseguenza, anche se la direttiva 2013/32 non mira a uniformare, in maniera precisa ed esaustiva, le norme procedurali che devono essere applicate all’interno degli Stati membri quando si tratta di adottare una nuova decisione relativa a una domanda di protezione internazionale dopo l’annullamento della decisione amministrativa iniziale di rigetto della medesima domanda, dall’obiettivo che persegue la direttiva in questione ‑ consistente nell’assicurare un trattamento quanto più rapido possibile delle domande di tale natura ‑, dall’obbligo di garantire un effetto utile al suo articolo 46, paragrafo 3, nonché dalla necessità, derivante dall’articolo 47 della Carta, di garantire l’effettività del ricorso, emerge nondimeno che ogni Stato membro vincolato dalla suddetta direttiva deve adattare il proprio diritto nazionale di modo che, in seguito all’annullamento di tale decisione iniziale e in caso di rinvio del fascicolo all’organo quasi giurisdizionale o amministrativo summenzionato, sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza che ha disposto l’annullamento (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 148).

60      È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre esaminare la questione posta.

61      A tale riguardo, va rilevato, anzitutto, che la formulazione dell’articolo 109, paragrafo 4, della legge relativa al procedimento amministrativo sembra soddisfare, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, l’obbligo di risultato incombente agli Stati membri in forza dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, e richiamato al punto 59 della presente sentenza, consistente nel garantire che, in seguito all’annullamento di una decisione relativa a una domanda di protezione internazionale e in caso di rinvio del fascicolo all’organo amministrativo che l’aveva adottata, la nuova decisione del medesimo organo sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza che ha pronunciato l’annullamento.

62      Tuttavia, all’udienza dinanzi alla Corte, il governo ungherese ha sostenuto che la succitata disposizione deve essere interpretata nel senso che, per preservare la ripartizione delle competenze tra, da un lato, l’amministrazione, che deve assumere un ruolo centrale nei procedimenti relativi a una domanda di protezione internazionale, e, dall’altro, il giudice investito di un ricorso di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, tale giudice può dare indicazioni sui fatti da esaminare e sui nuovi elementi di prova da raccogliere, fornire un’interpretazione della legge e indicare gli elementi pertinenti che l’autorità amministrativa deve prendere in considerazione, ma non può vincolare quest’ultima quanto alla valutazione concreta del caso di specie, la quale può basarsi su elementi di diritto e di fatto diversi da quelli presi in considerazione dallo stesso giudice, quali elementi nuovi intervenuti successivamente alla decisione giudiziaria.

63      Orbene, l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce della giurisprudenza della Corte, osta a una simile interpretazione.

64      La Corte ha, senz’altro, già riconosciuto che l’esame della domanda di protezione internazionale da parte dell’organo amministrativo o quasi giurisdizionale nazionale competente, dotato di mezzi specifici e di personale specializzato in materia, costituisce una fase essenziale delle procedure comuni istituite dalla direttiva 2013/32 (v., in tal senso, sentenze del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 116, e del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 96).

65      Ciò non toglie che, nel prevedere che il giudice competente a statuire su un ricorso contro una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale è tenuto a esaminare, se del caso, le «esigenze di protezione internazionale» del richiedente, il legislatore dell’Unione, con l’adozione dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, ha inteso conferire al medesimo giudice, qualora questi ritenga di disporre di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari al riguardo, il potere di pronunciarsi in modo vincolante, all’esito di un esame completo ed ex nunc, vale a dire esaustivo e aggiornato, di tali elementi, sulla questione se il richiedente di cui trattasi soddisfi i requisiti previsti dalla direttiva 2011/95 per il riconoscimento di protezione internazionale.

66      Da quanto precede risulta che, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 102 a 105, 107 e 108 delle conclusioni, quando un giudice statuisce sul ricorso di un richiedente protezione internazionale in modo esaustivo e procede, in tale sede, a un esame aggiornato delle «esigenze di protezione internazionale» del medesimo richiedente alla luce di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in esito al quale matura la convinzione che lo status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria, in applicazione dei criteri previsti dalla direttiva 2011/95, dovrebbe essere riconosciuto allo stesso richiedente per i motivi che quest’ultimo adduce a sostegno della sua domanda, e il medesimo giudice procede all’annullamento della decisione dell’organo amministrativo o quasi giurisdizionale che aveva respinto detta domanda e al rinvio del fascicolo all’organo in questione, quest’ultimo, fatta salva la sopravvenienza di elementi di fatto o di diritto che richiedano oggettivamente una nuova valutazione aggiornata, è vincolato da tale decisione giurisdizionale e dalla motivazione a essa sottesa. Pertanto, nell’ambito di un simile rinvio, l’organo in parola non dispone più di un potere discrezionale quanto alla decisione di riconoscere o no la protezione richiesta alla luce degli stessi motivi di quelli che sono stati sottoposti al suddetto giudice, salvo privare l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, nonché gli articoli 13 e 18 della direttiva 2011/95, di tutto il loro effetto utile.

67      Nel caso di specie, il giudice del rinvio chiede se, qualora un tale organo amministrativo o quasi giurisdizionale, al quale è stato rinviato il fascicolo, non si sia conformato alla sua sentenza di annullamento e il medesimo giudice sia investito, da parte del richiedente protezione internazionale, di un ricorso avverso la decisione dello stesso organo che nega nuovamente il beneficio di una simile protezione, senza menzionare, a sostegno di tale diniego, una causa di esclusione emersa nel frattempo o nuovi elementi di fatto o di diritto che richiedano una nuova valutazione, esso disponga, in forza del diritto dell’Unione, del potere di sostituire la propria decisione a quella dell’Ufficio per l’immigrazione riformandola in un senso conforme alla sua precedente sentenza, e ciò a dispetto di una normativa nazionale che gli vieta di procedere in tal modo.

68      Il giudice del rinvio sottolinea, a tale proposito, il fatto che il diritto nazionale non prevede mezzi che gli consentano di far rispettare la sua sentenza, in quanto la sola sanzione prevista da tale diritto è la nullità della decisione dell’Ufficio per l’immigrazione, il che può condurre a una successione di annullamenti di decisioni amministrative e di ricorsi giurisdizionali tale da prolungare la situazione di incertezza giuridica del richiedente, come il caso del sig. Torubarov qui dimostra.

69      A tale riguardo, come emerge dai punti 54 e 59 della presente sentenza, sebbene l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 non imponga agli Stati membri di conferire il potere di cui al punto 67 supra ai giudici competenti a conoscere dei ricorsi ai sensi di questa stessa disposizione, resta il fatto che i medesimi Stati membri sono tenuti ad assicurare, in ciascun caso, il rispetto del diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2016, Lesoochranárske zoskupenie VLK, C‑243/15, EU:C:2016:838, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

70      L’esistenza di una violazione dei diritti sanciti dalla succitata disposizione deve essere valutata in funzione delle circostanze di ciascun caso di specie (v., in tal senso, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 102, e del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 41).

71      Nel caso di specie, si deve sottolineare che il governo ungherese, in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte, ha menzionato una nuova legge relativa al procedimento amministrativo, entrata in vigore il 1o gennaio 2018, ossia successivamente alla data della domanda di pronuncia pregiudiziale. Tale legge istituirebbe alcune procedure e alcuni mezzi diretti a consentire ai giudici amministrativi di imporre agli organi amministrativi di conformarsi alle loro sentenze. Tuttavia, il suddetto governo ha altresì rimarcato che la modifica legislativa in questione non si applica ratione temporis alla controversia di cui al procedimento principale e che, in ogni caso, detti mezzi non possono essere attuati nel settore della protezione internazionale, sicché la situazione nella quale versa il giudice del rinvio, ossia quella di essere privo di qualsiasi mezzo che gli consenta di far rispettare la propria sentenza in tale settore, resta immutata.

72      Orbene, una legislazione nazionale che porta a una simile situazione priva, di fatto, il richiedente protezione internazionale di un ricorso effettivo, ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, e non tiene conto del contenuto essenziale del diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta, giacché la sentenza di un giudice adottata dopo un esame conforme ai requisiti del succitato articolo 46, paragrafo 3, e in esito al quale esso ha deciso che tale richiedente soddisfaceva i requisiti previsti dalla direttiva 2011/95 per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria, resta inoperante, non disponendo il medesimo giudice di alcun mezzo per far rispettare la sua sentenza.

73      Sarebbe dunque incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione di un ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria che porti a una riduzione dell’efficacia del diritto dell’Unione, negando al giudice competente quanto all’applicazione di tale diritto il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme dell’Unione dotate di un effetto diretto, quali l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punto 22, e del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punti da 52 a 62).

74      Pertanto, al fine di garantire al richiedente protezione internazionale una tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 47 della Carta, e conformemente al principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, il giudice nazionale investito del ricorso è tenuto a riformare la decisione dell’organo amministrativo o quasi giurisdizionale, nella fattispecie l’Ufficio per l’immigrazione, non conforme alla sua precedente sentenza, e a sostituire alla stessa la propria decisione sulla domanda di protezione internazionale dell’interessato, disapplicando, se necessario, la normativa nazionale che gli vieterebbe di procedere in tal senso (v., per analogia, sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 62).

75      Una simile interpretazione dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, si impone, in primo luogo, in considerazione del fatto che, come risulta dal punto 50 della presente sentenza, quando un richiedente protezione internazionale soddisfa i requisiti previsti dalla direttiva 2011/95 per beneficiare dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria, gli Stati membri sono tenuti a concedergli detto status senza disporre di un potere discrezionale al riguardo, in quanto una simile concessione, ai sensi dell’articolo 14, paragrafi 1 e 4, nonché dell’articolo 19, paragrafi 1 e 2, di quest’ultima direttiva, può essere disposta, in particolare, da un’autorità giudiziaria.

76      In secondo luogo, se è pur vero che la Corte ha dichiarato che, adottando la direttiva 2013/32, il legislatore dell’Unione non ha inteso introdurre una qualsiasi norma comune secondo la quale l’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), della medesima direttiva dovrebbe perdere la propria competenza dopo l’annullamento della sua decisione iniziale relativa a una domanda di protezione internazionale (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 146), resta il fatto che, se il suddetto organo, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, non ha rispettato la sentenza del giudice nazionale investito del ricorso, quest’ultimo giudice è tenuto a riformare la decisione di tale organo e di sostituirla con la propria decisione.

77      Di conseguenza, occorre, nel caso di specie, ritenere che, se, come sembra emergere dalle indicazioni contenute nella decisione di rinvio, il giudice del rinvio ha effettivamente proceduto, nella sua sentenza del 25 febbraio 2017, a un esame completo ed ex nunc delle «esigenze di protezione internazionale» del sig. Torubarov ai sensi della direttiva 2011/95 alla luce di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in esito al quale ha dichiarato che una simile protezione doveva essergli riconosciuta, ma tale sentenza non è stata rispettata dall’Ufficio per l’immigrazione, senza che la decisione in questione dimostri, a tale riguardo, la sopravvenienza di nuovi elementi che hanno richiesto una nuova valutazione, circostanza che spetta al medesimo giudice confermare, quest’ultimo deve, ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, riformare la decisione in questione, non conforme alla sua precedente sentenza, e sostituirla con la propria decisione quanto alla protezione internazionale di cui il sig. Torubarov deve beneficiare ai sensi della direttiva 2011/95, disapplicando al contempo la normativa nazionale che gli vieta, in linea di principio, di procedere in tal senso (v., per analogia, sentenze de 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 79, e del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 66).

78      Da tutto quanto precede risulta che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze, come quelle di cui al procedimento principale, in cui un giudice di primo grado ha constatato ‑ dopo aver effettuato un esame completo ed ex nunc di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti presentati dal richiedente protezione internazionale ‑ che, in applicazione dei criteri previsti dalla direttiva 2011/95, al richiedente in questione deve essere riconosciuta una simile protezione per il motivo che il medesimo invoca a sostegno della sua domanda, ma un organo amministrativo o quasi giurisdizionale adotta in seguito una decisione in senso contrario, senza dimostrare a tal fine la sopravvenienza di nuovi elementi che giustifichino una nuova valutazione delle esigenze di protezione internazionale dello stesso richiedente, il suddetto giudice deve riformare la summenzionata decisione non conforme alla propria precedente sentenza e sostituirla con la propria decisione quanto alla domanda di protezione internazionale, disapplicando, se necessario, la normativa nazionale che gli vieti di procedere in tal senso.

 Sulle spese

79      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze, come quelle di cui al procedimento principale, in cui un giudice di primo grado ha constatato  dopo aver effettuato un esame completo ed ex nunc di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti presentati dal richiedente protezione internazionale  che, in applicazione dei criteri previsti dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, al richiedente in questione deve essere riconosciuta una simile protezione per il motivo che il medesimo invoca a sostegno della sua domanda, ma un organo amministrativo o quasi giurisdizionale adotta in seguito una decisione in senso contrario, senza dimostrare a tal fine la sopravvenienza di nuovi elementi che giustifichino una nuova valutazione delle esigenze di protezione internazionale dello stesso richiedente, il suddetto giudice deve riformare la summenzionata decisione non conforme alla propria precedente sentenza e sostituirla con la propria decisione quanto alla domanda di protezione internazionale, disapplicando, se necessario, la normativa nazionale che gli vieti di procedere in tal senso.

Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.