Language of document : ECLI:EU:C:2018:749

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 20 settembre 2018 (1)

Causa C393/18 PPU

UD

contro

XB

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice [England & Wales], Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia, Regno Unito])

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia civile – Competenza in materia di responsabilità genitoriale – Regolamento (CE) n. 2201/2003 – Articolo 8, paragrafo 1 – Nozione di “residenza abituale del minore” – Nascita e soggiorno continuativo di un lattante in uno Stato terzo contro la volontà della madre – Mancanza di presenza fisica del lattante in uno Stato membro – Situazione risultante dalla coercizione esercitata dal padre e da una potenziale violazione dei diritti fondamentali della madre e del lattante – Assenza di una norma secondo cui un minore non può avere la propria residenza abituale in uno Stato membro in cui non è mai stato fisicamente presente»






I.      Introduzione

1.        Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, la High Court of Justice (England & Wales), Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia, Regno Unito], chiede alla Corte di pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (2) (in prosieguo: il «regolamento Bruxelles II bis»).

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la madre, cittadina bengalese, al padre, cittadino britannico, di una minore che, nel momento in cui è stata adita la suddetta autorità giudiziaria, aveva l’età di un anno circa. La minore è stata concepita, è nata e ha soggiornato in via continuativa in Bangladesh. La madre, secondo le sue allegazioni, sarebbe trattenuta dal padre contro la sua volontà in detto Stato terzo, dove ella si sarebbe recata, dopo aver soggiornato con il padre per circa sei mesi nel Regno Unito, con la sola intenzione di effettuarvi una visita temporanea. A causa della coercizione esercitata dal padre, ella sarebbe stata costretta a partorire in Bangladesh e a restarvi con la minore. La madre chiede al giudice del rinvio, da una parte, di disporre che la minore sia collocata sotto la tutela di tale organo giurisdizionale e, dall’altra, di ordinare il rientro di lei stessa e della minore in Inghilterra e Galles al fine di poter partecipare al procedimento giudiziario.

3.        A norma dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis, il giudice del rinvio è competente a pronunciarsi su tale richiesta solo se la minore aveva la propria residenza abituale nel Regno Unito alla data in cui detto giudice è stato adito. Quest’ultimo vuole sapere se il fatto che la minore non sia mai stata fisicamente presente in detto Stato membro le impedisca necessariamente di avervi la residenza abituale. Esso chiede alla Corte di esprimersi anche sulla rilevanza assunta, in tale contesto, dalla circostanza che l’assenza dal territorio del Regno Unito è il risultato della coercizione esercitata dal padre sulla madre, in potenziale violazione dei diritti fondamentali della madre e della minore.

4.        Al termine della mia analisi, concluderò nel senso che il fatto che un minore non si sia mai trovato in uno Stato membro non gli impedisce necessariamente di avere ivi la propria residenza abituale. Inoltre, preciserò gli elementi – tra cui rientra la ragione dell’assenza della madre e del figlio dal territorio di detto Stato membro – da prendere in considerazione ai fini di stabilire la residenza abituale del minore in una situazione come quella oggetto del procedimento principale.

II.    Contesto normativo

5.        Il considerando 12 del regolamento Bruxelles II bis è formulato come segue:

«È opportuno che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale accolte nel presente regolamento si informino all’interesse superiore del minore e in particolare al criterio di vicinanza. Ciò significa che la competenza giurisdizionale appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente (…)».

6.        L’articolo 8 di detto regolamento, dal titolo «Competenza generale», dispone, al suo paragrafo 1, che «[l]e autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono adit[e]».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

7.        La ricorrente nel procedimento principale (UD), cittadina bengalese, ha contratto nel 2013 in Bangladesh un matrimonio combinato con il resistente nel procedimento principale (XB), cittadino britannico. La ricorrente e il resistente nel procedimento principale sono, rispettivamente, madre e padre di una bambina concepita in Bangladesh nel maggio 2016.

8.        Nel giugno o nel luglio 2016, UD si è recata nel Regno Unito per vivervi con XB. Essa ha ottenuto dallo United Kingdom Home Office (Ministero degli Interni, Regno Unito) un visto d’ingresso per ricongiungimento con il coniuge, valido dal 1o luglio 2016 al 1o aprile 2019.

9.        UD contesta a XB e alla sua famiglia di aver commesso atti di violenza domestica, di natura sia fisica che psicologica. Inoltre, ella afferma di essere stata violentata due volte da XB. Quest’ultimo respinge tali accuse.

10.      Il 24 dicembre 2016 UD, in avanzato stato di gravidanza, si è recata con XB in Bangladesh, dove la figlia è nata il 2 febbraio 2017. Da quel momento, UD e la minore sono rimaste in tale paese. All’inizio di gennaio 2018, XB è ritornato in Inghilterra e Galles.

11.      Le parti del procedimento principale prospettano due versioni divergenti delle circostanze relative al loro viaggio in Bangladesh e degli eventi occorsi successivamente.

12.      UD afferma di essere trattenuta illegalmente con la figlia in Bangladesh da XB, contro la sua volontà. Ella sarebbe stata costretta a partorire in tale paese e a rimanervi in violazione dei suoi diritti fondamentali e di quelli riconosciuti alla minore ai sensi degli articoli 3 e 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Secondo le allegazioni di UD, XB l’avrebbe lasciata nel villaggio del padre di lei dicendole che sarebbe tornato a prenderla dopo una settimana. Tuttavia, egli non si sarebbe più ripresentato e le avrebbe sottratto il passaporto e gli altri documenti per impedirle di lasciare il Bangladesh. UD afferma che non si sarebbe mai recata in tale paese se fosse stata a conoscenza delle reali intenzioni di XB. UD sostiene di non avere accesso, nel villaggio in questione, a gas, energia elettrica o acqua potabile, e di non disporre di alcun reddito. Essa verrebbe stigmatizzata dalla comunità del villaggio in quanto separata da XB.

13.      XB contesta integralmente le suddette allegazioni. A suo dire, essi si sarebbero recati in Bangladesh su richiesta di UD, che non sarebbe stata felice nel Regno Unito. E sempre per desiderio di UD, XB sarebbe rientrato da solo in detto Stato membro.

14.      Il 20 marzo 2018 UD ha presentato un ricorso dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia]. Essa ha chiesto a tale giudice, in primo luogo, di voler collocare la minore sotto la propria tutela giudiziaria e, in secondo luogo, di ordinare il rientro di essa ricorrente e della minore in Inghilterra e Galles per consentire loro di prendere parte al procedimento di ricorso.

15.      Nel corso di un’udienza tenutasi lo stesso giorno, UD ha affermato che il giudice del rinvio è competente a pronunciarsi sul ricorso di cui trattasi. Ella afferma, in via principale, che alla data in cui detto giudice è stato adito la minore risiedeva abitualmente in Inghilterra e nel Galles. In subordine, UD afferma che detto giudice dispone, in forza del diritto nazionale, della competenza giurisdizionale parens patriae (vale a dire, della competenza fondata sulla nazionalità o sulla cittadinanza britannica) nei confronti della minore e che, nella specie, sarebbe tenuto ad esercitarla.

16.      In occasione di un’udienza tenutasi il 16 aprile 2018, XB ha contestato la competenza della High Court of Justice (England & Wales), Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia]. A suo dire, alla data di presentazione del ricorso principale, la minore risiedeva abitualmente in Bangladesh. Inoltre, detto giudice non disporrebbe della competenza parens patriae nei confronti della minore in quanto quest’ultima non è cittadina britannica. In ogni caso, il giudice succitato, quand’anche fosse investito di detta competenza, dovrebbe, nella specie, astenersi dall’esercitarla.

17.      Nella sua decisione di rinvio, lo stesso giudice osserva di non aver proceduto ad alcun accertamento dei fatti, ritenendo necessario pronunciarsi, preliminarmente, sulla propria competenza. Il giudice del rinvio ritiene che occorra stabilire se la minore risiedesse abitualmente nel Regno Unito alla data in cui esso è stato adito, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis, prima di qualsiasi esame della sussistenza di un’eventuale competenza ad altro titolo.

18.      A tal riguardo, esso ha ritenuto necessario un rinvio pregiudiziale al fine di chiarire se la residenza abituale di un minore possa essere stabilita in uno Stato membro in cui detto minore non è mai stato fisicamente presente. In particolare, il giudice del rinvio desidera sapere se ciò sia possibile quando la madre affermi che il minore è nato e si trova in uno Stato terzo in cui i genitori, titolari della responsabilità genitoriale, non hanno alcuna volontà comune di risiedere e in cui il padre trattiene illegalmente la madre e il minore mediante coercizione. Detto giudice osserva che, se dimostrato, il comportamento di XB integrerebbe verosimilmente una violazione dei diritti fondamentali della madre e della figlia ai sensi degli articoli 3 e 5 della CEDU.

19.      In tale contesto, la High Court of Justice (England & Wales), Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia], ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la presenza fisica di un minore in uno Stato costituisca un elemento essenziale della residenza abituale ai sensi dell’articolo 8 del [regolamento Bruxelles II bis].

2)      Nel caso in cui entrambi i genitori siano titolari della responsabilità genitoriale, se il fatto che la madre sia stata indotta con l’inganno a recarsi in un altro Stato e poi sia stata ivi illegalmente trattenuta dal padre, mediante coercizione o qualsiasi altro atto illecito, con il risultato di costringerla a partorire in tale Stato, abbia o meno un impatto sulla risposta alla [prima questione], in circostanze in cui potrebbe essersi verificata una violazione dei diritti umani della madre e/o del minore, ai sensi degli articoli 3 e 5 della [CEDU]».

20.      Il giudice del rinvio ha chiesto che il rinvio pregiudiziale venga trattato con procedimento d’urgenza, a norma dell’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte. In data 5 luglio 2018, la Prima Sezione della Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, ha deciso di accogliere detta richiesta.

21.      Hanno presentato osservazioni scritte UD, XB, il governo del Regno Unito e la Commissione europea. Le suddette parti e il governo ceco sono comparsi all’udienza di discussione tenutasi il 7 settembre 2018.

IV.    Analisi

A.      Sulla ricevibilità

22.      Il governo del Regno Unito eccepisce l’irricevibilità delle questioni pregiudiziali adducendo che l’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis disciplinerebbe unicamente i conflitti di competenza tra i giudici degli Stati membri. In forza dell’articolo 61, lettera c), CE, divenuto l’articolo 67 TFUE, che rappresenta una delle basi giuridiche di detto regolamento, l’ambito di applicazione ratione loci di quest’ultimo sarebbe circoscritto alle situazioni implicanti elementi di collegamento con due o più Stati membri. Pertanto, l’articolo 8, paragrafo 1, del citato regolamento non si applicherebbe nell’ambito di una controversia che presenti elementi di collegamento con uno Stato membro e con uno Stato terzo.

23.      A tal riguardo, la formulazione della disposizione sopra citata indica che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti a condizione che «il minore risied[a] abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono adit[e]», senza limitare tale competenza alle controversie che presentino elementi di collegamento con un altro Stato membro.

24.      L’articolo 61, lettera a), del regolamento Bruxelles II bis corrobora tale interpretazione. A norma di tale disposizione, nelle relazioni con la Convenzione sulla competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni, nonché la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure per la tutela dei minori, firmata a L’Aia il 19 ottobre 1996 (in prosieguo: la «Convenzione dell’Aia del 1996») (3), il suddetto regolamento si applica se il minore ha la sua residenza abituale nel territorio di uno Stato membro. Pertanto, il regolamento Bruxelles II bis prevale su detta Convenzione ogniqualvolta tale criterio sia soddisfatto, a prescindere dal fatto che la controversia comporti un potenziale conflitto di giurisdizione tra Stati membri o tra uno Stato membro e uno Stato terzo firmatario della suddetta Convenzione.

25.      Inoltre, l’articolo 12, paragrafo 4, di detto regolamento, il quale prevede a determinate condizioni la proroga della competenza delle autorità giurisdizionali di uno Stato membro, che si siano pronunciate sulla domanda di divorzio dei genitori, anche nel caso in cui il minore non abbia in tale Stato la propria residenza abituale, disciplina il caso di un minore che risieda abitualmente in uno Stato terzo che non è firmatario della Convenzione dell’Aia del 1996. Tale disposizione si applica pertanto specificamente a controversie che presentano elementi di collegamento con uno Stato membro e un siffatto Stato terzo (4).

26.      Un’interpretazione teleologica dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento di cui trattasi mi induce altresì a ritenere che la competenza internazionale delle autorità giurisdizionali di uno Stato membro sussiste ove il minore abbia in tale Stato la propria residenza abituale, anche in assenza di elementi di collegamento con un altro Stato membro.

27.      A questo proposito, nella sentenza Owusu (5) la Corte ha precisato che la Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (6) (in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles»), strumento giuridico antecedente al regolamento (CE) n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (7) (in prosieguo: il «regolamento Bruxelles I»), mirava ad agevolare il funzionamento del mercato interno mediante l’adozione di regole di competenza per le controversie attinenti a detto funzionamento e la riduzione delle difficoltà connesse al riconoscimento e all’esecuzione delle sentenze. La Corte ha ritenuto che l’unificazione delle regole di competenza concernenti le controversie che presentano un elemento di collegamento con un paese terzo contribuisce alla realizzazione di detto obiettivo, in quanto essa permette di eliminare gli ostacoli che possono derivare dalle disparità esistenti tra le normative nazionali in materia. la Corte ne ha dedotto che l’applicazione della regola prevista all’articolo 2 della Convenzione di Bruxelles – che riconosce una competenza generale agli organi giurisdizionali dello Stato membro del domicilio del convenuto – non è subordinata all’esistenza di un rapporto giuridico implicante più Stati contraenti di detta convenzione (8).

28.      A mio giudizio, il ragionamento seguito nella suddetta sentenza si applica anche nel contesto dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis. Infatti, a norma dell’articolo 67, paragrafo 4, TFUE, l’Unione facilita il riconoscimento reciproco delle decisioni degli organi giurisdizionali degli Stati membri in tutte le materie civili (9). Orbene, l’armonizzazione delle regole di competenza giurisdizionale internazionale mira, accrescendo la certezza del diritto, ad agevolare lo sviluppo di una fiducia reciproca che consente l’attuazione di un sistema di riconoscimento automatico delle sentenze (10). In tale prospettiva, il ravvicinamento delle regole di competenza per definire le controversie che presentano un elemento di collegamento con uno Stato terzo permette di eliminare gli ostacoli al riconoscimento e all’esecuzione delle sentenze pronunciate negli Stati membri in tutte le materie civili, comprese quelle di diritto di famiglia.

29.      Tale conclusione riflette, inoltre, il modo in cui sia i giudici nazionali (11) che la dottrina (12) concepiscono il campo di applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis.

30.      Pertanto, la causa di irricevibilità delle questioni pregiudiziali sollevata dal governo del Regno Unito deve essere respinta.

31.      Per completezza, aggiungo che la ricevibilità delle suddette questioni non può essere messa in discussione neppure adducendo che esse concernono una fattispecie che riflette taluni fatti non accertati dal giudice del rinvio, ma unicamente allegati dalla madre (13).

B.      Nel merito

1.      Considerazioni preliminari

32.      Quale aspetto centrale del regolamento Bruxelles II bis e delle convenzioni internazionali cui esso si ispira, la nozione di «residenza abituale del minore» assume una duplice funzione nel contesto di tali strumenti.

33.      In primo luogo, il criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda fonda, in virtù dell’articolo 8, paragrafo 1, di detto regolamento, la competenza generale dei giudici di uno Stato membro a pronunciarsi sulle questioni relative alla responsabilità genitoriale (14). La suddetta disposizione ha il medesimo contenuto dell’articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione dell’Aia del 1996.

34.      In secondo luogo, la nozione di «residenza abituale» del minore è al centro del meccanismo di ritorno previsto dalla Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, conclusa all’Aia il 25 ottobre 1980 (in prosieguo: la «Convenzione dell’Aia del 1980» e, insieme alla Convenzione dell’Aia del 1996, le «Convenzioni dell’Aia») (15). Tale meccanismo, come integrato dalle disposizioni del regolamento Bruxelles II bis e, in particolare, dall’articolo 11 di quest’ultimo, continua ad applicarsi tra gli Stati membri nelle materie disciplinate da questo regolamento (16). In sostanza, il trasferimento o il mancato ritorno di un minore è illecito quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti dalla legge dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima di detto evento (17). In linea di principio, ove il trasferimento o il mancato ritorno sia illecito, il ritorno del minore in detto Stato membro deve essere ordinato immediatamente (18).

35.      Secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di «residenza abituale del minore» assume il medesimo significato in questi due contesti (19). Tale approccio si spiega, in particolare, alla luce del fatto che sia l’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis sia il meccanismo di ritorno mirano a far sì che le controversie relative alla responsabilità genitoriale siano definite dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore, considerati come i più adatti a tutelarne gli interessi (20).

36.      Più precisamente, dal considerando 12 di detto regolamento emerge che la regola di competenza generale dettata dall’articolo 8, paragrafo 1, di quest’ultimo riflette il criterio di vicinanza, mediante il quale il legislatore ha inteso attuare l’obiettivo della protezione dell’interesse superiore del minore. Il legislatore ha ritenuto che i giudici dello Stato membro della residenza abituale del minore siano, in ragione della loro vicinanza all’ambiente sociale e familiare, i più adatti per valutare la sua situazione nell’ambito del procedimento di merito (21), eventualmente dopo che sia intervenuto il ritorno del minore in detto Stato membro in applicazione delle disposizioni della Convenzione dell’Aia del 1980 come integrate dal regolamento Bruxelles II bis. Tale regola di competenza, al pari del meccanismo di ritorno, deriva così da una particolare concezione dell’interesse superiore del minore considerato in maniera generale (22). Tale interesse è ulteriormente concretizzato in modo più specifico in sede di valutazione nel merito delle questioni concernenti la responsabilità genitoriale (23).

37.      Né le Convenzioni dell’Aia, né il regolamento Bruxelles II bis definiscono la nozione di «residenza abituale del minore». Date le circostanze, la Corte, al pari dei giudici degli Stati firmatari di dette convenzioni, è stata chiamata a delineare i contorni di un metodo di verifica diretto a stabilire la residenza abituale del minore in ciascun caso concreto. Una tale operazione presuppone la ricerca di un equilibrio tra imperativi diversi.

38.      Da una parte, detto metodo deve essere sufficientemente flessibile da consentire ai giudici di adattare le loro decisioni in funzione delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie al fine di riflettere al meglio il criterio di vicinanza. A questo proposito, dai lavori preparatori all’adozione delle Convenzioni dell’Aia emerge che gli autori delle stesse hanno volutamente omesso di definire la nozione di «residenza abituale del minore». Essi hanno ritenuto che la nozione di cui trattasi rientri in valutazioni di fatto e non dovrebbe essere disciplinata da regole giuridiche rigide come quelle che governano l’individuazione del domicilio (24).

39.      Il metodo di verifica prescelto deve, dall’altra parte, garantire un certo grado di prevedibilità e di certezza del diritto circoscrivendo mediante vincoli sufficienti il potere discrezionale accordato ai giudici. Quest’ultimo imperativo risponde anche all’obiettivo di uniformità nell’applicazione del regolamento Bruxelles II bis e delle Convenzioni dell’Aia: quanto più i criteri saranno precisi e chiari, tanto più i risultati saranno prevedibili e, dunque, uniformi nelle diverse giurisdizioni considerate.

40.      Reputo utile sottolineare in questa sede l’importanza di un’applicazione coerente e uniforme del criterio della residenza abituale del minore sia in seno all’Unione che nella totalità degli Stati firmatari delle Convenzioni dell’Aia. La sfida consiste nell’evitare i conflitti di competenza fra i giudici degli Stati membri e i giudici di altri Stati firmatari della Convenzione dell’Aia del 1996, e nel permettere un’applicazione armoniosa del meccanismo di ritorno istituito dalla Convenzione dell’Aia del 1980 (25). In tale ottica, nel corso della mia analisi reputo opportuno prendere in considerazione talune decisioni rese da giudici di Stati terzi firmatari delle convenzioni succitate (26).

2.      Sulla necessità della presenza fisica del minore in uno Stato membro ai fini di stabilirvi la sua residenza abituale (prima questione)

a)      Osservazioni preliminari

41.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se, affinché il minore risieda abitualmente in uno Stato membro ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis, sia indispensabile che egli vi sia stato fisicamente presente, quand’anche solo in passato e per un periodo limitato.

42.      Come emerge dall’ordinanza di rinvio, tale questione ha come antecedente un dibattito giudiziario svoltosi dinanzi alla Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) nel quadro di una controversia presentante, sotto il profilo dei fatti, taluni punti in comune con la causa qui in esame. Nella sentenza A v A (Children: Habitual Residence) (27), detto giudice era invitato a pronunciarsi sulla residenza abituale di un minore nato in Pakistan che non aveva mai calcato il suolo del Regno Unito. Sua madre, dopo aver risieduto vari anni nel Regno Unito, dove aveva già messo al mondo tre figli, si era recata in Pakistan prima del concepimento del quarto figlio con l’intenzione di compiere una visita temporanea. Successivamente, ella era stata trattenuta in tale paese con i suoi primi tre figli dal padre, il quale aveva, in particolare, sottratto i loro passaporti e l’aveva costretta a partorirvi il quarto figlio.

43.      Rifacendosi alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui la residenza abituale del minore costituisce una nozione di fatto (28), la maggioranza guidata da Lady Hale si è mostrata propensa a ritenere che la presenza fisica del minore nel Regno Unito integri un prerequisito per fondare la residenza abituale del minore in tale Stato. Tuttavia, riconoscendo che tale questione non può essere risolta in assenza di un chiarimento in via pregiudiziale da parte della Corte, i giudici di maggioranza l’hanno, in definitiva, lasciata aperta fondando la competenza dei giudici britannici su un diverso titolo, vale a dire la competenza parens patriae (29). Esprimendo un parere dissenziente, Lord Hughes ha ritenuto, anche in considerazione dell’approccio fattuale adottato dalla Corte, che il minore risiedesse abitualmente nel Regno Unito, per il fatto che i membri del nucleo familiare di cui egli era parte erano ivi sufficientemente stabiliti da potervi avere la loro residenza abituale e che il minore era assente da tale paese unicamente a causa della coercizione esercitata dal padre (30).

44.      La problematica sollevata nella prima questione pregiudiziale è stata portata anche all’attenzione dei giudici francesi. La Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) è stata chiamata a pronunciarsi su un caso in cui una madre, residente negli Stati Uniti d’America con il padre e il loro primo figlio, si era recata, in stato di gravidanza, in Francia con questo minore per una visita temporanea ai familiari. La madre si era poi trattenuta sul territorio francese, dando ivi alla luce il secondo figlio e aveva deciso unilateralmente di non fare rientrare i figli minori negli Stati Uniti d’America. Date le circostanze, la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) ha stabilito che i due minori risiedevano abitualmente negli Stati Uniti d’America, benché il neonato non vi si fosse mai recato (31).

45.      La Corte di giustizia, pur avendo sottolineato in più occasioni che la presenza fisica del minore in uno Statodeterminato non è sufficiente per configurarne la residenza abituale, non ha, a mio giudizio, ancora risolto la questione se la suddetta presenza fisica costituisca una condizione necessaria a tal fine (32). Tornerò, in un primo momento, su tale giurisprudenza e sul metodo giuridico di verifica che se ne ricava [sezione b)]. In un secondo momento, svilupperò le ragioni che mi inducono a ritenere, alla luce dei principi tratti dalla attuale giurisprudenza nonché degli obiettivi e del contesto del regolamento Bruxelles II bis, che la presenza fisica del minore in un determinato Stato non costituisca un prerequisito per la fissazione della sua residenza abituale in tale Stato [sezione c)].

b)      Sul metodo di verifica sancito dalla giurisprudenza della Corte

46.      Lungo il corso delle sue pronunce, la Corte ha elaborato e affinato un metodo di verifica che permette di stabilire la residenza abituale del minore sulla base di un approccio essenzialmente fattuale e casuistico. Essa ha così cercato di concretizzare il criterio della vicinanza adottato dal legislatore in nome dell’interesse superiore del minore.

47.      Secondo una giurisprudenza consolidata, la residenza abituale del minore corrisponde al luogo che denota «una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare» (33) o, secondo la formulazione utilizzata nella recente sentenza HR, il «luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita» (34). L’applicazione di detto metodo giuridico di verifica da parte dei giudici nazionali presuppone una valutazione in punto di fatto diretta a determinare tale luogo alla luce dell’insieme delle circostanze specifiche di ciascun caso. A tal riguardo, «oltre alla presenza fisica del minore sul territorio di uno Stato membro, si devono considerare altri fattori idonei a dimostrare che tale presenza non è in alcun modo temporanea od occasionale e che la residenza del minore denota una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare» (35) – o, per riprendere i termini della sentenza Mercredi, «una certa stabilità o regolarità» (36).

48.      Tra i suddetti fattori rientrano, in particolare, la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nello Stato membro o negli Stati membri di cui trattasi, la cittadinanza del minore (37), il luogo e le condizioni di scolarizzazione, le conoscenze linguistiche, nonché le relazioni familiari e sociali del minore nel suddetto o nei suddetti Stati membri (38). L’intenzione dei genitori per quanto riguarda il luogo di residenza del minore, purché manifestata attraverso iniziative tangibili (quali l’acquisto o la locazione di un alloggio), costituisce un indizio aggiuntivo (39). L’importanza relativa da attribuire a tali elementi varia in funzione delle circostanze di ogni singolo caso (40).

49.      Chiamata ad applicare detto metodo ai fini dell’individuazione della residenza abituale di un lattante (41), la Corte ha, per la prima volta nella sentenza Mercredi (42), riconosciuto che la valutazione dell’integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare non può prescindere dalle circostanze che accompagnano il soggiorno delle persone da cui egli dipende. La Corte ha osservato che l’ambiente in cui cresce un minore in tenera età è essenzialmente l’ambiente familiare, determinato dalla persona o dalle persone di riferimento con le quali il minore vive, da cui è effettivamente accudito e che si prendono cura di lui (43) – ossia di norma i suoi genitori (44). Pertanto, se un siffatto minore vive quotidianamente con i genitori, la determinazione della sua residenza abituale richiede che sia determinato il luogo in cui costoro sono presenti stabilmente e sono integrati in un ambiente sociale e familiare (45).

50.      Tale luogo deve essere individuato alla luce di un elenco, non esaustivo, di indizi aventi la medesima natura di quelli che attestano l’integrazione del minore in tale ambiente. Tra di essi rientrano la durata, la regolarità, le condizioni e i motivi del soggiorno dei genitori nel territorio dello Stato membro o degli Stati membri di cui trattasi, le loro conoscenze linguistiche, le origini geografiche e familiari, nonché le relazioni familiari e sociali da essi intrattenute (46). L’intenzione dei genitori di stabilirsi con il minore in un luogo determinato è presa in considerazione nella misura in cui riflette la realtà dell’integrazione dei genitori (e quindi del minore) in un ambiente sociale e familiare (47). In tale prospettiva, questa intenzione dei genitori costituisce un fattore che, benché importante, non è necessariamente decisivo (48). Il peso attribuito agli aspetti concernenti l’integrazione dei genitori è determinato in funzione del grado di dipendenza del minore dai genitori, che varia a seconda della sua età.

51.      La ratio di questo approccio traspare con la massima chiarezza quando viene in discussione la residenza abituale di un neonato. Qualora rilevassero unicamente gli elementi oggettivi concernenti l’integrazione maturata nel corso del soggiorno del minore in un determinato luogo, qualsiasi neonato, il quale per definizione non ha avuto il tempo di integrarsi in alcun luogo, sarebbe privo di residenza abituale. Ne conseguirebbe che i neonati non sarebbero protetti dal meccanismo di ritorno previsto dalla Convenzione dell’Aia del 1980 e integrato dal regolamento Bruxelles II bis.

52.      Da quanto precede emerge che la Corte ha sancito un approccio cosiddetto «ibrido», secondo cui la residenza abituale del minore è determinata sulla base, da una parte, di fattori oggettivi che caratterizzano il soggiorno del minore in un luogo determinato e, dall’altra, di circostanze attinenti al soggiorno dei suoi genitori e alle loro intenzioni quanto al luogo di residenza del minore. Benché la nozione di «residenza abituale» sia incentrata sul minore, dal momento che essa indica il luogo in cui questi ha, di fatto, il centro della propria vita, tale luogo dipende a sua volta, in una misura che varia in funzione dell’età del minore, da quello in cui si colloca il centro effettivo della vita dei suoi genitori e in cui costoro intendono crescerlo.

53.      Come sottolineato dal massimo organo giurisdizionale canadese (49), fondandosi su numerose sentenze emesse negli Stati firmatari della Convenzione dell’Aia del 1980, l’approccio ibrido, privilegiato rispetto all’approccio incentrato sulla sola «acclimatazione» del minore (50) e a quello che riconosce un peso preponderante all’intenzione dei genitori (51), corrisponde ormai a un orientamento riscontrabile nella giurisprudenza internazionale sulla suddetta Convenzione.

c)      Sugli insegnamenti ricavabili dalla giurisprudenza della Corte quanto al carattere indispensabile o no della presenza fisica

1)      Sulla tesi secondo cui la Corte avrebbe già risolto la questione

54.      Nessuna delle parti coinvolte nega che, in pratica, la valutazione complessiva delle circostanze di ciascun caso specifico porta, di norma, a riconoscere che il centro effettivo della vita del minore – e, pertanto, la sua residenza abituale – si colloca in un luogo in cui questi è già stato fisicamente presente. Tuttavia, contrariamente a XB e alla Commissione, UD, il governo del Regno Unito e il governo ceco ritengono che, in presenza di circostanze eccezionali, detta valutazione complessiva possa giustificare il riconoscimento della residenza abituale del minore in uno Stato in cui questi non si è mai recato.

55.      A questo proposito, la giurisprudenza della Corte citata supra contiene, come sostenuto da XB e dalla Commissione, alcuni passaggi che depongono, a prima vista, a favore della conclusione secondo cui la determinazione della residenza abituale di un minore in uno Stato membro presuppone che egli vi sia stato fisicamente presente. La lettura di detti passaggi nel loro contesto suggerisce tuttavia di adottare una certa prudenza nel trarne una conclusione siffatta.

56.      Anzitutto, è vero che il ripetuto impiego dei termini «oltre alla presenza fisica» (52), prima dell’enunciazione di altri fattori pertinenti, potrebbe far pensare che detto parametro rappresenti un elemento necessario per fondare la residenza abituale del minore. Tuttavia, tenuto conto del contesto di fatto delle controversie che le sono state sottoposte, la Corte non ha mai specificamente esaminato la questione del carattere indispensabile o meno della presenza fisica. Come sostenuto da UD e dal governo del Regno Unito, il solo insegnamento che può trarsi dall’impiego dei suddetti termini è che la presenza fisica non è sufficiente a fondare la residenza abituale del minore. Non se ne potrebbe invece desumere che tale elemento sia necessario al fine suddetto.

57.      Poi, non più concludente si rivela il passaggio contenuto nella sentenza W e V (53) secondo cui «la determinazione della residenza abituale di un minore in un dato Stato membro richiede quindi, quanto meno, che il minore sia stato [ivi] fisicamente presente». Questo inciso deve, infatti, essere inteso alla luce del contesto di fatto della causa che ha dato luogo alla sentenza di cui sopra. Uno dei genitori sosteneva che il minore risiedesse abitualmente in Lituania, là dove la cittadinanza del minore costituiva l’unico collegamento con questo Stato membro. La Corte ha quindi osservato che la sola cittadinanza di uno Stato membro non poteva compensare la mancanza di qualsivoglia collegamento tangibile con detto Stato membro, non avendovi il minore neppure «messo piede» (54). La Corte non era stata chiamata a pronunciarsi sulla questione se, in presenza di siffatti collegamenti, essi possano in determinati casi compensare la mancanza di presenza fisica nello Stato membro di cui trattasi.

58.      Infine, neppure la sentenza OL (55) corrobora la tesi sostenuta da XB e dalla Commissione. La causa che ha dato luogo a detta sentenza riguardava un minore con madre greca e padre italiano, entrambi residenti in Italia prima della sua nascita. Secondo il padre, essi avevano concordato di far nascere il figlio in Grecia, fermo restando che il minore e la madre sarebbero poi dovuti rientrati in Italia – proposito che la madre si sarebbe rifiutata di attuare. Il padre sosteneva dinanzi a un giudice greco che la madre tratteneva illecitamente il figlio in uno Stato membro (la Grecia) diverso da quello in cui questi aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo mancato ritorno (l’Italia) ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis. Detto giudice doveva pertanto esaminare se, alla data di riferimento, il minore risiedesse abitualmente in Italia pur non essendosi mai recato in tale Stato.

59.      In quel contesto, il suddetto giudice aveva chiesto alla Corte se la presenza fisica del minore in uno Stato membro rappresentasse in ogni caso un prerequisito per fissare in tale Stato la residenza abituale del minore stesso. La Corte, ove avesse ritenuto che la giurisprudenza pregressa aveva già risposto affermativamente a tale questione, avrebbe potuto limitarsi a indicarla al giudice nazionale, permettendogli così di risolvere agevolmente la controversia dinanzi ad esso pendente. L’avvocato generale Wahl aveva d’altronde proposto alla Corte, sulla base segnatamente della sentenza W e V (56), di imboccare questa strada (57).

60.      Tuttavia, la Corte ha riformulato la questione pregiudiziale in modo da evitare di affrontarla in termini generali e astratti, ma curando di fornire al giudice interessato un valido ausilio ai fini della definizione della controversia dinanzi ad esso pendente (58). La Corte si è concentrata più specificamente sulla situazione – quale si presentava in quella controversia – in cui il minore sia nato e abbia soggiornato ininterrottamente con la propria madre per diversi mesi, conformemente alla volontà comune dei suoi genitori, al di fuori dello Stato membro in cui costoro risiedevano abitualmente prima della sua nascita. Essa ha verificato se, in una situazione siffatta, l’intenzione iniziale dei genitori in merito al ritorno della madre, in compagnia del minore, in detto Stato membro costituisca un fattore preponderante per ritenere che il minore abbia ivi la propria residenza abituale, indipendentemente dal fatto che egli non sia mai stato fisicamente presente in tale paese.

61.      Nel rispondere alla questione così riformulata, la Corte si è limitata, da un lato, ad astenersi dall’enunciare una regola generale secondo cui la comune intenzione dei titolari della responsabilità genitoriale quanto al ritorno del minore in uno Stato membro è preponderante e prevale automaticamente sulla presenza fisica del minore in un altro Stato membro. Non esiste così una regola assoluta secondo cui la residenza abituale del minore segue necessariamente quella dei suoi genitori e non può essere modificata unilateralmente da uno dei genitori titolari della responsabilità genitoriale contro la volontà dell’altro (59).

62.      Dall’altro lato, la Corte ha valutato se le circostanze portate alla sua attenzione dal giudice nazionale permettessero di ritenere che il minore risiedesse abitualmente nello Stato membro in cui i suoi genitori intendevano inizialmente vivere con lui (l’Italia) – valutazione che la Corte avrebbe potuto reputare superflua se le fosse parso chiaro che la mancanza di presenza fisica del minore in Italia era sufficiente a escludere la sua residenza abituale in tale paese. Al termine di detta valutazione, la Corte ha concluso che il minore non poteva risiedere in detto Stato membro posto che soggiornava da vari mesi in Grecia ed era ivi nato conformemente alla volontà comune dei suoi genitori (60). Essa non ha affatto escluso che, in circostanze diverse, in particolare quando il luogo di nascita non rifletta l’intenzione comune dei genitori, un giudice nazionale possa giungere ad affermare che, alla luce dell’insieme dei fattori pertinenti, il centro effettivo della vita del minore si colloca in uno Stato membro in cui egli non ha mai soggiornato.

2)      Sulla scelta dell’approccio che meglio si concilia con la giurisprudenza e le finalità dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis

63.      Posto che la Corte non ha ancora risolto la questione del carattere indispensabile o meno della presenza fisica in uno Stato membro al fine di fondarvi la residenza abituale del minore, occorre esaminare se l’approccio fattuale, adottato dalla giurisprudenza sulla scorta del criterio della vicinanza sancito dal legislatore, si concili meglio con l’una o con l’altra delle soluzioni proposte dalle parti interessate.

64.      Secondo UD, il governo del Regno Unito e il governo ceco, la natura fattuale della nozione di «residenza abituale del minore» mal si concilierebbe con l’imposizione di una regola secondo cui la presenza fisica in uno Stato membro costituisce una condizione sine qua non per fissare in tale Stato la residenza abituale del minore, a prescindere dell’esame delle altre circostanze pertinenti. Essi sottolineano, in particolare, l’importanza dei fattori concernenti l’integrazione del genitore che esercita la custodia effettiva su un minore in tenera età. XB e la Commissione ritengono invece che, posto che un minore non può, per definizione, essere integrato in un luogo in cui non è mai stato presente, la fissazione della sua residenza abituale in tale luogo rappresenterebbe una finzione incompatibile con la natura fattuale della nozione di cui trattasi.

65.      A mio giudizio, la prima di dette posizioni meglio si concilia con l’approccio fattuale adottato dalla Corte. Fare della mancanza di presenza fisica un criterio dirimente equivarrebbe a creare un sub‑metodo giuridico di verifica, nella misura in cui il mancato soddisfacimento di un prerequisito relativo alla presenza fisica del minore precluderebbe qualsiasi esame degli ulteriori fattori pertinenti. Una siffatta regola generale e astratta comporterebbe la perdita della flessibilità che permette di concretizzare il criterio di vicinanza nell’interesse superiore del minore. Infatti, come emerge dalla giurisprudenza esposta supra, questo criterio riguarda non tanto la sola vicinanza geografica tra il minore e un determinato luogo, quanto la vicinanza tra il minore e un contesto sociale e familiare collocato in un dato luogo.

66.      Un approccio flessibile si rivela necessario, in particolare, per affrontare le situazioni specifiche dei lattanti che vengono al mondo e soggiornano in un paese diverso da quello in cui i loro genitori hanno, in ragione dei loro legami familiari e sociali, il centro effettivo della loro vita. Ricordo, a questo proposito, che la Corte ha riconosciuto che, visto che i lattanti per definizione non hanno potuto sviluppare legami effettivi in alcun luogo in maniera indipendente dai loro genitori, il centro effettivo della loro vita dipende, in pratica, da quello di questi ultimi (61). A mio avviso, ignorare questa realtà sociale e familiare porterebbe a risultati più artificiosi che non ammettere che, in tali situazioni eccezionali, un lattante può avere la residenza abituale in un luogo in cui non è mai stato fisicamente presente.

67.      Pertanto, la determinazione della residenza abituale del lattante richiede la presa in considerazione non soltanto dei parametri oggettivi che accompagnano il suo soggiorno nel paese in cui si trova, ma anche degli indizi concernenti l’integrazione del genitore o dei genitori da cui egli dipende in un ambiente sociale e familiare in un altro paese. In tale contesto, rivestono particolare importanza le circostanze all’origine della presenza del lattante e del genitore o dei genitori da cui questi dipende nel primo paese – e, correlativamente, dell’assenza dei predetti dal secondo paese – al momento della nascita del minore e nel corso della sua giovane vita.

68.      A mio parere, quando circostanze indipendenti dalla volontà del genitore o dei genitori da cui il minore dipende, come un caso fortuito o di forza maggiore, determinano la nascita e il soggiorno del lattante fuori dallo Stato in cui è insediato in maniera stabile e regolare il nucleo familiare di cui egli fa parte, fondato da detto genitore o da detti genitori e comprendente, eventualmente, altri membri, il lattante ha la propria residenza abituale in questo Stato. Di fatto, il centro della vita del lattante si situa in tal caso là dove egli è destinato ad essere integrato in tale nucleo familiare e dove avrebbe già dovuto trovarsi in mancanza di dette circostanze esterne.

69.      Un esempio ispirato a quelli illustrati dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) nella causa A v A (Children: Habitual Residence) (62) nonché nelle osservazioni del governo del Regno Unito e del governo ceco aiuterà a chiarire le mie affermazioni. Immaginiamo che una coppia insediata in maniera stabile e regolare in Germania si rechi in vacanza in Francia, dove la madre è costretta a partorire prematuramente. Occorrerà ritenere che, immediatamente dopo la sua nascita, il minore risiede abitualmente là dove risiedono i suoi genitori (e, eventualmente, i suoi fratelli e le sue sorelle maggiori), dove lui è destinato a soggiornare e dove forse c’è già la sua culla ad attenderlo (vale a dire in Germania), oppure che, sino a che non sarà arrivato in Germania, detto minore è privo di una residenza abituale? (63)

70.      Non vi è dubbio, a mio avviso, che la conclusione secondo cui il minore, subito dopo la nascita, ha la propria residenza abituale in Germania riflette più fedelmente la realtà dell’integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare (64).

71.      Tali considerazioni non pregiudicano, ovviamente, la possibilità che la residenza abituale del minore si sposti con il passare del tempo e con il variare delle circostanze oggettive. Così, se il minore nato in condizioni d’urgenza al di fuori dello Stato in cui è stabilito il nucleo familiare di cui egli fa parte ha in questo Stato la propria residenza abituale, tale conclusione vale solo fino a quando la durata del soggiorno del minore nello Stato di nascita e i legami culturali e sociali che ne derivano non portino a far prevalere la constatazione secondo cui, di fatto, il minore ha ora in questo nuovo Stato il centro della propria vita. Con il passare del tempo, la realtà dei legami del minore con il paese in cui era destinato a essere integrato in un determinato ambiente sociale e familiare si attenuano, sino a divenire sempre più finzione.

72.      Inoltre, la lettura da me proposta non rimette in discussione il fatto che, nella maggior parte dei casi, la residenza abituale del minore corrisponde a un luogo in cui egli è stato fisicamente presente. Essa implica unicamente che la determinazione della residenza abituale del minore deve riflettere la realtà della sua integrazione in un ambiente sociale e familiare, senza essere limitata a tal fine da regole giuridiche rigide. In casi specifici concernenti dei lattanti, la valutazione dell’insieme delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie può indurre a ritenere che il minore abbia, di fatto, il centro della sua vita in un paese in cui non è mai stato presente.

73.      Taluni giudici della Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) hanno formulato considerazioni estremamente illuminanti a questo proposito. Essi hanno, in più occasioni, osservato che, benché la ponderazione dei fattori che permettono di stabilire la residenza abituale del minore non possa essere disciplinata mediante norme giuridiche, essa può tuttavia essere utilmente inquadrata mediante talune «generalizzazioni di fatto». In altre parole, determinati enunciati risultano in genere, seppur non sempre, conformi alla situazione di fatto in cui si trova il minore (65).

74.      Questo è il caso dell’enunciato secondo cui la residenza abituale del lattante deriva da quella del genitore o dei genitori da cui egli dipende (66), così come, per l’appunto, dell’enunciato secondo cui la residenza abituale del minore presuppone una certa presenza fisica nel paese interessato (67). Il fatto che questi due enunciati possano entrare in conflitto (come illustrato dall’esempio summenzionato) dimostra l’impossibilità di farli assurgere a regole giuridiche assolute.

75.      A mio parere, questa conclusione non viene inficiata da considerazioni attinenti alle esigenze di prevedibilità, certezza giuridica e uniformità delle soluzioni in seno all’Unione.

76.      Anzitutto, il metodo indiziario adottato nella giurisprudenza consolidata a partire dalla sentenza A (68) si accompagna necessariamente, quale corollario del potere discrezionale riconosciuto da detta giurisprudenza ai giudici nazionali, a un certo rischio di eterogeneità delle soluzioni adottate dai diversi giudici in casi comparabili (69). Questo «prezzo da pagare» è generalmente accettato in nome della flessibilità necessaria per concretizzare, nell’interesse superiore del minore, il criterio di vicinanza con il suo ambiente sociale e familiare. Non vedo perché mai i casi specifici dei lattanti che nascono e soggiornano in un paese diverso da quello in cui si trova, di fatto, il centro della vita dei loro genitori – unici casi in cui è ipotizzabile, in pratica, che un minore risieda abitualmente in uno Stato membro in cui non si è mai recato – dovrebbero essere trattati, a differenza di quanto accade in tutte le altre ipotesi, in modo inflessibile.

77.      Poi, non mi convince l’argomentazione addotta dalla Commissione secondo cui un approccio flessibile non sarebbe necessario in tale tipologia di situazioni, purché il minore si trovi in uno Stato membro. La Commissione osserva che, in mancanza di residenza abituale, l’articolo 13 del regolamento Bruxelles II bis prevede un criterio di competenza sussidiario fondato sulla presenza del minore. Osservo, tuttavia, che questo criterio di competenza, esprimendo unicamente una dimensione geografica del criterio di vicinanza, non presenta alcun attributo di stabilità – da qui il suo carattere sussidiario (70). Così, l’applicazione dell’articolo 13 di detto regolamento è circoscritta a casi eccezionali in cui risulti impossibile stabilire la residenza abituale del minore (71). Inoltre, come sottolinea il governo del Regno Unito, la problematica riveste un’importanza pratica ancor più essenziale nel quadro della procedura di ritorno. Infatti, nel caso in cui, nell’esempio citato supra, uno dei genitori si rifiutasse di tornare in Germania con il neonato, detta procedura potrebbe essere avviata unicamente ove si ritenesse che quest’ultimo vi risiede abitualmente.

78.      Infine, dubito che una regola secondo cui la residenza del minore implica necessariamente un elemento di presenza fisica fornisca in ogni caso benefici reali in termini di certezza del diritto. I genitori, residenti in Germania, del minore nato in Francia per un caso di forza maggiore potrebbero, in effetti, legittimamente attendersi che i giudici tedeschi si pronuncino su qualsiasi controversia relativa alla potestà genitoriale. Dal punto di vista di questi ultimi, una regola che obblighi detti giudici a dichiarare la propria incompetenza per il solo fatto che il minore non si trova ancora in Germania a causa di un evento imprevedibile e involontario sarebbe fonte di incertezza giuridica (72).

79.      Alla luce di quanto precede, non è possibile attribuire in maniera automatica, senza tener conto delle peculiarità del singolo caso, un peso decisivo al criterio della presenza fisica. Pertanto, la presenza fisica del minore in uno Stato membro non costituisce un prerequisito per ritenere che egli vi risieda abitualmente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis.

3.      Sulla rilevanza della coercizione ai fini della determinazione della residenza abituale del minore (seconda questione)

a)      Osservazioni preliminari

80.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte di esprimersi sul rilievo che assume, nello stabilire se un minore risieda abitualmente in uno Stato membro pur non essendovi mai stato fisicamente presente, il fatto che, secondo le allegazioni della madre, quest’ultima sia stata ingannata dal padre per essere attirata in un paese terzo e, successivamente, sia stata ivi da lui trattenuta illegalmente, tanto da essere costretta a partorire in tale paese. Il suddetto giudice aggiunge che tale situazione può comportare una violazione dei diritti fondamentali della madre e della minore a titolo degli articoli 3 e 5 della CEDU, di cui gli articoli 4 e 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (in prosieguo: la «Carta») riprendono il contenuto.

81.      Con tale questione la Corte è invitata a chiarire l’importanza da riconoscere al fatto che, al momento della presentazione della domanda, la presenza della madre e della minore in Bangladesh – e, specularmente, la loro assenza dal territorio del Regno Unito – sarebbe stata unicamente il risultato della coercizione esercitata dal padre. Dalla decisione di rinvio si evince che UD afferma, essenzialmente, che la sua intenzione iniziale, che pensava essere condivisa da XB (contitolare con UD della responsabilità genitoriale) al momento della partenza verso il Bangladesh, era di partorire e vivere con il minore nel Regno Unito (73). La coercizione esercitata da XB avrebbe tuttavia impedito che tale intenzione si concretizzasse.

82.      Una tale situazione di fatto non sembra purtroppo rappresentare un caso eccezionale e isolato. Come sottolineato dal governo del Regno Unito, essa corrisponde a un fenomeno già riscontrato e altresì discusso dinanzi ai giudici del Regno Unito nell’ambito di altre controversie (74).

83.      Cercherò, in un primo momento, di valutare in che misura la situazione di coercizione evocata supra debba essere presa in considerazione in applicazione dei principi tratti dalla giurisprudenza esistente [sezione b)]. In un secondo momento, affronterò la questione se l’interesse superiore del minore e i diritti fondamentali sanciti nella Carta impongano l’applicazione di principi diversi in una situazione come quella oggetto del procedimento principale [sezione c)].

b)      Sull’applicazione dei principi tratti dalla giurisprudenza esistente

84.      Conformemente all’approccio fattuale sancito dalla Corte, il fatto che la madre abbia dato alla luce sua figlia in un paese terzo e vi sia rimasta con lei solo in ragione della coercizione esercitata dal padre rappresenta, a mio parere, un elemento pertinente ai fini di valutare i legami della minore sia con il paese terzo in cui effettivamente si trova, sia con lo Stato membro in cui sarebbe nata e avrebbe vissuto in assenza di una siffatta coercizione (75).

85.      Da un lato, tale circostanza rientra tra «le condizioni e le ragioni del soggiorno» della madre e della minore in detto paese terzo, ai sensi della giurisprudenza (76). Nel caso di specie, essa potrebbe costituire un indizio del fatto che la minore non risiede abitualmente in Bangladesh benché disponga, per forza di cose, di tutti i suoi punti di riferimento all’interno di detto paese, dove vive dalla nascita e al quale la uniscono le sue origini geografiche e culturali.

86.      Vista la sua giovane età, l’ambiente di detta minore è determinato essenzialmente da quello della persona o delle persone da cui dipende – vale a dire, verosimilmente e sulla base dei fatti esposti nell’ordinanza di rinvio, sua madre (dato che il padre è ripartito per il Regno Unito). Secondo le allegazioni di UD, il comportamento coercitivo tenuto da XB le impedirebbe di scegliere dove vivere con sua figlia e la costringerebbe a restare in un villaggio in cui sarebbe stigmatizzata dalla comunità locale e privata di ogni servizio essenziale oltre che di un reddito. Orbene, dubito che un soggiorno involontario e precario della madre e della minore in uno Stato terzo rivesta un carattere di stabilità e regolarità sufficiente a far sì che la minore abbia ivi la propria residenza abituale. Si può, infatti, realmente parlare di integrazione in un ambiente sociale e familiare se i legami del lattante con tale paese terzo si sono formati unicamente in ragione di una situazione risultante dalla coercizione esercitata da suo padre? (77)

87.      Tali considerazioni restano pertinenti nonostante il fatto che UD sia originaria del Bangladesh e ivi soggiorni nel villaggio della sua famiglia. Infatti, le origini geografiche e familiari del genitore affidatario del minore – al pari dei legami culturali e familiari del minore che ne derivano – sono solo uno dei fattori che possono essere presi in considerazione nell’analisi complessiva delle circostanze di ciascuna fattispecie (78). Tale elemento non può occultare altre circostanze oggettive, come il fatto che la madre è asseritamente trattenuta in Bangladesh con la forza insieme alla figlia.

88.      Dall’altro lato, premesso quanto sopra, la circostanza che, in assenza del comportamento coercitivo dal padre, la minore sarebbe nata nello Stato membro di cui trattasi e vi avrebbe vissuto dopo la sua nascita non è sufficiente per stabilire la sua residenza abituale in tale Stato membro. Secondo la giurisprudenza della Corte, nemmeno una siffatta presenza fisica sarebbe stata sufficiente a tal fine. Sarebbe altresì necessario che dei legami effettivi tra la minore e il territorio di detto Stato membro permettano di ritenere che essa vi ha, di fatto, il centro della propria vita.

89.      Come già osservato supra (79), un lattante che faccia parte di un nucleo familiare, i cui membri hanno il centro effettivo della loro vita in un determinato Stato membro, ha in questo Stato la propria residenza abituale, anche se non vi è nato e non vi si è ancora recato per ragioni indipendenti dalla volontà del genitore o dei genitori da cui egli dipende. Spetta al giudice del rinvio stabilire, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, se la situazione controversa nel procedimento principale integri una fattispecie siffatta. Le considerazioni che seguono dovrebbero fornirgli una guida nell’ambito di tale valutazione.

90.      In primo luogo, meriteranno un’attenzione particolare gli elementi che caratterizzano il soggiorno della madre nel Regno Unito e i legami sociali e familiari che essa vi ha intrattenuto. Infatti, il centro della vita della minore può trovarsi in tale paese solo nella misura in cui sua madre, da cui essa dipende, sia essa stessa ivi integrata in un ambiente sociale e familiare. A questo proposito, occorrerà considerare, in particolare, la durata del soggiorno di UD nel Regno Unito, il periodo di validità del suo visto per ricongiungimento familiare, le sue conoscenze linguistiche e i suoi eventuali legami sociali e culturali in tale Stato membro.

91.      In tale contesto, si pone la questione di stabilire in che misura occorra prendere in considerazione l’intenzione di UD di far vivere la figlia nel Regno Unito dopo la sua nascita, intenzione che, a suo dire, lei pensava fosse condivisa da XB al momento della loro partenza per il Bangladesh. A questo proposito, ricordo che l’intenzione dei genitori quanto al luogo di soggiorno del minore non prevale necessariamente sui legami effettivi che intercorrono tra il minore e un altro luogo (80). Il peso da riconoscere a tale fattore dipende dalle circostanze di ciascun caso concreto.

92.      A mio parere, quando, malgrado l’intenzione iniziale dei genitori – o del solo genitore che intende esercitare la custodia del minore (81) – di stabilirsi con il minore in un determinato luogo, quest’ultimo nasca e soggiorni contro la volontà del genitore da cui dipende in un altro luogo, l’elemento intenzionale può rivestire un’importanza particolare. Infatti, in una simile situazione gli elementi oggettivi che accompagnano il soggiorno del minore e di detto genitore nel paese in cui essi si trovano sono indicatori deboli del luogo in cui questi ultimi sono realmente integrati in un ambiente familiare e sociale. L’intenzione circa il luogo di residenza del minore in uno Stato determinato, se manifestata attraverso iniziative tangibili, costituisce allora un fattore idoneo a prevalere sui succitati elementi oggettivi confermando l’integrazione in tale Stato del genitore da cui il minore dipende, anche se tale genitore manca da questo paese dalla nascita del figlio.

93.      Pertanto, nello stabilire la residenza abituale della minore, dovranno essere presi in considerazione con particolare attenzione eventuali indizi attestanti che i genitori, o la sola madre, hanno intrapreso, prima della loro partenza per il Bangladesh, iniziative finalizzate a far nascere la figlia nel Regno Unito, a collocarla in un’abitazione stabile in detto Stato membro e a prendersene cura quotidianamente.

94.      In secondo luogo, per quanto concerne le circostanze relative all’integrazione del padre nello Stato membro considerato, risulta dalla giurisprudenza che il genitore che non esercita effettivamente il diritto di affidamento del figlio (pur essendo titolare della responsabilità genitoriale) fa parte dell’ambiente familiare di quest’ultimo solo nella misura in cui tale minore mantenga contatti regolari con lui (82). Orbene, nel caso in cui il padre ritorni in detto Stato membro e impedisca alla madre di farvi ritorno con il figlio, tali contatti sono interrotti. Il soggiorno e l’integrazione del padre in tale Stato membro al momento della presentazione della domanda giudiziale non offrono, in tali circostanze, alcuna indicazione idonea del luogo in cui si colloca, di fatto, il centro della vita del minore.

95.      In terzo luogo, occorrerà prendere in considerazione anche il lasso di tempo che separa la nascita del minore dalla proposizione dell’azione dinanzi al giudice del rinvio. La durata del soggiorno in un determinato Stato rappresenta, in generale, un fattore idoneo a rispecchiare il grado di integrazione raggiunto dal minore in questo Stato e, correlativamente, la sua mancanza di legami tangibili con uno Stato diverso. Tuttavia, l’importanza di tale fattore nella valutazione complessiva delle circostanze pertinenti varia anch’essa in funzione di ciascun caso specifico (83).

96.      Così, tale fattore non rispecchia automaticamente il reale grado di integrazione del minore qualora il protrarsi del soggiorno di quest’ultimo in uno Stato e, simmetricamente, la sua assenza da un altro Stato sia frutto di coercizione. Certo, salvo attribuire un significato artificioso alla nozione di «residenza abituale», un minore che cresce e crea legami nello Stato in cui è costretto a soggiornare, senza svilupparne alcuno con lo Stato in cui si sarebbe dovuto trovare in mancanza di coercizione, perde a un certo punto la sua residenza abituale in quest’ultimo Stato (84). Tuttavia, ciò non si verifica necessariamente nel caso di un minore che, come nella presente fattispecie, al momento della presentazione della domanda giudiziale era ancora un lattante. Pertanto, a mio giudizio, la durata del soggiorno della minore in Bangladesh non dovrebbe impedire, in quanto tale, il riconoscimento della sua residenza abituale nel Regno Unito.

97.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre formulare la conclusione di cui infra in una situazione, come quella oggetto del procedimento principale, nella quale il minore sia nato in un paese terzo e gli sia stato impedito di recarsi in uno Stato membro in compagnia di sua madre a causa della coercizione esercitata dal padre, e nella quale egli fosse, al momento dell’adizione del giudice del rinvio, ancora un lattante. In una situazione siffatta, il minore risiede abitualmente in detto Stato membro, ex articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis, soltanto se, in mancanza di coercizione, egli sarebbe stato presente in tale Stato membro in maniera stabile e regolare, e sarebbe stato ivi integrato in quanto componente di un nucleo familiare, il cui altro componente o i cui altri componenti hanno, di fatto, in questo stesso Stato membro il centro delle loro vite. Il soddisfacimento di questa condizione implica che la madre sia integrata in un contesto sociale e familiare nello Stato membro di cui trattasi. Spetta al giudice nazionale verificare tale aspetto alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti, tra le quali rientrano gli elementi oggettivi che accompagnano il soggiorno precedente e l’integrazione della madre in detto Stato membro, nonché le manifestazioni tangibili delle intenzioni di quest’ultima in merito al luogo di soggiorno del figlio.

c)      Sulla presa in considerazione dei diritti fondamentali del minore e della madre

98.      Per completezza, ritengo utile precisare che, nel caso in cui l’applicazione del metodo di verifica basato sul «centro effettivo della vita del minore» non permettesse di fondare la competenza generale dei giudici di uno Stato membro in una fattispecie come quella di cui al procedimento principale, la tutela dell’interesse superiore del minore garantita dall’articolo 24 della Carta e dei diritti fondamentali sanciti dagli articoli 4 e 6 della Carta (85) non giustificherebbe una diversa conclusione.

99.      Detto metodo, ricordo, rispecchia il criterio di vicinanza alla base dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento di cui trattasi e attraverso il quale il legislatore ha inteso tutelare l’interesse superiore del minore considerato in maniera generale (86). A mio giudizio, le considerazioni che seguono ostano alla creazione pretorile di un metodo derogatorio che si discosti dal criterio succitato qualora l’interesse superiore del minore considerato in un caso particolare e gli altri diritti fondamentali del minore siano a rischio nello Stato terzo in cui egli si trova.

100. In primo luogo, conformemente al suo articolo 51, paragrafo 2, la Carta «non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione». Così, la Corte è autorizzata a interpretare, alla luce della Carta, il diritto dell’Unione nei limiti delle competenze che le sono attribuite (87). Orbene, l’Unione e i suoi Stati membri non sono tenuti, in base al diritto dell’Unione o in forza della CEDU, a esercitare la loro giurisdizione su situazioni che si svolgono in Stati terzi in assenza di un elemento di collegamento previsto dal diritto dell’Unione o dalla CEDU come interpretata dalla giurisprudenza di Strasburgo (88).

101. In secondo luogo, il regolamento Bruxelles II bis prevede già un meccanismo che autorizza gli Stati membri a tutelare gli interessi di un minore anche in mancanza di un elemento di collegamento ricavato dal diritto dell’Unione. Qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli da 8 a 13 del regolamento Bruxelles II bis, l’articolo 14 di tale regolamento precisa che gli Stati membri possono, in via residuale, riconoscere la competenza ai loro giudici in forza della loro legge nazionale. Così, quando le disposizioni di detto regolamento fondate sul criterio di vicinanza non permettono di designare i giudici di nessuno Stato membro, ciascuno Stato membro resta libero di fondare la competenza dei propri giudici sulla base di regole di diritto interno che si discostano da detto criterio.

102. Nel caso di specie, una siffatta competenza residuale esiste nell’ordinamento giuridico del Regno Unito sotto forma di competenza parens patriae dei giudici di detto Stato membro. Tuttavia, come emerge dal fascicolo sottoposto alla Corte, l’applicazione di tale regola di competenza è circoscritta ai cittadini britannici ed è rimessa alla discrezione dei giudici nazionali.

103. Inoltre, XB ha sostenuto che, se del caso, UD potrebbe rivolgersi ai giudici del Bangladesh, in particolare qualora il diritto di tale Stato terzo preveda regole di competenza fondate sulla presenza del minore. A questo riguardo, il giudice del rinvio, pur precisando che il trattenimento di UD e della minore da parte di XB può violare i loro diritti fondamentali, non riferisce espressamente di allegazioni secondo cui la Repubblica del Bangladesh avrebbe mancato di adempiere il proprio obbligo positivo di protezione di tali diritti, in particolare in sede giurisdizionale (89). Date le circostanze, mi sembra inappropriato basare la presente analisi su ipotesi in tal senso.

104. In ogni caso, mi sembra che l’articolo 14 del regolamento Bruxelles II bis trasmetta l’idea secondo cui spetta a ciascuno Stato membro stabilire, segnatamente sulla base, se del caso, di considerazioni di «comity» («cortesia tra le nazioni»), se il timore che i giudici di uno Stato terzo non applichino alla madre e al minore norme di protezione conformi ai diritti e ai valori riconosciuti nello Stato membro di cui trattasi giustifichi o meno l’introduzione di un titolo di competenza specifico nella propria normativa nazionale (90).

105. Di conseguenza, anche quando l’interesse superiore e i diritti fondamentali del minore potessero essere violati in uno Stato terzo, l’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Bruxelles II bis non potrebbe essere interpretato nel senso di stabilire la residenza abituale del minore sulla base di criteri che si discostino dal criterio di vicinanza concretizzato nel metodo di verifica fondato sul «centro effettivo della vita del minore».

V.      Conclusione

106. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dalla High Court of Justice (England & Wales), Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia, Regno Unito]:

1)      La residenza abituale di un minore, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, corrisponde al luogo in cui detto minore ha, di fatto, il centro della propria vita. Tale luogo deve essere determinato alla luce dell’insieme delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie. In taluni casi eccezionali, la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze può giustificare la conclusione che il minore ha, di fatto, il centro della propria vita in un luogo in cui non è mai stato fisicamente presente. La presenza fisica del minore nel territorio di uno Stato membro non costituisce, pertanto, un prerequisito per fissare in tale Stato la sua residenza abituale.

2)      Il fatto che la madre di un lattante, del quale essa ha l’effettivo affidamento, sia stata costretta dal padre a partorire in uno Stato terzo e a restarvi con il lattante dopo la sua nascita, con l’eventuale risultato di porli in una situazione contraria ai diritti fondamentali sanciti dagli articoli 4 e 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, costituisce un elemento pertinente al fine di stabilire la residenza abituale del minore ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003.

Tuttavia, in una siffatta situazione, il lattante può risiedere abitualmente in uno Stato membro, pur non essendovi mai stato fisicamente presente, solo se la madre ha, di fatto, in tale Stato il centro della propria vita, aspetto questo che spetta al giudice del rinvio verificare. A tal riguardo, assumono importanza particolare gli eventuali legami di carattere familiare, sociale e culturale della madre in detto Stato membro, come pure le eventuali manifestazioni tangibili dell’intenzione della madre di soggiornare in tale Stato con il minore a partire dalla sua nascita.


1      Lingua originale: il francese.


2      Regolamento del Consiglio del 27 novembre 2003, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU 2003, L 338, pag. 1).


3      La Convenzione dell’Aia del 1996 ha sostituito la Convenzione sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, conclusa a L’Aia il 5 ottobre 1961 (in prosieguo: la «Convenzione dell’Aia del 1961»). Benché l’Unione europea non sia parte della Convenzione dell’Aia del 1996, tutti gli Stati membri ne sono firmatari.


4      Per contro, talune disposizioni del regolamento Bruxelles II bis in materia di competenza presuppongono necessariamente, come indica la loro formulazione letterale, un potenziale conflitto di competenza tra le autorità giurisdizionali di due o più Stati membri (v. articoli 9, 10, 15, 19 e 20). Inoltre, le disposizioni di detto regolamento concernenti il riconoscimento e l’esecuzione si applicano unicamente alle sentenze emanate dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri [v. ordinanza del 12 maggio 2016, Sahyouni (C‑281/15, EU:C:2016:343, punti da 19 a 22), e sentenza del 20 dicembre 2017, Sahyouni (C‑372/16, EU:C:2017:988, punto 27)]. È altresì pacifico che l’applicazione dell’articolo 11 del suddetto regolamento, concernente il ritorno del minore, presuppone che il trasferimento o il mancato rientro del minore abbia avuto luogo da uno Stato membro verso un altro. In sintesi, è opportuno interrogarsi non sul campo di applicazione ratione loci del regolamento Bruxelles II bis nella sua totalità, bensì sull’applicabilità di ciascuna delle sue disposizioni.


5      Sentenza del 1o marzo 2005 (C‑281/02, EU:C:2005:120, punto 33).


6      GU 1972, L 299, pag. 32.


7      Regolamento del Consiglio del 22 dicembre 2000 (GU 2001, L 12, pag. 1).


8      Sentenza del 1o marzo 2005, Owusu (C‑281/02, EU:C:2005:120, punti 34 e 35). V. altresì parere 1/03 (Nuova Convenzione di Lugano) del 7 febbraio 2006 (EU:C:2006:81, punti da 146 a 148).


9      L’articolo 81, paragrafo 2, TFUE prevede così l’adozione di misure di armonizzazione in materia di cooperazione giudiziaria «in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno» (il corsivo è mio).


10      V. punto 13 della relazione esplicativa a firma di A. Borrás (GU 1998, C 221, pag. 27), redatta nell’ambito della procedura di adozione della Convenzione stabilita sulla base dell’articolo K.3 del [TUE], concernente la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni nelle cause matrimoniali stipulata a Bruxelles il 28 maggio 1998 (GU 1998, C 221, pag. 1, detta «Convenzione di Bruxelles II»).


11      V., in particolare, Cour de Cassation (Corte di cassazione, Francia), Prima Sezione Civile, 13 maggio 2015, n. 15‑10.872; Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito), Re B (A Child) (Habitual Residence: Inherent Jurisdiction) [2016] UKSC 4, punto 29, e High Court of Ireland (Alta Corte, Irlanda) O’K c. A, 1o luglio 2008, [2008] IEHC 243, punto 5.8.


12      V., in particolare, Gallant, E., «Règlement Bruxelles II bis: compétence, reconnaissance et exécution en matières matrimoniale et de responsabilité parentale», Répertoire de droit international, Dalloz, 2013, punti 24 e segg., e Magnus, U., e Mankowski, P., European Commentaries on Private International Law: Brussels II bis Regulation, Sellier European Law Publisher, 2012, pag. 21.


13      La Corte ha già stabilito che un giudice nazionale può sottoporle una domanda d’interpretazione «anche laddove essa si bas[i] su affermazioni di una parte nella causa principale di cui il detto giudice non ha ancora verificato la fondatezza, qualora esso ritenga, in considerazione delle particolarità della causa, che una pronuncia pregiudiziale sia necessaria per poter emettere la sua sentenza e le questioni pregiudiziali (…) siano pertinenti» [sentenza del 9 dicembre 2003, Gasser (C‑116/02, EU:C:2003:657, punto 27)]. Nel caso di specie, il giudice del rinvio ritiene che la risposta della Corte alle sue questioni sia necessaria per pronunciarsi sulla propria competenza, fermo restando che il livello di prova relativo ai fatti pertinenti che deve essere a tal fine soddisfatto differisce dal livello probatorio applicabile all’accertamento dei fatti nel merito. A tal riguardo, nella sentenza del 28 gennaio 2015, Kolassa (C‑375/13, EU:C:2015:37, punti da 59 a 63), la Corte ha osservato che la portata degli obblighi di controllo che incombono ai giudici nazionali al momento dell’esame della propria competenza a norma del regolamento Bruxelles I rientra nel diritto processuale interno fatto salvo l’effetto utile di questo regolamento. Secondo la Corte, il giudice nazionale deve potersi pronunciare agevolmente sulla propria competenza, senza essere costretto a esaminare la causa nel merito procedendo ad una puntuale acquisizione della prova degli elementi di fatto afferenti sia alla competenza che al merito. Tale logica si impone, a mio giudizio, anche con riferimento alle regole di competenza previste dal regolamento Bruxelles II bis.


14      È pacifico che il ricorso oggetto del procedimento principale concerne questioni relative alla responsabilità genitoriale quale definita all’articolo 2, punto 7, del regolamento Bruxelles II bis.


15      La Convenzione dell’Aia del 1980 è stata firmata da tutti gli Stati membri. Tuttavia, l’Unione non vi ha aderito. Peraltro, la Repubblica del Bangladesh non è firmataria né di tale Convenzione, né della Convenzione dell’Aia del 1996.


16      V. articolo 62, paragrafo 2, e considerando 17 del regolamento Bruxelles II bis. In forza del suo articolo 60, lettera e), le disposizioni del regolamento de quo prevalgono su quelle della Convenzione dell’Aia del 1980. V. sentenza del 5 ottobre 2010, McB. (C‑400/10 PPU, EU:C:2010:582, punto 36).


17      V. articolo 3 della Convenzione dell’Aia del 1980 e articolo 2, punto 11, del regolamento Bruxelles II bis.


18      V. articolo 12 della Convenzione dell’Aia del 1980 e articolo 11 del regolamento Bruxelles II bis.


19      Sentenze del 9 ottobre 2014, C (C‑376/14 PPU, EU:C:2014:2268, punto 54), e dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 41).


20      V. relazione esplicativa di E. Pérez-Vera, Actes et documents de la XIVème session (1980), vol. III (in prosieguo: la «relazione Pérez‑Vera»), punti 16, 19 e 66. In particolare, il punto 16 di tale documento indica che l’incapacità di fissare convenzionalmente dei criteri di competenza in materia di diritto di affidamento ha portato a scegliere la strada del meccanismo di ritorno, la quale, «benché tortuosa, nella maggior parte dei casi permette che la decisione finale sull’affidamento sia adottata dalle autorità della residenza abituale del minore prima del suo trasferimento» (traduzione libera).


21      V., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2010, Purrucker (C‑296/10, EU:C:2010:665, punto 84).


22      V. punti 24 e 25 della relazione Pérez‑Vera e sentenza del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 59 e la giurisprudenza citata).


23      V., in tal senso, sentenza dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 66).


24      Sin dall’adozione della Convenzione dell’Aia del 1961, il criterio della residenza abituale del minore è stato preferito sia a quello della cittadinanza, che fondava tradizionalmente la competenza in materia di status delle persone ma che era considerato obsoleto, sia a quello del domicilio, che costituiva una nozione giuridica definita in maniera diversa in funzione dei diritti nazionali. La residenza abituale era considerata una «nozione di fatto» corrispondente al «centro effettivo della vita del minore» [relazione esplicativa di W. de Steiger, Actes et documents de la IXème session (1960), volume IV, pagg. 9, 13 e 14]. I lavori preparatori all’adozione della Convenzione dell’Aia del 1980 ribadiscono che la residenza abituale costituisce, contrariamente alla nozione di «domicilio», una «nozione di puro fatto» (relazione Pérez‑Vera, punto 66). Nel corso dei lavori preparatori per l’adozione della Convenzione dell’Aia del 1996, una proposta volta a inserire una definizione della suddetta nozione fu respinta per il fatto che essa avrebbe rischiato di interferire nell’interpretazione delle numerose altre convenzioni che si servono della medesima nozione [relazione esplicativa a firma di P. Lagarde, Actes et documents de la XVIIIème session (1996), volume II, punto 40]. Queste relazioni sono disponibili anche sul sito Internet https://www.hcch.net/fr/instruments.


25      V., a tal riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa A (C‑523/07, EU:C:2009:39, paragrafi 26 e 30).


26      Seguo così, segnatamente, le orme dei giudici britannici e canadesi, la cui giurisprudenza contiene numerosi riferimenti alle decisioni rese da giudici di altri Stati firmatari della Convenzione dell’Aia del 1980 e da questa Corte. V., in particolare, Cour suprême du Canada (Corte Suprema, Canada), Balev, 2018 SCC 16, punti da 40 a 57, e Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito), A v A (Children: Habitual Residence), [2013] UKSC 60, punti 46 e segg.


27      [2013] UKSC 60.


28      V. paragrafi 47 e segg. delle presenti conclusioni.


29      [2013] UKSC 60, punti da 55 a 58.


30      V., in particolare, [2013] UKSC 60, punti da 82 a 93. Per giunta, il giudice del rinvio ha ritenuto, in circostanze specifiche, equiparabili a quelle della causa A v A (Children: Habitual Residence), che un minore risiedesse abitualmente nel Regno Unito benché non vi avesse mai «messo piede». V. High Court of Justice (England & Wales), Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia], B v H (Habitual Residence: Wardship)[2002] 1 FLR 388.


31      Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia), Prima Sezione Civile, 26 ottobre 2011, n. 10‑19.905 (Bulletin 2011, I, n. 178).


32      V. paragrafi 47 nonché da 54 a 63 delle presenti conclusioni.


33      V., in particolare, sentenze del 2 aprile 2009, A (C‑523/07, EU:C:2009:225, punto 38); del 22 dicembre 2010, Mercredi (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829, punto 47), e dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 42).


34      Sentenza del 28 giugno 2018 (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 42). V. altresì le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa A (C‑523/07, EU:C:2009:39, paragrafo 38). Tale metodo di verifica corrisponde a quello vertente sul «centro effettivo della vita del minore» enunciato nei lavori preparatori della Convenzione dell’Aia del 1961 (v. nota a fondo pagina n. 24 delle presenti conclusioni).


35      Sentenze del 2 aprile 2009, A (C‑523/07, EU:C:2009:225, punto 38), e del 9 ottobre 2014, C (C‑376/14 PPU, EU:C:2014:2268, punto 51). V., inoltre, sentenze del 22 dicembre 2010, Mercredi (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829, punto 49); dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 43), e del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 41).


36      Sentenza del 22 dicembre 2010 (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829, punto 44).


37      L’enunciazione di tale criterio si scontra con l’obiezione secondo cui la cittadinanza del minore rappresenta un criterio di collegamento autonomo, di carattere giuridico, che gli autori delle Convenzioni dell’Aia (cui s’ispira il regolamento Bruxelles II bis) hanno, per l’appunto, inteso escludere a favore del criterio fattuale della residenza abituale del minore (v. nota nota a fondo pagina n. 24 delle presenti conclusioni). V. Lamont, R., commento alla sentenza del 2 aprile 2009, A (C‑523/07, EU:C:2009:225), Common Market Law Review 47, 2010, pag. 241. In tale ottica, la cittadinanza del minore viene presa in considerazione unicamente nella misura in cui essa integra un indizio idoneo a riflettere la realtà sociale dell’ambiente del minore. V., in tal senso, sentenza del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punti da 57 a 60).


38      V., in tal senso, sentenze del 2 aprile 2009, A (C‑523/07, EU:C:2009:225, punto 39), e del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 43).


39      V. sentenze del 2 aprile 2009, A (C‑523/07, EU:C:2009:225, punto 40); del 22 dicembre 2010, Mercredi (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829, punto 50); dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 46), e del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 46).


40      V., in tal senso, sentenze dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 48), e del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 49).


41      Secondo il dizionario Larousse, la nozione di «lattante» indica il minore a partire dalla fine del periodo neonatale sino all’età di due anni, mentre con «neonato» si intendono i minori di età non superiore a 28 giorni. Per comodità, utilizzerò il termine «lattante» per ricomprendere le due suddette categorie di bambini in tenera età. Alla data in cui è stato adito il giudice del rinvio, la minore interessata dal procedimento principale era una lattante.


42      Sentenza del 22 dicembre 2010 (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829).


43      Sentenza del 22 dicembre 2010, Mercredi (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829, punti da 52 a 54). V., altresì, sentenza dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 45).


44      Sentenza del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 44).


45      V. sentenza del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 45).


46      Sentenze dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 45), e del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 45). V., altresì, sentenza del 22 dicembre 2010, Mercredi (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829, punti 55 e 56).


47      V., in tal senso, Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito), Re L (A Child) (Custody: Habitual Residence) [2013] UKSC 75, punto 23: «it is clear that parental intent does play a part in establishing or changing the habitual residence of a child: not parental intent in relation to habitual residence as a legal concept, but parental intent in relation to the reasons for a child’s leaving one country and going to stay in another».


48      V. sentenze dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punti 47 e 50), e del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 64).


49      V. Cour suprême du Canada (Corte suprema del Canada), 20 aprile 2018, Balev, 2018 SCC 16, punti da 50 a 57.


50      V. United States Court of Appeals, 6th Circuit (Corte d’appello per il Sesto Circuito, Stati Uniti d’America), Friedrich v. Friedrich, 78 F.3d 1060 (1996), e Robert v. Tesson, 507 F.3d 981 (2007), nonché Cour d’appel de Montréal (Corte d’appello di Montreal, Canada), 8 settembre 2000, n. 500‑09‑010031‑003.


51      V., in particolare, United States Court of Appeals, 9th Circuit (Corte d’appello per il Nono Circuito, Stati Uniti d’America), Mozes v Mozes, 239 F 3d 1067 (2001), e United States Court of Appeals, 11th Circuit (Corte d’appello per l’Undicesimo Circuito, Stati Uniti d’America), Ruiz v. Tenorio, 392 F.3d 1247 (2004).


52      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.


53      Sentenza del 15 febbraio 2017 (C‑499/15, EU:C:2017:118, punto 61).


54      V., a tal riguardo, nota a fondo pagina n. 37 delle presenti conclusioni.


55      Sentenza dell’8 giugno 2017 (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436).


56      Sentenza del 15 febbraio 2017 (C‑499/15, EU:C:2017:118).


57      Conclusioni nella causa OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:375, paragrafi 57 e 61). Tuttavia, ai paragrafi da 81 a 83, l’avvocato generale Wahl sfuma la propria posizione osservando che non si può escludere un superamento del criterio della presenza fisica in circostanze eccezionali, purché esista un collegamento tangibile con uno Stato membro in cui il minore non si è mai recato. Un siffatto collegamento dovrebbe essere fondato, nell’interesse del minore, su «indizi solidi e reali» che potrebbero così prevalere sulla presenza fisica.


58      Sentenza dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 35).


59      Sentenza dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punti 50 e segg.).


60      Sentenza dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punti 49 e 50).


61      V. paragrafi 49 e 50 delle presenti conclusioni.


62      [2013] UKSC 60, punto 42.


63      Un terzo approccio, secondo cui il minore risiederebbe abitualmente in Francia per il semplice fatto che ivi si trova sin dalla nascita, sembra escluso a priori, visto che la sua presenza casuale non può possedere il carattere di stabilità e di regolarità richiesto per fissare in tale Stato la residenza abituale del minore.


64      Diversamente da quanto suggerito dall’avvocato generale Wahl nelle sue conclusioni nella causa OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:375, paragrafo 85), l’approccio da me proposto non comporta in alcun modo l’ammissione che il minore possa avere una residenza abituale ancor prima della sua nascita, né quindi che un nascituro possa rientrare nel campo di applicazione del regolamento Bruxelles II bis. Tale approccio si limita a riflettere la realtà sociale secondo cui un lattante non può essere integrato in un ambiente familiare e sociale autonomo e scollegato da quello delle persone che si prendono quotidianamente cura di lui.


65      V. A v A (Children: Habitual Residence), [2013] UKSC 60, punti 44 (sentenza adottata a maggioranza) e da 73 a 75 nonché punti 83 e 84 (opinione dissenziente). V. anche Re L (A Child) (Custody: Habitual Residence) [2013] UKSC 75, punto 21.


66      V. sentenza dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 50), e Re L (A Child) (Custody: Habitual Residence) [2013] UKSC 75, punto 21: «the proposition (…) that a young child in the sole lawful custody of his mother will necessarily have the same habitual residence as she does, is to be regarded as a helpful generalisation of fact, which will usually but not invariably be true, rather than a proposition of law». V. anche Supreme Court of the United States (Corte suprema degli Stati Uniti d’America), Delvoye v. Lee, 2003 U.S. LEXIS 7737: «There is general agreement on a theoretical level that because of the factual basis of the concept there is no place for habitual residence of dependence. However, in practice it is often not possible to make a distinction between the habitual residence of a child and that of its custodian».


67      V., a tal riguardo, l’opinione dissenziente di Lord Hugues nella causa A v A (Children: Habitual Residence), [2013] UKSC 60, punto 92.


68      Sentenza del 2 aprile 2009 (C‑523/07, EU:C:2009:225).


69      L’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento Bruxelles II bis consente tuttavia di evitare conflitti di giurisdizione. La suddetta disposizione prevede che, «[q]ualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi siano state proposte domande sulla responsabilità genitoriale su uno stesso minore, aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita».


70      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa A (C‑523/07, EU:C:2009:39, paragrafi 20 e 21).


71      Sentenza del 2 aprile 2009, A (C‑523/07, EU:C:2009:225, punto 43). L’articolo 13 del regolamento Bruxelles II bis disciplina, in particolare, i casi eccezionali di determinati trasferimenti durante i quali, per un periodo transitorio, il minore abbia perduto la propria residenza abituale nello Stato di provenienza, senza aver ancora acquisito una residenza abituale nello Stato di arrivo. V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa A (C‑523/07, EU:C:2009:39, paragrafo 45) e la Guida pratica all’applicazione del regolamento Bruxelles II bis della Commissione (disponibile sul sito Internet https://publications.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/f7d39509-3f10-4ae2-b993-53ac6b9f93ed, pag. 29).


72      Per giunta, in casi di questo tipo, una regola siffatta priverebbe il giudice della possibilità di pervenire a una conclusione semplice sulla residenza abituale del minore tenendo conto dell’insieme delle altre circostanze pertinenti.


73      Si può certo nutrire un dubbio quanto al fatto che la madre non prevedesse di partorire in Bangladesh, dato che si è recata in tale paese incinta di oltre sette mesi. Tuttavia, poiché il giudice del rinvio afferma di essere chiamato a stabilire la propria competenza sulla base dell’allegazione della madre secondo cui essa è stata costretta dal padre a partorire in Bangladesh, fonderò la mia analisi su tale premessa.


74      V. Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito), A v A (Children), [2013] UKSC 60, e High Court of Justice (England &Wales), Family Division [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), Divisione del diritto di famiglia], B v H (Habitual Residence: Wardship)[2002] 1 FLR 388.


75      Come emerge dall’ordinanza di rinvio, il giudice nazionale è chiamato a pronunciarsi sulla propria competenza fondandosi su determinati fatti dedotti dalla madre e non ancora accertati (v. paragrafi 17 e 31 delle presenti conclusioni). In tali circostanze, le considerazioni che seguono sono intese a supportare il giudice a quo nella determinazione della residenza abituale del minore nell’ambito di una fattispecie corrispondente alla succitata versione dei fatti, ferma restando la valutazione di tali fatti nel merito da parte del suddetto giudice.


76      V. paragrafo 48 delle presenti conclusioni.


77      Nello stesso senso, taluni giudici degli Stati Uniti d’America hanno tenuto conto della coercizione esercitata sulla madre di un minore al fine di stabilire la residenza di quest’ultimo. Così, la District Court of Utah (Tribunale regionale dello Stato dello Utah, Stati Uniti d’America) ha stabilito che il minore, benché vivesse in Germania, non aveva ivi la propria residenza abituale, in quanto a lui e alla madre era impedito di lasciare detto paese a causa di abusi verbali, psicologici e fisici commessi dal padre [Re Ponath, 829 F. Supp. 363 (1993)]. La District Court of Washington (Tribunale regionale dello Stato di Washington, Stati Uniti d’America) ha stabilito che la madre dei minori in causa non risiedeva abitualmente in Grecia, dove essa viveva con loro socialmente isolata e privata di ogni autonomia, senza conoscerne le norme culturali e la lingua e con un accesso limitato alle risorse finanziarie, essendo vittima di atti di violenza commessi dal padre [Tsarbopoulos v. Tsarbopoulos, 176 F. Supp. 2d 1045, (2001)]. La District Court of Minnesota (Tribunale regionale dello Stato del Minnesota, Stati Uniti d’America) ha tenuto conto del fatto che il padre aveva impedito alla madre di lasciare il territorio di Israele, di cui entrambi erano cittadini e dove la madre aveva trascorso 11 mesi con il padre e i loro figli, per escludere che detti minori risiedessero abitualmente in quello Stato [Silverman v. Silverman, 2002 U.S. Dist. LEXIS 8313].


78      V. sentenza del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punti da 52 a 58).


79      V. paragrafi da 65 a 71 delle presenti conclusioni.


80      Sentenza dell’8 giugno 2017, OL (C‑111/17 PPU, EU:C:2017:436, punto 48). V. paragrafo 60 delle presenti conclusioni.


81      La Commissione afferma che l’intenzione unilaterale di uno solo dei genitori contitolari della responsabilità genitoriale non potrebbe in nessun caso compensare la mancanza di una presenza fisica del minore nello Stato membro considerato. Tale argomentazione deve essere respinta alla luce della sentenza del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 63), da cui emerge che l’intenzione del genitore che, pur essendo titolare di un diritto di affidamento, non abbia effettivamente la custodia del minore, deve essere tenuta in considerazione solo nella misura in cui detto genitore intenda esercitare il proprio diritto di affidamento. Di conseguenza, è possibile prendere in considerazione soltanto l’intenzione unilaterale del genitore che intende effettivamente esercitare il suo diritto di affidamento. Tale soluzione è, del resto, in linea con la ratio della procedura di ritorno prevista dalla Convenzione dell’Aia del 1980 e integrata dal regolamento Bruxelles II bis. Infatti, l’articolo 3, lettera b), di detta Convenzione, il cui contenuto è ripreso dall’articolo 2, punto 11, lettera b), del regolamento succitato, prevede che il trasferimento o il mancato rientro di un minore è illecito solo se avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti dalla legge dello Stato della residenza abituale del minore e se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi.


82      V. sentenza del 28 giugno 2018, HR (C‑512/17, EU:C:2018:513, punto 48).


83      Secondo la sentenza del 22 dicembre 2010, Mercredi (C‑497/10 PPU, EU:C:2010:829, punto 51), anche se il soggiorno del minore nello Stato membro di cui trattasi «deve, in linea di principio, essere di una certa durata per poter esprimere una stabilità sufficiente», il regolamento Bruxelles II bis non prevede una durata minima dello stesso, posto che la durata del soggiorno costituisce solo un indizio insieme ad altri.


84      V. paragrafo 71 delle presenti conclusioni.


85      V. considerando 12 del regolamento Bruxelles II bis e considerando 33 dello stesso, in base al quale tale regolamento riconosce e rispetta i diritti fondamentali garantiti dalla Carta.


86      V. paragrafo 36 delle presenti conclusioni.


87      V., in particolare, sentenza del 5 ottobre 2010, McB. (C‑400/10 PPU, EU:C:2010:582, punto 51).


88      Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), la giurisdizione degli Stati contraenti, ai sensi dell’articolo 1 della CEDU, è limitata, in linea di principio, al loro rispettivo territorio. Tale principio conosce eccezioni solo in circostanze ben determinate ed estranee al contesto di fatto della presente controversia. V., in particolare, Corte EDU, 7 luglio 2011, Al-Skeini e a. c. Regno Unito (CE:ECHR:2011:0707JUD005572107, §§ da 130 a 142 e la giurisprudenza ivi citata).


89      Benché la Repubblica del Bangladesh non sia vincolata né dalla CEDU, né dalla Carta, gli articoli 7 e 9 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrato in vigore il 23 marzo 1976 – strumento al quale la Repubblica del Bangladesh ha aderito – garantiscono diritti analoghi a quelli previsti, rispettivamente, dagli articoli 3 e 5 della CEDU e dagli articoli 4 e 6 della Carta.


90      V., a tal riguardo, l’opinione dissenziente di Lord Sumption nella causa Re B (A Child) (Habitual Residence: Inherent Jurisdiction) [2016] UKSC 4, punti 66 e 76. Vi si afferma che la mera disapprovazione delle norme applicabili in forza del diritto del paese in cui il minore è presente non sarebbe sufficiente a fondare la competenza dei giudici del Regno Unito.