Language of document : ECLI:EU:C:2019:828

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

3 ottobre 2019 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale – Clausola 4 – Principio di non discriminazione – Trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno quanto alle loro condizioni di impiego – Divieto – Normativa nazionale che fissa una durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato più lunga per i lavoratori a tempo parziale che per i lavoratori a tempo pieno – Principio del “pro rata temporis” – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di impiego e di lavoro – Articolo 2, paragrafo 1, lettera b) – Nozione di «discriminazione indiretta» fondata sul sesso – Articolo 14, paragrafo 1, lettera c) – Condizioni di occupazione e di lavoro – Articolo 19 – Onere della prova»

Nella causa C‑274/18,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Arbeits- und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna, Austria), con decisione del 19 aprile 2018, pervenuta in cancelleria il 23 aprile 2018, nel procedimento

Minoo Schuch-Ghannadan

contro

Medizinische Universität Wien,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da A. Prechal (relatrice), presidente di sezione, F. Biltgen, J. Malenovský, C.G. Fernlund e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: D. Dittert, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 marzo 2019,

considerate le osservazioni presentate:

–        per M. Schuch-Ghannadan, da A. Obereder, Rechtsanwalt;

–        per la Medizinische Universität Wien, da A. Potz, Rechtsanwältin;

–        per il governo austriaco, da J. Schmoll e G. Hesse, in qualità di agenti;

–        per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes, A. Pimenta e S. Duarte Afonso, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da M. van Beek, T.S. Bohr e A. Szmytkowska, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 giugno 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul lavoro a tempo parziale»), che figura nell’allegato della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9), nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23).

2        Tale domanda è stata presentata nell ’ambito di una controversia tra la sig.ra Minoo Schuch-Ghannadan e la Medizinische Universität Wien (Università di Vienna, Facoltà di medicina di Vienna, Austria, in prosieguo: la «MUW») con riguardo a una domanda della prima intesa alla constatazione della continuazione, a tempo indeterminato, del suo rapporto di lavoro con la seconda.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 La direttiva 97/80/CE

3        L ’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6), abrogata dalla direttiva 2006/54, prevedeva quanto segue:

«Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta».

 L’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale

4        La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, intitolata «Principio di non discriminazione», è del seguente tenore:

«1.      Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.

2.      Dove opportuno, si applica il principio «pro rata temporis».

(…)».

 Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato

5        La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul lavoro a tempo determinato»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43), rubricata «Misure di prevenzione degli abusi» prevede, al suo punto 1:

«Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a)      ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b)      la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c)      il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti».

 La direttiva 2006/54

6        A termini del considerando 30 della direttiva 2006/54:

«L’adozione di norme sull’onere della prova contribuisce in modo significativo a che il principio della parità di trattamento possa essere applicato efficacemente. Pertanto, come dichiarato dalla Corte di giustizia, occorre adottare provvedimenti affinché l’onere della prova sia a carico della parte convenuta quando si può ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione, a meno che si tratti di procedimenti in cui l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o ad altro organo nazionale competente. Occorre tuttavia chiarire che la valutazione dei fatti in base ai quali si può presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta rimane di competenza dell’organo nazionale competente, secondo il diritto e/o la prassi nazionali. Inoltre, spetta agli Stati membri prevedere, in qualunque fase del procedimento, un regime probatorio più favorevole alla parte attrice».

7        L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», al suo paragrafo 1 così dispone:

«Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

(…)

b)      discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;

(…)».

8        L’articolo 14 della suddetta direttiva, rubricato «Divieto di discriminazione», al suo paragrafo 1 dispone quanto segue:

«È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo 141 del trattato;

(…)».

9        L’articolo 19 di tale direttiva, intitolato «Onere della prova», ha il seguente tenore:

«1.      Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.

2.      Il paragrafo 1 non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole alla parte attrice.

3.      Gli Stati membri possono non applicare il paragrafo 1 alle procedure nelle quali l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo competente.

(…)».

 Il diritto austriaco

10      L’articolo 6, paragrafo 1, della Universitätsgesetz 2002 (legge sulle Università, in prosieguo: l’«UG») così recita:

«La presente legge federale si applica alle Università seguenti:

(…)

4.      [MUW];

(…)».

11      L’articolo 109 dell’UG prevede quanto segue:

«1.      I contratti di lavoro possono essere conclusi a tempo indeterminato o a tempo determinato. Salvo disposizioni contrarie della presente legge federale, i contratti di lavoro a tempo determinato hanno una durata massima di 6 anni a pena di invalidità.

2.      Una successione di [contratti a] tempo determinato consecutivi è legittima solo per lavoratrici e lavoratori impegnati nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca e per il personale destinato esclusivamente all’insegnamento nonché per il personale supplente. La durata complessiva dei contratti di lavoro consecutivi di una lavoratrice o di un lavoratore non può eccedere 6 anni, o 8 anni nel caso di impiego a tempo parziale. È autorizzata, se sussiste una giustificazione obiettiva, in particolare ai fini della continuazione oppure della conclusione di progetti di ricerca e di pubblicazioni, una proroga unica per una durata massima di 10 anni, e di 12 anni complessivi nell’ipotesi di impiego a tempo parziale».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12      Risulta dalla decisione di rinvio che la sig.ra Schuch-Ghannadan è stata impiegata come ricercatrice dalla MUW dal 9 settembre 2002 al 30 aprile 2014 in forza di una serie di contratti a tempo determinato successivi, sia a tempo pieno sia a tempo parziale.

13      Secondo il giudice del rinvio, il diritto austriaco, e segnatamente l ’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, prevede che una successione di contratti a tempo determinato successivi sia autorizzata, per i lavoratori e le lavoratrici impiegati dalla MUW, segnatamente nel contesto di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca e per il personale destinato esclusivamente all’insegnamento. La durata complessiva di questi contratti di lavoro consecutivi a tempo determinato non può eccedere 6 anni, o 8 anni nel caso di attività a tempo parziale. Oltre questa durata, è concessa, se sussiste una giustificazione obiettiva, in particolare ai fini della continuazione oppure della conclusione di progetti di ricerca e di pubblicazioni in corso, una proroga unica per una durata massima di 10 anni per i lavoratori a tempo pieno, e di 12 anni nell’ipotesi di attività a tempo parziale.

14      La sig.ra Schuch-Ghannadan ha adito l’Arbeits- und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna, Austria) chiedendo che fosse constatata la continuazione del suo rapporto di lavoro con la MUW oltre il 30 aprile 2014, dato che, a suo avviso, il periodo massimo autorizzato per rapporti di lavoro a tempo determinato, che era di 8 anni nel suo caso, era già trascorso in tale data. Essa ha fatto valere, inoltre, che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG comporta una discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale aggiungendo, infine, che detta disposizione svantaggia, segnatamente, le donne, dal momento che queste ultime sono in effetti meno numerose a lavorare a tempo pieno. In tal senso, in mancanza di una giustificazione obiettiva, questa differenza di trattamento costituirebbe una discriminazione indiretta fondata sul sesso, contraria al diritto dell’Unione.

15      Nella sua difesa, la MUW ha sostenuto che una proroga della durata massima dei contratti a tempo determinato successivi per una durata massima di 12 anni era giustificata nella specie, dato che l’ultimo contratto a tempo determinato era stato concluso per consentire alla ricorrente nel procedimento principale la continuazione di un progetto e l’espletamento di mansioni nell’ambito di tale progetto.

16      Con sentenza del 2 giugno 2016, l’Arbeits- und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna) ha respinto il ricorso, fondandosi sulla circostanza che la MUW aveva potuto legittimamente prorogare i rapporti di lavoro con la ricorrente fino a una durata massima di 12 anni.

17      La sig.ra Schuch-Ghannadan ha impugnato la sentenza dinanzi all’Oberlandesgericht Wien (Tribunale superiore del Land di Vienna, Austria). Detto giudice ha annullato la sentenza dell’Arbeits- und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna) argomentando che quest’ultimo non aveva esaminato a sufficienza di diritto la conformità dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG con il diritto dell’Unione, nonostante il fatto che la ricorrente avesse sollevato la relativa questione. Il giudice in appello, pertanto, ha rinviato la causa dinanzi al giudice del rinvio, chiedendo a quest’ultimo di consentire alla MUW di formulare osservazioni e, eventualmente, di apportare prove quanto al punto se detta disposizione fosse tale da risultare svantaggiosa, in particolare, per le donne rispetto agli uomini e, in tal caso, di determinare se una tale disparità di trattamento fosse giustificata.

18      Dinanzi al giudice del rinvio, la MUW sostiene che l’Oberlandesgericht Wien (Tribunale superiore del Land di Vienna) ha compiuto una valutazione non corretta dell’onere dell’allegazione e della prova della discriminazione nello statuire che l’onere della prova dell’assenza di discriminazione incombesse alla stessa. La ricorrente, infatti, si sarebbe limitata a dedurre, senza suffragarla, l’esistenza di una discriminazione indiretta fondata sul sesso, senza esporre, adducendo argomenti e in termini concreti, sotto qual profilo l’applicazione dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituirebbe una discriminazione dei lavoratori di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile. La MUW sostiene peraltro che gli impieghi a tempo indeterminato sono estremamente rari in ambiente universitario e che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG consente ai suoi dipendenti di lavorare più a lungo per essa. La MUW fa infine valere che, per valutare se tale disposizione incida in termini negativi sulle donne in particolare, occorrerebbe prendere come contesto di riferimento la situazione comune a tutte le università austriache. Tuttavia, non avendo accesso all’insieme di tali dati, la MUW sottolinea che, nella parte che la riguarda, la proporzione dei lavoratori impiegati a tempo determinato e che ricade nella disciplina dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG sarebbe pari al 79% per le donne e al 75% per gli uomini.

19      Da parte sua, la sig.ra Schuch-Ghannadan fa valere che si presume che una misura tale da incidere su una percentuale più elevata di donne che di uomini costituisca una discriminazione indiretta, sicché spetta alla parte avversa apportare la prova contraria. Dal momento che la MUW non è stata in grado di produrre i dati relativi a altre università interessate dalla medesima normativa né di provare l’esistenza di una giustificazione, l’esistenza di una discriminazione indiretta sarebbe dimostrata.

20      A tal riguardo, il giudice del rinvio precisa che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituisce una deroga alle regole consuete del diritto del lavoro, dato che il concatenarsi di due o più contratti a tempo determinato, in effetti, è considerato, in linea di principio, come illegittimo da parte dei giudici austriaci, a meno che non sussista una giustificazione oggettiva.

21      Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, detta disposizione non è in contrasto con la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, dato che, nel fissare la durata massima complessiva dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato successivi il legislatore nazionale ha adottato una misura della natura di quelle di cui al punto 1, lettera b), di detta clausola.

22      Il giudice del rinvio si interroga, peraltro, in ordine alla compatibilità con la clausola 4 dell ’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, nella parte in cui detta disposizione fissa una durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato superiore per i lavoratori a tempo parziale che per i lavoratori a tempo pieno. A suo avviso, questa regola potrebbe essere considerata un’applicazione del principio del prorata temporis, che figura al punto 2 di detta clausola, dal momento che, durante il rapporto di lavoro, i lavoratori a tempo parziale acquisiscono meno conoscenze ed esperienza dei lavoratori a tempo pieno. Se così stanno le cose, occorrerebbe solo esaminare se il ricorso a questo principio è adeguato nella specie, senza dover verificare se esistono motivi oggettivi che giustificano la misura in questione.

23      Per quanto riguarda la direttiva 2006/54, per valutare se la misura nazionale oggetto del procedimento principale comporti una discriminazione indiretta fondata sul sesso, il giudice del rinvio ritiene che occorra prendere in considerazione, quale gruppo di riferimento, i dipendenti di tutte le università austriache che ricadono nell’UG e comparare la percentuale di uomini e di donne impiegati a tempo parziale assoggettati a detta misura. A tal riguardo, in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, della stessa direttiva, spetterebbe alla parte che si ritiene lesa da una discriminazione indiretta dimostrarne l’esistenza.

24      Tuttavia, secondo alcune sentenze dell ’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria), il fatto che la percentuale di impiego a tempo parziale sia, in generale, molto più elevata tra le donne costituisce una presunzione di disparità di trattamento che spetta al datore di lavoro confutare provando che la proporzione delle donne interessate da una determinata misura non è significativamente più elevata di quella degli uomini che si trovano nella medesima situazione.

25      Per questa ragione, il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare l ’articolo 19 della direttiva 2006/54.

26      Ciò premesso, l’Arbeits- und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il principio pro rata temporis di cui alla clausola 4, punto 2, [dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale], in combinato disposto con il principio di non discriminazione di cui a [detta] clausola 4, punto 1, debba essere applicato ad una disciplina legislativa a termini della quale sia lecito limitare la durata complessiva di rapporti di lavoro consecutivi di una lavoratrice o di un lavoratore, impiegata/o presso un’Università austriaca nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca, a [sei] anni per le lavoratrici e i lavoratori a tempo pieno, ma a [otto] anni in caso di impiego a tempo parziale, e inoltre, in presenza di una giustificazione obiettiva, in particolare ai fini della continuazione oppure della conclusione di progetti di ricerca o di pubblicazioni, se sia lecita una sola ulteriore proroga fino a [dieci] anni complessivi per i lavoratori a tempo pieno e di [dodici] anni nel caso di impiego a tempo parziale.

2)      Se una disciplina legislativa come quella descritta nella prima questione costituisca una discriminazione indiretta fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54, nel caso in cui, considerando l’insieme dei lavoratori cui si applica tale normativa, risulti danneggiata una percentuale notevolmente più elevata di lavoratori di sesso femminile che di lavoratori di sesso maschile.

3)      Se l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva [2006/54] debba essere interpretato nel senso che una donna, la quale, nell’ambito di applicazione di una disciplina legislativa come quella menzionata nella prima questione, lamenti di aver subìto una discriminazione indiretta fondata sul sesso, poiché sono molto di più le donne che gli uomini a lavorare in regime di tempo parziale, debba corroborare detta circostanza, segnatamente il fatto che le donne siano danneggiate in numero statisticamente molto più elevato, attraverso l’allegazione di pertinenti dati statistici o di fatti concreti e dimostrandola con idonei mezzi di prova».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

27      In limine, quanto alla portata delle questioni pregiudiziali, occorre rilevare che, con dette questioni, il giudice del rinvio si limita a sollecitare l’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54.

28      A tal riguardo, si deve rilevare che la Commissione europea ha sostenuto, sia nelle sue osservazioni scritte sia all’udienza dinanzi alla Corte, che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG non costituisce una trasposizione sufficiente della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

29      Tuttavia, come già rilevato al punto 21 della presente sentenza, risulta espressamente dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che, secondo il giudice del rinvio, l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituisce una trasposizione sufficiente e legittima di tale clausola. Pertanto, il giudice del rinvio ritiene di non aver bisogno di delucidazioni quanto all’eventuale incidenza della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sulla risposta che deve essere apportata alle questioni poste.

30      Secondo costante giurisprudenza, spetta unicamente al giudice del rinvio determinare e formulare le questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione del diritto dell’Unione che sono necessarie ai fini della risoluzione della controversia oggetto del procedimento principale (sentenza del 13 dicembre 2018, Touring Tours und Travel e Sociedad de transportes, C‑412/17 e C‑474/17, EU:C:2018:1005, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

31      Risulta parimenti dalla giurisprudenza della Corte che, se il giudice del rinvio ha indicato nella sua decisione di rinvio che non ha ritenuto necessario sottoporre una questione, la Corte non può rispondere a tale questione né prenderla in considerazione nell’ambito del rinvio pregiudiziale (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2018, Touring Tours und Travel e Sociedad de transportes, C‑412/17 e C‑474/17, EU:C:2018:1005, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

32      In tale contesto, la Corte non può, nella specie, ampliare l’oggetto delle questioni poste esaminandole alla luce non solo della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, bensì parimenti della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

 Sulla prima questione

33      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio intende chiarire, in sostanza, se la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale vada interpretata nel senso che, da una parte, osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissa, per i lavoratori a tempo determinato interessati da tale norma, una durata massima dei rapporti di lavoro più lunga per i lavoratori a tempo parziale che per i lavoratori a tempo pieno comparabili e, dall’altra, se il principio del prorata temporis ivi considerato sia applicabile a tale normativa.

34      Occorre ricordare che, conformemente al punto 1 di questa clausola, per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non sono trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. Inoltre, ai sensi del punto 2 della clausola medesima, dove opportuno, si applica il principio del pro rata temporis.

35      Nella specie viene sollevata, anzitutto, la questione se la normativa oggetto del procedimento principale comporti, con riguardo alla durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato, un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno, ciò che contestano sia la MUW sia il governo austriaco. Infatti, secondo questi ultimi, la circostanza che i lavoratori a tempo determinato a tempo parziale possano lavorare, per una università, durante un periodo più lungo dei lavoratori a tempo determinato a tempo pieno costituisce un vantaggio per i primi, alla luce, segnatamente, della difficoltà, per il personale interessato da detta normativa, di accedere a un contratto a tempo indeterminato nell ’ambito delle università.

36      Tuttavia, come fanno valere la Commissione e la ricorrente, una siffatta circostanza sembra essere tale da ridurre o rimandare nel tempo, in misura maggiore per i lavoratori a tempo parziale che per i lavoratori a tempo pieno, la possibilità di accedere a un contratto a tempo indeterminato, il che, eventualmente, e con riserva di una verifica da parte del giudice del rinvio, costituirebbe un trattamento meno favorevole di questa prima categoria di lavoratori.

37      Viene quindi sollevata la questione se la differenza di trattamento prevista dall ’articolo 109, paragrafo 2, de l’UG possa essere giustificata da ragioni oggettive.

38      La MUW e il governo austriaco sostengono che questo è quanto si verifica nella specie, dato che il livello di conoscenze e di esperienza che i lavoratori a tempo parziale possono acquisire nell’ambito delle loro relazioni di lavoro è necessariamente inferiore a quello che acquisiscono i lavoratori a tempo pieno comparabili. In tal senso, se queste due categorie di lavoratori fossero assoggettate alla stessa durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato, i lavoratori a tempo parziale sarebbero particolarmente svantaggiati, dato che disporrebbero di meno tempo per effettuare ricerche e realizzare pubblicazioni scientifiche, mentre si tratta di elementi primordiali per riuscire a installarsi in ambito universitario.

39      A tal riguardo, risulta da giurisprudenza costante che l’affermazione secondo la quale sussiste un nesso particolare tra la durata di un’attività professionale e l’acquisizione di un certo livello di conoscenze o di esperienza, in quanto costituisce una semplice generalizzazione relativa a talune categorie di lavoratori, non consente di elaborare criteri oggettivi ed estranei a ogni discriminazione. Infatti, sebbene l’anzianità vada di pari passo con l’esperienza, l’obiettività di un siffatto criterio dipende dal complesso delle circostanze del caso concreto, segnatamente dalla relazione tra la natura della funzione esercitata e l’esperienza che l’esercizio di questa funzione apporta a un certo numero di ore di lavoro effettuato (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2005, Nikoloudi, C‑196/02, EU:C:2005:141, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

40      Spetta al giudice del rinvio valutare, nel contesto specifico degli impieghi che ricadono nell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG e, in particolare, delle mansioni svolte dalla ricorrente in tale contesto, se detto nesso particolare tra la natura della funzione esercitata e l’esperienza che l’esercizio di questa funzione apporta con riguardo al numero di ore di lavoro svolte esista e, eventualmente, se il tempo necessario per completare le ricerche e assicurare la relativa pubblicazione dei risultati è tale da poter giustificare la normativa nazionale oggetto del procedimento principale. In tal caso, spetta a detto giudice verificare se tale normativa è proporzionata rispetto all’obiettivo invocato.

41      Per quanto riguarda, infine, la questione se il principio del prorata temporis si applichi a una normativa come quella oggetto del procedimento principale, risulta che tale normativa non può essere considerata come un’applicazione di detto principio, dato che la durata massima dei rapporti di lavoro consecutivi è prolungata di due anni per tutti i lavoratori a tempo parziale e, pertanto, non è proporzionata alle ore di lavoro effettivamente svolte.

42      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale va interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissa, per i lavoratori a tempo determinato interessati da tale norma, una durata massima dei rapporti di lavoro superiore per i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, a meno che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni oggettive e sia proporzionata rispetto a dette ragioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale va interpretata nel senso che il principio del prorata temporis ivi considerato non si applica a detta normativa.

 Sulle questioni seconda e terza

43      Con la sua seconda e terza questione, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, da una parte, se l’articolo 2, paragra fo 1, lettera b), della direttiva 2006/54 vada interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissa, per i lavoratori a tempo determinato interessati da tale norma, una durata massima dei rapporti di lavoro superiore per i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, costituisce una discriminazione indiretta fondata sul sesso ai sensi di detta disposizione e, dall’altra, se l’articolo 19, paragrafo 1, di tale direttiva vada interpretato nel senso che esso impone alla parte che si ritiene lesa da una siffatta discriminazione di produrre, per stabilire una presunzione di discriminazione, statistiche precise o fatti precisi relativi alla presunta discriminazione.

44      Per quanto riguarda la prima parte di tali questioni, occorre ricordare che l ’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54 definisce la nozione di «discriminazione indiretta» ai sensi di tale direttiva come la situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

45      L’esistenza di un siffatto particolare svantaggio potrebbe essere dimostrata, segnatamente, se fosse provato che una normativa come quella di cui al procedimento principale colpisce negativamente in proporzione significativamente maggiore le persone di un determinato sesso rispetto a quelle dell’altro sesso (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2019, Villar Láiz, C‑161/18, EU:C:2019:382, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

46      La Corte ha già avuto occasione di statuire che, come risulta parimenti dal considerando 30 della direttiva 2006/54, la valutazione dei fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione indiretta è una questione di competenza dell’organo giurisdizionale nazionale, secondo il diritto o la prassi nazionale, che possono prevedere, in particolare, che la discriminazione indiretta sia accertata con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2019, Villar Láiz, C‑161/18, EU:C:2019:382, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

47      Quanto ai dati statistici, la Corte ha già affermato, da una parte, che spetta al giudice del rinvio prendere in considerazione l’insieme dei lavoratori assoggettati alla normativa nazionale da cui ha origine la disparità di trattamento e, dall’altra, che il miglior metodo di comparazione consiste nel comparare le proporzioni rispettive dei lavoratori che sono e che non sono colpiti dalla norma in questione nell’ambito della mano d’opera maschile e le medesime proporzioni nell’ambito della mano d’opera femminile (v., in tal senso, sentenze del 9 febbraio 1999, Seymour-Smith e Perez, C‑167/97, EU:C:1999:60, punto 59, nonché del 6 dicembre 2007, Voß, C‑300/06, EU:C:2007:757, punto 40).

48      A tal riguardo, spetta al giudice nazionale valutare in qual misura i dati statistici prodotti dinanzi ad esso, che caratterizzano la situazione della mano d’opera, siano validi e se possano essere presi in considerazione, vale a dire se, in particolare, non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e se, in generale, appaiano significativi (v., in tal senso, sentenza del 9 febbraio 1999, Seymour-Smith e Perez, C‑167/97, EU:C:1999:60, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

49      Nel caso in cui il giudice del rinvio, sulla base dei dati statistici prodotti e, se del caso, di altri elementi di fatto pertinenti, giungesse alla conclusione che la normativa nazionale di cui al procedimento principale mette in una situazione di particolare svantaggio le donne rispetto agli uomini, una siffatta normativa sarebbe contraria all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54, a meno che non sia giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

50      Orbene, nella specie, come già richiamato al punto 38 della presente sentenza, la MUW e il governo austriaco fanno valere che la disparità di trattamento alla quale sono assoggettati i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno, contenuta nell’articolo 109, paragra fo 2, dell’UG, è giustificata dal fatto che i primi acquisiscono un livello di esperienza e di conoscenze inferiore a quello dei secondi e che, pertanto, hanno bisogno di un periodo più lungo per completare alcune delle loro ricerche e pubblicarne i risultati. In tal senso, fissare la medesima durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato per le due categorie di lavoratori ridurrebbe le possibilità, per i lavoratori a tempo parziale, di installarsi nell’ambito universitario in questione al termine di detto periodo. Come rilevato al punto 40 della presente sentenza, spetta al giudice del rinvio valutare se la normativa oggetto del procedimento principale sia oggettivamente giustificata alla luce dell’insieme dei fatti e delle circostanze del procedimento principale.

51      Quanto alla seconda parte della questione, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza, nei propri confronti, di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta. In tal senso, come prevede il considerando 30 di detta direttiva, l’onere della prova incombe alla parte convenuta ove esiste una apparenza di discriminazione.

52      Pertanto, come rilevato al punto 47 della presente sentenza, al fine di stabilire l ’esistenza di una discriminazione fondata sul sesso, occorre prendere in considerazione l’insieme dei lavoratori assoggettati alla normativa nazionale da cui ha origine la disparità di trattamento e comparare, nell’ambito di tale insieme, le proporzioni rispettive dei lavoratori che sono colpiti dalla norma in questione e quelli che non lo sono, sia tra i lavoratori di sesso maschile sia tra quelli di sesso femminile.

53      Nella specie, la ricorrente fa valere che, in linea generale, le misure che hanno un impatto negativo sui lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno possono risultare particolarmente svantaggiose nei confronti delle donne. Per suffragare questa tesi, ha presentato dinanzi al giudice del rinvio statistiche vertenti sul mercato del lavoro austriaco in genere, dalle quali risulta che le donne sono impiegate a tempo parziale in numero considerevolmente superiore agli uomini. Tuttavia, ha precisato che non disporrebbe di dati relativi ai lavoratori impiegati nell’ambito delle università austriache che ricadono nell’UG.

54      In tale situazione, occorre precisare come e con quali mezzi una persona che si ritiene lesa da una discriminazione indiretta fondata sul sesso può dimostrare un ’apparenza di discriminazione nell’ipotesi in cui i dati statistici o altri mezzi di prova relativi all’insieme dei lavoratori assoggettati alla normativa nazionale nella quale la differenza di trattamento trova la sua fonte non siano disponibili o siano difficilmente accessibili a questa persona.

55      A tal riguardo, la Corte ha statuito che, con riguardo all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 97/80, il cui disposto è identico a quello dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, se è pur vero che questa prima disposizione non si prevede un diritto specifico a favore di colui che si ritenga leso dal mancato rispetto, nei propri confronti, del principio della parità di trattamento, di accedere ad informazioni per essere in grado di dimostrare «elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta» ai sensi della menzionata disposizione, resta il fatto che il diniego di fornire informazioni o dati statistici pertinenti, nell’ambito dell’accertamento dei fatti stessi, può rischiare di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva medesima, privando in tal modo tale disposizione del proprio effetto utile (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C‑104/10, EU:C:2011:506, punti 34 e 35).

56      Alla luce, segnatamente, della necessità di assicurare l ’effetto utile dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, questa disposizione deve essere interpretata, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni, nel senso che consente a un lavoratore che si ritenga leso da una discriminazione indiretta fondata sul sesso di suffragare un’apparenza di discriminazione fondandosi su dati statistici generali relativi al mercato del lavoro nello Stato membro interessato, nell’ipotesi in cui non ci si possa aspettare dall’interessato che produca dati più precisi relativi al gruppo di lavoratori pertinente, ove tali dati siano difficilmente accessibili, se non indisponibili.

57      Ne consegue che occorre rispondere alla seconda e alla terza questione dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54 va interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissa, per i lavoratori a tempo determinato interessati da tale norma, una durata massima dei rapporti di lavoro superiore per i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, se risulta dimostrato che tale normativa incide negativamente su una percentuale significativamente più elevata di lavoratori di sesso femminile che di sesso maschile e se detta normativa non è oggettivamente giustificata da una finalità legittima o se i mezzi impiegati per il suo conseguimento non sono appropriati e necessari. L’articolo 19, paragrafo 1, di detta direttiva va interpretato nel senso che tale disposizione non impone alla parte che si ritiene lesa da una siffatta discriminazione di produrre, per stabilire un’apparenza di discriminazione, statistiche o fatti precisi relativi ai lavoratori interessati dalla normativa nazionale in oggetto se detta parte non ha accesso o ha accesso solo difficilmente a tali statistiche o fatti.

 Sulla limitazione degli effetti nel tempo della presente sentenza

58      La MUW, so stenuta dal governo austriaco, ha chiesto alla Corte, nelle sue osservazioni scritte e orali, di limitare gli effetti nel tempo della presente sentenza nell’ipotesi in cui dovese statuire che una normativa nazionale come l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituisce una discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, vietata dalla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

59      La MUW fa valere, in sostanza, che la limitazione degli effetti nel tempo della presente sentenza è indispensabile per motivi legati alla certezza del diritto. Infatti, numerosi contratti di lavoro a tempo determinato sarebbero stati conclusi in buona fede con lavoratori a tempo parziale sul fondamento dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG. Inoltre, sussisterebbe un rischio di conseguenze economiche gravi se la Corte dovesse statuire che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale osta a una normativa come quella oggetto del procedimento principale, dato che numerosi contratti a tempo determinato dovrebbero allora essere trasformati in contratti a tempo indeterminato.

60      In proposito si deve ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante, l’interpretazione che la Corte dà di una norma di diritto dell’Unione, nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda di interpretazione, purché sussistano, peraltro, i presupposti per sottoporre al giudice competente una controversia relativa all’applicazione di detta norma (sentenza del 10 novembre 2016, Kovalkovas, C‑477/16 PPU, EU:C:2016:861, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

61      Solo in via eccezionale, in applicazione di un principio generale di certezza del diritto intrinseco all’ordinamento giuridico dell’Unione, la Corte può essere indotta a limitare la possibilità, per gli interessati, di invocare una disposizione da essa interpretata al fine di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, vale a dire la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti (sentenza del 10 novembre 2016, Kovalkovas, C‑477/16 PPU, EU:C:2016:861, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

62      Più specificamente, la Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in circostanze ben precise, in particolare quando vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, segnatamente, all ’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente e quando risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad adottare un comportamento non conforme al diritto dell’Unione in ragione di una oggettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni di diritto dell’Unione, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione (sentenza del 10 luglio 2019, WESTbahn Management, C‑210/18, EU:C:2019:586, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

63      Quanto al rischio di gravi inconvenienti, in via preliminare si deve rilevare che, nel caso di specie, l ’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte nella presente sentenza verte sulla discriminazione dei lavoratori a tempo parziale, di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, nonché sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame della normativa oggetto del procedimento principale con riguardo, segnatamente, a detta clausola. Infatti, spetta al giudice nazionale pronunciarsi, in primo luogo, sul punto se la normativa oggetto del procedimento principale comporti un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che i primi lavorano a tempo parziale. In secondo luogo, spetta a detto giudice, se del caso, valutare se la discriminazione eventuale possa essere giustificata da ragioni obiettive (v., per analogia, sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

64      In tale contesto, le conseguenze finanziarie, segnatamente per le università, non potr ebbero essere determinate unicamente sulla base dell’interpretazione del diritto dell’Unione data dalla Corte nel contesto del presente procedimento (v., per analogia, sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

65      Di conseguenza, si deve constatare che non può ritenersi accertata l ’esistenza di un rischio di inconvenienti gravi, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 61 della presente sentenza, tale da giustificare una limitazione nel tempo degli effetti della presente sentenza (v., in tal senso, sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 62).

66      A ciò si aggiunge che la MUW non fornisce alla Corte alcun elemento preciso quanto al numero di rapporti giuridici in questione o alla natura e alla misura delle ripercussioni economiche della presente sentenza, sicché non può considerarsi dimostrata, in ogni caso, l’esistenza di un rischio di inconvenienti gravi che giustifichi la limitazione degli effetti nel tempo della presente sentenza.

67      Inoltre, quanto al secondo criterio elaborato dalla giurisprudenza indicata al precedente punto 61, vale a dire la buona fede degli ambienti interessati, la MUW non deduce elementi sufficienti che consentano di stabilire l’esistenza di una incertezza oggettiva e importante quanto alla portata delle disposizioni di diritto dell’Unione. L’unica affermazione secondo cui numerosi contratti a tempo determinato sono stati conclusi, in buona fede, sul fondamento dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, non può essere sufficiente al riguardo.

68      In tali circostanze, non occorre limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.

 Sulle spese

69      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1)      La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura nell’allegato della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, va interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissa, per i lavoratori a tempo determinato interessati da tale norma, una durata massima dei rapporti di lavoro superiore per i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, a meno che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni oggettive e sia proporzionata rispetto a dette ragioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale va interpretata nel senso che il principio del prorata temporis ivi considerato non si applica a detta normativa.

2)      L’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, va interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissa, per i lavoratori a tempo determinato interessati da tale norma, una durata massima dei rapporti di lavoro superiore per i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, se risulta dimostrato che tale normativa incide negativamente su una percentuale significativamente più elevata di lavoratori di sesso femminile che di sesso maschile e se detta normativa non è oggettivamente giustificata da una finalità legittima o se i mezzi impiegati per il suo conseguimento non sono appropriati e necessari. L’articolo 19, paragrafo 1, di detta direttiva va interpretato nel senso che tale disposizione non impone alla parte che si ritiene lesa da una siffatta discriminazione di produrre, per stabilire un’apparenza di discriminazione, statistiche o fatti precisi relativi ai lavoratori interessati dalla normativa nazionale in oggetto se detta parte non ha accesso o ha accesso solo difficilmente a tali statistiche o fatti.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.