Language of document : ECLI:EU:T:2009:385

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sezione delle impugnazioni)

5 ottobre 2009 (*)

«Impugnazione – Funzione pubblica – Funzionari – Previdenza sociale – Regime comune di assicurazione malattia – Copertura del partner non sposato»

Nel procedimento T‑58/08 P,

avente ad oggetto l’impugnazione diretta all’annullamento della sentenza del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (Prima Sezione) 27 novembre 2007, causa F‑122/06, Roodhuijzen/Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta),

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. J. Currall e D. Martin, in qualità di agenti,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è

Anton Pieter Roodhuijzen, funzionario della Commissione delle Comunità europee, residente in Lussemburgo (Lussemburgo), rappresentato dall’avv. É. Boigelot,

ricorrente in primo grado,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Sezione delle impugnazioni),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dalla sig.ra V. Tiili, dai sigg. J. Azizi, A. W. H. Meij (relatore) e M. Vilaras, giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il ricorso in esame, proposto ai sensi dell’art. 9 dell’allegato I allo Statuto della Corte di giustizia, la Commissione delle Comunità europee chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale della funzione pubblica 27 novembre 2007, causa F‑122/06, Roodhuijzen/Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta, in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui quest’ultimo ha annullato la decisione della Commissione di non riconoscere il contratto di convivenza stipulato tra il sig. Anton Pieter Roodhuijzen e la sig.ra H. quale unione di fatto ai sensi dell’art. 72, n. 1, dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee (in prosieguo: lo «Statuto») e, conseguentemente, di negare a quest’ultima il beneficio del regime comune di assicurazione malattia delle Comunità europee (in prosieguo: il «RCAM»).

 Contesto normativo

2        Il Tribunale della funzione pubblica ha ricostruito il contesto normativo ai punti 2‑4 della sentenza impugnata nei termini di seguito ricordati.

3        L’art. 72, n. 1, dello Statuto enuncia:

«Nei limiti dell’80% delle spese sostenute e in base ad una regolamentazione stabilita di comune accordo dalle istituzioni della Comunità, previo parere del comitato dello statuto, il funzionario, il coniuge – se questo non può beneficiare di prestazioni della stessa natura e dello stesso livello a titolo di qualsiasi altra disposizione di legge o regolamentare –, i figli e le altre persone a carico ai sensi dell’articolo 2 dell’allegato VII sono coperti contro i rischi di malattia.

Il partner non sposato di un funzionario è equiparato al coniuge nell’ambito del regime di assicurazione malattia, purché siano soddisfatte le prime tre condizioni previste all’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), dell’allegato VII.

(…)».

4        L’art. 1, n. 2, dell’allegato VII dello Statuto così dispone:

«Ha diritto all’assegno di famiglia:

a) (…)

b) (…)

c)      il funzionario registrato come membro stabile di un’unione di fatto, a condizione che:

i)      la coppia fornisca un documento ufficiale riconosciuto come tale da uno Stato membro dell’Unione europea o da un’autorità competente di uno Stato membro, attestante la condizione di membri di un’unione di fatto,

ii)      nessuno dei due partner sia sposato né sia impegnato in un’altra unione di fatto,

iii)      i partner non siano legati da uno dei seguenti vincoli di parentela: genitori e figli, nonni e nipoti, fratelli e sorelle, zie/zii e nipoti, generi e nuore,

iv)      la coppia non abbia accesso al matrimonio civile in uno Stato membro; si considera che una coppia ha accesso al matrimonio civile ai fini del presente punto unicamente nel caso in cui i due partner soddisfino l’insieme delle condizioni fissate dalla legislazione di uno Stato membro che autorizza il matrimonio di tale coppia;

(…)».

5        L’art. 12 della regolamentazione comune relativa alla copertura dei rischi di malattia dei funzionari delle Comunità europee (in prosieguo: la «regolamentazione comune») è redatto come segue:

«Sono assicurati tramite l’affiliato, alle condizioni di cui agli articoli 13 e 14:

–       (…)

–      il partner riconosciuto dell’affiliato, anche se non si trova nella condizione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), ultimo trattino, dell’allegato VII dello statuto,

–      il coniuge o il partner riconosciuto, in situazione di aspettativa per motivi personali come previsto dallo statuto».

6        Nei Paesi Bassi, come risulta dall’opuscolo che la Commissione ha allegato al suo ricorso di impugnazione e che promana dall’amministrazione olandese, circostanza non contestata dalle parti, il diritto nazionale prevede, oltre al matrimonio tradizionale, due forme di unione, vale a dire il «geregistreerd partnerschap» (unione di fatto registrata) e il «samenlevingsovereenkomst» (contratto di convivenza). Mentre il primo ha conseguenze legali, patrimoniali ed extrapatrimoniali ampiamente assimilabili a quelle del vincolo matrimoniale, la seconda forma di unione, al contrario, trae origine dall’autonomia della volontà delle parti e comporta, principalmente, tra queste ultime, solo le conseguenze derivanti dai diritti e dagli obblighi da esse previsti nel contratto. In particolare, non esiste alcun obbligo giuridico di includere in un «samenlevingsovereenkomst» determinati impegni o dichiarazioni, in particolare per quanto riguarda l’obbligo di convivenza. Inoltre, a condizione di non violare le norme di ordine pubblico e di pubblica moralità, un «samenlevingsovereenkomst» può essere stipulato da due o più persone, e non è escluso che la stipulazione di un contratto di questo tipo possa avvenire tra persone aventi vincoli di parentela ravvicinata. Ancora, un «samenlevingsovereenkomst» può essere stipulato sia in forma di scrittura privata che in forma di atto notarile. Ai sensi del diritto olandese, soltanto la conclusione di un «samenlevingsovereenkomst» ufficiale redatto da un notaio consente ai partner di beneficiare dei regimi previdenziali e dei vari vantaggi sociali legati all’impiego. Allo stesso modo, un contratto di questo tipo redatto da un notaio può essere richiesto dai terzi, come nel caso dei fondi pensione, a dimostrazione della convivenza di una coppia. Per contro, anche in assenza di qualsiasi formalità, la stipulazione di un «samenlevingsovereenkomst» o la mera coabitazione comportano talune conseguenze, segnatamente in materia di fiscalità e di previdenza sociale. In linea di principio, un «samenlevingsovereenkomst» non produce effetti nei confronti dei terzi, ma i tribunali iniziano a parificare le coppie legate da un contratto di questo tipo alle coppie sposate oppure a quelle che hanno stipulato un «geregistreerd partnerschap».

 Fatti all’origine della controversia

7        I fatti all’origine della controversia sono esposti come segue nella sentenza impugnata:

«6.      Il ricorrente, di nazionalità olandese, è funzionario di Eurostat dal 15 febbraio 2006. Il 20 febbraio seguente, egli chiedeva che la sua unione di fatto con la sig.ra [H.], disciplinata da un contratto di convivenza (“samenlevingsovereenkomst”) stipulato nei Paesi Bassi dinanzi a un notaio il 29 dicembre 2005, fosse riconosciuta dalla Commissione per far beneficiare la sua convivente del RCAM.

7.      Con nota 28 febbraio 2006, l’Ufficio di gestione e liquidazione dei diritti individuali (PMO) respingeva la sua domanda in quanto il contratto di convivenza, stipulato dal ricorrente e dalla sua partner, non può essere considerato un’unione di fatto riconosciuta dalla legislazione olandese (legge sul “geregistreerd partnerschap”, entrata in vigore il 1° gennaio 1998), come richiederebbe l’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto.

8.      Il 13 marzo 2006, il ricorrente contestava il rigetto della sua domanda e presentava un certificato dell’ambasciata dei Paesi Bassi in Lussemburgo, secondo cui il “samenlevingsovereenkomst” sottoscritto alla presenza di un notaio da [lui] e dalla sua partner era riconosciuto dai Paesi Bassi e confermava quindi la loro condizione di membri di un’unione di fatto a carattere non matrimoniale.

9.      Tuttavia, con nota 20 marzo 2006, la Commissione confermava la sua decisione 28 febbraio 2006. Essa considerava che, se pure il contratto di convivenza costituiva una conferma formale della condizione di membri di un’unione di fatto a carattere non matrimoniale del ricorrente e della sua compagna, esso tuttavia non costituiva diritti e obblighi diversi da quelli che i conviventi avevano stabilito per iscritto. La circostanza che il contratto era stato sottoscritto dinanzi a un notaio non modificava il fatto che si trattava semplicemente di un contratto privato, privo di effetti giuridici nei confronti dei terzi e non soggetto all’obbligo di registrazione. Orbene, l’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto assoggetterebbe i partner non coniugati a tale obbligo e la registrazione costituirebbe diritti e obblighi equiparabili alle conseguenze legali del matrimonio.

10.      Il ricorrente presentava un reclamo il 31 marzo 2006, con cui contestava l’interpretazione, a suo parere troppo restrittiva, data dalla Commissione alle disposizioni dell’art. 1, n. 2, dell’allegato VII dello Statuto. Egli sosteneva, in tale reclamo, che la registrazione del contratto stipulato dinanzi a un notaio era una condizione sufficiente e attestava talune circostanze atte a dimostrare che esistevano poche differenze tra la sua unione di fatto e l’istituzione del matrimonio. Sottolineava, in particolare, che il rapporto con la sua partner durava da oltre due anni, che essi avevano avuto un figlio da lui ufficialmente riconosciuto ed erano in attesa di un secondo figlio. Il ricorrente affermava inoltre che lui e la sua convivente avevano redatto testamenti reciproci ed egli aveva sottoscritto un’assicurazione sulla vita a vantaggio della sua partner.

11.      Con parere 1° giugno 2006, il comitato di gestione del RCAM (in prosieguo: il “comitato di gestione”) considerava, sulla base dei documenti forniti dal ricorrente, e in particolare del contratto di convivenza stipulato dinanzi a un notaio, nonché del certificato rilasciato dall’ambasciata dei Paesi Bassi in Lussemburgo, che l’unione di fatto in questione doveva essere considerata conforme alle condizioni stabilite all’art. 12 della regolamentazione comune, e in particolare alla condizione di cui all’art. 1, n. 2, lett. c), sub i), dell’allegato VII dello Statuto.

12.      Nonostante tale parere favorevole del comitato di gestione, l’[autorità investita del potere di nomina], con decisione 12 luglio 2006, respingeva il reclamo del ricorrente. Essa considerava che le disposizioni dello Statuto avevano lo scopo di riservare il beneficio del RCAM ai partner impegnati in un rapporto analogo al matrimonio, che comportasse diritti e obblighi reciproci, quali definiti dalla legge. Rilevava che il contratto di convivenza costituiva solo un contratto privato, che poteva essere concluso da più di due persone e di cui le parti potevano decidere il contenuto, e che, benché registrata da un notaio, tale unione non aveva in realtà alcuna conseguenza legale e pertanto non poteva essere considerata un’unione di fatto ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto.

13.      La decisione dell’[autorità investita del potere di nomina] veniva notificata al ricorrente il 13 luglio 2006».

 Procedimento dinanzi al Tribunale della funzione pubblica e sentenza impugnata

8        Con ricorso depositato il 23 ottobre 2006, il sig. Roodhuijzen ha chiesto al Tribunale della funzione pubblica di annullare la decisione della Commissione di non riconoscere il suo contratto di convivenza con la sig.ra H. quale «unione di fatto» ai sensi dello Statuto e, conseguentemente, di negare a quest’ultima il beneficio del RCAM.

9        Nella sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha annullato detta decisione per violazione dell’art. 72 dello Statuto, dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto e dell’art. 12 della regolamentazione comune.

10      In particolare, il Tribunale della funzione pubblica ha esaminato l’argomento della Commissione secondo cui il legislatore non aveva inteso estendere il beneficio del RCAM a tutti i partner stabili dei funzionari la cui unione di fatto fosse «riconosciuta», ma solo a quelli la cui unione di fatto fosse equiparata in ampia misura a un «matrimonio» nello Stato membro in cui essa fosse stata costituita.

11      Il Tribunale della funzione pubblica ha rilevato, al punto 29 della sentenza impugnata, che dallo stesso tenore dell’art. 72 dello Statuto emerge che, per definire la nozione di «partner non sposato di un funzionario», tale articolo rinvia direttamente alle prime tre condizioni di cui all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, dato che il riferimento alla registrazione dell’unione di fatto, menzionato nella frase introduttiva dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, non può essere considerato una condizione preliminare. È stato inoltre osservato che l’ottavo ‘considerando’ del regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 22 marzo 2004, n. 723, che modifica lo [Statuto] e il regime applicabile agli altri agenti di dette Comunità (GU L 124, pag. 1), riguarda l’estensione dei vantaggi delle coppie sposate a forme di unione diverse dal matrimonio e fa riferimento ai «funzionari che vivono in unioni di fatto riconosciute da uno Stato membro come unioni stabili», senza menzionare condizioni relative alla registrazione dell’unione di cui trattasi.

12      Per quanto concerne la prima delle suddette tre condizioni enunciate all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto (in prosieguo: la «condizione controversa», il Tribunale della funzione pubblica ha osservato, al punto 32 della sentenza impugnata, che tale condizione è composta da tre parti:

–        la prima parte riguarda la produzione di un documento «ufficiale» relativo alla condizione delle persone;

–        la seconda parte implica che detto documento ufficiale debba essere «riconosciuto» come tale da uno Stato membro;

–        la terza parte presuppone che tale documento ufficiale attesti la condizione di «membri di un’unione di fatto» degli interessati.

13      Il Tribunale della funzione pubblica ha ritenuto che, nel caso di specie, sussistessero le prime due parti della condizione controversa, in quanto il sig. Roodhuijzen aveva prodotto un contratto di convivenza stipulato con la sua partner dinanzi a un notaio nei Paesi Bassi, nonché un’attestazione dell’ambasciata dei Paesi Bassi in Lussemburgo in cui si certificava che detto documento era riconosciuto nei Paesi Bassi (punto 33 della sentenza impugnata).

14      Per quanto riguarda, invece, la terza parte, il Tribunale della funzione pubblica ha dichiarato quanto segue:

«35.      (...) La questione se due persone si trovino nella situazione di “partner non sposati”, ai sensi dello Statuto, non può dipendere unicamente dalla valutazione delle autorità nazionali di uno Stato membro. Pertanto, per quanto riguarda in particolare il “samenlevingsovereenkomst”, il requisito della condizione di “partner non sposato” non può essere soddisfatto solo perché in un documento ufficiale, riconosciuto come tale da uno Stato membro, si dichiara che tale condizione sussiste. Infatti, il contratto di convivenza di diritto olandese è solo un contratto liberamente definito tra le parti, fatto salvo il rispetto delle norme relative all’ordine pubblico e al buon costume. Tale contratto può essere stipulato da due persone o più e non esiste alcun obbligo giuridico di includervi determinati impegni o dichiarazioni, in particolare per quanto riguarda l’obbligo di vita in comune. Inoltre, detto contratto, in linea di principio, impegna le parti solo nei limiti dei diritti e degli obblighi da esse previsti e necessita di dichiarazioni e procedure particolari per produrre effetti giuridici, in ogni caso limitati, nei confronti dei terzi.

36.      Si deve invece ammettere, accogliendo in proposito, fino a un certo punto, la tesi della Commissione, laddove afferma che l’art. 72 dello Statuto e l’art. 12 della regolamentazione comune fanno riferimento alle unioni di fatto “assimilabili” al matrimonio, che, per rientrare nell’ambito di applicazione di tali disposizioni, un’unione di fatto deve presentare determinate analogie con il matrimonio.

37.      Alla luce di tale parametro, il Tribunale ritiene che la terza parte della condizione controversa debba essere interpretata nel senso che raggruppa tre sottocondizioni cumulative.

38.      Innanzi tutto, questa terza parte della condizione controversa presuppone, e il termine stesso utilizzato nella disposizione dello Statuto applicabile conferma tale interpretazione, che i partner devono costituire una “coppia”, vale a dire un’unione di due persone, a differenza delle altre unioni di persone che possono essere parti del contratto di convivenza di diritto olandese. Si deve constatare, e le parti concordano su questo punto, che ciò si verifica nel caso di specie.

39.      Inoltre, l’impiego del vocabolo “condizione” dimostra che il rapporto tra i partner deve presentare elementi pubblici e di forma. Connessa parzialmente alla prima parte della condizione controversa (...), questa seconda sottocondizione della terza parte va però al di là della semplice esigenza di un documento “ufficiale”. Ciò non toglie che tale sottocondizione sussiste nel caso di specie. Da un lato, il contratto che definisce la convivenza del ricorrente e della sua partner, stipulato dinanzi a un notaio, senza che esista alcun obbligo in tal senso, beneficia dell’autenticità conferitagli dalla stipula mediante atto notarile; dall’altro, detto contratto disciplina la convivenza dei partner in modo strutturato e dettagliato, secondo le modalità di redazione degli atti giuridici.

40.      Infine, la nozione di “membri di un’unione di fatto” dev’essere interpretata nel senso che rappresenta una situazione in cui i partner condividono una comunità di vita, caratterizzata da una certa stabilità, e sono vincolati, nell’ambito di tale comunità di vita, da diritti e obblighi reciproci, afferenti alla loro convivenza».

15      Nel caso di specie, il Tribunale della funzione pubblica ha constatato, con la motivazione di seguito riportata, che questa terza sottocondizione, relativa alla nozione di «membri di un’unione di fatto», fosse parimenti soddisfatta:

«42.      Anzitutto, nel preambolo del “samenlevingsovereenkomst” stipulato tra il ricorrente e la sua compagna, questi ultimi dichiarano espressamente di vivere insieme e di condurre una vita in comune dal 1° luglio 2004. Inoltre, come il ricorrente ha rilevato in udienza, l’art. 7 del contratto di convivenza impone alla coppia l’obbligo di avere una residenza comune.

43.      Si deve inoltre constatare che il contratto di convivenza del ricorrente e della sua compagna comporta un’ampia regolamentazione dei diritti e degli obblighi afferenti alla loro vita in comune in quanto coppia. In particolare, ai sensi dell’art. 3 del contratto, i partner si sono conferiti reciproca procura per gli atti giuridici stipulati per la convivenza quotidiana. L’art. 4 del contratto enuncia che tutti i beni destinati alla convivenza quotidiana saranno di proprietà comune, a meno che siano indicati nell’allegato del contratto o le parti si siano accordate diversamente per iscritto. Tali beni comuni della coppia sono elencati all’art. 4, n. 2, del contratto. I partner si obbligano inoltre, all’art. 5 del contratto, a contribuire mensilmente al prorata dei redditi netti di lavoro a una cassa comune per sostenere le spese della convivenza quotidiana. Inoltre, l’art. 8 del contratto dispone che, in tutti i casi in cui sorga una controversia relativa alla proprietà di un bene, quest’ultimo è considerato appartenente ad entrambi e ognuno dei due ne possiede la metà indivisa. Occorre infine segnalare l’art. 9 del contratto, secondo cui ciascuno dei partner ha designato reciprocamente l’altro come beneficiario della “pensione del partner” nel caso in cui i rispettivi regolamenti di pensione contemplino tale prestazione.

44.      Per quanto riguarda i figli, se pure nulla appare su questo punto nel contratto di convivenza, risulta dall’opuscolo allegato al controricorso e menzionato al punto 5 della presente sentenza che il diritto olandese, nel caso in cui i genitori siano semplicemente membri di un’unione di fatto, consente al padre del minore, mediante riconoscimento dello stesso, ma anche attraverso determinate procedure, di acquisire gli stessi diritti sul figlio che avrebbe qualora ne avesse sposato la madre. In particolare, egli assume la responsabilità genitoriale congiuntamente alla madre; inoltre, il figlio può eventualmente prendere il nome del padre. Nel caso di specie, il ricorrente, senza essere contraddetto dalla Commissione, ha dichiarato di avere riconosciuto il suo primo figlio alla nascita, il che gli conferisce ampi diritti paterni.

45.      Inoltre, se pure la stipula di un contratto di convivenza, in linea di principio, vincola solo i partner (v. punto 35 della presente sentenza), si deve rilevare che l’opuscolo sopra menzionato, dopo avere indicato che i giudici olandesi iniziano a trattare le coppie che hanno stipulato un contratto di convivenza allo stesso modo di quelle che hanno contratto un’unione di fatto registrata o un matrimonio (“courts are starting to put couples with a cohabitation agreement on the same footing as married and registered couples”), ammette espressamente che si possono riconoscere alle coppie che hanno stipulato un contratto di convivenza effetti nei confronti dei terzi per quanto riguarda, in particolare, la pensione di vecchiaia; ora, precisamente, come si è rilevato al punto 43 in fine della presente sentenza, i partner, nella controversia in esame, si sono reciprocamente designati quali beneficiari della “pensione del partner” nel caso in cui i loro rispettivi regolamenti di pensione contemplino tale prestazione.

46.      Tutti questi elementi evidenziano che, se pure le conseguenze derivanti dal contratto di convivenza stipulato dal ricorrente e dalla sua partner non sono altrettanto ampie quanto quelle esistenti nell’ambito di un matrimonio o anche di un “geregistreerd partnerschap”, esse possono essere simili sotto molto aspetti qualora, come nel caso di specie, i partner le definiscano contrattualmente».

16      Il Tribunale della funzione pubblica ne ha tratto la conseguenza, al punto 50 della sentenza impugnata, che la partner del sig. Roodhuijzen poteva, in applicazione dell’art. 72 dello Statuto e dell’art. 12 della regolamentazione comune, beneficiare del RCAM riservato al «partner non sposato di un funzionario» e al «partner riconosciuto dell’affiliato».

17      Dopo aver disatteso gli argomenti contrari della Commissione, esso ha aggiunto quanto segue:

«56.      Ad abundantiam, il Tribunale osserva che la tesi della Commissione relativa all’esigenza di un contratto quale un “geregistreerd partnerschap” di diritto olandese potrebbe condurre a disparità di trattamento. Infatti, dato che molti paesi non conoscono forme di unione equiparabili a quella del “geregistreerd partnerschap”, esigere, come fa la Commissione, un’unione di fatto “registrata” di questo tipo avrebbe la conseguenza, per le coppie non sposate che, in ragione, in particolare, sia del loro luogo di residenza che della cittadinanza dei partner, hanno il collegamento più stretto con tali paesi, di privare definitivamente il partner del funzionario del beneficio del RCAM al di fuori del matrimonio. Viceversa, supponendo che la Commissione accetti le unioni di fatto costituite da tali coppie sotto forma di contratti di convivenza, il suo rifiuto di riconoscere i “semplici” contratti di convivenza delle coppie che hanno un collegamento più stretto, nel senso sopra indicato, con il paese che contempla forme di unione diverse dal matrimonio o dall’unione di fatto “registrata” comporterebbe un diverso trattamento di queste ultime coppie; infatti, per queste stesse coppie, l’estensione del beneficio del RCAM al partner verrebbe negata, mentre sarebbe autorizzata per le coppie che presentino i summenzionati elementi di collegamento con i paesi che non conoscono unioni di fatto “registrate”. Tali disparità sarebbero ancora più difficilmente giustificabili in presenza di unioni di fatto che non siano “registrate” nel senso indicato dalla Commissione, ma presentino con il matrimonio analogie più forti rispetto al “geregistreerd partnerschap” del diritto olandese. Inoltre, se pure è vero che, secondo la giurisprudenza, vietando a ogni Stato membro di porre in essere discriminazioni fondate sulla cittadinanza, gli artt. 12 CE, 39 CE, 43 CE e 49 CE non contemplano le eventuali disparità di trattamento che possono derivare, da uno Stato membro all’altro, dalle divergenze esistenti tra le legislazioni dei vari Stati membri, purché ciascuna di tali legislazioni si applichi a chiunque sia ad esse soggetto, secondo criteri oggettivi e indipendentemente dalla cittadinanza (v., in tal senso, sentenze della Corte 28 giugno 1978, causa 1/78, Kenny, Racc. pag. 1489, punto 18; 7 maggio 1992, cause riunite C‑251/90 e C‑252/90, Wood e Cowie, Racc. pag. I‑2873, punto 19; 3 luglio 1979, cause riunite da 185/78 a 204/78, Van Dam en Zonen e a., Racc. pag. 2345, punto 10, e 1° febbraio 1996, causa C‑177/94, Perfili, Racc. pag. 161, punto 17), le disparità come quelle cui si fa riferimento nel presente punto non rientrano nell’ambito di applicazione di tale giurisprudenza; infatti, da un lato, e contrariamente alla premessa su cui si fonda la giurisprudenza in questione, le disparità di trattamento rilevate nel presente punto trarrebbero origine dalla cittadinanza degli interessati, nonché dal luogo di residenza, criterio che corrisponde spesso a quello della cittadinanza, e, dall’altro lato, nelle cause all’origine [de]lla giurisprudenza citata, la questione della parità di trattamento si poneva in relazione alle norme sulla libera circolazione, mentre nel caso di specie si tratta di garantire il principio della parità di trattamento in quanto principio del diritto della funzione pubblica comunitaria.

57.      In base a quanto precede, si devono accogliere i motivi del ricorrente fondati sulla violazione dell’art. 72 dello Statuto, dell’art. 1, n. 2, lett. c), sub i), dell’allegato VII dello Statuto e dell’art. 12 della regolamentazione comune e annullare la decisione impugnata, senza che occorra pronunciarsi sugli altri motivi, peraltro addotti, come rileva giustamente la Commissione, in modo disordinato nel ricorso, e di cui alcuni, d’altro canto, non costituiscano oggetto di alcuna elaborazione.

58.      È vero che l’interpretazione data dal Tribunale [della funzione pubblica] al combinato disposto dell’art. 72 dello Statuto, dell’art. 1, n. 2, lett. c), sub i), dell’allegato VII dello Statuto e dell’art. 12 della regolamentazione comune potrebbe, in alcuni casi, obbligare i servizi, cui siano state presentate domande di estensione del beneficio del RCAM al partner non sposato di un funzionario, a svolgere ricerche e verifiche, mentre il legislatore comunitario, con il regolamento n. 723/2004, ha voluto semplificare la gestione amministrativa delle istituzioni. Tuttavia, tale obiettivo viene conseguito in ampia misura dalle nuove norme in materia di indennità [e assegni], unico settore al quale il ventiseiesimo ‘considerando’ del regolamento n. 723/2004 faccia riferimento ai fini della semplificazione, settore peraltro non solo distinto da quello dell’estensione del beneficio del RCAM, ma anche meno sensibile di quest’ultimo dal punto di vista sociale (...). Inoltre, l’obiettivo della semplificazione deve, in ogni caso, essere conciliato con i principi superiori di diritto e con le norme dello Statuto; orbene, i vincoli che possono derivare, per le amministrazioni, dall’interpretazione adottata nel caso di specie sono solo la conseguenza dell’applicazione, da parte del Tribunale, di tali principi e norme al fine di delimitare il significato esatto della nozione di “partner non sposato” di cui all’art. 72 dello Statuto».

 Sull’impugnazione

 Procedimento e conclusioni delle parti

18      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 febbraio 2008, la Commissione ha proposto l’impugnazione in esame.

19      Il sig. Roodhuijzen ha depositato il suo controricorso in data 28 aprile 2008.

20      La Commissione è stata autorizzata, dietro sua richiesta, a presentare una replica, in applicazione dell’art. 143, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale. La replica è stata depositata nella cancelleria del Tribunale il 18 luglio 2008, e la controreplica il 10 ottobre 2008.

21      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        respingere le conclusioni formulate dal sig. Roodhuijzen in primo grado, in quanto infondate;

–        condannare ciascuna delle parti a sopportare le proprie spese relative al presente grado di giudizio e a quello dinanzi al Tribunale della funzione pubblica.

22      Il sig. Roodhuijzen chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso, e

–        condannare la Commissione all’integralità delle spese relative al presente grado di giudizio.

23      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Sezione delle impugnazioni) ha rilevato che le parti non avevano presentato alcuna domanda di fissazione di udienza entro il termine di un mese dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento e ha deciso, in applicazione dell’art. 146 del regolamento di procedura, di statuire senza fase orale del procedimento.

 In diritto

24      A sostegno del proprio ricorso la Commissione afferma, in primo luogo, che il Tribunale della funzione pubblica ha statuito non solo ultra petita, ma anche ultra vires, e che ha violato i diritti della difesa. In secondo luogo, essa invoca un errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «unione di fatto». Inoltre, per il caso in cui il Tribunale dovesse accogliere il primo o il secondo motivo, la Commissione fa valere, in via subordinata, un’interpretazione erronea del principio di non discriminazione, esaminato ad abundantiam dal Tribunale della funzione pubblica al punto 56 della sentenza impugnata.

 Sulla dedotta violazione delle regole del non ultra petita e del non ultra vires, nonché dei diritti della difesa

–       Argomenti delle parti

25      La Commissione sostiene che il Tribunale della funzione pubblica ha statuito ultra vires, innanzitutto, perché ha sostituito la sua argomentazione a quella del ricorrente in primo grado, e, poi, perché ha effettuato un’interpretazione del diritto olandese.

26      In primo luogo, relativamente alla motivazione data dal Tribunale della funzione pubblica per dichiarare la violazione dell’art. 72 dello Statuto e dell’art. 1, n. 2, dell’allegato VII dello Statuto, la Commissione sostiene che essa è «differente» dall’argomento avanzato dal sig. Roodhuijzen nel suo ricorso e durante l’udienza in primo grado. Infatti, quest’ultimo avrebbe fatto valere che «un’unione dev’essere ammessa dalla Commissione allorché l’interessato produca un documento ufficiale “riconosciuto” come tale da uno Stato membro, attestante la sua “unione di fatto”».

27      Orbene, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe respinto tale argomento con la motivazione che il fatto di sapere se due persone si trovino nella situazione di «membri di un’unione di fatto» è una valutazione che non può spettare soltanto alle autorità di uno Stato membro. In tal modo, il Tribunale avrebbe oltrepassato i limiti della sua competenza e violato i diritti della difesa.

28      Inoltre, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe sostituito i propri argomenti a quelli del ricorrente in primo grado anche in sede di esame del motivo riguardante la violazione del principio di non discriminazione.

29      A tale proposito, la procedura seguita in primo grado nel caso di specie sarebbe diversa da quella esaminata nelle ordinanze della Corte 27 settembre 2004, causa C‑470/02 P, UER/M6 e a. (non pubblicata nella Raccolta, punti 42 e 43), e 13 giugno 2006, causa C‑172/05 P, Mancini/Commissione (non pubblicata nella Raccolta, punto 70), invocate dal ricorrente in primo grado, nelle quali la Corte avrebbe constatato che il Tribunale non aveva oltrepassato i limiti della sua competenza, in particolare con riguardo alle risposte scritte delle parti ai quesiti del Tribunale.

30      In secondo luogo, la Commissione addebita al Tribunale della funzione pubblica di avere statuito ultra vires quando ha esaminato se il «samenlevingsovereenkomst» stipulato tra il ricorrente in primo grado e la sig.ra H. producesse in concreto effetti equiparabili a quelli di un matrimonio o di un «geresgistreerde partnerschap». Infatti, un esame di questo tipo avrebbe comportato un’interpretazione del diritto olandese, che esula dalle competenze del Tribunale della funzione pubblica. Inoltre, l’interpretazione data dal Tribunale della funzione pubblica sarebbe contraria a quella fornita dalle stesse autorità olandesi, le quali distinguerebbero tra il matrimonio e il «geregistreerd partnerschap», da un lato, e il «samenlevingsovereenkomst», dall’altro, cosicché quest’ultimo non potrebbe ritenersi equiparabile ai primi due.

31      Nella sua replica, la Commissione afferma che il Tribunale della funzione pubblica ha oltrepassato i limiti delle sue competenze allorché ha interpretato in modo autonomo la nozione comunitaria di «membro di un’unione di fatto» di cui all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto. Orbene, tale disposizione opererebbe un richiamo alle legislazioni nazionali per determinare, in funzione delle scelte politiche effettuate da ciascuno Stato membro, se due persone sono impegnate in un’«unione di fatto», dato che la coppia deve presentare, in attestazione di ciò, un documento ufficiale dello Stato membro interessato.

32      Il sig. Roodhuijzen contesta tale argomento.

–        Valutazione del Tribunale

33      In primo luogo, occorre preliminarmente rilevare che, quando la Commissione sostiene che il Tribunale della funzione pubblica ha statuito ultra vires per aver sostituito la sua argomentazione a quella del ricorrente in primo grado, essa gli addebita, più precisamente, di non essersi attenuto all’ambito della controversia definito dalle parti e, essendosi in tal modo basato su un argomento che non aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, di aver violato i diritti della difesa.

34      A tale riguardo si deve ricordare che, poiché il giudice comunitario adito con un ricorso d’annullamento non può statuire ultra petita, egli non ha il potere di ridefinire l’oggetto principale del ricorso (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 18 dicembre 2008, cause riunite T‑90/07 P e T‑99/07 P, Belgio/Genette, Racc. pag. II‑3859, punti 72‑75), né di rilevare d’ufficio un motivo di impugnazione, salvo in casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso.

35      Di contro, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della controversia delimitato dalle parti, il giudice comunitario, pur dovendo limitarsi a statuire sulla domanda delle parti, non può essere vincolato ai soli argomenti invocati da queste ultime a sostegno delle loro pretese, salvo vedersi costretto, eventualmente, a basare la propria decisione su considerazioni giuridiche erronee (sentenze della Corte UER/M6 e a., cit., punto 69; Mancini/Commissione, cit., punto 41, e sentenza del Tribunale 20 giugno 2007, causa T‑246/99, Tirrenia di Navigazione e a./Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 102).

36      In particolare, nell’ambito di una controversia che vede le parti contrapposte, come nella fattispecie, in ordine all’interpretazione e all’applicazione di una disposizione di diritto comunitario, spetta al giudice comunitario applicare le regole di diritto pertinenti per la soluzione della lite ai fatti che gli sono presentati dalle parti (conclusioni dell’avvocato generale Léger nel procedimento che ha dato luogo alla sentenza della Corte 19 novembre 1998, causa C‑252/96 P, Parlamento/Gutiérrez de Quijano y Lloréns, Racc. pag. I‑7421, I‑7422, punto 36). In forza del principio iura novit curia, la determinazione del significato della legge non rientra nell’ambito di applicazione del principio della libera disposizione della controversia, rimessa alle parti, e, pertanto, il giudice comunitario non è tenuto a divulgare alle parti l’interpretazione che intende adottare per consentire loro di prendere posizione al riguardo (conclusioni dell’avvocato generale Cosmas nel procedimento che ha dato luogo alla sentenza della Corte 11 gennaio 2000, cause riunite C‑174/98 P e C‑189/98 P, Racc. pag. I‑1, I‑3, punti 95 e 96).

37      Nel caso di specie, è dunque sufficiente verificare se i motivi della sentenza impugnata qui contestati, che hanno comportato l’annullamento della decisione de qua pur disattendendo l’argomento invocato dal ricorrente in primo grado, costituiscano uno sviluppo del ragionamento del Tribunale della funzione pubblica inerente a taluni motivi invocati in primo grado oppure se si rapportino a motivi differenti (v., in tal senso, sentenza della Corte 19 novembre 1998, causa C‑252/96 P, Parlamento/Gutiérrez de Quijano y Lloréns, Racc. pag. I‑7421, punti 32‑34).

38      Per quanto concerne i motivi della sentenza impugnata relativi alla nozione di «unione di fatto» ai sensi dello Statuto ed alle clausole del «samenlevingsovereenkomst» stipulato tra il ricorrente in primo grado e la sig.ra H., si deve constatare che essi si collocano nell’ambito dell’esame dei motivi fondati sulla violazione dell’art. 72 dello Statuto, dell’art. 1, n. 2, lett. c), sub i), dell’allegato VII dello Statuto, nonché dell’art. 12 della regolamentazione comune, dedotti nel ricorso in primo grado. In effetti, quando ha esaminato i motivi summenzionati, il Tribunale della funzione pubblica si è limitato, nel caso di specie, ad interpretare in modo autonomo la nozione di «unione di fatto» di cui all’art. 72, n. 1, dello Statuto e ad applicare detta nozione alla fattispecie.

39      Allo stesso modo, per quanto riguarda il motivo relativo al principio di parità di trattamento, sviluppato solo ad abundantiam al punto 56 della sentenza impugnata, anch’esso si colloca nell’ambito dell’esame dei motivi menzionati al punto che precede. Infatti, nel caso di specie, il riferimento al principio di parità di trattamento costituisce soltanto uno sviluppo del ragionamento del Tribunale della funzione pubblica circa l’interpretazione della nozione di «unione di fatto» ai sensi dell’art. 72, n. 1, dello Statuto.

40      Peraltro, occorre rilevare che correttamente il sig. Roodhuijzen osserva che la sentenza impugnata si basa unicamente su elementi di fatto che le parti hanno sottoposto alla valutazione del Tribunale della funzione pubblica e che sono stati oggetto di una discussione in contraddittorio. La Commissione, del resto, non mette in dubbio l’esistenza di tali elementi negli atti di causa.

41      In tale contesto, la circostanza, invocata dalla Commissione, che il procedimento di primo grado esaminato nel caso di specie si distingue da quelli esaminati dalla Corte nelle citate sentenze UER/M6 e a. e Mancini/Commissione, segnatamente, per il fatto che nella presente controversia le parti non sono state invitate a rispondere a quesiti scritti del Tribunale della funzione pubblica, è priva di pertinenza, dato che, nella sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica si è basato esclusivamente su fatti che le parti hanno sottoposto alla sua valutazione e che hanno potuto essere discussi in contraddittorio.

42      Ne consegue che il Tribunale della funzione pubblica non ha né statuito ultra petita, né violato i diritti di difesa della Commissione.

43      In secondo luogo, a sostegno del motivo riguardante la violazione della regola del non ultra vires, la Commissione addebita essenzialmente al Tribunale della funzione pubblica di aver preceduto ad un’interpretazione autonoma della nozione di «unione di fatto», alla luce della quale esso avrebbe esaminato il «samenlevingsovereenkomst» stipulato tra il ricorrente in primo grado e la sig.ra H., a tal fine «interpretando» il diritto olandese. Orbene, secondo la Commissione, solo il legislatore olandese sarebbe competente a qualificare questo tipo di contratto di convivenza.

44      A tale proposito, occorre constatare che, contrariamente alle deduzioni della Commissione, il Tribunale della funzione pubblica non ha oltrepassato i limiti della sua competenza allorché ha interpretato in modo autonomo la nozione di «unione di fatto» di cui agli artt. 72, n. 1, dello Statuto, 1, n. 2, lett. c), sub i), dell’allegato VII dello Statuto e 12 della regolamentazione comune, prendendo poi in considerazione il diritto nazionale applicabile ed il contenuto del «samenlevingsovereenkomst» in questione allo scopo di applicare la suddetta nozione al caso di specie.

45      In effetti, spetta al Tribunale della funzione pubblica interpretare ed applicare la nozione statutaria di «unione di fatto» ai sensi delle disposizioni dello Statuto di cui trattasi, poiché queste ultime non richiedono una decisione che rientri nella sola competenza dello Stato membro interessato e che sia soggetta al controllo giurisdizionale proprio dell’ordinamento giuridico di detto Stato (v., a titolo di esempio di una competenza nazionale, in tema di calcolo dell’importo dei diritti a pensione nazionali da trasferire in applicazione dello Statuto, la sentenza Belgio/Genette, cit., punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).

46      In tale contesto, il Tribunale della funzione pubblica era chiamato a dirimere la questione se la nozione di «unione di fatto» potesse essere interpretata in modo autonomo oppure se, al contrario, dovesse essere intesa come contenente un richiamo al diritto nazionale. Nel primo caso, l’attuazione da parte dell’istituzione interessata, sotto il controllo del giudice comunitario, di una nozione comunitaria autonoma può comportare, eventualmente, la presa in considerazione del diritto nazionale come un elemento di fatto. In questo caso, le specificità del diritto nazionale devono essere prese in considerazione indipendentemente dalle qualificazioni giuridiche operate da quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 febbraio 2009, cause riunite da T‑359/07 P a T‑361/07 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 46). Per contro, nel secondo caso, spetta all’istituzione interessata, sotto il controllo del giudice comunitario, applicare le norme di diritto nazionale pertinenti, come interpretate dai giudici nazionali (v., in tal senso, sentenza della Corte 17 maggio 1972, causa 24/71, Meinhardt/Commissione, Racc. pag. 269, punti 6, 7 e 12; sentenze del Tribunale 18 dicembre 1992, causa T‑43/90, Diaz García/Parlamento, Racc. pag. II‑2619, punti 37‑41; 18 dicembre 1992, causa T‑85/91, Khouri/Commissione, Racc. pag. II‑2637, punti 33‑41, e 21 aprile 2004, causa T‑172/01, M/Corte di giustizia, Racc. pag. II‑1075, punti 72‑75 e 112).

47      In tale contesto, anche supponendo che l’interpretazione autonoma della nozione di «unione di fatto» data nella sentenza impugnata fosse erronea, come sostiene la Commissione, non si potrebbe addebitare al Tribunale della funzione pubblica di avere oltrepassato i limiti delle sue competenze per il fatto di essersi riferito alle specificità del diritto nazionale applicabile. Del resto, la valutazione della correttezza, da un lato, di una siffatta interpretazione e, dall’altro, dell’applicazione nella fattispecie della nozione di «membro di un’unione di fatto» deve avvenire nell’ambito del motivo riguardante l’errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «unione di fatto».

48      Per le suesposte ragioni, i motivi relativi alla violazione delle regole del non ultra petita e del non ultra vires, nonché dei diritti della difesa, devono essere respinti in quanto infondati.

 Sull’asserito errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «unione di fatto»

–        Argomenti delle parti

49      La Commissione sostiene principalmente che il Tribunale della funzione pubblica ha commesso un errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «unione di fatto» atta a far sorgere il diritto del partner di un funzionario alla copertura da parte del RCAM.

50      Al riguardo, essa gli addebita di aver ritenuto, al punto 29 della sentenza impugnata, che la registrazione dell’unione di fatto ai sensi della frase introduttiva dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto non costituisse una condizione preliminare. La Commissione specifica che, allorché nell’art. 72 dello Statuto, anziché prevedere una definizione della nozione di «partner non sposato», il legislatore comunitario ha rinviato all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, esso si è riferito non già alla formalità della registrazione in quanto tale dell’unione di fatto, bensì all’influenza di tale formalità sul tipo di unione di fatto che può essere preso in considerazione. Le condizioni enunciate all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto non potrebbero, quindi, essere lette indipendentemente dalla frase introduttiva di tale disposizione.

51      Ne consegue, secondo la Commissione, che l’unica «unione di fatto» ai sensi dell’art. 1, n. 2, dell’allegato VII dello Statuto è quella che, secondo la legge nazionale, è concepita come produttiva di effetti analoghi a quelli del matrimonio. Il Tribunale della funzione pubblica avrebbe quindi commesso un errore di diritto in quanto ha interpretato la nozione comunitaria di «unione di fatto» come potenzialmente comprensiva di altri tipi di unioni di fatto che, in forza della legge nazionale, non sono configurati come produttivi di tali effetti, ma che nondimeno possono produrre «conseguenze [le quali] possono essere [analoghe] sotto molti aspetti [a quelle del matrimonio, qualora] i partner le definiscano contrattualmente» (punto 46 della sentenza impugnata).

52      Un’unione di fatto come il «samenlevingsovereenkomst» non potrebbe mai, quali che siano le sue modalità contrattualmente definite, essere assimilata ad un matrimonio e far sorgere il diritto di cui all’art. 1, n. 2, dell’allegato VII dello Statuto, dato che essa non è stata concepita dal legislatore olandese per produrre effetti analoghi a quelli del matrimonio. In effetti, dal punto di vista giuridico, non si tratterebbe di un’unione destinata esclusivamente a persone che intendessero formare una «coppia».

53      La Commissione afferma che il legislatore comunitario ha esteso il beneficio di taluni vantaggi statutari, in precedenza riservati al coniuge, a un solo tipo di unione, l’«unione di fatto stabile registrata». Ciò sarebbe confermato dall’ottavo ‘considerando’ del regolamento n. 723/2004, in virtù del quale «i funzionari che vivono in unioni di fatto riconosciute da uno Stato membro come unioni stabili e che non hanno accesso giuridico al matrimonio devono beneficiare degli stessi vantaggi delle unioni matrimoniali». Orbene, il ragionamento del Tribunale della funzione pubblica finirebbe per affermare che il tipo di unione che fa sorgere il diritto a taluni benefici varia in funzione del beneficio considerato.

54      Secondo la Commissione, la necessità di un’unione di fatto registrata e stabile, ai sensi della prima frase dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, è in concreto l’unica condizione di base prevista da detto articolo. In primo luogo, la necessità di fornire un documento ufficiale riconosciuto come tale dallo Stato membro interessato, prevista al punto i), non imporrebbe che l’unione fosse «riconosciuta» da detto Stato, come potrebbe lasciar intendere, a torto, l’art. 12 della regolamentazione comune. Sarebbe sufficiente che il documento fornito, attestante la registrazione dell’unione di fatto, fosse riconosciuto come ufficiale. In secondo luogo, le condizioni per cui sono esclusi, da un lato, i partner sposati o impegnati in un’altra unione di fatto, e, dall’altra, i partner aventi un vincolo di parentela stretto con il funzionario, enunciate ai punti ii) e iii), sarebbero molto simili alle condizioni del matrimonio e del «geregistreerd partnerschap».

55      Di contro, un «samenlevingsovereenkomst» potrebbe essere stipulato tra più persone e tra parenti stretti. La Commissione ricorda al riguardo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto l’addebito di discriminazione, in materia di successione, formulato da due sorelle impegnate in una «relazione stabile, solida e mutuamente solidale» (v. Corte eur. d.u., sentenza 29 aprile 2008, Burden/Regno Unito, § 10) rispetto ai partner impegnati in un’unione civile istituita dalla legge del Regno Unito, segnatamente con la motivazione che «una delle caratteristiche che definiscono il matrimonio o l’unione ai sensi della legge sull’unione civile consiste nel fatto che le forme di unione sono interdette alle persone che hanno vincoli stretti di parentela» (§ 62 della sentenza).

56      Nel caso di specie, quando ha ritenuto che una registrazione dinanzi al notaio rispondesse alla condizione della «registrazione», il Tribunale della funzione pubblica avrebbe snaturato la nozione di «registrazione» ai sensi della frase introduttiva dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto. In realtà, tale nozione implicherebbe che l’unione di fatto deve essere «disciplinata dalla legge», proprio come il matrimonio. Un «contratto di coabitazione/vita comune» di diritto privato, che può essere «ufficializzato» dinanzi a un notaio a discrezione delle parti, non soddisferebbe questa condizione.

57      La Commissione aggiunge che il quinto ‘considerando’ e l’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77), confermano che, in diritto comunitario, l’«unione registrata» è esclusivamente quell’unione che, in base alla normativa nazionale ai sensi della quale essa è stata stipulata, produce effetti equivalenti al matrimonio. Risulterebbe inoltre dal punto 33 della sentenza della Corte 31 maggio 2001, cause riunite C‑122/99 P e C‑125/99 P, D e Svezia/Consiglio (Racc. pag. I‑4319) che per «unione registrata» si deve intendere esclusivamente quella i cui effetti sono equivalenti a quelli del matrimonio.

58      Inoltre, la giurisprudenza confermerebbe che una nozione come quella di «membri di un’unione di fatto», rientrante nella materia dello stato civile delle persone e, quindi, nella competenza esclusiva degli Stati membri, non può costituire l’oggetto di un’interpretazione autonoma (v. sentenza D e Svezia/Consiglio, cit., punti 34‑35, e sentenza della Corte 1° aprile 2008, causa C‑267/06, Maruko, Racc. pag. I‑1757, punti 59, 67‑69 e 72).

59      Per di più, l’approccio seguito dal Tribunale della funzione pubblica si discosterebbe dall’intenzione del legislatore comunitario di semplificare la gestione amministrativa. Infatti, come riconosciuto dal Tribunale della funzione pubblica al punto 58 della sentenza impugnata, tale approccio implicherebbe che, in ciascuna ipotesi di unione «contrattuale» che, in base al diritto nazionale applicabile, non fosse equiparabile ad un matrimonio, la Commissione proceda ad un’analisi delle disposizioni del contratto di cui trattasi, allo scopo di determinare se quest’ultimo e il matrimonio producano effetti «analoghi».

60      In via subordinata, nel caso in cui il Tribunale dovesse confermare l’interpretazione del Tribunale della funzione pubblica secondo cui l’art. 72 dello Statuto non rinvia alla frase introduttiva dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII, la Commissione ritiene che la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata a motivo dell’interpretazione erronea delle condizioni enunciate ai punti i)‑iii), di tale disposizione.

61      Difatti, in questo caso, la sola interpretazione possibile dell’art. 72 dello Statuto e dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto sarebbe quella proposta dal sig. Roodhuijzen in primo grado. Di conseguenza, qualora un’unione di fatto, anche di diritto privato, sia stata stipulata con un’unica persona non avente alcun vincolo di parentela stretta con il funzionario e nessuno dei due partner sia impegnato in un matrimonio ovvero in un’altra unione, e purché sia fornito alla Commissione un documento attestante l’unione, tale unione dovrebbe essere ammessa dalla Commissione ai fini della copertura del partner da parte del RCAM. Non si può pertanto, come fa la sentenza impugnata, esigere la dimostrazione che l’unione presenta talune analogie con il matrimonio nonché una «certa stabilità». Infatti, non è possibile interpretare la condizione enunciata al punto i) in tal senso.

62      Dal canto suo, il sig. Roodhuijzen sostiene che tale secondo motivo è irricevibile, poiché la Commissione non metterebbe in discussione il ragionamento in base al quale il Tribunale della funzione pubblica ha respinto i suoi argomenti, bensì tenderebbe ad ottenere un mero riesame del ricorso di primo grado.

63      Inoltre, detto motivo sarebbe infondato. Il Tribunale della funzione pubblica non sarebbe incorso in errori di diritto quando ha interpretato in modo autonomo la nozione di «membri di un’unione di fatto» di cui all’art. 1, n. 2, lett. c), sub i), dell’allegato VII dello Statuto nel senso che un’unione siffatta deve presentare talune analogie con il matrimonio (v. punto 52 della sentenza impugnata).

64      Nel caso di specie, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe infatti verificato se il contratto di convivenza in questione fosse un’«unione di fatto» ai sensi dello Statuto. Al riguardo, la questione di sapere se il diritto olandese assimili il «samenlenvingsoveenkomst» al matrimonio o a un «geregistreerd partnerschap» sarebbe irrilevante.

65      In tale contesto, la constatazione del Tribunale della funzione pubblica secondo cui le sole unioni di fatto che possono essere considerate ai fini del RCAM sono le «coppie», come nel caso del sig. Roodhuijzen e della sua partner, non può essere rimessa in questione adducendo il fatto che un «samenlevingsoveenkomst» potrebbe teoricamente essere stipulato da due persone o più, o da persone aventi un vincolo di parentela. Un’interpretazione diversa, che non prendesse in considerazione l’unione in cui essi sono concretamente impegnati, comporterebbe una discriminazione tra funzionari in ragione della forma astratta della loro unione.

66      In via subordinata, il sig. Roodhuijzen fa valere che la nozione di «funzionario registrato come membro stabile di un’unione di fatto», prevista nella frase introduttiva dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, non si riferisce a un «geregistreerd partnerschap». In effetti, dalla sentenza della Corte 17 aprile 1986, causa 59/85, Reed (Racc. pag. 1283, punti 12 e 13), risulterebbe che «l’interpretazione di nozioni giuridiche fondate sull’evoluzione della società dev’essere effettuata esaminando la situazione nell’insieme della Comunità, non già quella di un solo Stato membro» (v., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Mischo nella sentenza D e Svezia/Consiglio, cit., Racc. pag. I‑4322, punto 43).

67      Inoltre, se il legislatore comunitario avesse inteso includere soltanto le unioni «registrate», disciplinate dalla legge ed i cui effetti siano assimilabili a quelli del matrimonio, si sarebbe riferito allo «status giuridico» di membri di un’unione di fatto.

–        Giudizio del Tribunale

68      Nell’ambito del secondo motivo, la Commissione contesta l’interpretazione della nozione statutaria di «unione di fatto» data nella sentenza impugnata. Pertanto, contrariamente alle deduzioni del sig. Roodhuijzen, un motivo siffatto non mira ad ottenere un riesame del ricorso di primo grado, e non può quindi ritenersi irricevible.

69      Di conseguenza, occorre verificare se, come ritiene la Commissione, il Tribunale della funzione pubblica abbia commesso un errore di diritto allorché ha interpretato in modo autonomo la nozione di «unione di fatto» ai sensi dell’art. 72, n. 1, seconda frase, dello Statuto.

70      Secondo una giurisprudenza costante, ai termini di una disposizione di diritto comunitario, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per la determinazione del suo senso e della sua portata, deve di regola essere data un’interpretazione autonoma, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi (sentenza della Corte 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro, Racc. pag. 107, punto 11). Nondimeno, in assenza di un espresso richiamo, l’applicazione del diritto comunitario può implicare, all’occorrenza, un riferimento al diritto degli Stati membri qualora il giudice comunitario non riesca a rinvenire nel diritto comunitario o fra i principi generali del diritto comunitario gli elementi che gli permettano di precisarne il contenuto e la portata attraverso un’interpretazione autonoma (sentenze Díaz García/Parlamento, cit., punto 36, e Khouri/Commissione, cit., punto 32).

71      Nel caso di specie, occorre verificare se il diritto comunitario, ed in particolare lo Statuto, forniscano al giudice comunitario indicazioni sufficienti a consentirgli di precisare, attraverso un’interpretazione autonoma, il contenuto della nozione di «unione di fatto» di cui all’art. 72, n. 1, seconda frase, dello Statuto, oppure se, al contrario, le pertinenti disposizioni dello Statuto contengano al riguardo un richiamo implicito al diritto nazionale.

72      A tal fine, si devono esaminare le pertinenti disposizioni dello Statuto. Tale analisi conduce, in primo luogo, a respingere l’argomento principale della Commissione secondo cui il Tribunale della funzione pubblica avrebbe omesso di tenere conto della necessità di un’«unione di fatto registrata», presumibilmente enunciata nella prima frase dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto (v., in particolare, punti 50‑52, 54 e 56 supra). Infatti, allorché si è basato sulla formulazione dell’art. 72, n. 1, seconda frase, dello Statuto, il Tribunale della funzione pubblica ha giustamente ritenuto che, per definire la nozione di «partner non sposato di un funzionario», l’art. 72 dello Statuto rinvia unicamente alle prime tre condizioni dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto.

73      Peraltro, i due articoli summenzionati hanno uno scopo diverso. Mentre l’art. 1, n. 2, dell’allegato VII dello Statuto definisce le condizioni che fanno sorgere il diritto all’assegno di famiglia, l’art. 72 dello Statuto prevede, a talune condizioni meno restrittive, le quali riprendono parzialmente quelle che accompagnano il diritto all’assegno di famiglia, la copertura del partner non sposato di un funzionario da parte del RCAM. Risulta quindi dalle suddette disposizioni dello Statuto che quest’ultimo si riferisce a una nozione unica di «unione di fatto», pur subordinando la concessione dell’assegno di famiglia a un funzionario impegnato in un’unione di questo tipo ad una condizione supplementare.

74      In tale contesto, il mancato rinvio dell’art. 72 dello Statuto alla prima frase dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto si spiega con il fatto che, in ogni caso, detta frase non contiene alcuna indicazione precisa sulla nozione di «unione di fatto».

75      Infatti, con riguardo all’ampia eterogeneità delle normative nazionali in materia di attuazione di regimi legali che accordano un riconoscimento giuridico a vari tipi di unioni diverse dal matrimonio, la nozione di «funzionario registrato come membro stabile di un’unione di fatto», prevista nella prima frase dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, non può di per sé essere interpretata come relativa a un regime di «unione di fatto registrata» chiaramente identificata nell’insieme degli Stati membri, il quale corrisponderebbe, nel caso di specie, nel diritto olandese, al «geregistreerd partnerschap». Da tale punto di vista, e al presente stadio dell’evoluzione dei vari sistemi giuridici nazionali, la nozione di «unione di fatto registrata» si distingue quindi da quella di «matrimonio», il cui ambito è chiaramente determinato nell’insieme degli Stati membri, il che ha permesso al giudice comunitario di definire la nozione di matrimonio ai sensi dello Statuto come indicante esclusivamente una relazione fondata sul matrimonio civile nel senso tradizionale del termine (sentenza del Tribunale 28 gennaio 1999, causa T‑264/97, D/Consiglio, Racc. PI pag. I‑A‑1 e II‑1, punto 26).

76      Ne risulta che la nozione di «unione di fatto registrata» ai sensi dello Statuto può essere definita soltanto con riferimento all’insieme delle pertinenti disposizioni dello Statuto, in particolare alla luce delle indicazioni risultanti dalle condizioni enunciate all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto. Infatti, in mancanza di una nozione comunemente riconosciuta di «unione di fatto registrata», il mero riferimento a un’unione di questo tipo nella prima frase di tale articolo non fornisce indicazioni sufficienti in ordine alla definizione di tale nozione.

77      Contrariamente alle deduzioni della Commissione (v. punto 56 supra), detto riferimento non può quindi essere inteso come tale da imporre una condizione di «registrazione» specifica o da esigere che l’unione sia «disciplinata dalla legge», allo stesso modo del matrimonio. Infatti, il termine «registrato» di cui alla prima frase summenzionata si riferisce unicamente a taluni elementi di forma che sono precisati nella prima condizione enunciata dall’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto.

78      In tale contesto, non si può addebitare al Tribunale della funzione pubblica di non aver ritenuto che la prima frase dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto implicasse, nella fattispecie, la necessità di un «geregistreerd partnerschap».

79      In secondo luogo, occorre esaminare se, mentre la nozione di «matrimonio» è stata interpretata in principio come una nozione comunitaria (v. sentenze Reed, cit., punto 15, e D e Svezia/Consiglio, cit., punto 26), l’insieme delle pertinenti disposizioni dello Statuto consenta inoltre di evincere una nozione comunitaria anche dell’«unione di fatto» oppure se, in assenza di indicazioni sufficienti, lo Statuto operi un implicito rinvio ai diritti nazionali.

80      A tale riguardo, occorre sottolineare in via preliminare che, contrariamente all’approccio suggerito dalla Commissione quando essa si fonda sulla sentenza D e Svezia/Consiglio, cit. (v. punto 57 supra), il giudice comunitario non è chiamato ad esaminare, nell’ambito della presente controversia, se un’«unione di fatto registrata» possa esser assimilata al matrimonio e far sorgere il diritto ai vantaggi accordati dallo Statuto alle coppie sposate in quanto produce, nei confronti degli interessati e dei terzi, effetti giuridici prossimi a quelli del matrimonio. Nel caso di specie, ad esso spetta unicamente dirimere la questione, del tutto distinta, dell’interpretazione della nozione di «unione di fatto» espressamente consacrata dallo Statuto.

81      Come ha rilevato il Tribunale della funzione pubblica, dall’ottavo ‘considerando’ del regolamento n. 723/2004 risulta espressamente che il legislatore comunitario ha inteso estendere, a certe condizioni, i vantaggi accordati alle coppie sposate ai «funzionari che vivono in unioni di fatto riconosciute da uno Stato membro come unioni stabili». Orbene, la nozione di «unioni di fatto» alle quali, nel perseguimento dell’obiettivo summenzionato, lo Statuto conferisce taluni diritti può essere dedotta dalle condizioni enunciate all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, in particolare alla luce di detto ‘considerando’.

82      Infatti, dalle suesposte condizioni risulta che l’esistenza di un’unione di fatto ai sensi dello Statuto implica, da un lato, un’unione tra due persone, e, dall’altro, taluni elementi di forma.

83      A tale riguardo, correttamente il Tribunale della funzione pubblica ha innanzitutto constatato, al punto 38 della sentenza impugnata, che la necessità di un’unione tra due persone – a differenza delle altre unioni parimenti riconosciute, nella fattispecie, dal diritto olandese secondo il regime del «samenlevingsovereenkomst» (v. punto 6 supra) – deriva dal termine «coppia» impiegato in particolare nella prima condizione enunciata all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto. Questa interpretazione è confermata dalla seconda e terza condizione enunciate nel suddetto articolo, con esclusione, da un lato, delle situazioni nelle quali uno dei due partner sia sposato oppure impegnato in un’altra unione di fatto, e, dall’altro, di quelle in cui i partner siano legati da vincoli di parentela stretti.

84      Tale esigenza di un’unione tra due persone produce la conseguenza che, allo stesso modo del coniuge, il «partner non sposato» di un funzionario, stando alla terminologia impiegata all’art. 72 dello Statuto, ovvero il suo «partner stabile», per riprendere i termini dell’ottavo ‘considerando’ del regolamento n. 723/2004 sopra menzionato, si distingue chiaramente dalle persone a carico, vale a dire dai figli del funzionario interessato e dalle altre persone a suo carico, ai sensi dell’art. 2 dell’allegato VII dello Statuto, i cui diritti sono garantiti da altre disposizioni dello Statuto, segnatamente dall’art. 72, n. 1, prima frase, di quest’ultimo. Tale esigenza comporta, più in generale, l’esclusione dalla nozione statutaria di «unione di fatto» dell’insieme delle situazioni che, senza caratterizzarsi per l’esistenza di un’unione tra due persone, siano, all’occorrenza, idonee a rientrare in un’unione riconosciuta dal diritto nazionale applicabile, quali il «samenlevingsovereenkomst». Su tale punto, la nozione di «unione di fatto» contenuta nello Statuto si ricongiunge dunque alla definizione fatta propria dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella citata sentenza Burden/Regno Unito, richiamata dalla Commissione (v. punto 55 supra).

85      Per quanto riguarda, poi, le necessità di forma, anch’esse derivano dalla prima condizione enunciata all’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto, che impone che la «coppia fornisca un documento ufficiale riconosciuto come tale da uno Stato membro dell’Unione europea o da un’autorità competente di uno Stato membro, attestante la condizione di membri di un’unione di fatto». Dagli stessi termini della disposizione risulta che sono richieste, da un lato, la presentazione di un documento ufficiale che attesti la condizione di membri di un’unione di fatto degli interessati e, dall’altro, il riconoscimento del carattere ufficiale di detto documento da parte dello Stato membro interessato. Nel caso di specie, considerata la varietà delle situazioni giuridiche idonee a costituire un «samenlevingsovereenkomst» ai sensi del diritto olandese (v. punto 6 supra), il Tribunale della funzione pubblica ha correttamente dichiarato, ai punti 33, 39 e 54 della sentenza impugnata, che la produzione di un atto giuridico siffatto, stipulato dinanzi a un notaio, rispondeva all’esigenza di un documento ufficiale relativo allo stato delle persone, in ragione dell’autenticità conferita a detto atto attraverso la sua stipulazione con atto notarile. Quanto al riconoscimento del carattere ufficiale di tale atto giuridico da parte di uno Stato membro, il Tribunale della funzione pubblica non ha commesso errori di diritto allorché ha considerato che esso risultava, nella fattispecie, dall’attestazione dell’ambasciata dei Paesi Bassi a Lussemburgo, la quale certificava che la condizione di membri di un’unione di fatto degli interessati era riconosciuta nei Paesi Bassi.

86      Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che le pertinenti disposizioni dello Statuto consentono di definire la nozione di «unione di fatto» come avente talune analogie con il matrimonio, come ha constatato il Tribunale della funzione pubblica al punto 36 della sentenza impugnata. Tali disposizioni non richiedono, tuttavia, che l’«unione di fatto» sia assimilabile al matrimonio. In proposito, il Tribunale della funzione pubblica ha correttamente ritenuto che una siffatta esigenza finirebbe per imporre una condizione supplementare non prevista nello Statuto (punto 52 della sentenza impugnata).

87      Contrariamente alle deduzioni della Commissione (v. punto 58 supra), l’interpretazione autonoma della nozione di «unione di fatto» non incide sulla competenza esclusiva degli Stati membri in materia di stato civile delle persone e di determinazione delle prestazioni ad esso connesse. Infatti, poiché la definizione data fa riferimento ad una nozione statutaria, il suo ambito di applicazione è necessariamente circoscritto dal complesso dello Statuto. Essa governa unicamente la concessione di taluni vantaggi sociali accordati da quest’ultimo ai funzionari o agli agenti delle Comunità europee, e non produce alcun effetto negli Stati membri, i quali determinano liberamente l’attuazione dei regimi legali che accordano un riconoscimento giuridico a talune forme di unione diverse dal matrimonio, conformemente ad una giurisprudenza consolidata (v., in tal senso, sentenze Reed, cit., punti 13‑15, e Maruko, cit., punti 59 e 73).

88      In tale prospettiva, occorre respingere anche l’argomento della Commissione basato su talune disposizioni della direttiva 2004/38 (v. punto 60 supra). A differenza della nozione statutaria di «unione di fatto», tali disposizioni producono effetti in tutti gli Stati membri e mirano quindi a non usurpare la competenza di questi ultimi per quanto concerne lo stato civile e i diritti ad esso connessi.

89      Peraltro, contrariamente alle deduzioni della Commissione, la nozione statutaria di «unione di fatto» non può essere interpretata nel senso che include solo quelle unioni concepite, ai sensi della legge nazionale, esclusivamente come produttive di effetti analoghi a quelli del matrimonio (v. punti 51 e 52 supra). A tale riguardo, la posizione della Commissione non trova alcun conforto nelle disposizioni dello Statuto o negli obiettivi da quest’ultimo perseguiti e finisce con il pretendere di imporre una condizione supplementare, non giustificata dalle finalità perseguite dal legislatore comunitario.

90      Infatti, dall’analisi che precede (v. punti 82‑86 supra) risulta che, secondo le pertinenti disposizioni dello Statuto, la sussistenza di un’«unione di fatto» esige soltanto un’unione tra due persone e taluni elementi di forma. Di conseguenza, è sufficiente che tali condizioni siano soddisfatte nel caso considerato, a prescindere dalla questione se esse siano previste in modo imperativo dalla normativa nazionale applicabile oppure lasciate da quest’ultima alla discrezionalità degli interessati. A tale proposito, è del tutto irrilevante la circostanza che la normativa nazionale applicabile consenta di includere sotto un’unica nozione situazioni giuridiche diverse, in funzione della volontà delle parti, libere di stabilire il contenuto e la forma del loro contratto di convivenza, purché l’unione stipulata soddisfi le condizioni richieste dallo Statuto.

91      Del resto, come sostiene il sig. Roodhuijzen (v. punto 65 supra), l’introduzione della condizione supplementare così prospettata dalla Commissione comporterebbe discriminazioni nei confronti di taluni funzionari in ragione della forma astratta della loro unione di fatto, sebbene la normativa nazionale applicabile riconosca detta unione e le condizioni statutarie richieste siano soddisfatte. Una soluzione di questo tipo violerebbe non soltanto le pertinenti disposizioni statutarie, ma, per di più, si fonderebbe su uno snaturamento della normativa nazionale applicabile. A tale proposito, occorre rilevare che il diritto olandese riconosce che un «samenlevingsovereenkomst» può produrre taluni effetti analoghi a quelli del matrimonio.

92      In terzo luogo, occorre esaminare l’argomento sussidiario della Commissione relativo all’interpretazione della prima condizione enunciata dall’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto (v. punti 60 e 61 supra), secondo il quale, allorché l’unione considerata sia stata stipulata con una persona non avente alcun vincolo di parentela stretta con il funzionario e nessuno dei partner sia impegnato in un matrimonio ovvero in un’altra unione di fatto e le condizioni di forma siano soddisfatte, non spetterebbe all’istituzione comunitaria interessata verificare se detta unione di fatto presenti talune analogie con il matrimonio nonché una certa stabilità.

93      A tale riguardo, si deve rammentare che la nozione statutaria di «unione di fatto» mostra talune analogie con quella di matrimonio. Tuttavia, accanto ad esigenze di forma, la sola condizione di fondo risultante dalle pertinenti disposizioni statutarie si richiama all’esistenza di un’unione tra due persone, come si è già affermato (v. punti 82‑86 supra).

94      Poiché certi tipi di «unioni di fatto» riconosciute in alcuni Stati membri, come il «samenlevingsovereenkomst» nei Paesi Bassi, possono all’occorrenza includere situazioni giuridiche non rispondenti ai criteri summenzionati che definiscono la nozione statutaria di «unione di fatto», come è già stato constatato (v. punti 83‑85 e 90 supra), in un’ipotesi di questo tipo spetta all’istituzione comunitaria interessata verificare, sotto il controllo del giudice comunitario, se le condizioni enunciate dallo Statuto siano soddisfatte.

95      Il Tribunale della funzione pubblica ha dunque correttamente ritenuto, ai punti 35 e 52 della sentenza impugnata, che il riconoscimento di un’«unione di fatto» ai sensi dello Statuto non possa derivare dalla sola valutazione dello Stato membro interessato, nella fattispecie l’affermazione contenuta nel certificato dell’ambasciata dei Paesi Bassi a Lussemburgo.

96      Tuttavia, anche se lo Statuto esige, per riconoscere l’esistenza di un’«unione di fatto», la prova di una comunità di vita caratterizzata da una certa stabilità, esso non richiede tuttavia che i partner siano vincolati da diritti e obblighi reciproci specifici. La somiglianza con il matrimonio richiesta dallo Statuto risulta precisamente da una siffatta comunità di vita, nonché dalla necessità di elementi di forma (v. punti 82‑86 supra). Pertanto, allorché il funzionario interessato dimostri che l’unione di fatto in cui è impegnato soddisfa queste due condizioni, non spetta all’istituzione interessata – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale della funzione pubblica al punto 39, in fine, della sentenza impugnata – esaminare anche se i diritti e gli obblighi reciproci previsti dai partner nel loro contratto disciplinino la loro vita comune in modo strutturato e dettagliato. In mancanza di qualsivoglia indicazione in tal senso nello Statuto, l’esercizio di un controllo di questo tipo produrrebbe l’effetto di subordinare il riconoscimento di un’«unione di fatto» a condizioni non previste nello Statuto.

97      Nel caso di specie, correttamente il Tribunale della funzione pubblica ha verificato, alla luce dei documenti che il sig. Roodhuijzen aveva fornito all’amministrazione, che quest’ultimo e la sig.ra H. condividevano una comunità di vita caratterizzata da una certa stabilità (punto 42 della sentenza impugnata). Il punto, peraltro, non è assolutamente contestato dalla Commissione.

98      Per contro, si deve rilevare che il Tribunale della funzione pubblica ha commesso un errore di diritto allorché ha esaminato in modo dettagliato, sulla base di un esame sia del «samenlevingsovereenkomst» stipulato tra il ricorrente in primo grado e la sig.ra H., sia delle disposizioni della normativa olandese, quali erano i diritti e gli obblighi reciproci relativi alla vita comune del sig. Roodhuijzen e della sua compagna. Infatti, contrariamente all’approccio seguito ai punti 43‑46 della sentenza impugnata, lo Statuto non impone di verificare se le conseguenze derivanti dall’unione di fatto in cui è impegnato il funzionario interessato siano «simili sotto molti aspetti» a quelle derivanti da un matrimonio o da un «geregistreerd partnerschap».

99      Ne consegue che la sentenza impugnata è viziata da un errore di diritto nella parte in cui il Tribunale della funzione pubblica ha proceduto, nei punti 43‑46, all’esame summenzionato, in violazione delle pertinenti disposizioni dell’art. 72 dello Statuto e dell’art. 1, n. 2, lett. c), dell’allegato VII dello Statuto.

100    Tuttavia, nella misura in cui, al di fuori del controllo delle condizioni supplementari non previste dallo Statuto, considerate ai punti 98 e 99 supra, il Tribunale della funzione pubblica ha altresì constatato, correttamente, che l’insieme delle condizioni statutarie relative, da un lato, all’esistenza di una vita comune e, dall’altro, agli elementi di forma, erano riunite, il summenzionato errore di diritto non è idoneo ad inficiare la sentenza impugnata [v., in tal senso, sentenze della Corte 19 aprile 2007, causa C‑282/05 P, Holcim (Germania)/Commissione, Racc. pag. I‑2941, punto 33, e 26 marzo 2009, causa C‑113/07 P, Selex Sistemi Integrati/Commissione e Eurocontrol, Racc. pag. I‑2207, punto 81].

101    Si deve pertanto respingere il motivo relativo all’errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «unione di fatto».

102    In tale contesto, non occorre esaminare il motivo subordinato relativo ad un’erronea interpretazione del principio di non discriminazione, in un motivo ultroneo della sentenza impugnata (v. supra, punto 24). Infatti, detto motivo è inoperante, poiché il dispositivo della sentenza impugnata appare fondato sull’errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «unione di fatto».

103    Di conseguenza, il ricorso d’impugnazione deve essere respinto in quanto infondato.

 Sulle spese

104    Conformemente all’art. 148, primo comma, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è infondata, il Tribunale statuisce sulle spese.

105    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, primo comma, dello stesso regolamento, che si applica al procedimento di impugnazione ai sensi del suo art. 144, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Commissione, essendo risultata soccombente nell’insieme delle sue conclusioni, sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal sig. Roodhuijzen nell’ambito del presente grado di giudizio, come da quest’ultimo richiesto.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sezione delle impugnazioni)

dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Commissione delle Comunità europee sopporterà le proprie spese, nonché quelle sostenute dal sig. Anton Pieter Roodhuijzen nell’ambito del presente grado di giudizio.

Jaeger

Tiili

Azizi

Meij

 

      Vilaras

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 ottobre 2009.

Firme


* Lingua processuale: il francese.