Language of document : ECLI:EU:C:2020:1

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

presentate il 14 gennaio 2020 (1)

Causa C78/18

Commissione europea

contro

Ungheria

(Trasparenza associativa)

«Ricorso per inadempimento – Libera circolazione dei capitali – Articoli 63 TFUE e 65 TFUE – Rispetto della vita privata – Protezione dei dati di carattere personale – Libertà di associazione – Trasparenza – Articoli 7, 8 e 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Donazioni estere ad organizzazioni non governative che svolgono la loro attività in uno Stato membro – Legislazione nazionale che impone obblighi sanzionabili di registrazione, di dichiarazione e di trasparenza ad organizzazioni non governative che ricevono sostegno dall’estero»






1.        La Corte deve giudicare, su richiesta della Commissione, se l’Ungheria sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE e degli articoli 7, 8 e 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») in quanto ha introdotto, per legge (2), talune restrizioni alle donazioni provenienti dall’estero in favore delle cosiddette «organizzazioni della società civile».

2.        La Corte dovrà pronunciarsi sul ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione affrontando, nuovamente, il controllo giurisdizionale dell’attività degli Stati in modo che, nella sua analisi, le libertà fondamentali dei Trattati si integrino armoniosamente con i diritti tutelati dalla Carta.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Trattato FUE

3.        L’articolo 63 TFUE così recita:

«1.      Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.

2.      Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

4.        L’articolo 65 TFUE stabilisce quanto segue:

«1.      Le disposizioni dell’articolo 63 non pregiudicano il diritto degli Stati membri:

a)      di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;

b)      di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

2.      Le disposizioni del presente capo non pregiudicano l’applicabilità di restrizioni in materia di diritto di stabilimento compatibili con i trattati.

3.      Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63.

(…)».

2.      La Carta

5.        L’articolo 7 così dispone:

«Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni».

6.        L’articolo 8 enuncia quanto segue:

«1.      Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.

2.      Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.

3.      Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente».

7.        Ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1:

«Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni persona di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi».

8.        L’articolo 52 prevede quanto segue:

«1.      Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

(…)

3.      Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.

(…)».

B.      Diritto nazionale. Legge n. LXXVI del 2017

9.        Il preambolo enuncia quanto segue:

«(…) [L]e organizzazioni costituite in virtù della libertà di associazione sono espressione dell’autoorganizzazione della società e la loro attività contribuisce al controllo democratico e al dibattito pubblico sugli affari pubblici (…) tali organizzazioni svolgono un ruolo determinante nella formazione dell’opinione pubblica,

–        (…) la trasparenza delle associazioni e delle fondazioni nella società riveste grande interesse pubblico,

–        (…) il sostegno fornito da fonti estere sconosciute alle organizzazioni costituite in virtù della libertà di associazione può essere sfruttato da gruppi di interesse stranieri per promuovere – mediante l’influenza sociale di tali organizzazioni – i propri interessi anziché gli obiettivi comunitari della vita sociale e politica dell’Ungheria e (…) può mettere a rischio gli interessi politici ed economici del paese, nonché il funzionamento senza ingerenze delle istituzioni legali».

10.      L’articolo 1 così prevede:

«1.      Ai fini dell’applicazione della presente legge, per organizzazione che riceve sostegno dall’estero si intende un’associazione o fondazione che beneficia di un finanziamento ai sensi del paragrafo 2.

2.      Ai sensi della presente legge, un apporto di denaro o di altri attivi patrimoniali proveniente direttamente o indirettamente dall’estero, indipendentemente dalla qualificazione giuridica, è considerato un aiuto a partire dal momento in cui raggiunga – singolarmente o cumulativamente –, in un determinato anno fiscale, il doppio dell’importo di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della legge n. LIII del 2017, sulla prevenzione e la lotta al riciclaggio dei proventi di attività illecite e al finanziamento del terrorismo (in prosieguo: la «legge Pmt») [(3)].

3.      Non rientra nel calcolo dell’ammontare dell’aiuto ai sensi del paragrafo 2 il sostegno ricevuto dall’associazione o fondazione, in forza di una norma di diritto speciale, a titolo di finanziamento proveniente dall’Unione europea effettuato tramite un organo di bilancio [ungherese].

4.      Sono escluse dall’ambito di applicazione della presente legge:

a)      le associazioni e le fondazioni che non sono considerate organizzazioni della società civile;

b)      le associazioni di cui alla legge n. I del 2004, relativa allo sport:

c)      le organizzazioni che svolgono attività religiose;

d)      le organizzazioni e le associazioni di minoranze nazionali di cui alla legge n. CLXXIX del 2011, sui diritti delle minoranze nazionali, nonché le fondazioni che svolgono, conformemente al loro atto costitutivo, un’attività direttamente connessa all’autonomia culturale di una minoranza nazionale o che rappresentano e difendono gli interessi di una determinata minoranza nazionale».

11.      L’articolo 2 stabilisce quanto segue:

«1.      Ogni associazione o fondazione ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, comunica la propria trasformazione in organizzazione che riceve sostegno dall’estero entro 15 giorni a decorrere dal momento in cui l’ammontare degli aiuti da essa ricevuti nel corso dell’anno in questione raggiunga il doppio dell’importo di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della legge [Pmt].

2.      L’organizzazione che riceve sostegno dall’estero trasmette la dichiarazione di cui al paragrafo 1 al tribunale competente della sua sede sociale (in prosieguo: il “giudice della registrazione”) e fornisce le informazioni indicate nell’allegato I. Il giudice della registrazione inserisce la dichiarazione tra le annotazioni relative all’associazione o fondazione contenute nel registro delle organizzazioni civili e altre organizzazioni considerate non commerciali (in prosieguo: il “registro”) e iscrive l’associazione o fondazione come organizzazione che riceve sostegno dall’estero.

3.      Applicando per analogia le disposizioni enunciate al paragrafo 1, l’organizzazione che riceve sostegno dall’estero trasmette al giudice della registrazione, contestualmente alla liquidazione del sostegno, una dichiarazione contenente i dati di cui all’allegato I relativi al sostegno ricevuto nel corso dell’anno precedente. Nella dichiarazione devono figurare, per l’anno in questione,

a)      per un sostegno non superiore a HUF 500 000 [(4)] per donante, le informazioni indicate nella parte II, lettera A), dell’allegato I.

b)      per un sostegno pari o superiore a HUF 500 000 per donante, le informazioni indicate nella parte II, lettera B), dell’allegato I.

4.      Entro il 15 di ogni mese, il giudice della registrazione comunica al ministro preposto alla gestione del portale delle informazioni civili la denominazione, la sede e l’identificativo fiscale delle associazioni e fondazioni iscritte nel registro durante il mese precedente come organizzazioni che ricevono sostegno dall’estero. [Detto] ministro divulga senza ritardo le informazioni in tal modo trasmesse per renderle gratuitamente accessibili al pubblico sulla piattaforma elettronica istituita a tal scopo.

5.      Dopo avere presentato la dichiarazione ai sensi del paragrafo 1, l’organizzazione che riceve sostegno dall’estero rende noto senza ritardo sulla sua homepage e nelle sue pubblicazioni (…) che è considerata un’organizzazione che riceve sostegno dall’estero ai sensi della presente legge.

6.      L’organizzazione che riceve sostegno dall’estero è soggetta all’obbligo di cui al paragrafo 5 fintanto che sia considerata un’organizzazione [di tale natura] ai sensi della presente legge».

12.      A tenore dell’articolo 3:

«1.      Qualora l’associazione o fondazione non rispetti gli obblighi ad essa incombenti in forza della presente legge, il pubblico ministero, non appena venga a conoscenza di tale circostanza (…), intima all’associazione o fondazione di adempiere detti obblighi entro 30 giorni.

2.      Qualora l’organizzazione che riceve sostegno dall’estero non adempia l’obbligo indicato dal pubblico ministero, quest’ultimo le intima nuovamente di adempiere entro 15 giorni gli obblighi che le impone la presente legge. Trascorsi inutilmente 15 giorni dalla scadenza di tale termine, il pubblico ministero chiede al giudice della registrazione l’irrogazione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’articolo 37, paragrafo 2, della legge n. CLXXXI del 2011, relativa alla registrazione presso i tribunali delle organizzazioni della società civile e alle norme di procedura applicabili [(5)].

3.      Dopo avere rivolto un’ulteriore intimazione all’organizzazione ai sensi del paragrafo 2, il pubblico ministero agisce nel rispetto del requisito della proporzionalità, applicando per analogia le disposizioni della legge n. CLXXV del 2011, sul diritto di associazione, lo status di associazione senza scopo di lucro e il finanziamento delle organizzazioni della società civile [(6)], e alla legge n. CLXXXI del 2011, relativa alla registrazione presso i tribunali delle organizzazioni della società civile e alle norme di procedura applicabili» [(7)].

13.      A termini dell’articolo 4:

«1.      Qualora, nell’anno successivo all’esercizio fiscale di cui all’articolo 2, paragrafo 3, l’apporto di denaro o di altri attivi patrimoniali di cui ha beneficiato l’organizzazione che riceve sostegno dall’estero non raggiunga il doppio dell’importo indicato all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della legge Pmt, l’associazione o fondazione cessa di essere considerata un’organizzazione che riceve sostegno dall’estero e comunica tale informazione – applicando per analogia le disposizioni relative alla dichiarazione – entro 30 giorni dall’adozione della sua relazione annuale per l’anno in cui si è verificata tale circostanza. Il giudice della registrazione comunica parimenti detta circostanza, in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 4, al ministro preposto alla gestione del portale delle informazioni civili, il quale provvede tempestivamente a cancellare i dati dell’organizzazione di cui trattasi dalla piattaforma elettronica istituita a tal scopo.

2.      In seguito alla dichiarazione di cui al paragrafo 1, il giudice della registrazione cancella tempestivamente dal registro l’indicazione che l’associazione o fondazione è un’organizzazione che riceve sostegno dall’estero».

II.    Procedimento precontenzioso

14.      Il 14 luglio 2017 la Commissione inviava una lettera di diffida al governo ungherese in relazione alla legge n. LXXVI del 2017, ritenendo che contravvenisse agli obblighi derivanti dall’articolo 63 TFUE e dagli articoli 7, 8 e 12 della Carta.

15.      Nella diffida veniva concesso al governo ungherese un termine di un mese per presentare le proprie osservazioni. Detto governo chiedeva una proroga, che veniva negata dalla Commissione.

16.      Il governo ungherese rispondeva alla Commissione, con lettere del 14 agosto e del 7 settembre 2017, respingendo gli addebiti mossi nella diffida.

17.      Non essendo soddisfatta della risposta del governo ungherese, il 5 ottobre 2017 la Commissione emetteva un parere motivato, nel quale:

1)      constatava che, mediante la legge n. LXXVI del 2017 e in violazione delle disposizioni del diritto dell’Unione sopra citate, l’Ungheria aveva introdotto restrizioni discriminatorie, non necessarie e ingiustificate in relazione alle donazioni estere alle organizzazioni della società civile in Ungheria; e

2)      invitava il governo ungherese a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi al parere o a presentare osservazioni entro il termine di un mese.

18.      Dopo un ulteriore diniego della proroga del termine impartito, in data 5 dicembre 2017 il governo ungherese rispondeva al parere della Commissione, negando l’inadempimento che gli veniva addebitato.

19.      Il 7 dicembre 2017 la Commissione ha proposto il ricorso in esame.

III. Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

20.      Il ricorso per inadempimento è stato depositato presso la cancelleria della Corte di giustizia il 6 febbraio 2018.

21.      La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, adottando la legge n. LXXVI del 2017, l’Ungheria ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE e degli articoli 7, 8 e 12 della Carta, ponendo restrizioni discriminatorie, non necessarie e ingiustificate alle donazioni estere in favore delle organizzazioni della società civile. Chiede inoltre la condanna di tale Stato membro alle spese.

22.      Il governo ungherese chiede che il ricorso sia dichiarato irricevibile o, in subordine, respinto in quanto infondato, e che la Commissione sia condannata alle spese.

23.      Con ordinanza del presidente della Corte del 26 settembre 2018, il Regno di Svezia è stato autorizzato ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

24.      Il 22 ottobre 2019 si è tenuta un’udienza pubblica alla quale hanno partecipato i governi ungherese e svedese nonché la Commissione.

IV.    Analisi

A.      Sull’irricevibilità del ricorso

1.      Posizioni delle parti

25.      Secondo il governo ungherese, il ricorso sarebbe irricevibile a causa delle irregolarità commesse durante il procedimento precontenzioso. Esso afferma che la Commissione gli ha impartito termini più brevi rispetto a quelli consueti per la presentazione di osservazioni e gli ha illegittimamente negato le proroghe richieste.

26.      Tali irregolarità violerebbero l’obbligo di leale cooperazione (articolo 4, paragrafo 3, TUE), il diritto ad una buona amministrazione (articolo 41 della Carta), più in particolare il diritto di essere ascoltato, e il principio generale di difesa.

27.      La Commissione sostiene che i termini non erano né vessatori né irragionevolmente brevi e non hanno impedito al governo ungherese di presentare osservazioni dettagliate sull’inadempimento contestato.

28.      Quanto al termine per presentare osservazioni sulla diffida, la Commissione fa valere che la relativa proroga era subordinata alla circostanza che l’Ungheria si conformasse alla diffida ed elaborasse una calendario realistico di misure per adeguarvisi (8). Deduce inoltre che, a suo tempo, i termini erano stati fissati tenendo conto del fatto che l’Ungheria aveva deciso di non proseguire il dialogo con la Commissione, cosicché la loro brevità sarebbe imputabile al comportamento di tale Stato membro.

2.      Valutazione

29.      Secondo la Corte, «il procedimento precontenzioso ha lo scopo di dare allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto [dell’Unione] e, dall’altro, di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (9)».

30.      Al fine di conseguire tale duplice obiettivo, la Commissione è tenuta a «concedere agli Stati membri un termine ragionevole per rispondere alla lettera d’intimazione e conformarsi al parere motivato o, eventualmente, per preparare la loro difesa» (10).

31.      Il termine fissato normalmente dalla Commissione nei procedimenti precontenziosi è di due mesi (11). Ciò non significa, tuttavia, che il termine debba essere questo in tutti i casi: ciò che conta è, come detto, che esso sia «ragionevole».

32.      Tuttavia, la ragionevolezza del termine non va determinata in astratto, bensì in funzione del duplice scopo con esso perseguito (12). In particolare, lo Stato membro deve essere messo in condizioni di preparare la difesa della sua posizione a fronte degli addebiti mossi dalla Commissione.

33.      Per valutare se, in un caso specifico, il termine concesso dalla Commissione sia ragionevole, si deve «tener conto del complesso delle circostanze caratterizzanti la fattispecie che viene in rilievo» (13). Ad esempio, «[t]ermini molto brevi possono (…) ammettersi in situazioni specifiche, in particolare quando vi sia l’urgenza di porre rimedio ad un inadempimento o quando lo Stato membro interessato sia pienamente a conoscenza del punto di vista della Commissione ben prima che venga avviata la procedura» (14).

34.      La Commissione ha sostenuto che, nel caso di specie, la proroga del termine per rispondere al parere motivato avrebbe potuto essere concessa solo affinché lo Stato membro potesse adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a detto parere (15). Essa aggiunge che il governo ungherese non ha indicato nella richiesta di proroga che fosse questa la sua intenzione.

35.      Tale argomento non tiene conto del secondo obiettivo perseguito con il procedimento precontenzioso, vale a dire consentire allo Stato membro di difendersi dagli addebiti mossi nei suoi confronti, e si pone quindi in contrasto con la giurisprudenza costante della Corte.

36.      Tuttavia, ciò che in definitiva rileva nel caso di specie è se il comportamento della Commissione abbia reso difficile la preparazione della difesa dello Stato membro. Spetta a quest’ultimo fornire la prova di tale difficoltà (16).

37.      Il governo ungherese non è riuscito a dimostrare che i termini concessi hanno influito negativamente sulla difesa della sua posizione. Quand’anche esso potesse fondatamente contestare il fatto che la Commissione gli abbia imposto, senza debita giustificazione, un termine (un mese) inferiore a quello consueto nella sua prassi (due mesi), quest’ultimo è stato di fatto il termine che esso ha avuto a sua disposizione per rispondere sia alla diffida, sia al parere motivato (17).

38.      In tali circostanze, ritengo che il governo ungherese abbia potuto difendersi adeguatamente, fruendo, in definitiva, del termine che aveva chiesto inizialmente.

39.      Il fatto che Commissione abbia deciso di proporre il ricorso appena due giorni dopo avere ricevuto la risposta del governo ungherese al parere motivato è irrilevante rispetto all’irricevibilità di detto ricorso.

40.      Spetta alla Commissione scegliere il momento in cui essa inizierà il procedimento per inadempimento nei confronti di uno Stato membro, «laddove le considerazioni che determinano tale scelta non possono influenzare la ricevibilità dell’azione», in quanto «la Commissione dispone del potere di valutare quando si debba proporre un ricorso e non spetta alla Corte, in via di principio, sindacare tale valutazione» (18).

41.      Il governo ungherese deduce che due giorni non erano sufficienti affinché la Commissione si formasse un giudizio sulla risposta al parere motivato (19). La Commissione replica di avere deciso di proporre il ricorso in seguito ad un esame della risposta del governo ungherese svolto con la massima professionalità (20).

42.      Ho già sottolineato la competenza della Commissione a scegliere il momento in cui avviare questo tipo di procedimenti. Muovendo da tale premessa, non vedo motivi per sostenere che la Commissione abbia adottato la sua decisione, nel caso in esame, senza prestare la dovuta attenzione alle osservazioni del governo ungherese.

43.      La risposta al parere motivato costituisce l’ultima fase di un procedimento nel quale le parti coinvolte prendono chiaramente conoscenza delle rispettive posizioni. Ciò posto, una volta esaurite le diverse fasi del procedimento precontenzioso, due giorni possono essere sufficienti per decidere il passo successivo, vale a dire proporre il ricorso per inadempimento.

44.      Una risposta al parere motivato che, come nel caso di specie, si limiti a ribadire la tesi sostenuta fin dall’inizio dal governo ungherese è sufficiente affinché la Commissione deduca che la posizione giuridica di tale Stato membro, già nota in precedenza, non è mutata nel corso del procedimento. La conseguente decisione di proporre il ricorso non richiede un esame più approfondito di quello effettuato durante l’intera fase precontenziosa.

45.      Sebbene la decisione sia stata adottata, come detto, il 7 dicembre 2017, il ricorso è stato depositato presso la Corte il 6 febbraio 2018. Esso contiene numerosi riferimenti al contenuto della risposta del governo ungherese, il che dimostra come le tesi di quest’ultimo siano state esaminate dettagliatamente. Non si può quindi affermare che la Commissione abbia trascurato l’analisi della risposta a detto parere.

46.      In definitiva, ciò che rileva è che il procedimento precontenzioso sia servito a consentire al governo ungherese di esporre i suoi argomenti, vuoi dinanzi alla Commissione, vuoi, infine, dinanzi alla Corte, nel pieno rispetto del suo diritto alla difesa.

47.      Pare quasi superfluo rilevare che la Corte, per pronunciarsi sul ricorso in esame, dispone di tutti i documenti prodotti dal governo ungherese durante la fase precontenziosa nonché, ovviamente, del suo controricorso e della sua controreplica nel presente procedimento giurisdizionale. In siffatte circostanze, ritengo che il diritto di difesa dello Stato membro sia stato rispettato.

B.      Argomenti delle parti relativi al merito

48.      La Commissione addebita all’Ungheria, in primo luogo, una violazione della libera circolazione dei capitali (articolo 63 TFUE) e, in secondo luogo, «in maniera distinta» (21), la violazione di vari diritti e libertà sanciti dalla Carta.

49.      Per le ragioni che illustrerò (22), ritengo che l’esame di questi due addebiti non debba essere svolto «in maniera distinta», bensì in maniera integrata.

1.      Argomenti della Commissione e del governo svedese

50.      Secondo la Commissione, con cui concorda il governo svedese, le donazioni disciplinate dalla legge n. LXXVI del 2017 costituiscono una modalità di movimento (trasferimento) dei capitali. Detta legge implica una restrizione discriminatoria indiretta alla libera circolazione dei capitali, basata sulla nazionalità, che non può essere giustificata con una differenza oggettiva, sotto il profilo della trasparenza e del controllo, tra la situazione dei donanti residenti in Ungheria e quella dei donanti residenti all’estero.

51.      Quand’anche la legge n. LXXVI del 2017 fosse applicabile in modo non discriminatorio, non per questo cesserebbe di costituire una restrizione alla libera circolazione dei capitali, data l’onerosità degli obblighi di dichiarazione, registrazione e pubblicità da essa imposti, con i loro conseguenti effetti dissuasivi. Peraltro, il fatto che gli obblighi di dichiarazione e di pubblicità siano obblighi ex post non influisce sulla loro natura restrittiva, anche se essi risultano meno gravosi rispetto ad un obbligo ex ante.

52.      Nemmeno i motivi di ordine pubblico e di trasparenza invocati dal governo ungherese giustificano una normativa che: a) stigmatizza le organizzazioni che ricevono sostegno dall’estero (non tutte, dato che, senza alcuna ragione oggettiva, ne esclude alcune, come quelle sportive o religiose) e b) parte dal principio della natura illecita delle attività che beneficiano di tale sostegno.

53.      Inoltre, dette misure non sarebbero idonee a conseguire gli obiettivi perseguiti dal legislatore nazionale.

–        Per quanto riguarda la tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, sebbene sia riconosciuto agli Stati membri un certo margine di discrezionalità (articolo 4, paragrafo 2, TUE), il governo ungherese non ha spiegato perché le organizzazioni interessate rappresenterebbero una minaccia sufficientemente grave alla sovranità e all’ordine costituzionale.

–        Esso non avrebbe neppure spiegato perché la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo comporterebbe la necessità di rendere noto il finanziamento mediante capitali esteri delle organizzazioni senza scopo di lucro ungheresi, né in qual modo le misure controverse contribuirebbero a tale lotta.

54.      Ad ogni modo, le misure in questione, che si aggiungono ad altre già applicabili alle organizzazioni della società civile, risultano sproporzionate, dal momento che se ne possono concepire altre meno restrittive.

55.      Per quanto riguarda l’articolo 12 della Carta, i requisiti, le formalità e le sanzioni previste dalla legge n. LXXVI del 2017 violano la libertà di associazione delle organizzazioni della società civile, incidendo sul funzionamento, l’organizzazione e il finanziamento delle stesse. Le sanzioni, in particolare, comportano un rischio giuridico per la loro esistenza, in quanto contemplano la possibilità di scioglierle.

56.      Tali restrizioni alla libertà di associazione sarebbero inoltre ingiustificate, in quanto non rispondenti agli obiettivi con esse asseritamente perseguiti.

57.      Neppure il sistema sanzionatorio previsto rispetterebbe il principio di proporzionalità: una misura come quella dello scioglimento può essere prevista solo come ultima risorsa e in casi di eccezionale gravità, e non per violazioni minori, in particolare quelle di natura amministrativa.

58.      Quanto agli articoli 7 e 8 della Carta, la legge n. LXXVI del 2017 costituisce un’ingerenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale di coloro che effettuano le donazioni.

59.      Pur senza negare che la trasparenza delle organizzazioni della società civile e la lotta contro le donazioni anonime possano costituire obiettivi di interesse generale, pare eccessivo considerare i donanti le cui donazioni superino HUF 500 000 come «soggetti pubblici» meno meritevoli di tutela dei loro dati personali (il che consentirebbe, inter alia, di pubblicarne i nomi in un registro accessibile al pubblico). In tal modo, si fa automaticamente prevalere l’obiettivo della trasparenza sul rispetto dei diritti fondamentali dei donanti.

2.      La risposta del governo ungherese

60.      Il governo ungherese sostiene che la legge n. LXXVI del 2017 si colloca nel contesto della preoccupazione dell’Unione di assicurare la trasparenza e la tracciabilità dei movimenti di capitali, ai fini della lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

61.      Detta legge non comporta una restrizione discriminatoria indiretta in base alla nazionalità, bensì tiene conto della fonte del sostegno. Inoltre, essa si applica del pari al sostegno di provenienza estera fornito dai cittadini ungheresi e la Commissione non ha potuto dimostrare che, nella pratica, i relativi donanti siano prevalentemente stranieri. In ogni caso, il criterio della fonte sarebbe giustificato in quanto il sostegno di provenienza nazionale è più facilmente controllabile rispetto a quelli estero.

62.      Le misure controverse non hanno un effetto dissuasivo, in quanto non impongono agli interessati alcun obbligo amministrativo nuovo. Inoltre, gli obblighi di pubblicazione sono neutri e non riguardano il donante medio, bensì chi fornisca contributi superiori a HUF 500 000. La Corte di giustizia ha ammesso analoghi obblighi di dichiarazione ex post.

63.      Per quanto riguarda la sua giustificazione, la legge n. LXXVI del 2017 è intesa a:

–        aumentare la trasparenza delle organizzazioni della società civile, in considerazione della loro crescente influenza sulla formazione dell’opinione pubblica e sulla vita pubblica stessa. Lungi dal censurare la loro funzione, il legislatore avrebbe inteso riconoscerle e promuoverle, purché si sviluppino nel rispetto della legalità. In quest’ottica, esse sono trattate più favorevolmente dei partiti politici, che non possono ricevere sostegno dall’estero;

–        contribuire alla lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

64.      La legge n. LXXVI del 2017 non persegue tali obiettivi in modo incoerente: essa esenta determinati aiuti in quanto, provenendo da fonti ungheresi, essi possono essere controllati grazie alla legislazione previgente e, qualora si tratti di associazioni religiose o sportive, le loro particolarità giuridiche ne impongono l’esclusione.

65.      Per quanto riguarda la proporzionalità delle misure, la nozione di «aiuto» è stata definita in maniera tale che non risulta più chiara rispetto ad altre nozioni comparabili utilizzate dal diritto dell’Unione.

66.      Non è vero che la normativa previgente imponesse alle organizzazioni della società civile l’obbligo di comunicare le donazioni ricevute. Inoltre, misure come quelle suggerite dalla Commissione risulterebbero molto più intrusive.

67.      Per quanto concerne gli obblighi di registrazione e di pubblicità, essi non si applicano sistematicamente, bensì soltanto entro i limiti stabiliti dalla legge. Tali limiti rispondono alla preoccupazione di limitare le informazioni ai finanziamenti rilevanti dall’estero, che sono molto superiori alla media delle donazioni effettuate nella pratica.

68.      Quanto alle sanzioni, viene istituito un insieme di misure graduali, applicabili per fasi e soggette a controllo giurisdizionale, e lo scioglimento costituisce la soluzione estrema per il caso in cui sia accertata la volontà chiara e persistente di non rispettare la legge.

69.      La legge n. LXXVI del 2017 non ha limitato il contenuto sostanziale della libertà di associazione, bensì, rispettandolo, ne disciplina l’esercizio. Gli obblighi di registrazione e di pubblicità sono circoscritti alla divulgazione di un fatto neutro (la percezione di sostegno finanziario di una certa rilevanza dall’estero), senza che ciò comporti gli effetti stigmatizzanti e dissuasivi denunciati dalla Commissione.

70.      L’obiettivo della trasparenza giustifica l’adozione di misure dichiarative (non di divieto), normalmente applicabili ai partiti politici e, pertanto, anche alle organizzazioni della società civile, alle quali la Corte europea dei diritti dell’uomo (In prosieguo: la «Corte EDU») attribuisce un’importanza analoga.

71.      I dati ai quali si riferisce la legge n. LXXVI del 2017 – il nome del donante nonché il comune e il paese di residenza – non sono di carattere personale e, in ogni caso, gli obblighi ad essi afferenti non rappresentano un’ingerenza nei diritti tutelati dalla Carta. Viene resa pubblica solo una parte delle informazioni raccolte, che riguardano persone fisiche in percentuale molto bassa (3,6% dei donanti nel 2015).

72.      In definitiva, un’eventuale ingerenza nei diritti garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta sarebbe giustificata da obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione, quale la maggiore trasparenza del finanziamento delle organizzazioni della società civile e il contrasto alle donazioni anonime.

73.      Infine, era necessario colmare la lacuna normativa preesistente in materia. La proporzionalità delle misure è dimostrata dal fatto che esse coincidono con quelle previste dalla normativa dell’Unione in relazione ai partiti politici europei.

C.      Valutazione preliminare in ordine alla necessità di operare con un parametro di controllo integrato

1.      La posizione della Corte

74.      Nelle conclusioni relative alla causa Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli) (23), l’avvocato generale Saugmandsgaard Øe ha sottolineato che la Commissione chiedeva per la prima volta alla Corte di dichiarare che uno Stato membro – anche in quel caso l’Ungheria – aveva violato gli obblighi derivanti dalla Carta (24).

75.      Tale esordio non sollevava alcun problema di ricevibilità, in quanto, come rilevato dall’avvocato generale Saugmandsgaard Øe, tra gli obblighi il cui inadempimento può essere denunciato dalla Commissione dinanzi alla Corte in forza dell’articolo 258 TFUE rientra il rispetto dei diritti garantiti dalla Carta (25).

76.      In quel caso (come ora), la questione spinosa era che, secondo la Commissione, la Corte doveva pronunciarsi su una presunta violazione della Carta a margine e indipendentemente da una violazione della libertà di circolazione, parimenti addebitata all’Ungheria in quel procedimento.

77.      A fronte di tale impostazione, l’avvocato generale sosteneva che la Corte non poteva valutare l’eventuale violazione della Carta «indipendentemente dalla questione della violazione delle libertà di circolazione» (26). La Corte avrebbe accolto siffatta interpretazione nella sentenza SEGRO e Horváth (27), pronunciandosi su un caso nel quale esisteva «una sovrapposizione completa fra il diritto di proprietà e la libera circolazione dei capitali» (28).

78.      Tuttavia, nella sentenza del 21 maggio 2019 (29), la Corte ha preferito esaminare in ordine successivo la violazione dell’articolo 63 TFUE e quella dell’articolo 17 della Carta.

–        Per quanto riguarda l’articolo 63 TFUE, ha dichiarato che la norma nazionale restringeva il diritto degli interessati alla libera circolazione dei capitali (30).

–        Ha poi verificato se la restrizione fosse giustificata da ragioni imperative di interesse generale o dai motivi menzionati all’articolo 65 TFUE (31).

–        Da quest’ultimo punto di vista, ha ritenuto che una normativa nazionale che richiami entrambe le categorie di motivi deve rispettare i diritti garantiti dalla Carta. Di conseguenza, la sua compatibilità con il diritto dell’Unione doveva essere valutata «alla luce tanto delle eccezioni così previste dal Trattato e dalla giurisprudenza (…) che dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta» (32).

–        Occorreva pertanto stabilire se la norma nazionale violasse anche il diritto fondamentale invocato in quell’occasione (il diritto di proprietà garantito dall’articolo 17 della Carta) (33).

79.      Dopo avere constatato entrambe le violazioni – quella dell’articolo 63 TFUE e quella dell’articolo 17 della Carta –, la Corte ha poi esaminato se esse fossero giustificate.

–        Riguardo alla violazione dell’articolo 63 TFUE, ha respinto in ordine successivo le giustificazioni basate su taluni obiettivi di interesse generale (34), quelle fondate sulla violazione della normativa nazionale in materia di controllo dei cambi (35) e quella relative alla tutela dell’ordine pubblico (36).

–        Quanto all’articolo 17 della Carta, ha escluso che ricorressero cause di pubblico interesse idonee a giustificare la privazione del diritto di proprietà senza che la norma nazionale prevedesse il pagamento di una giusta indennità (37).

80.      La Corte tenta, indubbiamente, di combinare le libertà fondamentali garantite dai Trattati e i diritti fondamentali della Carta, ma nella sua analisi esiste un certo rischio di sovrapposizione, come sottolineato dall’avvocato generale Saugmandsgaard Øe (38).

81.      Sebbene, probabilmente, tale sovrapposizione non abbia molte conseguenze pratiche, ritengo possibile combinare le libertà dei Trattati e i diritti della Carta così da la fonderli in un unico parametro di controllo.

2.      La ricerca di un parametro di controllo integrato

82.      Secondo l’interpretazione tradizionale della Corte, per valutare se si sia verificata una violazione delle libertà tutelate dai Trattati, i diritti fondamentali entrano in gioco solo nella misura in cui gli Stati membri ostacolino o limitino tali libertà adducendo cause o motivi ammessi dal diritto dell’Unione (39).

83.      La regola è pertanto che la Corte «non può valutare una normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione» (40). Tale è il presupposto per poter opporre a detta normativa i diritti della Carta.

84.      A questo approccio tradizionale se ne può forse sovrapporre un altro, maggiormente incentrato sull’applicabilità della Carta, allorché la Corte interpreta le libertà dei Trattati, del cui contenuto fanno necessariamente parte i diritti fondamentali garantiti dalla Carta stessa.

85.      Come si è appena rilevato, la Corte «non può valutare una normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione» (41). Orbene, nell’interpretare il diritto dell’Unione (per quanto qui rileva, l’articolo 63 TFUE), occorre indiscutibilmente tenere conto delle implicazioni della Carta.

86.      Il diritto dell’Unione nel suo complesso, sia primario che derivato, si è permeato del contenuto dei diritti fondamentali proclamati nella Carta, il cui valore giuridico è equivalente a quello dei Trattati (articolo 6, paragrafo 1, TUE). E lo ha fatto in modo radicale, come si addice ad un’Unione fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà e dei diritti umani (articolo 2 TUE), che pone la persona al centro della sua azione (preambolo della Carta).

87.      L’entrata in vigore della Carta ha comportato il passaggio definitivo dal precedente sistema normativo ad un altro incentrato sulla persona del cittadino, vale a dire un soggetto titolare di diritti che gli assicurano un quadro giuridico in cui vivere autonomamente, perseguendo liberamente i propri fini.

88.      È per questo, in particolare, che le libertà classiche protette dai Trattati non possono più essere interpretate indipendentemente dalla Carta, i cui diritti devono essere ritenuti incorporati nella sostanza di dette libertà. In tal senso, l’Unione garantisce le libertà di cui trattasi in un contesto normativo definito dai diritti fondamentali della Carta.

89.      Di conseguenza, qualora venga messa in discussione la compatibilità di una normativa nazionale con una delle suddette libertà classiche, la Carta sarà applicabile sia nel caso in cui gli Stati membri intendano avvalersi delle eccezioni previste al riguardo dai Trattati, sia in qualunque altro caso nel quale risultino interessati i diritti fondamentali. Questi ultimi, in altri termini, non entrano in gioco attraverso l’articolo 65 TFUE, bensì direttamente e principalmente attraverso l’articolo 63 TFUE.

90.      Potrebbe sembrare che tale impostazione non sia molto lontana da quella adottata quando l’applicabilità della Carta dipende dall’applicazione di una giustificazione espressamente ammessa dai Trattati. Tuttavia, ritengo che si tratti di approcci diversi, per il loro fondamento concettuale e le loro conseguenze.

91.      L’integrazione dei diritti fondamentali nel contenuto delle libertà garantite dai Trattati (obbligatoria, come si è detto, dopo l’entrata in vigore della Carta) implica che debbano rispettare i diritti della Carta non solo le normative nazionali che intendono avvalersi del diritto dell’Unione per limitare tali libertà, ma altresì quelle che, senza pretendere di valersi del diritto dell’Unione, violano o limitano tali libertà. Diversamente, si giungerebbe alla situazione paradossale in cui gli Stati membri dovrebbero rispettare i diritti fondamentali solo quando vogliano giustificare una restrizione alle libertà protette, ma non quando limitino queste ultime senza addurre alcuna giustificazione.

92.      Muovendo da tale premessa, il contenuto delle libertà tutelate dai Trattati deve considerarsi ridefinito con l’integrazione dei diritti della Carta nella nozione che la stessa garantisce.

93.      Se, come accade nel caso di specie, è in gioco la libera circolazione dei capitali, le operazioni che beneficiano di tale libertà non sono solo quelle che possono essere limitate ai sensi degli articoli 64 TFUE e 65 TFUE, ma altresì quelle suscettibili di qualsiasi altra restrizione, per il cui esame si dovrà verificare se, in virtù dei Trattati, siano rispettati i diritti fondamentali interessati. Fra questi ultimi possono collocarsi, naturalmente, il diritto di acquisto della proprietà, l’esercizio del diritto al lavoro o la libertà di associazione.

94.      Le restrizioni alle libertà fondamentali ammesse in forza dei Trattati prima dell’entrata in vigore della Carta dovevano soddisfare requisiti di necessità, adeguatezza e proporzionalità, che sono stati oggetto di un’abbondante giurisprudenza.

95.      In vigenza della Carta, si dovrà chiarire quando l’esame di un’ipotetica violazione della libera circolazione dei capitali debba essere effettuato secondo tale tecnica tradizionale (giudizio di necessità, adeguatezza e proporzionalità) e quando vada svolto alla luce dei diritti fondamentali, vale a dire applicando un parametro di controllo più stringente.

96.      A mio avviso, se si mette in discussione una normativa nazionale per violazione dell’articolo 63 TFUE senza fare espressamente riferimento ad una possibile violazione della Carta (vale a dire, qualora si denunci la mera restrizione alla libera circolazione dei capitali in quanto tale, senza associarla alla violazione di uno specifico diritto fondamentale), il criterio di valutazione dovrebbe essere quello che la Corte ha sempre applicato in quest’ambito: il criterio classico.

97.      Se, invece, la restrizione della libertà in questione appare come la causa principale o diretta della violazione di un diritto fondamentale (vale a dire, se la normativa nazionale che limita la libera circolazione dei capitali mira di per sé alla restrizione di un diritto o sfocia inevitabilmente in tale risultato), il criterio di valutazione dovrebbe essere quello afferente a qualsiasi violazione di diritti fondamentali.

98.      Si dovrebbe quindi superare la dualità tra «violazioni dell’articolo 63 TFUE», da un lato, e «violazioni dei diritti fondamentali conseguenti a una restrizione ai sensi dell’articolo 63 TFUE autorizzata dai Trattati», dall’altro.

99.      La libertà di cui all’articolo 63 TFUE è una e una sola. Anche il suo contenuto è uno solo e ha per oggetto la libera circolazione dei capitali, senza ulteriori restrizioni oltre a quelle consentite dai Trattati, il che include il rispetto dei diritti fondamentali, sia che il loro esercizio possa essere agevolato dal godimento di tale libertà, sia che possa essere pregiudicato dalla sua limitazione.

100. Occorrerà quindi stabilire caso per caso se la violazione dell’articolo 63 TFUE derivi da una limitazione della libera circolazione dei capitali che si esaurisce nella pura e semplice restrizione di detta circolazione in quanto tale, o se detta restrizione sia in realtà strumentalizzata per violare un diritto fondamentale (42). Il parametro di controllo includerà in entrambi i casi i criteri classici (valutazione della necessità, dell’adeguatezza e della proporzionalità), ma con livelli di rigore specifici laddove l’aspetto essenziale della questione sia la violazione di un diritto fondamentale.

101. Muovendo da tali premesse, passo ad esaminare il ricorso della Commissione.

D.      La restrizione alla libera di circolazione dei capitali

102. La denuncia della Commissione verte essenzialmente sul trattamento che la legge n. LXXVI del 2017 riserva alle organizzazioni della società civile che ricevono finanziamenti esteri. Tale trattamento comporterebbe, per le sue caratteristiche e le sue conseguenze, una violazione della libertà di associazione (articolo 12 della Carta), nonché, collateralmente, una violazione dei diritti alla vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale (rispettivamente articoli 7 e 8 della Carta).

103. Dal momento che il ricorso è formulato in questi termini, la normativa contro la quale è diretto appare idonea, prima facie, a violare l’articolo 63 TFUE. Se le sue disposizioni si traducessero in una restrizione ingiustificata alla circolazione dei capitali, sarebbero incompatibili con tale precetto e potrebbero al contempo ledere i diritti sanciti dalla Carta.

104. Occorrerà quindi chiarire:

–        se tale normativa riguardi un movimento di capitali e, in caso affermativo, a quali condizioni lo assoggetti;

–        qualora si accerti che la normativa condiziona effettivamente un movimento di capitali, se i requisiti imposti si traducano in una violazione dei diritti fondamentali invocati dalla Commissione, nel qual caso costituirebbero una restrizione alla libertà garantita dall’articolo 63 TFUE;

–        se, infine, la restrizione possa essere giustificata in forza del diritto dell’Unione, il che impedirebbe di qualificarla come indebita ed escluderebbe, pertanto, la violazione denunciata dalla Commissione.

1.      Sullesistenza di un movimento di capitali e sul suo condizionamento da parte della legge nazionale

105. La legge n. LXXVI del 2017 impone alle associazioni o fondazioni che ricevono sostegno dall’estero – con alcune eccezioni – l’obbligo di comunicare alle autorità il loro status di «organizzazione che riceve sostegno dall’estero», se l’ammontare degli importi a titolo di sostegno ricevuti raggiunge una determinata soglia.

106. Tali organizzazioni o fondazioni devono inoltre comunicare una serie di dati relativi all’ammontare e alla natura del sostegno ricevuto, nonché all’identità del donante. La dichiarazione, obbligatoria, è iscritta in un registro, nel quale viene indicata la qualità di organizzazione che riceve sostegno dall’estero. Tutti i dati in questione vengono pubblicati in detto registro ufficiale, accessibile gratuitamente. L’organizzazione che riceve sostegno dall’estero deve indicare tale qualità nelle sue homepage e nelle sue pubblicazioni.

107. Neppure il governo ungherese nega che l’«aiuto» disciplinato dalla legge n. LXXVI del 2017 – il cui articolo 1, paragrafo 2, lo definisce come «qualsiasi apporto di denaro o di altri attivi patrimoniali (…) indipendentemente dalla qualificazione giuridica» costituisca un «movimento di capitali».

108. Infatti, questo tipo di operazione può essere incluso senza difficoltà nella categoria dei «movimenti di capitali», come risulta dalla nomenclatura contenuta nell’allegato I della direttiva 88/361/CEE (43), che, secondo la giurisprudenza, mantiene il valore indicativo che le era proprio per la definizione di tale concetto (44).

109. Per effetto della normativa oggetto del ricorso, i movimenti di capitali sotto forma di sostegno a talune associazioni e fondazioni stabilite in Ungheria non sono quindi interamente liberi, bensì soggetti a determinate condizioni, in particolare quelle già illustrate (i beneficiari del sostegno devono dichiararlo alle autorità nazionali, ai fini della sua registrazione e pubblicità) (45).

110. Dette condizioni si applicano in funzione della sede o del domicilio del donante, in quanto il criterio decisivo è che il contributo provenga «direttamente o indirettamente dall’estero», come specificato dall’articolo 1, paragrafo 2, della legge n. LXXVI del 2017.

111. Tuttavia, il requisito della «provenienza estera» riguarda molto più probabilmente i cittadini di altri Stati membri che non i cittadini ungheresi, sebbene questi ultimi possano risiedere fuori dall’Ungheria e, pertanto, essere interessati dalle misure controverse.

112. In tale contesto rammento che, secondo la Corte, si deve considerare indirettamente discriminatoria una normativa interna che, per sua stessa natura, tenda a incidere più sui cittadini di altri Stati membri che su quelli nazionali (46).

113. Gli addebiti mossi dalla Commissione non costituiscono, nel caso di specie, mere «presunzioni», come sostenuto dal governo ungherese. Nel suo ricorso, la Commissione non contesta la compatibilità con il diritto dell’Unione di una semplice prassi amministrativa, bensì quella di una legislazione la cui applicazione può produrre gli effetti illustrati nel ricorso medesimo (47).

114. Oltre a gravare principalmente sugli stranieri, e in particolare sui cittadini di altri Stati membri, i requisiti previsti dalla legge n. LXXVI del 2017 in relazione alle donazioni a determinate associazioni e fondazioni si traducono, a mio avviso, in una restrizione a detti movimenti di capitali.

115. Tali requisiti, ripeto, sono idonei a limitare la libera circolazione dei capitali, dal momento che:

–        possono incidere negativamente sul finanziamento delle associazioni e fondazioni stabilite in Ungheria che ricevono fondi dall’estero. Nella stessa misura, incideranno negativamente sull’esercizio della libertà di associazione garantita dall’articolo 12 della Carta;

–        possono incidere, altrettanto negativamente, sui diritti alla tutela della vita privata e alla protezione dei dati personali (articoli 7 e 8 della Carta) di coloro che forniscono i loro contributi, dall’estero, a tali organizzazioni civili.

116. La restrizione al movimento di capitali non è fine a se stessa, ma si configura, come esporrò nel prosieguo, quale strumento per la violazione di taluni diritti fondamentali. Ne consegue che, sulla linea che ho già anticipato (48), il criterio di controllo deve essere quello caratteristico di tali diritti e non quello tipico delle libertà classiche tutelate dai Trattati. Un criterio, pertanto, dall’intensità e dal rigore specifici e rafforzati.

2.      Sullingerenza nei diritti fondamentali garantiti dagli articoli 7, 8 e 12 della Carta

a)      Libertà di associazione

117. L’articolo 12 della Carta riconosce a chiunque la «libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico».

118. Oltre alla dimensione strettamente individuale, tale libertà presenta una dimensione oggettiva che la trasforma in uno dei pilastri delle società pluralistiche, in quanto il suo esercizio rende possibile la creazione di enti essenziali in un sistema democratico. Fra tali enti rientrano, naturalmente, i partiti politici, ma anche tutti quelli che contribuiscono a plasmare e ad esprimere il pluralismo culturale, religioso, sociale ed economico della società.

119. Gli enti interessati dalla legge n. LXXVI del 2017 («organizzazioni della società civile») appartengono al secondo dei due gruppi sopra menzionati, il che induce a non prendere in considerazione i partiti politici e i sindacati, le cui particolarità non consentono di equipararli alle prime (49).

120. La legge in parola, pur senza impedire la creazione di tali enti o limitare le loro facoltà di autoorganizzazione, incide negativamente sulle loro possibilità di finanziamento, il che equivale ad incidere sulla loro sostenibilità e sopravvivenza, con conseguente pregiudizio alla realizzazione dei fini sociali che perseguono (50).

121. I requisiti di pubblicità imposti per le donazioni ricevute dall’estero possono avere un effetto dissuasivo sui potenziali donanti, con conseguente riduzione dei loro contributi alle associazioni. Per quanto minima sia, tale incidenza può risultare significativa per le finanze delle organizzazioni della società civile, che generalmente si sostengono grazie ai contributi dei loro associati e simpatizzanti (alcune di tali organizzazioni fanno della rinuncia a qualsiasi finanziamento pubblico perfino una questione di principio, al fine di preservare la propria indipendenza).

122. In particolare, le donazioni provenienti dall’estero, a prescindere dalla loro rilevanza economica, rappresentano per i donanti residenti all’estero il modo più diretto, se non l’unico, per partecipare alle attività delle associazioni che sostengono con il loro finanziamento. Rendere difficile per tali persone fornire il loro contributo economico equivale a impedire loro di fatto l’esercizio della libertà di associazione tout court: mediante il sostegno economico all’associazione, esse si uniscono ad altre persone per perseguire collettivamente determinati scopi, che è ciò in cui consiste, in ultima analisi, l’oggetto della libertà di associazione.

123. La Commissione fa riferimento all’effetto stigmatizzante provocato dall’obbligo delle associazioni beneficiarie di donazioni provenienti dall’estero di qualificarsi come «organizzazione che riceve sostegno dall’estero» (51). E, per l’appunto, tale effetto viene ottenuto in quanto la stessa legge n. LXXVI del 2017 sottolinea nel preambolo, molto chiaramente, le potenziali connotazioni negative di siffatte donazioni (52), che potrebbero mettere in pericolo gli interessi politici ed economici del paese. In tal modo si getta, quanto meno, un’aura di sospetto generalizzato sui donanti, sufficiente a dissuadere qualcuno, o molti, dal contribuire al finanziamento delle organizzazioni della società civile.

124. Occorre inoltre sottolineare che, come ammesso dal governo ungherese in udienza, i cittadini dell’Unione hanno un interesse qualificato a partecipare alla vita economica, sociale e culturale di tutti gli Stati membri e, pertanto, a trasformare in realtà l’ideale di «un’unione sempre più stretta». I loro diritti di suffragio attivo e passivo alle elezioni comunali (slegato dalla loro qualità di cittadini dello Stato di residenza) e alle elezioni a Parlamento europeo in una qualsiasi delle sue circoscrizioni nazionali costituiscono il corollario istituzionale di un interesse condiviso nella vita pubblica di tutti gli Stati membri. La libertà di associarsi e di intervenire in tal modo nel dibattito pubblico nelle rispettive società si riduce spesso alla possibilità di contribuire al finanziamento delle associazioni di loro scelta in tali Stati. Ciò rappresenta un ulteriore motivo per il quale siffatta modalità di partecipazione collettiva agli affari civici non può essere limitata né ostacolata.

125. La legge n. LXXVI del 2017 contempla inoltre lo scioglimento forzato delle associazioni e fondazioni che non rispettino gli obblighi di comunicazione e pubblicità delle donazioni ricevute, il che comporta il massimo grado di ingerenza nella loro vita (53). Per quanto la sua applicazione sia graduale e soggetta a decisione giudiziaria, essa rimane comunque un’ingerenza nella libertà garantita dall’articolo 12 della Carta.

b)      Diritti alla vita privata e alla protezione dei dati personali

126. La legge n. LXXVI del 2017 impone agli enti interessati di comunicare al giudice del registro l’ammontare della donazione proveniente dall’estero, nonché il nome, il comune e il paese del donante, sia esso persona fisica o giuridica (54). Il registro in cui vengono iscritti tali dati è liberamente accessibile.

127. Il rispetto del diritto alla vita privata, per quanto attiene al trattamento dei dati di carattere personale, si ricollega ad ogni informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (55).

128. Il regolamento (UE) 2016/679 (56) dispone all’articolo 4, punto 1, che «si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale».

129. Il nome è quindi sufficiente in sé per accertare l’identità, il che consente di respingere l’argomento del governo ungherese secondo cui la mera comunicazione del nome del donante, del suo comune e del suo paese non sarebbe sufficiente per identificarlo.

130. Il governo ungherese tenta di sostenere che tali dati non sono di carattere personale (e pertanto esulerebbero dall’ambito di applicazione dell’articolo 8 della Carta) invocando due sentenze della Corte:

–        la sentenza del 6 novembre 2003, Lindqvist (57), dalla quale esso deduce che una persona non può essere identificata solo attraverso il nome, essendo necessari a tal fine ulteriori dati, quali il recapito telefonico o informazioni relative alla sua situazione lavorativa o ai suoi passatempo (58);

–        la sentenza del 9 novembre 2010, Volker und Markus Schecke e Eifert (59), dalla quale desume che, in mancanza di pubblicità dell’indirizzo del donante, il suo nome, il suo comune e il suo paese non sono sufficienti per identificarlo (60).

131. A mio avviso, tali pronunce della Corte contraddicono semmai la tesi del governo ungherese. Per quanto riguarda la sentenza Lindqvist, in essa è stato affermato che la nozione di «qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile» ricomprende «certamente il nome di una persona accostato al suo recapito telefonico o ad informazioni relative alla sua situazione lavorativa o ai suoi passatempo» (61).

132. L’obbligo imposto dalla legge n. LXXVI del 2017 implica che il nome del donante (che, insisto, è sufficiente in sé per identificarlo) (62) è indissolubilmente legato al dato di una donazione in favore di una determinata associazione. Tale legame rivela di per sé un’affinità con quest’ultima che può contribuire alla definizione del profilo ideologico del donante, nel senso più ampio della nozione (63).

133. La sentenza Volker und Markus Schecke e Eifert ha indicato che la pubblicazione su un sito Internet dei nomi e dei comuni di residenza dei beneficiari di determinati aiuti pubblici, nonché dei relativi importi, «costituisce (…), in ragione del fatto che tali dati divengono accessibili ai terzi, un’ingerenza nella loro vita privata ai sensi dell’art. 7 della Carta» (64). Ciò che vale per gli aiuti ricevuti da una persona deve parimenti valere, a mio avviso, per gli aiuti con i quali tale persona contribuisce al sostentamento di un’associazione.

134. Di conseguenza, la pubblicazione, in un registro accessibile al pubblico, sia dei nomi delle persone fisiche che effettuano donazioni dall’estero a favore di talune associazioni stabilite in Ungheria, sia dell’importo di tali donazioni, comporta un’ingerenza nella vita privata di dette persone, per quanto riguarda il trattamento dei loro dati di carattere personale.

135. Inoltre, dal momento che, come ho appena spiegato, i dati pubblicati (nome e donazione) consentono di elaborare un profilo ideologico dei donanti, questi ultimi possono essere dissuasi o, quanto meno, disincentivati dal contribuire al sostentamento dell’organizzazione civile con la quale desiderano collaborare nell’esercizio della propria libertà di associazione.

136. La pubblicità di tali dati costituisce un’ingerenza non solo nei diritti garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta, ma altresì nella libertà di associazione, in quanto il suo effetto dissuasivo può influire sulla situazione finanziaria delle organizzazioni della società civile e, pertanto, sulla loro capacità di svolgere le proprie attività (65).

3.      Sulla giustificazione delle ingerenze rilevate

137. Le ingerenze che ho appena analizzato possono essere giustificate in forza dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta? Ricordo che, ai sensi di tale disposizione, «[e]ventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

138. Le misure controverse soddisfano, evidentemente, il requisito della previsione per legge. Ritengo inoltre che esse non pregiudichino il contenuto essenziale dei diritti interessati, sebbene certamente siano lesive di tali diritti.

139. Questione diversa è se le ingerenze in questione siano indispensabili per soddisfare un legittimo interesse pubblico e consentano di farlo in maniera proporzionata, una volta esclusa l’esistenza di misure o soluzioni meno restrittive.

i)      Sulla necessità e l’efficacia delle misure controverse

140. Il governo ungherese invoca la trasparenza del finanziamento delle associazioni che ricevono sostegno dall’estero in quanto motivo di interesse pubblico. Esso aggiunge che tale interesse è strettamente legato alla tutela dell’ordine pubblico nonché alla lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

141. Secondo la Commissione, tali obiettivi corrispondono, in linea di principio, alle finalità che giustificano un’ingerenza nei diritti interessati. Da parte mia, aderisco a tale valutazione, che è condivisa anche dalla giurisprudenza della Corte EDU (66).

142. Riconosco inoltre che gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità per definire gli obiettivi di interesse generale che intendono promuovere (67).

143. Orbene, la giurisprudenza della Corte in materia di invocazione dell’ordine pubblico in quanto giustificazione di una restrizione alle libertà previste dai Trattati è applicabile alle limitazioni dei diritti fondamentali. Pertanto, «le esigenze della pubblica sicurezza (…) devono essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ogni Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione europea», e «la pubblica sicurezza può essere invocata solamente in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività» (68).

144. In base a tale premessa, la clausola relativa all’ordine pubblico potrebbe legittimare misure imposte alle associazioni e fondazioni sospettate di violarlo (vale a dire, che lo minaccino in modo reale e grave), ma non una disciplina generalizzata che imponga, ex ante, ad ognuna di esse, a prescindere dal suo oggetto e dalle sua attività, gli obblighi di pubblicità delle donazioni provenienti dall’estero (69).

145. Quanto alla lotta al riciclaggio e, segnatamente, al finanziamento del terrorismo, concordo con il governo ungherese sul fatto che esse potrebbero giustificare misure di trasparenza e di controllo del finanziamento di qualsiasi persona, fisica o giuridica (70). In particolare, l’obbligo imposto alle persone giuridiche stabilite in uno Stato membro di comunicare alle autorità le loro fonti di finanziamento obiettivamente sospette sembra adeguato, in linea di principio, al fine di prevenire e reprimere il riciclaggio e il finanziamento di attività terroristiche (71).

146. Ritengo che nulla di ciò possa essere ragionevolmente messo in dubbio. Tuttavia, il governo ungherese non è stato in grado, in udienza, di spiegare in modo convincente perché non sarebbero sufficienti le disposizioni legislative comuni in materia di lotta al riciclaggio (72).

147. Quand’anche fosse dimostrato (quod non) il nesso tra le misure controverse e la lotta al riciclaggio, l’obbligo di rendere pubbliche le informazioni, in maniera generalizzata e indifferenziata, ancor prima che siano state esaminate dalle autorità preposte a verificare se sussistano indizi di riciclaggio, eccederebbe, a mio avviso, quanto è strettamente necessario e non potrebbe legittimare l’ingerenza.

148. Ciò posto, occorre chiarire se le misure del legislatore ungherese siano adeguate ad un altro degli obiettivi invocati, vale a dire la trasparenza del finanziamento delle organizzazioni della società civile. Per i motivi che esporrò nel prosieguo, ritengo di no.

149. Vengono in risalto tre elementi di tali misure:

–        in primo luogo, esse non riguardano tutte le associazioni e fondazioni stabilite in Ungheria. Non interessano le società commerciali, sebbene anche alcune di esse (ad esempio, quelle proprietarie di media) «svolgano un ruolo determinante nella formazione dell’opinione pubblica» (73);

–        in secondo luogo, non è stato dimostrato perché le informazioni raccolte sarebbero effettivamente utili per conseguire i fini che le giustificano;

–        in terzo luogo, oltre ad essere insufficienti per quanto riguarda la cerchia delle entità tenute a fornire le informazioni e sotto il profilo della funzionalità, le misure di cui trattasi risultano sproporzionate per le loro conseguenze.

150. Per quel che concerne le organizzazioni interessate, la legge n. LXXVI del 2017 esclude quelle finanziate dall’interno del paese, incidendo unicamente su quelle che ricevono sostegno finanziario dall’estero. Inoltre, quanto a queste ultime, essa esenta quelle che «non sono considerate organizzazioni della società civile» (74), quelle sportive, quelle che svolgono attività religiose e quelle legate a minoranze nazionali.

151. Concordo con la Commissione sul fatto che non si comprende per quale motivo la legge concentri l’attenzione sui contributi provenienti dall’estero, se non per una presunzione generale (in realtà, un sospetto) di frode, di cui sarebbero protagonisti i soggetti residenti all’estero o in altri Stati membri, il che risulta incompatibile con il diritto dell’Unione (75).

152. L’argomento sollevato dell’Ungheria relativo alla maggiore difficoltà di controllo del sostegno estero mal si concilia con il fatto, parimenti evidenziato dalla Commissione, che il precedente quadro normativo prevedeva già l’obbligo per le associazioni di fornire informazioni dettagliate sulle loro fonti di finanziamento, comprese quelle estere (76). Ad ogni modo, tale difficoltà avrebbe potuto essere affrontata, come si spiegherà, con misure meno restrittive.

153. Se si tratta effettivamente di controllare i finanziamenti provenienti dall’estero, non appare molto coerente esentare le associazioni sportive, quelle religiose e quelle legate alle minoranze nazionali: ognuna di esse a sua volta potrebbe «essere sfruttat[a] [dall’estero] per promuovere – mediante l’influenza sociale di tali organizzazioni – i propri interessi anziché gli obiettivi comunitari della vita sociale e politica dell’Ungheria», come indicato nel preambolo della legge n. LXXVI del 2017.

154. Nessuna delle caratteristiche di tali associazioni esenti riguarda particolarità del loro finanziamento tali da renderle estranee ai rischi che può comportare, per qualsiasi delle associazioni soggette alle misure controverse, la percezione di fondi dall’estero (77).

155. Peraltro, la Commissione nutre seri dubbi circa l’utilità delle informazioni raccolte: nulla indica se esse siano messe a disposizione dei responsabili della lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo (78). Da parte mia, posso solo condividere tali dubbi, che il governo ungherese non ha dissipato in udienza.

156. In siffatte circostanze, il richiamo alla trasparenza associativa non risulta molto coerente con il regime legale istituito. Soprattutto, esso non giustifica il fatto che vengano resi pubblici i dati personali di coloro che contribuiscono con le proprie donazioni al finanziamento delle entità di loro interesse.

157. Oltre che insufficienti e di dubbia efficacia, le misure controverse risultano sproporzionate.

ii)    Sul carattere proporzionato delle misure

158. Ritengo sproporzionato, in primo luogo, che il limite oltre il quale scatta l’obbligo di dichiarare gli importi a titolo di sostegno ricevuti dall’estero sia stato fissato in HUF 500 000. Si tratta di una soglia troppo bassa rispetto a un obbligo che, per le ragioni sopra esposte, compromette gravemente l’esercizio della libertà di associazione nonché i diritti alla vita privata e alla protezione dei dati personali, posto che le informazioni fornite devono essere pubblicate.

159. In secondo luogo, è altrettanto sproporzionata la parità di trattamento applicata a tutti i contributi esteri, compresi quelli provenienti dagli altri Stati membri, in quanto, ribadisco (79), i cittadini dell’Unione possono avere interesse a partecipare alla vita pubblica di qualsiasi Stato membro.

160. In terzo luogo, l’obbligo di indicare lo status di «organizzazione che riceve sostegno dall’estero» sulla propria homepage e nelle proprie pubblicazioni costituisce una condizione, a mio avviso, parimenti eccessiva. E ciò non tanto per l’onere materiale che può comportare l’inserimento di tale informazione, quanto per l’effetto stigmatizzante che l’accompagna, al quale ho fatto riferimento in precedenza.

161. In quarto luogo, ritengo sproporzionato che l’inosservanza degli obblighi controversi possa portare, in definitiva, allo scioglimento dell’associazione che ha commesso la violazione. Certamente, si tratta di una soluzione estrema che, secondo il governo ungherese, si inquadra in una reazione per fasi alla violazione della legge (80). Tali fasi sono quella rappresentate da una prima inadempienza (seguita da un’intimazione del pubblico ministero), dall’eventuale inottemperanza a tale intimazione (con possibile irrogazione di un’ammenda) e dall’inosservanza di un’ulteriore intimazione, che conduce ad altre sanzioni, tra cui lo scioglimento.

162. Il governo ungherese sostiene che l’inottemperanza consapevole alle successive intimazioni non costituisce una «violazione minore di natura amministrativa» e giustifica lo scioglimento (81). Da parte mia ritengo, invece, che una sanzione così drastica richieda molto più del rifiuto, anche reiterato, di fornire informazioni come quelle richieste dalla legge n. LXXVI del 2017 (82).

iii) Sulle possibili misure restrittive più proporzionate

163. La natura e l’entità delle misure controverse non offrono molto margine per proporre altre alternative dello stesso tenore, vale a dire per contemplare misure incentrate sulle informazioni che si intende rendere pubbliche.

164. Tali alternative implicherebbero un approccio diverso al conseguimento degli obiettivi della legge n. LXXVI del 2017. Si dovrebbe ricorrere piuttosto a una valutazione, rigorosa e particolareggiata, dei rischi di strumentalizzazione delle associazioni, che consentisse di individuare quelle incorse in una situazione di pericolo per tali obiettivi (83).

165. Se ciò di cui si tratta è controllare le fonti di finanziamento irregolare, la Commissione menziona, ad esempio, l’attuazione di obblighi di notifica e di vigilanza in relazione alle operazioni sospette provenienti da paesi ad alto rischio. A mio avviso, è su questo terreno che si possono attendere i migliori risultati da un’azione efficace dei poteri pubblici.

166. Mi sembra invece che non si possa sostituire con una misura alternativa l’obbligo di registrare e rendere pubblici i nomi delle persone fisiche che effettuano donazioni alle associazioni di loro scelta, data la sua natura radicalmente invasiva della sfera della vita privata garantita dalla Carta.

167. Quanto all’obbligo per le associazioni di indicare sulle loro homepage e nelle loro pubblicazioni il proprio status di beneficiarie di fondi esteri, ritengo che esso sia altrettanto inappropriato, in quanto può costituire una remora all’esercizio della libertà di associazione (84).

168. Infine, escludendo dalla dicitura gli Stati membri e limitandola ai soli paesi terzi si attenuerebbe l’ingerenza che essa rappresenta nel diritto dei cittadini dell’Unione a partecipare, attraverso le associazioni, alla vita pubblica di tutti gli Stati membri. Tuttavia, tale restrizione geografica non escluderebbe completamente la connotazione stigmatizzante che continuerebbe ad arrecare pregiudizio alle associazioni interessate.

169. Dal momento che gli obblighi di registrazione e di pubblicità non sono sostituibili, di per sé, con altri di natura equivalente, il regime sanzionatorio istituito è incompatibile con la Carta. Pertanto, l’esclusione della sanzione dello scioglimento non sarebbe sufficiente a depurare un regime che, di per sé, in quanto consente di sanzionare il mancato rispetto di condizioni incompatibili con la Carta, non può essere sanato.

170. In definitiva, ritengo che la legge n. LXXVI del 2017 limiti indebitamente la libera circolazione dei capitali, garantita dall’articolo 63 TFUE, in quanto contiene disposizioni che comportano un’ingerenza ingiustificata nei diritti fondamentali tutelati dagli articoli 7, 8 e 12 della Carta.

V.      Sulle spese

171. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Entrambe le condizioni ricorrono nel presente procedimento.

VI.    Conclusione

172. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo che la Corte, accogliendo il ricorso della Commissione, voglia:

–        dichiarare che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE, per violazione degli articoli 7, 8 e 12 della Carta, in quanto la a külföldről támogatott szervezetek átláságágáról szóló 2017. évi LXXVI. törvény (legge n. LXXVI del 2017 sulla trasparenza delle organizzazioni che ricevono sostegno dall’estero) introduce restrizioni ingiustificate in relazione alle donazioni provenienti dall’estero in favore di talune associazioni e fondazioni stabilite in Ungheria;

–        condannare l’Ungheria alle spese.


1      Lingua originale: lo spagnolo.


2      A külföldről támogatott szervezetek átláthatóságáról szóló 2017. évi LXXVI. törvény (legge n. LXXVI del 2017 sulla trasparenza delle organizzazioni che ricevono sostegno dall’estero; in prosieguo: la «legge n. LXXVI del 2017»).


3      7,2 milioni di fiorini (HUF) (circa EUR 24 000).


4      Circa EUR 1 500.


5      Tale disposizione prevede quanto segue: «Se dalla domanda di modifica risulta che l’organizzazione o, nel caso di una fondazione, il fondatore o i fondatori non hanno presentato la domanda di modifica entro il termine impartito, l’autorità giudiziaria può irrogare una sanzione pecuniaria compresa tra HUF 10 000 e HUF 900 000 all’organizzazione, al fondatore della fondazione o, in caso di pluralità di fondatori, ai fondatori in solido».


6      Ai sensi dell’articolo 3 della legge sulle organizzazioni della società civile, il diritto di associazione non può violare l’articolo C), paragrafo 2, della legge fondamentale né consistere in un atto illecito o in un incitamento a commettere un atto illecito, né comportare la violazione dei diritti e delle libertà altrui. Secondo tale disposizione, il diritto di associazione non comprende la creazione di organizzazioni armate né la creazione di organizzazioni finalizzate all’esercizio di una funzione pubblica rientrante per legge tra le competenze esclusive di un organo dello Stato.


7      Nell’ambito delle «norme comuni applicabili al controllo di legalità» definite da detta legge, l’articolo 71/G della stessa prevede che il giudice competente può adottare i seguenti provvedimenti, a seconda delle circostanze: a) irrogare una sanzione pecuniaria compresa tra HUF 10 000 e HUF 900 000 all’organizzazione o al suo rappresentante; b) annullare la decisione illegittima dell’organizzazione e, se del caso, ordinare che sia assunta una nuova decisione entro un termine adeguato; c) qualora risulti probabile che il corretto funzionamento dell’organizzazione possa essere ripristinato convocando il suo organo principale, convocare l’organo decisionale dell’organizzazione o conferire tale incarico a una persona o ad un’organizzazione idonee – a spese dell’organizzazione –; d) designare un amministratore per un periodo massimo di 90 giorni qualora il corretto funzionamento dell’organizzazione non possa essere ripristinato diversamente e qualora, visto il risultato, ciò appaia particolarmente giustificato in considerazione del funzionamento dell’organizzazione o di altre circostanze; e) sciogliere l’organizzazione.


8      Il governo ungherese respinge tale argomento nella controreplica, sostenendo che esso equivale ad ignorare la ratio del procedimento precontenzioso, il cui scopo è dare allo Stato membro la possibilità di adempiere l’obbligo che gli è stato imposto o di far valere al riguardo i propri mezzi di difesa.


9      Sentenza del 2 febbraio 1988, Commissione/Belgio (293/85, EU:C:1988:40; in prosieguo: la «sentenza Commissione/Belgio», punto 13).


10      Ibidem, punto 14.


11      Punti 9 e 18 del controricorso del governo ungherese.


12      Così, nella sentenza del 31 gennaio 1984, Commissione/Irlanda (74/82, EU:C:1984:34, punti 12 e 13), la Corte ha concluso che, sebbene fosse «irragionevole assegnare a uno Stato membro un termine di cinque giorni per la modifica di una normativa che vige[va] da oltre quarant’anni e nei confronti della quale, per di più, la Commissione non [aveva] intrapreso alcuna azione nel periodo trascorso dall’adesione dello (…) Stato membro», e senza che risultassero motivi di urgenza, ciò non era sufficiente a «comportare l’irricevibilità del ricorso» (il corsivo è mio).


13      Sentenza del 13 dicembre 2001, Commissione/Francia (C‑1/00, EU:C:2001:687, punto 65).


14      Sentenza Commissione/Belgio, punto 14.


15      Punto 16 della replica della Commissione.


16      Sentenza del 18 luglio 2007, Commissione/Germania (C‑490/04, EU:C:2007:430, punto 26).


17      La diffida, del 14 luglio 2017, è stata contestata dal governo ungherese con lettere del 14 agosto e del 7 settembre 2017. La risposta al parere motivato, del 5 ottobre 2017, è stata trasmessa il 5 dicembre 2017.


18      Sentenza del 19 settembre 2017, Commissione/Irlanda (Tassa di immatricolazione) (C‑552/15, EU:C:2017:698, punto 34).


19      Punto 25 del controricorso del governo ungherese.


20      Punto 11 della replica della Commissione.


21      Punto 90 del ricorso.


22      V. infra, paragrafi da 93 a 113.


23      C‑235/17, EU:C:2018:971; in prosieguo: le «conclusioni Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli)».


24      Conclusioni Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), paragrafo 64.


25      Ibidem, paragrafo 66.


26      Ibidem, paragrafo 76. Il corsivo è nell’originale. Si tratta di una posizione già sostenuta nelle conclusioni relative alle cause riunite SEGRO e Horváth (C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2017:410, paragrafo 121), in linea con la dottrina elaborata nella sentenza del 18 giugno 1991, ERT (C‑260/89, EU:C:1991:254).


27      Sentenza del 6 marzo 2018 (C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157; in prosieguo: la «sentenza SEGRO e Horváth», punti 127 e 128).


28      Conclusioni Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), paragrafo 117. Il corsivo è nell’originale. In quel caso, l’avvocato generale Saugmandsgaard Øe ha inoltre rilevato che «le analisi da effettuare per dimostrare tanto un’ingerenza nei diritti garantiti all’articolo 63 TFUE e all’articolo 17 della Carta quanto l’impossibilità di giustificare tale ingerenza si basano sugli stessi elementi, i quali portano ad un risultato in sostanza identico» (ibidem, paragrafo 120; il corsivo è nell’originale). Così, «un esame distinto della normativa controversa alla luce dell’articolo 17 della Carta oltre all’esame effettuato in via preliminare a norma dell’articolo 63 TFUE» comporterebbe un’evidente «artificiosità» (ibidem, paragrafo 121).


29      Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli) [C‑235/17, EU:C:2019:432; in prosieguo: la «sentenza Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli)].


30      Sentenza Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), punto 58. La restrizione derivava dal fatto che gli interessati erano privati sia della possibilità di continuare a godere del loro diritto di usufrutto su terreni agricoli, sia della possibilità di alienarlo.


31      Ibidem, punti 59 e 60.


32      Ibidem, punto 66.


33      Ibidem, punto 86.


34      Ibidem, punti da 90 a 101.


35      Ibidem, punti da 102 a 109.


36      Ibidem, punti da 110 a 122.


37      Ibidem, punti da 123 a 129.


38      Rinvio alla citazione riportata alla nota 28 delle presenti conclusioni. Invero, la constatazione delle rispettive violazioni e la loro eventuale giustificazione corrispondono a un esame giuridico sostanzialmente equivalente. Infatti, nella sentenza Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), punto 124, la Corte conferma l’assenza di cause di pubblico interesse tali da giustificare la violazione dell’articolo 17 della Carta, richiamandosi ai motivi per i quali ne aveva precedentemente escluso la sussistenza in relazione alla violazione dell’articolo 63 TFUE.


39      Quando uno Stato membro invoca i Trattati «per giustificare una normativa idonea a frapporre ostacolo all’esercizio [di una libertà fondamentale], questa giustificazione, prevista dal diritto [dell’Unione], deve essere interpretata alla luce dei principi generali del diritto e, in particolare, dei diritti fondamentali», di modo che «potrà fruire delle eccezioni previste [dai Trattati] solo se è conforme ai diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto» (sentenza del 18 giugno 1991, ERT, C‑260/89, EU:C:1991:254, punto 43).


40      Sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 19).


41      Sentenza Åkerberg Fransson, punto 19.


42      Difficilmente una restrizione alla libera circolazione dei capitali sarà neutra sotto il profilo dei diritti fondamentali. Ad esempio, il diritto di non subire discriminazioni sarà fatalmente compromesso da una misura restrittiva mirata, così come lo saranno, in generale, tutti i diritti il cui esercizio possa essere agevolato con i capitali di cui viene limitata la circolazione. Si pone in contrasto con tale incidenza strutturale o di principio quella che caratterizza le restrizioni specificamente strumentalizzate a pregiudizio di un diritto, per le quali tale pregiudizio non costituisce un mero danno collaterale, bensì la sua principale conseguenza.


43      Direttiva del Consiglio, del 24 giugno 1988, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato [articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam] (GU 1988, L 178, pag. 5).


44      In assenza di definizione, nell’ambito dei Trattati, della nozione di «movimenti di capitali», la Corte ha riconosciuto valore indicativo alla nomenclatura allegata alla direttiva 88/361, fermo restando che, conformemente alla sua introduzione, l’elenco ivi contenuto non è esaustivo. V. sentenza 27 gennaio 2009, Persche, (C‑318/07, EU:C:2009:33, punto 24). Orbene, la rubrica XI di detto allegato, sotto il titolo «Movimenti di capitali a carattere personale», menziona alla lettera B le «Donazioni e dotazioni».


45      Il governo ungherese ha fatto riferimento in udienza all’articolo 65 TFUE, senza tenere conto del fatto che il suo paragrafo 1, lettera b), consente di «stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», ma non di pubblicità nei termini della normativa controversa.


46      Sentenza dell’11 settembre 2008, Petersen (C‑228/07, EU:C:2008:494, punti 54 e 55).


47      Sentenza del 19 dicembre 2012, Commissione/Belgio (C‑577/10, EU:C:2012:814, punto 35).


48      Paragrafo 113 supra.


49      I partiti politici concorrono alla formazione e alla manifestazione della volontà popolare, in quanto strumento per plasmare la volontà dello Stato. Senza essere organi dello Stato, essi contribuiscono alla selezione dei titolari del potere pubblico e, in tal senso, sono entità particolarmente importanti per la stabilità dello Stato stesso. Tale caratteristica giustifica il fatto che taluni sistemi costituzionali stabiliscano condizioni e garanzie che non sono applicabili (né sarebbero giustificate) in relazione ad altre associazioni. Queste ultime, pur partecipando alla vita pubblica, non mirano tanto ad occupare il potere, quanto a svolgere liberamente le loro attività al riparo dal potere pubblico o, tutt’al più, ad influire sul suo esercizio. Per tale motivo, l’articolo 12 della Carta menziona separatamente le associazioni «in campo politico, sindacale e civico». A termini del preambolo della legge n. LXXVI del 2017, le associazioni della società civile contribuiscono «al controllo democratico e al dibattito pubblico sugli affari pubblici», ma non hanno la finalità di occupare il potere. Altrettanto può dirsi per i sindacati, la cui azione nell’ambito dei rapporti di lavoro li rende meritevoli di un regime normativo particolare.


50      Secondo la Corte EDU, l’impatto di talune misure delle pubbliche autorità sulla capacità finanziaria delle associazioni di svolgere le loro attività può comportare un’ingerenza nell’esercizio della libertà di associazione garantita dall’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). V. Corte EDU, sentenza del 7 giugno 2007, Parti Nationaliste Basque – Organisation Régionale d’Iparralde c. Francia (CE:ECHR:2007:0607JUD007125101, §§ 37 e 38).


51      Ciò è quanto ritiene anche la Commissione di Venezia nel suo parere sul progetto di legge [parere 889/2017, del 20 giugno 2017 riguardante il progetto di legge relativo alla trasparenza delle organizzazioni che ricevono sostegno dall’estero [CDL‑AD(2017)015; in prosieguo: il «parere della Commissione di Venezia», punti da 54 a 56]. Nonostante il carattere relativamente neutro di tale qualificazione, la Commissione di Venezia ne rileva il carattere stigmatizzante nel contesto ungherese, caratterizzato da chiare posizioni politiche contro le associazioni che ricevono fondi dall’estero (ibidem, punto 65).


52      «(…) [I]l sostegno fornito da fonti estere sconosciute alle organizzazioni costituite in virtù della libertà di associazione può essere sfruttato da gruppi di interesse stranieri per promuovere – mediante l’influenza sociale di tali organizzazioni – i propri interessi anziché gli obiettivi comunitari della vita sociale e politica dell’Ungheria e (…) può mettere a rischio gli interessi politici ed economici del paese, nonché il funzionamento senza ingerenze delle istituzioni legali».


53      Corte EDU, sentenza dell’11 ottobre 2011, Associazione Rhino e a. c. Svizzera (CE:ECHR:2011:1011JUD004884807, § 54).


54      Il governo ungherese sostiene che la quasi totalità dei donanti sono persone giuridiche, il che escluderebbe ogni possibile ingerenza in diritti di cui sono titolari le persone fisiche. Concordo con la Commissione sul fatto che, al di là dell’aspetto pratico, l’obbligo di cui trattasi non distingue tra persone giuridiche e persone fisiche: anche queste ultime sono chiaramente soggette a tale obbligo.


55      Parere 1/15 (Accordo PNR UE – Canada), del 26 luglio 2017, punto 122).


56      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (in prosieguo: l’«RGPD») (GU 2016, L 119, pag. 1). Il corsivo è mio.


57      C‑101/01, EU:C:2003:596; in prosieguo: la «sentenza Lindqvist».


58      Punto 155 del controricorso del governo ungherese.


59      C‑92/09 e C‑93/09, EU:C:2010:66; in prosieguo: la «sentenza Volker und Markus Schecke e Eifert».


60      Punto 154 del controricorso del governo ungherese.


61      Sentenza Lindqvist, punto 24.


62      Per definizione, il nome identifica la persona, anche se, come sostenuto dal governo ungherese al punto 156 del controricorso, può accadere che molte persone condividano il medesimo nome in uno stesso comune.


63      Ai sensi dell’articolo 4, punto 4, dell’RGPD, per «profilazione» si intende «qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica».


64      Sentenza Volker und Markus Schecke e Eifert, punto 58, che richiama la sentenza del 20 maggio 2003, Österreichischer Rundfunk e a. (C‑465/00, C‑138/01 e C‑139/01, EU:C:2003:294), al cui punto 74 si afferma che la comunicazione «di dati nominativi relativi alle retribuzioni corrisposte al (…) personale (…) arreca pregiudizio al diritto al rispetto della vita privata degli interessati (…) e presenta il carattere di un’ingerenza ai sensi dell’art. 8 della CEDU».


65      V. supra, paragrafi 140 e 141.


66      Corte EDU, sentenza del 17 febbraio 2004, Gorzelik e a. c. Polonia (CE:ECHR:2004:0217JUD004415898, §§ 94 e 95).


67      Sentenza del 16 giugno 2011, Commissione/Austria (C‑10/10, EU:C:2011:399, punto 32).


68      Sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Portogallo (C‑171/08, EU:C:2010:412, punto 73).


69      Il governo ungherese ha inoltre invocato la tutela della sicurezza pubblica in senso stretto e, in particolare, la necessità di eliminare l’influenza della criminalità organizzata su alcune organizzazioni umanitarie i cui scopi possono coincidere con gli interessi delle reti internazionali della tratta di esseri umani (punti 84 e 85 del controricorso del governo ungherese). Anche in questo caso, detto interesse potrebbe giustificare l’adozione di misure specifiche nei confronti di quei determinati enti, ma non l’assunzione di misure di portata generale, come quelle controverse, nei confronti di tutte le organizzazioni della società civile.


70      Secondo la Commissione (punti da 62 a 64 del ricorso), l’Ungheria non avrebbe dimostrato l’esistenza di un rischio certo in tal senso. Quand’anche lo avesse fatto, detto rischio può essere considerato comune a tutti gli Stati membri. Le raccomandazioni del Groupe d’Action Financière (GAFI) in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo individuano le organizzazioni senza scopo di lucro quali possibili strumenti per commettere siffatte attività illecite [GAFI (2012‑2017), Recommandations du GAFI – Normes internationales sur la lutte contre le blanchiment de capitaux et le financement du terrorisme et de la proliferation, mise à jour novembre 2017 (in prosieguo: le «raccomandazioni GAFI», punto 8). Questione diversa è se l’eventuale insufficienza delle valutazioni relative ai rischi cui si intende far fronte legittimi qualsiasi provvedimento adottato dal legislatore nazionale, nell’ottica della sua necessità, adeguatezza ed efficacia.


71      Ciò che non appare legittimo è qualificare, implicitamente, come sospetta qualsiasi donazione proveniente da qualunque Stato membro o da un paese terzo.


72      La Commissione fa riferimento, in tal senso, alla possibilità che gli Stati membri estendano alle organizzazioni della società civile l’ambito di applicazione della direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione (GU 2015, L 141, pag. 73). Tale normativa si basa su una valutazione rigorosa dei rischi contemplati.


73      A tale elemento si riferisce il preambolo della legge n. LXXVI per caratterizzare le organizzazioni della società civile.


74      Così recita l’articolo 1, paragrafo 4, lettera a), della legge n. LXXVI del 2017. Per sapere quali organizzazioni «non sono considerate organizzazioni della società civile», occorre fare riferimento, come indicato dal governo ungherese in sede di udienza, alla legge n. CLXXV del 2011, sul diritto di associazione, lo status di associazione senza scopo di lucro e il finanziamento delle organizzazioni della società civile. Dall’articolo 2, paragrafo 6, di detta legge risulta che essa considera come «organizzazioni non governative» le associazioni registrate in Ungheria, ad esclusione dei partiti, delle fondazioni e, a determinati fini, delle mutue e dei sindacati. Mi sembra che la definizione non sia particolarmente utile per delimitare con precisione gli enti interessati dalla legge n. LXXVI del 2017. Tale indeterminatezza dell’ambito di applicazione ratione personae si pone in contrasto con l’obiettività richiesta ad una normativa che incide in modo così diretto sull’esercizio di vari diritti fondamentali.


75      Sentenza del 6 ottobre 2009, Commissione/Spagna (C‑153/08, EU:C:2009:618, punto 39).


76      Punti da 75 a 77 del ricorso della Commissione e punti da 74 a 76 della sua replica.


77      È questo anche il parere del governo svedese (punto 39 della sua memoria di intervento).


78      Punto 66 del ricorso della Commissione.


79      V. supra, paragrafo 144.


80      Punto 122 del controricorso del governo ungherese.


81      Ibidem.


82      Occorre sottolineare che, secondo la Corte EDU, lo scioglimento è una misura che può essere adottata solo nei «casi più gravi». Corte EDU, sentenza del 13 febbraio 2003, Refah Partisi (Partito del Benessere) e a. c. Turchia (CE:ECHR:2003:0213JUD004134098, § 100).


83      In tal senso depongono le raccomandazioni GAFI (punto 8). In assenza di tale valutazione, la legislazione controversa confonde in unico insieme tutte le organizzazioni della società civile (con la sola eccezione di tre tipi di enti che ricevono un trattamento diverso privo di giustificazione, per le suesposte ragioni, nell’ottica della finalità della medesima legislazione).


84      Ciò è quanto affermato anche nel parere della Commissione di Venezia, punto 67, quarto trattino.