Language of document : ECLI:EU:C:2020:355

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 7 maggio 2020(1)

Causa C132/19 P

Groupe Canal +

contro

Commissione europea

«Impugnazione – Concorrenza – Intesa – Distribuzione televisiva – Esclusività territoriale – Regolamento n. 1/2003 – Articolo 9 – Decisione che rende vincolanti gli impegni – Sviamento di potere – Valutazione preliminare – Contesto giuridico ed economico – Proporzionalità – Obbligo per la Commissione di tener conto di considerazioni relative all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE – Diritti contrattuali di terzi – Tutela»






I.      Introduzione

1.        L’odierno giudizio trae origine dall’impugnazione di una decisione della Commissione europea nella quale sono stati resi vincolanti degli impegni assunti da una multinazionale produttrice di contenuti audiovisivi per rispondere alle preoccupazioni concorrenziali esposte dalla Commissione nell’avvio di un procedimento istruttorio.

2.        Tali preoccupazioni avevano ad oggetto una pretesa intesa verticale finalizzata alla compartimentazione su base nazionale del mercato interno attraverso clausole contrattuali che garantivano alla multinazionale e a un broadcaster nel mercato di UK e Irlanda una licenza di esclusiva territoriale assoluta.

3.        La decisione della Commissione di accettare e rendere vincolanti gli impegni proposti è stata impugnata da un broadcaster francese, terzo rispetto al procedimento nel quale è intervenuto solo in un secondo momento, che si è visto notificare dalla multinazionale i suddetti impegni al fine di comunicare di non avere più intenzione di pretendere il rispetto delle clausole contrattuali che gli conferivano un’esclusiva territoriale assoluta sul mercato francese.

4.        Tra i diversi motivi di appello, le questioni giuridiche essenziali, contenute nel terzo e quarto motivo di appello, su cui concentrerò le mie conclusioni, come richiesto dalla Corte, sono tre: 1) la necessità di inserire nel contesto giuridico ed economico la condotta oggetto delle preoccupazioni concorrenziali; 2) la questione se la Commissione, nell’adottare una decisione ai sensi dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, debba tener conto di considerazioni relative all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE; 3) la questione relativa al rispetto da parte della Commissione del principio di proporzionalità nel rendere vincolanti gli impegni proposti dall’impresa, con particolare riferimento agli effetti nei confronti di terzi di una decisione adottata ai sensi dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, in particolare quando gli impegni dell’impresa destinataria di tale decisione, poi resi vincolanti dalla Commissione, consistono in una dichiarazione unilaterale di non rispettare più alcune clausole di un accordo tra tale impresa e un’altra che, non essendo stata oggetto di indagine, non ha proposto né condiviso l’offerta di tali impegni.

II.    Contesto normativo

5.        Il tredicesimo considerando del regolamento (CE) del Consiglio, del 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato [ora articoli 101 e 102] (2), dispone quanto segue:

«Qualora, nel corso di un procedimento che potrebbe portare a vietare un accordo o pratica concordata, le imprese propongano alla Commissione degli impegni tali da rispondere alle sue preoccupazioni, la Commissione, mediante decisione, dovrebbe poter rendere detti impegni obbligatori per le imprese interessate. Le decisioni concernenti gli impegni dovrebbero accertare che l’intervento della Commissione non è più giustificato, senza giungere alla conclusione dell’eventuale sussistere o perdurare di un’infrazione. Le decisioni concernenti gli impegni non pregiudicano la facoltà delle autorità garanti della concorrenza e delle giurisdizioni degli Stati membri di procedere a detto accertamento e di prendere una decisione […]».

6.        Il ventiduesimo considerando del regolamento (CE) del Consiglio del 16 dicembre 2002, n. 1/2003 dispone quanto segue:

«Per assicurare il rispetto dei principi della certezza del diritto e dell’applicazione uniforme delle regole di concorrenza comunitarie in un sistema di competenze parallele devono essere evitati i conflitti fra decisioni. Occorre pertanto precisare, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, gli effetti delle decisioni e dei procedimenti della Commissione sulle giurisdizioni e sulle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Le decisioni d’impegno adottate dalla Commissione lasciano impregiudicato il potere delle giurisdizioni e delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri di applicare gli articoli 81 e 82 del trattato».

7.        Inoltre, l’articolo 9 del regolamento n. 1/2003 stabilisce che:

«1.      Qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione che l’intervento della Commissione non è più giustificato.

[…]».

III. Fatti, procedimento e sentenza impugnata

A.      Il contesto della controversia

8.        In data 13 gennaio 2014 la Commissione ha avviato un’inchiesta su possibili restrizioni riguardanti la fornitura di servizi televisivi a pagamento nell’ambito degli accordi di licenza tra sei studi statunitensi di produzione cinematografica e le principali emittenti europee di pay‑TV.

9.        Nell’ambito della predetta indagine, il 23 luglio 2015 la Commissione ha inviato una comunicazione degli addebiti alla Paramount Pictures International Ltd, con sede a Londra (Regno Unito), e alla Viacom Inc., con sede a New York (Stati Uniti), società madre della prima (in prosieguo, congiuntamente: «Paramount»).

10.      In tale comunicazione, la Commissione ha esposto la propria conclusione preliminare sull’incompatibilità di alcune clausole inserite negli accordi di licenza che la Paramount aveva concluso con Sky UK Ltd e Sky plc (in prosieguo, congiuntamente: «Sky») con l’articolo 101 TFUE e con l’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (in prosieguo: «SEE»).

11.      Nel dettaglio, la Commissione ha concentrato la propria indagine su due clausole connesse, contenute all’interno degli accordi di licenza conclusi con Sky.

12.      Lo scopo della prima clausola era quello di proibire o limitare la capacità di Sky di rispondere positivamente a richieste non sollecitate di acquisto di servizi di trasmissione televisiva da parte di consumatori residenti nel SEE, ma al di fuori del Regno Unito e dell’Irlanda. La seconda clausola imponeva, invece, alla Paramount, nell’ambito degli accordi che essa concludeva con le emittenti stabilite nel SEE, ma al di fuori del Regno Unito, di vietare o limitare la possibilità di queste ultime di rispondere positivamente alle richieste non sollecitate di acquisto di servizi di trasmissione televisiva da parte di consumatori residenti nel Regno Unito o in Irlanda.

13.      Con decisione del 24 novembre 2015, Groupe Canal + (in prosieguo: «GCP») è stato ammesso a partecipare al procedimento in qualità di terzo interessato, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004 (3).

14.      Con lettera del 4 dicembre 2015, intitolata «Informazioni sulla natura e l’oggetto del procedimento ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 773/2004», la Commissione ha comunicato, tra gli altri, a GCP, la propria valutazione giuridica sull’applicazione dell’articolo 101 TFUE ai fatti di cui alla presente causa, seguita da una conclusione preliminare in merito. Secondo tale conclusione preliminare, la Commissione aveva l’intenzione di adottare una decisione destinata a Sky e a tutte le case di produzione cinematografica oggetto della sua inchiesta con la quale essa constatava che esse avevano violato l’articolo 101 TFUE e l’articolo 53 dell’accordo SEE, infliggeva loro diverse ammende e ordinava loro di porre fine all’infrazione e astenersi da qualsiasi misura idonea ad avere un oggetto o un effetto analogo.

15.      A seguito dell’apertura del procedimento e delle preliminari valutazioni della Commissione, in data 15 aprile 2016 Paramount ha proposto a quest’ultima degli impegni per rispondere alle preoccupazioni prospettate dalla Commissione, così come previsto dall’articolo 9 del regolamento n. 1/2003.

16.      Dopo aver ricevuto le osservazioni di altri terzi interessati, tra cui GCP, la Commissione ha adottato la decisione impugnata dinanzi al Tribunale (in prosieguo: la «decisione impugnata») (4), la quale dispone, all’articolo 1, che gli impegni allegati sono vincolanti nei confronti di Paramount, dei suoi successori legali e delle sue controllate per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data di notifica della medesima.

17.      In particolare, la clausola n. 1, nono comma, dell’allegato alla decisione impugnata prevede vari tipi di clausole che sono oggetto del procedimento (di seguito le «clausole pertinenti»), riguardanti sia la trasmissione di contenuti audiovisivi via satellite, sia la loro trasmissione via Internet.

18.      Da un lato, con riferimento alla trasmissione via satellite, sono coinvolte, in primo luogo, la clausola secondo cui la ricezione al di fuori del territorio coperto dall’accordo di licenza (overspill) non costituisce una violazione del contratto da parte dell’emittente se quest’ultima non ha autorizzato detta ricezione in modo consapevole e, in secondo luogo, la clausola secondo cui la ricezione nel territorio coperto dall’accordo di licenza non costituisce una violazione del contratto da parte di Paramount se quest’ultima non ha autorizzato la disponibilità di decodificatori di terzi in tale territorio.

19.      Dall’altro, con riferimento alla trasmissione via Internet, sono coinvolte, in primo luogo, la clausola che impone agli emittenti di impedire lo scaricamento o la diffusione in streaming di contenuti televisivi al di fuori del territorio coperto dall’accordo di licenza, in secondo luogo, la clausola secondo cui la visualizzazione via Internet (Internet overspill) nel territorio coperto dall’accordo di licenza non costituisce una violazione del contratto da parte di Paramount se quest’ultima ha obbligato gli emittenti ad impiegare tecnologie che impediscono siffatta visualizzazione e, in terzo luogo, la clausola secondo cui la visualizzazione via Internet di contenuto televisivo al di fuori del territorio coperto dall’accordo di licenza non costituisce una violazione del contratto da parte dell’emittente se quest’ultima impiega tecnologie che impediscono siffatta visualizzazione.

20.      Risulta, inoltre, dalla clausola 1, terzo comma, dell’allegato alla decisione impugnata che il termine «obblighi dell’emittente» si riferisce alle clausole che vietano ad un’emittente di rispondere a richieste non sollecitate di consumatori residenti nel SEE, ma al di fuori del territorio per il quale l’emittente ha un diritto di trasmissione, ovvero alle clausole ad esse equivalenti. Inoltre, l’espressione «obblighi di Paramount» si riferisce alle clausole che impongono a Paramount di vietare alle emittenti situate nel SEE, ma al di fuori dei territori per i quali un’emittente ha diritti esclusivi, di rispondere alle richieste non sollecitate dei consumatori residenti in tali territori, ovvero alle clausole equivalenti.

21.      Ai sensi della clausola 2 dell’allegato alla decisione impugnata, a partire dalla data di notifica della medesima, Paramount ha assunto i seguenti impegni. Anzitutto, Paramount non concluderà, né rinnoverà o prorogherà l’applicazione delle clausole pertinenti nell’ambito di accordi di licenza come definiti nell’allegato medesimo (punto 2.1). Poi, con riferimento agli accordi di licenza vigenti che riguardano la produzione di servizi televisivi a pagamento (existing Pay-TV Output Licence Agreements), essa non agirà in giudizio al fine di far osservare gli obblighi degli emittenti [punto 2.2, lettera a)]. In relazione ai medesimi accordi, essa non rispetterà né agirà al fine di rispettare, direttamente o indirettamente, gli «obblighi di Paramount» [punto 2.2, lettera b)]. Infine, essa comunicherà a Sky entro un termine di dieci giorni a decorrere dalla notifica della decisione impugnata, e a qualsiasi altro emittente stabilito nel SEE entro un mese a decorrere dalla stessa notifica, che essa non agirà in giudizio al fine di far rispettare dagli emittenti le clausole pertinenti (punto 2.3).

22.      GCP aveva concluso con Paramount un accordo di licenza relativo alla produzione di servizi televisivi a pagamento (Pay Television Agreement), entrato in vigore il 1° gennaio 2014 (in prosieguo: l’«accordo del 1° gennaio 2014»). L’articolo 12 di detto accordo prevede che il territorio coperto da quest’ultimo si divide in territori «esclusivi», che coprono in particolare la Francia, e in un territorio «non esclusivo» che copre Maurizio. L’articolo 3 dell’accordo del 1° gennaio 2014 prevede, inoltre, che Paramount non eserciterà in prima persona, né autorizzerà un terzo ad esercitare diritti di trasmissione a destinazione dei territori esclusivi. L’allegato A.IV di tale accordo precisa, da parte sua, gli obblighi che gravano sul ricorrente con riferimento all’impiego delle tecnologie di geofiltraggio che impediscono la trasmissione al di fuori dei territori per i quali la licenza è stata concessa.

23.      Con lettera del 25 agosto 2016, Paramount ha notificato al ricorrente l’impegno di cui al punto 2.2, lettera a), dell’allegato della decisione impugnata e, di conseguenza, ha precisato che, per far rispettare le clausole pertinenti da parte dell’emittente, non avrebbe agito in giudizio e che, in forza delle clausole pertinenti, essa sopprimeva qualsiasi obbligo di quest’ultimo. Nella stessa lettera, Paramount ha altresì avuto cura di precisare che i termini «obbligo dell’emittente» avevano lo stesso senso di quello di cui all’allegato della decisione impugnata. Con lettera del 14 ottobre 2016, il ricorrente ha risposto a tale notifica sottolineando che gli impegni assunti nell’ambito di un procedimento che coinvolgeva soltanto la Commissione e Paramount non gli erano opponibili.

B.      Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

24.      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale l’8 dicembre 2016, GCP ha proposto, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto all’annullamento della decisone controversa.

25.      Inoltre, con l’ordinanza del 13 luglio 2017, Groupe Canal+/Commissione (5), il Bureau européen des unions de consommateurs (in prosieguo: «BEUC») è stata autorizzato a intervenire a sostegno della Commissione. L’Union des producteurs de cinéma (UPC), gli European Film Agency Directors (in prosieguo: «EFADs») e C More Entertainment AB sono stati autorizzati ad intervenire a sostegno delle conclusioni di GCP con la stessa ordinanza. Inoltre, con decisione del presidente della Quinta Sezione del Tribunale del 13 luglio 2017, la Repubblica francese è stata ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni di GCP.

26.      A sostegno del suo ricorso, GCP ha dedotto quattro motivi: (i) il primo relativo ad un errore manifesto di valutazione per quanto riguarda la compatibilità delle clausole pertinenti con l’articolo 101 TFUE; (ii) il secondo vertente su una violazione dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003 per quanto riguarda l’individuazione dei problemi sollevati dagli impegni imposti; (iii) il terzo relativo alla violazione del principio di proporzionalità; (iv) il quarto concernente uno sviamento di potere.

27.      Con la sentenza del Tribunale Groupe Canal +/Commissione, datata 12 dicembre 2018 (6) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), il Tribunale ha respinto il ricorso presentato da GCP.

C.      Il procedimento dinanzi alla Corte e le conclusioni delle parti

28.      Con l’impugnazione depositata in data 15 febbraio 2019, GCP ha proposto, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte, un ricorso diretto all’annullamento della sentenza impugnata.

29.      Mediante la propria impugnazione, GCP chiede alla Corte: di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso diretto all’annullamento della decisione impugnata e nella parte in cui ha condannato il medesimo alle spese; di annullare la decisione oggetto dell’impugnazione; di condannare la Commissione a tutte le spese di lite.

30.      La Commissione chiede alla Corte di respingere l’impugnazione presentata da GCP e di condannarlo alle spese di lite.

31.      La Repubblica francese, intervenuta nel procedimento a sostegno di GCP, chiede alla Corte di annullare integralmente la sentenza impugnata e di trarne tutte le relative conseguenze necessarie.

32.      UPC, intervenuta in favore di GCP, chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso di GCP diretto all’annullamento della decisione impugnata e nella parte in cui ha condannato il medesimo al pagamento delle spese e di annullare la decisione impugnata e addebitare alla Commissione tutte le spese sostenute dall’UPC.

33.      EFADs, al fine di sostenere il ricorso di GCP, chiede alla Corte di dichiarare il ricorso interamente fondato, di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso di GCP diretto all’annullamento della decisione impugnata e nella parte in cui ha condannato lo stesso al pagamento alle spese, di annullare la decisione impugnata, in ogni caso, di addebitare alla Commissione tutte le spese sostenute dall’EFADs.

34.      Il BEUC, intervenuto a sostegno della Commissione, chiede alla Corte di respingere l’impugnazione nella sua interezza, addebitando a GCP tutte le spese sostenute dal BEUC.

IV.    Esame dell’impugnazione

35.      A sostegno della sua impugnazione, GCP solleva quattro motivi: 1) il primo motivo concerne un errore di diritto del Tribunale nel ritenere che la Commissione non abbia commesso, nella decisione impugnata, uno sviamento di potere. 2) Il secondo motivo riguarda la violazione, da parte del Tribunale, del principio del contraddittorio. 3) Il terzo motivo verte su un errore di diritto del Tribunale relativo alla mancanza di motivazione e ad un esame incompleto dei fatti. 4) Il quarto motivo è relativo all’erronea interpretazione da parte del Tribunale dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003 e del punto 128 della comunicazione della Commissione sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti degli articoli 101 e 102 del TFUE (7) (in prosieguo: le «migliori pratiche»).

36.      Come richiesto dalla Corte, concentrerò la mia analisi sul terzo motivo di appello (in particolare sulla sua prima parte che solleva la questione se la Commissione, nell’adottare una decisione ai sensi dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, debba tener conto di considerazioni relative all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE) e sul quarto motivo di appello.

A.      Sul terzo motivo, in cui l’appellante sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto, consistente in una mancanza di motivazione e in un esame incompleto dei fatti

1.      Argomenti delle parti

37.      In primo luogo, GCP, affiancata da EFADs e dalla Repubblica francese, sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nell’affermare (punto 39 della sentenza impugnata) che il controllo di legittimità della decisione impugnata può riguardare solo le seguenti tre questioni: a) se le circostanze esposte nella decisione impugnata possano determinare problemi di concorrenza; b) in caso affermativo se gli impegni resi vincolanti rispondano a tali preoccupazioni; c) se la Paramount non abbia offerto impegni meno restrittivi di quelli accettati che rispondono adeguatamente alle predette preoccupazioni concorrenziali.

38.      In secondo luogo, ad avviso delle stesse parti sopra citate, il Tribunale sarebbe incorso in errore nell’affermare (punti da 62 a 66 della sentenza impugnata) che la questione se la condotta che ha dato origine alle preoccupazioni in questione soddisfi le condizioni cumulative per l’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE sarebbe estranea alla natura stessa di una decisione come la decisione impugnata.

39.      A sostegno della loro tesi le parti citate ricordano che dalla sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014: 2204, punto 53), risulta che, al fine di valutare se un accordo tra imprese presenti un grado sufficiente di nocività per essere considerato una restrizione della concorrenza «per oggetto», ai sensi dell’articolo 101 TFUE, è necessario analizzare con attenzione il contesto giuridico ed economico in cui è inserito, tenendo conto della natura dei prodotti o servizi interessati, nonché le condizioni operative effettive e la struttura dei mercati in questione. Sarebbe spettato, pertanto, al Tribunale determinare se gli elementi di prova invocati costituissero tutti i dati necessari per la valutazione di una situazione complessa.

40.      Ne conseguirebbe che, non rispondendo al motivo secondo cui la Commissione non ha tenuto conto del contesto giuridico ed economico francese in cui erano iscritte le clausole controverse, il Tribunale avrebbe violato il proprio obbligo di motivazione.

41.      La Repubblica francese aggiunge, sul punto della mancanza di motivazione, che il Tribunale non avrebbe definito con chiarezza le preoccupazioni in materia di concorrenza che potevano giustificare l’adozione di una decisione ai sensi dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, omettendo di indagare se le clausole pertinenti fossero sufficienti ad essere considerate prima facie come una restrizione della concorrenza per oggetto. A questo proposito, non sarebbe sufficiente fare riferimento in generale alla giurisprudenza della Corte relativa alle restrizioni territoriali alla trasmissione via satellite. Inoltre, l’obiettivo di proteggere la diversità culturale sarebbe inseparabile dal contesto giuridico ed economico in cui sono inserite le clausole pertinenti e non potrebbe essere limitato all’esame di cui all’articolo 101, paragrafo 3, TFUE.

42.      Il Tribunale, aggiunge GCP, non avrebbe rispettato l’obbligo di tenere conto del contesto giuridico ed economico delle clausole pertinenti, limitandosi ad osservare (punti da 40 a 42 della sentenza impugnata) che, tenuto conto del loro contenuto, dei loro obiettivi e del loro contesto giuridico ed economico, le clausole pertinenti, che comportano un’esclusiva territoriale assoluta, sono finalizzate a escludere qualsiasi concorrenza transfrontaliera e che ciò sarebbe sufficiente a giustificare le preoccupazioni della Commissione.

43.      A questo proposito, UPC aggiunge che il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle specificità del diritto d’autore. Avrebbe, infatti, ignorato il fatto che accettare richieste di vendite passive al di fuori del territorio coperto da una licenza ne costituirebbe una violazione. Inoltre, nel diritto d’autore, non avrebbe senso distinguere tra un diritto esclusivo di autorizzare con ambito «relativo» e un diritto esclusivo di autorizzare con ambito «assoluto», dal momento che sarebbe giuridicamente impossibile, e contrario alle norme internazionali, europee e nazionali sul diritto d’autore, riconoscere, da un lato, il diritto dei beneficiari di autorizzare le operazioni con un operatore per un determinato territorio e, dall’altro, impedire loro di far rispettare le condizioni dell’autorizzazione concessa a tale operatore.

44.      EFADs sostiene che il Tribunale avrebbe ignorato il fatto che l’abolizione delle misure di blocco geografico porterebbe a una situazione in cui le due parti contraenti non potrebbero includere nei contratti ciò che è garantito loro dal diritto d’autore: le vendite passive rimarrebbero vietate, anche in assenza di queste clausole, dal momento che il licenziatario non avrebbe i diritti necessari per la distribuzione di opere al di fuori del territorio coperto dalla licenza.

45.      La Repubblica francese specifica che il diritto d’autore mira a garantire non solo il diritto alla remunerazione, ma anche il diritto degli autori di definire i termini di sfruttamento delle loro opere, promuovere la creazione intellettuale e promuovere la diversità culturale.

46.      UPC sostiene che il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che, in Francia, sono state stabilite norme specifiche, basate sul diritto dell’Unione, per quanto riguarda le emittenti, i distributori, le piattaforme di trasmissione e i media e che queste regole implicano necessariamente limitazioni territoriali. Si tratterebbe, in particolare, di obblighi di investimento nella produzione e nella trasmissione locali, che perseguono l’obiettivo della diversità nella produzione, della distribuzione di opere europee e di originali in lingua francese. Il Tribunale avrebbe inoltre omesso di tener conto del fatto che, per i contenuti immateriali resi disponibili su Internet, non vi è alcuna differenza tra una vendita «attiva» e una vendita «passiva». Infatti, essendo i siti web accessibili agevolmente da parte degli utenti finali, vi sarebbe una totale coincidenza temporale tra la richiesta formulata dal consumatore e la fornitura del contenuto richiesto.

47.      Per quanto riguarda la sentenza del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a. (C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2011:631), GCP, cui si sono aggiunti l’UPC e la Repubblica francese, afferma che da essa potrebbe evincersi che la presa in considerazione del contesto giuridico e economico di tali clausole può comportare l’esclusione dell’esistenza di una restrizione della concorrenza o l’imposizione di un’analisi degli effetti dell’accordo (punto 140). Il Tribunale avrebbe, dunque, commesso un errore di diritto basandosi prevalentemente sulla citata sentenza Premier League che non riguardava il settore cinematografico (punti da 43 a 50 della sentenza impugnata), omettendo di esaminare il contesto giuridico e economico specifico del settore cinematografico la cui rilevanza era invece stata affermata dalla Corte nella sentenza del 6 ottobre 1982, Coditel e a. (262/81, EU:C:1982: 334, punti 15 e 16) (in prosieguo: «Coditel II»). In essa, infatti, la Corte afferma che gli elementi che caratterizzano l’industria cinematografica in Europa (in particolare quelli relativi al doppiaggio o alla sottotitolazione per un pubblico con espressioni culturali diverse, alle possibilità di trasmissione televisiva e al sistema di finanziamento) dimostrano che una licenza di rappresentanza esclusiva non è di per sé in grado di impedire, limitare o distorcere la concorrenza.

48.      EFADs, unitamente a UPC e alla Repubblica francese, precisa che, diversamente dalle opere americane, che sono finanziate con risorse proprie degli studi, il finanziamento di un’opera audiovisiva indipendente europea proverrebbe in gran parte dalla vendita dei diritti esclusivi, territorio per territorio, a agenti di vendita internazionali, distributori ed emittenti che si impegnano, in cambio di diritti di sfruttamento esclusivo, a contribuire al prefinanziamento dell’opera. Questi operatori concederebbero un finanziamento prima della produzione dell’opera, in base alla stima delle possibilità di successo dei lavori futuri nel loro territorio e garantirebbero un potenziale minimo di spettatori. Il predetto metodo di prefinanziamento sarebbe essenziale per ottenere risorse necessarie per la produzione di contenuti di alta qualità o per generare entrate che consentano di investire in nuove produzioni. Le televisioni a pagamento e le emittenti online cofinanzierebbero pertanto un film solo in cambio di un’esclusiva assoluta per lo sfruttamento di quel film in alcuni territori del SEE. In un mercato ad alto rischio, l’uso dell’esclusività territoriale avrebbe la funzione di ridurre l’incertezza e mitigare il rischio dell’investimento. Il finanziamento di un film sarebbe quindi diverso da quello di un evento sportivo, come quelli oggetto della sentenza Football League Premier League; l’uso di licenze territoriali esclusive per la trasmissione di eventi sportivi mirerebbe a massimizzare i profitti e non semplicemente a ottenere finanziamenti adeguati. EFADs aggiunge che il Tribunale avrebbe ignorato il fatto che l’abolizione delle clausole che vietano le vendite passive e le conseguenti misure di blocco geografico porterebbe ad una situazione in cui i due contraenti non potrebbero includere nei loro contratti ciò che è comunque loro garantito dal diritto d’autore. Infatti, le vendite passive resterebbero vietate anche in assenza di tali clausole, in quanto il licenziatario non disporrebbe dei diritti necessari per trasmettere le opere al di fuori del territorio oggetto della licenza. UPC sostiene poi che l’assenza di una garanzia contrattuale sul rispetto dell’esclusività territoriale equivale in pratica all’assenza dell’esclusività della licenza. L’esclusività della licenza, priva di garanzie contrattuali che ne garantiscano il rispetto, non sarebbe, infatti, più valutata né remunerata come tale. La negoziazione tra il titolare dei diritti e l’emittente si baserebbe, infatti, sull’esclusività territoriale concessagli e sulla garanzia dell’assenza di trasmissione da parte di un concorrente sul territorio concesso in licenza per il periodo di esclusività.

49.      GCP afferma, inoltre, che il Tribunale avrebbe violato l’obbligo di motivazione, non avendo spiegato perché le preoccupazioni in materia di concorrenza individuate dalla Commissione fossero fondate, nonostante le considerazioni esposte tratte dalla citata sentenza Coditel II.

50.      GCP, insieme a EFADs, sostiene, in secondo luogo, che il Tribunale, affermando (punti 57 e 69 della sentenza impugnata) che una possibile riduzione delle entrate del gruppo da clienti situati in Francia possa essere compensato dal fatto che il gruppo stesso sarebbe libero di rivolgersi a clienti situati in tutto il SEE, non avrebbe tenuto conto delle specificità del settore e non avrebbe esaminato tutti i fatti rilevanti. Il Tribunale non avrebbe tenuto conto, in particolare, dello studio Oxera (8), dal quale si evincerebbe che le esclusività territoriali siano necessarie per il finanziamento del cinema europeo a causa delle diverse sensibilità culturali nell’Unione, che il valore di questi film varierebbe da uno Stato membro all’altro o da un’area linguistica all’altra, che la produzione di film europei e quindi la diversità culturale a livello europeo sarebbe finanziata prevalentemente dalle emittenti sulla base del sistema di protezione territoriale assoluta. Il calo dei ricavi non potrebbe, pertanto, essere compensato dal venir meno dell’esclusiva assoluta perché i consumatori presenti in Francia sceglierebbero principalmente di abbonarsi agli operatori che trasmettono contenuti prevalentemente in lingua inglese.

51.      EFADs aggiunge che il costo di una licenza multiterritoriale sarebbe molto più elevato e quindi di fatto inaccessibile. Il costo di acquisizione di nuovi abbonati al di fuori del territorio tradizionale del distributore o dell’emittente comporterebbe una drastica riduzione della libertà di scelta dell’emittente in termini di produzione. Le emittenti sarebbero, infatti, incoraggiate a concentrarsi su produzioni con il più ampio potenziale di diffusione possibile, vale a dire produzioni del tipo «grande pubblico» e preferibilmente in inglese. Le clausole pertinenti sarebbero pertanto un elemento importante nella promozione della diversità culturale europea perseguita dall’Unione. La Repubblica francese aggiunge che l’obiettivo di tutelare tale diversità è indissociabile dal contesto giuridico ed economico in cui sono inserite le clausole pertinenti e non può limitarsi all’esame ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE. EFADs sostiene inoltre che, in Francia, GCP sarebbe soggetto all’obbligo di produrre opere europee. Di fronte alla concorrenza di importanti operatori di lingua inglese e contenuti rivolti a un grande pubblico, le sue entrate e il numero dei suoi abbonati potrebbero diminuire non consentendogli di acquisire licenze per lo sfruttamento in diversi paesi europei. I piccoli ricavi derivanti dalle vendite passive del repertorio europeo non potrebbero in alcun modo compensare la perdita di reddito e gli abbonati delle emittenti locali. L’assenza di esclusività favorirebbe le piattaforme che hanno già abbonati a livello globale a scapito degli attori europei, le cui capacità di ricerca di nuovi clienti sarebbe più limitata. UPC specifica che ciò comporterebbe un rafforzamento del potere negoziale dei gruppi di produzione internazionali nei confronti dei produttori indipendenti francesi nonché una concentrazione dell’offerta nelle mani delle emittenti più potenti. Inoltre, nel caso delle vendite passive di canali di televisione a pagamento, la negoziazione della remunerazione del diritto d’autore non riguarderebbe un’unica opera ma una moltitudine di opere, il che comporterebbe ulteriori complicazioni. Altre complicazioni sorgerebbero dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, le cui aliquote variano da uno Stato membro all’altro. La Repubblica francese aggiunge che una remunerazione adeguata per il diritto d’autore non è quella ragionevolmente connessa solo al numero effettivo o potenziale di persone che godono o desiderano godere del servizio fornito, ma include anche i costi di adattamento della distribuzione delle opere alle esigenze specifiche di ciascun mercato nazionale. Inoltre, la tecnologia necessaria per la ricezione di opere audiovisive potrebbe essere contraffatta e non consentirebbe quindi di determinare il pubblico effettivo e potenziale suddividendo la richiesta di acquisto per paese di origine. In ogni caso, i limiti geografici inerenti alle licenze concesse a GCP non gli consentirebbero di rivolgersi liberamente a clienti situati in tutti gli Stati membri.

52.      Pertanto, secondo GCP, il Tribunale non ha adeguatamente motivato sul capo d’impugnazione relativo alla diversità culturale e alla necessità di commercializzare opere nella lingua del consumatore.

53.      La Commissione, sostenuta dal BEUC, in primo luogo sostiene che dalle informazioni esposte ai punti da 49 a 58 e 118 della sentenza impugnata risulta che il Tribunale ha esaminato in dettaglio il contesto giuridico ed economico in cui s’inseriscono le clausole pertinenti e ha ritenuto che tale contesto non consenta di stabilire che tali clausole non siano idonee a limitare la concorrenza. Il Tribunale ha quindi risposto alle argomentazioni di GCP.

54.      Inoltre, secondo la Commissione, dalla sentenza Premier League citata (punto 140), si evince che il principio secondo cui un accordo di compartimentazione dei mercati nazionali all’interno dei confini nazionali deve essere considerato come avente oggetto la restrizione della concorrenza, è pienamente applicabile al settore della prestazione transfrontaliera di servizi di radiodiffusione. Nessun regime speciale si applicherebbe quindi al settore cinematografico.

55.      Per quanto riguarda la sentenza Coditel II sopra citata, essa si limita ad affermare che un accordo che conferisce a un singolo licenziatario il diritto esclusivo di trasmettere un’opera da uno Stato membro e quindi di vietarne la diffusione da parte di altri durante un determinato periodo di tempo, non ha di per sé un oggetto anticoncorrenziale. Al contrario, qualora un accordo di questo tipo contenga ulteriori obblighi volti a garantire il rispetto dei limiti territoriali di sfruttamento della licenza, tali obblighi avrebbero, in linea di principio, lo scopo di limitare la concorrenza. Inoltre, la sentenza Coditel II citata, riguardava un contesto in cui i distributori avevano effettuato una comunicazione al pubblico di un’opera senza avere i diritti necessari nello Stato membro del luogo di origine di questa comunicazione e senza aver pagato alcun compenso. Tale contesto è diverso da quello della presente causa, in cui Sky, a seguito degli impegni resi vincolanti dalla Commissione, potrebbe fornire i suoi servizi di distribuzione televisiva via satellite ai consumatori residenti nel SEE ma al di fuori del Regno Unito e dell’Irlanda, nel rispetto delle disposizioni regolamentari vigenti, con i diritti necessari per i territori interessati e pagando una remunerazione adeguata che tenga conto del pubblico effettivo e potenziale negli altri Stati membri.

56.      Peraltro, il Tribunale avrebbe distinto il contesto della sentenza Coditel II da quello della sentenza Football League Premier League facendo giustamente riferimento a quest’ultima nella presente causa.

57.      La Commissione sostiene, in secondo luogo, che il Tribunale non era tenuto a basarsi nella sua decisione su quanto contenuto nello studio Oxera, dal momento che esistono metodi per garantire una remunerazione adeguata per il diritto d’autore diversi dalla compartimentazione dei mercati nazionali, quali la presa in considerazione del pubblico effettivo e del pubblico potenziale sia nello Stato membro di emissione che in qualsiasi altro Stato membro, determinati sulla base del possesso di un dispositivo di decodifica o dell’indirizzo IP del computer o della possibilità di rinegoziare la remunerazione se il valore del contenuto concesso in licenza è influenzato da significative richieste non sollecitate da parte di consumatori al di fuori dello Stato membro di emissione. Inoltre, lo studio Oxera non conterrebbe alcuna analisi specifica dell’impatto delle conseguenze degli impegni sulla diversità culturale.

58.      In terzo luogo, la Commissione osserva che l’argomento di GCP relativo alle conseguenze degli impegni sulla diversità culturale si basa sul presupposto che la decisione impugnata porterà gli spettatori a scegliere principalmente di abbonarsi agli operatori che trasmettono contenuti prevalentemente in lingua inglese. Tuttavia, molti spettatori potrebbero scegliere di non abbonarsi ai servizi di distribuzione televisiva delle emittenti televisive stabilite al di fuori del proprio Stato membro per motivi linguistici e culturali. Il BEUC aggiunge che solo il 20% della popolazione francese ha il livello di competenza necessario per seguire e comprendere un’opera audiovisiva in una lingua straniera senza sottotitoli. Secondo la Commissione e il BEUC, il Tribunale ha giustamente dichiarato (punti 57 e 69 della sentenza impugnata), che la decisione impugnata contribuisce, piuttosto che comprometterlo, all’obiettivo di promuovere la diversità culturale poiché gli impegni assunti aprono nuove opportunità per i consumatori di accedere ai contenuti della Paramount.

59.      Il BEUC ritiene, poi, che il terzo motivo sia manifestamente irricevibile, poiché, anche se fa riferimento all’esistenza di errori di diritto che vizierebbero la sentenza impugnata, gli argomenti dedotti da GCP chiedono di rimettere in discussione la valutazione di talune prove da parte del Tribunale. GCP si sarebbe limitato a ripetere gli argomenti già presentati in primo grado, relativi alla presunta necessità di esclusività territoriale al fine di finanziare il settore cinematografico.

2.      Valutazioni

60.      Ritengo opportuno svolgere una considerazione preliminare sull’oggetto e sulla portata della presente causa per chiarire che la questione generale (di politica del diritto) del divieto di geoblocking (9), non coincide con la situazione specifica, oggetto dell’odierno giudizio (10). La Corte è oggi chiamata al controllo giurisdizionale in sede di appello di una sentenza del Tribunale che ha confermato la legittimità di una decisione della Commissione. Quella decisione, nell’ambito di un procedimento ex articolo 9 del regolamento n. 1/2003, ha accolto e reso vincolanti gli impegni proposti dalla Paramount di modificare alcune clausole contrattuali che attribuivano ad alcuni broadcaster europei un’esclusiva assoluta territoriale sui prodotti oggetto della cessione. Tali impegni, riferiti dunque a specifiche clausole contrattuali e limitati nel tempo (dal luglio 2016 al luglio 2021), non sono tali da incidere, proprio in ragione della loro limitazione nell’oggetto e nel tempo, sulla generale questione del divieto di geoblocking nel settore dell’audiovisivo, al momento escluso dal recente regolamento 2018/302 che, tuttavia, sarà oggetto di revisione a due anni dalla sua entrata in vigore.

61.      Con il terzo motivo di appello, in sostanza, si imputa al Tribunale di non avere censurato: 1) il fatto che la Commissione non abbia adeguatamente tenuto conto del contesto giuridico ed economico in cui si inserivano le preoccupazioni concorrenziali espresse; 2) il fatto che la stessa Commissione non abbia poi ritenuto applicabile, nonostante l’espressa richiesta proveniente da GCP intervenuta nel procedimento, delle circostanze di cui all’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, che avrebbero compensato la pretesa anticompetitività della condotta contestata.

62.      Secondo la giurisprudenza della Corte, la Commissione può adottare una decisione con impegni quando sono presenti tre condizioni (11): 1) la Commissione deve esprimere delle preoccupazioni in materia di concorrenza, senza che sia necessario stabilire che il comportamento costituisca un’infrazione; 2) l’impresa offre degli impegni che rispondono in maniera adeguata alle preoccupazioni espresse dalla Commissione; 3) la decisione di accogliere gli impegni deve comunque rispettare il principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione e costituisce il parametro per valutare la legittimità di qualsiasi atto delle istituzioni dell’Unione, incluse le decisioni della Commissione nella sua qualità di Autorità garante della concorrenza.

63.      È importante sottolineare che, come emerge dall’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, soprattutto se letto alla luce del tredicesimo considerando, «la Commissione è dispensata dall’obbligo di qualificare e di constatare l’infrazione, e il suo ruolo si limita al controllo e all’eventuale accettazione degli impegni proposti dalle imprese interessate, alla luce dei problemi che essa ha identificato nella sua valutazione preliminare e in considerazione degli scopi che essa persegue» (12).

64.      In questo contesto, l’attuazione del principio di proporzionalità da parte della Commissione «si limita alla sola verifica che gli impegni di cui trattasi rispondano alle preoccupazioni che essa ha reso note alle imprese interessate e che queste ultime non abbiano proposto impegni meno onerosi che rispondano parimenti in modo adeguato a tali preoccupazioni. Nell’esercizio di tale verifica, la Commissione deve tuttavia prendere in considerazione gli interessi dei terzi» (13).

65.      Ciascuna delle tre fasi in cui, alla luce della giurisprudenza della Corte, si articola il processo decisionale della Commissione in materia di impegni pone problemi importanti che richiedono delle chiarificazioni da parte della Corte. Sottolineo, incidentalmente, che detti chiarimenti sono ancor più necessari in un sistema di enforcement antitrust decentralizzato.

66.      In primo luogo, occorre chiarire che cosa si intende per «preoccupazioni concorrenziali» e qual è, di conseguenza, l’ambito del sindacato giurisdizionale che la Corte deve esercitare. Bisogna, a tale proposito, tenere presente che, dal momento che la decisione di accoglimento di impegni non richiede l’accertamento di un’infrazione, la Commissione è esonerata dal livello di approfondimento istruttorio e motivazionale che incombe sulla stessa nel caso ordinario di un procedimento di accertamento di un illecito anticoncorrenziale. In questo modo può essere soddisfatta l’esigenza sottesa al citato articolo 9 del regolamento n. 1/2003, che è quella di realizzare un obiettivo di economia procedimentale, realizzando un’efficace applicazione delle norme previste dal Trattato FUE in materia di concorrenza in maniera rapida e con un impiego limitato di risorse (come espressamente riconosciuto dal Tribunale, in particolare al punto 99 della sentenza impugnata). L’uso di questo strumento permette alla Commissione di liberare risorse che potranno essere impiegate dalla stessa per affrontare altri casi che richiedono una decisione sull’esistenza o meno dell’illecito ai sensi dell’articolo 7 del regolamento n. 1/2003 (14). Parallelamente, le imprese che decidano autonomamente di presentare impegni «accettano coscientemente che le loro concessioni possano eccedere quanto potrebbe imporre loro la Commissione stessa in una decisione che essa dovesse adottare conformemente all’articolo 7 di tale regolamento a seguito di un’inchiesta approfondita. Per contro, la conclusione del procedimento d’infrazione avviato nei confronti di tali imprese consente loro di evitare la constatazione di una violazione del diritto della concorrenza e l’eventuale irrogazione di un’ammenda» (15).

67.      Di conseguenza, la decisione di accogliere gli impegni può essere presa dalla Commissione senza sviluppare una robusta teoria del danno anticoncorrenziale, che è invece normalmente necessaria. Ma convenire sulla non necessità di una robusta teoria del danno non significa che una ricostruzione plausibile del danno anticoncorrenziale non sia necessaria. Liberare la Commissione dal peso istruttorio e motivazionale normalmente richiesto non può giustificare la trasformazione delle preoccupazioni della Commissione in una mera petizione di principio o, comunque, in un’affermazione non suffragata da un’istruttoria e da una motivazione che possono essere semplificate ma che comunque devono essere plausibili e capaci di fornire una risposta alle questioni che sono emerse nel corso della procedura. Il punto che mi sembra cruciale è che l’esigenza di economia procedurale, consacrata all’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, va bilanciata con altre esigenze ben presenti nel diritto della concorrenza dell’Unione. Entra, infatti, in giuoco il rispetto dei diritti di difesa dell’impresa sottoposta all’investigazione, che certamente sceglie autonomamente di presentare degli impegni, ma questa scelta deve maturare in un contesto in cui sia assicurato che le decisioni della Commissione che portano all’accoglimento degli impegni siano assunte nel corso di un procedimento in cui gli argomenti difensivi dell’impresa siano effettivamente presi in considerazione e si fondino su una «potenzialità di infrazione» correttamente definita. Diversamente, il sistema del diritto della concorrenza sarebbe esposto a gravi conseguenze negative in termini di prevedibilità e di legittimità.

68.      Più precisamente, c’è un paradosso dell’effettività che non va tralasciato. Le procedure di accoglimento degli impegni sono state introdotte, come già osservato, per incrementare l’effettività del diritto della concorrenza. La prassi della Commissione e delle Autorità nazionali ne ha evidenziato l’utilità sotto questo profilo. Tuttavia, un uso estensivo e praticamente privo di limiti dello strumento può portare ad un alto grado di incertezza del diritto della concorrenza: quali sono i contorni dei comportamenti anticoncorrenziali alla luce delle decisioni con impegni? Cosa è compatibile con il diritto della concorrenza e cosa è invece vietato? Inoltre, occorre evitare che la Commissione e le Autorità nazionali cadano nella tentazione del regolatore, utilizzando le decisioni con impegni non tanto per porre rimedio a comportamenti anticoncorrenziali ma per dare una determinata forma alle relazioni economiche nel mercato.

69.      La conseguenza può essere la perdita di prevedibilità del diritto antitrust e, in ultima analisi, l’indebolimento della sua effettività oltre che della sua legittimazione. Perciò è necessario che le decisioni con impegni siano sempre mantenute in un sistema di limiti giuridici, di cui sono custodi i giudici europei e nazionali, che le rendano utili a rafforzare l’enforcement antitrust senza incorrere nei pericoli di un uso eccessivo e sovrabbondante delle stesse (16).

70.      La conclusione è che la decisione di accogliere gli impegni deve fondarsi su una «potenzialità di infrazione», cioè su un’analisi del comportamento tenuto dalle imprese e del contesto in cui si colloca che permetta di configurare come possibile e effettivamente probabile, anche se non ancora accertato, un danno alla concorrenza imputabile alle imprese in questione. Non c’è un accertamento, ma la Commissione non può limitarsi alle congetture, alle ipotesi generiche e non vagliate, sia pure in modo sommario, alla luce del materiale che è stato comunque introdotto nel procedimento.

71.      Se si conviene su quanto premesso, ne discendono due conseguenze. La prima è che se la preoccupazione riguarda un illecito per oggetto, la Commissione sarà tenuta a considerare il contesto giuridico ed economico in cui il comportamento in esame si inserisce. La seconda è che se l’impresa che ha adottato il comportamento oggetto dell’istruttoria oppure altri soggetti che, a diverso titolo, partecipano al procedimento hanno addotto elementi di giustificazione del comportamento che prima facie potrebbe apparire anticoncorrenziale, la Commissione, sia pure in modo sommario, deve prendere in esame tali elementi nella sua decisione.

a)      Analisi del contesto giuridico ed economico in cui è inserita la condotta oggetto delle preoccupazioni concorrenziali

72.      Il primo punto si collega alla giurisprudenza della Corte che ha chiaramente affermato come l’esistenza di un illecito per oggetto richiede comunque un’analisi del contesto giuridico ed economico in cui si colloca il comportamento in esame. A questo proposito basta richiamare una ricca giurisprudenza che va da Cartes Bancaires (17) fino alla recente sentenza Generics (18).

73.      Nel caso di specie il Tribunale, sviluppando le sintetiche argomentazioni della Commissione (punti 43 e 44 della decisione impugnata) ha svolto un’analisi del contesto giuridico ed economico in cui si inserisce la condotta contestata, tenendo conto delle particolarità del sistema di finanziamento dell’industria cinematografica nel determinare la finalità degli accordi di distribuzione televisiva in questione. La sentenza impugnata dedica, infatti, i punti da 49 a 57 al contesto giuridico ed economico nel quale le clausole pertinenti si inseriscono.

74.      I riferimenti sotto questo profilo alla citata sentenza Premier League non sono, come sostenuto da GCP e dalle parti intervenute a sostegno dell’appellante, né errati né fuorvianti.

75.      La compartimentazione dei mercati può, infatti, essere considerata prima facie illecito antitrust anche nel settore del broadcasting (19). E anche quando il bene oggetto del contratto incorpori un diritto di proprietà intellettuale (20).

76.      La sentenza Coditel II, citata anche dall’appellante a sostegno delle proprie tesi, non conferma la tesi di GCP sulla non configurabilità di un illecito concorrenziale nel caso che ci occupa, dal momento che in essa la Corte si è limitata ad affermare che «Il solo fatto che il titolare del diritto d’autore di un film abbia concesso ad un unico licenziatario il diritto esclusivo di rappresentarlo nel territorio di uno Stato membro, e quindi di vietarne la diffusione da parte di altri, per un periodo determinato, non è tuttavia sufficiente per affermare che tale contratto si deve considerare come l’oggetto, il mezzo o la conseguenza di un’intesa vietata dal Trattato» (21).

77.      Nella causa Premier League, proprio a conferma che le due pronunce non sono reciprocamente escludenti come sembrerebbe suggerire la tesi dell’appellante, la Corte cita proprio Coditel II per affermare il principio sopra esposto e cioè che gli accordi finalizzati a ripartire il mercato interno non sempre sono considerati restrittivi per oggetto, aggiungendo però che la presenza di «obbligazioni accessorie» che rendono l’esclusiva «assoluta» può rendere tali accordi restrittivi della concorrenza per oggetto.

78.      Non c’è dunque nella sentenza impugnata un’automatica estensione al caso di specie della sentenza Premier League ma solo l’adattamento del principio in linea con i precedenti della Corte.

79.      Pertanto, quando un accordo tra privati esorbita il nucleo essenziale dei benefici che un diritto di privativa intellettuale è finalizzato a conferire, esso può rientrare tra quelli restrittivi della concorrenza.

80.      Tutto questo però a condizione che il contesto giuridico ed economico entro il quale si inserivano tali pattuizioni accessorie fosse tale da escluderne la legittimità.

81.      L’analisi svolta dal Tribunale (che come detto esplicita quella svolta dalla Commissione), conferma e applica al caso di specie questa impostazione.

82.      Il Tribunale, infatti, ha tenuto conto del contesto giuridico ed economico e, nello specifico, delle particolarità del sistema di finanziamento dell’industria cinematografica, e ha proposto un ventaglio di alternative che, nel settore di riferimento, possano garantire un’adeguata remunerazione al titolare del diritto d’autore, dimostrando in modo convincente che non può configurarsi un’assoluta esclusione del settore audiovisivo da possibili illeciti anticoncorrenziali attraverso accordi di compartimentazione dei mercati in ragione dell’esistenza di beni protetti dal diritto d’autore.

83.      Il Tribunale ha, infatti, ricordato che se lo specifico oggetto della proprietà intellettuale mira a garantire ai titolari dei diritti interessati la tutela della facoltà di sfruttare commercialmente la messa in circolazione o la messa a disposizione dei beni protetti, concedendo licenze dietro il pagamento di un compenso, «tale oggetto specifico non garantisce ai titolari dei diritti interessati la possibilità di chiedere il più alto compenso possibile. Quel che è loro garantito – come previsto dal decimo considerando della direttiva sul diritto d’autore e dal quinto considerando della direttiva sui diritti connessi – è solamente un compenso adeguato per ogni utilizzazione dei beni protetti» (22).

84.      In sostanza, «l’eventuale diminuzione dei prezzi degli abbonamenti sul territorio francese, fino a quel momento configurati ad un certo livello grazie alla protezione territoriale assoluta garantita dall’applicazione delle clausole pertinenti, può essere compensata dal fatto che, in esecuzione degli impegni resi obbligatori in forza della decisione impugnata, Paramount ha dichiarato la propria intenzione di rinunciare all’applicazione di dette clausole. Tale dichiarazione implica che il ricorrente sia ormai libero di rivolgersi ad una clientela che si trova nell’insieme del SEE e non soltanto in Francia» (punto 57 della sentenza impugnata).

85.      L’esame del contesto giuridico ed economico, svolto dalla Commissione e richiamato dal Tribunale, conferma dunque l’astratta configurabilità di una «preoccupazione concorrenziale» che riveste la «potenzialità di infrazione» nei termini sopra descritti.

b)      Applicabilità delle esenzioni previste dallarticolo 101, paragrafo 3, TFUE ad un procedimento ex articolo 9, regolamento n. 1/2003

86.      Il secondo punto è più problematico ed è uno degli aspetti più rilevanti del caso in esame. Il Tribunale, nella sentenza impugnata (punto 62) (23), infatti, sostiene che la verifica della sussistenza o meno delle condizioni previste dall’articolo 101, paragrafo 3, TFUE presuppone l’accertamento di un comportamento anticoncorrenziale. Seguendo questo schema, la Commissione, a fronte di una preoccupazione concorrenziale, prima dovrebbe verificare l’esistenza di un illecito, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e, solamente dopo avere accertato l’illecito dovrebbe verificare se sussistono le cause di giustificazione previste dal paragrafo 3. Poiché nel caso delle decisioni di accoglimento di impegni non c’è l’accertamento dell’infrazione, secondo il Tribunale, non si dovrebbe passare alla verifica delle condizioni previste dal paragrafo 3.

87.      A mio parere, la soluzione proposta dal Tribunale conduce a esiti paradossali, porta a svuotare di significato il riferimento all’esistenza di una «potenzialità di infrazione» come fondamento delle preoccupazioni che gli impegni dovrebbero permettere di superare, e confligge con la logica dell’articolo 101 TFUE che riguarda essenzialmente la ripartizione dell’onere della prova tra la Commissione e le parti.

88.      Applicando la tesi della Commissione la decisione di accogliere gli impegni potrebbe determinare un duplice paradosso. Da una parte, un comportamento che non sarebbe confliggente con il diritto della concorrenza verrebbe impedito (determinando un «falso positivo», che costituisce uno dei pericoli più gravi delle prassi antitrust e che sarebbe facilmente evitabile passando ad una valutazione, sia pure sommaria, del comportamento tenuto alla luce dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE). Dall’altra parte, la modificazione, indotta dagli impegni, del suddetto comportamento porterebbe a pregiudicare quelle stesse esigenze poste dal suddetto paragrafo 3 e che il diritto primario vuole che siano soddisfatte al punto da farle prevalere su una prima valutazione di anticoncorrenzialità condotta alla stregua dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

89.      Inoltre, solo prendendo in considerazione globalmente il primo e il terzo paragrafo dell’articolo 101 TFUE si può individuare, sia pure alla luce di un’analisi sommaria, una «potenzialità di infrazione» che giustifica l’accoglimento degli impegni. Altrimenti la Commissione svilupperebbe un’analisi monca di una parte che, dall’articolo 101 TFUE, è ritenuta essenziale per la configurabilità di un’infrazione. Certo, come osservato più volte, nel caso del procedimento di accettazione degli impegni non ci può essere l’accertamento di un’infrazione ma almeno occorre che una «potenzialità di infrazione» ci sia. Poiché l’articolo 101 TFUE per individuare la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale richiede due fasi, delineate rispettivamente dal primo e dal terzo paragrafo dell’articolo 101 TFUE, anche per prospettare una «potenzialità di infrazione», l’analisi dovrà toccare entrambi i passaggi. Anche se, bisogna sottolineare, con un livello di approfondimento ben minore e con una motivazione molto più sintetica di quando si procede all’accertamento di un’infrazione.

90.      Infine, va osservato che l’articolo 101, paragrafo 1 e paragrafo 3, TFUE serve anche a delineare una modalità di ripartizione dell’onere della prova (24). La Commissione, ai sensi del paragrafo 1, individua un possibile illecito e definisce una teoria del danno anticoncorrenziale, il privato vi replica e tenta di neutralizzare le prospettazioni della Commissione invocando la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 101 paragrafo 3. Non si vede perché questa logica debba essere stravolta quando la Commissione decide di seguire la via degli impegni. Le parti del procedimento, anche nella fase iniziale dello stesso, devono godere pienamente del diritto di difesa e con il suo esercizio non soltanto tutelano i propri interessi ma, se gli argomenti riconducibili all’articolo 101, paragrafo 3, TFUE sono fondati, concorrono a evitare che sia impedito un comportamento che invece realizza gli interessi che sono sottostanti all’articolo 101, paragrafo 3, TFUE e che sono considerati dal Trattato FUE preminenti.

91.      Pertanto, ritengo che anche nel procedimento di accoglimento degli impegni proposti dall’impresa, la Commissione debba occuparsi di entrambe le fasi previste dal paragrafo 1 e dal paragrafo 3 dell’articolo 101 TFUE e che pertanto non possa esimersi dal prendere in considerazione, sia pure sommariamente vista la natura del procedimento, gli argomenti addotti dalle parti, o dai terzi intervenuti, con riguardo alla sussistenza delle condizioni previste dal suddetto paragrafo 3.

92.      Facendo applicazione dei principi sopra espressi all’odierno giudizio, osservo che l’apodittica affermazione del Tribunale sopra censurata, che sembra escludere in generale l’applicabilità dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE in caso di procedimento per impegni, potrebbe non inficiare la validità della sentenza sul punto dal momento che, in concreto, sia la Commissione che il Tribunale hanno offerto delle sintetiche argomentazioni, coerenti con la natura del procedimento di accettazione di impegni, che escludono il difetto di motivazione oggetto di uno dei motivi di appello.

93.      La lettura congiunta della motivazione del Tribunale ai punti da 53 a 57 e da 67 a 72, unitamente alla motivazione della decisione della Commissione ai punti da 40 a 44 e da 50 a 53, potrebbe consentire, infatti, di concludere che le clausole pertinenti «non soddisfano almeno una delle condizioni cumulative previste dall’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, vale a dire quella di non imporre alle imprese interessate restrizioni non indispensabili per la protezione di tali diritti» (di proprietà intellettuale) (punto 67 della sentenza impugnata).

94.      L’articolo 101, paragrafo 3, infatti consente di dichiarare inapplicabili le disposizioni del paragrafo quando l’accordo tra imprese contribuisca «a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva», a condizione che non siano imposte alle imprese interessate «restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi».

95.      Le clausole pertinenti, ad avviso del Tribunale e della Commissione, imporrebbero restrizioni che vanno «oltre quanto necessario per la produzione e la distribuzione di opere audiovisive che necessitano di una protezione dei diritti di proprietà intellettuale (25)» (punto 67 della sentenza impugnata) anche al fine di tutelare la diversità culturale.

96.      Anzi, una protezione territoriale assoluta «va manifestamente al di là di ciò che è indispensabile per il miglioramento della produzione o della distribuzione o per la promozione del progresso tecnico o economico richiesto dall’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, come dimostra il divieto, voluto dalle parti contraenti di cui trattasi, di qualsiasi prestazione transfrontaliera di servizi di diffusione televisiva, anche qualora si tratti di opere per le quali Paramount stessa ha concesso una licenza e che sono diffuse sul territorio di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenza dell’8 giugno 1982, Nungesser e Eisele/Commissione, 258/78, EU:C:1982:211, punto 77)» (punto 68 della sentenza impugnata). Tale compartimentazione e la differenza di prezzi a cui dà origine sarebbero, infatti, inconciliabili con l’obiettivo fondamentale del Trattato, che è il completamento del mercato interno (punti 43 e 44 della decisione impugnata e punto 57 della sentenza impugnata).

97.      Nel caso che ci occupa il Tribunale ha sufficientemente motivato nel senso che esiste un’alternativa al finanziamento della produzione cinematografica nei Paesi del SEE – e dunque alla tutela, tra gli altri, dell’interesse alla diversità culturale – rispetto alla compartimentazione dei mercati con esclusiva geografica assoluta: «un’eventuale diminuzione degli introiti del ricorrente provenienti dai clienti che si trovano in Francia può essere compensata dal fatto che, grazie all’attuazione degli impegni resi obbligatori in forza della decisione impugnata, quest’ultimo è ormai libero di rivolgersi ad una clientela che si trova nell’insieme del SEE e non soltanto in Francia» (punto 69 della sentenza impugnata).

98.      Pertanto, «anche se il ricorrente versa una parte dei propri introiti al finanziamento di prodotti dell’audiovisivo che necessitano uno specifico sostegno, il normale gioco della concorrenza, ormai aperto a livello di SEE, gli fornisce possibilità che le clausole pertinenti, fintantoché Paramount ne esigeva il rispetto, gli negavano» (punto 57 della sentenza impugnata).

c)      Conclusione parziale

99.      Per concludere sul punto, ritengo che la censura sollevata nel terzo motivo, relativa a una mancanza di motivazione e a un esame incompleto dei fatti, potrebbe non essere accolta anche in considerazione del fatto che l’obbligo per il Tribunale di motivare le proprie decisioni non può essere interpretato nel senso che esso sia tenuto a rispondere dettagliatamente a ciascun argomento dedotto da una parte. Piuttosto, deve essere considerato sufficiente se dalla motivazione di una sentenza risulti in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento seguito dal Tribunale, in modo da consentire agli interessati di conoscere i motivi della decisione adottata dal Tribunale ed alla Corte di esercitare il suo sindacato giurisdizionale (26). La mera circostanza che il Tribunale sia pervenuto, nel merito, ad una conclusione diversa dalla ricorrente, non può di per sé comportare che la sentenza impugnata sia viziata da difetto di motivazione (27).

100. Il Tribunale ha sufficientemente motivato in relazione all’inserimento della condotta contestata nel contesto giuridico ed economico specifico traendo conclusioni differenti rispetto a quelle prospettate dall’appellante ma che non appaiono manifestamente errate.

101. Per quanto attiene all’applicabilità delle esenzioni previste dall’articolo 101, paragrafo 3, TFUE ad un procedimento ex articolo 9, del regolamento n. 1/2003, pur avendo errato il Tribunale nell’affermare una generale inapplicabilità, la decisione impugnata e la sentenza impugnata contengono sufficienti argomenti per far ritenere non applicabili al caso di specie le esenzioni previste. Per questo motivo suggerisco alla Corte di rigettare il terzo motivo di appello in quanto infondato.

B.      Sul quarto motivo in cui l’appellante sostiene che il Tribunale ha interpretato erroneamente l’articolo 9 del regolamento n. 1/2003 e il punto 128 della comunicazione della Commissione sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti degli articoli 101 e 102 del TFUE (28) (in prosieguo: le «migliori pratiche»)

1.      Argomenti delle parti

102. GCP, sostenuto dalla Repubblica francese, afferma che il Tribunale, statuendo (ai punti 118 e 119 della sentenza impugnata) che per loro natura, le clausole pertinenti sono finalizzate a compartimentare i mercati nazionali in tutto il SEE senza che il loro contesto giuridico ed economico consenta di stabilire che non sono suscettibili di nuocere alla concorrenza e che nessun altro impegno tra quelli proposti da Paramount, con effetti meno incisivi su GCP, sarebbe stato adeguato, avrebbe erroneamente interpretato l’articolo 9 del regolamento n. 1/2003 e il punto 128 delle «migliori pratiche».

103. GCP, insieme alla Repubblica francese, osserva, in primo luogo, che la Commissione, accettando gli impegni della Paramount, relativi a tutti i contratti conclusi con le emittenti del SEE, mentre le preoccupazioni concorrenziali contenute nella valutazione preliminare della Commissione riguardavano solo i diritti esclusivi nel Regno Unito e in Irlanda, non avrebbe tenuto conto delle particolarità di altri mercati, in particolare quello francese, il cui sistema normativo e finanziario avrebbe la particolarità che il finanziamento della creazione audiovisiva è prevalentemente svolto dai broadcaster come GCP.

104. Confermando l’approccio della Commissione, il Tribunale avrebbe violato il principio di proporzionalità e il rispetto dei diritti di terzi, come ricordato in particolare nella sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010: 377, punto 41). Il Tribunale avrebbe, infatti, commesso un errore di diritto nel considerare, al punto 106 della sentenza impugnata, che la Commissione ha agito nei limiti dei poteri che le sono conferiti dall’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, perseguendo gli obiettivi di tale disposizione (economia ed efficienza procedurale), senza incidere sui diritti contrattuali o procedurali di GCP oltre quanto necessario per raggiungere questi obiettivi.

105. La Repubblica francese aggiunge che il fatto che non sia stato proposto alcun altro impegno idoneo a rispondere adeguatamente alle preoccupazioni concorrenziali identificate dalla Commissione non sarebbe sufficiente per affermare che vi sia stata una effettiva considerazione degli interessi di terzi. Infatti, dato che gli impegni sono il risultato di negoziati esclusivi tra la Commissione e l’impresa interessata, sarebbe difficile immaginare che l’interesse dei terzi possa essere preso in considerazione nel contesto di una procedura di impegni soltanto confrontando gli impegni offerti con altri impegni potenzialmente proposti dall’impresa interessata.

106. UPC sottolinea che la decisione impugnata incide, invece, sugli interessi di tutti gli attori del settore cinematografico. Osserva, infatti, che, nel 2018, i canali televisivi gratuiti e a pagamento hanno finanziato il 97,8% dei film di iniziativa francese con un budget di almeno di EUR 4 milioni e il 77,2% dei film con un budget garantito tra 1 e di EUR 4 milioni. GCP avrebbe pre-acquistato 113 film d’iniziativa francese e il 93,9% dei film di iniziativa francese che costano più di EUR 7 milioni. Nell’ambito della sua analisi, il Tribunale non ha tenuto conto di tali circostanze, né del fatto che la decisione impugnata, se confermata, rischierebbe di sconvolgere completamente gli standard contrattuali di tutti gli attori del mercato.

107. In secondo luogo, GCP sostiene che, conformemente al punto 128 delle «migliori pratiche» e alla nota 76 delle stesse, gli impegni devono essere inequivocabili, devono essere applicati direttamente e la loro attuazione non deve dipendere dalla volontà di terzi non vincolati da essi.

108. Il Tribunale avrebbe violato questo principio, affermando, al punto 104 della sentenza impugnata, che la decisione della Commissione non costituirebbe un’ingerenza nella libertà contrattuale di GCP, dal momento che lo stesso potrebbe adire il giudice nazionale al fine di accertare la compatibilità delle clausole pertinenti con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e trarre, per quanto riguarda la Paramount, le conseguenze previste dal diritto nazionale. Inoltre, affermando, al punto 103 di tale sentenza, che spetterebbe alla Commissione riaprire l’inchiesta se il giudice nazionale obbligasse la Paramount a violare gli obblighi assunti negli impegni, il Tribunale avrebbe espressamente riconosciuto che l’attuazione dell’impegno dipenderebbe dalla volontà di GCP, ma non avrebbe tratto tutte le conseguenze giuridiche da questa conclusione.

109. GCP, insieme alla Repubblica francese, sostiene, in terzo luogo, che il Tribunale, affermando al punto 100 della sentenza impugnata, che la decisione impugnata potrebbe, al massimo, influenzare le valutazioni del giudice nazionale dal momento che tale decisione contiene solo una valutazione preliminare, avrebbe violato gravemente i diritti di terzi. Questa decisione priverebbe, infatti, GCP della sua libertà contrattuale, dal momento che non potrebbe, in realtà, ottenere dal giudice nazionale che egli contraddica la Commissione e ammetta la validità delle clausole controverse. A tale proposito, dalla sentenza del 23 novembre 2017, Gasorba e a. (C 547/16, EU:C:2017: 891, punti 28 e 29), risulta che i giudici nazionali non possono ignorare le decisioni prese sulla base dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e che devono tener conto della valutazione preliminare della Commissione e considerarla come un’indicazione, o addirittura un principio di prova, del carattere anticoncorrenziale dell’accordo in questione.

110. La Repubblica francese aggiunge che l’incidenza di una decisione, come quella impugnata, sulla valutazione effettuata dal giudice nazionale sarebbe rafforzata dagli impegni negoziati nel settore in questione con altre multinazionali, rendendo più probabile che impegni successivi costituiscano lo standard dal quale sarebbe sempre più difficile per il giudice nazionale discostarsi. Inoltre, la circostanza che, nel caso in cui il giudice nazionale ritenesse che l’accordo in questione non violi l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, la Commissione riaprirebbe necessariamente un’indagine, a norma dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1/2003, potrebbe dissuadere il giudice nazionale dal contestare la valutazione preliminare della Commissione.

111. La Commissione, affiancata dal BEUC, sostiene che il Tribunale ha correttamente affermato, ai punti da 43 a 58 e 118 della sentenza impugnata, che gli impegni della Paramount rispondevano a preoccupazioni concorrenziali riguardanti l’insieme del SEE. Le clausole pertinenti costituivano, infatti, obblighi aggiuntivi volti a suddividere i mercati nazionali in tutto il SEE, vietando o limitando le vendite passive transfrontaliere di servizi di distribuzione televisiva da parte di Sky ai consumatori residenti nel SEE ma al di fuori del Regno Unito e dell’Irlanda, nonché le vendite di emittenti residenti nel SEE ma al di fuori del Regno Unito e dell’Irlanda ai consumatori residenti nel Regno Unito e in Irlanda. Gli impegni offerti da Paramount risponderebbero pertanto adeguatamente alle preoccupazioni concorrenziali espresse nella comunicazione degli addebiti e Paramount non avrebbe offerto impegni meno vincolanti che rispondessero a tali preoccupazioni in modo adeguato.

112. La Commissione, sostenuta dal BEUC, ritiene inoltre che il Tribunale ha giustamente dichiarato, ai punti 83 a 108 della sentenza impugnata, che l’attuazione degli impegni della Paramount non dipende dalla volontà di terzi, incluso GCP. In effetti, offrendo questi impegni, Paramount avrebbe esercitato la sua libertà contrattuale di non essere vincolata da determinate clausole contrattuali e questa decisione non dipenderebbe dalla volontà di terzi. Inoltre, l’accettazione da parte della Commissione di tali impegni non priverebbe GCP della possibilità di adire un giudice nazionale per tutelare i propri diritti nell’ambito delle sue relazioni contrattuali con la Paramount. Se un giudice nazionale dovesse ritenere che le clausole pertinenti non violino l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE o che soddisfino le condizioni di cui al paragrafo 3 dello stesso articolo, spetterebbe a lui valutare se l’esito del procedimento dinanzi a lui possa indurre Paramount a violare gli impegni assunti in forza della decisione impugnata. Per evitare che il risultato di questa procedura possa portare Paramount a violare tali impegni, il giudice nazionale potrebbe rifiutare di ordinare l’esecuzione delle clausole pertinenti, ordinando al contempo a Paramount, secondo le norme nazionali applicabili, l’esecuzione per equivalente e il risarcimento dei danni. Il Tribunale ha considerato tale soluzione al punto 103 della sentenza impugnata.

113. La Commissione, insieme al BEUC, afferma in terzo luogo che il Tribunale ha correttamente ritenuto, al punto 102 della sentenza impugnata, che GCP potrebbe ottenere da un giudice nazionale una decisione in contrasto con quella della Commissione che riconosca la legittimità delle clausole contestate. Dal punto 29 della sentenza Gasorba citata, risulta, infatti, che un giudice nazionale dovrà solo prendere in considerazione la valutazione preliminare della Commissione espressa nella decisione impugnata e considerarla come un’indicazione, o addirittura come principio prova, della natura anticoncorrenziale delle clausole controverse.

114. Il BEUC sostiene che il quarto motivo è irricevibile, in quanto GCP sta cercando di mettere in discussione le conclusioni e le valutazioni fattuali svolte dal Tribunale nell’esame del terzo e del secondo motivo, essenzialmente ripetendo gli stessi argomenti sollevati in primo grado.

2.      Valutazioni

a)      Violazione del principio di proporzionalità e pregiudizio del diritto dei terzi

115. Nel quarto motivo di appello, in sostanza, le censure mosse alla sentenza del Tribunale attengono a un preteso errore di diritto nel dichiarare che la Commissione non ha violato il principio di proporzionalità rendendo vincolanti gli impegni proposti da Paramount in tutto il SEE mentre le preoccupazioni concorrenziali espresse dalla Commissione nell’analisi preliminare riguardavano solo le esclusive territoriali nel Regno Unito e in Irlanda e nel dichiarare che la decisione della Commissione non pregiudicherebbe i diritti dei terzi dal momento che questi ultimi potrebbero comunque ricevere una tutela giurisdizionale dinanzi ai giudici nazionali in relazione alle clausole pertinenti.

116. La questione delicata che la Corte è chiamata a risolvere, pertanto, riguarda la possibilità che gli impegni proposti e accettati dalla Commissione possano avere conseguenze sui diritti contrattuali dei terzi. La questione verte sul delicato esercizio di bilanciamento tra la libertà contrattuale e i principi normativi e gli obiettivi consacrati dai Trattati dell’UE, con particolare riferimento alla tutela della concorrenza. Com’è noto, la libertà contrattuale costituisce espressione della libertà di impresa che è garantita dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (29) ed è riconosciuta dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Tuttavia, come ha sottolineato la giurisprudenza della Corte, la libertà di condurre un’attività economica non è un valore assoluto ma va considerata in relazione alla sua funzione sociale (30). Pertanto la libertà di impresa può essere soggetta ad una vasta gamma di interventi pubblici che limitano l’esercizio di questa libertà nell’interesse pubblico (31).

117. In questo quadro, molto brevemente tratteggiato, si inseriscono alcune limitazioni della libertà contrattuale delle parti che sono in gioco nel caso in esame, come quelle che riguardano l’obbligo di Paramount di non inserire nei nuovi contratti di licenza le clausole contrattuali che creino barriere assolute alla concorrenza intra UE frustrando l’obiettivo del mercato unico di cui all’articolo 3, paragrafo 3, TUE, oppure il principio affermato dalla giurisprudenza e richiamato dal Tribunale secondo cui le regole sul copyright garantiscono solamente una remunerazione che sia «ragionevole» in relazione al valore economico del servizio fornito e che quindi eventuali clausole che prevedono una remunerazione maggiore potrebbero essere non ammissibili se hanno come premessa la compartimentazione su base nazionale dei mercati derivante da una protezione territoriale assoluta del licenziatario nazionale.

118. L’incidenza delle decisioni in materia di concorrenza sulle relazioni contrattuali esistenti certamente non è una novità. La peculiarità del caso in esame è che con l’obiettivo di tutelare la concorrenza nel mercato interno la Commissione ha accolto gli impegni presentati da un’impresa che incidono sulla relazione contrattuale della stessa impresa con un soggetto che è terzo rispetto al procedimento svolto ex articolo 9 del regolamento n. 1/2003.

119. Può spingersi una decisione di accoglimento di impegni fino a vincolare l’impresa a non adempiere un contratto concluso con un soggetto terzo? L’obiettivo di tutelare la concorrenza può giustificare un sacrificio così intenso della libertà contrattuale di una terza parte? Si tratta cioè di una questione che attiene all’applicazione del principio di proporzionalità alle decisioni di accoglimento di impegni.

120. La Commissione, appoggiandosi sulla sentenza Alrosa citata (in particolare il punto 41), sostiene un’interpretazione particolarmente restrittiva del ruolo da assegnare in questo campo al principio di proporzionalità. La Commissione dovrebbe limitarsi alla sola verifica che gli impegni di cui trattasi rispondano alle preoccupazioni che essa ha reso noto alle imprese interessate e che queste ultime non abbiano proposto impegni meno onerosi che rispondano parimenti in modo adeguato a tali preoccupazioni. In questa prospettiva, infatti, si è mosso il Tribunale, il quale ha riconosciuto che, in effetti, la Commissione ha effettuato le verifiche anzidette.

121. Ma, in realtà, la sentenza Alrosa non ha limitato l’applicazione del principio di proporzionalità alle verifiche suddette, perché, subito dopo avere fatto riferimento alla necessità che esse siano svolte dalla Commissione, ha avuto cura di precisare che «nell’esercizio di tale verifica, la Commissione deve tuttavia prendere in considerazione gli interessi dei terzi» (32).

122. Pertanto, il principio di proporzionalità trova un’applicazione bidirezionale: da una parte, si rivolge all’idoneità degli impegni a rispondere alle preoccupazioni della Commissione e al fatto che l’impresa non abbia proposto altri impegni che, pur rispondendo alle preoccupazioni della Commissione, siano meno onerosi. Dall’altra parte, si applica nei confronti degli interessi dei terzi in qualche misura incisi dall’accoglimento degli impegni. In questo modo la Corte riconosce come nella prassi può verificarsi il caso in cui la decisione con impegni condiziona anche gli interessi di terzi diversi dalle imprese oggetto dell’attività istruttoria della Commissione. Ma, in tale evenienza, affinché la decisione sia legittima deve passare indenne ad una verifica condotta alla luce del principio di proporzionalità.

123. Certamente l’intensità del sindacato svolto alla stregua del principio di proporzionalità può variare a seconda del procedimento in esame e trattandosi di valutare i rimedi proposti dall’impresa in una procedura che non comporta l’accertamento dell’infrazione, la portata del principio di proporzionalità è, come abbiamo visto, limitata (33). Ma quando si devono verificare gli impegni non sotto il profilo della loro idoneità a rispondere alle preoccupazioni della Commissione, ma con riguardo all’incidenza sugli interessi dei terzi, allora il principio richiede almeno che i diritti di cui essi sono titolari e che sono rilevanti per il diritto primario dell’Unione non siano del tutto sacrificati o comunque svuotati di contenuto.

124. Tale conclusione è imposta dal nucleo essenziale del principio di proporzionalità che, quale principio generale del diritto dell’Unione, «richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti» (34) e costituisce «il parametro per valutare la legittimità di qualsiasi atto delle istituzioni comunitarie, incluse le decisioni della Commissione nella sua qualità di autorità garante della concorrenza» (35).

125. Orbene, allorché per effetto della decisione di accoglimento degli impegni l’impresa proponente non dovrà rispettare i suoi obblighi contrattuali assunti nei confronti di una terza parte e che sono elementi essenziali dell’equilibrio economico che, nell’esercizio della rispettiva libertà contrattuale, esse hanno fissato, un sacrificio così grave della libertà contrattuale della terza parte non sembra giustificabile alla stregua del principio di proporzionalità.

126. Per sfuggire a questa conclusione la Commissione e il Tribunale fanno valere il diritto della terza parte (GCP) di agire in giudizio contro l’impresa che ha proposto gli impegni (Paramount) per far dichiarare la sua responsabilità contrattuale e per ottenere il risarcimento del danno. Osserva, infatti, il Tribunale, rifacendosi alla sentenza Alrosa, che il fatto che gli impegni individuali proposti da un’impresa siano stati resi obbligatori non implica che altre imprese siano private della possibilità di tutelare i propri eventuali diritti nell’ambito delle loro relazioni con tale impresa (36). Il giudice nazionale, in applicazione di tale principio, potrà ritenere che le clausole pertinenti violino l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE o che esse soddisfino le condizioni di cui al paragrafo 3 di tale articolo, e potrà anche valutare la fondatezza della domanda di cui sarà investito, in quanto l’articolo 101 TFUE non osta all’applicazione delle clausole pertinenti (punti 100, 101, 102 della sentenza impugnata).

127. Il punto debole di tale ragionamento, messo in luce nell’appello di GCP, è che la decisione di accoglimento degli impegni condiziona comunque il giudice adito dall’impresa terza perché pone alla discrezionalità del giudice nazionale un consistente limite giuridico. Se infatti è certo che la decisione concernente gli impegni adottata sul fondamento dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 non esclude che il giudice nazionale valuti la prassi oggetto di tale decisione in modo diverso dalla Commissione, tuttavia «i giudici nazionali non possono ignorare questo tipo di decisioni. Infatti, atti del genere hanno in ogni caso carattere decisorio. Inoltre, sia il principio di leale cooperazione, di cui all’articolo 4, paragrafo, 3 TUE, sia l’obiettivo di un’efficace e uniforme applicazione del diritto della concorrenza impongono al giudice nazionale di tener conto della valutazione preliminare della Commissione e di considerarla quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale dell’accordo di cui trattasi alla luce dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE» (37).

128. La giurisprudenza citata è particolarmente in linea con l’esigenza, sottesa al regolamento n. 1/2003, di assicurare l’uniformità dell’applicazione del diritto europeo della concorrenza in un sistema di enforcement decentralizzato. A questo proposito va ricordato che «per assicurare il rispetto dei principi della certezza del diritto e dell’applicazione uniforme delle regole di concorrenza comunitarie in un sistema di competenze parallele devono essere evitati i conflitti fra decisioni. Occorre pertanto precisare, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, gli effetti delle decisioni e dei procedimenti della Commissione sulle giurisdizioni e sulle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri» (38).

129. Se la decisione della Commissione, adottata sul fondamento del più volte citato articolo 9 non imponesse al giudice nazionale di tenerne conto come principio di prova, si aprirebbe un pericoloso spazio a forti divergenze nell’applicazione in ogni Stato membro del diritto europeo della concorrenza mettendo a repentaglio il sistema di enforcement decentrato introdotto dal regolamento n. 1/2003.

130. In questo contesto, la possibilità per l’impresa terza, come GCP, di far valere davanti al giudice nazionale le proprie ragioni ottenendo l’accoglimento della domanda di risarcimento danni contro Paramount è molto depotenziata dovendo essere superata la presunzione dell’illiceità delle clausole pertinenti. In definitiva, per conseguire l’obiettivo di tutelare la concorrenza seguendo un procedimento particolarmente semplificato e, quindi, con minori garanzie di tutela attraverso diritti di partecipazione procedimentale dei soggetti interessati alla decisione, si viene a realizzare un sacrificio eccessivo della libertà contrattuale di terzi.

131. Né si può obiettare a questa conclusione che il sacrificio imposto alla libertà contrattuale dei terzi sarebbe stato necessario per tutelare la concorrenza e che la Commissione non poteva modificare il contenuto degli impegni che sono atto unilaterale dell’impresa. Al riguardo è sufficiente osservare che la Commissione aveva altri mezzi più idonei, in relazione alle caratteristiche del caso di specie, per curare l’interesse pubblico tutelato dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Infatti, essa poteva respingere gli impegni, perché in conflitto con il principio di proporzionalità e seguire il procedimento ex articolo 7 del regolamento n. 1/2003 al fine di accertare o meno l’esistenza di un’infrazione (39).

132. In ultimo va osservato, come efficacemente sostenuto da GCP in udienza, che la soluzione prospettata dal Tribunale avrebbe come conseguenza ultima di mettere in pericolo la funzionalità e l’efficienza del meccanismo di tutela della concorrenza attraverso le decisioni di accoglimento degli impegni. L’impresa che assume determinati impegni, poi resi vincolanti dalla Commissione, sarebbe infatti esposta, a seguire la prospettazione del Tribunale, a due «spade di Damocle» che metterebbero in seria discussione la certezza del diritto e l’equilibrio del sistema: la possibilità di incorrere in responsabilità contrattuale da parte dei giudici nazionali nei diversi Paesi dell’Unione e la possibilità, ancor più negativa per il sistema, di una riapertura del procedimento da parte della Commissione (40), nel caso in cui il giudice nazionale imponesse all’impresa la violazione dell’impegno reso obbligatorio.

b)      Conclusione parziale

133. Da quanto sopra esposto consegue che la Commissione, nell’accogliere gli impegni di Paramount, non ha adeguatamente tenuto conto degli interessi dei terzi, nel caso di specie particolarmente coinvolti in ragione degli accordi contrattuali già conclusi con la Paramount da altri soggetti terzi tra cui l’odierno appellante, violando così il principio di proporzionalità. Il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel ritenere esente da vizi sul punto la decisione della Commissione e, pertanto, sotto questo specifico profilo, suggerisco alla Corte di accogliere il quarto motivo di appello.

V.      Conclusioni

134. Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di respingere, in quanto infondato, il terzo motivo di appello e di accogliere, in relazione al profilo indicato, il quarto motivo di appello.


1      Lingua originale: l’italiano.


2      GU 2003, L 1, pag. 1.


3      GU 2004, L 123, pag. 18.


4      Caso AT.40023 – Accesso transfrontaliero ai servizi televisivi a pagamento, del 26 luglio 2016.


5      Ordinanza del 13 luglio 2017, Groupe Canal +/Commissione, T‑873/16, non pubblicata, EU:T:2017:556.


6      Sentenza del 12 dicembre 2018, Groupe Canal +/Commissione, T‑873/16, EU:T:2018:904.


7      GU 2011, C 308, pag. 6.


8      «The impact of cross border to audiovisual content of EU consumers», prodotto da GCP.


9      Su cui, da ultimo, il regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018, recante misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell’ambito del mercato interno e che modifica i regolamenti (CE) n. 2006/2004 e (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE GU L 60I del 2 marzo 2018, pagg. da 1 a 15.


10      Si veda la memoria difensiva della Commissione dove, al punto 11, si legge che «la decisione impugnata non riguarda la “fine” del “geoblocco” per quanto riguarda “servizi” o “contenuti audiovisivi” (punti 19, 20 e 23 del ricorso), ma solo restrizioni contrattuali relative alle vendite passive al di fuori del territorio coperto dalla licenza concessa dalla Paramount alla Sky».


11      Si veda da ultimo sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010:377), punti 40 e seguenti.


12      Sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010:377), punto 40.


13      Sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010:377), punto 41.


14      Per la condivisibile osservazione secondo cui, a differenza che nel procedimento ex articolo 9 del regolamento n. 1/2003 in cui la Commissione si fonda su impegni volontariamente offerti dalle parti, «nell’ambito di una decisione ai sensi dell’articolo 7, essa sarebbe tenuta a trovare eventualmente essa stessa i rimedi, il che le richiederebbe indagini considerevolmente più ampie e lunghe ed anche una completa valutazione dei fatti», si veda conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2009:555), paragrafo 51.


15      Sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010:377), punto 48.


16      Il principio della certezza del diritto, uno dei principi generali del diritto, come si legge nella sentenza del 24 giugno 2019, Popławski (C‑573/17, EU:C:2019:530), punto 75, ha come corollario «il principio della tutela del legittimo affidamento e richiede, da un lato, che le norme giuridiche siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per coloro che vi sono sottoposti», così la sentenza dell’11 settembre 2019, Călin (C‑676/17, EU:C:2019:700), punto 50 e giurisprudenza ivi citata. Nello stesso senso si veda sentenza del 19 dicembre 2019, GRDF (C‑236/18, EU:C:2019:1120), punto 42.


17      Sentenza dell’11 settembre 2014, CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204), punto 55.


18      Sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:52), punto 82.


19      Sentenza del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a. (C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2011:631) in cui si legge che «un accordo volto a ristabilire la compartimentazione dei mercati nazionali può essere tale da impedire il perseguimento dell’obiettivo del Trattato diretto a realizzare l’integrazione dei mercati nazionali tramite la creazione di un mercato unico» (punto 139). E che «tale giurisprudenza risulta pienamente trasponibile al settore della prestazione transfrontaliera di servizi di radiodiffusione» (punto 140).


20      Tale linea interpretativa è stata inaugurata dalla Corte con la pronuncia resa nel caso Consten Grunding, nel quale l’assegnazione di un marchio registrato era stato uno dei mezzi per conferire protezione territoriale ad un distributore, sentenza del 13 luglio 1966, Consten e Grundig/Commissione (56/64 e 58/64, EU:C:1966:41); successivamente, sentenza dell’8 giugno 1982, Nungesser e Eisele/Commissione (258/78, EU:C:1982:211). Per il settore farmaceutico si veda da ultimo sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:52), dove, al punto 79, si legge che «un diritto di proprietà industriale o commerciale, in quanto istituto giuridico, non possiede le caratteristiche di accordo o pratica concordata contemplate dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma il suo esercizio può ricadere sotto i divieti del Trattato tutte le volte che risultasse essere l’oggetto, il mezzo e la conseguenza di un’intesa […] nonostante il fatto che possa costituire l’espressione legittima del diritto di proprietà intellettuale che consente al titolare dello stesso, in particolare, di opporsi a qualsivoglia contraffazione».


21      Sentenza del 6 ottobre 1982, Coditel e a. (262/81, EU:C:1982:334), punto 15.


22      Sentenza del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a. (C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2011:631), punti 107 e 108.


23      Ma anche la Commissione nel corso dell’udienza del 6 febbraio 2020 (pagg. 7 e 8 della trascrizione integrale dell’udienza).


24      Secondo il normale schema di riparto dell’onere probatorio, sancito dall’articolo 2 del regolamento n. 1/2003, ribadito da costante giurisprudenza, secondo cui «spetta alla parte o all’autorità che deduce un’infrazione delle regole sulla concorrenza l’onere di provare l’esistenza di tale infrazione, e all’impresa o all’associazione di imprese che sollevano un mezzo difensivo contro la constatazione di un’infrazione l’onere di provare che le condizioni per l’applicazione della norma sulla quale si fonda tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che detta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova», sentenza del 26 gennaio 2017, Duravit e a./Commissione (C‑609/13 P, EU:C:2017:46), punto 56 e giurisprudenza ivi citata. Nello stesso senso, si veda sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione (C‑413/08 P, EU:C:2010:346), punto 29.


25      L’oggetto specifico della proprietà intellettuale non garantisce, infatti, che i titolari dei diritti interessati hanno la possibilità di esigere il più alto livello possibile di remunerazione; per quanto riguarda il broadcasting, tale remunerazione deve essere in particolare ragionevole in relazione ai parametri della trasmissione in questione, come il loro pubblico effettivo e il loro pubblico potenziale (punti 41 e 42 della decisione della Commissione e 53 e 54 della sentenza impugnata).


26      Conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2009:555), paragrafo 100.


27      Conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2009:555), paragrafo 102.


28      GU 2011, C 308, pag. 6.


29      La tutela attribuita dall’articolo 16 della Carta «implica la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale, la libertà contrattuale nonché la libera concorrenza. Inoltre, la libertà contrattuale comprende, in particolare, la libera scelta della controparte economica nonché la libertà di determinare il prezzo di una prestazione», così sentenza del 20 dicembre 2017, Polkomtel (C‑277/16, EU:C:2017:989), punto 50. Nello stesso senso sentenza del 12 luglio 2018, Spika e a. (C‑540/16, EU:C:2018:565), punto 34, sentenza del 26 ottobre 2017, BB construct (C‑534/16, EU:C:2017:820), punti 34 e 35, sentenza del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28), punto 42.


30      Sentenza del 9 settembre 2004, Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, EU:C:2004:497), punti 51 e 52; sentenza del 6 settembre 2012, Deutsches Weintor (C‑544/10, EU:C:2012:526), punto 54.


31      Sentenza del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28), punto 46.


32      Sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010:377), punto 41.


33      Sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010:377), punto 47, in cui si legge che «anche se certamente ciascuna delle decisioni adottate a titolo di tali due disposizioni è assoggettata al principio di proporzionalità, l’applicazione di tale principio è tuttavia diversa a seconda che l’una o l’altra di tali disposizioni sia interessata».


34      Sentenza dell’11 gennaio 2017, Spagna/Consiglio (C‑128/15, EU:C:2017:3), punto 71. Nello stesso senso si veda, tra le tante, sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), punto 54, sentenza dell’8 aprile 2014, Digital Rights Ireland (C‑293/12 e C‑594/12, EU:C:2014:238), punto 46, sentenza del 23 ottobre 2012, Nelson e a. (C‑581/10 e C‑629/10, EU:C:2012:657), punto 71.


35      Conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2009:555), paragrafo 42 e sentenze ivi citate alle note 22 e 23.


36      Sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2010:377), punto 49.


37      Sentenza del 23 novembre 2017, Gasorba e a. (C‑547/16, EU:C:2017:891), punto 29.


38      Considerando 22 del regolamento n. 1/2003.


39      D’altra parte, qualora «gli impegni di una o più imprese si rivelino sproporzionati in relazione all’obiettivo della Commissione, consistente nel garantire che la concorrenza non venga falsata, essa non può dichiararli obbligatori. Piuttosto, essa deve richiamare l’attenzione della o delle imprese sulla mancanza di proporzionalità e, se del caso, stimolare delle modifiche agli impegni», conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Alrosa (C‑441/07 P, EU:C:2009:555), paragrafo 43. E, in ogni caso, sempre nelle parole dell’avvocato generale Kokott «La Commissione non deve accettare impegni la cui idoneità possa essere valutata solo a seguito di un esame approfondito da parte della medesima» (paragrafo 53).


40      Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1/2003.