Language of document : ECLI:EU:C:2017:973

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 14 dicembre 2017 (1)

Cause riunite C331/16 e C366/16

K.

contro

Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi)]

e

H.F.

contro

Belgische Staat

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione del contenzioso per gli stranieri, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 27, paragrafo 2 – Limitazione delle libertà di circolazione e di soggiorno per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza – Minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società – Persona esclusa dallo status di rifugiato per i motivi previsti all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra e all’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2011/95/UE – Proporzionalità – Articolo 28, paragrafo 1 e paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE – Articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto al rispetto della vita privata e familiare»






I.      Introduzione

1.        Il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi) e il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio) pongono interrogativi alla Corte relativamente all’interpretazione dell’articolo 27, paragrafo 2, e dell’articolo 28, paragrafo 1 e paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE (2), in combinato disposto con l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e con l’articolo 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

2.        Tali domande di pronuncia pregiudiziale si iscrivono nel contesto di controversie vertenti sulla conformità alle menzionate disposizioni di misure restrittive delle libertà di circolazione e di soggiorno derivate dalla direttiva 2004/38, adottate nei confronti di persone che, prima di acquisire la qualità di cittadino dell’Unione o di familiare di un cittadino dell’Unione, sono state escluse dallo status di rifugiato in applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra») (3).

3.        Tale disposizione – i cui termini vengono ripresi all’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2011/95/UE (4) – priva del beneficio della protezione risultante dalla convenzione di Ginevra i richiedenti asilo nei confronti dei quali sussistono fondati motivi per ritenere che essi abbiano commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità.

4.        I giudici del rinvio chiedono, in sostanza, se, e a quali condizioni, il fatto che ad una persona sia stata applicata, in passato, la clausola di esclusione prevista all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione citata, possa giustificare la restrizione delle libertà di circolazione e di soggiorno che tale persona trae dalla direttiva 2004/38.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto internazionale

5.        L’articolo 1 della convenzione di Ginevra, dopo aver definito nella sezione A, in particolare, la nozione di «rifugiato», nella sezione F enuncia quanto segue:

«Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone, di cui vi sia serio motivo di sospettare che:

a)      hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, nel senso degli strumenti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini;

b)      hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;

c)      si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi della Nazioni Unite».

B.      Diritto dell’Unione

1.      La direttiva 2004/38

6.        L’articolo 27, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38, dispone quanto segue:

«1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

7.        Ai sensi dell’articolo 28 di tale direttiva:

«1.      Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi legami con il paese d’origine

2.      Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

3.      Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:

a)      abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni;

(…)».

2.      La direttiva 2011/95

8.        L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, prevede quanto segue:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

a)      abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

(…)».

C.      Le normative nazionali

1.      La normativa dei Paesi Bassi

9.        In conformità all’articolo 67 della Vreemdelingenwet (legge sugli stranieri), del 23 novembre 2000 (in prosieguo: la «legge olandese sugli stranieri»):

«1.      Fatta salva l’applicazione della sezione 3, uno straniero può essere dichiarato indesiderabile dal [Minister van Veiligheid en Justitie (ministro della Sicurezza e della Giustizia, Paesi Bassi)]:

(…)

e.      nell’interesse delle relazioni internazionali dei Paesi Bassi.

(…)

3.      In deroga all’articolo 8, lo straniero dichiarato indesiderabile non può trovarsi in situazione di soggiorno regolare».

2.      La normativa belga

10.      Secondo l’articolo 40 bis, paragrafo 2, della wet betreffende de toegang tot het grondgebied, het verblijf, de vestiging en de verwijdering van vreemdelingen (legge sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri), del 15 dicembre 1980 (in prosieguo: la «legge belga sugli stranieri»), nella sua versione in vigore all’epoca dei fatti rilevanti nella causa C‑366/16, sono considerati familiari di un cittadino dell’Unione, in particolare, gli ascendenti di quest’ultimo o quelli del coniuge a loro carico.

11.      L’articolo 43 di detta legge traspone nell’ordinamento giuridico belga l’articolo 27 della direttiva 2004/38.

III. Le controversie nei procedimenti principali, le questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte

A.      La causa C331/16

12.      Il sig. K. possiede la doppia cittadinanza della Bosnia-Erzegovina e croata. Egli è giunto nei Paesi Bassi nel 2001, accompagnato dalla moglie e dal figlio maggiore. Stando alle indicazioni del giudice del rinvio, il sig. K ha soggiornato da allora in tale Stato membro senza interruzioni. Il figlio minore vi è nato nel 2006.

13.      Il sig. K. ha depositato una prima domanda di asilo poco dopo il suo arrivo nei Paesi Bassi, nel 2001. Lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (segretario di Stato alla sicurezza e alla giustizia, Paesi Bassi; in prosieguo: lo «Staatssecretaris olandese») ha respinto la domanda in parola con decisione del 15 maggio 2003. Suddetta decisione era fondata sulla sussistenza di fondati motivi per ritenere che il sig. K. avesse commesso, nel territorio dell’ex-Jugoslavia, reati rientranti nelle categorie di cui all’articolo 1, sezione F, lettere a) e b), della convenzione di Ginevra nel corso del periodo compreso fra l’aprile del 1992 e il febbraio del 1994. La decisione di cui trattasi è divenuta definitiva a seguito di una sentenza confermativa del Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), del 21 febbraio 2005.

14.      Nel 2011, il sig. K. ha presentato una seconda domanda di asilo, parimenti respinta con decisione dello Staatssecretaris olandese, il 16 gennaio 2013, a causa dell’applicazione delle clausole di esclusione enunciate all’articolo 1, sezione F, lettera a) e b), della convenzione di Ginevra. Tale decisione era corredata di un divieto d’ingresso nel territorio olandese per un periodo di dieci anni. Il Raad van State (Consiglio di Stato) ha confermato detta decisione con sentenza del 10 febbraio 2014, a seguito della quale essa è divenuta definitiva.

15.      Inoltre, il sig. K. ha chiesto allo Staatssecretaris olandese l’annullamento del divieto di ingresso nel territorio dei Paesi Bassi emesso nei suoi confronti. Con decisione del 22 luglio 2015, detta autorità ha rimosso il divieto, sostituendolo con una dichiarazione di indesiderabilità fondata sull’articolo 67, paragrafo 1, lettera e), della legge olandese sugli stranieri. Simile decisione è stata adottata stante l’acquisizione della qualità di cittadino dell’Unione da parte del sig. K. a seguito dell’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione il 1o luglio 2013. Diversamente da un divieto di ingresso, il quale può riguardare unicamente i cittadini di Stati terzi, una dichiarazione di indesiderabilità può essere adottata nei confronti di un cittadino dell’Unione.

16.      Il sig. K. ha presentato opposizione allo Staatssecretaris olandese avverso tale dichiarazione di indesiderabilità. Detta opposizione è stata respinta con decisione del 9 dicembre 2015 (in prosieguo: la «decisione controversa nella causa C‑331/16»).

17.      Nella summenzionata decisione, lo Staatssecretaris olandese ha richiamato le sue decisioni del 15 maggio 2003 e del 16 gennaio 2013, con le quali egli ha respinto le domande di asilo presentate dal sig. K. Facendo riferimento alla prima delle decisioni in parola e al progetto concretizzatosi nella sua adozione, detta autorità ha constatato che il sig. K. doveva essere stato a conoscenza («knowing participation») dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi dalle unità speciali dell’esercito bosniaco di cui egli ha fatto parte e che vi aveva partecipato personalmente («personal participation»).

18.      Sulla mera base dei menzionati precedenti accertamenti, lo Staatssecretaris olandese ha ritenuto che, con la sua presenza nei Paesi Bassi, il sig. K. arrechi pregiudizio alle relazioni internazionali di tale Stato membro. Secondo detta autorità, occorre evitare che quest’ultimo divenga un paese di accoglienza per persone rispetto alle quali esistono fondati motivi per ritenere che le stesse si siano rese colpevoli di un comportamento di un tipo preso in considerazione all’articolo 1, sezione F, della convenzione di Ginevra. Inoltre, la tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza imporrebbe d’intraprendere tutti i passi necessari al fine di impedire che i cittadini olandesi entrino in contatto con persone siffatte e, in particolare, che le vittime dei crimini addebitati al sig. K. o loro familiari si trovino posti a confronto con il medesimo nei Paesi Bassi.

19.      In considerazione di quanto precede, detta autorità ha concluso che il sig. K. rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

20.      A sostegno di una siffatta conclusione, lo Staatssecretaris olandese ha citato le sentenze del Raad van State (Consiglio di Stato) del 12 settembre 2008 (5), del 16 giugno 2015 (6) e del 21 agosto 2015 (7). In tali sentenze, detto giudice ha considerato che, alla luce dell’eccezionale gravità dei crimini di cui all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, la minaccia per un interesse fondamentale della società causata rappresentata dalla presenza di una persona esclusa dallo status di rifugiato ai sensi della disposizione menzionata è, per sua natura, costantemente attuale. Secondo il giudice in parola, la constatazione di una siffatta minaccia non richiede un pronostico del probabile comportamento futuro del soggetto di cui trattasi.

21.      Lo Staatssecretaris olandese ha aggiunto che il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito all’articolo 8 della CEDU non ostava a che il sig. K. fosse dichiarato indesiderabile.

22.      Il sig. K. ha proposto dinanzi al Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg), un ricorso avverso la decisione controversa nella causa C‑331/16.

23.      In simile contesto, tale giudice si interroga, in primo luogo, sulla compatibilità della decisione in parola con l’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38. Alla luce, in particolare, del lasso di tempo trascorso dal periodo nel corso del quale il sig. K. avrebbe commesso reati rientranti nelle categorie di cui all’articolo 1, sezione F, lettera a) e b), della convenzione di Ginevra, detto giudice si chiede, in sostanza, se l’esistenza di fondati motivi per ritenere che il sig. K. abbia commesso siffatti reati sia sufficiente a considerare che la sua presenza nel territorio olandese costituisca una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società» ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva. Detto giudice rileva parimenti che al sig. K. non è stata inflitta alcuna condanna penale.

24.      Al riguardo, il giudice del rinvio nutre dei dubbi sulla conformità a tale disposizione della giurisprudenza del Raad van State (Consiglio di Stato) citata al paragrafo 19 delle presenti conclusioni, sulla quale si fonda la decisione controversa nella causa C‑331/16. Dubbi simili trovano appigli tanto nel testo della menzionata disposizione quanto nella giurisprudenza della Corte, e in particolare nelle sue sentenze Bouchereau (8), B e D (9), I (10), nonché H.T. (11).

25.      Il giudice del rinvio menziona, inoltre, una sentenza pronunciata in Belgio il 27 marzo 2013 dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) (12), nella quale è stato respinto qualsiasi automatismo fra l’applicazione, da parte delle autorità olandesi, dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra a causa di condotte precedenti di un familiare di un cittadino dell’Unione e l’esistenza di una minaccia che giustifichi il diniego di concedere al medesimo il diritto di libera circolazione e soggiorno.

26.      Peraltro, nell’ambito del suo ricorso avverso la decisione controversa nella causa C‑331/16, il sig. K. fa segnatamente valere che le relazioni internazionali non rientrano nella nozione di «ordine pubblico» ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38. Inoltre, l’approccio secondo il quale ogni eventuale contatto di quest’ultimo con una delle sue vittime genererebbe di per sé un pericolo per l’ordine pubblico amplierebbe eccessivamente tale nozione. In ogni caso, lo Staatssecretaris olandese non avrebbe illustrato in maniera sufficiente i motivi per cui la sua presenza nei Paesi Bassi arrecherebbe pregiudizio alle relazioni internazionali di tale Stato membro. Detta autorità non avrebbe neanche dimostrato in maniera plausibile la presenza di vittime del sig. K. sul suolo olandese.

27.      In secondo luogo, il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg), dubita della conformità della decisione in parola al requisito, enunciato all’articolo 27, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38, secondo il quale tutte le restrizioni ai diritti di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione devono rispettare il principio di proporzionalità. Tale giudice si interroga parimenti sulla compatibilità di detta decisione con l’articolo 28, paragrafo 1 e paragrafo 3, lettera a), della medesima direttiva. Esso, richiama, al riguardo, il punto 3.3 della comunicazione della Commissione concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della [direttiva 2004/38] (in prosieguo: gli «orientamenti della Commissione») (13).

28.      A tal riguardo, il giudice del rinvio indica che il sig. K. e i suoi familiari sono perfettamente integrati nella società olandese, in quanto vivono nei Paesi Bassi dal 2001, ove è nato il secondo figlio del sig. K. e ove entrambi i suoi figli sono inseriti nel sistema scolastico. Il sig. K. ha inoltre dichiarato che la sua famiglia ha ottenuto la cittadinanza croata per ragioni meramente tecniche, essendo tale paese loro totalmente estraneo, poiché non vi hanno mai abitato e non risiedendovi nessun loro familiare. Peraltro, quest’ultimo afferma che i croati, di religione cattolica, non possono più costruire la loro vita in Bosnia‑Erzegovina, paese con il quale i suoi figli non hanno del resto alcun legame.

29.      In siffatte circostanze, il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg), ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 consenta che un cittadino dell’Unione, come nel presente caso, rispetto al quale è stata accertata giudizialmente l’applicabilità dell’articolo 1, sezione F, lettere a) e b), della convenzione di Ginevra, venga dichiarato indesiderabile in quanto l’eccezionale gravità dei reati a cui si riferisce la citata disposizione della convenzione conduce alla conclusione che si deve presumere che la minaccia per un interesse fondamentale della società è per sua natura costantemente attuale.

2.      In caso di risposta negativa alla prima questione, come procedere nel contesto di un esame finalizzato a dichiarare una persona indesiderabile se il comportamento del cittadino dell’Unione, come sopra indicato, al quale è stato dichiarato applicabile l’articolo 1, sezione F, lettere a) e b), della convenzione di Ginevra, debba essere considerato come una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. In che misura sia rilevante al riguardo il fatto che dai comportamenti di cui all’articolo 1, sezione F, come nel caso in discussione, sia trascorso un lasso di tempo considerevole – in questo caso: il periodo compreso fra il 1992 e il 1994.

3.      In che modo svolga un ruolo il principio di proporzionalità al fine di valutare se un provvedimento che dichiara una persona indesiderabile possa essere imposto ad un cittadino dell’Unione al quale è dichiarato applicabile l’articolo 1, sezione F, lettere a) e b), della convenzione di Ginevra, come nel caso in discussione. Se in tale contesto, o indipendentemente dallo stesso, debbano essere presi in considerazione gli elementi menzionati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. Se in tale contesto, o indipendentemente dallo stesso, debba essere preso in considerazione anche il periodo di dieci anni di soggiorno nello Stato membro ospitante, previsto all’articolo 28, paragrafo 3, parte iniziale, lettera a). Se debbano comunque essere considerati gli elementi menzionati al punto 3.3 degli [orientamenti della Commissione]».

B.      La causa C366/16

30.      Il sig. H.F. ha dichiarato di essere cittadino afgano. Nel 2000, egli è entrato nel territorio olandese e ha ivi presentato una domanda di asilo.

31.      Con decisione del 26 maggio 2003, l’Immigratie- en Naturalisatiedienst (servizio di immigrazione e naturalizzazione, Paesi Bassi; in prosieguo: l’«autorità olandese competente in materia di asilo») ha escluso il sig. H.F. dallo status di rifugiato sulla base dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra. Con decisione del 9 gennaio 2006, tale autorità gli ha negato il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo sulla base dell’articolo 3 della CEDU. Queste due decisioni sono state confermate in sede giudiziaria e sono divenute definitive.

32.      Successivamente, lo Staatssecretaris olandese ha adottato un provvedimento di espulsione giudiziaria con divieto d’ingresso nel territorio nei confronti del sig. H.F. Sulla base di tale provvedimento, il sig. H.F. è stato segnalato nel corso del 2013 e del 2014 ai fini del rifiuto di ingresso o di soggiorno nello spazio Schengen per un periodo di tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 24 del regolamento (CE) n. 1987/2006 (14).

33.      Risulta dalla decisione di rinvio che al sig. H.F. non è stata inflitta alcuna condanna penale in Belgio o nei Paesi Bassi. Quest’ultimo ha parimenti prodotto un estratto del suo casellario giudiziario da cui non risultano provvedimenti a suo carico in Afghanistan.

34.      La figlia maggiore del sig. H.F. è cittadina olandese. Nel 2011, il sig. H.F. e sua figlia si sono stabiliti in Belgio, ove quest’ultima è economicamente attiva.

35.      Il sig. H.F. ha presentato al delegato dello Staatssecretaris voor Asiel en Migratie, Maatschappelijke Integratie en Armoedebestrijding (segretario di Stato per l’asilo e l’immigrazione, l’integrazione sociale e la lotta contro la povertà, Belgio; in prosieguo: lo «Staatssecretaris belga»), quattro domande consecutive di autorizzazione di soggiorno. Le ultime tre domande vertevano sulla concessione di un permesso di soggiorno in quanto familiare di un cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/38, più precisamente quale ascendente della figlia maggiore, cittadina olandese stabilita in Belgio. Alle suddette quattro domande sono conseguite decisioni di diniego di soggiorno accompagnate da un ordine di lasciare il territorio belga.

36.      La decisione di diniego di soggiorno accompagnata da un ordine di lasciare il territorio belga adottata in risposta alla quarta domanda di autorizzazione di soggiorno presentata dal sig. H.F. è stata annullata da una sentenza del Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri), del 17 giugno 2015. A seguito di tale sentenza, il delegato dello Staatssecretaris belga ha adottato nei confronti del sig. H.F., l’8 ottobre 2015, una nuova decisione di diniego di soggiorno di più di tre mesi senza ordine di lasciare il territorio (in prosieguo: la «decisione controversa nella causa C‑366/16»). Costituisce base giuridica della decisione in parola l’articolo 43 della legge belga sugli stranieri, il quale traspone nel diritto belga l’articolo 27 della direttiva 2004/38.

37.      A sostegno di detta decisione, il delegato dello Staatssecretaris belga si è fondato sulle informazioni contenute nel fascicolo del procedimento di asilo olandese concernente il sig. H.F., ottenuto con la collaborazione di quest’ultimo. Emerge da tale fascicolo che, stando alle conclusioni dell’autorità olandese competente in materia di asilo, sussistono fondati motivi per ritenere che il sig. H.F. abbia commesso reati rientranti nelle categorie di cui all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra. Il sig. H.F. avrebbe preso parte a crimini di guerra o a crimini contro l’umanità, o avrebbe dato l’ordine di commettere siffatti crimini, considerate le funzioni che svolgeva in Afghanistan. Inoltre, in quanto segretario politico, egli sarebbe stato in contatto con il KhAD, un servizio di informazioni afgano sotto il precedente regime comunista e, in tale ambito, avrebbe riferito in merito a membri non leali. Il sig. H.F. avrebbe dunque esposto questi ultimi a violazioni dei loro diritti fondamentali da parte del KhAD.

38.      Il delegato dello Staatssecretaris belga ha considerato che la minaccia per un interesse fondamentale della società risultante dalla presenza, all’interno della società belga, di una persona relativamente alla quale esistono fondati motivi per ritenere che la stessa abbia commesso reati del genere, presenta, per sua natura, un carattere costantemente attuale. In una siffatta ipotesi, la valutazione del comportamento futuro di tale persona non rileverebbe, data la natura e la gravità dei reati di cui trattasi, nonché dell’epoca, del luogo e delle circostanze in cui essi sono stati commessi. Di conseguenza, l’attualità della minaccia derivante dal comportamento di suddetta persona, al pari del rischio di recidiva, non dovrebbero essere resi verosimili.

39.      Detta autorità ha precisato che il diniego di soggiorno in una siffatta fattispecie serve a proteggere le vittime dei reati in parola e, in tal modo, la società belga e l’ordinamento giuridico internazionale. Per questi motivi, il diniego di accordare un diritto di soggiorno al sig. H.F. sarebbe conforme al principio di proporzionalità.

40.      Il sig. H.F. ha proposto un ricorso di sospensione ed annullamento dinanzi al Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) avverso tale decisione.

41.      Suddetto giudice nutre dei dubbi sulla conformità all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 della tesi accolta nella decisione controversa nella causa C‑366/16, illustrata al paragrafo 38 delle presenti conclusioni. Esso sottolinea che tale tesi corrisponde all’approccio seguito nei Paesi Bassi dal Raad van State (Consiglio di Stato) nella sentenza del 16 giugno 2015 (15).

42.      Il giudice del rinvio si chiede, in particolare, se l’esistenza di una decisione di esclusione dallo status di rifugiato adottata circa dieci anni prima da un altro Stato membro dispensi le autorità dello Stato membro ospitante dall’esaminare il carattere attuale e reale della minaccia derivante dal comportamento dell’interessato. Esso rileva, al riguardo, che una siffatta decisione riguarda, per sua natura, fatti che si sono svolti nel passato nel paese d’origine di quest’ultimo.

43.      Tale giudice precisa che il sig. H.F. fa valere, segnatamente, nell’ambito del suo ricorso avverso la decisione controversa nella causa C‑366/16, che la decisione di esclusione dallo status di rifugiato adottata dall’autorità olandese competente in materia di asilo era fondata su informazioni inesatte concernenti l’Afghanistan.

44.      Detto giudice solleva parimenti la questione della compatibilità della decisione controversa nella causa C‑366/16 con il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito all’articolo 7 della Carta e all’articolo 8 della CEDU.

45.      In tali circostanze, il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell’Unione, segnatamente l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, eventualmente in combinato disposto con l’articolo 7 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che una domanda di soggiorno, presentata da un familiare-cittadino di un paese terzo nel quadro di un ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione, che a sua volta si è avvalso del suo diritto di libera circolazione e di soggiorno, può essere respinta in uno Stato membro stante una minaccia che deriverebbe dalla mera presenza nella società di detto familiare, che in un altro Stato membro è stato escluso dallo status di rifugiato, ai sensi degli articoli 1, sezione F, della convenzione di Ginevra e 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, a causa del suo coinvolgimento in fatti avvenuti in uno specifico contesto storico-sociale nel suo paese di origine, mentre l’attualità e la concretezza della minaccia sulla base del comportamento di detto familiare nello Stato membro di soggiorno si fondano unicamente su un rinvio alla decisione di esclusione, senza che abbia luogo una valutazione del rischio di recidiva nello Stato membro di soggiorno».

C.      Procedimento dinanzi alla Corte

46.      Le domande di pronuncia pregiudiziale nelle cause C‑331/16 e C‑366/16 sono state registrate presso la cancelleria della Corte, rispettivamente, il 13 giugno 2016 e il 5 luglio 2016. Con decisione del presidente della Corte del 21 luglio 2016, le due cause in parola sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale e della sentenza.

47.      Il sig. K., i governi belga, greco, francese, olandese e del Regno Unito, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte.

48.      Sono comparsi all’udienza del 10 luglio 2017 i sigg. K. e H.F., i governi belga, francese, olandese e del Regno Unito, nonché la Commissione.

IV.    Analisi

A.      Considerazioni preliminari

49.      Al momento del loro ingresso nel territorio dell’Unione, i sigg. K. e H.F., i quali non rientravano, all’epoca, nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2004/38, hanno tentato di vedersi riconoscere lo status di rifugiato. Tale status è stato loro negato sulla base dell’articolo 1, sezione F, lettera a) – da solo, nel caso del sig. H.F., o in combinato con la lettera b) di tale disposizione, per quanto riguarda il sig. K. – della convenzione di Ginevra.

50.      Il sig. K. ha successivamente acquisito lo status di cittadino dell’Unione a seguito dell’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione. Secondo le indicazioni del Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri), quanto al sig. H.F., questi ha ottenuto la qualità di familiare di un cittadino dell’Unione dopo essersi ricongiunto, nel territorio belga, alla figlia cittadina olandese (16). Tali cambiamenti di situazione hanno fatto scattare l’applicabilità ai sigg. K. e H.F. della direttiva 2004/38.

51.      L’articolo 1, sezione F, della convenzione di Ginevra, se impone che le persone interessate dalla menzionata disposizione siano escluse dallo status di rifugiato ai sensi della mesdesima convenzione, non osta alla concessione a queste ultime di un diritto di soggiorno distinto da quello risultante da siffatto status, purché siffatto diritto di soggiorno non rischi di essere confuso con detto status (17). È pacifico che la concessione, ad una persona esclusa dallo status di rifugiato, di un diritto di soggiorno in quanto cittadino dell’Unione o familiare di un cittadino dell’Unione, soddisfa una simile condizione.

52.      Nella specie, i diritti di soggiorno che i sigg. K. e H.F. traggono dalla direttiva 2004/38 sono stati limitati da misure di ordine pubblico o di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della stessa direttiva (in prosieguo: le «misure restrittive») (18). Tali misure erano fondate sul fatto che questi ultimi sono stati destinatari, nel passato, di decisioni di esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, adottate dalle istanze di asilo dello Stato membro ospitante (nella situazione del sig. K.) o di un altro Stato membro (nel caso del sig. H.F.).

53.      I giudici del rinvio dsiderano sostanzialmente accertare se dette misure siano state prese nel rispetto delle condizioni enunciate all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il quale, giacché consente di derogare alle libertà fondamentali conferite dal Trattato FUE, deve essere interpretato restrittivamente (19).

54.      Essi pongono parimenti interrogativi alla Corte quanto alla compatibilità delle misure restrittive di cui ai procedimenti principali con il diritto alla vita privata e familiare ai sensi dell’articolo 7 della Carta e dell’articolo 8 della CEDU. Inoltre, il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg), chiede se le protezioni contro l’allontanamento previste all’articolo 28, paragrafo 1 e paragrafo 3, lettera a), di detta direttiva, si applichino in una situazione come quella del sig. K.

B.      Sull’accertamento di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società

55.      Con la prima e con la seconda questione sollevate nella causa C‑331/16 e con la questione proposta nella causa C‑366/16, i giudici del rinvio si propongono di accertare, in sostanza, se, ed eventualmente a che condizioni, uno Stato membro possa ritenere che la presenza nel proprio territorio di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare costituisca una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società», ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, per il motivo che tale persona sia stata destinataria, in passato, di una decisione di esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra.

56.      In particolare, il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg), interpella la Corte circa la rilevanza, in siffatto contesto, del fatto che un lasso di tempo significativo (nella specie, più di venti anni) separi la presunta commissione dei reati che ha giustificato l’esclusione dallo status di rifugiato e l’adozione della misura restrittiva in discussione. Il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) chiede se sia necessario valutare il rischio di recidiva dei comportamenti contemplati all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra nello Stato membro ospitante, fermo restando che detti comportamenti si sono verificati nel paese d’origine dell’interessato in un contesto storico e sociale specifico.

57.      Tali questioni riflettono i dubbi nutriti dai giudici del rinvio quanto alla conformità all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 della motivazione delle decisioni controverse, secondo la quale l’applicazione nel passato dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra implica, alla luce della particolare gravità dei reati presi in considerazione dalla menzionata disposizione, che la presenza dell’interessato nel territorio dello Stato membro ospitante costituisca una minaccia «per sua natura, costantemente attuale» (20).

58.      La valutazione di una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 presuppone, in un primo tempo, che venga individuato un «interesse fondamentale della società» la cui tutela sia riconducibile all’ambito dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza. Nella specie, il sig. K. fa valere che la salvaguardia degli interessi invocati a sostegno delle decisioni controverse non rientra nelle nozioni di «ordine pubblico» o di «pubblica sicurezza» ai sensi della menzionata disposizione. Inizierò la mia esposizione confutando tale argomento (sezione 1).

59.      In un secondo tempo, l’accertamento di una siffatta minaccia comporta che lo Stato membro interessato spieghi perché detti interessi siano, in un determinato caso, minacciati in modo reale, attuale e sufficientemente grave dal comportamento personale dell’individuo interessato. Illustrerò nel prosieguo le implicazioni di un requisito simile in situazioni come quelle di cui ai procedimenti principali (sezione 2).

1.      Sull’individuazione di un «interesse fondamentale della società» la cui protezione rientra nell’ambito dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza

60.      Secondo una giurisprudenza costante, le nozioni di «ordine pubblico» e di «pubblica sicurezza», qualora autorizzino una deroga alle libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari, devono essere intese in senso restrittivo, cosicché la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. Tuttavia, il diritto dell’Unione non impone una scala uniforme di valori e riconosce che le regole di ordine pubblico e di pubblica sicurezza possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra. Gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare il contenuto di tali regole conformemente alle loro necessità nazionali (21).

61.      Alla luce di siffatti principi, la Corte ha già riconosciuto che le esigenze di ordine pubblico e di pubblica sicurezza ai sensi delle disposizioni che consentono di restringere dette libertà non si limitano alla protezione della tranquillità e della sicurezza fisica diretta della popolazione contro il rischio di compimento di atti criminali.

62.      In tal senso, essa ha dichiarato che la «nozione di pubblica sicurezza», la quale comprende tanto la sicurezza interna quanto la sicurezza esterna dello Stato membro in discussione, include segnatamente «il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché all’incolumità della popolazione, come il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari» (22).

63.      Le esigenze di ordine pubblico, se non possono coprire interessi economici (23) né la mera prevenzione delle perturbazioni dell’ordine sociale insite in qualsiasi infrazione della legge (24), possono comprendere la protezione di diversi interessi considerati fondamentali dallo Stato membro di cui trattasi secondo il proprio sistema di valori. In particolare, la Corte ha riconosciuto la possibilità per uno Stato membro di invocare, in determinate circostanze, a titolo di ordine pubblico, la protezione di un interesse fondamentale talmente lontano dalla tranquillità e dalla sicurezza fisica diretta della sua popolazione quale la necessità di assicurare il recupero dei crediti tributari (25).

64.      Nella specie, come si evince dalla decisione di rinvio nella causa C‑331/16, la misura restrittiva adottata nei confronti del sig. K. era, in primo luogo, fondata su una disposizione legislativa olandese che consentiva di dichiarare uno straniero indesiderabile «nell’interesse delle relazioni internazionali dei Paesi Bassi». Lo Staatssecretaris olandese ha invocato, in tale contesto, la necessità di evitare che detto Stato membro divenga una terra di accoglienza per gli individui che sono sospettati di crimini contro la pace, crimini di guerra o crimini contro l’umanità. Su questa stessa linea, la decisione di rinvio nella causa C‑366/16 indica che la misura restrittiva adottata nei confronti del sig. H.F. era intesa, segnatamente, a proteggere l’ordinamento giuridico internazionale.

65.      A tal riguardo, il governo francese ha fatto valere che misure del genere possono parimenti rispondere all’interesse di sancire modalità rigorose di protezione dei valori fondamentali della società francese e dell’ordinamento giuridico internazionale, enunciate segnatamente all’articolo 21, paragrafo 1, TUE. Esse sarebbero necessarie al fine di contribuire al mantenimento della coesione sociale e, come del pari sostenuto dal governo del Regno Unito, della fiducia pubblica nei sistemi di giustizia e di immigrazione. Quest’ultimo governo fa valere, inoltre, l’interesse a preservare la credibilità dell’impegno dell’Unione e dei suoi Stati membri per quanto attiene alla protezione dei valori fondamentali enunciati agli articoli 2 e 3 TUE (26).

66.      In secondo luogo, lo Staatssecretaris olandese ha giustificato la misura restrittiva in discussione nella causa di cui trattasi con la necessità di impedire che la popolazione olandese entri in contatto con persone del genere e, in particolare, che loro potenziali vittime o loro familiari si trovino faccia a faccia con tali persone. In maniera simile, la decisione di rinvio nella causa C‑366/16 indica che la decisione controversa in detta causa aveva come obiettivo quello di proteggere le vittime delle persone escluse dallo status di rifugiato, nonché la società belga.

67.      I governi olandese e del Regno Unito aggiungono, a tal riguardo, che l’adozione di misure restrittive nei confronti di cittadini dell’Unione o di loro familiari che sono stati esclusi dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, risponde alla necessità di prevenire il sorgere del danno sociale connesso allo scandalo che rischierebbe di suscitare la presenza, in completa impunità, di un presunto criminale di guerra nel territorio dello Stato membro di cui trattasi.

68.      A mio parere, gli Stati membri possono ritenere, senza oltrepassare il potere discrezionale di cui dispongono per definire il contenuto delle esigenze di ordine pubblico, che la protezione degli interessi descritti supra rientri nell’ambito di tali esigenze. Alla luce dei principi enunciati ai paragrafi 60 e 63 delle presenti conclusioni, non ravviso alcuna ragione per escludere che gli Stati membri possano ritenere che, in conformità alle proprie scale di valori, detti interessi costituiscano interessi fondamentali della società ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, la cui tutela rientra nell’ordine pubblico.

69.      Ciò considerato, la possibilità di limitare i diritti di circolazione e di soggiorno tratti dalla direttiva 2004/38 in nome degli interessi fondamentali invocati a tal fine è circoscritta dalle condizioni enunciate all’articolo 27, paragrafo 2, della stessa direttiva.

2.      Sull’accertamento di una minaccia per gli interessi fondamentali invocati a causa del comportamento personale dell’interessato

70.      In conformità all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società», ai sensi di tale disposizione, deve discendere esclusivamente dal comportamento personale della persona interessata. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione. Inoltre, la sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di un provvedimento restrittivo.

71.      A tal riguardo, la Corte ha più volte dichiarato che una minaccia per un interesse fondamentale della società non possa essere accertata, in modo automatico, sulla sola base di una condanna penale anteriore per reati specifici (27). Tuttavia, le circostanze che hanno dato luogo a detta condanna possono essere prese in considerazione, al fine di fondare un siffatto accertamento, a condizione che esse attestino, al termine di un esame caso per caso, un comportamento personale costitutivo di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società ospitante (28).

72.      In un simile contesto, benché l’accertamento di una siffatta minaccia «implichi, in generale, in capo all’interessato, l’esistenza di una tendenza a ripetere in futuro [il comportamento sanzionato penalmente]» (29), la sola condotta tenuta in passato può costituire, in determinate circostanze, una siffatta minaccia (30).

73.      Illustrerò nel prosieguo le ragioni per le quali ritengo che i principi enunciati al paragrafo 71 delle presenti conclusioni siano applicabili per analogia allorché la persona interessata sia stata in precedenza destinataria non di una condanna penale, bensì di una decisione di esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra [lettera a)].

74.      Verranno poi esposti, alla luce della giurisprudenza richiamata al paragrafo 72 delle presenti conclusioni, i motivi che mi portano a concludere che il comportamento passato di tale persona, quale risulta dagli accertamenti alla base di simile decisione, può essere sufficiente a giustificare la constatazione di una minaccia «attuale», nonostante il decorso di un lungo periodo dalla presunta commissione dei reati alla stessa addebitati e l’assenza di propensione a reiterare siffatti reati nello Stato membro ospitante [lettera b)] (31).

a)      Sulla rilevanza della precedente applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra

1)      Sui principi applicabili

75.      Al fine di stabilire se i principi enunciati al paragrafo 71 delle presenti conclusioni possano disciplinare in maniera adeguata la situazione di una persona che, in passato, è stata esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, occorre tenere conto di due considerazioni particolari.

76.      Da un lato, il carattere eccezionalmente grave dei reati contemplati da tale disposizione potrebbe deporre a favore di un approccio più flessibile dal punto di vista degli Stati membri, che consenta loro di constatare una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 per il solo motivo che all’interessato è stata opposte la clausola di esclusione prevista all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra. I reati ivi elencati violano, infatti, i valori più fondamentali che si trovano alla base sia dell’ordinamento giuridico internazionale sia dei diritti dell’uomo (32) e riguardano l’intera comunità internazionale (33).

77.      Dall’altro, il fatto che l’applicazione della disposizione in parola non presupponga una condanna (34), né una prova nel senso penale del termine dei reati in questione, depone piuttosto per una maggiore prudenza quanto alla considerazione delle circostanze che hanno condotto alla decisione di esclusione, quali emergono dalle valutazioni delle autorità competenti in materia di asilo, al fine di fondare la constatazione di una siffatta minaccia.

78.      A mio avviso, tali considerazioni non ostano all’applicazione dei summenzionati principi.

79.      In primo luogo, ritengo che una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, non possa essere automaticamente constatata, senza un esame di più ampia portata, per il solo fatto che le autorità competenti in materia di asilo abbiano in precedenza escluso l’interessato dallo status di rifugiato sulla base dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra. Il requisito di un esame del comportamento individuale, discendente dal testo dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, mi sembra non ammettere deroghe, neanche qualora le condotte addebitate all’interessato rivestano una gravità estrema.

80.      Tale approccio è parimenti giustificato dal fatto che l’articolo 1, sezione F, della convenzione di Ginevra e l’articolo 27 della direttiva 2004/38 perseguono obiettivi diversi (35).

81.      Come rilevato dalla Corte nella sentenza B e D (36), le clausole di esclusione previste all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, il quale corrisponde all’articolo 1, sezione F, della convenzione di Ginevra, perseguono il fine «di escludere dallo status di rifugiato le persone ritenute indegne della protezione che è collegata a tale status e di evitare che il riconoscimento di tale status consenta ad autori di taluni gravi reati di sottrarsi alla responsabilità penale».

82.      Per contro, simili clausole di esclusione non mirano a proteggere la società ospitante nei confronti dell’eventuale pericolo che la presenza del richiedente asilo di cui trattasi all’interno della società in parola potrebbe rappresentare, essendo un siffatto obiettivo perseguito da altre disposizioni della direttiva 2011/95 (37). La Corte ha così dichiarato che l’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva non presuppone che tale persona rappresenti un pericolo concreto per la società di accoglienza (38).

83.      Alla luce degli obiettivi distinti delle menzionate disposizioni, le valutazioni che presiedono all’applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, al pari di quelle che si trovano alla base di una condanna penale (39), non coincidono necessariamente con quelle che devono essere effettuate nell’ottica degli interessi inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (40).

84.      In secondo luogo, tuttavia, i motivi sui quali si basa una decisione di esclusione dallo status di rifugiato possono essere presi in considerazione allorché rivelino, alla luce delle circostanze particolari di ciascun caso di specie, un comportamento personale costitutivo di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società (41). In una fattispecie del genere, le considerazioni che hanno giustificato l’applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, possono parimenti fondare la constatazione di una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (42).

85.      Il principio in parola non viene rimesso in discussione dalla circostanza che l’esclusione dallo status di rifugiato non presuppone una condanna penale né esige che i reati contestati all’interessato vengano accertati in conformità agli standard di prova generalmente applicabili nel diritto penale degli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nel diritto penale internazionale («al di là di ogni ragionevole dubbio») (43).

86.      Si evince infatti dalla giurisprudenza che l’esistenza di una condanna penale, se non è sufficiente, non è neanche necessaria ad avvalorare la constatazione di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Se del caso, anche un semplice sospetto di reato può, unitamente ad altri elementi relativi al caso particolare, fondare la constatazione di una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza (44).

87.      A maggior ragione, «serio motivi per sospettare» che l’interessato abbia commesso un reato di un tipo contemplato all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra – le quali implicano, più che meri sospetti, prove chiare, affidabili, credibili e convincenti (45) – possono essere prese in considerazione, insieme ad altri elementi (46), al fine di giustificare una siffatta constatazione.

88.      Peraltro, l’instaurazione, all’articolo 1, sezione F, della citata convenzione, di siffatto standard di prova meno elevato rispetto a quello vigente nel diritto penale si spiega con la circostanza che la disposizione in parola riguarda, nella maggior parte dei casi, persone che non sono state giudicate, né a fortiori condannate, per i reati loro contestati (47). Uno degli obiettivi delle clausole di esclusione dallo status di rifugiato consiste, appunto, nel combattere l’impunità, evitando che l’istituto dell’asilo venga utilizzato al fine di sottrarsi a procedimenti penali (48). Oltre a ciò, le autorità competenti in materia di asilo non dispongono né delle competenze né delle risorse per apportare le dimostrazione di atti criminali che, per giunta, sono stati presumibilmente compiuti in circostanze di fatto particolarmente difficili da chiarire (49).

89.      Nella specie, si evince dalle decisioni di rinvio che le misure restrittive adottate nei confronti dei sigg. K. e H.F. miravano, segnatamente, ad evitare la perturbamento che la loro presenza nel territorio dello Stato membro ospitante avrebbe potuto generare all’interno della società, in particolare per le loro potenziali vittime. Secondo il governo olandese, il turbamento dedotto consisterebbe nello shock che la presenza, in situazione di totale impunità, in tale territorio di persone sospettate di avere commesso i più gravi reati di diritto internazionale potrebbe suscitare.

90.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che il fatto che un individuo sia stato escluso dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, benché non possa automaticamente fondare la constatazione di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società, possa essere preso in considerazione a tal fine, purché le circostanze che hanno condotto all’applicazione della disposizione di cui trattasi, quali risultano dalle valutazioni effettuate dalle autorità competenti in materia di asilo, emerga un comportamento personale costitutivo di una siffatta minaccia.

2)      Sugli elementi che consentono di valutare se le circostanze che hanno fondato l’esclusione dallo status di rifugiato rivelino in un comportamento personale costitutivo di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società

91.      Come sottolineato dalla Corte nelle sentenze B e D (50)e Lounani (51), l’esclusione dallo status di rifugiato presuppone un esame completo delle precise circostanze proprie di ciascun caso individuale. Secondo diverse prese di posizione dell’UNHCR, esse includono, oltre alla natura dei reati dei quali l’interessato è sospettato, il livello di coinvolgimento individuale di quest’ultimo in tali reati, nonché l’eventuale esistenza di motivi di esenzione della responsabilità penale, come la coercizione o la legittima difesa (52).

92.      Tutte queste circostanze, come accertate dalle autorità competenti in materia di asilo, devono essere parimenti prese in considerazione, a mio avviso, al fine di valutare se il comportamento personale dell’interessato costituisca una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. In tale contesto, un peso considerevole può essere attribuito alla particolare gravità dei reati, previsti all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, al medesimo addebitati. Occorre tuttavia esaminare anche tutti gli altri elementi rilevanti.

93.      Per quanto riguarda, in particolare, il grado di coinvolgimento personale, osservo che, in forza dell’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, si ritiene che un richiedente asilo abbia «commesso» un reato ai sensi del paragrafo 2 del menzionato articolo nella misura in cui egli abbia istigato o abbia altrimenti concorso alla commissione di tale reato (53).

94.      Al riguardo, la Corte ha dichiarato, nella sentenza B e D (54), che le autorità competenti in materia di asilo non possono escludere una persona dallo status di rifugiato unicamente sul fondamento della sua passata appartenenza ad un’organizzazione coinvolta in uno dei reati di un tipo previsto all’articolo 1, sezione F, della convenzione di Ginevra, senza verificare se possa esserle imputata una parte di responsabilità per i reati addebitati a detta organizzazione alla luce di tutte le circostanze. Tali circostanze comprendono «il ruolo effettivamente svolto dalla persona considerata nel compimento degli atti in questione, la sua posizione all’interno dell’organizzazione, il grado di conoscenza che essa aveva o si poteva presumere avesse delle attività di quest’ultima, le eventuali pressioni alle quali sia stata sottoposta o altri fattori atti ad influenzarne il comportamento» (55).

95.      Nella specie, il sig. K. afferma di essere stato escluso dallo status di rifugiato sulla base della funzione obbligatoria che egli svolgeva nell’esercito bosniaco. Secondo quest’ultimo, la prassi delle autorità olandesi competenti in materia di asilo non soddisfa il requisito dell’esame individuale del livello di coinvolgimento personale del richiedente asilo interessato.

96.      Il sig. H.F. sostiene, da parte sua, che le autorità olandesi competenti in materia di asilo gli hanno opposto una clausola di esclusione unicamente con la motivazione che egli svolgeva una mera funzione logistica presso il KhAD (56).

97.      A tal riguardo, ricordo che, se le autorità dello Stato membro ospitante, nell’ambito dell’adozione di una misura restrittiva, non sono legittimate a mettere in discussione la fondatezza di una decisione di esclusione dallo status di rifugiato (57), incombe loro, cionondimeno, verificare se gli elementi sui quali le autorità competenti in materia di asilo hanno fondato una simile decisione siano parimenti idonei a giustificare la constatazione di una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

98.      Orbene, nell’ottica di tale disposizione, la circostanza secondo la quale l’interessato fa o ha fatto parte, in passato, di un’organizzazione coinvolta in atti criminali, può fondare la constatazione di una siffatta minaccia solo nella misura in cui detta circostanza dia prova di un comportamento personale lesivo dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza (58).

99.      Nella sentenza H.T. (59), la Corte ha applicato il ragionamento elaborato nella sentenza B e D (60)(illustrato al paragrafo 94 delle presenti conclusioni), per analogia, nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2011/95. Tale disposizione autorizza il diniego di rilascio di un permesso di soggiorno ad un rifugiato per «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico». Secondo la Corte, la nozione di «ordine pubblico» ai sensi di detta disposizione presuppone, in maniera simile a quanto previsto all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, «una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società» (61). Orbene, la Corte ha dichiarato che siffatta minaccia non potrebbe essere fondata unicamente su precedenti atti di sostegno ad un’organizzazione coinvolta in azioni criminali, senza un esame della responsabilità individuale del rifugiato in questione nell’attuazione di tali azioni con riferimento a fatti precisi (62). Una conclusione del genere mi pare essere valida per ciò che riguarda tanto l’interpretazione dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 quanto quella dell’articolo 27, della direttiva 2004/38, giacché la Corte, nella sentenza H.T. (63), ha considerato che la nozione di «pubblica sicurezza» ai sensi delle suddette due disposizioni deve essere interpretata in modo simile.

100. Spetterà ai giudici del rinvio valutare se le misure restrittive di cui ai procedimenti principali siano state adottate o meno al termine di un esame individuale – esso stesso effettuato sulla base delle constatazioni a fondamento dell’esclusione dallo status di rifugiato dei sigg. K. e H.F. – del complesso delle circostanze pertinenti, alla luce delle considerazioni che precedono..

b)      Sulla rilevanza del tempo decorso dalla presunta commissione dei reati e dell’assenza di propensione a reiterare questi ultimi

101. I crimini contro la pace, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, di cui all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, designano in generale fatti commessi in un paese terzo prima dell’arrivo del richiedente asilo di cui trattasi nel territorio dello Stato membro ospitante. Come rilevato dal sig. K., nonché dai governi francese, olandese e del Regno Unito, è estremamente improbabile che siffatti crimini vengano reiterati in tale Stato membro dopo l’arrivo di quest’ultimo (64). E ciò in quanto, per ipotesi, come osservato dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri), i fatti di cui trattasi sono connessi al contesto geografico, storico e sociale specifico del paese terzo interessato, e in particolare ad una situazione di conflitto nel paese stesso.

102. A mio avviso, considerazioni del genere non sono necessariamente determinanti in situazioni come quelle di cui ai procedimenti principali.

103. In primo luogo, come si evince dalla giurisprudenza citata al paragrafo 72 delle presenti conclusioni, l’attualità della minaccia non presuppone necessariamente l’esistenza di un rischio di reiterazione di un comportamento lesivo dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza. In determinate circostanze, il solo elemento relativo al comportamento passato può bastare a giustificare la constatazione secondo la quale il comportamento personale dell’individuo interessato rappresenta una minaccia per cui ricorrono le condizioni di cui all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

104. Siffatte circostanze includono, a mio avviso, situazioni in cui uno Stato membro invoca, a sostegno di una misura restrittiva, una minaccia per un interesse fondamentale della società che non dipende dal rischio di reiterazione di un comportamento criminale (65).

105. Nella specie, le decisioni controverse non sono state adottate al fine di prevenire il rischio che i sigg. K. e H.F. pongano in essere in futuro, nel territorio dello Stato membro ospitante, crimini contro la pace, crimi di guerra o crimini contro l’umanità. Simili decisioni erano volte, per contro, a prevenire le perturbazioni dell’ordine sociale e delle relazioni internazionali che la loro presenza in tale territorio avrebbe potuto comportare, a causa dell’eccezionale gravità degli atti passati di cui essi sono sospettati, indipendentemente dal loro comportamento attuale e futuro. Alla luce degli interessi fondamentali invocati, è dunque la presenza stessa di persone sospettate di avere commesso siffatti crimini in passato, e non il loro comportamento presente o futuro nello Stato membro ospitante, a costituire la minaccia in discussione. Una siffatta minaccia può soddisfare la condizione dell’attualità prevista all’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 dal momento che, come sottolineato dai governi olandese e del Regno Unito, è la minaccia, e non il comportamento dell’interessato, che deve essere attuale.

106. In secondo luogo, il lasso di tempo trascorso dalla presunta commissione dei reati in parola, se deve essere preso in considerazione al fine di verificare se l’asserita minaccia presenti un carattere attuale (66), non priva necessariamente quest’ultima di un siffatto carattere. Infatti, i rischi di perturbazioni dell’ordine sociale e delle relazioni internazionali che la presenza nel territorio di uno Stato membro di una persona sospettata di crimini contro la pace, di crimini di guerra o di crimini contro l’umanità potrebbe suscitare, possono sussistere anche – e talvolta a maggior ragione – qualora tale persona abbia beneficiato di un lungo periodo di impunità. I reati considerati dall’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra, rivestono, peraltro, un carattere imprescrittibile in forza di diversi strumenti di diritto penale internazionale (67).

107. Nel caso in cui l’esame del comportamento individuale degli interessati, effettuato alla luce delle considerazioni che precedono, dovesse portare all’accertamento di una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, sarebbe in ogni caso necessario verificare se l’adozione delle misure restrittive di cui ai procedimenti principali rispetti il principio di proporzionalità, nonché i diritti fondamentali di questi ultimi.

C.      Sull’esame della proporzionalità delle misure restrittive e della loro conformità al diritto alla vita privata e familiare

108. Con la terza questione, il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg), pone interrogativi alla Corte sulle modalità della valutazione della proporzionalità richiesta nell’ambito dell’adozione di una misura restrittiva nei confronti di una persona che è stata in precedenza esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra.

109. Detto giudice chiede, in particolare, se gli elementi enunciati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 – e ripresi al punto 3.3 degli orientamenti della Commissione –, debbano essere presi in considerazione in tale contesto. Esso desidera inoltre accertare, sostanzialmente, se la protezione rafforzata di cui beneficiano, in forza dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della menzionata direttiva, i cittadini dell’Unione che hanno risieduto nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni, si applichi alla situazione del sig. K.

110. Il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) ha parimenti interpellato la Corte sulla compatibilità di una misura restrittiva come la decisione controversa nella causa C‑366/16 con l’articolo 7 della Carta. Orbene, come illustrerò nel prosieguo, l’esame della proporzionalità di una misura restrittiva è intrinsecamente connessa alla verifica della sua conformità ai diritti fondamentali. In tali circostanze, al fine di dare una risposta utile a detto giudice, occorre fornirgli anche talune indicazioni relative alle modalità dell’esame in parola nel contesto della causa di cui esso è investito.

1.      Sul requisito dell’adeguatezza e della necessità delle misure restrittive

111. Il principio di proporzionalità, del quale l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 impone il rispetto, comporta che ogni provvedimento restrittivo sia «idoneo a garantire la realizzazione dello scopo perseguito» e «non ecceda quanto necessario per raggiungerlo» (68).

112. Al fine di soddisfare tali requisiti, lo Stato membro ospitante è tenuto segnatamente a verificare la possibilità di adottare misure alternative meno lesive della libertà di circolazione e di soggiorno dell’interessato di pari efficacia per assicurare la protezione degli interessi fondamentali invocati (69).

113. Al riguardo, ci si potrebbe chiedere se, come fatto valere dal sig. K. in udienza, gli interessi fondamentali invocati nella specie non possano essere soddisfatti in maniera più efficace tramite l’esercizio, nello Stato membro ospitante, di azioni giudiziarie nei confronti dell’interessato (70) qualora detto Stato membro sia munito di una competenza extraterritoriale a tal fine (71). L’allontanamento dell’interessato verso un altro Stato membro (come nel caso del sig. K.) oppure verso uno Stato terzo in assenza di garanzie che egli verrà ivi consegnato alla giustizia non è idoneo, infatti, a porre rimedio ai problemi connessi all’impunità dei presunti autori dei reati di cui all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra (72).

114. Tuttavia, a mio avviso, occorre essere prudenti al riguardo ed ammettere che, fatti salvi gli obblighi di esercitare la competenza extraterritoriale incombenti sugli Stati membri in forza del diritto penale internazionale (73), essi restano liberi di far fronte alla minaccia eventualmente costituita dalla presenza di una persona esclusa dallo status di rifugiato negandole il soggiorno invece di consegnarla alla giustizia. Come è stato fatto valere dal governo del Regno Unito, uno Stato membro può, in taluni casi, ritenere di non essere in grado – anche solo alla luce della difficoltà di raccogliere prove e dimostrare i fatti rilevanti – di promuovere azioni giudiziarie nei confronti di una siffatta persona (74). Problematiche del genere, mi sembra, vanno al di là dell’ambito delle cause in esame.

2.      Sulla ponderazione dei legittimi interessi in gioco

a)      Sui principi applicabili

115. Il requisito di proporzionalità di una misura restrittiva ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, presuppone parimenti la ricerca di un giusto equilibrio fra la tutela dei diritti che i cittadini dell’Unione e i loro familiari traggono da tale direttiva, da un lato, e quella degli interessi fondamentali della società ospitante, dall’altro (75).

116. Una siffatta ponderazione è intrinsecamente connessa all’esame di una misura restrittiva sotto il profilo dei diritti fondamentali di cui la Corte assicura il rispetto, e in particolare del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito all’articolo 7 della Carta e all’articolo 8 della CEDU (76). Le disposizioni menzionate, infatti, implicano il perseguimento di un equilibrio fra gli interessi collettivi invocati a sostegno di un’ingerenza in tale diritto e gli interessi individuali della persona di cui trattasi. Esse devono essere lette, se del caso, in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito nel diritto dell’Unione dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta (77).

117. L’articolo 27 della direttiva 2004/38, intitolato «Principi generali», riguarda tutte le misure restrittive. Tale disposizione non precisa i criteri da prendere in considerazione al fine di valutare la proporzionalità di tali misure e la loro conformità ai diritti fondamentali dei loro destinatari. Per contro, l’articolo 28, paragrafo 1, delle medesima direttiva, intitolato «Protezione contro l’allontanamento», si applica ai «provvedimenti di allontanamento» ed elenca, in maniera non esaustiva, gli elementi di cui gli Stati membri devono tenere conto prima di adottare siffatte decisioni. Essi includono la durata del soggiorno dell’interessato nel territorio dello Stato membro ospitante, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale in detto Stato membro e l’importanza dei suoi legami con il paese d’origine.

118. Siffatti elementi, parimenti ripresi al punto 3.3 degli orientamenti della Commissione, riflettono ampiamente quelli che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU elaborata in particolare nelle sentenze Boultif c. Svizzera (78) e Üner c. Paesi Bassi (79), consentono di verificare la conformità di un provvedimento di allontanamento all’articolo 8 della CEDU.

119. Sottolineo, tuttavia, che l’analisi della proporzionalità di una restrizione alle libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari non coincide necessariamente con quella effettuata nell’ottica della disposizione in parola. La giurisprudenza della Corte EDU muove infatti dalla considerazione che l’articolo 8 della CEDU non garantisce il diritto di uno straniero di entrare e risiedere in un paese particolare (80). Per contro, i cittadini dell’Unione e i loro familiari sono titolari del diritto di entrare e di risiedere nello Stato membro ospitante alle condizioni previste dalla direttiva 2004/38, e quest’ultimo è tenuto a giustificare qualsiasi restrizione a tale diritto (81). Il peso relativo dei criteri ponderati può pertanto variare, alla luce anche degli obiettivi specifici della menzionata direttiva, fra i quali figura, come si evince dai suoi considerando 23 e 24, il rafforzamento dell’integrazione delle persone di cui trattasi nella società ospitante.

b)      Sull’applicabilità dei criteri enunciati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 a situazioni come quelle di cui ai procedimenti principali

1)      Sulle situazioni come quella del sig. K.

120. Come risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte dal giudice del rinvio, la dichiarazione di indesiderabilità emessa nei confronti del sig. K. nei Paesi Bassi includeva un ordine di lasciare il territorio olandese. Il governo olandese ha affermato in udienza che quest’ultimo può essere destinatario di un provvedimento di allontanamento forzato qualora non ottemperi all’ordine in parola nel termine impartito.

121. Di conseguenza, la decisione controversa nella causa C‑331/16 rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, come riconosciuto, peraltro, dal menzionato governo.

122. A tal riguardo, non rileva, in primo luogo, che, come precisato da detto governo in udienza, il sig. K. non sia stato destinatario di un provvedimento di allontanamento forzato. Infatti, come si evince dalla giurisprudenza (82), siffatta disposizione si applica a qualsiasi misura che comporta l’allontanamento di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare. Essa non si limita a prendere in considerazione le misure di rimpatrio forzato con le quali vengono attuati, se del caso, determinati provvedimenti di allontanamento in assenza di esecuzione volontaria da parte dei loro destinatari (83).

123. In secondo luogo, la considerazione degli elementi elencati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 si impone nonostante il fatto che, come risulta leggendo la decisione di rinvio e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, il sig. K. fosse titolare, nei Paesi Bassi, di un diritto di soggiorno soltanto provvisorio, che gli consentiva di restare in tale Stato membro in attesa di una decisione sulle sue domande di asilo e sui suoi eventuali ricorsi. Il sig. K. sembra essere rimasto nei Paesi Bassi senza disporre ivi di un diritto di soggiorno dopo che le decisioni di esclusione dallo status di rifugiato e il divieto di ingresso nel territorio adottate nei suoi confronti sono divenute definitive (84).

124. La Corte EDU ha già dichiarato, a tal riguardo, che la ponderazione degli interessi collettivi e individuali alla luce di tutti i fattori enunciati in particolare nelle sentenze Boultif c. Svizzera (85) e Üner c. Paesi Bassi (86) è necessaria anche qualora i legami di integrazione nello Stato membro ospitante siano stati tessuti dall’interessato senza che quest’ultimo sia ivi titolare di un diritto di soggiorno. Siffatta circostanza può tuttavia essere presa in considerazione nell’ambito della ponderazione in parola (87), che dovrà essere effettuata dal giudice nazionale.

2)      Sulle situazioni come quella del sig. H.F.

125. Il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) ha posto in rilievo che la decisione di diniego di soggiorno di cui il sig. H.F. è stato destinatario non era accompagnata da un ordine di lasciare il territorio. La presenza dell’interessato nel territorio belga era, in certo qual modo, «tollerata», senza che quest’ultimo fosse tuttavia ivi titolare di un diritto di soggiorno e di uno status particolare (88).

126. Si pone pertanto la questione se l’adozione di una siffatta misura restrittiva, benché non implichi l’allontanamento del suo destinatario, esiga cionondimeno la considerazione dei criteri elencati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

127. A detto proposito osservo che la privazione di un diritto di soggiorno – allo stesso titolo, benché in misura minore, di un provvedimento di allontanamento – è idonea a mettere in pericolo l’integrazione dell’interessato nello Stato membro ospitante e a nuocere alla sua vita privata e familiare.

128. Orbene, diversi elementi enunciati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, come la durata del soggiorno e l’importanza dei legami con lo Stato membro ospitante, sono intrinsecamente connessi all’integrazione consecutiva al soggiorno in questo Stato membro. In un’ottica del genere, siffatti elementi possono essere rilevanti al fine di verificare la proporzionalità e la conformità all’articolo 7 della Carta di una misura restrittiva che non comporta l’allontanamento dell’interessato, purché quest’ultimo sia già stato in grado di integrarsi e di sviluppare una vita privata e familiare in detto Stato membro per il fatto di avervi soggiornato (89). Come fatto valere dai governi belga e del Regno Unito, detti elementi non sono, per contro, pertinenti, nel caso delle decisioni che comportano anzitutto il diniego di ingresso in uno Stato membro. In tal caso, si presume che i loro destinatari non abbiano avuto l’occasione di integrarsi in tale Stato né di costruirvi una vita privata e familiare.

129. È alla luce delle suddette considerazioni che intendo il punto 3.3 degli orientamenti della Commissione, il quale enuncia che gli elementi elencati all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, devono essere presi in considerazione in occasione dell’adozione di qualsiasi misura restrittiva ai sensi dell’articolo 27 di tale direttiva. Tale punto significa, a mio avviso, che siffatti elementi devono essere presi in considerazione nella misura in cui risultano rilevanti in un dato caso di specie.

130. L’approccio da me proposto riflette parimenti la giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale il test del «giusto equilibrio» fra gli interessi dell’ordine pubblico e gli interessi individuali è applicabile nell’ambito della verifica del rispetto, da parte di uno Stato contraente, tanto dei suoi «obblighi negativi» di non ostacolare il diritto alla vita privata e familiare di una persona allontanandola dal suo territorio, quanto dei suoi «obblighi positivi» di consentirle l’esercizio effettivo di tale diritto, segnatamente conferendole un diritto di soggiorno. Come si evince dalla giurisprudenza richiamata, la demarcazione fra queste due categorie di obblighi non si presta, del resto, ad una definizione precisa (90).

131. La Corte EDU ha già esaminato, peraltro, una causa i cui fatti erano analoghi a quelli della causa C‑366/16. La decisione K. contro Paesi Bassi (91) verteva sulla conformità all’articolo 8 della CEDU di un provvedimento di espulsione, adottato dai Paesi Bassi nei confronti di un cittadino afgano escluso dallo status di rifugiato in applicazione dell’articolo 1, sezione F, della convenzione di Ginevra, la cui esecuzione era stata sospesa. Come si evince da tale decisione, il test del «giusto equilibrio» descritto supra resta applicabile in un siffatto contesto.

132. Tuttavia, la Corte EDU ha menzionato, fra i fattori da prendere in considerazione a tal fine, la misura in cui la vita familiare risulti effettivamente ostacolata dal provvedimento statale in discussione. Essa ha precisato, a detto riguardo, che un peso considerevole può essere attribuito alla circostanza che l’interessato non rischi di essere allontanato dal territorio del paese ospitante, né, pertanto, di essere separato dalla propria famiglia (92).

133. Tale elemento è, a mio avviso, parimenti rilevante nell’ambito dell’esame della proporzionalità di una misura restrittiva nell’ottica dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, esame che dovrà essere effettuato dal giudice del rinvio. Aggiungo, tuttavia, che gli elementi relativi all’integrazione dell’interessato rivestono un’importanza particolare nell’ambito dell’applicazione della disposizione in parola, alla luce degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/38 (93).

3.      Sull’applicabilità dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), in una situazione come quella del sig. K.

134. Il Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg), ha osservato che il sig. K. risiedeva ininterrottamente da oltre dieci anni nei Paesi Bassi al momento dell’adozione della decisione controversa nella causa C‑331/16 (94). Tale giudice chiede pertanto se quest’ultimo benefici delle garanzie rafforzate contro l’allontanamento previste all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, – il quale costituisce parimenti un’espressione del principio di proporzionalità (95).

135. Come menzionato dai considerando 23 e 24 della citata direttiva, quest’ultima istituisce un sistema di protezione graduale contro l’allontanamento, il quale dipende dal grado di integrazione nello Stato membro ospitante. Siffatto grado di integrazione è, in certo qual modo, presunto in maniera oggettiva in funzione della durata del soggiorno nel suddetto Stato membro. Quanto più lunga è tale durata, tanto più si suppone che i legami di integrazione creati nella società ospitante siano stretti e, pertanto, la protezione contro l’allontanamento sia completa (96).

136. È in tale ottica che non solo l’articolo 28, paragrafo 1, della menzionata direttiva esige la considerazione della durata del soggiorno al fine di verificare la proporzionalità di un provvedimento di allontanamento, ma anche che i paragrafi 2 e 3 dell’articolo richiamato prevedono, rispettivamente, che una persona possa essere allontanata dallo Stato membro ospitante solo per «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza» qualora ella abbia ivi acquisito il diritto di soggiorno permanente, e per «motivi imperativi di pubblica sicurezza» qualora la stessa vi abbia soggiornato i dieci anni precedenti l’adozione di un siffatto provvedimento.

137. La situazione del sig. K. presenta una configurazione specifica giacché quest’ultimo ha soggiornato nei Paesi Bassi prima di acquisire lo status di cittadino dell’Unione a seguito dell’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione. Inoltre, come sottolineato al paragrafo 123 delle presenti conclusioni, la decisione di rinvio sembra indicare, sempre fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, che il sig. K. ha soggiornato nei Paesi Bassi senza disporvi di un diritto di soggiorno.

138. Al riguardo, ritengo, in primo luogo, che la circostanza che tale periodo di soggiorno abbia preceduto l’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione non osti, in quanto tale, a che esso sia preso in considerazione per calcolare la durata del soggiorno del sig. K. nei Paesi Bassi ai fini dell’applicazione dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.

139. La Corte ha infatti dichiarato, nella sentenza Ziolkowski e Szeja (97) che, fatte salve eventuali disposizioni transitorie nell’atto di adesione di tale Stato membro all’Unione (98), i periodi di soggiorno del cittadino di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro, compiuti anteriormente all’adesione del primo Stato membro all’Unione ed effettuati nel rispetto delle condizioni previste dalla direttiva 2004/38, devono essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente nel secondo Stato membro a norma dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale direttiva.

140. Lo stesso vale, secondo la Corte, allorché le disposizioni della direttiva 2004/38 debbano essere applicate agli effetti attuali e futuri di situazioni sorte anteriormente all’adesione all’Unione dello Stato membro di cui l’interessato possiede la cittadinanza e, dunque, alla data di trasposizione di tale direttiva nel medesimo. Siffatto ragionamento vale, a mio avviso, anche nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di detta direttiva.

141. Tuttavia, in secondo luogo, come fatto valere dal governo olandese e dalla Commissione, la circostanza secondo la quale il sig. K. non era titolare di un diritto di soggiorno che gli consentiva di soggiornare legalmente nei Paesi Bassi in forza del diritto nazionale di detto Stato membro, ammesso che sia accertata, osterebbe, a mio avviso, al godimento della protezione conferita dalla disposizione in parola.

142. A tal riguardo, il testo dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, non specifica se il periodo di soggiorno che conferisce il diritto alla protezione contro l’allontanamento a norma di della suddetta disposizione designi unicamente i periodi di soggiorno legale. Siffatto testo si distingue in tal senso da quello dell’articolo 16, paragrafo 1, della medesima direttiva, il quale prevede che solo un periodo di «soggiorno legale» continuativo di cinque anni consente l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente – e della correlata protezione contro l’allontanamento prevista all’articolo 28, paragrafo 2, di detta direttiva. Come risulta dal considerando 17 della direttiva 2004/38, il requisito della legalità del soggiorno enunciato all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva in parola, comporta non solo che l’interessato non sia stato destinatario di un provvedimento di allontanamento, ma anche che tale soggiorno sia conforme alle condizioni risultanti da detta direttiva (99). La Corte non ha ancora risolto la questione se il periodo di soggiorno richiesto al fine di beneficiare della protezione prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 presuma parimenti il rispetto di siffatte condizioni (100).

143. Mi asterrò dal pronunciarmi su tale questione in termini generali, dal momento che il trattamento della causa C‑331/16 impone unicamente di determinare, in modo più mirato, se detto periodo di soggiorno includa i periodi di soggiorno trascorsi dall’interessato, prima dell’adesione all’Unione dello Stato membro di cui ha la cittadinanza, senza disporre di un diritto di soggiorno che gli consenta di soggiornare legalmente nello Stato membro ospitante in forza del diritto nazionale di quest’ultimo.

144. A mio parere, una simile questione va risolta in senso negativo.

145. Osservo, a tal riguardo, che, come indicato dai considerando 23 e 24 della direttiva 2004/38, l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della medesima mira a proteggere dall’allontanamento le persone che si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante. La disposizione menzionata persegue una finalità autonoma, relativa alla promozione dell’integrazione dei cittadini dell’Unione all’interno della medesima (101), ed eccede le garanzie risultanti dall’articolo 7 della Carta e dall’articolo 8 della CEDU.

146. Secondo la giurisprudenza della Corte, il criterio determinante al fine di valutare se i legami di integrazione dell’interessato nello Stato membro ospitante siano sufficientemente solidi affinché egli benefici della protezione istituita dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, consiste nel sapere se tale persona abbia ivi soggiornato durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento (102).

147. La Corte non ha tuttavia escluso la considerazione dei fattori qualitativi nell’ambito di una siffatta valutazione. In tal senso, nella sentenza G. (103), essa ha dichiarato che i periodi di detenzione non sono inclusi nel calcolo del periodo di soggiorno di dieci anni che conferisce il diritto alla protezione prevista all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. È senz’altro vero che l’inosservanza delle norme di diritto nazionale relative all’ingresso e al soggiorno degli stranieri è lungi dall’essere assimilabile alla commissione di un reato. L’approccio seguito dalla Corte comporta cionondimeno l’accettazione della considerazione, benché in modo estremamente limitato, di determinati elementi qualitativi connessi all’integrazione necessaria al fine di beneficiare di tale protezione, al pari di quella che presiede all’acquisizione del diritto di soggiorno permanente instaurato dall’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva in parola (104).

148. A tal riguardo, la Corte, nella sentenza Dias (105), ha dichiarato che un periodo di presenza nel territorio dello Stato membro ospitante, compiuto prima dell’entrata in vigore della direttiva 2004/38 senza disporre di un qualsivoglia diritto di soggiorno, compromette il legame di integrazione con detto Stato membro. Un siffatto periodo non deve pertanto essere preso in considerazione ai fini dell’ottenimento del diritto di soggiorno permanente.

149. Siffatta medesima logica implica, a mio avviso, che una persona la quale, prima di acquisire lo status di cittadino dell’Unione, soggiorni in maniera precaria nello Stato membro ospitante, laddove il diritto nazionale di tale Stato non lo autorizzava, non può far valere un’effettiva integrazione idonea a conferirle il diritto alla protezione più elevata contro l’allontanamento prevista dalla direttiva 2004/38. Ciò vale, a maggior ragione, allorché, come nella specie, l’individuo di cui trattasi, alla data della decisione di allontanamento in questione, soggiornava nello Stato membro ospitante in violazione di un provvedimento di divieto di ingresso nel territorio adottato in precedenza nei suoi confronti.

V.      Conclusione

150. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere nei seguenti termini le questioni sottoposte dal Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi), e dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio):

1.      L’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che il fatto che un cittadino dell’Unione o un suo familiare sia stato escluso, in passato, dallo status di rifugiato in applicazione dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, benché non possa fondare automaticamente la constatazione di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società, può essere preso in considerazione a tal fine purché le circostanze che hanno condotto all’applicazione della disposizione in parola mettano in luce l’esistenza di un comportamento personale costitutivo di una siffatta minaccia.

A tal riguardo, lo Stato membro ospitante è tenuto ad effettuare una valutazione individuale del comportamento personale dell’individuo interessato alla luce, segnatamente, degli accertamenti delle autorità competenti in materia di asilo per quanto attiene alla gravità dei reati addebitatigli, il livello di coinvolgimento personale di quest’ultimo nel compimento dei suddetti reati, nonché l’eventuale esistenza di motivi di esenzione della responsabilità penale.

L’assenza di rischio che l’individuo interessato reiteri reati di un tipo previsto all’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra nello Stato membro ospitante, al pari del decorso di un lasso di tempo significativo dalla presunta commissione di tali reati, non ostano, in quanto tali, alla constatazione di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società.

2.      L’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, in combinato disposto con l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che qualsiasi restrizione apportata da uno Stato membro alle libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare deve essere conforme al principio di proporzionalità e rispettare il diritto alla vita privata e familiare di tale individuo. In siffatto contesto, lo Stato membro in parola deve ponderare, da un lato, la protezione degli interessi fondamentali invocati a sostegno di una siffatta restrizione e, dall’altro, gli interessi di detto individuo relativi all’esercizio delle libertà in discussione, nonché della sua vita privata e familiare. Detto Stato membro deve tenere conto, segnatamente, degli elementi enunciati all’articolo 28, paragrafo 1, di tale direttiva, nella misura in cui essi sono rilevanti nella particolare situazione in questione.

3.      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, deve essere interpretato nel senso che il periodo di dieci anni di soggiorno nello Stato membro ospitante, il quale conferisce il diritto alla protezione contro l’allontanamento istituita da tale disposizione, non include i periodi nel corso dei quali un cittadino dell’Unione, prima dell’adesione all’Unione dello Stato membro di cui possiede la cittadinanza, ha risieduto nello Stato membro ospitante senza esservi autorizzato in forza del diritto nazionale di tale Stato membro.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).


3      Tale convenzione è stata firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] ed è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967.


4      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9). Tale disposizione riprende l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12), applicabile all’epoca dei fatti rilevanti e sostituita dalla direttiva 2011/95.


5      NL:RVS:2008:BF1415.


6      NL:RVS:2015:2008.


7      NL:RVS:2015:2737.


8      Sentenza del 27 ottobre 1977 (30/77, EU:C:1977:172, punti da 27 a 29).


9      Sentenza del 9 novembre 2010 (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti da 103 a 105).


10      Sentenza del 22 maggio 2012 (C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 30).


11      Sentenza del 24 giugno 2015 (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 92).


12      Sentenza n. 99921.


13      Comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio del 2 luglio 2009 [COM(2009) 313 final]. Tale punto elenca gli elementi relativi alla situazione personale e familiare dell’interessato che devono essere ponderati con gli interessi fondamentali della società al fine di verificare la proporzionalità di una misura di ordine pubblico o di pubblica sicurezza intesa a proteggere detti interessi.


14      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) (GU 2006, L 381, pag. 4). L’articolo 24, paragrafo 1, di tale regolamento, dispone che «[i] dati relativi ai cittadini di paesi terzi per i quali è stata effettuata una segnalazione al fine di rifiutare l’ingresso o il soggiorno sono inseriti sulla base di una segnalazione nazionale risultante da una decisione presa dalle autorità amministrative o giudiziarie competenti conformemente alle norme procedurali stabilite dalla legislazione nazionale, decisione adottata solo sulla base di una valutazione individuale. (…)». Secondo il paragrafo 2 del medesimo articolo, «[u]na segnalazione è inserita quando la decisione di cui al paragrafo 1 è fondata su una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale che la presenza del cittadino di un paese terzo in questione può costituire nel territorio di uno Stato membro. (…)». Ai sensi del paragrafo 3 di detto articolo, «[u]na segnalazione può inoltre essere inserita quando la decisione di cui al paragrafo 1 è fondata sul fatto che il cittadino di un paese terzo è stato oggetto di una misura di allontanamento, rifiuto di ingresso o espulsione non revocata né sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto d’ingresso o eventualmente di soggiorno, basata sull’inosservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini di un paese terzo».


15      NL:RVS:2015:2008. V. paragrafo 21 delle presenti conclusioni.


16      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, stabilisce che essa «si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, [paragrafo] 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo». Secondo l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), di tale direttiva, gli ascendenti diretti di un cittadino dell’Unione sono «familiari» solo se sono a carico del medesimo. La decisione di rinvio non specifica se il sig. H.F. sia, come fatto valere da quest’ultimo in udienza, a carico di sua figlia. Tuttavia, tale decisione indica che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/38 è applicabile al sig. H.F. (v. paragrafo 35 delle presenti conclusioni); ciò presuppone che tale condizione sia soddisfatta. Orbene, la Corte è, in linea di principio, tenuta a fondarsi sulle premesse di fatto che il giudice a quo ritiene accertate [v. sentenze del 28 gennaio 1999, van der Kooy (C‑181/97, EU:C:1999:32, punto 30), nonché, in tal senso, del 12 febbraio 2009, Cobelfret (C‑138/07, EU:C:2009:82, punto 23)]. Spetta unicamente al giudice del rinvio valutare, nella specie, se il sig. H.F. rivesta effettivamente la qualità di familiare di un cittadino dell’Unione.


17      V. sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti da 115 a 120). La Corte ha ivi rilevato che la direttiva 2011/95, al pari della convenzione di Ginevra, prende le mosse dal principio secondo il quale gli Stati membri possono accordare, in forza dei loro diritti nazionali, un diverso tipo di protezione, distinto da quello conferito da tale direttiva e da tale convenzione, il quale offra agli individui esclusi dallo status di rifugiato il diritto di soggiornare nei loro territori.


18      V., per analogia, sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 21).


19      V., segnatamente, sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 58 e la giurisprudenza ivi citata). Nella sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 65), la Corte ha dichiarato che le deroghe ai diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione devono essere interpretate in maniera «particolarmente restrittiva».


20      Nel caso della decisione controversa nella causa C‑331/16, tale motivazione trae origine da talune sentenze del Raad van State (Consiglio di Stato) richiamate in tale decisione (v. paragrafo 20 delle presenti conclusioni).


21      V., segnatamente, sentenze del 28 ottobre 1975, Rutili (36/75, EU:C:1975:137, punti 26 e 27); del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punti 33 e 34), nonché del 22 maggio 2012, I (C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata).


22      V., segnatamente, sentenza del 13 settembre 2016, CS (C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).


23      Come risulta dal testo dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.


24      Sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 83 e la giurisprudenza ivi citata).


25      Sentenza del 17 novembre 2011, Aladzhov (C‑434/10, EU:C:2011:750, punto 37).


26      Il governo del Regno Unito invoca, inoltre, la necessità per gli Stati membri di adempiere ai loro obblighi in materia di lotta contro il terrorismo, a titolo di diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che impongono loro di rifiutarsi di dare rifugio a coloro che commettono o agevolano la commissione di atti terroristici. Osservo, tuttavia, che gli atti terroristici sono oggetto della clausola di esclusione figurante all’articolo 1, sezione F, lettera c), della convenzione di Ginevra. Essa non è in discussione nelle presenti cause.


27      V., segnatamente, sentenze del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punti 68 e 93); del 17 novembre 2011, Gaydarov (C‑430/10, EU:C:2011:749, punto 38), nonché del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punti da 64 a 67). V. parimenti, per analogia, sentenza del 19 gennaio 1999, Calfa (C‑348/96, EU:C:1999:6, punto 25).


28      V., segnatamente, sentenze del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 28); del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 77), e del 7 giugno 2007, Commissione/Paesi Bassi (C‑50/06, EU:C:2007:325, punto 41). V. parimenti, in tal senso, sentenza del 13 settembre 2016, CS (C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 46).


29      Sentenze del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 29) e del 22 maggio 2012, I (C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 30). V. parimenti, in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 50).


30      Sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 29).


31      Preferisco tale formulazione a quella relativa all’assenza di un rischio di «recidiva». Come fatto valere dal governo belga, la nozione di «recidiva» presuppone, secondo l’uso comune di detto termine, l’esistenza di una condanna penale. Orbene, si evince dalle decisioni di rinvio che i sigg. K. e H.F. non sono stati condannati per comportamenti addebitati loro a titolo dell’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra.


32      A tal riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDUCorte EDU») ha dichiarato, nella sentenza del 21 ottobre 2013, Janowiec e. a. c. Russia (CE:ECHR:2013:1021JUD005550807, § 150), richiamata dal governo francese in udienza, che i crimini gravi di diritto internazionale, come i crimini di guerra, il genocidio o i crimini contro l’umanità, rivestono una dimensione più ampia rispetto ai reati penali comuni e costituiscono «la negazione dei fondamenti stessi della [CEDU]».


33      V. articolo 5 dello statuto della Corte penale internazionale, firmato a Roma il 17 luglio 1998 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 2187, n. 38544) ed entrato in vigore il 1o luglio 2002.


34      Tuttavia, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCH), l’articolo 1, sezione F, lettera a), della convenzione di Ginevra può, in taluni casi, vertenti su crimini particolarmente atroci, essere applicato anche se l’interessato è stato condannato e ha scontato la sua pena. V. UNHCR, «Note d’information sur l’application des clauses d’exclusion: article 1F de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés», du 4 septembre 2003 (nota informativa dell’UNHCR sull’applicazione delle clausole di esclusione: articolo 1, sezione F, della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati; in prosieguo: la «nota informativa dell’UNHCR»), punti 72 e 73. Ai sensi del considerando 22 della direttiva 2011/95, «[l]e consultazioni con l’[UNHCR] possono offrire preziose indicazioni agli Stati membri all’atto di decidere se riconoscere lo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra».


35      V., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, H.T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 77).


36      Sentenza del 9 novembre 2010 (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 104).


37      Ai sensi della sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 101), «il pericolo attuale che un rifugiato può eventualmente rappresentare per lo Stato membro di cui trattasi è preso in considerazione non nell’ambito dell’art[icolo] 12, [paragrafo] 2, bensì in quello, da un lato, dell’art[icolo] 14, [paragrafo] 4, lett[era] a), in base al quale uno Stato membro può revocare lo status riconosciuto ad un rifugiato in particolare quando vi sono fondati motivi per ritenerlo una minaccia per la sicurezza e, dall’altro, in quello dell’art[icolo] 21, [paragrafo] 2, il quale prevede che uno Stato membro di accoglienza possa, come autorizzato anche dall’art[icolo] 33, [paragrafo] 2, della Convenzione di Ginevra, respingere un rifugiato quando vi siano fondati motivi per considerare che egli costituisca una minaccia per la sicurezza o la comunità di tale Stato membro».


38      Sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 105).


39      V. sentenze del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 27) nonché, per analogia, dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 59).


40      Su tale conclusione non incide il fatto che, a seguito della decisione di esclusione dallo status di rifugiato adottata nei suoi confronti, al sig. H.F. sia stato destinatario, nei Paesi Bassi, di un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio e di una segnalazione nel SIS, la quale presuppone, a norma dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1987/2006, che lo Stato membro che ha effettuato la segnalazione abbia ritenuto che la presenza del cittadino di un paese terzo in questione nel proprio territorio minacci l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza (v. nota 14 delle presenti conclusioni). Infatti, come risulta dalla sentenza del 10 luglio 2008, Jipa (C‑33/07, EU:C:2008:396, punto 25), un provvedimento restrittivo non può essere fondato esclusivamente su motivi dedotti da un altro Stato membro ai fini dell’adozione di un siffatto provvedimento. Un provvedimento restrittivo «deve essere adottato alla luce di considerazioni afferenti alla tutela dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza dello Stato membro che prende [il medesimo]». A fortiori, un siffatto provvedimento non può essere fondato esclusivamente sui motivi dedotti da un altro Stato membro ai fini dell’adozione di una decisione di rifiuto d’ingresso o di soggiorno nei confronti di un cittadino di un paese terzo che non rientrava nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38.


41      Nella prassi, spetta alle autorità nazionali, prima di adottare un provvedimento restrittivo, prendere conoscenza del fascicolo di asilo dell’interessato. Qualora si sia in presenza di una decisione di esclusione dallo status di rifugiato adottata da un altro Stato membro e all’origine di una segnalazione nel SIS, incombe a quest’ultimo, in forza del principio di leale cooperazione, tenere a disposizione dello Stato membro che ospita la persona segnalata le informazioni complementari che gli consentano di valutare concretamente l’importanza della minaccia che quest’ultima può rappresentare [v. sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna (C‑503/03, EU:C:2006:74, punto 56)].


42      Illustrerò in dettaglio gli elementi da prendere in considerazione in tale contesto ai paragrafi da 91 a 100 delle presenti conclusioni.


43      V., segnatamente, articolo 66, paragrafo 3, dello statuto della Corte penale internazionale, nonché articolo 87, sezione A, del regolamento di procedura e istruzione probatoria del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, adottato l’11 febbraio 1994, come emendato da ultimo l’8 luglio 2015.


44      La Corte si è pronunciata in tal senso nella sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 52) per quanto attiene all’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98). La menzionata disposizione autorizza gli Stati membri a derogare al loro obbligo di concedere un periodo per la partenza volontaria in caso di allontanamento di un cittadino di un paese terzo qualora quest’ultimo costituisca un pericolo per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza. La Corte ha giustificato tale conclusione sulla base del rilievo che «gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare le esigenze della nozione di ordine pubblico, conformemente alle loro necessità nazionali, e [che nessuna delle disposizioni della direttiva 2008/115 consent[e] di considerare che una condanna penale sia necessaria a tale riguardo». A mio avviso, tale ragionamento e la conclusione che ne discende sono applicabili all’interpretazione dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Gli Stati membri dispongono infatti di un ampio potere discrezionale per definire le esigenze dell’ordine pubblico anche nel contesto di tale disposizione, e la direttiva 2004/38 non prevede neppure la necessità di una condanna penale.


45      V. UNHCR, Linee guida sulla protezione internazionale n. 5: Applicazione delle clausole di esclusione: articolo 1F della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, 4 settembre 2003 (punti 34 e 35), allegate al Manuale sulle procedure e i criteri per la determinazione dello status di rifugiato, Ginevra, dicembre 2011 (; nota informativa dell’UNHCR, punti da 107 a 109, nonché Statement on Article 1F of the 1951 Convention, luglio 2009, pag. 10.


46      V. paragrafi da 91 a 100 delle presenti conclusioni.


47      V., tuttavia, nota 34 delle presenti conclusioni.


48      V. paragrafo 81 delle presenti conclusioni.


49      V., al riguardo, sentenza del Bundesverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo federale, Svizzera) dell’11 maggio 2010, Y. e famiglia contro Ufficio federale della migrazione (UFM) (E-5538/2006, BVGE, § 5.3.2.2). Detto giudice sottolinea in tale sentenza che lo standard di prova previsto all’articolo 1, sezione F, della convenzione di Ginevra è giustificato al contempo dall’oggetto delle decisioni fondate sulla menzionata disposizione – le quali, indipendentemente dalla loro gravità, non infliggono pene – quanto dai mezzi di indagine limitati a disposizione delle autorità competenti in materia di asilo per raccogliere gli elementi di prova di fatti che si sono verificati in circostanze spesso difficili da chiarire.


50      Sentenza del 9 novembre 2010 (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 87).


51      Sentenza del 31 gennaio 2017 (C‑573/14, EU:C:2017:71, punto 72).


52      V., segnatamente, linee guida dell’UNHCR, punti da 10 a 13, e da 18 a 23, nonché nota informativa dell’UNHCR, punti da 50 a 75.


53      V. parimenti nota informativa dell’UNHCR, punti da 50 a 56.


54      Sentenza del 9 novembre 2010 (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti da 88 a 99). Benché tale sentenza riguardi l’applicazione delle clausole di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b) e c), della direttiva 2011/95 – il quale corrisponde all’articolo 1, sezione F, lettera b) e c), della convenzione di Ginevra –, il ragionamento seguito dalla Corte e la conclusione che ne risulta si applicano, a mio avviso, anche alla clausola di esclusione prevista alla lettera a) delle disposizioni richiamate.


55      Sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 97).


56      Il sig. H.F. menziona un documento, versato nel fascicolo sottoposto alla Corte dal giudice del rinvio nella causa C‑366/16, nel quale l’UNHCR ha pubblicamente messo in dubbio la conformità alla convenzione di Ginevra della prassi olandese consistente nel presumere l’applicabilità delle clausole di esclusione ai richiedenti asilo afgani che hanno occupato posizioni di ufficiale e di sottoufficiale presso il KhAD.V., parimenti, HCR, Note on the Structure and Operation of the KhAD/WAD in Afghanistan 1978-1992, maggio 2008.


57      Qualora la decisione di esclusione promani da un altro Stato membro, una siffatta contestazione sarebbe peraltro incompatibile con la fiducia reciproca alla base, come sottolineato dal considerando 22 di tale regolamento, del sistema istituito dal regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) (GU 2013, L 180, pag. 31).


58      V., a tal riguardo, sentenza del 4 dicembre 1974, van Duyn (41/74, EU:C:1974:133, punto 17), citata al punto 3.2 degli orientamenti della Commissione.


59      Sentenza del 24 giugno 2015 (C‑373/13, EU:C:2015:413).


60      Sentenza del 9 novembre 2010 (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti da 88 a 99).


61      Sentenza del 24 giugno 2015, H.T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punti 77 e 79).


62      Sentenza del 24 giugno 2015, H.T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punti da 86 a 90).


63      Snetenza del 24 giugno 2015 (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 77).


64      La Corte ha già specificato, peraltro, che l’applicazione di una clausola di esclusione dallo status di rifugiato non dipende dall’esistenza di un «pericolo attuale» per lo Stato membro interessato (v. paragrafo 82 delle presenti conclusioni).


65      È parimenti in tale ottica che deve essere intesa, a mio avviso, l’affermazione, figurante al punto 3.2 degli orientamenti della Commissione, secondo la quale «[è] determinante il rischio di recidiva». Detta affermazione è rilevante unicamente per quanto concerne le misure restrittive intese a proteggere la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione contro il rischio di recidiva di un comportamento criminale. Essa non è applicabile alle misure restrittive il cui obiettivo consiste nella salvaguardia degli interessi fondamentali di un tipo distinto.


66      V., per analogia, sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 62). Infatti, secondo la giurisprudenza, l’esistenza di una minaccia ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 deve essere valutata all’epoca in cui viene posta in essere la misura restrittiva in questione [sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punti da 77 a 79)].


67      V., in particolare, articolo 29 dello statuto della Corte penale internazionale, nonché la convenzione europea sull’imprescrittibilità dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, firmata il 25 gennaio 1974 (Série des traités européens, n. 82).


68      V., segnatamente, sentenze del 26 novembre 2002, Oteiza Olazabal (C‑100/01, EU:C:2002:712, punto 43); del 10 luglio 2008, Jipa (C‑33/07, EU:C:2008:396, punto 29), e del 17 novembre 2011, Gaydarov (C‑430/10, EU:C:2011:749, punto 40).


69      Sentenze del 17 novembre 2011, Aladzhov (C‑434/10, EU:C:2011:750, punto 47) nonché, per analogia, del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 49).


70      A tal riguardo, il punto 7 della decisione 2003/335/GAI del Consiglio, dell’8 maggio 2003, relativa all’accertamento e al perseguimento del genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra (GU 2003, L 118, pag. 12) enuncia che «[l]e autorità competenti degli Stati membri devono garantire che, allorché esse ricevono informazioni secondo cui una persona che abbia presentato domanda di permesso di soggiorno sia sospettata di aver perpetrato o partecipato alla perpetrazione di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra, gli atti in questione siano accertati e, se sussistono fondate ragioni, perseguiti, in conformità del loro diritto nazionale». Nella specie, il governo olandese ha indicato, in udienza, che alcune persone escluse dallo status di rifugiato sono state successivamente oggetto di procedimenti penali nei Paesi Bassi.


71      Se del caso, talune azioni possono essere avviate sulla base della competenza universale. In particolare, le quattro convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relative alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali impongono agli Stati membri parti di esercitare tale competenza sui crimini rientranti nel loro ambito di applicazione [v. articolo 49 della convenzione di Ginevra (I) per il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna; articolo 50 della convenzione di Ginevra (II) per il miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare; articolo 129 della convenzione di Ginevra (III) sul trattamento dei prigionieri di guerra, e articolo 146 della convenzione di Ginevra (IV) sulla protezione delle persone civili in tempo di guerra)]. V., parimenti, considerando 3 e 7 della decisione 2002/494/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa all’istituzione di una rete europea di punti di contatto in materia di persone responsabili di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra (GU 2002, L 167, pag. 1).


72      V., in tal senso, nota informativa dell’UNHCR, punto 4, ai sensi del quale «lo sviluppo della competenza universale e la creazione di tribunali penali internazionali riducono il ruolo dell’esclusione quale mezzo per assicurare che i fuggitivi vengano consegnati alla giustizia; ciò rafforza gli argomenti a favore di un approccio restrittivo».


73      V. nota 71 delle presenti conclusioni.


74      Per un’illustrazione delle sfide connesse al perseguimento, da parte dei giudici nazionali, di presunti autori di reati gravi di diritto internazionale, v. Réseau concernant les enquêtes et les poursuites pénales relatives aux génocides, aux crimes contre l’humanité et aux crimes de guerre, «Stratégie du Réseau génocide de l’UE pour lutter contre l’impunité du crime de génocide, des crimes contre l’humanité et des crimes de guerre au sein de l’Union européenne et de ses États membres», L’Aia, novembre 2014, pagg. da 15 a 23.


75      V., segnatamente, sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 95).


76      V., segnatamente, sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 52); del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 81), e del 13 settembre 2016, CS (C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 41). Secondo l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, laddove quest’ultima contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti da detta convenzione. Tuttavia, tale disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. Pertanto, poiché l’articolo 7 della Carta contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’articolo 8 della CEDU, occorre attribuire loro lo stesso significato e la stessa portata che sono conferiti all’articolo 8 della CEDU, nell’interpretazione che ne offre la giurisprudenza della Corte EDU [v. sentenza del 5 ottobre 2010, McB. (C‑400/10 PPU, EU:C:2010:582, punto 53)].


77      Sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 81) e del 13 settembre 2016,CS (C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 36). V., parimenti, Corte EDU, 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2014:1003JUD001273810, § 109 e la giurisprudenza ivi citata).


78      Corte EDU, 2 agosto 2001 (CE:ECHR:2001:0802JUD005427300, § 48).


79      Corte EDU, 18 ottobre 2006 (CE:ECHR:2006:1018JUD004641099, § 57 e 58).


80      V., segnatamente, 2 agosto 2001, Boultif c. Svizzera (CE:ECHR:2001:0802JUD005427300, § 39).


81      V. anche, a tal riguardo, Guild, E., Peers, S., e Tomkin, J., The EU Citizenship Directive, A Commentary, Oxford University Press, Oxford, 2014, pag. 267.


82      In particolare, nelle sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 2); del 22 maggio 2012, I (C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 2), e del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punto 2), la Corte ha trattato come provvedimenti di allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, misure che comportano la perdita del diritto d’ingresso e di soggiorno nel territorio di uno Stato membro e intimano agli interessati di lasciare detto territorio a pena di espulsione, senza che tale minaccia si sia concretizzata.


83      Intravedo, in tal senso, una certa analogia fra la nozione di «provvedimento di allontanamento» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e quella di «decisione di rimpatrio» adottata nei confronti di un cittadino di un paese terzo ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115. Quest’ultima nozione designa una «decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio». In virtù dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva menzionata, in combinato disposto con l’articolo 3, punto 5, della medesima, uno Stato membro, al fine di eseguire un decisione di rimpatrio, può adottare una decisione o un atto distinto che ordini l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dal suo territorio.


84      Emerge dalla decisione di rinvio che il sig. K, nel corso del periodo che separa il suo arrivo nei Paesi Bassi nel 2001 dalla conferma, da parte del Raad van State (Consiglio di Stato) del rigetto della sua domanda di asilo nel 2005, ha anzitutto risieduto legalmente in detto Stato membro a titolo provvisorio in attesa di una decisione definitiva su tale domanda. Successivamente, il sig. K. è rimasto nei Paesi Bassi nonostante la prima decisione di esclusione dallo status di rifugiato, datata 15 maggio 2003. La decisione di rinvio non specifica se egli fosse allora autorizzato a rimanervi ad un altro titolo. Infine, il sig. K. ha omesso di lasciare i Paesi Bassi successivamente alla seconda decisione di esclusione dallo status di rifugiato, accompagnata da un divieto di ingresso nel territorio, adottata il 16 gennaio 2013.


85      Corte EDU, sentenza del 2 agosto 2001 (n. 54273/00, CE:ECHR:2001:0802JUD005427300, § 48).


86      Corte EDU, sentenza del 18 ottobre 2006 (n. 46410/99, CE:ECHR:2006:1018JUD004641099, § 57 e 58).


87      V., segnatamente, Corte EDU, 3 novembre 2011, Arvelo Aponte c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2011:1103JUD002877005, § 55 e 59) e Corte EDU, 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2014:1003JUD001273810, § 108 e da 113 a 123). Nelle sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis(C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 53); del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 86), e del 13 settembre 2016, CS (C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 42), la Corte ha parimenti menzionato la legalità del soggiorno fra i fattori da prendere in considerazione per verificare la proporzionalità di una misura restrittiva e la sua conformità ai diritti fondamentali.


88      Come sottolineato dalla Corte nella sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 110), l’esclusione dallo status di rifugiato non comporta una presa di posizione relativamente alla questione se l’interessato possa essere espulso verso il suo paese d’origine. Situazioni in cui una persona non è né ammessa né idonea ad essere espulsa possono verificarsi qualora l’articolo 4 della Carta e l’articolo 3 della CEDU – i quali non ammettono alcuna deroga – ostino al suo allontanamento verso un paese in cui ella corre un rischio concreto di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. La decisione di rinvio non precisa se l’impossibilità di allontanare il sig. H.F. discenda da tali disposizioni.


89      Un certo ravvicinamento può essere effettuato con la conclusione, raggiunta nella sentenza del 9 novembre 2000, Yiadom (C‑357/98, EU:C:2000:604, punto 43), secondo la quale una decisione di diniego di soggiorno adottata nei confronti di un cittadino dell’Unione dopo che quest’ultimo è rimasto diversi mesi nel territorio dello Stato membro di cui trattasi in attesa della decisione sulla sua domanda non può essere assimilata ad un diniego di ingresso ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, 56, pag. 850), nel frattempo abrogata. Una siffatta decisione doveva essere considerata come un «provvedimento di allontanamento» ai sensi dell’articolo 9 di tale direttiva ed essere accompagnata a tale titolo da garanzie procedurali più ampie. L’avvocato generale Léger [conclusioni nella causa Yiadom (C‑357/98, EU:C:2000:174)] aveva rilevato, a sostegno di un simile approccio, che «la persona presente sul territorio nazionale, anche quando sia in attesa della regolarizzazione della sua situazione, beneficia obiettivamente di diverse occasioni per tessere relazioni sociali, personali o professionali, rispetto alla persona che non ha ancora superato le frontiere. In definitiva, essa è più integrata nello Stato ospitante».


90      V., segnatamente, Corte EDU, 28 giugno 2011, Nunez c. Norvegia (CE:ECHR:2011:0628JUD005559709, § 68); Corte EDU, 3 novembre 2011, Arvelo Aponte c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2011:1103JUD002877005, § 53), e Corte EDU, 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2014:1003JUD001273810, § 106).


91      Corte EDU, decisione del 25 settembre 2012 (CE:ECHR:2012:0925DEC003340311, § 42). In tali circostanze, la Corte EDU ha messo in dubbio la qualità di «vittima» del ricorrente, ai sensi dell’articolo 34 della CEDU, e ha ritenuto che, quand’anche questi avesse rivestito detta qualità, le autorità olandesi non avessero commesso un errore nella ricerca di un equilibrio fra gli interessi collettivi e individuali in gioco.


92      Corte EDU, decisione del 25 settembre 2012, K. c. Paesi Bassi (CE:ECHR:2012:0925DEC003340311, § 47).


93      V. paragrafo 119 delle presenti conclusioni.


94      Il governo olandese contesta la presentazione dei fatti effettuata dal giudice del rinvio per quanto attiene alla continuità del soggiorno del sig. K. nei Paesi Bassi. Incomberà a tale giudice chiarire siffatta questione. Ciò premesso, la Corte è tenuta a fondarsi sulla premessa di fatto sulla quale si basa la decisione di rinvio (v. nota 16 delle presenti conclusioni).


95      V., a tal riguardo, considerando 23 della direttiva 2004/38, nonché la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 10 dicembre 2008, sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri [COM(2008) 840 final, pag. 9].


96      V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:322, paragrafo 45).


97      Sentenza del 21 dicembre 2011 (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punti da 60 a 62). La Corte ha ribadito tale conclusione nella sentenza del 6 settembre 2012, Czop e Punakova (C‑147/11 e C‑148/11, EU:C:2012:538, punto 35).


98      L’allegato V dell’atto relativo alle condizioni di adesione all’Unione europea della Repubblica di Croazia e agli adattamenti del [TUE], del [TFUE] e del [trattato Euratom] (GU 2012, L 112, pag. 21) consente agli Stati membri di derogare, in via transitoria, a talune disposizioni della direttiva 2004/38.


99      Tali condizioni comprendono, in particolare, quelle enunciate all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, relative alla disponibilità di risorse economiche sufficienti per non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante. V. sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 47).


100      Nella causa pendente C‑424/16 (GU 2016, C 350, pag. 19), la Corte è investita di una questione pregiudiziale connessa, con la quale la Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) le chiede se l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 costituisca una condizione preliminare al godimento della protezione prevista al paragrafo 3, lettera a), di quest’ultimo articolo. Nelle sue conclusioni nelle cause riunite B e Secretary of State for the Home Department (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2017:797, paragrafo 59), l’avvocato generale Szpunar ha proposto alla Corte di risolvere affermativamente tale questione.


101      Nella sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis(C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 50), la Corte ha rilevato che le questioni relative all’integrazione di un cittadino dell’Unione riguardano, oltre all’interesse individuale del medesimo, gli interessi dell’Unione in generale.


102      Sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis (C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 31) e del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 23).


103      Sentenza del 16 gennaio 2014 (C‑400/12, EU:C:2014:9, punti 32 e 33).


104      V. sentenze del 21 luglio 2011, Dias (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 64), e del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 25).


105      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498, punti 55 e 63).