Language of document : ECLI:EU:C:2012:253

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 26 aprile 2012 (1)

Causa C‑277/11

M. M.

contro

Minister for Justice, Equality and Law Reform,

Irlanda,

Attorney General

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court (Irlanda)]

«Sistema europeo comune di asilo – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato – Direttiva 2005/85/CE – Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Procedura d’esame di una domanda di protezione sussidiaria a seguito del rigetto di una domanda di asilo – Garanzie procedurali concesse al richiedente – Diritto al contraddittorio – Portata del dovere di cooperazione»






1.        Con la sua questione pregiudiziale la High Court (Irlanda) chiede, in sostanza, alla Corte di precisare la portata del diritto al contraddittorio nell’ambito della procedura d’esame di una domanda di protezione sussidiaria, presentata da un cittadino ruandese ai sensi della direttiva 2004/83/CE (2). Tale protezione sussidiaria è diretta a qualsiasi cittadino di un paese terzo che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno (3).

2.        Conformemente all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, l’Unione europea ha stabilito criteri comuni a tutti gli Stati membri quanto alle condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini di paesi terzi per beneficiare di una protezione internazionale ai sensi della direttiva 2004/83. Nell’ambito del capo II di tale direttiva, concernente la valutazione individuale di una domanda di protezione internazionale, l’articolo 4, paragrafo 1, della medesima dispone quanto segue:

«Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda».

3.        Nella presente causa, il giudice del rinvio chiede alla Corte se il dovere di cooperazione stabilito nella suddetta disposizione debba essere interpretato nel senso che vincola l’autorità competente per l’esame della domanda a comunicare, prima dell’adozione di una decisione sfavorevole e quando sia già stata respinta una domanda di asilo, gli elementi sui quali essa intende fondare tale decisione e a raccogliere, sul punto, le osservazioni del richiedente.

4.        La domanda di pronuncia pregiudiziale si inserisce nell’ambito di una controversia che contrappone il sig. M., cittadino ruandese di etnia tutsi, al Minister for Justice, Equality and Law Reform, all’Irlanda e all’Attorney General riguardo alla legittimità della procedura seguita da dette autorità irlandesi per istruire la sua domanda di protezione sussidiaria.

5.        Successivamente alla scadenza del visto, rilasciato per motivi di studio dalle autorità irlandesi, il 21 maggio 2008 il sig. M. ha presentato domanda di asilo dinanzi all’Office of the Refugee Applications Commissionner (ufficio del commissario competente per le domande di asilo) (4). A seguito del rigetto di tale domanda, il 31 dicembre 2008, il sig. M. ha presentato domanda di protezione sussidiaria, la quale è stata ugualmente respinta il 24 settembre 2010. Il Minister for Justice, Equality and Law Reform ha ritenuto che, a causa dei forti dubbi gravanti sull’attendibilità delle sue affermazioni, non fosse possibile provare che il sig. M. avrebbe rischiato di subire un grave danno, una volta ritornato nel proprio paese d’origine, che giustificasse una protezione sussidiaria.

6.        Il sig. M. ha proposto un ricorso di annullamento dinanzi alla High Court avverso quest’ultima decisione. Egli ritiene che le autorità nazionali competenti siano venute meno al dovere di cooperazione, che incombe loro ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, non avendogli offerto la possibilità di presentare osservazioni sul progetto di decisione di rigetto della sua domanda, nella quale si menzionava, in particolare, un documento di cui l’interessato non ha avuto conoscenza nel corso del procedimento.

7.        Nella sua decisione di rinvio, la High Court afferma di non condividere l’analisi del sig. M. relativa all’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83. A tal riguardo, essa fa riferimento alla sua sentenza del 24 marzo 2011, Ahmed v. Minister for Justice, Equality and Law Reform, e a due degli argomenti da essa presentati al fine di respingere una siffatta interpretazione. Il primo era collegato alla necessità di evitare una molteplicità di fasi processuali. Il secondo riguardava l’importante interazione già verificatasi tra l’autorità nazionale competente ed il richiedente nel corso dell’esame della domanda di asilo. La High Court precisava, infatti, che la domanda di protezione sussidiaria non veniva introdotta isolatamente, ma a seguito di una procedura d’esame di una domanda di asilo, nel corso della quale il richiedente era già stato sentito ripetutamente.

8.        Tuttavia, nella sua decisione di rinvio, la High Court rileva che il Raad van State (Consiglio di Stato) (Paesi Bassi), in una sentenza del 12 luglio 2007, sembra aver adottato un’altra interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83. È proprio al fine di evitare qualsiasi divergenza interpretativa da parte dei giudici degli Stati membri che La High Court ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Nel caso in cui un richiedente intenda ottenere lo status conferito dalla protezione sussidiaria a seguito del diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e venga proposto il rigetto di tale domanda, se l’obbligo di cooperare con il richiedente imposto agli Stati membri dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 (…) esiga che le autorità amministrative dello Stato membro di cui si tratta forniscano a detto richiedente i risultati di un siffatto esame prima dell’adozione di una decisione definitiva, in modo da consentirgli di esprimersi in merito a quegli aspetti della decisione proposta che fanno presagire un esito negativo».

9.        Sono state depositate osservazioni scritte dalle parti nel procedimento principale, dai governi ceco e tedesco, dall’Irlanda, dai governi francese, ungherese, olandese e svedese nonché dalla Commissione europea.

10.      Nel corso dell’udienza, il rappresentante del sig. M. ha invitato la Corte a riformulare la questione sollevata in modo tale che la medesima possa valutare, in sostanza, se la procedura d’esame di cui trattasi abbia consentito di garantire il rispetto del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, come quello sancito all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (5). Qualora tale riformulazione vada ben oltre l’ambito delineato dal giudice del rinvio e, di conseguenza, tale questione non sia stata affatto dibattuta dalle parti, invito la Corte a non accoglierla.

I –          Analisi

11.      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se il dovere di cooperazione, stabilito all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, debba essere interpretato nel senso che, prima di adottare una decisione di rigetto, lo Stato membro è tenuto a sentire l’interessato riguardo alla valutazione dei fatti e delle circostanze cui ha provveduto.

12.      Le implicazioni della risposta alla questione sollevata dal giudice del rinvio sono chiare.

13.      Da un lato, si tratta di determinare la portata del diritto al contraddittorio nell’ambito della procedura d’esame di una domanda di protezione internazionale. In particolare, la questione è di stabilire se il dovere di cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 vincoli l’autorità competente per l’esame di una domanda di protezione sussidiaria a comunicare, prima dell’adozione di una decisione sfavorevole e quando sia già stata respinta una domanda di asilo, gli elementi sui quali essa intende fondare tale decisione e a raccogliere, sul punto, le osservazioni del richiedente.

14.      Dall’altro, si tratta di precisare le garanzie minime di cui le autorità nazionali competenti non possono negare il riconoscimento ai richiedenti una protezione internazionale nell’ambito della procedura d’esame della loro domanda. Infatti, sebbene, in conformità dell’undicesimo considerando della direttiva 2005/85/CE (6) e della giurisprudenza della Corte, gli Stati membri abbiano un margine di discrezionalità nell’organizzare la trattazione delle domande di protezione internazionale, questi ultimi sono tuttavia tenuti a garantire il rispetto dei diritti e dei principi procedurali, sia pure minimi, stabiliti nell’ambito di tale direttiva (7).

A –          Osservazioni preliminari

15.      Prima di esaminare la questione, desidero formulare due osservazioni.

16.      In primo luogo, si deve subito rilevare che il dettato dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 non consente di istituire a carico degli Stati membri un obbligo come quello rivendicato dal sig. M., a prescindere dalla versione linguistica di tale testo.

17.      Per rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio, si dovrà quindi, innanzi di tutto, ricordare la portata del diritto al contraddittorio nell’ordinamento giuridico dell’Unione, come definito dalla Corte nella sua giurisprudenza, prima di stabilire la portata che il medesimo dovrebbe avere nell’ambito della procedura d’esame di una domanda di protezione internazionale.

18.      Si dovrà successivamente esaminare il modo in cui tale diritto è concretizzato dal legislatore dell’Unione nelle direttive 2004/83 e 2005/85. Infatti, la portata del dovere di cooperazione, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, deve essere non solo esaminata in base all’economia e allo scopo di tale disposizione, ma essere anche valutata alla luce delle norme che disciplinano la procedura di concessione della protezione internazionale stabilita nella direttiva 2005/85.

19.      Occorre segnalare, infatti, che la direttiva 2004/83, sia attraverso il suo titolo e il suo preambolo sia attraverso il suo contenuto e la sua finalità, non intende fissare le norme procedurali applicabili all’esame di una domanda di protezione internazionale né stabilire garanzie procedurali che debbano essere, a tal fine, concesse al richiedente. Tale direttiva ha come unico obiettivo di fissare criteri comuni a tutti gli Stati membri quanto alle condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini di paesi terzi per poter beneficiare di una protezione internazionale (8) e al contenuto di tale protezione.

20.      In tale contesto, la direttiva 2004/83 fissa, al suo articolo 4, l’elenco degli elementi, di natura fattuale e circostanziale, che devono essere esaminati dagli Stati membri per valutare la fondatezza della domanda e stabilisce, al paragrafo 1 di detto articolo, il dovere di cooperazione la cui portata è oggetto di contestazione nella presente causa.

21.      Orbene, la portata di tale cooperazione è precisata nella direttiva 2005/85.

22.      Adottata alcuni mesi dopo la direttiva 2004/83, la direttiva 2005/85 ha l’obiettivo di stabilire norme procedurali comuni a tutti gli Stati membri quanto alla concessione e alla revoca dello status di rifugiato. In tale contesto, la direttiva 2005/85 definisce, ai capi II e III, i diritti e gli obblighi procedurali gravanti sul richiedente e sullo Stato membro riguardo alla valutazione di una domanda di asilo e concretizza la cooperazione stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83.

23.      Occorre definire l’ambito di applicazione della direttiva 2005/85.

24.      Conformemente al suo articolo 3, paragrafo 1, essa si applica a tutte le domande di asilo presentate nel territorio degli Stati membri.

25.      In virtù del suo articolo 3, paragrafo 3, essa si applica altresì quando uno Stato membro avvia un procedimento unico nell’ambito del quale esamina una domanda alla luce delle due forme di protezione internazionale, ossia l’asilo e la protezione sussidiaria. Infatti, ai sensi di tale disposizione, «[q]ualora gli Stati membri utilizzino o avviino un procedimento in cui le domande di asilo sono esaminate sia quali domande a norma della convenzione [relativa allo status dei rifugiati (9)] sia quali domande concernenti altri tipi di protezione internazionale a seconda delle circostanze definite dall’articolo 15 della direttiva 2004/83 [relativo alla protezione sussidiaria], essi applicano la presente direttiva nel corso dell’intero procedimento».

26.      Mi rendo conto che la maggioranza, se non addirittura la quasi totalità degli Stati membri, ha adottato tale sistema cosiddetto «dello sportello unico», sistema fortemente incoraggiato dal legislatore dell’Unione fin dal 2004 (10) e attualmente stabilito nell’ambito della proposta modificata della direttiva 2005/85 (11).

27.      Per contro, emergerebbe dall’udienza che, quando uno Stato membro avvia un procedimento amministrativo distinto per l’esame di una domanda di protezione sussidiaria, non è tenuto, stricto sensu, in forza dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2005/85, ad applicare le garanzie procedurali concesse nell’ambito dell’esame della domanda di asilo.

28.      In secondo luogo, occorre ricordare che le direttive 2004/83 e 2005/85 sono state adottate sul fondamento dell’articolo 63, primo comma, punto 1, CE, in forza del quale il Consiglio dell’Unione europea era competente ad adottare misure in materia di asilo in base ad un’applicazione integrale e globale della Convenzione di Ginevra. Tali due direttive partecipano in tal modo all’istituzione di un sistema europeo comune di asilo, fondato sull’applicazione integrale e globale di detta convenzione, ed hanno l’obiettivo di assistere le autorità nazionali competenti nell’applicazione di quest’ultima attraverso la definizione di nozioni e di criteri comuni.

29.      Di conseguenza, e conformemente alla giurisprudenza costante della Corte (12), interpreterò le disposizioni di cui trattasi non solo alla luce dell’economia generale e della finalità delle direttive 2004/83 e 2005/85, ma anche tenendo conto delle disposizioni previste nella Convenzione di Ginevra (13) e, in particolare, dell’interpretazione accolta a tal riguardo dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) (14).

B –          Sulla portata del diritto al contraddittorio

30.      La Corte ha affermato l’importanza del diritto al contraddittorio e la sua portata assai ampia nell’ordinamento giuridico dell’Unione.

31.      Così, conformemente a una giurisprudenza costante, tale diritto costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che rientra, da un lato, nel diritto a una buona amministrazione, sancito all’articolo 41 della Carta, e, dall’altro, nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad un equo processo, garantiti agli articoli 47 e 48 della Carta (15).

32.      Il diritto al contraddittorio deve essere applicato a qualsiasi procedura atta a concludersi con una decisione di natura amministrativa o giurisdizionale che incida sfavorevolmente sugli interessi di un soggetto. Il rispetto di tale diritto grava non solo sulle istituzioni dell’Unione, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta (16), ma anche, poiché costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sulle amministrazioni di ciascuno degli Stati membri qualora queste adottino decisioni rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, e ciò anche quando la normativa applicabile non prevede espressamente una siffatta formalità (17). Di conseguenza, il diritto al contraddittorio deve essere applicato alla procedura d’esame di una domanda di protezione internazionale condotta dall’autorità nazionale competente in conformità delle norme adottate nell’ambito del sistema europeo comune di asilo.

33.      Conformemente a una giurisprudenza costante, il diritto al contraddittorio garantisce ad ogni soggetto il diritto di presentare osservazioni, scritte o orali, quanto agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare una decisione che possa arrecargli pregiudizio (18). Esso richiede all’amministrazione di porre l’interessato nella condizione di prendere conoscenza di tali elementi nel corso del procedimento e di far conoscere utilmente ed effettivamente il suo punto di vista. Ciò implica altresì che l’amministrazione prenda conoscenza delle osservazioni dell’interessato con tutta l’attenzione necessaria.

34.      Il diritto al contraddittorio persegue vari obiettivi.

35.      In primo luogo, esso è funzionale all’accertamento dei fatti e quindi all’istruzione della pratica. Le osservazioni formulate dall’interessato e la comunicazione di tutti gli elementi atti ad incidere sul contenuto della decisione adottata dall’amministrazione devono consentire a quest’ultima di esaminare con piena cognizione di causa e in maniera esaustiva tutti gli elementi di natura fattuale, circostanziale o giuridica sui quali si fonda la procedura.

36.      In secondo luogo, il diritto al contraddittorio deve permettere di assicurare una protezione effettiva dell’interessato. Quest’ultimo ha diritto di partecipare alla procedimento che lo riguarda e, in tale ambito, deve avere la certezza di potersi esprimere in primis su tutti i punti rilevanti sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione. Il diritto al contraddittorio deve consentirgli di correggere un errore o di far valere gli elementi relativi alla sua situazione personale che militano nel senso che la decisione sia adottata, non sia adottata o abbia un contenuto piuttosto che un altro (19). Ciò contribuisce a fondare la fiducia dell’amministrato nei confronti della pubblica amministrazione.

37.      La Corte ha espressamente riconosciuto l’esistenza del diritto al contraddittorio nell’ambito di procedimenti amministrativi avviati dall’interessato per beneficiare di un diritto come la franchigia doganale (20) o il contributo finanziario comunitario (21).

38.      Essa ha altresì precisato la portata di tale diritto nell’ambito di procedimenti di natura quasi repressiva nei quali l’amministrazione avvia azioni giudiziarie nei confronti dell’interessato a causa di un atto ritenuto perseguibile e adotta sanzioni economiche e finanziarie a suo carico (22).

39.      Così, nel caso in cui la Commissione sanzioni un’intesa o un abuso di posizione dominante, la Corte ha ammesso che il diritto al contraddittorio implichi, al termine dell’indagine e prima dell’adozione della decisione, la comunicazione all’interessato degli addebiti a lui ascritti (23). Tale comunicazione degli addebiti costituisce un documento preparatorio che non pregiudica la decisione definitiva della Commissione. Tuttavia, tale documento espone le conclusioni preliminari della Commissione riguardo all’esistenza di una violazione delle norme in materia di concorrenza, spiegando le valutazioni di fatto e di diritto da essa svolte nell’ambito dell’istruzione della causa, e apre la fase contraddittoria del procedimento (24).

40.      Parimenti, quanto alle decisioni con le quali il Consiglio congela i fondi di entità coinvolte in atti di terrorismo, la Corte richiede, in via di principio, che l’adozione di tali misure restrittive sia preceduta dalla comunicazione all’interessato degli elementi posti a suo carico nonché dall’opportunità conferita al medesimo di essere sentito (25). Tuttavia, detto principio si applica solo alle decisioni successive di congelamento di fondi. Infatti, per quanto attiene alle decisioni iniziali, la Corte ha deciso di limitare il diritto al contraddittorio in nome della tutela di un interesse pubblico superiore. Poiché tali decisioni, per loro stessa natura, debbono poter beneficiare di un effetto sorpresa ed essere applicate immediatamente, la Corte fa prevalere l’efficacia dell’azione amministrativa, limitando la comunicazione dei motivi al soggetto interessato e applicando il diritto all’audizione di quest’ultimo contestualmente all’adozione della decisione o in un momento immediatamente successivo.

41.      Sebbene possa essere limitato, in talune circostanze particolari, qualora rischi di ledere un interesse pubblico superiore, il diritto al contraddittorio costituisce tuttavia una formalità sostanziale. Di conseguenza e conformemente alla giurisprudenza, la violazione di tale diritto deve essere sanzionata come tale dal giudice e deve comportare l’annullamento della decisione o della parte di decisione relativa ai fatti o agli addebiti sui quali l’interessato non ha potuto far valere le proprie osservazioni (26).

42.      La Corte non ha avuto occasione di pronunciarsi sulla portata del diritto al contraddittorio nell’ambito della procedura d’esame di una domanda di protezione internazionale. Tuttavia, le considerazioni da essa elaborate nell’ambito della giurisprudenza richiamata si impongono, a mio avviso, con la stessa forza.

43.      Infatti, in questo tipo di procedura, caratterizzata da una condizione umana e materiale difficile e in cui si tratta ovviamente di difendere i diritti fondamentali dell’interessato, il rispetto di tale garanzia procedurale riveste un’importanza fondamentale. Non solo l’interessato occupa una posizione assolutamente centrale in quanto dà avvio al procedimento ed è l’unico a poter esporre, in concreto, la sua storia personale nonché il contesto nel quale questa si è svolta, ma anche la decisione pronunciata sarà per il medesimo di vitale importanza.

44.      Esaminiamo ora il modo in cui il legislatore dell’Unione ha attuato il diritto al contraddittorio nelle direttive 2004/83 e 2005/85.

C –          Sull’attuazione del diritto al contraddittorio nell’ambito della procedura d’esame di una domanda di protezione internazionale

45.      A termini del decimo considerando della direttiva 2004/83 e dell’ottavo considerando della direttiva 2005/85, il legislatore dell’Unione si è impegnato a rispettare i diritti fondamentali nella definizione di norme sostanziali e procedurali relative alla concessione di una protezione internazionale.

46.      Nell’ambito della procedura d’esame di una domanda di protezione internazionale, il legislatore dell’Unione ha dunque provveduto affinché le autorità nazionali competenti garantissero l’esercizio effettivo dei diritti procedurali riconosciuti al richiedente, e in particolare del suo diritto al contraddittorio.

47.      In primo luogo, osservo che l’autorità nazionale competente è tenuta ad assolvere il proprio compito mediante un esame individuale, obiettivo e imparziale della domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/85. Essa deve prendere inoltre conoscenza degli elementi fattuali e circostanziali sui quali si fonda la domanda di protezione internazionale in modo adeguato ed esaustivo, in forza dell’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, della suddetta direttiva 2005/85.

48.      In secondo luogo, rilevo che, per assicurare il rispetto effettivo del diritto al contraddittorio, il richiedente beneficia delle garanzie procedurali previste, in particolare, agli articoli 10 e 13 della direttiva 2005/85. Pertanto, l’autorità nazionale competente deve informare l’interessato, in una lingua che questi comprende, riguardo alla procedura da seguire nonché riguardo ai mezzi di cui egli dispone per presentare i propri argomenti. L’autorità nazionale deve inoltre consentirgli di avvalersi di un interprete e garantirgli un esame accurato e attento della sua domanda, dando incarico di condurre il colloquio ad una persona che abbia la competenza necessaria per tener conto della situazione personale o generale in cui si inserisce la domanda. Infine, l’autorità nazionale competente deve assicurare la riservatezza del colloquio, circostanza che deve consentire effettivamente di porre il richiedente a proprio agio per indurlo ad esporre il suo caso con chiarezza e ad esprimere compiutamente le sue opinioni e i suoi sentimenti.

49.      In terzo luogo, constato che il richiedente, prima dell’adozione della decisione, è sentito nell’ambito di uno o più incontri nel corso del quale o dei quali può esporre tutti gli elementi di natura fattuale e circostanziale sui quali egli fonda la propria domanda.

50.      Innanzi tutto, il richiedente è sentito in occasione di un incontro il cui principio è fissato all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2005/85 (27).

51.      A mio avviso, tale incontro concretizza il dovere di cooperazione stabilito all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, la cui portata è oggetto di contestazione nella presente causa.

52.      Conformemente all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2005/85, detto incontro deve consentire all’autorità nazionale competente di assistere il richiedente «nella compilazione della domanda e nella trasmissione delle informazioni essenziali attinenti alla stessa, ai termini dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2004/83/CE». Tali informazioni corrispondono non solo «[a quelle] del richiedente» e a tutta la documentazione in possesso del medesimo «in merito alla sua età, estrazione, anche (…) dei [suoi] congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio», ma anche ai motivi della sua domanda di protezione internazionale.

53.      Tale primo incontro si inserisce proprio nel contesto fissato all’articolo 4 della direttiva 2004/83 e deve essere quindi posto in relazione con i principi fissati dal legislatore dell’Unione in tale articolo.

54.      Detto articolo fissa le norme che devono essere applicate dalle autorità nazionali competenti per quanto riguarda la comunicazione e la valutazione degli elementi di fatto e delle circostanze a sostegno della domanda di protezione internazionale.

55.      Quanto alla domanda di asilo, l’obiettivo è di stabilire, conformemente all’articolo 2, lettera c), della direttiva 2004/83 e in base ad informazioni particolarmente concrete, se il timore dell’individuo di subire persecuzioni, una volta ritornato nel proprio paese d’origine, sia oggettivamente fondato. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria, lo scopo è di valutare, alla luce dell’articolo 2, lettera e), di tale direttiva, se sussistano gravi e fondati motivi per ritenere che l’interessato correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno se ritornasse nel proprio paese d’origine.

56.      Conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della suddetta direttiva, l’onere della prova incombe al richiedente la protezione internazionale. Quest’ultimo è, infatti, tenuto a presentare tutti gli elementi necessari per supportare la propria domanda (28), il che è del tutto giustificato, poiché solo il richiedente è in grado, a priori, di fare riferimento alla situazione in cui si trova e di produrre le prove pertinenti.

57.      Il legislatore dell’Unione ha tuttavia temperato tale principio aggiungendo che «[l]o Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda». È proprio in questa fase della procedura che il legislatore dell’Unione intende instaurare la cooperazione la cui portata è oggetto di contestazione nella presente causa.

58.      La cooperazione deve quindi essere intesa come circoscritta alla presentazione dei fatti pertinenti e alla comunicazione degli elementi necessari alla valutazione della fondatezza della domanda.

59.      L’utilizzo della nozione di cooperazione presuppone, inoltre, una collaborazione tra le due parti in vista di un obiettivo comune.

60.      Nell’ambito dei lavori preparatori della direttiva 2004/83, si trattava per la Commissione di stabilire un obbligo «condiviso» tra il richiedente e lo Stato membro competente ad esaminare la domanda nella verifica e nella valutazione di tutti i fatti pertinenti (29).

61.      Nell’ambito dei commenti formulati dall’UNHCR, si trattava di istituire una «responsabilità comune al richiedente e all’esaminatore» per quanto riguarda il compito di stabilire e di valutare gli elementi necessari all’esame della domanda (30).

62.      Tale dovere di cooperazione costituisce un obbligo per il richiedente asilo, conformemente all’articolo 11 della direttiva 2005/85.

63.      Infatti, è proprio detto richiedente ad avviare la procedura per poter beneficiare di un diritto ed è sempre il richiedente ad essere l’unico che può esporre in concreto la sua storia personale nonché il contesto nel quale questa si è svolta e che può fornire le prime informazioni utili. Tale cooperazione si traduce in diversi obblighi tra i quali figurano, in particolare, l’obbligo per l’individuo di presentarsi di persona, a una data precisa, quello di consegnare i documenti e gli oggetti che sono in suo possesso e che presentano un interesse ai fini dell’esame della domanda o ancora quello di accettare la registrazione delle sue dichiarazioni.

64.      Tale dovere di cooperazione incombe ugualmente allo Stato membro. Ciò si spiega, a mio avviso, con le difficoltà che il richiedente una protezione internazionale può essere chiamato ad affrontare nella predisposizione delle prove.

65.      Da un lato, è poco probabile che quest’ultimo sia sempre in grado di stabilire se la sua domanda sia conforme ai criteri enunciati nella Convenzione di Ginevra o nella direttiva 2004/83, che sia a conoscenza di altri strumenti in materia di diritti umani sui quali si fondano altre forme di protezione internazionale o che possa immediatamente presentare le prove più idonee all’esame della sua domanda.

66.      Dall’altro lato, è indispensabile tener conto dello stato di deprivazione non solo materiale, ma anche psicologica, nel quale può trovarsi il richiedente asilo. Come ricorda l’UNHCR, quest’ultimo, fuggendo dal proprio paese d’origine, può arrivare con lo stretto indispensabile, non avere alcun documento di identità e può, di conseguenza, non essere in grado di supportare le proprie dichiarazioni con prove documentali. Il richiedente può inoltre soffrire di un vero e proprio disagio psicologico e provare diffidenza nei confronti dell’autorità pubblica, tenuto conto dell’esperienza vissuta nel proprio paese d’origine, e può avere timore di parlare liberamente e di esporre compiutamente e integralmente tutte le circostanze inerenti alla sua situazione (31).

67.      In tali circostanze, la cooperazione stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 deve consentire, in funzione delle circostanze di ciascun caso di specie, di valutare e di raccogliere gli elementi più rilevanti ai fini dell’esame della domanda di protezione internazionale e di riunire, congiuntamente al richiedente e grazie alle risorse di cui dispone l’autorità nazionale competente, tutte le informazioni necessarie per valutare la credibilità del richiedente e la fondatezza della sua domanda.

68.      In questa fase della mia analisi, posso quindi fin d’ora concludere che, istituendo un dovere di cooperazione all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, il legislatore dell’Unione non ha inteso obbligare lo Stato membro a comunicare, prima dell’adozione di una decisione sfavorevole, gli elementi sui quali intende fondare siffatta decisione e a raccogliere, sul punto, le osservazioni del richiedente. Tale cooperazione, come l’incontro nel quale questa può concretizzarsi, ha come unico obiettivo di assistere il richiedente nella compilazione della sua domanda e nella raccolta degli elementi ritenuti essenziali a tal fine.

69.      Occorre poi rilevare che il richiedente ha altresì il diritto di essere sentito nell’ambito di un colloquio personale previsto all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2005/85.

70.      Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 3, di questa stessa direttiva, detto colloquio deve consentire all’interessato di esporre tutti i motivi della sua domanda. Di conseguenza, non è destinato neanch’esso a comunicare all’interessato la valutazione che l’autorità nazionale competente avrà effettuato e a raccogliere le osservazioni del richiedente prima dell’adozione della decisione.

71.      Si deve infine segnalare che il richiedente riceve comunicazione dei verbali redatti, successivamente a ciascun incontro.

72.      Infatti, ai sensi dell’articolo 14 della direttiva 2005/85, i colloqui tra il richiedente e l’autorità nazionale competente devono formare oggetto di un verbale, che deve essere trasmesso all’interessato «tempestivamente» o in tempi sufficientemente brevi per consentirgli di preparare e presentare un ricorso in tempo utile. Detto verbale deve contenere «almeno» le informazioni essenziali relative alla domanda. Inoltre, lo Stato membro può chiedere all’interessato di approvare il contenuto del medesimo, mentre i punti sui quali dissente possono essere eventualmente registrati nel suo fascicolo personale. Il richiedente ha quindi la possibilità di correggere taluni elementi prima dell’adozione della decisione o successivamente alla stessa nell’ambito di un ricorso giurisdizionale.

73.      A conclusione di questa analisi delle norme sostanziali e procedurali che disciplinano l’esame di una domanda di protezione internazionale, è giocoforza constatare che il legislatore dell’Unione non ha inteso obbligare gli Stati membri, nell’ambito della cooperazione prevista all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 o in occasione dei colloqui personali e delle comunicazioni che precedono l’adozione della decisione, a comunicare all’interessato il progetto di decisione prevista e a raccogliere il suo punto di vista, qualora intendano pronunciare una decisione sfavorevole.

74.      Se non è quindi possibile evincere un simile obbligo dalle disposizioni previste dalle direttive 2004/83 e 2005/85, la questione è se sia possibile desumerlo dalla giurisprudenza della Corte relativa alla portata del diritto al contraddittorio.

75.      Non lo ritengo possibile.

76.      Abbiamo visto, è vero, che, nell’ambito di procedimenti di natura quasi repressiva come quelli in cui la Commissione sanziona un’intesa o un abuso di posizione dominante, la Corte ha ammesso che il diritto al contraddittorio implichi, prima dell’adozione della decisione, la comunicazione all’interessato degli addebiti a lui ascritti. Tale comunicazione espone le conclusioni preliminari della Commissione quanto all’esistenza di una violazione delle norme in materia di concorrenza, spiegando le valutazioni di fatto e di diritto da essa effettuate nell’ambito dell’istruzione della causa (32).

77.      In tale contesto, il diritto al contraddittorio consente effettivamente all’interessato di prendere conoscenza, prima dell’adozione della decisione, del modo in cui l’autorità intende valutare giuridicamente i fatti allegati e di esprimersi, eventualmente, riguardo alla sua motivazione giuridica.

78.      Orbene, ci troviamo nell’ambito di procedimenti di natura quasi penale nei quali la Commissione avvia azioni giudiziarie nei confronti dell’impresa a causa di un atto ritenuto perseguibile. La comunicazione degli addebiti è quindi assimilabile ad un «atto di accusa» formulato al termine dell’indagine condotta dalla Commissione. Essa apre la fase contraddittoria del procedimento, in cui l’impresa è quindi posta nella condizione di presentare osservazioni scritte e di essere sentita nell’ambito di un’audizione sui fatti che le sono contestati, sugli elementi di prova sui quali si fondano tali fatti nonché sulla qualificazione dei medesimi.

79.      In tale ambito, il diritto al contraddittorio è inteso come un vero e proprio diritto di difesa, che consente all’impresa di contestare gli addebiti formulati nei confronti della stessa prima che la Commissione le infligga una sanzione o le imponga una penale.

80.      Orbene, nell’ambito di una procedura come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che è anch’essa avviata dall’interessato per beneficiare di un diritto, quest’ultimo ha già potuto far falere le proprie osservazioni riguardo agli elementi da prendere in considerazione.

81.      Come ha ricordato la Corte nelle citate sentenze Sopropé e Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran, la regola secondo la quale il destinatario di una decisione recante pregiudizio deve essere posto nella condizione di far valere le proprie osservazioni prima dell’adozione della medesima ha lo scopo di far sì che l’autorità interessata sia in grado di tenere utilmente conto di tutti gli elementi pertinenti. Al fine di assicurare una tutela effettiva di detto destinatario, tale regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a quest’ultimo di correggere un errore o far valere gli elementi relativi alla sua situazione personale che militano nel senso che la decisione sia adottata, non sia adottata o abbia un contenuto piuttosto che un altro.

82.      Orbene, è giocoforza constatare che, alla luce del quadro normativo sopra descritto, il legislatore dell’Unione ha provveduto affinché, prima dell’adozione di una decisione, il diritto al contraddittorio del richiedente sia garantito in questi termini.

83.      Sebbene i primi elementi sui quali si fonda una domanda di protezione internazionale siano, innanzi tutto, forniti in base a un modulo o a un questionario standard, il richiedente può, successivamente, far conoscere la realtà dei fatti e delle circostanze che ha dovuto affrontare nel proprio paese d’origine nella fase istruttoria della domanda. In tale contesto, la cooperazione stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 consente al richiedente di valutare gli elementi più rilevanti e di riunire, congiuntamente all’autorità nazionale competente, tutte le informazioni necessarie a sostegno della sua domanda. Quanto al colloquio o ai colloqui personali previsti all’articolo 12 della direttiva 2005/85, questi costituiscono per il richiedente un’ulteriore occasione per conferire con il soggetto più qualificato a tener conto della sua situazione personale. Il richiedente può esporre tutti i motivi della sua domanda nonché tutti i nuovi elementi che non aveva inserito nella sua argomentazione e fornire chiarimenti. Per l’autorità nazionale competente, tale colloquio costituisce un’occasione per esaminare in modo assai concreto la pertinenza di tutti tali elementi al fine di valutare la personalità dell’individuo nonché l’attendibilità delle sue dichiarazioni e di fare luce, eventualmente, su alcune contraddizioni.

84.      Inoltre, non va dimenticato un accenno alla circostanza che, conformemente all’articolo 9 della direttiva 2005/85, l’autorità nazionale competente è tenuta a motivare in fatto e in diritto la decisione di rigetto della domanda di asilo. Peraltro, ai sensi dell’articolo 39 di detta direttiva, gli Stati membri devono garantire il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Pertanto, la legittimità della decisione definitiva adottata e, in particolare, dei motivi che hanno condotto l’autorità competente a respingere la domanda di asilo in quanto infondata possono costituire oggetto di un esame approfondito da parte del giudice nazionale, nell’ambito del ricorso proposto avverso la decisione di rigetto della suddetta domanda (33).

85.      Infine, occorre ricordare che le procedure stabilite nelle direttive 2004/83 e 2005/85 costituiscono norme minime. Conformemente all’articolo 3 della direttiva 2004/83 e all’articolo 5 della direttiva 2005/85, gli Stati membri sono liberi di prevedere o di mantenere norme più favorevoli quanto alle condizioni sostanziali nonché alle procedure di concessione e di revoca di una protezione internazionale, sempre che tali norme siano compatibili con le suddette direttive. Di conseguenza, gli Stati membri sono liberi di rafforzare le garanzie fondamentali concesse al richiedente nell’ambito dell’esame della sua domanda. Il governo olandese segnala quindi, nelle sue osservazioni, che nei Paesi Bassi il ministro competente è tenuto a informare il richiedente, per iscritto e dandone motivazione, della propria intenzione di respingere la domanda di protezione internazionale, al fine di raccogliere le osservazioni scritte del richiedente e, se del caso, di correggere eventuali vizi che inficiano la decisione.

86.      Tenuto conto di tali elementi, ritengo, di conseguenza, che il dovere di cooperazione previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, letto alla luce delle norme e delle garanzie procedurali stabilite nella direttiva 2005/85, debba essere interpretato nel senso che l’autorità competente per l’esame della domanda non è tenuta a comunicare, prima dell’adozione di una decisione sfavorevole, gli elementi sui quali intende fondare quest’ultima e a raccogliere, sul punto, le osservazioni del richiedente.

87.      Tale interpretazione si impone nell’ambito dell’esame di una domanda di asilo.

88.      Essa si impone parimenti, conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2005/85, qualora lo Stato membro abbia stabilito una procedura unica nell’ambito della quale esamina la domanda alla luce delle due forme di protezione internazionale, su richiesta dell’interessato o d’ufficio, e in cui l’autorità nazionale competente esamina quindi automaticamente i motivi della protezione sussidiaria, qualora non siano soddisfatte le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato. Abbiamo visto infatti che, in tal caso, l’autorità competente deve rispettare le norme e le garanzie procedurali stabilite dalla direttiva 2005/85, per tutta la durata di tale procedura.

89.      Per contro, qualora lo Stato membro esamini la domanda di protezione sussidiaria nell’ambito di una procedura distinta, non è tenuto, considerato l’ambito di applicazione della direttiva 2005/85, a concedere le garanzie procedurali previste per l’esame di una domanda di asilo. Resta comunque tenuto, da un lato, a cooperare con il richiedente, nell’ambito previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, e, dall’altro, a garantire il diritto al contraddittorio, in quanto quest’ultimo, come ho detto, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione.

90.      Di conseguenza e alla luce delle considerazioni che precedono, quando, a seguito del rigetto di una domanda di asilo, viene presentata una domanda di protezione sussidiaria nell’ambito di un nuovo procedimento, l’autorità nazionale competente non è tenuta, a mio avviso, a comunicare il suo progetto di decisione, purché, tuttavia, abbia posto l’interessato nella condizione di far valere tutti gli argomenti e di produrre tutti i documenti atti a dimostrare che egli soddisfa i requisiti specifici della protezione sussidiaria prevista dall’articolo 15 della direttiva 2004/83.

91.      Tenuto conto di tutti questi elementi, propongo, di conseguenza, alla Corte di statuire che il dovere di cooperazione previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, letto alla luce delle norme e delle garanzie procedurali stabilite nella direttiva 2005/85, debba essere interpretato nel senso che, qualora un’autorità nazionale competente intenda respingere una domanda di protezione sussidiaria presentata a seguito del rigetto di una domanda di asilo, la medesima non è tenuta a comunicare, prima dell’adozione della sua decisione, gli elementi sui quali intende fondare quest’ultima e a raccogliere, sul punto, le osservazioni del richiedente.

92.      Conformemente all’articolo 3 della direttiva 2004/83 e all’articolo 5 della direttiva 2005/85, gli Stati membri possono prevedere o mantenere norme più favorevoli quanto alle procedure di concessione e di revoca di una protezione internazionale, sempre che tali norme siano compatibili con le suddette direttive.

D –          Applicazione alla presente causa

93.      Sebbene spetti solo al giudice adito in via principale accertare se la decisione sia stata adottata in violazione delle garanzie procedurali concesse al richiedente, desidero, tuttavia, nell’ambito della cooperazione giudiziaria istituita dall’articolo 267 TFUE, fornire al giudice del rinvio i seguenti elementi di valutazione.

94.      Alla data dei fatti del procedimento principale, le norme relative alla trattazione delle domande di asilo erano contenute nella legge del 1996 sui rifugiati (Refugee Act 1996). Le disposizioni relative alla procedura d’esame di una domanda di protezione sussidiaria erano contenute, a loro volta, nel regolamento del 2006 relativo all’ammissibilità alla protezione nell’ambito delle Comunità europee [European Communities (Eligibility for Protection) Regulations 2006] (34), che recepisce la direttiva 2004/83.

95.      Ho avuto modo di apprendere, nel corso dell’udienza, che in Irlanda l’esame di una domanda di protezione sussidiaria si inserisce nell’ambito di un procedimento distinto. Non esiste, attualmente, una procedura unica. Come mi è stato confermato dall’Irlanda e dalla Commissione, le garanzie procedurali stabilite dal legislatore dell’Unione nella direttiva 2005/85 non sono quindi applicabili a tale procedimento.

96.      In primo luogo, il sig. M. sostiene, dinanzi al giudice del rinvio, di non essere stato sentito nell’ambito dell’esame della sua domanda di protezione sussidiaria e di ignorare gli elementi sui quali l’autorità nazionale competente intendeva fondare la propria decisione di rigetto.

97.      Dagli atti di causa emerge, infatti, che costui non è stato sentito, in tale fase della procedura, nell’ambito di un colloquio personale.

98.      A mio avviso, sebbene l’esame della domanda di protezione sussidiaria si inserisca nell’ambito di una procedura distinta, non ritengo che si debbano ignorare le garanzie procedurali di cui il sig. M. ha già beneficiato nel corso della procedura d’esame della sua domanda di asilo. Infatti, queste due procedure rimangono intimamente connesse e fondate, assai concretamente, su una storia personale e circostanze di natura analoga. Tuttavia, è indispensabile verificare che il sig. M. abbia potuto far valere effettivamente e utilmente tutte le sue osservazioni sui motivi a sostegno, in particolare, della sua domanda di protezione sussidiaria.

99.      Orbene, alla luce degli elementi in mio possesso, ho l’impressione che l’interessato sia stato posto realmente nella condizione di illustrare i propri argomenti riguardo agli elementi che giustificano la concessione non solo dello status di rifugiato, ma anche della protezione sussidiaria.

100. Il sig. M. ha presentato la sua domanda di asilo all’ORAC il 21 maggio 2008, data in cui è stato sentito nell’ambito di un colloquio preliminare ai sensi dell’articolo 8 della legge del 1996 sui rifugiati. In tale contesto, gli è stato consegnato un questionario volto ad ottenere dall’interessato tutte le informazioni pertinenti che lo riguardavano nonché i motivi a giustificazione della sua domanda. Su tale base e ai sensi dell’articolo 11 di detta legge, il 23 agosto 2008, il sig. M. è stato sentito nel corso di un colloquio personale durante il quale gli è stato consentito di esporre tutti i motivi a giustificazione della sua domanda e gli elementi a sostegno della stessa. Tale colloquio ha dato luogo alla redazione di un verbale, costituente una decisione di primo grado (35), che conteneva una raccomandazione negativa da parte dell’ORAC, poiché quest’ultimo riteneva, in particolare, che la domanda dell’interessato non fosse sufficientemente attendibile visti i tempi nei quali quest’ultimo aveva presentato tale domanda.

101. Tale raccomandazione è stata notificata all’interessato in data 8 settembre 2008. Conformemente all’articolo 16, paragrafo 1, della legge del 1996 sui rifugiati, il sig. M. ha proposto ricorso contro la suddetta raccomandazione dinanzi al Refugee Appeals Tribunal (Irlanda). Tale ricorso è stato esaminato nell’ambito di un procedimento scritto, data la soppressione della fase orale del procedimento, ai sensi dell’articolo 13, paragrafi 5 e 6, lettera c), di detta legge, in quanto il richiedente, senza un valido motivo, non ha presentato la sua domanda entro un termine ragionevole (36). Tale procedimento gli ha consentito, da un lato, di prendere posizione sui motivi formulati dall’ORAC per respingere la sua domanda di asilo e, dall’altro, di esporre ancora una volta tutte le ragioni che gli impedivano di ritornare nel proprio paese d’origine, allegando ai suoi atti ulteriori elementi comunicati il 25 settembre 2008.

102. Con decisione del 28 ottobre 2008, il Refugee Appeals Tribunal ha confermato la raccomandazione negativa dell’ORAC e ha chiesto che al sig. M. non venisse concesso lo status di rifugiato. Tale decisione, che deve essere motivata conformemente all’articolo 16, paragrafo 17, della legge del 1996 sui rifugiati, è stata notificata il 31 ottobre 2008 all’interessato, il quale non ha contestato le conclusioni dell’ORAC né quest’ultima decisione dinanzi alla High Court (37).

103. Con lettera notificata in data 8 dicembre 2008, il sig. M. è stato informato della decisione del Minister for Justice, Equality and Law Reform volta a respingere la sua domanda di asilo e di emettere nei suoi confronti un decreto di espulsione. Tale notifica è stata corredata di un avviso con il quale si informava il sig. M. che poteva chiedere, da un lato, il beneficio dello status conferito dalla protezione sussidiaria e, dall’altro, un’autorizzazione temporanea a rimanere nel territorio. A tal fine, erano allegati alla suddetta lettera una nota informativa sulla protezione sussidiaria nonché il modulo con il quale era possibile presentare la domanda. Oltre ai dati personali, il richiedente è stato invitato a trasmettere tutta la documentazione supplementare e ad esporre in dettaglio i motivi riguardanti specificamente le circostanze invocate a sostegno della domanda di protezione sussidiaria indicando, in particolare, il grave danno che il richiedente avrebbe potuto subire se fosse ritornato nel proprio paese d’origine.

104. Il sig. M. ha quindi presentato, il 31 dicembre 2008, una domanda di protezione sussidiaria, che è stata completata il 15 luglio 2009 e il 6 agosto 2010 con documenti diretti a sostenere la sua domanda. Quest’ultima è stata esaminata conformemente alle regole 4 e 5 del regolamento del 2006, le quali costituiscono norme di recepimento dell’articolo 4 della direttiva 2004/83. Pertanto, conformemente alla regola 5 del regolamento del 2006, l’autorità nazionale competente era tenuta a prendere in considerazione tutti i fatti pertinenti relativi al paese d’origine al momento dell’adozione della decisione, tra cui le sue leggi e i suoi regolamenti nonché la loro applicazione, le dichiarazioni e i documenti trasmessi dal richiedente, tra cui le informazioni relative alla circostanza che questi sia stato o possa essere oggetto di persecuzioni oppure abbia subito o possa subire un grave danno, nonché la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente, tra cui fattori come il suo passato, il sesso, l’età e le attività esercitate da quando ha lasciato il paese d’origine e che possono comportare persecuzioni o un grave danno in caso di ritorno.

105. La domanda di protezione sussidiaria è stata respinta, il 24 settembre 2010 dal Minister for Justice, Equality and Law Reform, il quale ha ritenuto che, a causa dei forti dubbi gravanti sull’attendibilità delle affermazioni del richiedente, non fosse possibile provare che quest’ultimo avrebbe rischiato di subire un grave danno se fosse ritornato nel proprio paese d’origine. Tale decisione di rigetto è stata notificata al sig. M. in data 30 settembre 2010.

106. L’esposizione dei fatti che ho appena richiamato consente, a mio parere, di stabilire che il sig. M. ha potuto presentare tutti i fatti e le circostanze che giustificavano, a suo giudizio, una protezione internazionale, a prescindere dalla circostanza che la medesima rientrasse nel diritto di asilo o nella protezione sussidiaria. Inoltre, posso presumere che il sig. M. fosse a conoscenza degli elementi in base ai quali l’autorità nazionale competente intendeva valutare la fondatezza di tale domanda poiché, nel corso dell’esame della sua domanda di asilo, è stato sentito a più riprese dall’ORAC e in seguito ha potuto prendere conoscenza delle ragioni addotte da quest’ultimo per pronunciare una raccomandazione negativa nell’ambito del ricorso proposto dinanzi al Refugee Appeals Tribunal. Infine, ha ricevuto comunicazione dei motivi su cui si fondava la decisione di rigetto del Minister for Justice, Equality and Law Reform.

107. In secondo luogo, il sig. M. contesta all’autorità nazionale competente di aver fondato la sua valutazione su documenti pubblicati nel 2010, in particolare su un rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America relativo alla situazione in Ruanda, quando l’interessato, a sua volta, aveva presentato lo stesso rapporto risalente al 2008 nonché informazioni supplementari sul sistema giudiziario ruandese aggiornate in una lettera del 6 agosto 2010.

108. Non posso contestare all’autorità nazionale competente di aver valutato la fondatezza della domanda di cui trattasi in base alle informazioni più dettagliate e più attuali riguardo alla situazione generale in Ruanda.

109. Infatti, conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/83, gli Stati membri devono procedere alla valutazione individuale di una domanda di protezione internazionale tenendo conto di «tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda [(38)]». Inoltre, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2005/85, disposizione che non è certamente applicabile nella procedura di cui trattasi, l’autorità competente per l’esame della domanda deve procedere ad un esame appropriato e obiettivo e deve, a tal fine, provvedere affinché «pervengano da varie fonti informazioni precise e aggiornate, (…) circa la situazione generale esistente nel paese di origine de[l] richiedent[e]».

110. Di conseguenza, come indicato dalla High Court nella citata sentenza Ahmed v. Minister for Justice, Equality and Law Reform, il richiedente deve aspettarsi che l’autorità competente per l’esame della domanda svolga il suo compito accertandosi di avere a disposizione elementi perfettamente aggiornati.

111. La questione, al momento, è di stabilire se il rapporto del 2010 fosse tale da orientare sensibilmente la decisione dell’autorità nazionale competente. Se così fosse stato e qualora si fosse trattato, di conseguenza, di un elemento essenziale, ritengo che l’interessato avrebbe dovuto essere posto nella condizione di presentare osservazioni su tale punto. Orbene, nella presente causa e alla luce degli elementi contenuti nel fascicolo non mi pare sia questo il caso. Da un lato, il giudice del rinvio rileva che, per quanto attiene al periodo 2007‑2010, la situazione generale e di sicurezza del Ruanda non ha registrato mutamenti apprezzabili. Dall’altro, esso precisa, per quanto riguarda la situazione personale del richiedente e, in particolare, la mancanza di credibilità che gli viene, in sostanza, contestata, che le differenze tra il rapporto del 2008 e quello del 2010 non sono altamente pertinenti. Di conseguenza, sembra che le informazioni sulle quali si è fondato il Minister for Justice, Equality and Law Reform non abbiano fatto altro che corroborare le conclusioni già tratte nell’ambito della procedura d’esame della domanda di asilo.

112. In terzo luogo, il sig. M. sostiene di aver ignorato quando sarebbe stata adottata una decisione in merito alla sua domanda di protezione sussidiaria, criticando, inoltre, la durata del procedimento.

113. Dagli atti di causa emerge che la procedura d’esame della domanda di asilo presentata dal sig. M. è durata sei mesi e mezzo e quella relativa alla sua domanda di protezione sussidiaria 21 mesi. Di conseguenza, la situazione dell’interessato è stata definita al termine di un procedimento che è durato poco più di due anni e tre mesi.

114. Tale durata mi sembra manifestamente irragionevole. Sebbene, in Irlanda, l’esame della domanda di protezione sussidiaria non sia soggetta alle norme procedurali previste dall’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2005/85 – il quale prevede che gli Stati membri debbano provvedere affinché la procedura d’esame di una domanda di protezione internazionale sia espletata quanto prima possibile e, nell’impossibilità di prendere una decisione entro sei mesi, debbano provvedere affinché il richiedente sia informato del ritardo o riceva informazioni sul termine della decisione –, tuttavia, l’autorità nazionale competente, qualora adotti una decisione rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, è tenuta a garantire il rispetto del diritto dell’interessato a una buona amministrazione, il quale costituisce un principio generale del diritto dell’Unione.

115. Le domande di protezione sussidiaria, come le domande di asilo, devono quindi formare oggetto di un esame diligente, che rientri in un termine ragionevole, in quanto la rapidità del procedimento contribuisce non solo alla certezza del diritto del richiedente, ma anche alla sua integrazione.

116. Spetterà, di conseguenza, al giudice del rinvio valutare in quali termini la durata relativamente lunga di tale procedura abbia potuto intaccare i diritti e le garanzie concesse al sig. M. nell’ambito della procedura d’esame della sua domanda di protezione sussidiaria.

II – Conclusione

117. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla High Court nel seguente modo:

«Il dovere di cooperazione previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, letto alla luce delle norme e delle garanzie procedurali stabilite nella direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, deve essere interpretato nel senso che, qualora un’autorità nazionale competente intenda respingere una domanda di protezione sussidiaria presentata a seguito del rigetto di una domanda di asilo, la medesima non è tenuta a comunicare, prima dell’adozione della sua decisione, gli elementi sui quali intende fondare quest’ultima e a raccogliere, sul punto, le osservazioni del richiedente.

Conformemente all’articolo 3 della direttiva 2004/83 e all’articolo 5 della direttiva 2005/85, gli Stati membri possono prevedere o mantenere norme più favorevoli quanto alle procedure di concessione e di revoca di una protezione internazionale, sempre che tali norme siano compatibili con le suddette direttive».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Direttiva del Consiglio del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12, e rettifica GU 2005, L 204, pag. 24).


3 – V. definizione prevista all’articolo 2, lettera e), della direttiva 2004/83.


4 – In prosieguo: l’«ORAC».


5 – In prosieguo: la «Carta».


6 – Direttiva del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13, e rettifica GU 2006, L 236, pag. 36).


7 – V. sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, Racc. pag. I‑7151), nella quale la Corte ha ricordato che gli Stati membri dispongono, sotto vari aspetti, di un margine di discrezionalità per l’attuazione delle disposizioni della direttiva 2005/85, tenendo conto naturalmente delle specificità del loro diritto nazionale (punto 29).


8 – V. articolo 1 della direttiva summenzionata.


9 – Tale convenzione, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954) (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967.


10 – Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, intitolata «Un sistema di asilo comune europeo più efficiente – La procedura unica come prossima fase» [COM(2004) 503 def.].


11 – Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale [COM(2011) 319 def., punto 3.1.5]. Tale proposta prevede una procedura unica e stabilisce quindi chiaramente che le domande dovrebbero essere considerate alla luce delle due forme di protezione internazionale previste dalla direttiva 2004/83, con l’obiettivo di estendere tutte le garanzie procedurali applicabili all’esame di una domanda di asilo all’esame di una domanda di protezione sussidiaria.


12 – Sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, Racc. pag. I‑10979).


13 – Ibidem, punto 78 e giurisprudenza ivi citata.


14 – Ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra, l’UNHCR ha il compito di vigilare sull’applicazione delle convenzioni internazionali che garantiscono la protezione dei rifugiati. È interessante fare riferimento al Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, pubblicato dall’UNHCR, gennaio 1992, disponibile all’indirizzo Internet http://unhcr.org/refworld/docid/3ae6b32b0.html.


15 – V. sentenze della Corte del 18 dicembre 2008, Sopropé (C‑349/07, Racc. pag. I‑10369, punti 36‑38 e giurisprudenza ivi citata), e del 21 dicembre 2011, Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran (C‑27/09 P, Racc. pag. I‑13427, punto 66), nonché del Tribunale del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, punti 71 e 72 nonché giurisprudenza ivi citata).


16 – La Corte, nella sua sentenza del 21 dicembre 2011, Cicala (C‑482/10, Racc. pag. I‑14139), ha espressamente rilevato che, secondo il suo dettato, l’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta non si rivolge agli Stati membri, ma unicamente alle istituzioni e agli organi dell’Unione (punto 28).


17 – Sentenza Sopropé, cit. (punto 38).


18 – Ibidem (punti 37 e giurisprudenza ivi cit. e 50).


19 – Ibidem (punto 49). V. anche sentenza Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran, cit. (punto 65).


20 – V., in particolare, sentenze della Corte del 21 novembre 1991, Technische Universität München (C‑269/90, Racc. pag. I‑5469, punti 23‑25), relativa alla concessione di una franchigia doganale per l’importazione di un apparecchio scientifico, e del Tribunale del 9 novembre 1995, France-aviation/Commissione (T‑346/94, Racc. pag. II‑2841, punto 34), per un’applicazione di tale giurisprudenza alle procedure di rimborso dei dazi doganali.


21 – Sentenza del 24 ottobre 1996, Commissione/Lisrestal e a. (C‑32/95 P, Racc. pag. I‑5373).


22 – V., per un’applicazione nel settore delle norme in materia di concorrenza, sentenza del 3 settembre 2009, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione (C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Racc. pag. I‑7191), nonché, per un’applicazione nel settore della lotta al terrorismo, sentenza Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran, cit. (punti 61‑66 e giurisprudenza ivi citata).


23 – V., in particolare, le mie conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, cit.


24 – V., in tal senso, sentenza del 17 novembre 1987, British American Tobacco e Reynolds Industries/Commissione (142/84 e 156/84, Racc. pag. 4487, punto 70).


25 – Sentenza Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran, cit. (punti 61 e 62).


26 – V., per un’applicazione, sentenze citate Technische Universität München nonché Papierfabrik August Koehler e a./Commissione.


27 – La procedura stabilita all’articolo 14 della direttiva 2005/85 è applicabile a tale incontro conformemente al suo paragrafo 4.


28 – V. anche, a tal proposito, articolo 10, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2005/85.


29 – V. commenti della Commissione all’articolo 7, lettera a), contenuti nella proposta di direttiva del Consiglio del 12 settembre 2001 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione [COM(2001) 510 def.].


30 – V. commenti annotati dell’UNHCR alla direttiva 2004/83 relativi all’articolo 4, paragrafo 1, della medesima.


31 – V. commenti annotati dell’UNHCR alla direttiva 2004/83 relativi all’articolo 4 della medesima e punti 195‑205 del Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, citato alla nota 14.


32 – V. note 23 e 24.


33 – V., a tal proposito, sentenza Samba Diouf, cit. (punto 56).


34 – In prosieguo: il «regolamento del 2006».


35 – Conformemente all’articolo 13, paragrafo 4, lettera a), della legge summenzionata, detto verbale deve essere trasmesso al richiedente.


36 – Lo stesso avviene quando la domanda è, in particolare, manifestamente infondata o quando il richiedente ha indotto le autorità in errore presentando false informazioni (recepimento dell’articolo 23, paragrafo 4, della direttiva 2005/85).


37 – Dalle osservazioni depositate dall’Irlanda emerge che il richiedente, che è stato oggetto di una raccomandazione negativa dell’ORAC e/o del Refugee Appeals Tribunal, può presentare un ricorso giurisdizionale dinanzi alla High Court ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere h) e i), della legge del 2000 sull’immigrazione clandestina e sul commercio degli esseri umani [Illegal Immigrants (Trafficking) Act 2000].


38 – Il corsivo è mio.