Language of document : ECLI:EU:C:2018:389

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 5 giugno 2018 (1)

Causa C135/17

X-GmbH

contro

Finanzamt Stuttgart - Körperschaften

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Articoli 56 CE e 57 CE – Movimenti di capitali tra Stati membri e paesi terzi – Restrizioni – Clausola di “standstill” – Investimenti diretti – Normativa di uno Stato membro che prevede l’imposizione dei redditi che provengono da società che hanno sede legale all’estero – Giustificazione – Lotta contro le costruzioni di puro artificio – Ripartizione equilibrata del potere impositivo – Preservare l’efficacia dei controlli fiscali»






I.      Introduzione

1.        Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania) chiede alla Corte di pronunciarsi sull’interpretazione degli articoli 56 e 57 CE (ora, rispettivamente, articoli 63 e 64 TFUE), al fine di sapere, in sostanza, se il regime tedesco applicabile alle «partecipazioni in società intermedie estere» (2) comporta una restrizione alla libera circolazione dei capitali nei confronti dei paesi terzi, restrizione che, se non contemplata dalla clausola di «standstill» prevista all’articolo 57, paragrafo 1, CE, può essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, in particolare la lotta contro le costruzioni di puro artificio.

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la società di diritto tedesco, X, e il Finanzamt Stuttgart-Körperschaften (Ufficio delle imposte di Stoccarda – servizio persone giuridiche, Germania) in merito al computo degli utili realizzati durante gli anni 2005 e 2006 dalla Y, una società di diritto svizzero detenuta al 30% dalla X, nella base imponibile di quest’ultima, in applicazione delle disposizioni del Gesetz über die Besteuerung bei Auslandsbeziehungen (Aussensteuergesetz) (legge fiscale relativa ai rapporti con l’estero), dell’8 settembre 1972 (3), nella sua versione di cui al Missbrauchsbekämpfungs- und Steuerbereinigungsgesetz (legge sull’armonizzazione fiscale e sulla lotta contro la frode), del 21 dicembre 1993 (4) e di cui al Gesetz zur Fortentwicklung des Unternehmenssteuerrechts (legge relativa all’evoluzione della fiscalità delle imprese), del 20 dicembre 2001 (5)(in prosieguo: l’«UntStFG 2001») (in prosieguo: l’ «AStG»).

3.        Risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafi 6 e 6a, nonché dell’articolo 8 dell’AStG, gli utili di una società estera nel cui capitale un soggetto passivo residente in Germania detiene una partecipazione pari almeno all’1% sono imponibili in capo a detto soggetto passivo se si tratta di «redditi intermedi da investimento di capitale», ossia se sono soggetti, all’estero, ad una tassazione degli utili inferiore al 25% e non provengono da attività cosiddette «attive».

4.        Nel procedimento principale, è pacifico che la società Y è stata qualificata dall’amministrazione fiscale tedesca come società intermedia estera per «redditi intermedi da investimento di capitale», ai sensi dell’articolo 7, paragrafi 6 e 6a, dell’AStG. Infatti, per gli esercizi fiscali in questione, l’amministrazione tributaria tedesca ha ritenuto che i crediti che la Y aveva acquisito presso una società tedesca e utilizzando in parte un prestito concesso dalla X, dessero diritto a una partecipazione ai risultati sportivi di quattro associazioni sportive tedesche, in particolare mediante gli utili che queste ultime avevano ottenuto dai diritti mediatici. I redditi percepiti dalla Y dovevano quindi essere qualificati come redditi intermedi da investimento di capitale e incorporati nella base imponibile della X per i due esercizi fiscali controversi nel procedimento principale.

5.        Avendo impugnato senza successo le decisioni dell’amministrazione fiscale tedesca, la X ha adito il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale).

6.        Il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) osserva che le norme per il computo dei redditi intermedi da investimento di capitale nella base imponibile di un azionista, contribuente illimitatamente soggetto ad imposta in Germania, previste all’articolo 7, paragrafi 6 e 6a, dell’AStG, riguardano esclusivamente le partecipazioni in società estere. A tal riguardo, esso ritiene che la legislazione tedesca in questione possa, in linea di principio, costituire un’illecita restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, CE.

7.        Tuttavia, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) si chiede se tale normativa nazionale sia autorizzata dal diritto dell’Unione, tenendo conto della clausola di «standstill», prevista dall’articolo 57, paragrafo 1, CE, secondo la quale l’articolo 56 CE lascia impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi delle restrizioni in vigore al 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti che implichino, in particolare, investimenti diretti. Pur ricordando la giurisprudenza della Corte, secondo cui spetta, in linea di principio, al giudice nazionale determinare, a tal proposito, il contenuto della legislazione «in vigore» al 31 dicembre 1993, tale giudice ritiene che si imponga un chiarimento da parte della Corte nei confronti della normativa tedesca di cui trattasi, in particolare per quanto riguarda due aspetti.

8.        In primo luogo, secondo le spiegazioni fornite dalla Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale), le norme per il computo di «redditi intermedi da investimento di capitali» nella base imponibile di un azionista, contribuente illimitatamente soggetto ad imposta in Germania, in vigore al 31 dicembre 1993, sarebbero state modificate dal Gesetz zur Senkung der Steuersätze und zur Reform der Unternehmensbesteuerung (Steuersenkungsgesetz) (legge recante riduzione dell’imposta e riforma della fiscalità delle imprese), del 23 ottobre 2000, (in prosieguo: lo «StSenkG 2000»)(6). Tale giudice rileva che, sebbene lo StSenkG 2000 abbia, certo, profondamente modificato le norme applicabili al 31 dicembre 1993, le modifiche che con tale legislazione si intendevano apportare all’AStG sono tuttavia state esse stesse abrogate dall’UntStFG 2001, prima ancora che potessero essere applicate per la prima volta a tali redditi in un caso concreto.

9.        A questo proposito, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) ritiene che non sia priva di incertezze la questione se, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, la garanzia del mantenimento di una restrizione alla libera circolazione dei capitali in vigore al 31 dicembre 1993, possa cessare di produrre effetti esclusivamente a causa dell’effetto normativo formale della normativa di modifica o se la modifica debba essere anche stata effettivamente attuata nella pratica.

10.      In secondo luogo, l’UntStFG 2001 avrebbe ripristinato, per le norme sul computo dei redditi intermedi da investimento di capitali nella base imponibile di un azionista, contribuente illimitatamente soggetto ad imposta in Germania, le conseguenze giuridiche in vigore al 31 dicembre 1993, ad esclusione di un elemento. L’UntStFG 2001 avrebbe ridotto in particolare la percentuale minima della partecipazione nella società intermedia estera richiesta per un simile computo, che prima era del 10%, all’1%. Inoltre, in determinate condizioni, tale computo dovrebbe intervenire anche per le partecipazioni inferiori all’1%. Tuttavia, se tale estensione del campo di applicazione di tali norme alle partecipazioni di portafoglio inferiori al 10% rappresenta, secondo il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale), una modifica sostanziale che amplia la restrizione ai movimenti transfrontalieri di capitali in modo non trascurabile, tale modifica non riguarda gli investimenti diretti, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, ma solo le partecipazioni di portafoglio. Di conseguenza, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) ritiene che la clausola di «standstill» possa essere applicabile nella fattispecie, nei limiti in cui le norme applicabili alla situazione particolare della X, la cui partecipazione del 30% nella Y costituisce un investimento diretto, non siano state interessate dalla modifica introdotta dall’UntStFG 2001 relativa alle partecipazioni di portafoglio.

11.      Nel caso in cui la legislazione nazionale in questione non rientri nella clausola di «standstill» in ragione di uno di tali due aspetti, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) si chiede se una siffatta legislazione non costituisca una restrizione vietata alla libera circolazione dei capitali, che, se del caso, può essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale. Il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) ricorda, a tal riguardo, che la Corte ha esaminato la questione relativa alla tassazione dei redditi delle società intermedie nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544). Tuttavia, esso osserva che detta causa si inseriva nel contesto della libertà di stabilimento applicabile nelle relazioni tra gli Stati membri, e non in quello della libera circolazione dei capitali, applicabile anche nelle relazioni tra gli Stati membri e i paesi terzi. Se tale giurisprudenza dovesse essere estesa ad una situazione come quella di cui al procedimento principale, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) formula dubbi quanto al carattere giustificato della legislazione nazionale.

12.      È in tale contesto che il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se l’articolo 57, paragrafo 1, CE (ora articolo 64, paragrafo 1, TFUE) debba essere interpretato nel senso che una restrizione esistente in uno Stato membro della circolazione di capitali con paesi terzi, in vigore al 31 dicembre 1993, non è pregiudicata dall’articolo 56 CE (ora articolo 63 TFUE) nemmeno nel caso in cui la disposizione nazionale, vigente alla data di riferimento, che restringeva la circolazione di capitali con paesi terzi, si applicava essenzialmente solo agli investimenti diretti, ma dopo la data di riferimento è stata estesa nel senso di ricomprendere anche le partecipazioni di portafoglio a società estere al di sotto della soglia di partecipazione è del 10%.

2.      In caso di risposta affermativa alla prima questione: se l’articolo 57, paragrafo 1, CE [ora articolo 64, paragrafo 1, TFUE] debba essere interpretato nel senso che debba essere considerata applicazione di una disposizione nazionale, vigente alla data di riferimento del 31 dicembre 1993, diretta alla restrizione della circolazione di capitali con paesi terzi in relazione agli investimenti diretti, la circostanza che trovi applicazione una disposizione sostanzialmente corrispondente, e successiva, alla restrizione esistente alla data di riferimento, ma quest’ultima restrizione sia stata temporaneamente modificata in maniera sostanziale dopo tale data in virtù di una legge, che pur essendo formalmente entrata in vigore non ha mai avuto applicazione nella pratica, poiché prima della sua prima applicazione ad un caso concreto è stata sostituita dalla legge attualmente in vigore.

3.      In caso di risposta negativa ad una delle due questioni precedenti: se l’articolo 56 CE [ora articolo 63 TFUE] osti ad una disciplina di uno Stato membro che includa nella base imponibile di un soggetto passivo residente in tale Stato membro e che detiene almeno l’1% del capitale di una società stabilita in un altro Stato (nella fattispecie la Svizzera), i redditi positivi da investimento di capitale ricavati da detta società per un importo proporzionale corrispondente alla quota di partecipazione, ove tali redditi siano assoggettati ad un tasso d’imposizione inferiore rispetto al primo Stato menzionato».

13.      Tali questioni sono state oggetto di osservazioni scritte da parte della ricorrente nel procedimento principale, dei governi tedesco, francese e svedese, nonché della Commissione europea. Tali parti interessate hanno svolto le loro difese orali durante l’udienza del 5 marzo 2018, ad eccezione dei governi francese e svedese, che non si sono fatti rappresentare.

II.    Analisi

14.      Mentre le prime due questioni poste dal giudice del rinvio vertono sull’interpretazione della clausola di «standstill» prevista all’articolo 57, paragrafo 1, CE, disposizione la cui applicazione presuppone che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale sia considerata una restrizione alla libera circolazione dei capitali contraria all’articolo 56, paragrafo 1, CE, la terza questione pregiudiziale si interroga proprio su detta qualificazione e sulla circostanza se siffatta restrizione sia giustificata.

15.      Pertanto, l’analisi che segue non rispetterà l’ordine delle questioni sollevate dal giudice del rinvio. Esaminerò in un primo momento se il regime tedesco applicabile alle «partecipazioni in società intermedie estere» di cui trattasi nel procedimento principale, costituisca una restrizione ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, CE, il che, a mio avviso, è indubbio (parte A). In un secondo tempo, si tratterà di determinare se tale restrizione possa tuttavia essere mantenuta in       quanto soggetta alla clausola di «standstill» prevista all’articolo 57, paragrafo 1, CE (parte B). In tale contesto, rilevo sin d’ora che la legislazione di cui al procedimento principale, a mio avviso, soddisfa i criteri temporale e sostanziale stabiliti da tale articolo. È pertanto solo in subordine, per il caso in cui la Corte non condividesse la mia analisi relativa all’applicabilità della clausola di «standstill», che esaminerò, in un terzo momento, se la restrizione alla libera circolazione dei capitali contenuta nella legislazione di cui trattasi nel procedimento principale possa essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale (parte C).

A.      Sull’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, CE

1.      Sull’applicabilità della libera circolazione dei capitali

16.      Occorre, in via preliminare, ricordare che l’AStG si applica a qualsiasi soggetto passivo d’imposta, residente in Germania, che detenga una partecipazione in una società di un paese terzo che applica, ai sensi dell’AStG, una tassazione «bassa» agli utili di tale società, senza che tale partecipazione del soggetto passivo tedesco consenta necessariamente di esercitare una sicura influenza sulle decisioni della società interessata e di indirizzarne le attività. In effetti, nel corso degli esercizi fiscali in questione nel procedimento principale, in virtù dell’articolo 7 dell’AStG, il computo dei redditi percepiti da una società di un paese terzo nella base imponibile del socio di tale società, contribuente illimitatamente soggetto ad imposta in Germania, indipendentemente da qualsiasi distribuzione degli utili, si applicava automaticamente a ogni partecipazione di almeno l’1% nella società interessata di tale paese terzo.

17.      Occorre rilevare che l’applicabilità della libera circolazione dei capitali, sancita dall’articolo 56, paragrafo 1, CE, nel procedimento principale non è stata contestata da nessuna delle parti interessate, e lo stesso giudice del rinvio ha correttamente escluso l’applicabilità della libertà di stabilimento alla legislazione tributaria oggetto del procedimento principale.

18.      Infatti, per analogia con la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707, punti da 98 a 100 e 104), una tale normativa, in quanto, da un lato, non è applicabile esclusivamente alle partecipazioni di una società di uno Stato membro in grado di esercitare una sicura influenza sulla società di un paese terzo e, dall’altro, riguarda unicamente il trattamento fiscale dei redditi di una società di uno Stato membro che derivano da investimenti realizzati in una società avente sede in un paese terzo deve, certamente, essere valutata alla luce dell’articolo 56, paragrafo 1, CE (7).

19.      In tale contesto, basta solo l’esame dell’oggetto della legislazione nazionale per stabilire se il trattamento fiscale di cui trattasi rientri nella libera circolazione dei capitali (8). Pertanto non occorre, in ogni caso, considerare le circostanze concrete del procedimento principale, ossia, nel caso di specie, una partecipazione del 30% nella società Y in Svizzera. Infatti, indipendentemente dalla questione se tale partecipazione possa conferire un’influenza determinante alla X sulle decisioni della Y – il che di per sé non è chiaro, tenuto conto della ripartizione del capitale sociale di quest’ultima nelle mani di un solo altro azionista – tali circostanze non possono avere l’effetto, nei rapporti con i paesi terzi e tenuto conto dell’oggetto delle disposizioni dell’AStG oggetto di causa, di escludere l’applicabilità della libera circolazione dei capitali a favore della libertà di stabilimento, la quale, com’è noto, non si estende ai rapporti con i paesi terzi (9).

20.      Se l’applicabilità della libera circolazione dei capitali dovesse cedere il passo dinanzi alla libertà di stabilimento sulla base di queste sole circostanze, ciò comporterebbe, come ho già rilevato nelle mie conclusioni nella causa Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2013:710, paragrafo 20), a privare di effetto utile il divieto di cui all’articolo 56, paragrafo 1, CE in contesti nei quali il rischio di aggiramento della libertà di stabilimento è inesistente.

2.      Sulla natura restrittiva dell’articolo 7 dell’AStG in relazione ai movimenti di capitali nei confronti dei paesi terzi

21.      La risposta alla questione se una disposizione di una legislazione fiscale, come l’articolo 7 dell’AStG, costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi non mi sembra dubbia.

22.      A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, le misure vietate ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, CE, in quanto restrizioni ai movimenti di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i residenti di uno Stato membro dal fare investimenti in altri Stati (10).

23.      Nella fattispecie, risulta dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio che l’obiettivo delle norme sul computo è di impedire o neutralizzare il trasferimento dei redditi (passivi) delle persone integralmente assoggettate ad imposta in Germania verso Stati che, secondo il diritto tedesco, hanno un basso livello di tassazione degli utili. L’obiettivo delle norme sul computo è pertanto imputare al socio tedesco, che detiene una partecipazione di almeno l’1% in una società di un paese terzo, i redditi cosiddetti «passivi», generati da tale società indipendentemente da qualsiasi distribuzione degli utili. Tali norme possono applicarsi, per definizione, solo nelle situazioni transfrontaliere.

24.      Infatti, come hanno in particolare sottolineato il giudice del rinvio, il governo svedese e la Commissione, un socio tedesco, contribuente illimitatamente soggetto ad imposta in Germania, che detenga una partecipazione di livello equivalente in una società stabilita in Germania non dovrebbe mai computare nel suo risultato imponibile i redditi di quest’ultima. Il governo tedesco stesso ha del resto ammesso nelle sue osservazioni scritte che tali norme sul computo riservano un trattamento meno favorevole alle partecipazioni in società estere rispetto alle partecipazioni in società stabilite in Germania poiché, in quest’ultimo caso, i redditi di quest’ultima non sono mai imputati ai soci prima che si proceda alla distribuzione.

25.      Una siffatta disparità di trattamento è quindi indubbiamente tale da dissuadere un contribuente tedesco dal realizzare investimenti in paesi terzi.

26.      Pertanto, ritengo che una disposizione come l’articolo 7 dell’AStG, costituisca una restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, vietata, in linea di principio, ai sensi dell’articolo 56 CE.

B.      Sull’applicabilità dell’articolo 57, paragrafo 1, CE

27.      Come menzionato in precedenza, con le prime due questioni, il giudice del rinvio chiede se la restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi testé evidenziata potrebbe, tuttavia, essere neutralizzata dall’applicazione della clausola di «standstill» prevista all’articolo 57, paragrafo 1, CE.

28.      Ricordo che, secondo tale articolo, «[l]’articolo 56 CE [lascia] impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore [al] 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione [dell’Unione] per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti (...)» (11).

29.      Le restrizioni previste dalla normativa di uno Stato membro rientreranno pertanto nell’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, se, oltre che per il fatto di essere applicabili a un paese terzo, il che è pacifico per quanto riguarda, come nel procedimento principale, la Confederazione svizzera, soddisfano i criteri temporale e sostanziale stabiliti da tale articolo (12).

1.      Sull’ambito di applicazione temporale dell’articolo 57, paragrafo 1, CE

30.      Per quanto riguarda l’ambito di applicazione temporale dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, occorre rilevare che la versione dell’AStG in discussione nella presente causa è successiva al 31 dicembre 1993.

31.      Tuttavia, la Corte ha già dichiarato che ogni misura nazionale adottata posteriormente a tale data non è, per questo solo fatto, automaticamente esclusa dal regime derogatorio istituito dal diritto dell’Unione. Pertanto, beneficia di un siffatto regime una disposizione che sia sostanzialmente identica alla legislazione anteriore, o che si limiti a ridurre o ad eliminare ostacoli all’esercizio dei diritti e delle libertà dell’Unione esistenti nella legislazione precedente (13).

32.      Nel caso di specie, dalla giurisprudenza risulta che la possibilità per uno Stato membro di avvalersi dell’eccezione prevista all’articolo 57, paragrafo 1, CE presuppone, da un lato, che la restrizione ai movimenti di capitali abbia fatto ininterrottamente parte dell’ordinamento giuridico di tale Stato membro dal 31 dicembre 1993 (14) e, dall’altro, che tale restrizione non si inserisca in una legislazione che si basi su una logica diversa da quella del diritto precedente in vigore al 31 dicembre 1993 e istituisca nuove procedure (15).

33.      Nella presente causa, a differenza delle altre parti interessate, la ricorrente nel procedimento principale sostiene, in sostanza, che la versione dell’AStG, anteriore al 31 dicembre 1993, è stata abrogata dallo StSenkG 2000, con la conseguenza che le disposizioni dell’AStG controverse nel procedimento principale, successive al 31 dicembre 1993, non potrebbero beneficiare dell’applicazione della clausola di «standstill» prevista all’articolo 57, paragrafo 1, CE, poiché non sarebbero state ininterrottamente in vigore nell’ordinamento tedesco.

34.      Tale argomento non mi convince.

35.      È vero che, come osserva il giudice del rinvio, adottando lo StSenkG 2000 il legislatore tedesco ha deciso di modificare profondamente le norme sul computo previste dall’AStG in vigore al 31 dicembre 1993. Tuttavia, come emerge anche dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, benché lo StSenkG 2000 sia entrato in vigore, il legislatore tedesco ha altresì scelto di rinviarne l’applicazione a decorrere dall’esercizio fiscale avente inizio il 1° gennaio 2002. È altrettanto pacifico che, ancor prima che lo StSenkG 2000 si applicasse all’esercizio fiscale decorrente dal 1° gennaio 2002, tale legge è stata a sua volta abrogata dall’UntStFG 2001, applicabile a partire dal 1° gennaio 2002, nonché agli esercizi fiscali in questione nel procedimento principale, atto legislativo che, nella sostanza, ha ripreso, in modo identico, le norme sul computo dell’AStG che, al 31 dicembre 1993, erano applicabili agli investimenti diretti.

36.      Ne consegue che, per quanto attiene agli esercizi fiscali fino al 31 dicembre 2001, i soggetti passivi tedeschi che si trovano in una situazione analoga alla X continuavano ad essere soggetti alle norme sul computo dell’AStG, nella sua versione risultante dalla legge relativa all’armonizzazione fiscale ed alla lotta contro la frode, del 21 dicembre 1993, e che, a decorrere dall’esercizio fiscale avente inizio il 1° gennaio 2002, essi dovevano soddisfare norme sul computo sostanzialmente identiche, previste dall’UntStFG 2001, nei limiti in cui detta legge ha modificato l’AStG.

37.      Ne consegue che la restrizione in vigore al 31 dicembre 1993 e di cui si lamenta la ricorrente nel procedimento principale non ha cessato di applicarsi alle sue relazioni con i paesi terzi a partire da tale data e ha continuato ad essere parte dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato a partire da tale data. Infatti, i soggetti passivi tedeschi, che avrebbero ottenuto redditi analoghi a quelli della ricorrente nel procedimento principale per un investimento diretto identico in Svizzera, che avrebbero riguardato sia l’esercizio fiscale chiuso al 31 dicembre 1993 sia gli esercizi fiscali successivi a tale data, sarebbero stati soggetti, ininterrottamente, alle stesse norme sul computo di tali redditi nella base imponibile cui sarebbero stati debitori in Germania per detti esercizi fiscali.

38.      Orbene, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, che ribadisco, stabilisce che «[l]’articolo 56 CE [lascia] impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore [al] 31 dicembre 1993» (16), non è rilevante che una normativa sia stata formalmente abrogata o profondamente modificata, ma che la restrizione che essa prevede, in vigore al 31 dicembre 1993, continua a produrre i suoi effetti, e pertanto ad applicarsi ininterrottamente, dopo tale data nelle sue relazioni con i paesi terzi. Tale è invero la fattispecie nella presente causa poiché, come ho sottolineato in precedenza, i soggetti passivi tedeschi che si trovano in una situazione analoga a quella della ricorrente nel procedimento principale hanno continuato, sia prima che dopo il 31 dicembre 1993, ad essere soggetti alle norme sul computo dei redditi provenienti da investimenti diretti in società di paesi terzi, di cui all’articolo 7 AStG, qualunque sia la versione, anteriore o posteriore al 31 dicembre 1993, di tale atto.

39.      Tale interpretazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, basata su «l’applicazione» delle restrizioni in vigore al 31 dicembre 1993 e «l’effetto» della legislazione nazionale, è corroborata dalla sentenza del 15 febbraio 2017, X (C‑317/15, EU:C:2017:119, punto 21) secondo cui «l’applicabilità dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE [ex articolo 57, paragrafo 1, CE] non dipende dall’oggetto della normativa nazionale che prevede tali restrizioni, ma dal suo effetto».

40.      L’approccio che intendo sostenere non è contraddetto dalla necessità di interpretare l’eccezione prevista all’articolo 57, paragrafo 1, CE in maniera restrittiva (17), dal momento che tale approccio si fonda sul tenore letterale stesso di detto articolo, come ricorda d’altronde anche la sentenza del 15 febbraio 2017, X (C‑317/15, EU:C:2017:119, punto 21).

41.      Né è contrario alle sentenze del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punto 49) e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 87) in cui la Corte ha affermato che «l’articolo 64, paragrafo 1, TFUE [ex articolo 57, paragrafo 1, CE] (...) non riguarda le disposizioni che, pur essendo sostanzialmente identiche ad una legislazione in vigore alla data del 31 dicembre 1993, hanno reintrodotto un ostacolo alla libera circolazione dei capitali che, in seguito all’abrogazione della legislazione precedente, non esisteva più» (18).

42.      Infatti, ai punti 49 e 87 di tali sentenze, la Corte ha con ogni probabilità considerato delle situazioni che si potrebbero definire «classiche», in cui l’abrogazione di una legislazione nazionale comporta immediatamente la scomparsa della restrizione alla libera circolazione dei capitali, senza, pertanto, che gli effetti di tale legislazione permangano dopo l’abrogazione formale di quest’ultima.

43.      Ritengo, del resto, che la sentenza del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804), invece, confermi, anch’essa, l’interpretazione basata sul testo dell’articolo 57, paragrafo 1, CE e da me suggerita.

44.      Infatti, occorre rilevare che, in detta sentenza, le disposizioni della normativa fiscale svedese, che concedevano un vantaggio fiscale solamente alle società stabilite in Svezia, erano state abrogate successivamente al 31 dicembre 1993 e poi reintrodotte nel 1995. Orbene, contrariamente all’analisi dell’avvocato generale(19), la Corte ha ritenuto che, nonostante l’abolizione formale e provvisoria di dette disposizioni, il Regno di Svezia era autorizzato ad avvalersi della deroga di cui all’articolo 57, paragrafo 1, CE, giacché il «beneficio» di tale vantaggio (l’esenzione dei dividendi versati da società stabilite in Svezia) era stato escluso ininterrottamente, quantomeno a partire dal 1992, per le società stabilite in un paese terzo, non membro dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, che non aveva concluso con il Regno di Svezia una convenzione che prevedesse lo scambio di informazioni(20).

45.      La Corte ha fatto valere quindi, ai fini dell’applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, l’effetto della restrizione alla libera circolazione dei capitali, vale a dire il mantenimento ininterrotto dell’esclusione dell’esenzione per le società dei paesi terzi interessati, anziché l’abolizione formale e provvisoria delle disposizioni nazionali che accordano tale esenzione a favore delle società svedesi.

46.      Analogamente, nel procedimento principale, e come ho già rilevato, lungi dall’essere abolito, l’ostacolo alla libera circolazione dei capitali nei confronti dei paesi terzi ha continuato ad applicarsi dopo il 31 dicembre 1993, a causa del mantenimento in vigore degli effetti dell’AStG fino all’entrata in vigore dell’UntStFG 2001(21), che, a decorrere da tale data, ha ripreso, in sostanza, in maniera identica, le norme sul computo che erano applicabili, al 31 dicembre 1993, agli investimenti diretti.

47.      Ritengo pertanto che il criterio temporale dell’articolo 57, paragrafo 1, CE è soddisfatto nel procedimento principale.

48.      Occorre poi esaminare le obiezioni della ricorrente nel procedimento principale relative alla soddisfazione del criterio sostanziale di tale disposizione, restando inteso che le altre parti interessate ritengono che questo criterio sia soddisfatto nel procedimento principale.

2.      Sull’ambito di applicazione sostanziale dell’articolo 57, paragrafo 1, CE

49.      Secondo la ricorrente nel procedimento principale, l’UntStFG 2001 ha modificato sostanzialmente l’AStG, nella sua versione anteriore al 31 dicembre 1993, di modo che, essendo applicabile non più esclusivamente agli investimenti diretti ma anche agli investimenti detti «di portafoglio» nei paesi terzi, tale atto, nella sua versione successiva al 31 dicembre 1993, non sarebbe più coperto dall’eccezione prevista dall’articolo 57, paragrafo 1, CE.

50.      Non condivido tale posizione per le ragioni seguenti.

51.      Come ho già indicato al paragrafo 32 delle presenti conclusioni, secondo la giurisprudenza, una legislazione nazionale successiva al 31 dicembre 1993, che modifica la logica su cui si basava la legislazione anteriore e istituisce nuove procedure, non può essere coperta dalla clausola di «standstill» di cui all’articolo 57, paragrafo 1, CE.

52.      Ciò non avviene, a mio avviso, nel caso della modifica apportata dall’UntStFG 2001 all’AStG, successivamente al 31 dicembre 1993, mediante la quale, come sottolinea il giudice del rinvio, il legislatore tedesco ha solo abbassato la soglia di applicabilità delle norme sul computo dei redditi previste dall’AStG, che comprende adesso le partecipazioni inferiori al 10% nel capitale sociale della società del paese terzo interessato, restando tutto il resto invariato.

53.      Certamente, è pacifico che, nella sua versione anteriore al 31 dicembre 1993, le pertinenti disposizioni dell’AStG imponevano in capo ai soggetti passivi tedeschi il computo dei redditi provenienti da partecipazioni in società di paesi terzi che rappresentassero almeno il 10% del capitale sociale di dette società.

54.      Come il giudice del rinvio ha messo in risalto, e come ammette la stessa ricorrente nel procedimento principale, l’AStG, nella versione anteriore al 31 dicembre 1993, si applicava unicamente agli investimenti diretti, ai sensi degli articoli 56 e 57 CE.

55.      Risulta dalla giurisprudenza che la nozione di «investimenti diretti» riguarda gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati da persone fisiche o giuridiche aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti fra il finanziatore e l’impresa cui tali fondi sono destinati ai fini dell’esercizio di un’attività economica. Con riferimento a partecipazioni in imprese nuove o esistenti costituite sotto forma di società per azioni, l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli presuppone che le azioni detenute dall’azionista conferiscano a quest’ultimo, sia a norma delle disposizioni di legge nazionali sulle società per azioni sia altrimenti, la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo (22). Il concetto comprende anche i redditi derivanti da tali investimenti diretti (23).

56.      Una partecipazione minima del 10% nel capitale di una società, ai sensi dell’AStG, nella versione antecedente al 31 dicembre 1993, implicava quindi in linea di principio un investimento diretto in quanto un tale livello di partecipazione, pur non dando la possibilità di controllare una società, offre però certamente la possibilità di partecipare in modo effettivo alla sua gestione (24).

57.      È vero anche che, contrariamente all’articolo 56 CE, l’ambito di applicazione sostanziale dell’articolo 57 CE non comprende gli investimenti detti «di portafoglio», e non può quindi essere utilizzato per mantenere l’applicazione delle restrizioni ai movimenti di capitali che implicano tali investimenti provenienti da paesi terzi o ad essi diretti. Ricordo, a tal riguardo, che, secondo la giurisprudenza, con la nozione di «investimenti di portafoglio» si intende l’acquisto di titoli sul mercato dei capitali effettuato soltanto per realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di incidere sulla gestione e il controllo dell’impresa (25).

58.      L’abbassamento della soglia di partecipazione dal 10% all’1% ad opera della modifica dell’AStG da parte dell’UntStFG 2001 ha indubbiamente portato a includere nell’ambito di applicazione di tale legge gli investimenti di portafoglio (26).

59.      Tuttavia, come il giudice del rinvio è indotto a ritenere, una tale conseguenza, che incide su una categoria di investimenti che, in ogni caso, esula dall’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, non ha effetto, a mio avviso, sull’applicabilità di detto articolo in situazioni in cui sono in questione soltanto investimenti diretti.

60.      Infatti, una normativa di uno Stato membro che limiti indistintamente gli investimenti di portafoglio e gli investimenti diretti provenienti da paesi terzi o ad essi diretti può(27) rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, nei limiti in cui tale normativa si applica a tali ultimi investimenti.

61.      È quanto la Corte ha implicitamente ammesso nella sentenza del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punto 52), considerando che l’esclusione dal beneficio dell’esenzione dall’imposta sui dividendi oggetto di tale causa poteva, alla luce delle circostanze del caso, rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE «quantomeno quando tali dividendi si riferiscono a investimenti diretti nella società che effettua la distribuzione», lasciando al giudice del rinvio il compito di verificare se tale è il caso.

62.      Tale orientamento è stato espressamente confermato nella sentenza del 15 febbraio 2017, X (C‑317/15, EU:C:2017:119, punti 21, 24 e 25). Infatti, la Corte ha ivi precisato che una normativa nazionale che comporti una restrizione alla libera circolazione dei capitali che possa applicarsi anche a categorie di movimenti di capitali diverse da quelle tassativamente elencate all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 57, paragrafo 1, CE) non è idonea a impedire l’applicabilità dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, nelle circostanze che esso contempla.

63.      Di conseguenza, uno Stato membro la cui legislazione nazionale limita nei confronti dei paesi terzi, indiscriminatamente, da un lato, gli investimenti diretti, che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, e, d’altro lato, gli investimenti di portafoglio, che non rientrano nell’ambito di applicazione di tale disposizione, ha la facoltà di avvalersi della clausola di «standstill» di tale articolo, nei limiti in cui detta legislazione nazionale si applica agli investimenti diretti (28).

64.      Nel procedimento principale, e secondo la giurisprudenza appena citata, a condizione che siano interessati gli investimenti diretti, poiché l’UntStFG, 2001 non ha né modificato la logica dell’AStG, nella versione applicabile al 31 dicembre 1993, né introdotto nuove procedure, non vedo ostacoli a che la Repubblica federale di Germania possa far valere l’applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE. In altri termini, tale facoltà vale nei limiti in cui, alla luce delle circostanze della specie, le partecipazioni nella società del paese terzo in questione conferiscono al socio tedesco, contribuente illimitatamente soggetto ad imposta in Germania, la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione o al controllo di tale società, vale a dire che esse corrispondono ad un investimento diretto, ai sensi di detto articolo.

65.      In generale, spetta al giudice nazionale, in ciascuna fattispecie, valutare, ai fini dell’applicazione della clausola di «standstill» di cui all’articolo 57, paragrafo 1, CE se la restrizione ai movimenti di capitali nei confronti dei paesi terzi in questione riguardi le categorie elencate in detto articolo, in particolare gli investimenti diretti.

66.      Nel procedimento principale, sebbene il giudice del rinvio non abbia espressamente qualificato come investimento diretto la partecipazione del 30% della X nel capitale sociale della società svizzera Y, è però tale il presupposto in base al quale la prima questione pregiudiziale è stata sollevata, perché altrimenti detta questione sarebbe priva di senso. In ogni caso, un tale livello di partecipazione conferisce al suo titolare la possibilità di ottenere, se non un controllo condiviso della società interessata, almeno una partecipazione effettiva alla sua gestione (29). Peraltro, come ha sostenuto la Commissione nelle sue osservazioni scritte, risulta che la modifica apportata dall’UntStFG 2001 alla soglia di applicabilità delle norme sul computo dei redditi previste dall’AStG non ha avuto alcun effetto sulla situazione della X, tenuto conto del livello della sua partecipazione nel capitale sociale della Y. Infatti, sia prima che dopo il 31 dicembre 1993, una società tedesca posta in una situazione identica a quella della X avrebbe dovuto procedere, nella base imponibile dell’imposta che essa doveva versare in Germania, al computo dei redditi derivanti da tale partecipazione (30).

67.      In tali circostanze, ritengo che la Repubblica federale di Germania possa far valere l’articolo 57, paragrafo 1, CE, nei limiti in cui la situazione di cui al procedimento principale riguarda una restrizione ai movimenti di capitali, in vigore al 31 dicembre 1993, che implicano investimenti diretti, senza che le modifiche apportate alla legislazione che prevede tale restrizione dopo tale data abbiano alterato la logica su cui si basava la legislazione anteriore al 31 dicembre 1993 e senza che tali modifiche abbiano istituito nuove procedure.

68.      Nel caso in cui la Corte dovesse condividere tale analisi, la risposta alla terza questione sollevata dal giudice del rinvio, che verte sulla sussistenza di una giustificazione alla restrizione alla libera circolazione dei capitali, diverrebbe senza oggetto. È quindi solo in subordine che esaminerò tale questione.

C.      Considerazioni in via subordinata in merito alla giustificazione della restrizione alla libera circolazione dei capitali

69.      A norma dell’articolo 58, paragrafo 1, CE, affinché una normativa nazionale che non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato CE relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono oggettivamente paragonabili o sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale (31).

1.      Sulla comparabilità oggettiva delle situazioni

70.      Il governo tedesco sostiene che la differenza di trattamento evidenziata al paragrafo 24 delle presenti conclusioni riguarderebbe situazioni che non sono oggettivamente paragonabili. Infatti, secondo tale governo, le norme sul computo dei redditi di una società intermedia estera, previste dall’AStG, nella sua versione applicabile ai fatti del procedimento principale, riguardano solo le società con sede in un paese terzo che sono soggette ad una bassa aliquota di imposizione. La mancanza di potere impositivo della Repubblica federale di Germania nei confronti dei redditi da investimenti in una società estera costituirebbe una differenza sostanziale rispetto alla situazione dei redditi da investimenti equivalenti nel capitale sociale di una società tedesca. Il governo tedesco aggiunge che, nella sentenza del 17 dicembre 2015, Timac Agro Deutschland (C‑388/14, EU:C:2015:829, punto 65), la Corte ha già riconosciuto l’assenza di comparabilità tra la situazione di un soggetto passivo che abbia una stabile organizzazione in Germania e quella di un soggetto passivo stabilito all’estero.

71.      Non concordo affatto con l’argomentazione del governo tedesco. Infatti, lo scopo stesso dell’articolo 7 dell’AStG, a prescindere dalla versione sulla quale l’analisi si basa, è proprio quello di garantire che la Repubblica federale di Germania eserciti il suo potere impositivo sui redditi percepiti da una società residente che ha investito capitali in una società di un paese terzo che applica un’aliquota di imposizione qualificata nel diritto tributario tedesco come «bassa». Tale disposizione ha dunque lo scopo di assimilare quanto più possibile la situazione di tali società a quelle delle società residenti che hanno investito i loro capitali in un’altra società residente in Germania, al fine di neutralizzare per quanto possibile i vantaggi fiscali che le prime potrebbero ottenere dall’investimento di capitali all’estero.

72.      L’oggetto dell’articolo 7 dell’AStG e la situazione in cui tale disposizione pone una società residente che ha fatto investimenti in una società di un paese terzo a «bassa» aliquota di imposizione ricordano le circostanze che hanno dato luogo alla sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544), a proposito della legislazione del Regno Unito sulle SEC. Tale normativa, infatti, attribuiva a una società madre residente gli utili realizzati dalla SEC quando quest’ultima era soggetta a un livello di tassazione «minore», ai sensi di detta normativa, nello Stato in cui la SEC era stabilita.

73.      Orbene, quanto alla comparabilità tra tale situazione e una situazione interna, la Corte ha concluso per la sussistenza di una «disparità di trattamento» che crea «uno svantaggio fiscale» per la società residente cui la legislazione sulle SEC era applicabile, sulla base del rilievo che, contrariamente a una società residente avente una controllata tassata nel Regno Unito, tale società residente era tassata per gli utili di un’altra persona giuridica (32).

74.      Questa è la stessa situazione di una società tedesca, soggetta all’applicazione dell’articolo 7, dell’AStG, come la X, che abbia investito capitali in una società stabilita in Svizzera, come la Y.

75.      Tali considerazioni non sono, a mio avviso, smentite dalla sentenza del 17 dicembre 2015, Timac Agro Deutschland (C‑388/14, EU:C:2015:829, punto 65), invocata dal governo tedesco. Infatti, se è vero che, in tale punto di detta sentenza, la Corte ha precisato che «la situazione di una stabile organizzazione situata in Austria non è comparabile a quella di una stabile organizzazione situata in Germania con riferimento alle misure previste dalla Repubblica federale di Germania al fine di prevenire o di attenuare la doppia imposizione degli utili di una società residente», ciò è dovuto al fatto che, per l’esercizio fiscale in questione in tale parte della sentenza, la Repubblica federale di Germania aveva cessato di esercitare il proprio «potere impositivo sui risultati di una stabile organizzazione del genere, non essendo la deduzione delle sue perdite più autorizzata in Germania» (33).

76.      Orbene, come ho appena evidenziato, nella presente causa, l’articolo 7 dell’AStG conferisce proprio alla Repubblica federale di Germania un potere impositivo sui redditi provenienti da una società intermedia estera stabilita in un paese terzo, nella fattispecie la Y, computandoli nella base imponibile di un’altra persona giuridica, residente in Germania, vale a dire, nel procedimento principale, la società X. Inoltre, risulta chiaramente dall’esposizione dei fatti del procedimento principale che tale potere impositivo si esercita, in capo alla società residente in Germania, sia sugli utili realizzati sia sulle perdite subite dalla società intermedia, che sono, quanto ai primi, computati e, quanto alle seconde, prese in considerazione, nella base imponibile della prima società.

77.      Se il regime fiscale della società residente in Germania che ha acquisito partecipazioni in una società avente sede in un paese terzo a «bassa» tassazione è certamente diverso da quello applicabile alla società residente che ha investito capitali in un’altra società stabilita in Germania, la Corte ha già dichiarato, come rilevato dal giudice del rinvio, che il solo fatto di applicare regimi tributari diversi a società residenti a seconda che esse detengano partecipazioni in società residenti o non residenti non può costituire un criterio valido per valutare l’obiettiva comparabilità di situazioni e, di conseguenza, per stabilire una differenza obiettiva tra esse(34). Infatti, l’applicazione di regimi tributari differenti è all’origine della disparità di trattamento, nonostante il fatto che, in entrambe le fattispecie, lo Stato membro interessato eserciti il suo potere impositivo sui redditi delle predette società residenti.

78.      Ne consegue, a mio avviso, che la giustificazione della restrizione alla libera circolazione dei capitali, se non è autorizzata ai termini dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, può essere mantenuta solo in virtù di un motivo imperativo di interesse generale.

2.      Sull’esistenza di un motivo imperativo di interesse generale

79.      Mentre, nella motivazione della sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio respinge l’idea secondo cui la restrizione alla libera circolazione dei capitali nei confronti dei paesi terzi, che deriva dall’articolo 7 dell’AStG, possa essere giustificata dalla necessità di assicurare le entrate fiscali, esso si interroga sulla possibilità di una giustificazione basata sull’obiettivo di contrastare le costruzioni puramente artificiose finalizzate ad eludere l’applicazione della legislazione dello Stato membro interessato, quale motivo di giustificazione riconosciuto in linea di principio nella sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544). Tuttavia, il giudice del rinvio nutre dubbi, da un lato, circa l’applicabilità di tale giurisprudenza, che si inseriva nel contesto della libertà di stabilimento e, dall’altro, qualora tale giurisprudenza fosse pienamente applicabile in una situazione come quella di cui al procedimento principale, sulla proporzionalità delle norme sul computo previste dall’AStG. A tal riguardo, il giudice del rinvio rileva che tali norme intervengono non solo nel caso delle costruzioni puramente artificiose, ma indipendentemente dalla funzione economica della società intermedia stabilita nel paese terzo interessato, senza che il soggetto passivo residente in Germania abbia la possibilità di dimostrare che il suo investimento risponde a ragioni economiche.

80.      Il governo tedesco, da parte sua, sostiene che le norme sul computo previste dalle disposizioni dell’AStG sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale come la ripartizione equilibrata del potere impositivo (35) e la prevenzione dell’evasione fiscale (36), ai sensi della quale tale governo fa riferimento alla necessità di contrastare le costruzioni puramente artificiose. Nelle sue osservazioni scritte, il governo francese aggiunge che le norme sul computo potrebbero anche essere giustificate dall’obiettivo di garantire l’efficacia dei controlli fiscali (37).

81.      Da parte mia, in primo luogo, condivido pienamente l’analisi svolta dal giudice del rinvio in base alla quale uno Stato membro non può giustificare una restrizione alla libera circolazione dei capitali diretti a paesi terzi per salvaguardare la riscossione delle entrate fiscali. Infatti, questo motivo, di ordine puramente economico, è stato già respinto dalla Corte in situazioni che riguardavano movimenti di capitali nei confronti di paesi terzi (38). Nulla nella presente causa giustifica lo scostamento da tale soluzione. Del resto, nemmeno il governo tedesco ha provato ad avvalersi di un siffatto motivo dinanzi alla Corte.

82.      In secondo luogo, per quanto riguarda l’obiettivo relativo alla necessità di contrastare le costruzioni puramente artificiose, rilevo che la Corte ha riconosciuto che un simile obiettivo era idoneo a giustificare una limitazione di una libertà fondamentale di circolazione tra gli Stati membri sia nel contesto del suo collegamento ad altri motivi imperativi di interesse generale, come la lotta contro le pratiche abusive (39), la prevenzione della frode o dell’evasione fiscale (40), nonché, in combinazione con l’uno o l’altro di tali motivi, la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri (41), sia, a quanto pare, quale obiettivo di interesse generale autonomo (42).

83.      Contrariamente a quanto afferma il giudice del rinvio, la legittimità del perseguimento di siffatto motivo non è stato riconosciuta solo nel contesto dell’applicazione della libertà di stabilimento, ma anche nei confronti di restrizioni alla libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri nonché (43) tra questi ultimi e i paesi terzi (44).

84.      Su quest’ultimo punto, rilevo che, nella sentenza del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punti da 59 a 62), la Corte ha analizzato se una differenza di trattamento fiscale di società residenti in Portogallo, a seconda che esse percepissero utili distribuiti da società residenti in tale Stato membro o da società stabilite in paesi terzi (Tunisia e Libano) differenza qualificata come restrizione alla libera circolazione dei capitali , potesse nondimeno essere giustificata dalla necessità di prevenire la frode e l’evasione fiscale. Al termine di tale esame, la Corte ha concluso che la legislazione tributaria in questione in tale causa «esclude[va] in generale la possibilità di evitare o attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, qualora tali dividendi [fossero] distribuiti da società stabilite in Stati terzi, e non [era] diretta nello specifico a prevenire comportamenti consistenti nel creare costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica e finalizzate a eludere l’imposta normalmente dovuta o di ottenere un vantaggio fiscale» (45). Ne ha dunque dedotto che la restrizione alla libera circolazione dei capitali non poteva essere giustificata da motivi diretti alla necessità di prevenire la frode fiscale e l’evasione fiscale.

85.      Due considerazioni possono essere tratte da tale sentenza. Da un lato, tale sentenza dimostra che uno Stato membro può far valere l’obiettivo di contrastare le costruzioni puramente artificiose finalizzate a evadere l’imposta normalmente dovuta al fine di giustificare una restrizione alla libera circolazione dei capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti. Non vedo peraltro quale sarebbe la logica di vietare ad uno Stato membro la possibilità di avvalersi di un siffatto motivo di giustificazione esclusivamente nel contesto delle sue relazioni con i paesi terzi. D’altro lato, tale sentenza conferma che la portata di tale obiettivo è la stessa del caso in cui questo sia invocato nei rapporti tra gli Stati membri. In particolare, la legislazione tributaria in questione deve specificamente avere come scopo la prevenzione dei comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose.

86.      Orbene, è appunto sotto questo profilo che ritengo che, indipendentemente dalla questione di sapere se la lotta contro le costruzioni puramente artificiose al solo fine di eludere l’imposta normalmente dovuta debba essere esaminata, come suggerito dal giudice del rinvio, come un motivo imperativo di interesse generale autonomo oppure, come sostiene il governo tedesco, nel contesto di quello relativo alla prevenzione dell’evasione fiscale, le norme sul computo previste dall’AStG vadano al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.

87.      Infatti, tali norme non riguardano specificamente le costruzioni puramente artificiose ma si applicano, in generale, sulla base di una presunzione assoluta di evasione fiscale (46), ad ogni contribuente illimitatamente soggetto ad imposta in Germania che detiene una partecipazione di almeno l’1% in una società stabilita in un paese terzo, la cui tassazione è qualificata, unilateralmente dalla normativa tributaria tedesca, come «bassa».

88.      Con riguardo alla loro portata generale, le norme sul computo di cui all’AStG non perseguono quindi un obiettivo specifico diretto a prevenire comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, al solo fine di eludere l’imposta normalmente dovuta (47).

89.      Di conseguenza, ritengo che le norme sul computo previste dall’AStG non possano essere giustificate da motivi di prevenzione dell’evasione fiscale e di lotta contro le costruzioni puramente artificiose.

90.      Ne consegue che non occorre pronunciarsi sull’invito rivolto dal governo francese nelle sue osservazioni scritte, secondo cui la Corte dovrebbe riconoscere che, nei confronti dei paesi terzi, gli Stati membri possono mantenere le loro normative nazionali volte a contrastare le costruzioni puramente artificiose aventi lo scopo fondamentale, e non esclusivo, di eludere l’imposta normalmente dovuta (48). In ogni caso, risulta chiaramente dalle sentenze del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 165) e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 59) che, anche nelle relazioni con i paesi terzi, una determinata operazione costituisce una costruzione puramente artificiosa qualora essa abbia il solo scopo di eludere l’imposta normalmente dovuta o di ottenere un vantaggio fiscale.

91.      In terzo luogo, la risposta alla questione se le norme sul computo previste dall’AStG possano essere giustificate dalla necessità di tutelare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati e la salvaguardia dell’efficacia dei controlli fiscali, considerati nel loro insieme, è, a mio avviso, più difficile.

92.      Sul piano dei principi, rilevo che la Corte ha già esaminato congiuntamente tali due motivi imperativi di interesse generale (49) e ha già ammesso che tali motivi possono essere fatti valere dagli Stati membri per giustificare restrizioni alla libera circolazione dei capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti (50).

93.      Per quanto riguarda la necessità di salvaguardare il potere impositivo degli Stati membri, questo motivo può essere ammesso qualora la disciplina di cui trattasi sia intesa a prevenire comportamenti idonei a compromettere il diritto di uno Stato membro di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte sul suo territorio (51).

94.      Non vi è, a mio avviso, alcun dubbio che le norme sul computo previste dall’AStG siano idonee a raggiungere lo scopo di contrastare tali comportamenti, in quanto esse sono intese a impedire, nel procedimento principale, che le attività svolte dalle associazioni sportive tedesche siano sottratte al potere impositivo della Repubblica federale di Germania, attribuendo la gestione delle partecipazioni agli utili di tali associazioni ad una società stabilita in un paese terzo. In tal modo, i redditi percepiti da tale società in ragione dell’attività di gestione delle partecipazioni agli utili delle associazioni sportive tedesche sono computati nella base imponibile del suo socio tedesco, la società X, per evitare un’erosione della base imponibile di quest’ultima in Germania.

95.      Alcuni aspetti di tale misura nazionale mi sembrano pertanto adeguati. In primo luogo, le norme sul computo previste dall’AStG si applicano unicamente alle attività cosiddette «passive» delle società intermedie con sede in paesi terzi che applicano un’aliquota d’imposta sugli utili inferiore al 25%. Inoltre, se è vero che le norme sul computo si applicano indipendentemente da qualsiasi distribuzione degli utili, come il giudice del rinvio ha fatto notare, le distribuzioni effettive eseguite dalla società intermedia a vantaggio dei suoi soci tedeschi sono esenti nella Repubblica federale di Germania. Infine, l’imposta alla fonte riscossa nel paese terzo interessato sull’importo della distribuzione può essere imputata sull’imposta che colpisce l’importo da computare nella base imponibile del socio tedesco oppure essere detratta da tale imposta, conformemente alle disposizioni dell’AStG.

96.      Tuttavia, ai sensi dell’AStG, il socio tedesco di una società intermedia stabilita in un paese terzo non può sfuggire all’applicazione delle norme sul computo fornendo la prova che, nonostante il carattere «passivo» dell’attività esercitata da detta società intermedia, tale attività è al servizio di reali esigenze commerciali o economiche, facendo sì che i redditi della società intermedia non siano assoggettati a imposta in capo a detto socio.

97.      È vero che, mentre nelle relazioni tra gli Stati membri dell’Unione non si può escludere a priori che il contribuente sia in grado di fornire la documentazione giustificativa pertinente che consente alle autorità tributarie dello Stato membro di imposizione di verificare che egli soddisfi le condizioni che gli danno diritto a un vantaggio fiscale, la Corte ha ripetutamente dichiarato che tale giurisprudenza non può essere integralmente trasposta ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, che si collocano in un contesto giuridico differente (52).

98.      Infatti, nelle relazioni con i paesi terzi, la trasposizione della giurisprudenza applicabile tra gli Stati membri dell’Unione richiede che sia sviluppato un impegno di mutua assistenza tra le autorità competenti dello Stato membro in questione e quelle del paese terzo interessato, equivalente al quadro di cooperazione stabilito, all’interno dell’Unione, dalla direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (53).

99.      In un contesto come quello della presente causa, tale quadro di cooperazione e di mutua assistenza in materia fiscale potrebbe garantire alle autorità dello Stato membro interessato la possibilità di verificare, in particolare, se la società stabilita nel paese terzo in questione, nonostante il carattere «passivo» della propria attività, svolga un’attività economica genuina o effettiva, con personale, attrezzature, beni o locali, e non essere, in particolare, semplicemente una società «buca delle lettere».

100. In via generale, omettendo di distinguere tra i paesi terzi a seconda che dispongano o meno di un quadro di cooperazione e di scambio di informazioni equivalente a quello della direttiva 77/799 con la Repubblica federale di Germania, le norme sul computo previste dall’AStG sembrano, a mio parere, andare al di là di quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi di tutela del potere impositivo dello Stato membro in questione e dell’efficacia dei controlli fiscali. L’applicazione delle norme sul computo previste dall’AStG, nel caso di un contribuente tedesco che possieda una partecipazione in una società stabilita in un paese terzo e per la quale venga dimostrato, segnatamente sulla base di un quadro convenzionale di scambio reciproco di informazioni in materia fiscale tra tale paese e la Repubblica federale di Germania, che essa svolge, in realtà, un’attività economica reale, interferirebbe con il potere impositivo dello Stato in cui ha sede la società e suggerirebbe, a mio avviso, che le norme sul computo dell’AStG mirano, in definitiva, a generare entrate per il fisco tedesco (54).

101. Ciò premesso, con riserva di ulteriori verifiche da parte del giudice del rinvio, tale constatazione potrebbe essere priva di efficacia pratica nel procedimento principale.

102. A tal riguardo, sebbene il giudice del rinvio non fornisca alcun elemento alla Corte sull’esistenza di un quadro di cooperazione e di mutua assistenza in materia fiscale tra la Repubblica federale di Germania e la Confederazione svizzera, non può essere completamente ignorato che tale quadro di cooperazione è stato instaurato tra tali due Stati da quando è entrata in vigore, il 1° gennaio 2017, nel territorio della Confederazione svizzera, la Convenzione elaborata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e il Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1988, sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale (55). L’articolo 4 di tale convenzione dispone che le parti contraenti si scambiano tutte le informazioni che appaiono rilevanti per l’amministrazione o l’applicazione delle rispettive leggi nazionali relative alle imposte oggetto della suddetta convenzione, che comprendono, secondo l’articolo 2 della stessa, le imposte sul reddito e sugli utili.

103. Tuttavia, a norma dell’articolo 30 della convenzione, rubricato «Riserve», la Confederazione svizzera ha, all’atto del deposito del suo strumento di ratifica, precisato «di non concedere assistenza in relazione a crediti fiscali già esistenti alla data di entrata in vigore della Convenzione» per tale parte contraente, cioè prima del 1º gennaio 2017.

104. Ne consegue che, per quanto attiene gli esercizi fiscali in questione nel procedimento principale che riguardano, lo ricordo, gli anni 2005 e 2006, il giudice del rinvio sarebbe verosimilmente indotto a constatare che la convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale non consente alle autorità fiscali tedesche di verificare presso i loro omologhi svizzeri il carattere reale dell’attività della società intermediaria Y con sede in Svizzera.

105. Pertanto, alla luce delle circostanze del procedimento principale, e a meno che vi sia un quadro bilaterale sullo scambio di informazioni in materia fiscale tra la Repubblica federale di Germania e la Confederazione svizzera eventualmente applicabile ai fatti del procedimento principale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, ritengo che l’applicazione delle norme sul computo previste dall’AStG possa essere giustificata dal perseguimento della tutela del potere d’imposizione e dell’efficacia dei controlli fiscali dello Stato membro interessato.

III. Conclusione

106. Alla luce delle considerazioni svolte in via principale nelle presenti conclusioni, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni rinviate dal Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania):

L’articolo 57, paragrafo 1, CE deve essere interpretato nel senso che rientra nell’ambito di applicazione di tale articolo, una normativa nazionale che, alla data del 31 dicembre 1993, prevedeva, per il soggetto passivo di uno Stato membro, la tassazione degli investimenti diretti in una società estera stabilita in un paese terzo a partire da una soglia di partecipazione del 10%, i cui effetti sono perdurati dopo il 31 dicembre 1993 prima di essere sostituita da un’altra normativa nazionale, la quale, per quanto riguarda gli investimenti diretti, è sostanzialmente identica alla normativa in vigore al 31 dicembre 1993.


1      Lingua originale: il francese


2      Si tratta, in ultima analisi, del regime relativo alle «società estere controllate» (in prosieguo: le «SEC»). Va osservato che la compatibilità di un siffatto regime con le libertà fondamentali di circolazione avrebbe già potuto essere esaminata nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 6 dicembre 2007, Columbus Container Services (C‑298/05, EU:C:2007:754), se tale persona giuridica fosse stata considerata nel diritto tributario tedesco non come una società di persone, ma come una società di capitali: v., a tal proposito, le mie conclusioni nella causa Columbus Container Services (C‑298/05, EU:C:2007:197, paragrafi da 32 a 37 nonché la nota a piè di pagina 14).


3      BGBl. 1972 I, pag. 1713.


4      BGBl. 1993 I, pag. 2310.


5      BGBl. 2001 I, pag. 3858.


6      BGBl. 2000 I, pag. 1433.


7      V. anche sentenze del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punti da 27 a 32); dell’11 settembre 2014, Kronos International (C‑47/12, EU:C:2014:2200, punti 38, 41 e 54) nonché del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punti 34, 35 e da 41 a 43).


8      V., per analogia, a proposito del trattamento fiscale in uno Stato membro di dividendi provenienti da un paese terzo, in particolare, sentenze del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 29) e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 34).


9      V. sentenza dell’11 settembre 2014, Kronos International (C‑47/12, EU:C:2014:2200, punto 44 e giurisprudenza ivi citata). Occorre inoltre rammentare che, nelle relazioni con la Confederazione svizzera, il diritto di stabilimento è parzialmente contemplato dall’accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone (GU 2002, L 114, pag. 6; in prosieguo: l’ «ALCP»), firmato a Lussemburgo il 21 giugno 1999, ed entrato in vigore il 1º giugno 2002. Tuttavia, le persone giuridiche sono escluse dal campo di applicazione del diritto di stabilimento garantito dall’ALCP: v., sentenze del 12 novembre 2009, Grimme (C‑351/08, EU:C:2009:697, punti 37 e 39), e dell’11 febbraio 2010, Fokus Invest (C‑541/08, EU:C:2010:74, punto 31).


10      V., in particolare sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 39).


11      Il corsivo è mio.


12      Ricordo che tali due criteri sono cumulativi: v. sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 53).


13      V., in tal senso, in particolare, sentenze del 24 maggio 2007, Holböck (C‑157/05, EU:C:2007:297, punto 41); del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punto 49), e dell’11 febbraio 2010, Fokus Invest (C‑541/08, EU:C:2010:74, punto 42). Va osservato che, nella sentenza del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punti da 89 a 92), la Corte ha altresì dichiarato che uno Stato membro non può invocare l’articolo 57, paragrafo 1, CE quando, senza abrogare o modificare formalmente la normativa esistente, concluda un accordo internazionale, come un accordo di associazione, il quale preveda, in una disposizione dotata di effetto diretto, una liberalizzazione degli investimenti diretti con un paese terzo. Tale situazione è irrilevante nel procedimento principale poiché l’ALCP non prevede alcuna liberalizzazione dei movimenti dei capitali di cui all’articolo 57, paragrafo 1, CE tra la Confederazione svizzera e l’Unione europea e i suoi Stati membri.


14      V., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punto 48).


15      V., in tal senso, sentenze del 24 maggio 2007, Holböck (C‑157/05, EU:C:2007:297, punto 41), del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punto 49) nonché del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 88).


16      Il corsivo è mio.


17      V. sentenze del 17 ottobre 2013, Welte (C‑181/12, EU:C:2013:662, punto 29), e del 21 maggio 2015, Wagner-Raith (C‑560/13, EU:C:2015:347, punti 21 e 42).


18      Il corsivo è mio.


19      V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa A (C‑101/05, EU:C:2007:493, paragrafi 109 e 115).


20      V. sentenza del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punto 51).


21      Ad ogni buon fine, ricordo che gli effetti di una normativa nazionale abrogata sono presi in considerazione anche per constatare un inadempimento di uno Stato membro a uno dei suoi obblighi ai sensi del diritto dell’Unione, se tali effetti persistono alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato inviato dalla Commissione: v., in particolare, sentenza del 6 dicembre 2007, Commissione/Germania (C‑456/05, EU:C:2007:755, punti 15 e 16 nonché giurisprudenza ivi citata).


22      V., in particolare, sentenze del 20 maggio 2008, Orange European Smallcap Fund (C‑194/06, EU:C:2008:289, punti da 100 a 102), e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punti 75 e 76).


23      V., per quanto riguarda il pagamento di dividendi derivanti da investimenti diretti, in particolare, sentenza del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).


24      V., in tal senso, anche le conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa EV (C‑685/16, EU:C:2018:70, paragrafo 83).


25      V., in tal senso, in particolare, sentenza del 21 dicembre 2016, la AGET Iraklis (C‑201/15, EU:C:2016:972, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).


26      Nella sentenza del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 137), la Corte ha dichiarato, in sostanza, che le partecipazioni inferiori al 10% del capitale sociale della società di cui trattasi non rientrano nella nozione di «investimenti diretti» ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE.


27      Ricordo che nella sentenza del 24 maggio 2007, Holböck (C‑157/05, EU:C:2007:297), la Corte ha già ammesso che l’articolo 57, paragrafo 1, CE poteva ricomprendere le restrizioni alla libera circolazione dei capitali contenute in una normativa indistintamente applicabile agli Stati membri e ai paesi terzi che riguardava il versamento di dividendi relativi a partecipazioni che permettevano all’azionista di partecipare effettivamente alla gestione o al controllo della società distributrice.


28      V., in tal senso, sentenza del 15 febbraio 2017, X (C‑317/15, EU:C:2017:119, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).


29      Nel procedimento principale, il giudice del rinvio ha precisato che il capitale sociale della Y era detenuto, oltre che dalla X, da una società di diritto svizzero. Quest’ultima possiede quindi il 70% delle quote sociali della Y, il che può implicare un controllo congiunto di quest’ultima.


30      Il riferimento ad un ipotetico standard generale si impone dal momento che, ricordo, la X ha detenuto partecipazioni nella Y solo a partire dal 2005, periodo ovviamente successivo al 31 dicembre 1993.


31      V. sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).


32      Sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 45). Ricordo che, in tale punto della sentenza, la Corte ha altresì considerato la comparabilità della situazione di una società residente soggetta alla normativa sulle SEC e quella di una società residente la cui controllata, stabilita al di fuori del territorio del Regno Unito, non era soggetta a un livello inferiore di tassazione, vale a dire la comparabilità di due situazioni transfrontaliere. L’inserimento di tale criterio di comparazione, che sembrava rispecchiare le conclusioni dell’avvocato generale Léger rese nella causa Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:278), è stato oggetto di un certo dibattito fra gli avvocati generali [v. le mie conclusioni nella causa Columbus Container Services (C‑298/05, EU:C:2007:197, paragrafi da 124 a 155), e quelle dell’avvocato generale Bot nella causa Orange European Smallcap Fund (C‑194/06, EU:C:2007:403, paragrafi da 101 a 108)], ma, salvo errore da parte mia, non è stato successivamente ribadito dalla giurisprudenza. Pertanto, non mi ci soffermerò ulteriormente in questa sede.


33      Infatti, per gli esercizi fiscali precedenti, per i quali la Repubblica federale di Germania consentiva la deduzione delle perdite subite da una stabile organizzazione situata in Austria, la Corte ha constatato che la situazione di una società residente che detiene una stabile organizzazione situata in Austria era comparabile a quella di una società residente che detiene una stabile organizzazione situata in Germania: v. sentenza del 17 dicembre 2015, Timac Agro Deutschland (C‑388/14, EU:C:2015:829, punti 28 e 59).


34      V. sentenza del 22 gennaio 2009, STEKO Industriemontage (C‑377/07, EU:C:2009:29, punto 33).


35      Sul riconoscimento della legittimità dell’obiettivo di tutela della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, v., in particolare, sentenze del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C‑446/03, EU:C:2005:763, punto 45); del 10 maggio 2012, Santander Asset Management SGIIC e a. (da C‑338/11 a C‑347/11, EU:C:2012:286, punto 47) nonché del 24 febbraio 2015, Grünewald (C‑559/13, EU:C:2015:109, punto 40). Sull’estensione di tale motivo di giustificazione a favore delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali relativamente ai paesi terzi, v. sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 100 e giurisprudenza ivi citata).


36      Sul riconoscimento della natura di interesse generale della prevenzione dell’evasione fiscale, anche nelle relazioni con i paesi terzi, v., in particolare, sentenze del 30 gennaio 2007, Commissione/Danimarca (C‑150/04, EU:C:2007:69, punto 51 e giurisprudenza ivi citata), del 21 gennaio 2010, SGI (C‑311/08, EU:C:2010:26, punto 65) e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 62).


37      Sul riconoscimento della natura di interesse generale della necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, anche nei rapporti con i paesi terzi, v., in particolare, sentenze del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punto 55) e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 58).


38      V. sentenze del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punti 125 e 126), e del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 101).


39      V., in particolare, sentenze del 4 dicembre 2008, Jobra (C‑330/07, EU:C:2008:685, punto 35), e del 22 dicembre 2010, Tankreederei I (C‑287/10, EU:C:2010:827, punto 28). Quanto al collegamento di questo motivo con la prevenzione degli abusi e dell’evasione fiscale, v., in particolare, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punti 48, 51 e 55), e del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punti da 63 a 65). Quanto al collegamento di questo motivo con la prevenzione degli abusi e della frode, v. sentenza del 21 dicembre 2016, Masco Denmark e Damixa (C‑593/14, EU:C:2016:984, punto 30).


40      V., per quanto riguarda il collegamento di questo motivo alla prevenzione della frode fiscale, in particolare, sentenze del 19 novembre 2009, Commissione/Italia (C‑540/07, EU:C:2009:717, punto 57), del 28 ottobre 2010, Établissements Rimbaud (C‑72/09, EU:C:2010:645, punto 34), nonché del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 59). V., per quanto riguarda il collegamento con la prevenzione dell’evasione fiscale, in particolare, sentenze del 18 luglio 2007, Oy AA (C‑231/05, EU:C:2007:439, punto 58), del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C‑182/08, EU:C:2009:559, punto 89), del 21 gennaio 2010, SGI (C‑311/08, EU:C:2010:26, punto 65), nonché del 17 dicembre 2015, Timac Agro Deutschland (C‑388/14, EU:C:2015:829, punto 42). V., per quanto riguarda il collegamento con tali due motivi imperativi di interesse generale, in particolare, sentenze del 3 ottobre 2013, Itelcar (C‑282/12, EU:C:2013:629, punti da 33 a 35), e del 7 novembre 2013, K (C‑322/11, EU:C:2013:716, punti 61 e 62).


41      V. sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punti 74 e 75).


42      V. sentenze del 1° aprile 2014, Felixstowe Dock and Railway Company e a. (C‑80/12, EU:C:2014:200, punti 31 e 35) e del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth (C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punti 114 e 115).


43      V., in particolare, sentenze del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C‑182/08, EU:C:2009:559, punto 89), del 3 ottobre 2013, Itelcar (C‑282/12, EU:C:2013:629, punto 34), nonché del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth (C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punti 114 e 115).


44      V. sentenze del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 165), e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punti da 59 a 62).


45      Sentenza del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 61) (il corsivo è mio).


46      Va osservato che il governo tedesco ha ammesso la natura assoluta di tale presunzione in sede di udienza dinanzi alla Corte.


47      V., in questo senso, per analogia, sentenze del 1º aprile 2014, Felixstowe Dock and Railway Company e a. (C‑80/12, EU:C:2014:200, punto 34), del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 165), nonché del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 61).


48      Il governo francese trae la sua argomentazione, da un lato, dalla sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 81) e, dall’altro, da taluni atti di diritto derivato dell’Unione, chiaramente successivi ai fatti di cui al procedimento principale (e quindi, in ogni caso, irrilevanti), tra i quali, in particolare, la direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016, recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (GU 2016, L 193, pag. 1). Se è vero che il punto 81 della sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161) fa riferimento al carattere «fondamentale» e non esclusivo dello scopo perseguito con una determinata operazione affinché essa possa essere qualificata come costruzione di puro artificio, rilevo che il punto 82 di tale sentenza definisce le costruzioni di puro artificio in funzione dei loro «soli fini fiscali». A mia conoscenza, il punto 81 della sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161) è stato citato una sola volta, al punto 30 della sentenza del 17 gennaio 2008, Lammers & Van Cleeff (C‑105/07, EU:C:2008:24). Al contrario, l’orientamento giurisprudenziale chiaramente maggioritario fa riferimento al carattere esclusivo o unico dello scopo perseguito da una determinata operazione: v. sentenze del 4 dicembre 2008, Jobra (C‑330/07, EU:C:2008:685, punto 35), del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C‑182/08, EU:C:2009:559, punti 89 e 92); del 22 dicembre 2010, Tankreederei I (C‑287/10, EU:C:2010:827, punto 28), del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 165), del 5 luglio 2012, SIAT (C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 41), del 3 ottobre 2013, Itelcar, C‑282/12, EU:C:2013:629, punto 34), del 13 novembre 2014, Commissione/Regno Unito (C‑112/14, non pubblicata, EU:C:2014:2369, punto 25), del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 59), nonché del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 34). V. anche ordinanza del 23 aprile 2008, Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation (C‑201/05, EU:C:2008:239, punto 84).


49      V. sentenza del 5 luglio 2012, SIAT (C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 48).


50      V. sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punti 71 e 100 nonché giurisprudenza ivi citata).


51      V. sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 98 e giurisprudenza ivi citata).


52      V., in tal senso, sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punti 81 e 82 nonché giurisprudenza ivi citata).


53      GU 1977, L 336, pag. 15. V. segnatamente sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C‑190/12, EU:C:2014:249, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).


54      Del resto, come rileva la Commissione nelle sue osservazioni scritte, nel quadro delle relazioni tra gli Stati membri dell’Unione, e dopo gli esercizi fiscali in questione nella presente causa, il legislatore tedesco ha modificato l’AStG con lo Jahressteuergesetz 2008 (legge finanziaria per il 2008, BGBl. I, pag. 3150), autorizzando il contribuente tedesco a disapplicare le norme sul computo se dimostra che la società stabilita in un altro Stato membro esercita attività economiche reali.


55      STE n. 127. Il testo di detta convenzione, le riserve espresse e lo stato delle ratifiche è disponibile sul sito: https://www.coe.int/fr/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/127. La Repubblica federale di Germania ha ratificato tale Convenzione il 28 agosto 2015, che è entrata in vigore in tale Stato membro il 1º dicembre 2015.