Language of document : ECLI:EU:C:2017:175

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 7 marzo 2017 (1)

Causa C589/15 P

Alexios Anagnostakis

contro

Commissione europea

«Impugnazione – Iniziativa dei cittadini “One million signatures for ‘a Europe of solidarity’” nella quale si chiede alla Commissione europea di presentare una proposta legislativa che sancisca il principio dello stato di necessità – Domanda di registrazione – Rigetto della Commissione – Obbligo di motivazione – Articolo 122 TFUE – Articolo 136 TFUE»







I –    Introduzione

1.        Con l’impugnazione in esame, il sig. Alexios Anagnostakis chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 30 settembre 2015, Anagnostakis/Commissione (2) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui detto giudice ha respinto il suo ricorso di annullamento contro la decisione C (2012) 6289 final della Commissione, del 6 settembre 2012, recante rigetto della domanda di registrazione dell’iniziativa dei cittadini europei «Un milione di firme per un’Europa della solidarietà» (in prosieguo: la «decisione controversa»).

2.        La presente causa offre alla Corte l’occasione, per la prima volta, di pronunciarsi sul regime giuridico dell’iniziativa dei cittadini. Introdotto dal Trattato di Lisbona e sancito nell’articolo 11, paragrafo 4, TUE, il diritto di iniziativa dei cittadini permette a «[c]ittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, [di] prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati». Si tratta di uno strumento fondamentale per la democrazia partecipativa europea la cui applicazione può rivelarsi delicata. Infatti, da una parte, se l’idea è quella di riconoscere ai cittadini un ruolo attivo nella costruzione del diritto dell’Unione, occorre fare in modo che il suddetto diritto di iniziativa non sia vincolato a condizioni, formali o sostanziali, troppo restrittive o complesse – e quindi, in definitiva, poco comprensibili – da soddisfare per chi non sia esperto del diritto europeo; dall’altra, tuttavia, non si può ignorare che l’ordinamento giuridico dell’Unione è retto dal principio di attribuzione delle competenze e che la democrazia partecipativa, cui l’articolo 11, paragrafo 4, TUE tenta di dare vita, può essere esercitata solo entro tali limiti.

3.        In conformità delle disposizioni dell’articolo 24, paragrafo 1, TFUE, il regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, riguardante l’iniziativa dei cittadini (3), ha precisato le condizioni in presenza delle quali può essere presentata un’iniziativa dei cittadini europei (in prosieguo: l’«ICE»). Il suo considerando 2 afferma che «[l]e procedure e le condizioni necessarie per l’iniziativa dei cittadini dovrebbero essere chiare, semplici, di facile applicazione e proporzionate alla natura dell’iniziativa dei cittadini, in modo da incoraggiare la partecipazione dei cittadini e rendere l’Unione più accessibile. Esse dovrebbero stabilire un giusto equilibrio tra diritti e obblighi». Nelle considerazioni che seguono si cercherà di trovare tale equilibrio.

4.        L’ICE è definita come «un’iniziativa che ha ricevuto il sostegno di almeno un milione di firmatari appartenenti ad almeno un quarto degli Stati membri, sottoposta alla Commissione (…) e nella quale si chiede alla Commissione di presentare, nell’ambito delle sue attribuzioni, un’adeguata proposta su temi per i quali i cittadini ritengono necessario un atto legislativo dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati» (4). La procedura è così strutturata: prima della raccolta delle firme, gli organizzatori – vale a dire gli ideatori della proposta di ICE – devono chiedere la registrazione della suddetta proposta nel registro elettronico (5) della Commissione fornendo, in tale occasione, una serie di informazioni (6). La Commissione ha due mesi per esaminare la proposta, attribuirle un numero di registrazione e informare gli organizzatori. La registrazione dà il via al processo di raccolta delle firme (7). Una volta che tutte le condizioni attinenti alla suddetta raccolta sono soddisfatte e verificate (8), gli organizzatori possono presentare l’ICE (9). La Commissione la pubblica e riceve gli organizzatori (10). Soprattutto, essa espone, entro tre mesi, «in una comunicazione[,] le sue conclusioni giuridiche e politiche riguardo all’[ICE], l’eventuale azione che intende intraprendere e i suoi motivi per agire o meno in tal senso» (11).

5.        La registrazione, formalità essenziale che precede la raccolta, costituisce quindi una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché la Commissione dia seguito positivo e concreto alla proposta di ICE. L’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 211/2011 enuncia le condizioni che la proposta di ICE deve soddisfare perché la Commissione la registri. Tra queste, il medesimo articolo 4, paragrafo 2, prevede, alla lettera b), che la proposta di cui trattasi «non esul[i] manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati».

6.        La disposizione succitata è al centro della presente impugnazione. L’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, sulla base del quale la Commissione può negare la registrazione di una proposta di ICE, costituisce un vero e proprio filtro a disposizione della stessa. Tale condizione non dovrebbe, a mio avviso, essere interpretata in maniera troppo restrittiva, per non privare di contenuto il diritto all’iniziativa europea di cui ho testé sottolineato l’importanza (12). Benché tale preoccupazione sia alla base dell’intera analisi che segue, devo anche ricordare che il ruolo della Corte in sede di impugnazione è limitato e che le posizioni da essa espresse sull’una o sull’altra problematica dipendono fortemente dagli argomenti sollevati al suo cospetto.

7.        A tale proposito, si deve constatare che la presente impugnazione non possiede forse tutte le caratteristiche necessarie per permettere alla Corte di fornire gli attesi chiarimenti sul regime giuridico dell’ICE, posto che, dopo aver esaminato tutta la documentazione del fascicolo, resta difficile avere un’idea precisa di cosa il ricorrente si aspettasse esattamente dall’azione europea che desiderava fosse avviata (13).

II – Fatti, procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

8.        Il 13 luglio 2012, il ricorrente trasmetteva alla Commissione una proposta di ICE, dal titolo «Un milione di firme per un’Europa della solidarietà». Tale proposta era diretta ad ottenere il riconoscimento, nel diritto dell’Unione, del principio «dello stato di necessità, in base al quale, quando l’esistenza finanziaria e politica di uno Stato è minacciata dal rimborso di un debito odioso, il rifiuto di pagamento di tale debito è necessario e giustificato» (14). La proposta di ICE si riferiva allora alla «politica economica e monetaria (articoli da 119 a 144 TFUE)» quale fondamento giuridico della propria adozione.

9.        Il 6 settembre 2012, dopo aver ricordato la formulazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 211/2011 e aver esaminato le disposizioni del Trattato FUE invocate nell’ICE, in particolare l’articolo 136, paragrafo 1, TFUE, nonché «tutte le altre possibili basi giuridiche» (15), la Commissione rifiutava la registrazione della proposta di ICE del ricorrente in quanto essa esulava manifestamente dalla sua competenza a presentare una proposta di adozione di un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’applicazione dei Trattati.

10.      L’11 ottobre 2012, il ricorrente presentava dinanzi al Tribunale un ricorso di annullamento della decisione controversa. L’unico motivo di ricorso mirava a far accertare una violazione da parte della Commissione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011. Egli sosteneva, a tal proposito, che la sua proposta di ICE poteva portare la Commissione a formulare una proposta di adozione di un atto giuridico sulla base dell’articolo 122, paragrafi 1 e 2, dell’articolo 136, paragrafo 1, lettera b), TFUE e delle norme del diritto internazionale.

11.      Nella sentenza impugnata, dopo aver rilevato d’ufficio un motivo attinente all’obbligo di motivare le decisioni individuali, il Tribunale esaminava le diverse censure sollevate dal ricorrente nell’ambito del suo unico motivo prima di respingere il ricorso e di condannare il ricorrente alle spese.

III – Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

12.      Il 30 novembre 2015, il ricorrente ha proposto appello contro la sentenza impugnata. Nelle sue conclusioni, il sig. Anagnostakis chiede che la Corte accolga la presente impugnazione, annulli integralmente la sentenza impugnata e la decisione controversa, ingiunga alla Commissione di registrare la sua proposta di ICE e di disporre ogni altra misura giuridica necessaria e condanni la Commissione alle spese. Il sig. Anagnostakis ha ribadito le sue conclusioni nella replica.

13.      Nella comparsa di risposta, la Commissione chiede alla Corte di respingere l’impugnazione, in parte, come irricevibile e, in parte, come infondata o, in subordine, di respingerla nella sua interezza come infondata e di condannare il ricorrente alle spese. La Commissione ha ribadito le sue conclusioni nella controreplica.

14.      Le parti sono state sentite all’udienza dinanzi alla Corte tenutasi il 13 dicembre 2016.

IV – Analisi

15.      Benché articolata in quattro motivi, desidero riorganizzare l’impugnazione attorno a due motivi. Il primo motivo verte su un errore di diritto quanto alla valutazione della sufficienza della motivazione della decisione controversa e, il secondo, su un errore di diritto quanto al controllo della fondatezza della motivazione e all’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011. La prima censura di detto secondo motivo attiene a una violazione dell’articolo 122 TFUE, la seconda a una violazione dell’articolo 136 TFUE e la terza, infine, a una violazione delle norme di diritto internazionale.

A –    Sul primo motivo, vertente su un errore di diritto quanto alla valutazione della sufficienza della motivazione della decisione controversa

1.      Sentenza impugnata

16.      Ai punti 29 e seguenti della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse soddisfatto il suo obbligo di motivazione, dipendente, peraltro, dalla natura dell’atto in questione e dal contesto in cui esso viene adottato. Il Tribunale si è fondato sulla mancanza di chiarezza e precisione della proposta di ICE rispetto all’individuazione di un fondamento giuridico della competenza della Commissione a presentare una proposta di atto giuridico, in particolare in quanto la proposta in parola si limitava a rinviare, in blocco, a 26 articoli del Trattato. Solo nel suo ricorso di annullamento il ricorrente ha individuato, in maniera più precisa, negli articoli 122 e 136 TFUE la base giuridica della competenza della Commissione. Il Tribunale ha quindi dichiarato che «[p]ertanto non si può contestare alla Commissione di non aver analizzato in dettaglio, nella decisione [controversa], le varie disposizioni del Trattato FUE invocate in blocco nella proposta di ICE e di essersi limitata a constatare la non pertinenza di dette disposizioni, pur soffermandosi su quella tra queste ultime che le sembrava meno carente di pertinenza, e per di più esponendo i motivi per i quali tale disposizione non poteva essere usata come base giuridica» (16). Il Tribunale ha quindi ritenuto che la motivazione della decisione controversa fosse sufficiente, tenuto conto del contesto della sua adozione, posto che il ricorrente era in condizione di conoscere le ragioni del rifiuto di registrazione della proposta di ICE e il giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo su tali ragioni.

2.      Sintesi degli argomenti delle parti

17.      Il ricorrente afferma che né il mero rinvio, contenuto nella decisione controversa, all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 né l’esame degli articoli da 119 a 144 TFUE, al quale quest’ultima fa riferimento, sarebbero sufficienti a costituire una motivazione chiara e dettagliata quando è eccepito il carattere manifesto dell’incompetenza della Commissione. Tale carattere non può essere giustificato sulla base del contesto. Al contrario, l’elevata complessità del contesto nel quale la proposta di ICE tende ad inserirsi imporrebbe al giudice dell’Unione di richiedere una motivazione dettagliata e specifica delle decisioni di rifiuto di registrazione di tali proposte. La decisione controversa contiene soltanto una parafrasi dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE, oltre a un riferimento generico agli articoli da 119 a 144 TFUE. Orbene, il Tribunale avrebbe ignorato in toto tale aspetto della discussione attinente all’insufficienza della motivazione. Esso avrebbe inoltre commesso un errore di diritto nello stabilire che la motivazione di un atto dipende dalla natura e dal contesto dello stesso, posto che l’articolo 296 TFUE non contiene alcun riferimento a un tale contesto. Il ricorrente nega altresì che l’asserita mancanza di chiarezza e precisione della proposta di ICE assuma un qualche rilievo. Il contesto dell’Unione economica e monetaria è comunque complesso e, all’atto del deposito della proposta di ICE, non vi sarebbe stata alcuna giurisprudenza che guidasse i cittadini nella presentazione delle loro proposte nell’ambito del settore in parola. Il significato e l’interpretazione delle disposizioni attinenti alla suddetta Unione divergono. Il ricorrente cita gli esempi del Fondo europeo di stabilità finanziaria e del meccanismo europeo di stabilità finanziaria, entrambi fondati sull’articolo 122 TFUE. Una mera ripetizione delle disposizioni non è sufficiente a costituire una motivazione adeguata, né rispetto all’articolo 296 TFUE né rispetto all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011.

18.      La Commissione ritiene, da parte sua, che il ragionamento seguito dal Tribunale non sia viziato da alcun errore di diritto. Esso avrebbe, in particolare, giustamente stabilito che la decisione controversa era sufficientemente motivata tanto per il fatto che essa faceva riferimento all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, quanto per il fatto che essa illustrava le ragioni per cui gli articoli da 119 a 144 TFUE ̶ e, più in particolare, l’articolo 136, paragrafo 1, TFUE ̶ non potevano fondare l’adozione del principio dello stato di necessità. Il Tribunale avrebbe applicato correttamente la giurisprudenza secondo cui la motivazione deve essere valutata in funzione della natura e del contesto dell’atto. La Commissione sottolinea, segnatamente, che la proposta di ICE si limitava a fornire un elenco delle disposizioni ritenute pertinenti e che mancava ogni sforzo, da parte del ricorrente, per identificare in modo più preciso e argomentato un’eventuale base perché essa intervenisse. La Commissione ricorda, peraltro, di aver analizzato più in dettaglio, di propria iniziativa, nella decisione controversa, l’articolo 136, paragrafo 1, TFUE che essa riteneva fosse la disposizione meno improbabile. A suo avviso, non le si può imporre di replicare a un’ipotetica argomentazione inesistente quando il ricorrente aveva la possibilità tecnica di precisarla ed esplicitarla. La scarsa chiarezza e la complessità delle disposizioni del diritto dell’Unione non sarebbero tali da mettere in dubbio la conclusione secondo cui la Commissione non era oggettivamente ed evidentemente competente a dar seguito alla proposta di ICE. Il ricorrente non invocherebbe, infine, un eventuale errore nella valutazione, da parte del Tribunale, della sufficienza della motivazione contenuta nella decisione controversa, bensì criticherebbe la fondatezza della motivazione di tale decisione. Di conseguenza, le argomentazioni che egli avanza non possono essere esaminate nell’ambito di un motivo di impugnazione vertente sulla valutazione compiuta dal Tribunale circa la sufficienza della motivazione contenuta nella decisione della Commissione. La Commissione conclude che il motivo in parola deve essere respinto in quanto destituito di fondamento.

3.      Analisi

19.      L’obbligo di motivazione è sancito, nel diritto primario, dall’articolo 296 TFUE e vi è data attuazione, nel contesto dell’ICE, dall’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 211/2011 (17).

20.      In base a una giurisprudenza costante, l’obbligo di motivare un atto lesivo, obbligo che costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa, ha lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto sia fondato oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio che consenta di contestarne la validità dinanzi al giudice dell’Unione e, dall’altro, di rendere possibile a quest’ultimo esercitare il suo controllo di legittimità sull’atto stesso. La motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e al contesto nel quale esso è stato adottato (18). L’obbligo di motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso di specie (19), in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi addotti e dell’interesse che i destinatari possono avere a ricevere chiarimenti. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti (20), posto che il carattere sufficiente di una motivazione deve essere valutato alla luce non soltanto del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia considerata. Così, un atto è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato che gli consente di comprendere le ragioni per cui esso è stato adottato.

21.      Si tratta di una giurisprudenza ben consolidata che ha precisato i contorni dell’obbligo di motivazione. Orbene, noto che i suddetti principi di base sono stati riaffermati dal Tribunale nella parte della sentenza impugnata dedicata al motivo – rilevato d’ufficio – attinente a un’eventuale violazione dell’obbligo in parola (21).

22.      Dopo aver svolto le succitate considerazioni generali, il Tribunale ha insistito sull’importanza che riveste il rispetto dell’obbligo di motivazione nelle decisioni di rifiuto della registrazione delle proposte di ICE, tenuto conto del fatto che queste ultime sono idonee «a pregiudicare l’effettività stessa del diritto dei cittadini di presentare una loro iniziativa» (22). Di conseguenza, i motivi devono, a giudizio del Tribunale, risultare «chiaramente» (23). Il sostegno che il meccanismo dell’ICE è chiamato a dare al funzionamento democratico dell’Unione mal si concilierebbe, infatti, con un esercizio discrezionale del potere decisionale riconosciuto alla Commissione in materia.

23.      Il Tribunale ha successivamente ricordato il contenuto della decisione controversa, per poi osservare che essa era fondata sull’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 ed indicava altresì, espressamente, come – secondo la Commissione – né le disposizioni relative alla politica economica e monetaria menzionate nella proposta di ICE (24) né qualsiasi altra base giuridica, tra cui l’articolo 136, paragrafo 1, TFUE, potessero costituire la base giuridica adeguata per la proposta in questione (25). Il Tribunale ha anche collegato la motivazione così fornita dalla Commissione nella sua decisione di rifiuto al contenuto della proposta di ICE. In tal modo, esso ha contestualizzato la sua valutazione dell’obbligo di motivazione. Esso ha quindi osservato che la proposta in parola presenterebbe una certa vaghezza, visto che si limitava, in particolare, a citare, senza alcuno sforzo esplicativo, gli articoli da 119 a 144 TFUE (26).

24.      Ritengo che il ruolo attribuito alla Commissione dal regolamento n. 211/2011 nella procedura di registrazione delle proposte di ICE sia un ruolo chiave e che, tenuto conto della ragion d’essere del meccanismo dell’ICE, sia importante che tale istituzione dimostri, nelle sue decisioni di rifiuto della registrazione, grandi doti pedagogiche, giacché gli autori di tali proposte non sono necessariamente esperti di lungo corso del diritto dell’Unione. Non ritengo, d’altro canto, ragionevole far gravare sulla Commissione, come vorrebbe il ricorrente, un obbligo di motivazione tale da richiederle di illustrare le ragioni per cui nessuna disposizione dei Trattati possa fondare un’azione dell’Unione, quantomeno quando l’imprecisione iniziale – da me già sottolineata (27) e che si è protratta nel corso del procedimento di impugnazione (28) – è imputabile agli autori della proposta di ICE. Ciò equivarrebbe, infatti, a imporre alla suddetta istituzione, contrariamente a quanto previsto dalla giurisprudenza, di specificare tutti gli elementi di diritto «pertinenti», anche quelli che non sarebbero forse stati sollevati dagli autori della proposta di ICE, benché la reale questione sia solamente quella di stabilire, in questa fase dell’analisi, se il destinatario della decisione sia stato messo nelle condizioni di comprendere le ragioni del rigetto della sua domanda. Orbene, a mio avviso, dalla decisione controversa emerge con tutta chiarezza che la Commissione si è rifiutata di registrare la proposta di ICE in quanto riteneva che essa esulasse manifestamente dalla sua competenza.

25.      In tale contesto, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nel concludere che, nel caso di specie, non era ravvisabile alcuna violazione dell’obbligo di motivazione. Non è quindi corretto sostenere, come fa il ricorrente, che il profilo della discussione attinente alla sufficienza della motivazione sarebbe stato trascurato; il Tribunale si è invece proprio sforzato di verificare che le motivazioni addotte dalla Commissione nella decisione controversa fossero sufficienti perché il ricorrente comprendesse le ragioni del rigetto e, se del caso, richiedesse al giudice dell’Unione di verificarne la legittimità.

26.      Il ricorrente nega, inoltre, ogni nesso di causalità tra l’allegata scarsa precisione della proposta di ICE e la portata dell’obbligo di motivazione gravante sulla Commissione. Tuttavia, tale vaghezza rientra tra le circostanze di cui il giudice deve tener conto per valutare il rispetto dell’obbligo di motivazione, considerato il suo impatto sulla capacità della Commissione di comprendere correttamente e analizzare la proposta di ICE nei minimi particolari al fine di stabilire una base giuridica per la sua eventuale azione.

27.      Infine, il controllo del rispetto dell’obbligo di motivazione, diretto a verificare se, nel caso di specie, le indicazioni fornite dalla Commissione nella decisione controversa fossero sufficienti per permettere al ricorrente di conoscere le ragioni che avevano indotto la suddetta istituzione a rifiutare la registrazione della proposta di ICE, deve essere distinto dall’esame della fondatezza della motivazione, che consiste nel verificare la legittimità nel merito della decisione controversa (29), vale a dire se le ragioni suddette fossero valide (30). Le censure e le argomentazioni dirette a contestare la fondatezza della motivazione in ragione del fatto che, viste le difficoltà di interpretazione delle disposizioni disciplinanti la politica economica e monetaria dell’Unione, la proposta di ICE non esulerebbe manifestamente dalla competenza della Commissione sono del tutto inoperanti nell’ambito di un motivo vertente sulla mancanza o insufficienza della motivazione. Anche ammettendo che la motivazione della decisione controversa si fondi su un’interpretazione errata delle disposizioni del Trattato invocate nella proposta di ICE, un siffatto errore non integrerebbe una violazione dell’obbligo di motivazione come risultante dall’articolo 296 TFUE e dall’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 211/2011. Tali censure, attinenti a un’errata interpretazione delle disposizioni del Trattato che potrebbero fondare un’azione dell’Unione nell’ottica del riconoscimento di un principio dello stato di necessità, saranno pertanto affrontate nell’ambito del motivo seguente (31).

28.      Per tutte le ragioni che precedono, il primo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

B –    Sul secondo motivo, vertente su un errore di diritto quanto al controllo della fondatezza della motivazione

29.      Secondo il ricorrente, il Tribunale, interpretando erroneamente gli articoli 122 e 136, paragrafo 1, lettera b), TFUE e le norme di diritto internazionale, avrebbe a torto considerato come non soddisfatta la condizione sancita nell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011, vale a dire quella secondo cui la proposta di ICE non deve esulare manifestamente dalla competenza della Commissione.

30.      Al fine di verificare se il Tribunale abbia correttamente valutato la fondatezza della motivazione della decisione controversa, occorre tener presente l’oggetto della proposta di ICE: come risulta dalla stessa proposta, si tratta di sancire «il principio dello stato di necessità, in base al quale, quando l’esistenza finanziaria e politica di uno Stato è minacciata dal rimborso di un debito odioso, il rifiuto di pagamento di tale debito è necessario e giustificato». La suddetta descrizione e il riferimento agli articoli da 119 a 144 TFUE erano gli unici elementi di cui la Commissione disponeva nel pronunciarsi sulla richiesta di registrazione della proposta di ICE.

31.      Dall’impugnazione risulta, peraltro, che la proposta di ICE si riferirebbe soltanto alla parte «odiosa» del debito pubblico e che non si tratterebbe, pertanto, di un annullamento integrale e unilaterale del debito (32). Il riconoscimento del principio dello stato di necessità dovrebbe permettere l’annullamento (33), vale a dire il non pagamento, del debito odioso di uno Stato nei confronti degli altri Stati membri e anche dell’Unione (34). L’attivazione del meccanismo avverrebbe di concerto tra gli Stati membri quando il servizio del debito minaccia la situazione economica e politica di uno di loro (35). La proposta non si sostituirebbe alla sovranità monetaria dell’Unione né alla sovranità di bilancio ed economica degli Stati membri. Non si tratterebbe nemmeno di un meccanismo di finanziamento (36). Il riconoscimento di un principio dello stato di necessità dovrebbe soltanto permettere, in uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri, l’azione unilaterale dello Stato che si trovi in gravi difficoltà (37). Il ricorrente afferma poi che l’adozione di un siffatto principio riguarderebbe tutti gli Stati membri – quindi non soltanto quelli della zona euro –, che non coprirebbe la stabilità finanziaria e che permetterebbe di reagire in tempo utile. Infine, la possibilità di invocare lo stato di necessità potrebbe essere assoggettata a condizioni proposte dalla Commissione (38). L’iniziativa di dichiarare lo stato di necessità spetterebbe allo Stato membro autorizzato, nel rispetto di rigorose condizioni (39). L’Unione approverebbe poi la dichiarazione dello stato di necessità e lo Stato membro interessato beneficerebbe di una sospensione temporanea del pagamento dei suoi debiti (40). L’Unione dovrebbe approvare preliminarmente il testo prima che uno Stato membro possa beneficiare di un siffatto meccanismo (41). L’adozione del principio dello stato di necessità coprirebbe unicamente il debito di uno Stato membro nei confronti dell’Unione (42). Più avanti ancora, il ricorrente sostiene che l’adozione di un principio dello stato di necessità permetterebbe a uno Stato membro che si trovi ad affrontare gravi difficoltà di sospendere temporaneamente il pagamento di tutti i suoi debiti al fine di concentrare la sua politica economica sulla crescita (43). Egli parla anche di una «remissione del debito» (44).

1.      Sulla censura attinente a un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 122 TFUE

a)      Sentenza impugnata

32.      Ai punti da 41 a 43 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ricordato che la Corte aveva stabilito, nella sentenza Pringle (45), che l’articolo 122, paragrafo 1, TFUE non costituiva una base giuridica adeguata per un’eventuale assistenza finanziaria dell’Unione attraverso l’istituzione di un meccanismo di finanziamento a favore degli Stati membri in gravi difficoltà. Il Tribunale prosegue precisando che le misure fondate sull’articolo in parola devono esprimere una solidarietà ed assistenza tra gli Stati membri e che, per tale ragione, il medesimo non può costituire una base giuridica adeguata per l’adozione, nel diritto dell’Unione, di un principio dello stato di necessità che consenta a uno Stato membro di decidere unilateralmente di non rimborsare, in tutto o in parte, il proprio debito perché versa in difficoltà.

33.      Peraltro, ai successivi punti da 47 a 50, il Tribunale ha ricordato che la Corte aveva stabilito, sempre nella sentenza Pringle (46), che l’articolo 122, paragrafo 2, TFUE consentiva all’Unione di concedere, a determinate condizioni, un’assistenza finanziaria specifica a uno Stato membro senza, tuttavia, poter giustificare l’introduzione legislativa di un meccanismo di estinzione del debito, quale auspicato dal ricorrente, a motivo del carattere generale e permanente di un siffatto meccanismo. Il Tribunale ha altresì ricordato che l’articolo 122 TFUE ha per oggetto unicamente un’assistenza finanziaria concessa dall’Unione e non dagli Stati membri. Orbene, il riconoscimento di un principio dello stato di necessità riguarderebbe, secondo il Tribunale, non soltanto il debito di uno Stato membro nei confronti dell’Unione, ma anche i debiti contratti da detto Stato nei confronti di altre persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private, situazione che manifestamente esula dall’articolo 122 TFUE. Il Tribunale ne ha concluso che l’adozione del principio dello stato di necessità non rientra manifestamente nell’ambito delle misure di assistenza finanziaria che il Consiglio dell’Unione europea è legittimato ad adottare sulla base dell’articolo 122, paragrafo 2, TFUE.

b)      Sintesi degli argomenti delle parti

34.      Il ricorrente solleva, essenzialmente, una serie di quattro argomenti.

35.      Egli contesta, in primo luogo, al Tribunale di aver interpretato l’articolo 122 TFUE isolatamente, mentre la disposizione in parola deve essere letta insieme agli articoli da 119 a 126 TFUE con i quali forma un «unicum».

36.      In secondo luogo, egli contesta al Tribunale di aver commesso un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 122, paragrafo 1, TFUE, posto che detta disposizione conferirebbe alla Commissione un ampio potere discrezionale nel proporre al Consiglio l’adozione di misure adeguate alla situazione economica per far fronte a difficoltà gravi, senza che sia prevista una forma specifica per tali misure. Queste ultime dovrebbero, inoltre, essere adottate in uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri. Riferendosi alla giurisprudenza della Corte emanata sulla base dell’articolo 103 CE, il ricorrente afferma che le misure di politica economica proposte devono essere necessarie per salvaguardare gli obiettivi perseguiti dall’Unione. La circostanza che l’articolo 122, paragrafo 2, TFUE faccia espresso riferimento all’assistenza finanziaria fornita a uno Stato membro in difficoltà non sarebbe un ostacolo al riconoscimento della possibilità per la Commissione, in ragione dell’ampio potere di iniziativa ad essa accordato dall’articolo 122, paragrafo 1, TFUE, di proporre misure sotto forma di assistenza finanziaria. L’adozione di un principio dello stato di necessità costituirebbe, quindi, una misura adeguata ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 1, TFUE. In ogni caso, sarebbe errato ritenere che una siffatta adozione esuli manifestamente dalla competenza della Commissione.

37.      In terzo luogo, il ricorrente contesta l’accertamento compiuto dal Tribunale secondo cui l’articolo 122, paragrafo 1, TFUE non può costituire una base giuridica appropriata per l’adozione di un principio dello stato di necessità. Da una parte, il Tribunale avrebbe mal interpretato la sentenza Pringle (47). Contrariamente al meccanismo europeo di stabilità (in prosieguo: il «MES»), oggetto di discussione in quella sentenza, la proposta di ICE non mira a sostituirsi alla sovranità monetaria, di bilancio o economica degli Stati membri né ad attuare un meccanismo di finanziamento. Le finalità perseguite dalla proposta di ICE non sarebbero comparabili con quelle dell’attuazione del MES. Le considerazioni svolte nella sentenza Pringle (48) non sarebbero, pertanto, né automaticamente trasponibili né pertinenti ai fini della presente impugnazione. Dall’altra parte, per quanto il Tribunale abbia affermato, al punto 42 della sentenza impugnata, che «lo spirito di solidarietà tra Stati membri che deve presiedere all’adozione da parte del Consiglio delle misure adeguate alla situazione economica ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 1, TFUE indica che tali misure sono fondate sull’assistenza tra gli Stati membri», l’articolo citato non definirebbe tale ultima nozione. A torto, quindi, il Tribunale avrebbe stabilito che l’assistenza in parola può assumere solo la forma di meccanismi di protezione organizzati e strutturati e che il riconoscimento di un principio dello stato di necessità non può rappresentare una delle forme di assistenza finanziaria considerate dalla suddetta disposizione.

38.      In quarto e ultimo luogo, il ricorrente ribadisce la sua argomentazione diretta a distinguere tra il MES, da una parte, e il riconoscimento del principio dello stato di necessità, dall’altra. Il ricorrente precisa in tale occasione che il principio dello stato di necessità riguarderebbe tutti gli Stati membri e non soltanto quelli della zona euro e non coprirebbe la stabilità finanziaria. Esso permetterebbe semplicemente di reagire in tempo utile alle gravi difficoltà che uno Stato membro potrebbe trovarsi a dover affrontare. Tale Stato avrebbe la possibilità di invocare lo stato di necessità, ferme restando le eventuali condizioni che la Commissione ponga. L’iniziativa spetterebbe allo Stato membro in difficoltà, ma sarebbe l’Unione a decidere se esso possa beneficiare o meno dello stato di necessità. Sarebbe l’Unione ad approvare, in uno spirito di solidarietà, la dichiarazione dello stato di necessità e ad autorizzare, così, lo Stato membro in difficoltà a sospendere temporaneamente il pagamento del suo debito. A torto, quindi, il Tribunale avrebbe affermato che la procedura è avviata dagli Stati membri e non dall’Unione. E sempre a torto il medesimo avrebbe affermato, al punto 49 della sentenza impugnata, che l’obiettivo della proposta di ICE non corrispondeva manifestamente all’assistenza finanziaria ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 2, TFUE, mentre, secondo il ricorrente, il riconoscimento di detto principio copre unicamente il debito di uno Stato membro nei confronti dell’Unione. Tale aspetto rientra manifestamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 122, paragrafo 2, TFUE. Posto che la disposizione in parola è servita da base giuridica per l’adozione del regolamento (UE) n. 407/2010 del Consiglio, dell’11 maggio 2010, che istituisce un meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (49), l’adozione del principio dello stato di necessità potrebbe essere fondata sul medesimo modello. Tutt’al più, la Commissione potrebbe dar seguito solo parziale alla proposta di ICE, limitando la sospensione dei pagamenti unicamente al debito di uno Stato membro nei confronti dell’Unione. Il ricorrente ricorda che, nella decisione controversa, la Commissione non ha comunque motivato il suo diniego sulla base dell’ambito di applicazione del principio dello stato di necessità.

39.      La Commissione eccepisce che l’impugnazione non spiega realmente in cosa consisterebbe l’errore commesso in sede di interpretazione dell’articolo 122 TFUE. L’argomento relativo a un’interpretazione contestualizzata dell’articolo 122 TFUE in combinato disposto con gli articoli da 119 a 126 TFUE sarebbe nuovo. La giurisprudenza relativa all’articolo 103 CE non sarebbe pertinente, in quanto verterebbe soltanto su un’assistenza finanziaria specifica e non sull’instaurazione di un meccanismo di carattere generale. La Commissione ritiene peraltro che il Tribunale non abbia commesso alcun errore nell’interpretazione, nella sentenza impugnata, della sentenza Pringle (50). Lo spirito di solidarietà che animerebbe l’articolo 122, paragrafo 1, TFUE e sul quale insiste il ricorrente non sarebbe in alcun modo collegato alla nozione di assistenza finanziaria e, ad avviso della Commissione, la solidarietà tra gli Stati membri non può esprimersi attraverso una decisione unilaterale di non pagare. La Commissione contesta inoltre al ricorrente il suo tentativo di limitare la portata della proposta di ICE alla sola parte del debito dello Stato membro nei confronti dell’Unione, benché una siffatta limitazione non sia mai stata evocata prima e la proposta di ICE sia stata finora riferita al rimborso del debito «in particolare rispetto agli Stati membri». In ogni caso, quand’anche si dovesse ritenere che la proposta di ICE fosse circoscritta alla sola parte di debito detenuta dall’Unione, resta il fatto che l’introduzione di un principio dello stato di necessità non rientrerebbe nella nozione di assistenza finanziaria ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 2, TFUE. Non è infine possibile operare un confronto con il meccanismo attuato dal regolamento n. 407/2010. Tale regolamento prevedeva la concessione di assistenza finanziaria a uno Stato membro mediante una decisione del Consiglio, mentre la proposta di ICE intenderebbe instaurare un meccanismo che permette a uno Stato membro di decidere unilateralmente la cancellazione del suo debito nei confronti dell’Unione. La Commissione ribadisce che un siffatto meccanismo non rientrerebbe nella nozione di assistenza finanziaria. Essa chiede il rigetto del motivo in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondato.

c)      Analisi

40.      Devo osservare nuovamente che il ricorrente, con gli argomenti da lui dedotti nell’ambito del secondo motivo, sviluppa considerevolmente quanto sostenuto nel ricorso dinanzi al Tribunale. Gli argomenti attinenti alla giurisprudenza della Corte sull’articolo 103 CE, al regolamento n. 407/2010 e all’eventuale possibilità per la Commissione di dar seguito solo parziale alla proposta di ICE appaiono nuovi. Essi non sono del resto sfociati in una presa di posizione da parte del Tribunale. Orbene, è la sentenza del Tribunale ad essere oggetto del controllo della Corte nell’ambito dell’impugnazione.

41.      In ogni caso, dall’articolo 122, paragrafo 1, TFUE risulta essenzialmente che il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, «le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia». Da parte sua, l’articolo 122, paragrafo 2, TFUE enuncia che il Consiglio, sempre su proposta della Commissione, può concedere, a determinate condizioni, un’assistenza finanziaria dell’Unione a uno Stato membro che si trovi in difficoltà «a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo».

42.      A mio avviso, il mero rinvio al contenuto dei punti 116 e 118 della sentenza Pringle (51) è sufficiente per constatare che l’articolo 122 TFUE non può evidentemente fungere da base giuridica per il riconoscimento di un principio dello stato di necessità. Quanto all’articolo 122, paragrafo 1, TFUE, la Corte ha stabilito che la disposizione in parola «non rappresenta un fondamento giuridico adeguato per un’eventuale assistenza finanziaria dell’Unione agli Stati membri che già si trovano o rischiano di trovarsi in gravi problemi finanziari» (52). L’attuazione di un meccanismo con cui uno Stato membro decidesse unilateralmente di non rimborsare il suo debito non rientrerebbe, quindi, tra le misure adeguate attuate ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 1, TFUE, soprattutto in quanto tali misure devono essere animate da uno spirito di solidarietà. Inoltre, le suddette misure sono necessariamente di carattere specifico, mentre la proposta di ICE, come giustamente osservato dal Tribunale (53), mira al riconoscimento di un meccanismo generale e permanente che rimarrebbe a disposizione degli Stati membri se dovessero trovarsi in una situazione di grave difficoltà. Ad ogni modo, anche ammettendo che il riconoscimento di un principio dello stato di necessità costituisca una forma di assistenza finanziaria rientrante nella nozione di «misure adeguate» ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 1, TFUE, la sentenza Pringle (54), emanata dalla Corte in seduta plenaria, mi sembra aver chiaramente escluso che si possa far ricorso a tale articolo nel caso in cui uno Stato membro si trovi in difficoltà finanziarie.

43.      La Corte ha altresì stabilito, in termini più generali, che l’articolo 122 TFUE ha unicamente ad oggetto un’assistenza finanziaria accordata dall’Unione e non dagli Stati membri. Visto che possiamo muoverci solo sul piano delle ipotesi, se la proposta di ICE dovesse essere interpretata nel senso che essa mira ad attuare un meccanismo con cui uno Stato membro decide unilateralmente di non rimborsare il suo debito nei confronti dell’Unione, non si potrebbe ritenere che si tratti di un’«assistenza finanziaria» accordata dall’Unione allo Stato membro interessato ai sensi dell’articolo 122, paragrafo 2, TFUE(55). Tuttavia, se la suddetta proposta dovesse essere interpretata nel senso che il debito odioso è unicamente o anche il debito in mano agli Stati membri, a sua volta non sarebbe soddisfatta la condizione relativa alla fornitura dell’assistenza in parola «dall’Unione». Il carattere permanente del meccanismo integra inoltre un ulteriore ostacolo al suo riconoscimento sulla base dell’articolo 122, paragrafo 2, TFUE.

44.      Quanto, infine, all’argomento relativo alla possibilità per la Commissione di dar seguito solo parziale a una proposta di ICE, in linea di principio esso non manca di interesse. La sentenza impugnata non contiene tuttavia alcuna considerazione al riguardo che possa essere oggetto di discussione dinanzi alla Corte nell’ambito dell’impugnazione. In ogni caso, il suddetto argomento non potrebbe rimettere in dubbio la conclusione, che condivido con il Tribunale, secondo cui la proposta di ICE del ricorrente – soprattutto, forse, per il suo carattere intrinsecamente aleatorio – non avrebbe manifestamente potuto portare all’adozione di un atto sulla base dell’articolo 122 TFUE.

2.      Sulla censura attinente a un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE

a)      Sentenza impugnata

45.      Dopo aver ricordato il tenore letterale dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE, il Tribunale ha stabilito, ai punti da 57 a 60 della sentenza impugnata, che il riconoscimento di un principio dello stato di necessità, in base al quale uno Stato membro può decidere unilateralmente di annullare il debito pubblico, non mira a rafforzare il coordinamento della disciplina di bilancio e non rientra tra gli orientamenti di politica economica, di cui al suddetto articolo, che il Consiglio è autorizzato ad elaborare per il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria. Fondandosi sulla sentenza Pringle (56), il Tribunale ha ricordato che il ruolo dell’Unione nel settore della politica economica è circoscritto all’adozione di misure di coordinamento e che l’adozione di un atto legislativo che autorizzi uno Stato membro a non rimborsare un debito esula dalla nozione di orientamento di politica economica ai sensi dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE, giacché un tale atto avrebbe l’effetto di sostituire un meccanismo legislativo di estinzione unilaterale del debito pubblico alla libera volontà delle parti contraenti. Giustamente quindi, secondo il Tribunale, la Commissione aveva concluso che la proposta di ICE del ricorrente non rientrava manifestamente nel campo di applicazione dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE. Il Tribunale ha aggiunto, inoltre, che tale rifiuto non è contrario alla clausola di solidarietà di cui all’articolo 222 TFUE, posto che quest’ultima non riguarda manifestamente la politica economica e monetaria né la situazione economica degli Stati membri, anche se in difficoltà.

b)      Sintesi degli argomenti delle parti

46.      Secondo il ricorrente, l’articolo 136 TFUE è una disposizione complessa che la dottrina intende come necessariamente complementare agli articoli 121 e 126 TFUE. Il riconoscimento, nel diritto dell’Unione, del principio dello stato di necessità perseguirebbe l’obiettivo sancito nell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE del buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria. Il Tribunale avrebbe a torto stabilito che un siffatto riconoscimento sancirebbe un meccanismo legislativo di estinzione unilaterale del debito pubblico, mentre il principio dello stato di necessità si limiterebbe a permettere allo Stato membro che si trova in gravi difficoltà finanziarie di sospendere temporaneamente il pagamento di tutti i suoi debiti al fine di concentrare la sua politica economica sulla crescita, incoraggiando gli investimenti economici. Il ricorrente osserva, peraltro, che la prima procedura di risanamento del debito greco è stata deliberata il 21 luglio 2011 in occasione di un vertice dei paesi della zona euro nel corso del quale è stata adottata una decisione in tal senso. Il diritto dell’Unione contemplerebbe, quindi, una base giuridica per annullare un debito pubblico. Inoltre, un siffatto annullamento contribuirebbe indubbiamente al buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria, che è l’obiettivo perseguito dall’articolo 136, paragrafo 1, TFUE. La disposizione in parola permette, peraltro, al Consiglio di adottare misure per elaborare orientamenti di politica economica. Orbene, una misura imperniata sulla ripresa economica e la crescita sarebbe del tutto conforme alle prescrizioni dell’articolo 121 TFUE. La Commissione sarebbe quindi legittimata a proporre tali misure al Consiglio, tanto più che l’articolo 352 TFUE l’autorizzerebbe a proporre una misura necessaria alla realizzazione di uno degli obiettivi dei Trattati quale la stabilità della zona euro. In tale contesto, il Tribunale avrebbe a torto affermato che la proposta di ICE esula manifestamente dalla competenza della Commissione, quando invece essa ricadrebbe nel campo di applicazione dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE. Dall’argomentazione svolta dal ricorrente risulta inoltre che, ad avviso di quest’ultimo, un meccanismo di stabilità ed assistenza finanziaria come quello autorizzato dall’articolo 136, paragrafo 3, TFUE potrebbe comprendere la sospensione, di concerto tra gli Stati membri, del debito di uno di loro che si trovi in stato di necessità.

47.      La Commissione sostiene, dal canto suo, che, con il presente terzo motivo, il ricorrente solleva un argomento nuovo in base al quale l’introduzione di un meccanismo di assistenza finanziaria sotto forma di evasione di un debito odioso può essere proposta sulla base dell’articolo 352 TFUE tenuto conto della formulazione dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE. La parte del motivo relativa all’articolo 352 TFUE deve quindi essere dichiarata irricevibile. In ogni caso, il ricorrente non ha spiegato in cosa l’adozione di un atto sulla base delle indicazioni contenute nella proposta di ICE sarebbe necessaria al fine di raggiungere l’obiettivo dei Trattati in materia di stabilità della zona euro. In via subordinata, la Commissione ricorda che nella sentenza Pringle (57) la Corte avrebbe dichiarato che l’articolo 136, paragrafo 1, TFUE non crea alcuna base giuridica nuova idonea a permettere all’Unione di avviare un’azione. La Commissione sostiene altresì che l’argomento tratto dalla decisione adottata il 21 luglio 2011 in occasione del vertice dei paesi della zona euro relativa alla ristrutturazione del debito sovrano è nuovo e che, in ogni caso, tale decisione non sarebbe stata adottata sulla base dei Trattati. Quanto alla conclusione del Tribunale secondo cui l’autorizzazione in capo a uno Stato membro a decidere unilateralmente di non rimborsare il suo debito non potrebbe essere qualificata come una misura di orientamento della politica economica che il Consiglio può adottare sulla base dei Trattati, essa sarebbe del tutto corretta. L’articolo 136, paragrafo 1, TFUE – in base al quale può essere adottata soltanto misure di orientamento della politica economica, necessariamente non vincolanti – non può fungere da base per la proposta di ICE. La Commissione ritiene che il presente motivo debba essere dichiarato irricevibile quanto agli articoli 136, paragrafo 3, e 352 TFUE e infondato quanto all’articolo 136, paragrafo 1, TFUE.

48.      Nella replica, il ricorrente nega che gli argomenti attinenti agli articoli 136, paragrafo 3, e 352 TFUE siano nuovi in quanto scaturirebbero dalla discussione avviata tra le parti sulla sentenza Pringle (58). Quanto alla decisione del 21 luglio 2011, la Corte dovrebbe tenerne conto d’ufficio quale evento di comune esperienza e della vita politica europea. In ogni caso, il ricorrente invita la Corte a modificare la sua giurisprudenza in materia di irricevibilità dei motivi e degli argomenti nuovi in sede di impugnazione. Nella controreplica, la Commissione ribadisce la sua posizione.

c)      Analisi

49.      A norma dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE, «[p]er contribuire al buon funzionamento dell’unione economica e monetaria e in conformità delle pertinenti disposizioni dei trattati, il Consiglio adotta, secondo la procedura pertinente tra quelle di cui agli articoli 121 e 126, (…) misure concernenti gli Stati membri la cui moneta è l’euro, al fine di: a) rafforzare il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio; b) elaborare, per quanto li riguarda, gli orientamenti di politica economica vigilando affinché siano compatibili con quelli adottati per l’insieme dell’Unione, e garantirne la sorveglianza». L’articolo 136, paragrafo 3, TFUE (59) dispone, dal canto suo, che «[g]li Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità».

50.      Rilevo, anzitutto, una contraddizione nell’affermazione del ricorrente secondo cui l’articolo 136 TFUE potrebbe costituire un possibile collegamento tra la proposta di ICE e una competenza della Commissione, mentre risulta da taluni passaggi dell’impugnazione che il riconoscimento di un principio dello stato di necessità poteva riguardare tutti gli Stati membri, e non solo quelli della zona euro, e «non [avrebbe] cop[erto] la stabilità finanziaria» (60).

51.      Problematico è anche il fatto che non rinvengo traccia – né nel ricorso dinanzi al Tribunale né nella sentenza impugnata – di considerazioni relative all’articolo 352 TFUE o alla decisione del 21 luglio 2011. Tali argomenti, sollevati per la prima volta in sede di impugnazione, sono quindi irricevibili, dato che nessun elemento mi porta a ritenere che la Corte debba, come invita a fare il ricorrente, modificare la sua giurisprudenza al riguardo. Occorre quindi ricordare che consentire ad una parte di sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte un motivo che essa non aveva dedotto dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte, la cui competenza in materia di impugnazione è limitata, una controversia più ampia di quella di cui era stato investito il Tribunale (61).

52.      Nella stessa ottica, posto che la modifica del Trattato che ha portato all’inserimento dell’articolo 136, paragrafo 3, TFUE è entrata in vigore il 1o maggio 2013, non è possibile che il ricorrente abbia pensato a detta disposizione come base giuridica per la sua proposta di ICE presentata il 13 luglio 2012. L’argomento fondato sulla suddetta disposizione è quindi, anch’esso, irricevibile.

53.      In merito all’asserita erronea qualificazione compiuta dal Tribunale, secondo cui la proposta di ICE mirerebbe ad attuare un meccanismo legislativo di estinzione unilaterale del debito, osservo nuovamente che i termini utilizzati nell’impugnazione per descrivere la proposta di ICE non escludono un siffatto carattere unilaterale (62). Ammesso pure che tale ipotesi sia stata formulata dal Tribunale indotto dalle imprecisioni nella proposta di ICE, occorre constatare che essa non è stata smentita dal ricorrente in sede di impugnazione. Anche qualora la proposta di ICE potesse portare soltanto all’adozione di un atto non vincolante, la Commissione non potrebbe per ciò solo rifiutarsi di registrarla e di darvi, più tardi, seguito (63).

54.      Anche considerando il più ristretto denominatore comune (64) di tutte le varianti di proposta di ICE prese in considerazione dal ricorrente – vale a dire il riconoscimento di un principio secondo cui, quando l’esistenza di uno Stato membro è minacciata dal rimborso di un debito odioso, il rifiuto di pagamento di tale debito è necessario e giustificato – è innegabile che si tratti di una misura non solo molto forte da un punto di vista simbolico, ma anche – e forse soprattutto – ben lontana da considerazioni attinenti alla disciplina di bilancio. Al contrario, si tratterebbe piuttosto della gestione delle conseguenze dell’indisciplina di bilancio. In linea con il Tribunale (65), continuo così a non comprendere il legame che, secondo il ricorrente, potrebbe essere stabilito tra il principio dello stato di necessità come appena ricordato e «il coordinamento e la sorveglianza» della disciplina di bilancio degli Stati membri. Il riconoscimento di un siffatto principio non rientra neppure nella nozione di orientamenti di politica economica. Un orientamento è un invito, più o meno fermo, a seguire una direzione. Il riconoscimento di un principio di uno stato di necessità si spinge oltre, non perché il ricorrente avrebbe preso in considerazione soltanto una versione «vincolante» di detto principio (66), ma in quanto esso è ben più preciso di un semplice orientamento e prescrive l’attuazione di un meccanismo determinato (67). In ogni caso, poi, il diritto dell’Unione non conferisce un diritto di vita o di morte sui debiti degli Stati membri.

55.      Infine, l’affermazione del ricorrente secondo cui l’evasione del debito da parte di uno Stato membro in difficoltà contribuirebbe al buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria e sarebbe così in linea con l’obiettivo perseguito dall’articolo 136 TFUE mi sembra un po’ affrettata. Non è escluso che possa essere danneggiato il benessere economico degli altri Stati membri, detentori del suddetto debito non rimborsato, e, quindi, il benessere dell’Unione economica e monetaria.

56.      Il Tribunale non ha pertanto commesso alcun errore stabilendo che la Commissione aveva validamente concluso che la proposta di sancire il principio dello stato di necessità come concepito dal ricorrente esulava manifestamente dalle previsioni dell’articolo 136, paragrafo 1, TFUE. Questo terzo motivo deve pertanto essere dichiarato, in parte, irricevibile e, in parte, infondato.

3.      Sulla censura attinente a un errore di diritto nell’interpretazione delle norme di diritto internazionale

a)      Sentenza impugnata

57.      Al punto 65 della sentenza impugnata, il Tribunale ha stabilito che, anche supponendo che il diritto internazionale riconosca il principio dello stato di necessità secondo cui uno Stato membro sarebbe autorizzato a non rimborsare il debito pubblico in situazioni eccezionali, ciò non sarebbe comunque sufficiente per fondare un’ICE come quella del ricorrente, dal momento che nei Trattati manca una qualsiasi attribuzione di competenza in tal senso.

b)      Sintesi degli argomenti delle parti

58.      Da una parte, il ricorrente contesta l’accertamento compiuto dal Tribunale secondo cui l’adozione di un principio dello stato di necessità in un atto giuridico dell’Unione esula manifestamente dalla competenza della Commissione. Dall’altra, egli contesta al Tribunale di non aver preso posizione sulle sue argomentazioni dirette a dimostrare che il diritto internazionale riconosce effettivamente il principio in parola. Siccome i principi di diritto internazionale costituirebbero fonti del diritto dell’Unione direttamente incorporate e applicate, la Commissione sarebbe autorizzata, anche nel silenzio dei Trattati, a proporre in un atto di diritto dell’Unione l’applicazione di tali principi di rango superiore (68).

59.      La Commissione sostiene che non era assolutamente necessario che il Tribunale si pronunciasse sull’esistenza o meno di un principio dello stato di necessità nel diritto internazionale, posto che nessun principio di diritto internazionale potrebbe, da solo, fungere da base giuridica per una sua proposta. Solo i Trattati potrebbero fondare un’azione legislativa dell’Unione, in base al principio di attribuzione delle competenze.

c)      Analisi

60.      Osservo anzitutto una certa contraddizione nell’argomentazione del ricorrente che interpreta la sentenza impugnata nel senso che essa «sottintende indirettamente, ma in maniera chiara, che esiste un principio di diritto internazionale» (69) come quello dello stato di necessità, salvo poi contestare al Tribunale, in un secondo momento, di non aver esaminato la fondatezza delle sue argomentazioni in merito all’esistenza del principio di cui trattasi (70).

61.      Ricordo, ad ogni modo, che, in conformità con quanto previsto all’articolo 5 TUE, il principio di attribuzione disciplina la delimitazione delle competenze dell’Unione (71) e che, di conseguenza, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti, mentre qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri (72). Per le istituzioni dell’Unione, il suddetto principio significa che ciascuna di loro agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai Trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste (73).

62.      Solo i Trattati istitutivi su cui si basa l’Unione – e unicamente essi – possono fondare la competenza della Commissione a proporre un atto. Dal principio di attribuzione delle competenze come sopra definito risulta che l’istituzione in parola non potrebbe trarre alcuna competenza dall’esistenza, nel diritto internazionale, di un eventuale principio dello stato di necessità. È vero che utilizzando, al punto 65 della sentenza impugnata, l’espressione «supponendo», il Tribunale non ha preso posizione sul fatto se esista o meno un principio dello stato di necessità nel diritto internazionale. Tuttavia, per le ragioni testé illustrate, era inutile che lo facesse. Quand’anche un siffatto principio esistesse nel diritto internazionale, l’argomentazione sollevata dal ricorrente sarebbe stata, infatti, in ogni caso, manifestamente inoperante in quanto, come ricordato, l’ordinamento giuridico dell’Unione è disciplinato dal principio di attribuzione delle competenze e dette competenze possono essere ricavate soltanto dai Trattati istitutivi dell’Unione. In altre parole, la proposta di ICE deve inserirsi nei limiti dei poteri conferiti alla Commissione dal diritto primario affinché quest’ultima possa darvi seguito.

63.      Occorre quindi respingere la censura in esame in quanto infondata. Ne consegue che il secondo motivo e, pertanto, l’impugnazione nella sua interezza devono essere rigettati. Se del caso, spetta al ricorrente presentare una nuova proposta di ICE che, ove meglio argomentata, più dettagliata e precisa, potrebbe non essere respinta in fase di registrazione.

V –    Sulle spese

64.      Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il ricorrente risulta, a mio avviso, soccombente, egli deve essere condannato alle spese relative al presente procedimento di impugnazione, conformemente alla domanda della Commissione.

VI – Conclusione

65.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare e statuire quanto segue:

–      l’impugnazione è respinta e

–      il sig. Alexios Anagnostakis è condannato a sopportare le proprie spese e quelle della Commissione europea.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      T‑450/12, EU:T:2015:739.


3 –      GU 2011, L 65, pag. 1.


4 –      Articolo 2, punto 1, del regolamento n. 211/2011.


5 –      Il modulo di registrazione è disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/citizens-initiative/public/registration/.


6 –      Tali informazioni sono elencate nell’allegato II del regolamento n. 211/2011.


7 –      V. articoli 5 e segg. del regolamento n. 211/2011.


8 –      V. articoli 8 e 9 del regolamento n. 211/2011.


9 –      Articolo 9 del regolamento n. 211/2011.


10 –      V. articolo 10 del regolamento n. 211/2011.


11 –      Articolo 10, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 211/2011.


12 –      Si deve osservare, al riguardo, che l’inadempimento della condizione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 211/2011 costituisce il motivo di diniego più frequente per la Commissione: v. relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Relazione sull’applicazione del regolamento n. 211/2011 [COM(2015) 145 final].


13 –      La lettura del fascicolo induce a pensare che il ricorrente abbia «precisato» la sua idea nel corso dei procedimenti avviati dinanzi ai giudici dell’Unione. Il ricorso proposto dinanzi al Tribunale è del resto molto parco di informazioni concrete atte a chiarire cosa egli intendesse veder sancito attraverso l’evocato principio dello stato di necessità.


14 –      V. punto 3 della sentenza impugnata.


15 –      Punto 27 della sentenza impugnata, che cita la decisione controversa.


16 –      Punto 31 della sentenza impugnata.


17 –      Ai sensi del quale, «[q]ualora rifiuti di registrare una proposta d’iniziativa dei cittadini, la Commissione informa gli organizzatori dei motivi di tale rifiuto e di tutti i possibili ricorsi giudiziari ed extragiudiziari a loro disposizione».


18 –      V., ex multis, sentenza dell’8 settembre 2016, Iranian Offshore Engineering & Construction/Consiglio (C‑459/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:646, punto 24).


19 –      V., inter alia, sentenza del 21 dicembre 2016, Club Hotel Loutraki e a./Commissione (C‑131/15 P, EU:C:2016:989, punto 47).


20 –      V., ex multis, sentenze del 18 giugno 2015, Estonia/Parlamento e Consiglio (C‑508/13, EU:C:2015:403, punto 58); del 9 giugno 2016, Pesce e a. (C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428, punto 88); dell’8 settembre 2016, Iranian Offshore Engineering & Construction/Consiglio (C‑459/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:646, punto 24), e del 21 dicembre 2016, Club Hotel Loutraki e a./Commissione (C‑131/15 P, EU:C:2016:989, punto 47).


21 –      V. punti da 21 a 34 della sentenza impugnata, in particolare punti da 21 a 24.


22 –      Punto 25 della sentenza impugnata.


23 –      Punto 25 della sentenza impugnata.


24 –      Vale a dire gli articoli da 119 a 144 TFUE.


25 –      V. punto 28 della sentenza impugnata.


26 –      V. punto 31 della sentenza impugnata.


27 –      V. paragrafo 7 delle presenti conclusioni.


28 –      V. paragrafi 30 e segg. delle presenti conclusioni.


29 –      V. punto 33 della sentenza impugnata.


30 –      Sulla distinzione tra il controllo dell’obbligo di motivazione e il controllo della fondatezza della motivazione, v., per una giurisprudenza più recente, sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 146 e giurisprudenza citata); del 14 settembre 2016, Trafilerie Meridionali/Commissione (C‑519/15 P, EU:C:2016:682, punto 40), e del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange (C‑486/15 P, EU:C:2016:912, punto 79).


31 –      V., per analogia, sentenza dell’8 settembre 2016, Iranian Offshore Engineering & Construction/Consiglio (C‑459/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:646, punti da 30 a 32).


32 –      Punto 4 dell’impugnazione. Il debito odioso è definito al punto 7 dell’impugnazione.


33 –      Gli elementi in corsivo segnalano le contraddizioni che gravano sulle spiegazioni fornite dal ricorrente in merito alla sua proposta di ICE.


34 –      V. punti 10, 12 e 13 dell’impugnazione.


35 –      V. punto 9 dell’impugnazione.


36 –      V. punto 40 dell’impugnazione.


37 –      V. punto 40 dell’impugnazione.


38 –      V. punto 46 dell’impugnazione.


39 –      V. punto 46 dell’impugnazione.


40 –      V. punto 47 dell’impugnazione.


41 –      V. punto 47 dell’impugnazione.


42 –      V. punto 48 dell’impugnazione.


43 –      V. punto 51 dell’impugnazione.


44 –      V. punto 51 dell’impugnazione.


45 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


46 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


47 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


48 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


49 –      GU 2010, L 118, pag. 1.


50 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


51 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


52 –      Sentenza del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 116).


53 –      V. punto 48 della sentenza impugnata.


54 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


55      V. punti 10, 12 e 13 dell’impugnazione.


56 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


57 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


58 –      Sentenza del 27 novembre 2012 (C‑370/12, EU:C:2012:756).


59 –      Introdotto con la decisione 2011/199/UE del Consiglio europeo, del 25 marzo 2011, che modifica l’articolo 136 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativamente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l’euro (GU 2011, L 91, pag. 1), ed entrato in vigore il 1o maggio 2013.


60 –      Punto 46 dell’impugnazione.


61 –      V., inter alia, sentenza del 21 settembre 2010, Suède e a./API e Commissione (C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541, punto 126 e giurisprudenza citata).


62 –      V. paragrafo 31 delle presenti conclusioni e punto 40 dell’impugnazione.


63 –      Per chiarezza, desidero precisare che, contrariamente a quanto sembra sostenere la Commissione, una proposta di ICE non deve necessariamente poter portare all’adozione di un atto dell’Unione di carattere vincolante per essere registrabile. L’articolo 11, paragrafo 4, TUE si riferisce, infatti, a un «atto giuridico [necessario] dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati» (v. anche articolo 2, punto 1, del regolamento n. 211/2011). Orbene, l’articolo 288 TFUE elenca, tra gli atti giuridici dell’Unione, anche le raccomandazioni e i pareri.


64 –      Quale si evince dalla proposta di ICE.


65 –      V. punto 57 della sentenza impugnata.


66 –      Circostanza peraltro contestata dal ricorrente. Non si può tuttavia escluderla del tutto, tenuto conto delle diverse varianti della proposta di ICE presentate.


67 –      Benché ancora vago.


68 –      V. punto 20 dell’impugnazione.


69 –      Punto 20 dell’impugnazione.


70 –      V. punto 54 dell’impugnazione.


71 –      Articolo 5, paragrafo 1, TUE.V. anche ordinanza del presidente della Corte del 28 ottobre 2010, Bejan (C‑102/10, non pubblicata, EU:C:2010:654, punto 29), e ordinanza del 14 agosto 2012, Commissione/Consiglio (C‑114/12, non pubblicata, EU:C:2012:365, punto 74).


72 –      Articolo 5, paragrafo 2, TUE.


73 –      Articolo 13, paragrafo 2, TUE.