Language of document : ECLI:EU:C:2018:201

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 21 marzo 2018(1)

Causa C109/17

Bankia SA

contro

Juan Carlos Marí Merino

Juan Pérez Gavilán

María Concepción Marí Merino

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dallo Juzgado de Primera Instancia n. 5 de Cartagena (Tribunale di primo grado n. 5 di Cartagena, Spagna)]

«Tutela dei consumatori – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – Contratto di mutuo garantito da ipoteca – Nuova valutazione del bene prima della vendita all’asta – Controllo giurisdizionale delle pratiche commerciali sleali nel procedimento di esecuzione ipotecaria – «Mezzi adeguati ed efficaci» per combattere le pratiche commerciali sleali – Interdipendenza con la direttiva 93/13/CEE – Possibilità per il giudice nazionale di far applicare il codice di condotta sulla base della direttiva 2005/29»






1.        È necessario che l’argomento delle pratiche commerciali sleali possa essere dedotto in un procedimento di esecuzione ipotecaria, ex officio o su istanza di parte, al fine di garantire la tutela dei consumatori come prevista dalla direttiva 2005/29/CE? (2). Tale è la questione sottesa al caso prospettato dal Juzgado de Primera Instancia n. 5 de Cartagena (Tribunale di primo grado n. 5 di Cartagena, Spagna).

2.        La questione sorta quindi nella causa dinanzi al giudice del rinvio richiama questioni analoghe trattate dalla Corte in relazione alla direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (3). Pertanto un aspetto delle presenti conclusioni sarà quello di analizzare il grado di tutela previsto in tali due atti in materia di tutela dei consumatori.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

3.        L’articolo 2, lettera f), della direttiva 2005/29 definisce «codice di condotta» «un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici».

4.        L’articolo 3 descrive l’ambito di applicazione della direttiva 2005/29 come segue:

«1.      La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

2.      La presente direttiva non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto.

(…)

4.      In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici.

(…)».

5.        L’articolo 10 della direttiva 2005/29 («Codici di condotta») così dispone:

«La presente direttiva non esclude il controllo, che gli Stati membri possono incoraggiare, delle pratiche commerciali sleali esercitato dai responsabili dei codici né esclude che le persone o le organizzazioni di cui all’articolo 11 possano ricorrere a tali organismi qualora sia previsto un procedimento dinanzi ad essi, oltre a quelli giudiziari o amministrativi di cui al medesimo articolo.

Il ricorso a tali organismi di controllo non è mai considerato equivalente alla rinuncia agli strumenti di ricorso giudiziario o amministrativo di cui all’articolo 11».

6.        L’articolo 11 di tale direttiva verte sull’applicazione delle sue disposizioni. Detto articolo stabilisce quanto segue:

«1.      Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell’interesse dei consumatori.

Tali mezzi includono disposizioni giuridiche ai sensi delle quali le persone o le organizzazioni che secondo la legislazione nazionale hanno un legittimo interesse a contrastare le pratiche commerciali sleali, inclusi i concorrenti, possono:

a)      promuovere un’azione giudiziaria contro tali pratiche commerciali sleali,

e/o

b)      sottoporre tali pratiche commerciali sleali al giudizio di un’autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere un’adeguata azione giudiziaria.

(…)

2.      Nel contesto delle disposizioni giuridiche di cui al paragrafo 1, gli Stati membri conferiscono all’organo giurisdizionale o amministrativo il potere, qualora ritengano necessari detti provvedimenti tenuto conto di tutti gli interessi in causa e, in particolare, dell’interesse generale:

a)      di far cessare le pratiche commerciali sleali o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per ingiungere la loro cessazione,

o

b)      qualora la pratica commerciale sleale non sia stata ancora posta in essere ma sia imminente, di vietare tale pratica o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per vietarla,

anche in assenza di prove in merito alla perdita o al danno effettivamente subito, oppure in merito all’intenzionalità o alla negligenza da parte del professionista.

(…)».

7.        Ai sensi dell’articolo 13 («Sanzioni»), «Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

B.      Diritto spagnolo

1.      Legge sulla concorrenza sleale

8.        Gli articoli 4, 5, 7 e 8 della Ley de Competencia Desleal (legge sulla concorrenza sleale) del 10 gennaio 1991, come modificata dalla legge n. 29 del 30 dicembre 2009, definiscono i tipi di atto che devono essere considerati sleali nei rapporti tra professionisti e consumatori ai sensi del diritto spagnolo.

9.        L’articolo 32 della legge sulla concorrenza sleale disciplina le azioni che possono essere esperite contro atti di concorrenza sleale ed enumera, tra le altre, le seguenti: i) azione dichiarativa di slealtà; ii) azione inibitoria della condotta sleale e di divieto di reiterazione futura, iii) azione di rimozione degli effetti prodotti dalla condotta sleale, e iv) azione di risarcimento dei danni e pregiudizi provocati dalla condotta sleale, ove vi sia stato dolo o colpa dell’agente.

2.      Legge generale sulla tutela dei consumatori e degli utenti

10.      La Ley General de Defensa de Consumidores y Usuarios (legge generale sulla tutela dei consumatori e degli utenti), approvata con regio decreto legge 1/2007, del 16 novembre 2007, e come modificata dalla legge n. 29 del 30 dicembre 2009, definisce le pratiche commerciali e stabilisce obblighi di informazione ai professionisti nei loro rapporti con i consumatori.

3.      Regio decreto legge 6/2012

11.      Il regio decreto legge n. 6, del 9 marzo 2012, ha istituito un codice di buone pratiche al quale gli istituti di credito potrebbero aderire volontariamente (in prosieguo: il «codice di buone pratiche bancarie»). Il codice promuove il coinvolgimento del settore finanziario spagnolo nell’alleviare la difficile situazione socio-economica verificatasi a seguito della crisi del 2008 mediante la ristrutturazione del debito garantito da ipoteca sull’abitazione del debitore. Ciò viene realizzato mediante l’adozione di tre misure: i) la ristrutturazione dell’ipoteca, ii) la riduzione del capitale non ancora rimborsato, e iii) la datio in solutum, vale a dire la consegna del bene a totale pagamento del debito.

12.      L’articolo 5 del regio decreto legge prevede che, dal momento dell’adesione dell’istituto di credito al codice di buone pratiche bancarie, le disposizioni di tale codice diventano vincolanti.

13.      Conformemente all’articolo 6, il rispetto del codice di buone pratiche bancarie sarà supervisionato da una commissione di controllo. I reclami derivanti dal presunto mancato rispetto del codice da parte dell’istituto di credito possono essere rivolti al Banco de España (Banca di Spagna).

4.      Codice di procedura civile

14.      L’esecuzione di ipoteche e di altri titoli esecutivi è disciplinata in Spagna dalla Ley de Enjuiciamiento Civil (codice di procedura civile). La versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale è quella modificata dalla legge n. 13 del 3 novembre 2009 (4) e dalla legge n. 1 del 14 maggio 2013 (5).

15.      L’articolo 517 del codice di procedura civile enumera i titoli esecutivi, quali gli atti pubblici autenticati.

16.      L’articolo 552 prevede il controllo d’ufficio da parte di un giudice delle domande di esecuzione di titoli stragiudiziali, ma solo con riferimento alle clausole abusive eventualmente contenute nel titolo esecutivo di cui trattasi.

17.      L’articolo 670 disciplina l’accettazione della migliore offerta, il pagamento e l’acquisizione del bene da parte del creditore in caso di asta. La disposizione mira a garantire che, nella maggior parte dei casi, sia pagato almeno il 70% della base d’asta dal miglior offerente o dal creditore che procede all’esecuzione. Nei casi in cui il creditore che procede all’esecuzione non si avvalga della facoltà di chiedere l’aggiudicazione del bene, detto bene sarà aggiudicato al miglior offerente anche se la sua offerta è inferiore al 70% del prezzo stimato. In tal caso, l’offerta deve essere superiore al 50% del valore stimato del bene o, se inferiore, coprire almeno l’importo dovuto.

18.      L’articolo 671 del codice di procedura civile prevede situazioni in cui non siano presentate offerte. In tal caso il creditore può, nel termine di 20 giorni successivi a quello di chiusura dell’asta, chiedere l’aggiudicazione del bene. Nel caso in cui si tratti dell’abituale dimora del debitore, l’aggiudicazione sarà effettuata per un importo pari al 70% del valore al quale il bene sarebbe stato messo all’asta o, se l’importo dovuto al creditore a qualsiasi titolo è inferiore a detta percentuale, per un importo pari al 60%. Se il creditore non si avvale di detta facoltà, il giudice, su richiesta del debitore, può ordinare la cessazione dell’esecuzione ipotecaria.

19.      L’articolo 682 disciplina i presupposti per l’avvio di un procedimento di esecuzione ipotecaria. Tale disposizione prevede che il ricorso a tale procedimento sia possibile solo nel caso in cui nell’atto di costituzione dell’ipoteca sia stabilito il prezzo stimato attribuito dagli interessati all’immobile o al bene ipotecato, affinché funga da base d’asta. Il prezzo stimato che non può essere in alcun caso inferiore al 75% del valore individuato nella stima di cui si è tenuto conto ai fini della concessione del credito.

20.      L’articolo 695 prevede, al paragrafo 1, un elenco tassativo di motivi di opposizione alla vendita forzata del bene ipotecato. Tali motivi sono costituiti: i) dall’estinzione della garanzia o dell’obbligazione coperta da garanzia; ii) da un errore nella determinazione dell’importo dovuto, quando il debito garantito è il saldo risultante dalla chiusura di un conto tra l’esecutante e l’esecutato; iii) in caso di esecuzione su beni mobili ipotecati o oggetto di pegno non possessorio, dalla previa esistenza, sul medesimo bene, di un altro pegno, ipoteca mobiliare o immobiliare, o sequestro, e iv) una clausola contrattuale abusiva che costituisca il fondamento dell’esecuzione o che abbia determinato l’importo dovuto.

21.      L’articolo 698, paragrafo 1, del codice di procedura civile, prevede, a sua volta, che qualunque altro reclamo il debitore possa formulare, compresi quelli riguardanti la nullità del titolo, la scadenza, la certezza, l’estinzione o l’entità del credito, viene deciso nel relativo procedimento, senza che ciò comporti la sospensione o la cessazione del procedimento di esecuzione ipotecaria.

II.    Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

22.      Nel 2006 i sigg. Juan Carlos Marí Merino, María de la Concepción Marí Merino e Juan Pérez Gavilán (in prosieguo: i «debitori») hanno stipulato un contratto di mutuo ipotecario alle seguenti condizioni: un capitale pari a EUR 166 000, un termine per il rimborso del mutuo di 25 anni, un valore stimato del bene ipotecato pari a EUR 195 900.

23.      Nel gennaio 2009 il capitale di prestito è stato aumentato e il termine per il rimborso è stato esteso a 34 anni e 4 mesi.

24.      Nell’ottobre 2013, quando il debito in essere ammontava a EUR 102 750, le condizioni del contratto di mutuo sono state modificate per la seconda volta, su richiesta dei debitori, dopo il mancato rimborso, per un periodo di 375 giorni, delle rate dovute. Al fine di agevolare il rimborso del capitale, è stato concesso un termine di 40 anni per il rimborso del debito residuo di EUR 102 750 ed è stata autorizzata la vendita stragiudiziale. Inoltre, è stato provato che il bene costituiva la dimora abituale dei debitori. La modifica del contratto di mutuo ha comportato una rivalutazione del bene ipotecato che, in un mercato in crisi, aveva un valore stimato di EUR 57 689,90.

25.      A seguito del mancato rimborso di nove ulteriori rate, nel marzo 2015, la banca ha avviato il procedimento di esecuzione ipotecaria, presentando domanda dinanzi al giudice del rinvio, con cui chiedeva che ai debitori fosse ingiunto il pagamento e, nel caso in cui questi non avessero saldato il debito, che il bene ipotecato fosse messo all’asta e che con i proventi della stessa venisse soddisfatto l’importo dovuto, oltre a interessi e spese. Ai fini dell’asta, la base indicata dalla banca era pari a EUR 57 684,90.

26.      I debitori hanno presentato successivamente opposizione all’esecuzione, sostenendo che il contratto che fungeva da titolo per l’esecuzione conteneva clausole abusive. I debitori hanno ritenuto che la clausola che prevedeva l’estensione del termine per il rimborso e una nuova valutazione del bene ipotecato fosse abusiva. I debitori hanno sostenuto che l’estensione del termine per il rimborso era stata semplicemente utilizzata per indurli ad accettare la sensibile riduzione del valore stimato del bene ipotecato, operata a loro danno. Ciò ha peggiorato in modo significativo la loro posizione e il loro consenso in merito alla modifica del prestito era quindi basato su un errore essenziale riguardo al significato delle clausole contrattuali. Come secondo motivo di opposizione, i debitori hanno sostenuto che sussistevano le condizioni perché potessero liberarsi del proprio debito mediante la datio in solutum dell’abitazione, rimanendovi come conduttori, in applicazione del codice di buone pratiche bancarie, a causa della situazione economica in cui versavano. Inoltre, gli stessi hanno richiesto la sospensione del procedimento di esecuzione.

27.      Ciò ha indotto il giudice del rinvio a interrogarsi in merito a se la modifica del mutuo operata dalla banca nell’ottobre 2013 costituisca una pratica commerciale sleale e a se la direttiva 2005/29 sia applicabile.

28.      Nutrendo dubbi riguardo alla corretta interpretazione delle disposizioni pertinenti della direttiva 2005/29, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che il suo articolo 11 osta a una normativa nazionale come quella vigente sull’esecuzione ipotecaria spagnola – articoli 695 e seguenti, in combinato disposto con l’articolo 552, paragrafo 1, entrambi del [codice di procedura civile] – in cui non è previsto il controllo, né d’ufficio né su istanza di parte, delle pratiche commerciali sleali, in quanto tale normativa rende difficile o impedisce il controllo giurisdizionale dei contratti e degli atti nei quali siano ravvisabili pratiche commerciali sleali.

2)      Se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che il suo articolo 11 è contrario a una normativa nazionale, quale l’ordinamento spagnolo, che non garantisce l’effettivo rispetto del codice di condotta se il creditore che procede all’esecuzione decide di non applicarlo (combinato disposto degli articoli 5 e 6 e dell’articolo 15 del regio decreto legge n. 6 del 9 marzo 2012).

3)      Se l’articolo 11 della direttiva 2005/29 debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa nazionale spagnola che non consente al consumatore, durante una procedura di esecuzione ipotecaria, di richiedere il rispetto di un codice di condotta, in concreto, quanto alla datio in solutum e all’estinzione del debito – paragrafo 3 dell’allegato al regio decreto legge n. 6 del 9 marzo 2012, codice di buone pratiche [bancarie]».

29.      Hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento Bankia, il governo spagnolo, l’Irlanda e la Commissione, i quali hanno tutti presentato osservazioni orali all’udienza del 7 febbraio 2018.

III. Analisi

30.      Tutte e tre le questioni pregiudiziali riguardano, in sostanza, la corretta interpretazione dell’articolo 11 della direttiva 2005/29.

31.      Più in particolare, con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 11 della direttiva 2005/29, di istituire «mezzi adeguati ed efficaci» per combattere le pratiche commerciali sleali, osti a una normativa nazionale che non consente l’applicazione delle disposizioni della direttiva nell’ambito del procedimento di esecuzione ipotecaria.

32.      Con la seconda e la terza questione pregiudiziale, il giudice nazionale chiede se tali mezzi adeguati ed efficaci debbano anche garantire il rispetto di un codice di condotta. In altri termini, il giudice del rinvio chiede un chiarimento riguardo ai mezzi di ricorso a disposizione del consumatore in base alla direttiva 2005/29 in circostanze in cui un professionista non rispetti un codice di condotta.

33.      Dopo aver fornito un’analisi dell’espressione «mezzi adeguati ed efficaci» ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2005/29, tratterò, in risposta alla prima questione pregiudiziale, la questione se le disposizioni della direttiva debbano essere o meno applicate anche nell’ambito di un procedimento di esecuzione ipotecaria al fine di garantire l’efficacia della direttiva. Successivamente tratterò congiuntamente la seconda e la terza questione pregiudiziale ed esaminerò il ruolo dei codici di condotta nel combattere le pratiche commerciali sleali previste dalla direttiva 2005/29.

A.      Sulla prima questione pregiudiziale

1.      Osservazioni preliminari

34.      L’importanza dei consumatori nella creazione di un mercato interno è da tempo riconosciuta dal diritto dell’Unione (6). Non solo si deve tener conto delle condizioni di tutela dei consumatori nella definizione e nell’attuazione delle politiche e delle attività dell’Unione (7), è stata anche emanata una serie di normative specifiche dell’Unione relative ai consumatori (8). Dette normative trovano la propria ragion d’essere in due principali obiettivi. Il primo è quello di garantire un elevato livello di tutela dei consumatori al fine di infondere in questi ultimi la fiducia necessaria per cercare gli affari più vantaggiosi in qualsiasi Stato membro e il secondo è quello di creare un contesto che faciliti gli scambi transfrontalieri e agevoli l’accesso ai mercati al di là dello Stato nazionale, promuovendo in tal modo la concorrenza.

35.      Tutta la normativa dell’Unione concernente i consumatori è caratterizzata dalla tensione tra l’incentivare, da un lato, i consumatori e, dall’altro, le imprese a concludere operazioni transfrontaliere. Mentre un livello elevato di tutela dei consumatori incoraggia questi ultimi, le imprese sono alquanto disincentivate dall’eccessiva burocrazia. Tale dicotomia ha comportato una frammentazione del quadro normativo costituito da vari atti legislativi che prevedono forme e livelli diversi di tutela dei consumatori.

36.      La direttiva 2005/29 costituisce uno strumento quadro che stabilisce principi generali per i rapporti tra imprese e consumatori, integrato, ove necessario, da una normativa settoriale specifica (9). La direttiva è uno strumento di massima armonizzazione: salvo deroghe espresse previste nella direttiva 2005/29 (10), in tutti gli Stati membri deve essere garantito un livello comune di tutela dei consumatori (11).

37.      La direttiva 2005/29 tenta di stabilire tale livello di tutela dei consumatori nei rapporti tra imprese e consumatori in tutta l’Unione europea creando un meccanismo di controllo di ampia portata sulle pratiche commerciali che incidono potenzialmente sul comportamento economico dei consumatori (12). Ciò viene realizzato fissando un sistema di sanzioni al fine di dissuadere i professionisti dal fare ricorso a pratiche commerciali sleali e a porre fine alle pratiche sleali in atto (13).

38.      La direttiva è contraddistinta da un ambito di applicazione ratione materiae particolarmente esteso (14). Una «pratica commerciale», in conformità all’articolo 2, lettera d), della direttiva 2005/29, comprende «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista». Inoltre, la direttiva è applicabile alle pratiche commerciali tra imprese e consumatori prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto o a un servizio (15).

39.      Esistono tre tipi di pratiche commerciali sleali vietati dall’articolo 5 della direttiva 2005/29. In generale, le pratiche commerciali sono considerate sleali se sono, al contempo, contrarie alle norme di diligenza professionale e influiscono o possono influire su una decisione commerciale del consumatore (16). Più in particolare, sono vietate le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive (17). Infine, la direttiva prevede una «lista nera» di pratiche commerciali sleali assolutamente vietate (18). Diversamente dai primi due tipi di pratiche commerciali sleali, le pratiche elencate nell’allegato I sono considerate sleali in ogni caso e non necessitano di una valutazione specifica in ogni singolo caso.

40.      Il compito di garantire l’applicazione delle disposizioni della direttiva spetta agli Stati membri che devono istituire «mezzi adeguati ed efficaci» per combattere le pratiche commerciali sleali conformemente all’articolo 11 della direttiva 2005/29. La prima questione pregiudiziale verte sull’interpretazione di tale requisito e sugli obblighi che ne derivano per gli Stati membri.

2.      «Mezzi adeguati ed efficaci» ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2005/29

41.      Conformemente all’articolo 11 della direttiva 2005/29, «mezzi adeguati ed efficaci» possono essere costituiti da un’azione giudiziaria promossa contro pratiche commerciali sleali o da un ricorso amministrativo con la possibilità di un controllo giurisdizionale. Gli organi giurisdizionali e le autorità amministrative cui è affidato il compito di garantire l’osservanza della direttiva devono avere il potere di porre fine a pratiche commerciali sleali o, a seconda dei casi, di vietare la pratica di cui trattasi sin dall’inizio. Inoltre, ai sensi dell’articolo 13, gli Stati membri devono prevedere un sistema adeguato di sanzioni nei confronti dei professionisti che ricorrono a pratiche commerciali sleali.

42.      Tuttavia, la formulazione e il contesto dell’articolo 11 non consentono di determinare alcun obbligo specifico, a carico degli Stati membri, riguardo al tipo di procedimento, come il procedimento di esecuzione ipotecaria, nel cui ambito le pratiche commerciali sleali siano oggetto di controllo giurisdizionale.

43.      Come dichiarato costantemente dalla Corte, la direttiva 2005/29 lascia pertanto alla discrezionalità degli Stati membri la scelta delle misure nazionali destinate a combattere le pratiche commerciali sleali, purché esse siano adeguate ed efficaci e le sanzioni in tal modo previste siano effettive, proporzionate e dissuasive (19).

44.      Il giudice del rinvio asserisce, tuttavia, nella domanda di pronuncia pregiudiziale, che i mezzi per combattere le pratiche commerciali sleali come stabiliti dalla normativa spagnola non sono efficaci, in quanto non consentono di effettuare il controllo giurisdizionale delle pratiche commerciali sleali in procedimenti di tipo sommario, quale il procedimento di esecuzione ipotecaria.

45.      Il principio di effettività richiede che le disposizioni del diritto dell’Unione che conferiscono diritti agli individui siano effettivamente applicate e che il diritto processuale nazionale non renda l’applicazione del diritto dell’Unione impossibile o eccessivamente difficile (20).

46.      La direttiva 2005/29 si limita a imporre sanzioni ai professionisti e, in quanto tale, non garantisce il diritto a un rimedio contrattuale per i consumatori. Diversamente dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (21), che prevede espressamente come conseguenza giuridica l’annullamento della clausola in questione o, eventualmente, l’annullamento dell’intero contratto, una disposizione di tal genere non è rinvenibile nella direttiva 2005/29.

47.      È importante rilevare che la direttiva 2005/29 prevede specificamente, per contro, che la sua applicazione non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale e, in particolare, le norme sulla validità, formazione o efficacia di un contratto (22). Come sottolineato dal governo spagnolo, la constatazione dell’esistenza di una pratica commerciale sleale non può quindi produrre effetti giuridici diretti nel rapporto contrattuale fra il professionista e il consumatore (23).

48.      Piuttosto, l’effetto voluto della direttiva 2005/29 è l’imposizione di sanzioni al professionista che abbia fatto ricorso a una pratica commerciale sleale. Pertanto, ai fini dell’effettiva attuazione della direttiva 2005/29, gli Stati membri sono tenuti esclusivamente a prevedere un adeguato sistema di sanzioni da infliggere ai professionisti che ricorrano a pratiche commerciali sleali (24).

49.      Il diritto spagnolo prevede che possa essere invocata l’esistenza di pratiche commerciali sleali in un giudizio di cognizione. Tale giudizio di cognizione, tuttavia, non ha effetto sospensivo sul procedimento di esecuzione ipotecaria, né il giudice adito può adottare provvedimenti provvisori.

50.      Ciò lascia aperta la questione relativa a se sia necessario, al fine di garantire l’effettività della direttiva 2005/29, consentire ai giudici nei procedimenti di esecuzione ipotecaria di infliggere sanzioni in base alla direttiva oppure prevedere un effetto sospensivo di tale procedimenti qualora siano avviati giudizi di cognizione diretti a dichiarare l’esistenza di una pratica commerciale sleale.

3.      Applicazione della direttiva 2005/29 nei procedimenti di esecuzione ipotecaria

51.      La Corte ha costantemente dichiarato, riguardo al principio di effettività, che ogni caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (25).

52.      L’oggetto del procedimento di esecuzione ipotecaria è costituito dall’esecuzione di un titolo esecutivo derivante da un’ipoteca. Siffatto procedimento implica che il bene di cui trattasi sia stato precedentemente ipotecato come garanzia e che il creditore abbia disposto di un titolo esecutivo incorporato in un atto pubblico notarile e iscritto presso l’ufficio dei registri immobiliari, che detto creditore può far valere quale ultima ratio in caso di mancato adempimento, da parte del debitore, degli obblighi di rimborso. I procedimenti esecutivi dovrebbero fornire un mezzo rapido ed efficace per dare applicazione ai diritti riconosciuti dalla legge in base a un titolo esecutivo incorporato in un atto pubblico (26).

53.      Nell’interesse dell’economia processuale, il legislatore spagnolo ha limitato i motivi di opposizione all’esecuzione ipotecaria. Al di là delle obiezioni relative alla validità dell’ipoteca in quanto tale, il controllo giurisdizionale è limitato a se il titolo esecutivo contenga clausole contrattuali abusive, e detta previsione è stata aggiunta successivamente alla sentenza della Corte nella causa Aziz (27).

54.      Infatti, in tale causa, promossa nell’ambito della direttiva 93/13, la Corte ha dichiarato, in linea con la giurisprudenza consolidata, che negare la possibilità di controllare la correttezza di una clausola contrattuale in procedimenti di esecuzione ipotecaria avrebbe potuto danneggiare ingiustamente il consumatore in quanto quest’ultimo sarebbe stato soltanto in grado di ottenere una tutela a posteriori meramente risarcitoria, la quale, secondo la Corte, si sarebbe rivelata incompleta e insufficiente (28).Pertanto, ha dichiarato che il diritto dell’Unione ostava alla normativa nazionale in esame (29).

55.      Il giudice del rinvio sottintende, nella domanda di pronuncia pregiudiziale, che lo stesso ragionamento dovrebbe essere applicato relativamente alle pratiche commerciali sleali in quanto il giudizio di cognizione non ha effetto sospensivo. Qualora l’esecuzione sul bene fosse ottenuta prima della pronuncia della sentenza nel giudizio di cognizione, potrebbe essere allora impossibile attuare una sentenza emessa nei confronti del professionista che abbia danneggiato ingiustamente il consumatore. Presumibilmente, questo è anche il motivo per cui la Commissione ritiene che la giurisprudenza derivante dalla sentenza Aziz debba essere estesa alla causa in esame (30).

56.      Tuttavia, la causa in esame va distinta da tale orientamento giurisprudenziale.

57.      I diritti conferiti al consumatore dalla direttiva 2005/29 differiscono da quelli conferiti dalla direttiva 93/13. Quest’ultima prevede che la constatazione di una clausola contrattuale abusiva debba comportare l’annullamento della clausola di cui trattasi o, eventualmente, dell’intero contratto (31). La direttiva 93/13 prevede quindi un mezzo di ricorso che ha conseguenze dirette sul rapporto contrattuale tra un professionista e un consumatore. È per questo motivo che la Corte di giustizia è stata propensa ad attuare detta possibilità nel procedimento di esecuzione ipotecaria, soprattutto perché la causa riguardava l’abitazione del consumatore (32).

58.      La direttiva 2005/29, d’altro canto, non prevede rimedi contrattuali specifici per il consumatore e, come spiegato supra, constatare l’esistenza di una pratica commerciale sleale può, in base alla direttiva, comportare soltanto l’imposizione di sanzioni al professionista in questione (33). Siffatta constatazione non può quindi impedire l’esecuzione dell’ipoteca e l’esito del giudizio di cognizione non avrà conseguenze contrattuali. Anche se la sentenza nel giudizio di cognizione dovesse essere emessa successivamente all’esecuzione del debito, il consumatore non ne sarebbe ingiustamente danneggiato. Di fatto, la decisione pronunciata nel giudizio di cognizione non incide affatto sulla situazione giuridica del consumatore nel procedimento di esecuzione ipotecaria.

59.      Inoltre, nella causa in esame il presunto danno ingiusto nei confronti del consumatore non risiede nell’esecuzione dell’ipoteca in quanto tale, ma piuttosto nella nuova valutazione del bene utilizzata per calcolare la base d’asta. I debitori temono che il loro bene non riceva un’offerta tanto elevata quanto quella che otterrebbe con una base d’asta superiore. Come sottolineato dal governo spagnolo in udienza, il danno asserito dai debitori è meramente ipotetico fino a che l’asta non sia terminata. L’ipoteca o l’importo del debito non sono in discussione: la questione di cui trattasi è invece l’importo del debito che residuerà ancora dopo la conclusione dell’asta e la compensazione dei proventi della stessa con il debito in essere. Se il giudice adito con il procedimento di cognizione constata che è stata posta in essere una pratica commerciale sleale, il risarcimento può essere riconosciuto dopo l’esecuzione dell’ipoteca. Il risultato per i debitori sarebbe lo stesso anche qualora il procedimento esecutivo fosse sospeso in attesa dell’esito del giudizio di cognizione.

60.      Nei limiti in cui la direttiva 2005/29 prescrive che gli Stati membri devono prevedere un procedimento d’urgenza nel combattere le pratiche commerciali sleali, siffatto procedimento è previsto soltanto per circostanze in cui i giudici siano chiamati a ordinare la cessazione di una pratica commerciale sleale in corso, non quando una pratica commerciale sleale viene valutata ex post (34).

61.      Pertanto, secondo la mia interpretazione, la mancanza di un effetto sospensivo del giudizio di cognizione non rende l’applicazione della direttiva 2005/29 impossibile o eccessivamente difficile anche in circostanze in cui il controllo giurisdizionale di pratiche commerciali sleali non sia possibile in procedimenti di esecuzione ipotecaria.

62.      Tuttavia, sussiste una determinata riserva quando la questione del controllo giurisdizionale di una clausola contrattuale sotto il profilo della sua abusività ai sensi della direttiva 93/13 viene attivato d’ufficio o su istanza di parte, come è avvenuto nel procedimento principale (35).

63.      Nel valutare se una clausola contrattuale abbia o meno carattere abusivo, devono essere prese in considerazione tutte le circostanze relative alla conclusione del contratto in questione. La constatazione che una pratica commerciale è sleale è un elemento tra gli altri sul quale il giudice competente può basare la sua valutazione (36). Pertanto, nei limiti in cui sia necessario per valutare adeguatamente il carattere abusivo di una clausola contrattuale alla luce della direttiva 93/13, il controllo giurisdizionale di pratiche commerciali sleali deve essere possibile anche in procedimenti di esecuzione ipotecaria (37). Tuttavia, non è necessario, in tale contesto, che il giudice adito con il procedimento di esecuzione ipotecaria possa dichiarare che una pratica commerciale è sleale ai sensi della direttiva 2005/29 e infliggere le sanzioni corrispondenti. Né la dichiarazione né l’irrogazione delle sanzioni possono avere alcuna rilevanza ai fini del procedimento esecutivo.

64.      Inoltre, come sottolineato dalla Corte nella sentenza Pereničová e Perenič, la constatazione che esiste una pratica commerciale sleale non prova «automaticamente e di per sé» che la clausola contrattuale contestata sia abusiva e non ha quindi alcun effetto immediato e diretto sulla questione se il contratto sia valido ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (38). Conformemente alla direttiva 93/13, occorre soddisfare una serie di ulteriori criteri. Ad esempio, la clausola in questione non deve essere il risultato di negoziazioni individuali tra il professionista e il consumatore (39) Mi sembra tuttavia che, nel procedimento principale, la clausola contrattuale di cui trattasi possa essere stata l’esito di negoziazioni. I debitori hanno chiesto un’estensione del termine per il rimborso del prestito e la banca ha concesso tale estensione a condizione che il bene ipotecato fosse nuovamente valutato. Pertanto, la riserva descritta precedentemente non sembra applicabile alla controversia sottoposta al giudice del rinvio. In ogni caso, anche quando un giudice nazionale constata l’esistenza di una pratica commerciale sleale, deve tenere in debita considerazione tutte le condizioni poste dalla direttiva 93/13 in relazione al carattere abusivo di una clausola contrattuale.

65.      Al fine di eseguire una verifica siffatta è sufficiente che sia previsto un controllo delle clausole contrattuali in base alla direttiva 93/13, come nel caso dell’articolo 695 del codice di procedura civile. Non è necessario prevedere motivi separati di opposizione all’esecuzione ipotecaria in base alla direttiva 2005/29. Quando una pratica commerciale sleale si traduce in una clausola contrattuale abusiva, la possibilità di sottoporre a controllo giurisdizionale siffatta pratica è prevista nell’ambito della valutazione di una clausola contrattuale in base alla direttiva 93/13 ed è stata data debita applicazione ai diritti conferiti ai consumatori da quest’ultima direttiva.

66.      Pertanto, l’articolo 11 della direttiva 2005/29 non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che non prevede il controllo giurisdizionale, né d’ufficio né su istanza di parte, delle pratiche commerciali sleali in procedimenti di esecuzione ipotecaria.

B.      Sulle questioni pregiudiziali seconda e terza

67.      Con la seconda e la terza questione pregiudiziale, il giudice nazionale chiede un chiarimento riguardo ai mezzi di ricorso a disposizione del consumatore in base alla direttiva 2005/29 in circostanze in cui un professionista non rispetti un codice di condotta.

68.      Tutte le parti che hanno presentato osservazioni scritte sostengono che non si possono far rispettare codici di condotta in base alla direttiva 2005/29.

69.      Tradizionalmente, i codici di condotta sono utilizzati in alcuni Stati membri per definire, su base volontaria, regole e parametri di comportamento professionali in uno specifico settore. Lo scopo di tali codici di autoregolamentazione è di spiegare i dettagli delle disposizioni di legge ai consumatori in modo che essi possano comprenderle oppure di fissare determinati parametri di settore ove ciò non sia previsto dalla legge (40). Di conseguenza, i codici di condotta mirano anche a combattere comportamenti scorretti delle imprese nei confronti dei consumatori e il loro obiettivo si sovrappone in gran parte a quello della direttiva 2005/29. Tuttavia, è importante osservare che tali codici sono atti di autoregolamentazione. Il controllo della condotta viene esercitato soltanto tra i membri di un determinato settore che abbiano accettato di essere vincolati da uno specifico codice. La direttiva 2005/29, per contro, impone agli Stati membri di far rispettare le sue disposizioni con forza di legge e universalmente.

70.      Considerato tale contesto, qual è il ruolo dei codici di condotta nell’ambito della direttiva 2005/29 e il rispetto di un codice di condotta può essere imposto in base alla direttiva?

71.      La direttiva 2005/29 definisce il «codice di condotta» come «un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti» (41). Come sottolineato dall’Irlanda, i codici di condotta sono quindi definiti come non vincolanti e non aventi lo status o la forza di legge. Anzitutto, sembra quindi in contrasto con tale definizione imporre il rispetto di un codice di condotta attraverso gli organi giurisdizionali.

72.      La direttiva 2005/29 prevede un ruolo per i codici di condotta nel valutare l’esistenza di pratiche commerciali sleali. Da un lato, la lista nera, specificata nell’allegato I della direttiva 2005/29, delle pratiche commerciali che devono essere considerate in ogni caso sleali include due pratiche commerciali riguardanti i codici di condotta. Ha luogo una constatazione automatica del fatto che esiste una pratica commerciale sleale (42) in primo luogo quando un professionista afferma di essere firmatario di un codice di condotta, laddove in realtà non lo sia, e, in secondo luogo, quando lo stesso asserisce che un codice di condotta ha ottenuto l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura, di cui invece non dispone.

73.      D’altro lato, nel valutare se esista o meno una pratica commerciale sleale in base agli articoli da 5 a 9 della direttiva 2005/29, le regole e i parametri di comportamento previsti nei codici di condotta sono alcuni degli elementi da prendere in considerazione. In particolare, i codici di condotta possono fornire prove riguardo agli obblighi di diligenza professionale in un determinato settore (43).

74.      Tuttavia, la direttiva 2005/29 impone ulteriori condizioni per l’esistenza di una pratica commerciale sleale. Il semplice fatto che un professionista non abbia rispettato un codice di condotta non può portare, di per sé e automaticamente, alla constatazione che esiste una pratica commerciale sleale. La direttiva richiede che si valuti, tenuto conto dei fatti di ciascun caso di specie, se l’operazione commerciale in questione sia sleale alla luce dei criteri stabiliti agli articoli da 5 a 9 della medesima (44).

75.      Oltre al ruolo dei codici di condotta nella valutazione dell’esistenza di pratiche commerciali sleali, l’articolo 10 della direttiva 2005/29, che è stato specificamente menzionato dal giudice del rinvio, prevede che il controllo delle pratiche commerciali sleali possa anche essere esercitato dai responsabili dei codici, oltre all’azione giudiziaria o a un sistema di reclami dinanzi a un’autorità amministrativa. I codici di condotta mirano quindi a essere d’ausilio nel combattere le pratiche commerciali sleali mediante la creazione di mezzi di controllo supplementari. Le regole o i parametri di comportamento sanciti nei codici di condotta dovrebbero aiutare i professionisti ad applicare efficacemente i principi della direttiva nelle proprie attività quotidiane nello specifico settore di competenza (45). Come espressamente stabilito all’articolo 10, il ricorso a tale controllo effettuato dai responsabili dei codici «non è mai considerato equivalente» al ricorso giudiziario e amministrativo e non rende il contenuto dei codici di condotta applicabile per legge.

76.      È importante rilevare che, anche se viene dimostrato che esiste una pratica commerciale sleale quando un professionista non ha rispettato un codice di condotta, l’unica possibile conseguenza giuridica in base alla direttiva 2005/29 è che sia inflitta una sanzione al professionista in questione. Come spiegato supra ai paragrafi da 47 a 49, e come sottolineato altresì dalla Commissione e dal governo spagnolo con riferimento all’applicazione dei codici di condotta, la direttiva non prevede alcun rimedio contrattuale specifico per il consumatore.

77.      Poiché la direttiva 2005/29 non istituisce mezzi di ricorso contrattuali specifici mediante i quali il consumatore possa imporre il rispetto di un codice di condotta, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le conseguenze dell’inosservanza di un codice siffatto purché esistano «mezzi adeguati ed efficaci» per combattere le pratiche commerciali sleali.

78.      Per quanto riguarda in particolare il codice di buone pratiche bancarie, il diritto spagnolo prevede un sistema di reclami dinanzi al Banco de España (Banca di Spagna). I reclami basati sulla presunta inosservanza del codice, da parte di un istituto di credito, possono essere presentati alla Banca di Spagna, che può allora infliggere sanzioni pecuniarie e ordinare alla banca di cui trattasi di aderire al codice. Ciò è in linea con i requisiti imposti dalla direttiva 2005/29 riguardo ai codici di condotta, come descritti supra (46).

79.      Di conseguenza, si deve rispondere alla seconda e alla terza questione pregiudiziale nel senso che la direttiva 2005/29 non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale che non prevede mezzi di ricorso contrattuali specifici per il consumatore in circostanze in cui un professionista non abbia rispettato un codice di condotta.

IV.    Conclusione

80.      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dallo Juzgado de Primera Instancia n. 5 de Cartagena (Tribunale di primo grado n. 5 di Cartagena, Spagna) nei seguenti termini:

1)      la direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), non osta a una normativa nazionale come quella che disciplina attualmente il procedimento spagnolo di esecuzione ipotecaria, in particolare l’articolo 695 e seguenti, della Ley de Enjuiciamiento Civil (codice di procedura civile), in combinato disposto con l’articolo 552, paragrafo 1, della medesima, in cui non è previsto il controllo giurisdizionale, né d’ufficio né su istanza di parte, delle pratiche commerciali sleali.

2)      La direttiva 2005/29 non osta a una normativa nazionale come la normativa spagnola di cui trattasi nel procedimento principale che non prevede alcun rimedio contrattuale specifico per il consumatore in circostanze in cui un professionista non abbia rispettato un codice di condotta.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22).


3      Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993 (GU 1993, L 95, pag. 29). V., in particolare, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164).


4      Sulla riforma della legislazione processuale che istituisce il nuovo ufficio giudiziario.


5      Istitutiva di misure volte a rafforzare la tutela dei debitori ipotecari, la ristrutturazione del debito e la locazione di alloggi popolari.


6      V. risoluzione del Consiglio, del 14 aprile 1975, riguardante un programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore (GU 1975, C 92, pag. 1). V. anche articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che ha codificato la giurisprudenza precedente.


7      V. articolo 12 del TFUE.


8      Attualmente esistono circa 90 atti legislativi dell’Unione che trattano questioni inerenti alla tutela dei consumatori.


9      V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE e 98/27/CE (direttiva sulle pratiche commerciali sleali), COM(2003) 356 definitivo.


10      V. articolo 3, paragrafo 9, della direttiva 2005/29.


11      V. considerando 11 della direttiva 2005/29.


12      V. considerando 11 e articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2005/29.


13      V. articoli 11 e 13 della direttiva 2005/29 e, in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország (C‑388/13, EU:C:2015:225, punti 57 e 58).


14      V. sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország (C‑388/13, EU:C:2015:225, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).


15      V. articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera c), della medesima. V. anche sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország (C‑388/13, EU:C:2015:225, punto 36).


16      V. articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2005/29.


17      V. articolo 5, paragrafo 4, nonché articoli da 6 a 9 della direttiva 2005/29.


18      V. articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2005/29, in combinato disposto con l’allegato I della medesima.


19      V. sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország (C‑388/13, EU:C:2015:225, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).


20      V. sentenza del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 29).


21      L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 così recita:


      «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».


22      V. articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2005/29.


23      V. anche, in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 45), e ordinanza dell’8 novembre 2012, SKP (C‑433/11, EU:C:2012:702, punto 30). Per una trattazione dettagliata della questione, v. conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2011:788, paragrafi da 82 a 85).


24      V., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország (C‑388/13, EU:C:2015:225, punto 58).


25      V. sentenza del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


26      V., per una trattazione più dettagliata, la mia presa di posizione nella causa Sánchez Morcillo e Abril García (C‑169/14, EU:C:2014:2110, punti da 60 a 64). V. inoltre conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Aziz (C‑415/11, EU:C:2012:700, paragrafo 55).


27      Sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164).


28      V. sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 60).


29      V. sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punti 63 e 64).


30      Anche se ciò sembra contraddire il documento di lavoro dei servizi della Commissione «Guidance on the implementation/application of Directive 2005/29/EC on unfair commercial practices (Linee guida all’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali)» (SWD(2016) 163 final), in cui la Commissione dichiara che la direttiva 2005/29, diversamente dalla direttiva 93/13, non ha effetti contrattuali (punto 1.4.5).


31      Articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.


32      V., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punti 62 e segg.).


33      V. sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 45), e ordinanza dell’8 novembre 2012, SKP (C‑433/11, EU:C:2012:702, punto 30). Per una trattazione dettagliata di tale questione, v. conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2011:788, paragrafi da 112 a 125).


34      V. articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 2005/29.


35      Nel procedimento principale i debitori hanno altresì sostenuto che la clausola contrattuale che prevede una nuova valutazione del bene ipotecato è abusiva.


36      V. sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punti da 42 a 44 e giurisprudenza ivi citata).


37      V., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 43), nonché, per una trattazione dettagliata, conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2011:788, paragrafi da 115 a 125), e dell’avvocato generale Kokott nella causa Margarit Panicello (C‑503/15, EU:C:2016:696, paragrafo 128).


38      V. sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punti da 44 a 46).


39      V. articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13.


40      V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE e 98/27/CE (direttiva sulle pratiche commerciali sleali), COM(2003) 356 definitivo, punto 72.


41      V. articolo 2, lettera f), della direttiva 2005/29.


42      V. allegato I della direttiva 2005/29, punti 1 e 3.


43      V. considerando 20 della direttiva 2005/29, il quale prevede che «(…) Nei settori in cui vi siano obblighi tassativi specifici che disciplinano il comportamento dei professionisti, è opportuno che questi forniscano altresì prove riguardo agli obblighi di diligenza professionale in tale settore. (…)» V., altresì, in tal senso, articolo 6, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva.


44      V., in tal senso, considerando 17 della direttiva 2005/29 nonché sentenze del 7 settembre 2016, Deroo‑Blanquart (C‑310/15, EU:C:2016:633, punto 29 e giurisprudenza ivi citata), del 17 gennaio 2013, Köck (C‑206/11, EU:C:2013:14, punto 35 e giurisprudenza ivi citata), del 19 settembre 2013, CHS Tour Services (C‑435/11, EU:C:2013:574, punto 38 e giurisprudenza ivi citata), e del 19 ottobre 2017, Europamur Alimentación (C‑295/16, EU:C:2017:782, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).


45      V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE e 98/27/CE (direttiva sulle pratiche commerciali sleali), COM(2003) 356 definitivo, punti 72 e 73.


46      Nella causa in esame Bankia e il governo spagnolo ritengono che il codice di buone pratiche bancarie non sia in realtà un «codice di condotta» ai sensi della direttiva 2005/29. Infatti, conformemente agli articoli 5, paragrafo 4, e 15 del regio decreto legge 6/2012, il codice di buone pratiche bancarie è basato su un atto legislativo e, una volta che un istituto di credito abbia accettato di aderirvi, tale codice è vincolante per legge. Pertanto, sembra che il codice di buone pratiche bancarie non sia in realtà un codice di condotta ai sensi della direttiva. Tuttavia, si tratta di una questione di fatto che spetta al giudice nazionale definire, tenendo presente la definizione di «codice di condotta» prevista all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2005/29.