Language of document : ECLI:EU:C:2024:262

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

TAMARA ĆAPETA

presentate il 21 marzo 2024 (1)

Causa C399/22

Confédération paysanne

contro

Ministre de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire,

Ministre de l’Économie, des Finances et de la Souveraineté industrielle et numérique

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Informazioni sugli alimenti ai consumatori – Requisiti in materia di etichettatura relativa al paese di origine – Prodotti ortofrutticoli raccolti nel Sahara occidentale – Competenza degli Stati membri a vietare unilateralmente le importazioni di prodotti non recanti un’etichetta del “paese d’origine” corretta»






I.      Introduzione

1.        «Il territorio del Sahara occidentale non appartiene al Regno del Marocco; di conseguenza, l’etichettatura dei relativi prodotti come originari del Marocco viola le disposizioni dell’Unione concernenti i requisiti di etichettatura dei prodotti alimentari».

2.        Questo, in sintesi, è l’argomento della ricorrente dinanzi al giudice nazionale. Di conseguenza, essa ha chiesto al ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire (ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francia) e al ministère de l’Économie, des Finances et de la Souveraineté industrielle et numérique (ministero dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità industriale e digitale, Francia) (in prosieguo: i «ministeri») di vietare l’importazione di pomodori ciliegia e di meloni «charentais» (in prosieguo: i «prodotti di cui trattasi») provenienti dal territorio del Sahara occidentale che sono etichettati come originari del Regno del Marocco.

3.        La controversia solleva due questioni distinte.

4.        La prima è se gli Stati membri possano agire unilateralmente nel settore della politica commerciale comune per vietare l’importazione di taluni prodotti provenienti da paesi terzi. Sebbene non si tratti di una questione inedita, tenuto conto delle recenti misure adottate dagli Stati membri contro le importazioni dall’Ucraina, essa è certamente attuale, in una prospettiva più ampia (2).

5.        La seconda questione da risolvere riguarda l’etichettatura dei prodotti alimentari originari del territorio del Sahara occidentale. La questione che si pone in questa sede è se tali prodotti possano essere commercializzati come originari del Regno del Marocco. Tale questione può essere collocata nel contesto delle sentenze nelle cause Consiglio/Front Polisario (3) e Western Sahara Campaign UK (4), nelle quali la Corte ha riconosciuto lo status separato del territorio del Sahara occidentale (5).

II.    Contesto di diritto e di fatto della presente causa e questioni pregiudiziali

6.        Il Sahara occidentale è un territorio situato nell’Africa nordoccidentale. Esso è stato colonizzato dal Regno di Spagna nel XIX secolo. Nel 1963, nel contesto del processo di decolonizzazione, tale territorio è stato aggiunto dalle Nazioni Unite all’elenco dei territori non autonomi (6). Esso figura tuttora in detto elenco.

7.        Il processo di decolonizzazione non è stato (ancora) completato e il Sahara occidentale resta l’unico territorio non autonomo in Africa. La Spagna ha rinunciato alle sue responsabilità in quanto potenza coloniale amministratrice nel 1976. Da allora, su tale territorio si protrae un conflitto, anche di carattere militare, tra il Regno del Marocco, che controlla circa l’80% del Sahara occidentale e rivendica la sovranità sull’intero territorio, e il Front Populaire pour la libération de la saguia-el-hamra et du rio de oro (in prosieguo: il «Front Polisario»), che controlla il restante territorio del Sahara occidentale e sostiene di rappresentare il popolo saharawi. Il popolo saharawi è stato riconosciuto titolare del diritto all’autodeterminazione da parte della Corte internazionale di giustizia nel suo parere consultivo sul Sahara occidentale (7).

8.        Il conflitto nel Sahara occidentale non è un tema nuovo per la Corte. Dopo aver riconosciuto che il diritto all’autodeterminazione vincola l’Unione nella conduzione delle sue relazioni esterne, la Corte ha dichiarato, nelle sentenze Consiglio/Front Polisario e Western Sahara Campaign UK, che il territorio del Sahara occidentale gode di uno status separato e distinto rispetto a quello di qualsiasi Stato, compreso il Regno del Marocco (8).

9.        Su tale base, la Corte ha interpretato l’accordo di associazione e l’accordo di partenariato nel settore della pesca (9), l’applicazione territoriale dei quali era limitata, rispettivamente, al «territorio del Regno del Marocco» e alle «acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco», nel senso che non includono il territorio del Sahara occidentale né le acque ad esso adiacenti (10).

10.      Il Consiglio ha incaricato la Commissione di dare seguito alle sentenze della Corte nelle cause Consiglio/Front Polisario e Western Sahara Campaign UK (11). I negoziati con il Regno del Marocco che ne sono seguiti sono sfociati, da un lato, in un accordo che estende le preferenze tariffarie alle merci originarie del territorio del Sahara occidentale (12) e, dall’altro, nell’accordo e nel protocollo di attuazione relativi alla pesca sostenibile nelle acque adiacenti al Sahara occidentale (13).

11.      Il Front Polisario ha impugnato le decisioni di approvazione di tali accordi. Le impugnazioni avverso le sentenze del Tribunale, con le quali quest’ultimo ha annullato le suddette decisioni (14), sono pendenti dinanzi alla Corte. Parallelamente alle presenti conclusioni, oggi presenterò le mie conclusioni anche in queste due serie di impugnazioni (15). Tuttavia, e indipendentemente dalla questione se la Corte seguirà le mie conclusioni in tali cause, il loro esito non inciderà sulla soluzione della presente causa.

12.      Nella presente causa, la ricorrente nel procedimento principale dinanzi al giudice nazionale è la Confédération paysanne, un sindacato degli agricoltori francese. Essa ha sollecitato ai ministeri una decisione di divieto d’importazione dei prodotti di cui trattasi raccolti nel territorio del Sahara occidentale. Tali prodotti sono importati e commercializzati in Francia con un’etichetta che indica il Regno del Marocco quale luogo di origine (16). La ricorrente sostiene che ciò è contrario ai requisiti dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, i quali impongono l’indicazione del corretto paese d’origine di un prodotto. La ricorrente sostiene che, quando i prodotti di cui trattasi sono importati in Francia, essi indicano erroneamente come paese d’origine il Regno del Marocco, anziché il territorio del Sahara occidentale. La loro importazione dovrebbe, pertanto, essere proibita.

13.      Ritenendo che i ministeri avessero implicitamente respinto tale richiesta, la ricorrente ha proposto un ricorso dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato).

14.      Il giudice del rinvio ritiene che le norme applicabili impongano di indicare il paese o il territorio di origine di un prodotto alimentare. Tale requisito, che costituisce un elemento della commercializzazione dei prodotti alimentari, dovrebbe, in linea di principio, essere soddisfatto al momento dell’importazione. Tuttavia, il giudice del rinvio rileva altresì che i regolamenti applicabili non conferiscono espressamente agli Stati membri la competenza ad adottare misure che vietino l’importazione di prodotti non conformi ai requisiti in materia di etichettatura concernente l’origine. Inoltre, secondo il giudice del rinvio, alla luce delle sentenze della Corte nelle cause Consiglio/Front Polisario e Western Sahara Campaign UK, si pone la questione se le norme dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari debbano essere interpretate nel senso che i prodotti originari del territorio del Sahara occidentale non possono fare riferimento al Regno del Marocco come paese d’origine, ma debbano invece indicare il territorio del Sahara occidentale.

15.      In tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le disposizioni del regolamento n. 1169/2011, del regolamento n. 1308/2013, del regolamento n. 543/2011 e del regolamento n. 952/2013 debbano essere interpretate nel senso che consentono a uno Stato membro di adottare una misura nazionale che vieti le importazioni provenienti da un determinato paese di prodotti ortofrutticoli non conformi all’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011 e all’articolo 76 del regolamento n. 1308/2013 in quanto non indicano il paese o il territorio di cui sono effettivamente originari, in particolare quando tale inosservanza è massiccia e non può essere facilmente controllata una volta che i prodotti sono entrati nel territorio dell’Unione.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’accordo in forma di scambio di lettere, approvato con decisione del Consiglio del 28 gennaio 2019, che modifica i protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo di associazione euromediterraneo, del 26 febbraio 1996, che istituisce un’associazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri e il Marocco, debba essere interpretato nel senso che, ai fini dell’applicazione degli articoli 9 e 26 del regolamento (UE) n. 1669/2011 e dell’articolo 76 del regolamento (UE) n. 1308/2011, da un lato, i prodotti ortofrutticoli raccolti nel territorio del Sahara occidentale hanno come paese di origine il Marocco e, dall’altro, le autorità marocchine sono competenti a rilasciare i certificati di conformità previsti dal regolamento n. 543/2011 ai prodotti ortofrutticoli raccolti in tale territorio.

3)      In caso di risposta affermativa alla seconda questione, se la decisione del Consiglio, del 28 gennaio 2019, che approva tale accordo in forma di scambio di lettere, sia conforme agli articoli 3, paragrafo 5, e 21 del trattato sull’Unione europea, e al principio consuetudinario di autodeterminazione richiamato, in particolare, all’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite.

4)      Se gli articoli 9 e 26 del regolamento (UE) n. 1669/2011 e l’articolo 76 del regolamento (UE) n. 1308/2011 debbano essere interpretati nel senso che, sia nella fase di importazione che in quella di vendita al consumatore, l’imballaggio dei prodotti ortofrutticoli raccolti nel territorio del Sahara occidentale non può indicare il Marocco come paese di origine, ma deve indicare il territorio del Sahara occidentale».

16.      La Confédération paysanne, il governo francese, il Consiglio e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte alla Corte. Dette parti hanno altresì presentato osservazioni orali all’udienza tenutasi il 24 ottobre 2023.

III. Analisi

17.      Come spiegato in precedenza, il rinvio pregiudiziale in esame è trattato contemporaneamente a due serie di impugnazioni sulle quali, parimenti, presento le mie conclusioni in data odierna (17). Una delle due impugnazioni verte sulla validità del trattamento preferenziale accordato, in particolare, ai prodotti di cui trattasi importati nell’Unione dal territorio del Sahara occidentale (18).

18.      Indipendentemente dall’esito di tali impugnazioni, le due questioni sulle quali la Corte ha chiesto di concentrare la mia analisi, segnatamente la prima e la quarta questione formulate dal giudice del rinvio, restano pertinenti (19).

19.      Esaminerò queste due questioni in sequenza. Per quanto concerne la prima questione, valuterò se gli Stati membri siano competenti, ai sensi del diritto dell’Unione, a vietare unilateralmente l’importazione nell’Unione di determinate merci asseritamente recanti un’etichettatura non corretta del paese d’origine (20). Per quanto riguarda la quarta questione proposta dal giudice del rinvio, esaminerò se i prodotti di cui trattasi debbano indicare il Sahara occidentale quale paese di origine e se possano indicare, quale paese di origine, anche il Regno del Marocco.

A.      Prima questione

1.      Riformulazione della questione

20.      Prima di entrare nel merito della prima questione, ritengo necessario riformularla. Ciò a motivo del fatto che il giudice del rinvio spiega la necessità di ottenere indicazioni sulla prima questione facendo riferimento al regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (21), al regolamento sui prodotti agricoli (22), al regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli (23) e al codice doganale dell’Unione (24) quali possibili basi giuridiche del divieto unilaterale di importazione richiesto dalla ricorrente.

21.      Un divieto di importazione di determinati prodotti è una misura politica che disciplina gli scambi di merci (25), un settore che, conformemente all’articolo 207, paragrafo 1, TFUE, rientra nell’ambito di applicazione della politica commerciale comune. Infatti, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio spiega che la misura richiesta dalla ricorrente non riguarda un divieto di vendita o di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi in Francia. La ricorrente ha chiesto invece alle autorità francesi di imporre unilateralmente un divieto di importazione di tali prodotti originari del Sahara occidentale, a motivo dell’asserita violazione dei requisiti dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari.

22.      Poiché la politica commerciale comune è una politica esclusiva dell’Unione (26), la Francia non è competente a imporre un divieto di importazione, salvo che sia autorizzata o sollecitata a farlo dall’Unione.

23.      Ad eccezione del codice doganale dell’Unione, tutti gli altri regolamenti menzionati dal giudice del rinvio riguardano l’etichettatura dei prodotti alimentari dell’Unione sul mercato dell’Unione. Inoltre, tali regolamenti non sono stati adottati sulla base delle disposizioni dei Trattati che disciplinano gli scambi con i paesi terzi e la politica commerciale comune (articoli 206 o 207 TFUE), ad eccezione, anche in tal caso, del codice doganale dell’Unione. Essi sono invece stati adottati sulla base degli articoli che disciplinano la politica agricola (articolo 43 TFUE) e il mercato interno (articolo 114 TFUE).

24.      Poiché non disciplinano gli scambi con i paesi terzi, il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, il regolamento sui prodotti agricoli e il regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli non possono attribuire alla Francia la competenza ad adottare la misura richiesta. In ogni caso, nessuno di tali regolamenti autorizza gli Stati membri a vietare unilateralmente l’importazione di prodotti non conformi (27).

25.      Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, propongo quindi di riformulare la prima questione nel senso che con essa si chiede, invece, se il diritto dell’Unione, e in particolare il codice doganale dell’Unione, consenta a uno Stato membro di adottare una misura nazionale che vieti l’importazione di prodotti ortofrutticoli non recanti un’etichettatura corretta del paese d’origine.

2.      Valutazione

26.      Come ho spiegato al paragrafo 21 delle presenti conclusioni, lo scambio di merci rientra nella politica commerciale comune. Tale politica deve essere disciplinata da principi uniformi (28).

27.      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), TFUE, l’Unione dispone di una competenza esclusiva nel settore della politica commerciale comune. Ciò significa che soltanto l’Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti relativi agli scambi di merci con i paesi terzi (29).

28.      Il corollario di tale ripartizione di competenze è che gli Stati membri non possono agire nel settore del commercio internazionale, salvo specifica autorizzazione dell’Unione o in attuazione di atti dell’Unione.

29.      La questione che si pone alla Corte è, quindi, se il diritto primario o il diritto derivato dell’Unione conferiscano agli Stati membri competenze autonome ai fini dell'adozione del tipo di misura unilaterale richiesto dalla ricorrente.

30.      A livello di diritto primario dell’Unione, la risposta è negativa. I Trattati non prevedono disposizioni che consentano agli Stati membri di adottare misure unilaterali che limitino o sospendano gli scambi con uno Stato o un territorio terzo (30).

31.      Ritengo che la logica di questo approccio risieda, in primis, nel rischio di snaturare le competenze dell’Unione e delle sue istituzioni, quali previste dal Trattato (31).

32.      In secondo luogo, siffatte misure costituirebbero una minaccia per l’uniformità della politica commerciale esterna dell’Unione, pregiudicando così uno dei principi fondanti su cui si basa la politica commerciale comune (32).

33.      Infine, oltre a un danno all’immagine esterna dell’Unione quale controparte commerciale affidabile, vi è un rischio di esposizione a responsabilità dinanzi all’organo di risoluzione delle controversie dell’OMC (33).

34.      A livello di diritto derivato dell’Unione, la risposta è più sfumata.

35.      Vi è perlomeno una situazione in cui l’Unione europea permette agli Stati membri, a determinate condizioni, di mantenere misure nazionali specifiche che, in senso stretto, interferiscono con la ripartizione delle competenze nell’ambito della politica commerciale comune (34). Si tratta, tuttavia, di un’evenienza rara.

36.      Ciò che è più comune sono strumenti specifici che consentono all’Unione europea di adottare talune misure di salvaguardia in relazione agli scambi con Stati o territori terzi (35). In tali casi, l’Unione può adottare talune misure volte a disciplinare l’immissione in libera pratica di prodotti non originari dell’Unione nel territorio doganale dell’Unione e, se necessario (36), soltanto in una parte di esso (37).

37.      È vero che, come sostenuto dal governo francese, sia il regolamento di base sulle importazioni, sia il codice doganale dell’Unione contengono disposizioni che prevedono la possibilità, per gli Stati membri, di introdurre misure unilaterali in materia di scambi in casi eccezionali. Così, l’articolo 24, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base sulle importazioni dispone che «il presente regolamento non osta all’adozione o all’applicazione, da parte degli Stati membri, di (...) divieti, restrizioni quantitative o misure di vigilanza giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza». Analogamente, ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, «[l]e merci introdotte nel territorio doganale dell’Unione (…) possono subire controlli doganali» e, «[s]e del caso, esse sono soggette a tali divieti e restrizioni, giustificati, tra l’altro, da motivi di moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza».

38.      Tuttavia, è chiaro che tali disposizioni non costituiscono un’autorizzazione permanente, a livello del diritto derivato dell’Unione, a introdurre misure unilaterali di sospensione delle importazioni a motivo di asserite violazioni dei requisiti dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari.

39.      In primo luogo, le misure del tipo previsto dall’articolo 24, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base sulle importazioni devono essere applicate erga omnes nella misura in cui sono dirette nei confronti di membri dell’OMC e riguardano, quindi, tutte le importazioni del prodotto di cui trattasi, indipendentemente dall’origine (38). Il tipo di misura richiesto alla Francia nei confronti dei soli prodotti originari del Regno del Marocco, un membro dell’OMC, non può pertanto rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione.

40.      Inoltre, le misure previste all’articolo 24, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base sulle importazioni possono essere adottate, in particolare, per «motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza». Tale disposizione permette quindi un’ingerenza nella libertà degli scambi commerciali (39) per motivi specifici di interesse generale analoghi a quelli enunciati all’articolo 36 TFUE (40).

41.      Non escludo la possibilità che, in particolare, la nozione di «moralità pubblica», la quale indica convinzioni di una determinata comunità in merito a ciò che è bene e a ciò che è male, possa includere l’etichettatura falsa o ingannevole dei prodotti alimentari.

42.      Tuttavia, in considerazione del fatto che ai tipi di deroghe previste dall’articolo 24, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base sulle importazioni deve essere data un’interpretazione restrittiva (41), non sono convinta che la violazione di norme di commercializzazione armonizzate dell’Unione possa costituire un motivo per limitare le importazioni di un particolare tipo di prodotto in un singolo Stato membro.

43.      Infatti, come spiegato dal governo francese, non si può evidentemente ritenere che la liberalizzazione di importazioni di merci provenienti da paesi terzi mediante il regolamento di base e il codice doganale dell’Unione abbia anche l’obiettivo o l’effetto di liberalizzare la successiva commercializzazione di dette importazioni.

44.      Ciò è del tutto logico, poiché, nel ciclo di vita di un prodotto importato ai fini della vendita sul mercato dell’Unione, la fase dell’importazione precede la fase della commercializzazione.

45.      È vero che queste due fasi possono costituire il «necessario completamento» (42) l’una dell’altra.

46.      Tuttavia, l’avvenuto sdoganamento di un prodotto non implica necessariamente il rispetto delle norme sull’etichettatura a beneficio dei consumatori e viceversa: come osservato dalla Corte nella sua sentenza Expo Casa Manta, «[c]osì come un prodotto regolarmente fabbricato nella Comunità non può essere immesso in commercio per questa sola circostanza, la regolare importazione di un prodotto non comporta che questo sia automaticamente ammesso sul mercato» (43).

47.      Anche qualora si ritenga (a torto) che lo sdoganamento di un prodotto implichi il rispetto delle norme in materia di etichettatura a beneficio dei consumatori, la misura prospettata dalla ricorrente sarebbe, in ogni caso, inefficace, poiché i prodotti di cui trattasi, ove importati attraverso altri Stati membri, potrebbero comunque essere venduti ai consumatori francesi.

48.      In tale contesto, non ritengo che uno Stato membro possa validamente invocare il motivo relativo alla moralità pubblica per limitare unilateralmente l’importazione di taluni prodotti provenienti da Stati terzi (e perturbare così la circolazione di tale prodotto all’interno dell’Unione) con il pretesto di porre rimedio a un’asserita violazione delle norme di commercializzazione armonizzate dell’Unione.

49.      In secondo luogo, la vigilanza doganale prevista dall’articolo 134, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione non integra un’attribuzione di competenza autonoma che permette gli Stati membri di introdurre, tra l’altro, divieti di importazione di determinati prodotti.

50.      Di converso, la nozione di vigilanza doganale contempla un determinato tipo di status giuridico per i prodotti importati nell’Unione. È sulla base di tale status che le autorità doganali nazionali effettuano in seguito controlli doganali (44). Tali controlli comprendono la verifica del trattamento imposto alle merci di cui trattasi (ad esempio il loro trattamento tariffario preferenziale) e il rispetto degli obblighi imposti all’importatore interessato (ad esempio, il pagamento di dazi doganali e di dazi all’importazione).

51.      Inoltre, il tipo di misura oggetto di controllo nel contesto della vigilanza doganale deve essere esso stesso introdotto dal diritto dell’Unione o dalla normativa di attuazione dello Stato membro. Questi sono i tipi di divieti e di restrizioni ai quali l’articolo 134, paragrafo 1, seconda frase, del codice doganale dell’Unione fa riferimento (45).

52.      Nella presente causa, tuttavia, la ricorrente non indica alcuna disposizione del diritto dell’Unione o della normativa di attuazione dello Stato membro che autorizzi la Francia ad adottare le misure richieste ai ministeri (46).

53.      Ne consegue, quindi, che né il codice doganale dell’Unione, né il regolamento di base sulle importazioni possono essere invocati al fine di autorizzare il governo francese ad adottare un divieto unilaterale di importazione di taluni prodotti originari del territorio del Sahara occidentale non recanti un’indicazione corretta del paese di origine.

54.      Di conseguenza, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione in senso negativo.

B.      Quarta questione

55.      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le norme pertinenti dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari debbano essere interpretate nel senso che, sia nella fase di importazione che in quella di vendita al consumatore, l’imballaggio dei prodotti ortofrutticoli raccolti nel territorio del Sahara occidentale non può indicare il Marocco come paese di origine, ma deve invece indicare il territorio del Sahara occidentale.

1.      Ricevibilità

56.      Nelle loro osservazioni scritte presentate alla Corte, sia il governo francese che la Commissione contestano la ricevibilità di tale questione. Entrambi sostengono che la soluzione della controversia dinanzi al giudice del rinvio è limitata alla verifica della legittimità della decisione implicita dei ministeri di non vietare unilateralmente le importazioni dei prodotti di cui trattasi dal territorio del Sahara occidentale. La soluzione di tale controversia non esigerebbe quindi una risposta alla questione se prodotti importati dal Sahara occidentale debbano indicare quest’ultimo come territorio di origine.

57.      A mio avviso, dalla decisione del giudice del rinvio non risulta in modo manifesto che un’interpretazione delle norme dell’Unione relative all’etichettatura dei prodotti alimentari di cui trattasi non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale.

58.      L’articolo 267 del TFUE disciplina la procedura di collaborazione diretta tra la Corte di giustizia e i giudici degli Stati membri (47). Nell’ambito di tale procedura, che si fonda su una netta separazione delle funzioni, spetta al giudice nazionale stabilire quali elementi del diritto dell’Unione siano necessari ai fini della risoluzione della controversia di cui è investito, in quanto esso è il solo che dovrà assumersi la responsabilità della futura decisione (48). Le questioni proposte dai giudici nazionali sono assistite, quindi, da una presunzione di rilevanza e la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (49).

59.      Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (50).

60.      Nella presente causa, sebbene la prima questione verta soltanto sul divieto di importazione, non è chiaro se la misura richiesta dinanzi al giudice del rinvio avrebbe dovuto trovare applicazione sia nella fase di importazione che in quella di messa a disposizione del consumatore dei prodotti di cui trattasi sul mercato francese. La quarta questione sollevata nella decisione di rinvio è parimenti formulata in modo tale da fare riferimento a entrambe le fasi.

61.      Sebbene io ritenga che le due fasi non possano essere confuse (v. anche paragrafo 44 delle presenti conclusioni), è chiaro che la domanda della ricorrente, fondata o meno, verte anche sul rispetto dei requisiti dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari di cui trattasi. Tale elemento risulta quindi utile ai fini del compito del giudice del rinvio di pronunciarsi sulla legittimità della decisione implicita di cui trattasi. Inoltre, il giudice del rinvio ritiene di avere il potere, in forza del diritto nazionale, di disporre d’ufficio la misura richiesta dalla ricorrente, senza qualificare ulteriormente le situazioni in cui tale misura può essere disposta. Risulta che, anche per questo motivo, il giudice del rinvio ritiene necessario valutare la fondatezza della domanda della ricorrente, il che si estende ai problemi sollevati nella quarta questione.

62.      La quarta questione è pertanto ricevibile.

2.      Merito

63.      La quarta questione è formulata in modo da chiedere se il diritto dell’Unione imponga obblighi sia negativi che positivi per quanto concerne l’etichettatura corretta dei prodotti di cui trattasi allorché provengano dal territorio del Sahara occidentale. Il giudice del rinvio chiede se i requisiti dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari vietino un’etichetta in cui compaia o sia indicato il Regno del Marocco come paese di origine e se essi esigano, invece, l’indicazione del territorio del Sahara occidentale come paese di origine.

64.      A mio avviso, le norme pertinenti dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari richiedono, di fatto, che i prodotti originari del territorio del Sahara occidentale indichino tale territorio come paese di origine (l’obbligo positivo), ad esclusione di altri riferimenti territoriali (l’obbligo negativo). Tali prodotti non possono, pertanto, recare alcun riferimento al Regno del Marocco.

65.      L’analisi che mi condurrà a tale conclusione è strutturata come segue: in primo luogo, stabilirò che le norme generali e/o specifiche dell’Unione relative all’etichettatura dei prodotti alimentari, quali applicabili ai prodotti di cui trattasi, impongono, anzitutto, un’etichetta relativa al paese di origine (a). In seguito, chiarirò che il territorio del Sahara occidentale può essere considerato un paese di origine ai sensi di tali norme (b). In terzo luogo, spiegherò il motivo per cui la mancata indicazione del territorio del Sahara occidentale come paese di origine dei prodotti in questione rischia di indurre in errore i consumatori dell’Unione nelle loro scelte (c). Infine, esaminerò se la normativa dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari vieti un riferimento aggiuntivo al Regno del Marocco (d).

a)      Normativa dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari

1)      Norme generali applicabili ai prodotti alimentari

66.      Il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori mira a permettere ai consumatori, attraverso informazioni «corrette, imparziali e obiettive» di «effettuare scelte consapevoli» per quanto riguarda gli alimenti che consumano (51) e a prevenire qualsiasi pratica che possa indurre in errore i consumatori (52). A tal fine, esso impone «un’etichettatura dei prodotti alimentari chiara, comprensibile e leggibile» (53).

67.      Una parte delle informazioni che (generalmente) devono essere fornite ai consumatori riguardano il «paese d’origine» o il «luogo di provenienza» (54). Trattasi del luogo dal quale proviene il prodotto alimentare in questione (55).

68.      Tale requisito è espressione del principio del divieto di informazioni sugli alimenti che inducano in errore (56).

69.      Il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori si concentra quindi specificamente sulla tutela dei consumatori da omissioni di informazioni o informazioni errate che rischino di indurli in errore quanto alla reale origine di un prodotto (57).

70.      Tornerò sull’importanza dell’elemento del rischio di indurre in errore il consumatore nel prosieguo (paragrafi 102 e seguenti delle presenti conclusioni); tuttavia, occorre anzitutto stabilire quali requisiti specifici discendano dalle norme in materia di etichettatura dei prodotti ortofrutticoli per i prodotti di cui trattasi nella presente causa.

2)      Requisiti specifici per gli ortofrutticoli

71.      Adottati al fine di introdurre norme aggiuntive al regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (58), il regolamento sui prodotti agricoli e il regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli stabiliscono requisiti per la commercializzazione degli ortofrutticoli (59).

72.      Le norme di commercializzazione di cui al regolamento sui prodotti agricoli devono essere rispettate affinché un prodotto possa essere venduto ai consumatori sul mercato dell’Unione (60). Secondo il legislatore dell’Unione, il rispetto di tali norme «risponde (...) agli interessi di produttori, commercianti e consumatori» (61).

73.      Una delle norme di commercializzazione previste dal regolamento sui prodotti agricoli è l’indicazione del luogo di produzione e/o il paese di origine (62).

74.      Tale indicazione è richiesta per gli ortofrutticoli destinati alla vendita al consumatore come prodotti freschi (63).

75.      L’obbligo di indicare l’origine dei prodotti ortofrutticoli si applica in tutte le fasi della commercializzazione, compresa l’importazione di tali prodotti (64). Il commerciante di prodotti ortofrutticoli non può «mette[re] in vendita, consegna[re] o commercializza[re] in alcun modo tali prodotti all’interno dell’Unione se non in conformità a dette norme» (65).

76.      Le modalità di applicazione del regolamento sui prodotti agricoli sono state successivamente introdotte dal regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli (66), che definisce in dettaglio le norme di commercializzazione generali e specifiche applicabili agli ortofrutticoli (67).

77.      I pomodori ciliegia sono soggetti a norme di commercializzazione specifiche (68). Tali norme impongono la presenza obbligatoria di un’etichetta indicante il paese di origine (69). Detta etichetta può essere integrata da una specificazione facoltativa della «zona di produzione o denominazione nazionale, regionale o locale» (70).

78.      I meloni «charentais» sono soggetti alle norme generali di commercializzazione di cui al regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli (71). Anch’esse esigono un’etichetta obbligatoria indicante il paese di origine (72). Tuttavia, a differenza di quanto accade per i pomodori ciliegia, tale regolamento non menziona l’aggiunta di indicazioni più dettagliate relative all’origine.

79.      Tali requisiti sono oggetto di controlli di conformità, che si applicano a tutte le fasi della commercializzazione (73).

80.      Come spiegato dalla Commissione in udienza, un attestato di non conformità determina il divieto di spostare i prodotti non conformi senza l’autorizzazione dell’organismo di controllo competente. Tali prodotti devono quindi essere resi conformi al regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli. Qualora ciò non sia possibile, le autorità competenti possono esigere che i prodotti siano destinati all’alimentazione animale, alla trasformazione industriale o a qualsiasi altro uso non alimentare, oppure persino distrutti (74).

81.      Ne consegue che le norme di commercializzazione generali e specifiche applicabili ai prodotti di cui trattasi impongono l’indicazione del paese di origine sull’etichetta.

b)      Sahara occidentale quale paese di origine dei prodotti ortofrutticoli coltivati in tale territorio

82.      La spiegazione che precede, relativa alle norme generali e specifiche dell’Unione applicabili all’etichettatura dei prodotti alimentari, mostra chiaramente che il legislatore dell’Unione esige che i prodotti di cui trattasi rechino l’indicazione del loro paese di origine.

83.      Ai fini della presente causa, ciò solleva naturalmente la questione se il territorio non autonomo del Sahara occidentale costituisca un paese di origine ai sensi di tali norme.

84.      Al riguardo, osservo che, come nel caso del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e del regolamento sui prodotti agricoli, il regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli non prevede una definizione di «paese di origine» (75).

85.      Ciò premesso, il codice doganale dell’Unione, che contiene norme specifiche relative alla determinazione dell’origine non preferenziale delle merci, estende espressamente le sue norme su tale aspetto ad altri atti dell’Unione che fanno riferimento all’origine delle merci (76).

86.      Come precisato dalla Corte in relazione al regolamento sui prodotti agricoli, ciò include il requisito di commercializzazione concernente il paese di origine (77).

87.      Ritengo che lo stesso valga per il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e per il regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli. Del resto, ciò è necessario ai fini un’interpretazione uniforme, effettiva e coerente del requisito di etichettatura relativo all’indicazione del paese di origine (78).

88.      Ne consegue che, nei diversi regolamenti dell’Unione sui prodotti alimentari applicabili nel caso di specie, il paese di origine da indicare sull’etichetta deve essere interpretato con riferimento alle norme e alle designazioni pertinenti di cui al codice doganale dell’Unione.

89.      Ai sensi dell’articolo 60 del codice doganale dell’Unione, le merci interamente ottenute in un determinato «paese» o «territorio» devono essere considerate originarie di tale paese o territorio.

90.      Prodotti del regno vegetale raccolti in un «paese» o in un «territorio» sono considerati interamente ottenuti in tale paese o territorio (79). Essi sono quindi considerati originari di detto territorio (80).

91.      Nella sentenza Vignoble Psagot, la Corte ha interpretato la nozione di «territorio» nel senso che comprende entità diverse dai «paesi» o dagli «Stati» (81), quali gli «spazi geografici che, pur trovandosi sotto la giurisdizione o sotto la responsabilità internazionale di uno Stato, dispongono tuttavia, sotto il profilo del diritto internazionale, di uno statuto proprio e distinto da quello di tale Stato» (82).

92.      Nelle sue sentenze Consiglio/Front Polisario e Western Sahara Campaign UK, la Corte ha riconosciuto che il territorio del Sahara occidentale costituisce un territorio separato ai fini del diritto internazionale pubblico e distinto dal territorio del Regno del Marocco (83).

93.      Il territorio del Sahara occidentale deve quindi essere trattato come un territorio doganale distinto ai fini dell’articolo 60 del codice doganale dell’Unione.

94.      Come spiegato dalla Commissione in udienza, tale status è già riconosciuto nella normativa dell’Unione in materia di statistiche del commercio estero, mediante l’attribuzione al territorio del Sahara occidentale di un proprio codice di origine (EH) (84). Trattasi del codice adottato nel contesto della tariffa doganale dell’Unione (TARIC) (85), che gli importatori di prodotti originari del territorio del Sahara occidentale devono indicare nella loro dichiarazione doganale e in relazione al quale devono fornire una dichiarazione di origine.

95.      Ne consegue che la nozione di paese di origine, quale figura nella normativa dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, include anche il territorio del Sahara occidentale.

96.      I prodotti di cui trattasi nella presente causa, essendo stati interamente ottenuti nel territorio del Sahara occidentale, devono quindi essere etichettati conseguentemente.

97.      Tale conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che, in pratica, uno Stato terzo, nella fattispecie il Regno del Marocco, è considerato dall’Unione come responsabile ( de facto) dell’amministrazione del territorio del Sahara occidentale (o almeno delle parti che esso controlla). Ai fini delle importazioni nell’Unione, sono quindi le autorità marocchine a verificare e certificare l’origine dei prodotti asseritamente originari del territorio del Sahara occidentale.

98.      Come spiegato sia dal Consiglio che dalla Commissione, tale soluzione è stata adottata a motivo del fatto che il territorio non autonomo del Sahara occidentale non possiede autorità doganali proprie (riconosciute) ai fini del controllo dello status dell’origine dei prodotti prodotti o coltivati in tale territorio (86).

99.      Come ho spiegato nelle mie conclusioni odierne nelle cause Commissione e Consiglio/Front Polisario, stabilire relazioni con un territorio non autonomo è conforme sia allo status attuale del diritto internazionale, sia alla realtà pratica, e non incide sulla questione (politica) del riconoscimento di uno Stato (87). Tuttavia, ciò non si ripercuote in alcun modo sulla conclusione secondo cui il Sahara occidentale costituisce un territorio separato a fini doganali.

100. Si deve quindi concludere che i prodotti di cui trattasi coltivati nel territorio del Sahara occidentale devono essere etichettati come originari di tale territorio, in forza della normativa dell’Unione in materia di prodotti alimentari applicabile.

c)      Omesso riferimento al territorio del Sahara occidentale come causa di induzione in errore dei consumatori

101. Dopo aver stabilito che le norme dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari previste per gli ortofrutticoli impongono che i prodotti di cui trattasi rechino l’indicazione del loro paese di origine, e dopo aver confermato che la nozione di paese di origine include anche il territorio non autonomo del Sahara occidentale, si può concludere che tali prodotti devono recare l’indicazione del Sahara occidentale come paese di origine. L’ulteriore questione da risolvere è quindi se l’omissione di un riferimento a tale territorio possa indurre in errore i consumatori dell’Unione.

102. Come ho osservato al paragrafo 69 delle presenti conclusioni, l’obiettivo delle indicazioni figuranti sui prodotti alimentari dell’Unione relative all’etichettatura del paese di origine è quello di tutelare i consumatori, facendo sì che essi non siano (o non rischino di essere) «indotti in errore» circa la reale origine del prodotto (88).

103. Pur non essendo il fattore principale che guida il comportamento dei consumatori (89), l’etichetta del paese di origine di un prodotto influenza le decisioni di acquisto (90).

104. I consumatori non sono tutti uguali. Per alcuni l’origine dei loro prodotti è molto importante. Altri non prestano la minima attenzione alla provenienza dei prodotti che acquistano.

105. Come la Corte ha già dichiarato, nella valutazione del rischio di indurre in errore i consumatori è preso in considerazione il consumatore medio, vale a dire un soggetto «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto circa l’origine, la provenienza e la qualità del prodotto alimentare» (91).

106. L’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori stabilisce che la fornitura di informazioni sugli alimenti, comprese le informazioni sull’origine dei prodotti, dovrebbe permettere ai consumatori di «effettuare delle scelte consapevoli» fondate anche, in particolare, su considerazioni (...) etiche» (92).

107. Si potrebbe pensare che un consumatore normalmente informato e avveduto possa considerare importante sapere che un prodotto è originario del Sahara occidentale. Tuttavia, la questione del modo in cui le informazioni sull’origine di un prodotto proveniente dal Sahara occidentale possa influenzare le decisioni di acquisto dei consumatori dipende da ciascun singolo consumatore (93).

108. Tale decisione non è necessariamente connessa alla posizione neutrale dell’Unione per quanto concerne la risoluzione dello status futuro del territorio del Sahara occidentale.

109. Allo stesso tempo, senza l’informazione che un prodotto è originario del Sahara occidentale, un consumatore normalmente informato e avveduto potrebbe essere indotto in errore quanto alla reale origine del prodotto che decide di acquistare.

110. Come vengono conciliate queste posizioni giuridiche e politiche?

111. È chiaro che, nell’ambito dell’esame della questione se sussista il rischio che i consumatori siano indotti in errore a causa di informazioni non corrette sul paese di origine, il giudice nazionale che statuisce su tale questione non è tenuto a tenere conto delle possibili preferenze etiche diverse dei consumatori, né del resto sarebbe in grado di farlo.

112. A mio avviso, il criterio che il legislatore dell’Unione ha inteso stabilire è molto più oggettivo.

113. La questione che il giudice deve porsi è semplicemente la seguente: se un prodotto contrassegnato da un’etichetta del paese di origine che indica il territorio X, quando invece, di fatto, il prodotto è originario del territorio Y, crei il rischio di una decisione di acquisto male informata (94).

114. La risposta è affermativa: un’etichetta la quale indichi che l’alimento proviene da un luogo diverso dal suo vero luogo di origine può indurre in errore il consumatore per quanto concerne (ciò che il diritto dell’Unione considera) l’origine oggettivamente corretta di tale prodotto (95).

115. Nella presente causa, un’etichetta la quale indichi che un prodotto è di origine marocchina, mentre tale prodotto è originario del territorio del Sahara occidentale, può quindi indurre in errore i consumatori.

116. Un’etichetta di tal genere non sarebbe neppure conforme all’esigenza generale di aiutare i consumatori a effettuare «scelte consapevoli» per quanto concerne i loro acquisti, anche in funzione di elementi di natura etica, né rifletterebbe adeguatamente la posizione politica attuale dell’Unione.

117. Su tale base, suggerisco alla Corte di rispondere alla parte della quarta questione relativa all’obbligo positivo in materia di etichettatura dichiarando che il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, il regolamento sui prodotti agricoli e il regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli impongono che i prodotti di cui trattasi rechino un’etichetta del paese di origine che rifletta la loro provenienza dal territorio del Sahara occidentale.

d)      Se sia possibile fare riferimento al Regno del Marocco

118. Si pone la questione se la conclusione che precede permetta un riferimento aggiuntivo al Regno del Marocco.

119. Nella causa Vignoble Psagot, invocata nella presente causa, la Corte è stata invitata a chiarire se l’indicazione corretta del territorio di origine (nella fattispecie, le alture del Golan o la Cisgiordania) potesse essere considerata insufficiente, di per sé, a fornire ai consumatori informazioni corrette sul paese di origine dei prodotti provenienti da tale territorio.

120. Ci si può quindi chiedere se l’aggiunta della menzione «Regno del Marocco» all’etichettatura del paese di origine di prodotti originari del territorio del Sahara occidentale fornisca parimenti informazioni oggettivamente corrette al consumatore dell’Unione.

121. La situazione specifica nella zona geografica considerata nella sentenza Vignoble Psagot, vale a dire il fatto che alcune parti della Repubblica araba di Siria (le alture del Golan) o del territorio palestinese (Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est) dalle quali provenivano i prodotti in questione in tale causa fossero occupate da «insediamenti israeliani», ha indotto la Corte a concludere che l’omissione di informazioni aggiuntive sul luogo poteva indurre in errore i consumatori (96).

122. Di conseguenza, senza un’indicazione del luogo di provenienza reale, i consumatori potevano essere indotti a ritenere (erroneamente) che un prodotto provenisse, nel caso della Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est), da un produttore palestinese o, nel caso delle alture del Golan, da un produttore siriano (97).

123. Un semplice riferimento all’«insediamento israeliano» non sarebbe sufficiente per evitare questo tipo di equivoco (98).

124. Nella presente causa, le circostanze di diritto e di fatto, nonché la questione che la Corte deve affrontare, sono diverse.

125. Il territorio del Sahara occidentale è un territorio separato in vista dell’indicazione dell’origine a fini doganali e di etichettatura.

126. È vero che, attualmente, soltanto le autorità marocchine possono attestare che un prodotto è originario del territorio del Sahara occidentale, e secondo l’Unione sono le uniche autorità competenti a farlo (v. paragrafi 97 e 98 delle presenti conclusioni).

127. Ciò non significa, tuttavia, che l’origine di un prodotto proveniente dal Sahara occidentale cambi quando avviene questo tipo di certificazione.

128. Nella causa Vignoble Psagot, la questione sottoposta alla Corte non era se potessero essere indicati due paesi o territori, bensì se un’indicazione più dettagliata del «luogo di provenienza» potesse essere aggiunta alle informazioni relative al paese/territorio d’origine – nonostante la presenza della congiunzione «o» tra i termini «paese d’origine» e «luogo di provenienza» nel regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

129. Prendendo in considerazione il fatto che la comunità internazionale e l’Unione si opponevano agli insediamenti israeliani in tali territori, la Corte ha dichiarato che l’omissione di informazioni relative alla provenienza reale delle merci originarie di tali insediamenti avrebbe privato i consumatori della possibilità di effettuare una decisione di acquisto consapevole (99).

130. Nella presente causa, tuttavia, l’aggiunta dell’indicazione «Regno del Marocco» alle informazioni relative al paese di origine dei prodotti di cui trattasi non preciserebbe più chiaramente il loro luogo di provenienza.

131. In primo luogo, questo tipo di informazione non sarebbe oggettivamente corretta.

132. In secondo luogo, un consumatore normalmente informato e avveduto potrebbe dedurre le necessarie informazioni sull’origine dei prodotti in questione soltanto qualora il Sahara occidentale sia indicato come paese di origine.

133. Indipendentemente dalla posizione soggettiva dei consumatori quanto alla presenza del Regno del Marocco nel territorio del Sahara occidentale, l’aggiunta dell’indicazione «Regno del Marocco» a prodotti che non sono originari di tale paese potrebbe quindi indurre in errore i consumatori, proprio «in quanto non completamente fedel[e] alla realtà» (100).

134. Infine, come spiegato dalla Commissione in udienza, la nozione di paese di origine, come intesa nelle norme di commercializzazione generali e specifiche applicabili ai prodotti di cui trattasi (101), esige un’unica denominazione del paese di origine (102).

135. In primo luogo, ritengo che ciò discenda dall’uso del termine «paese» al singolare, nel testo e nei considerando del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli (103).

136. In secondo luogo, tale approccio si basa sulla logica generale sottesa alla determinazione dell’«origine» ai sensi dell’articolo 60 del codice doganale dell’Unione. Ai sensi di tale disposizione, «[l]e merci interamente ottenute in un unico paese o territorio» (104) possono provenire soltanto da un unico paese o territorio (105).

137. In quest’ottica, le stesse esigenze di interpretazione coerente che depongono a favore di un’interpretazione uniforme della nozione di «origine» di cui alla normativa dell’Unione in materia di etichettatura dei prodotti alimentari e alle norme applicabili alle statistiche doganali e del commercio estero dovrebbero parimenti deporre a favore dell’adozione di un’impostazione analoga per quanto concerne l’unicità del paese di origine ai fini dell’etichettatura.

138. Se tali regole vengono osservate, i prodotti originari del territorio del Sahara occidentale dovrebbero essere etichettati come tali, escludendo l’indicazione di qualsiasi altra provenienza.

139. Tale ragionamento è corroborato dalla posizione adottata in udienza dalla Commissione, la quale ha concordato sul fatto che l’applicazione di dette norme induce a concludere che è errato etichettare i prodotti di cui trattasi come originari del Regno del Marocco.

140. Tuttavia, come parimenti spiegato dalla Commissione, nell’ambito del processo, in corso, di autodeterminazione di tale territorio, non dovrebbe essere escluso alcun esito, dato che l’Unione ha adottato una posizione neutrale sul futuro del territorio del Sahara occidentale (106).

141. L’indicazione del paese di origine di un prodotto originario del territorio del Sahara occidentale come originario del «Regno del Marocco», unitamente a un riferimento al «Sahara occidentale», contrasterebbe quindi con la posizione espressa dall’Unione in merito al territorio del Sahara occidentale, violerebbe il requisito di indicare informazioni «corrette, imparziali e obiettive» (107) sul paese di origine dei prodotti di cui trattasi e contrasterebbe con la decisione del legislatore dell’Unione di esigere un’unica origine ai fini dell’etichettatura.

142. In conclusione, l’etichetta del paese di origine per i prodotti di cui trattasi non può contenere una designazione territoriale diversa da quella del Sahara occidentale.

IV.    Conclusione

143. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) nei seguenti termini:

1)      L’articolo 207 TFUE e l’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione,

devono essere interpretati nel senso che essi non autorizzano, di per sé, uno Stato membro ad adottare unilateralmente una misura nazionale che vieti le importazioni nel suo territorio di prodotti ortofrutticoli provenienti da un paese terzo che siano sprovvisti di un’etichetta indicante in maniera corretta il «paese di origine».

2)      Gli articoli 5, paragrafo 1, e 6, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione (UE) n. 543/2011 della Commissione, del 7 giugno 2011, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 nei settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrutticoli trasformati, gli articoli 9 e 26 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione, e l’articolo 76 del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013 , recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, interpretati alla luce dell’articolo 60 del regolamento n. 952/2013 e dell’allegato I del regolamento di esecuzione (UE) 2020/1470 della Commissione, del 12 ottobre 2020, relativo alla nomenclatura dei paesi e territori per le statistiche europee sugli scambi internazionali di beni e alla disaggregazione geografica per le altre statistiche sulle imprese,

devono essere interpretati nel senso che essi esigono che l’imballaggio dei pomodori ciliegia e dei meloni «charentais» originari del territorio del Sahara occidentale rechi un’etichetta del «paese di origine» che rifletta la loro origine in tale territorio.

Allo stato attuale del diritto e della politica dell’Unione, questo tipo di etichetta non può contenere riferimenti al Regno del Marocco.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      A partire dal marzo del 2023, i governi bulgaro, ungherese, polacco, rumeno e slovacco hanno minacciato di vietare unilateralmente l’importazione di grano e prodotti agricoli ucraini in esenzione dai dazi (una misura imposta in risposta alle azioni del governo russo, che ha preso di mira le esportazioni di grano attraverso i porti ucraini del Mar Nero). In risposta, la Commissione europea, dapprima fino al 5 giugno 2023 [regolamento di esecuzione (UE) 2023/903 della Commissione, del 2 maggio 2023, che introduce misure preventive relative a determinati prodotti originari dell’Ucraina (GU 2023, L 114I, pag. 1)], e in seguito fino al 15 settembre 2023 [regolamento di esecuzione (UE) 2023/1100 della Commissione, del 5 giugno 2023, che introduce misure preventive relative a determinati prodotti originari dell’Ucraina (GU 2023, L 144I, pag. 1)], ha introdotto misure preventive temporanee per vietare l’immissione in libera pratica o la sottoposizione a determinate procedure doganali di frumento, granturco, semi di colza e di girasole originari dell’Ucraina, salvo che tali merci fossero trasportate verso un altro Stato membro o un paese o territorio al di fuori del territorio doganale dell’Unione.


3      Sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973; in prosieguo: la «sentenza Consiglio/Front Polisario»).


4      Sentenza del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK (C‑266/16, EU:C:2018:118; in prosieguo: la «sentenza Western Sahara Campaign UK»).


5      Sentenze Consiglio/Front Polisario, punto 108, e Western Sahara Campaign UK, punto 64.


6      Nazioni Unite, Report of the Committee on Information from Non-Self-Governing Territories (Relazione del Comitato sulle informazioni provenienti dai territori non autonomi), Supplemento n. 14 (A/5514) (1963), Allegato III «List of Non-Self-Governing Territories under Chapter XI of the Charter at 31 December 1962 classified by geographical region» (Elenco dei territori non autonomi ai sensi del capitolo XI della Carta al 31 dicembre 1962 classificati per regione geografica).


7      V. parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 16 ottobre 1975, Western Sahara (ICJ Reports 1975, pag. 12, punto 162). Per una descrizione più dettagliata degli eventi che hanno condotto alla situazione politica attuale del Sahara occidentale, v. le mie conclusioni presentate in data odierna nelle cause riunite C‑778/21 P e C‑798/21 P, Commissione e Consiglio/Front Polisario, paragrafi da 5 a 15, e nelle cause riunite C‑779/21 P e C‑799/21 P, Commissione e Consiglio/Front Polisario, paragrafi da 8 a 28.


8      Sentenze Consiglio/Front Polisario, punto 92, e Western Sahara Campaign UK, punto 69.


9      Accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (GU 2000, L 70, pag. 2; in prosieguo: l’«accordo di associazione»), oggetto della causa Consiglio/Front Polisario, e accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco (GU 2006, L 141, pag. 4; in prosieguo: l’«accordo di partenariato»), oggetto della causa Western Sahara Campaign UK.


10      Sentenze Consiglio/Front Polisario, punto 92, e Western Sahara Campaign UK, punti 64 e 69.


11      V. decisione (UE) 2019/217 del Consiglio, del 28 gennaio 2019, relativa alla conclusione dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (GU 2019, L 34, pag. 1) e decisione (UE) 2019/441 del Consiglio, del 4 marzo 2019, relativa alla conclusione dell’accordo di partenariato per una pesca sostenibile tra l’Unione europea e il Regno del Marocco, del relativo protocollo di attuazione e dello scambio di lettere che accompagna l’accordo (GU 2019, L 77, pag. 4).


12      Accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco relativo alla modifica dei protocolli n. 1 e n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (GU 2019, L 34, pag. 4; in prosieguo: l’«accordo in forma di scambio di lettere»).


13      Accordo di partenariato per una pesca sostenibile tra l’Unione europea e il Regno del Marocco (GU 2019, L 77, pag. 8) e protocollo di attuazione dell’accordo di partenariato per una pesca sostenibile tra l’Unione europea e il Regno del Marocco (GU 2019, L 77, pag. 18).


14      V. sentenze del 29 settembre 2021, Front Polisario/Consiglio (T‑279/19, EU:T:2021:639) e del 29 settembre 2021, Front Polisario/Consiglio (T‑344/19 e T‑356/19, EU:T:2021:640).


15      V. nota 7 delle presenti conclusioni.


16      V., a tal riguardo, le osservazioni presentate nella causa dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) dal rapporteur public Bokdam-Tognetti, la quale spiega che «des melons et tomates produits dans la région de Dakhla, c’est-à-dire au Sahara occidental, sont effectivement importés et commercialisés en France en mentionnant le Maroc comme pays d’origine, sans indication faisant état du Sahara occidental» («meloni e pomodori prodotti nella regione di Dakhla, ossia nel Sahara occidentale, sono effettivamente importati e commercializzati in Francia con l’indicazione del Marocco quale paese d’origine, senza alcuna menzione del Sahara occidentale»): osservazioni di Emilie Bokdam-Tognetti, rapporteur public, n. 445088 – Confédération paysanne (9 giugno 2022).


17      Cause riunite C‑778/21 P e C‑798/21 P Commissione e Consiglio/Front Polisario e cause riunite C‑779/21 P e C‑799/21 P Commissione e Consiglio/Front Polisario.


18      Nelle cause riunite C‑779/21 P e C‑799/21 P Commissione e Consiglio/Front Polisario, la Commissione e il Consiglio impugnano, rispettivamente, la sentenza del Tribunale del 29 settembre 2021, Front Polisario/Consiglio (T‑279/19, EU:T:2021:639), nella quale tale giudice ha concluso che il Consiglio non aveva rispettato il principio dell’effetto relativo dei Trattati, come interpretato dalla Corte al punto 106 della sentenza Consiglio/Front Polisario.


19      La terza questione contenuta nella decisione del giudice del rinvio, della quale non mi occuperò nelle presenti conclusioni, solleva il problema della validità della decisione 2019/217; si tratta di una questione che esaminerò separatamente nelle mie conclusioni nelle cause riunite C‑779/21 P e C‑799/21 P, Commissione e Consiglio/Front Polisario.


20      Come emergerà dalle mie conclusioni, alla luce della risposta che suggerisco di dare alla prima questione, non sarà necessario che la Corte risponda alla seconda e alla terza questione (dato che tali questioni, così come formulate, sono subordinate a una risposta affermativa alla prima questione). Inoltre, come spiegherò ai paragrafi 56 e seguenti delle presenti conclusioni, alla luce della mia proposta di risposta alla prima questione, si può altresì sostenere che non occorra rispondere alla quarta questione.


21      Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU 2011, L 304, pag. 18) (in prosieguo: il «regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori»).


22      Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GU 2013, L 347, pag. 671) (in prosieguo: il «regolamento sui prodotti agricoli»).


23      Regolamento di esecuzione (UE) n. 543/2011 della Commissione, del 7 giugno 2011, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 nei settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrutticoli trasformati (GU 2011, L 157, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli»).


24      Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (rifusione) (GU 2013, L 269, pag. 1) (in prosieguo: il «codice doganale dell’Unione»).


25      Regolamento (CEE) n. 990/93 del Consiglio, del 26 aprile 1993, relativo agli scambi tra la Comunità economica europea e la Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro) (GU 1993, L 102, pag. 14), che ha istituito un embargo commerciale su taluni prodotti originari della Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro) o transitanti attraverso di essa, e che è stato adottato sul fondamento dell’articolo 113 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea (attuale articolo 207 TFUE).


26      Articolo 3, paragrafo 1, lettera e), TFUE.


27      Come precisato dal governo francese, il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori impone agli operatori di etichettare correttamente gli alimenti da essi commercializzati (articolo 8, paragrafo 2), ma non vieta loro di importare gli stessi prodotti qualora l’etichetta non sia conforme alle disposizioni di tale regolamento. Inoltre, l’articolo 38, paragrafo 1, dello stesso regolamento vieta specificamente agli Stati membri di adottare o mantenere misure non autorizzate dal diritto dell’Unione. Analogamente, l’articolo 33, paragrafo 3, lettera f), del regolamento sui prodotti agricoli prevede la possibilità di ritiri dal mercato, ma tale potere, che in ogni caso può essere limitato dalla Commissione [articolo 37, lettera d)], non include restrizioni all’importazione di prodotti non conformi. Inoltre, misure di emergenza, fra le quali sembrano rientrare anche misure relative agli scambi, possono essere adottate soltanto dalla Commissione (considerando 189 e 201 e articolo 221). Lo stesso vale per il regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli, il quale precisa che gli Stati membri sono competenti a verificare la corretta applicazione delle norme di commercializzazione mediante controlli di conformità (v., in particolare, articolo 9, paragrafo 1), ma non autorizza gli Stati membri ad attuare misure che vietano l’importazione di prodotti non conformi.


28      Infatti, la stessa formulazione dell’articolo 207, paragrafo 1, TFUE fa riferimento al fatto che la politica commerciale comune è fondata su «principi uniformi».


29      V. articolo 2, paragrafo 1, TFUE.


30      È quasi superfluo sottolineare che l’articolo 207 TFUE può sempre fungere da base giuridica per adottare una misura dell’Unione diretta a sospendere gli scambi con uno Stato o un territorio terzo: v., ad esempio, il regolamento (CEE) n. 1432/92 del Consiglio, del 1º giugno 1992, che proibisce il commercio tra la Comunità economica europea e le Repubbliche di Serbia e di Montenegro (GU 1992, L 151, pag. 4), il quale aveva istituito un embargo commerciale su tutte le importazioni nel territorio della (allora) Comunità dalla Repubblica federale di Iugoslavia, nonché su tutte le esportazioni dalla Comunità verso tale paese.


31      V., in tal senso, parere 1/00 (Accordo sull’istituzione di uno spazio aereo comune europeo) del 18 aprile 2002 (EU:C:2002:231, punto 12 e giurisprudenza ivi citata).


32      V. articolo 207, paragrafo 1, TFUE, il quale specifica che «[l]a politica commerciale comune è fondata su principi uniformi‚ in particolare (...) l’uniformazione delle misure di liberalizzazione». V., a tal riguardo, sentenza del 5 luglio 1994, Anastasiou e a. (C‑432/92, EU:C:1994:277, punto 53) (in cui si precisa che l’esistenza di prassi diverse degli Stati membri crea «una situazione di incertezza atta a compromettere l’esistenza di una politica commerciale comune»).


33      V., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Commissione/Ungheria (Insegnamento superiore) (C‑66/18, EU:C:2020:792, punto 84).


34      V. regolamento (UE) n. 1219/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, che stabilisce disposizioni transitorie per gli accordi bilaterali conclusi tra Stati membri e paesi terzi in materia di investimenti (GU 2012, L 351, pag. 40), che consente agli Stati membri, a determinate condizioni, di mantenere in vigore e modificare i loro trattati bilaterali di investimento esistenti (in prosieguo: i «TBI»), nonché di concludere nuovi TBI, imponendo loro, in via generale, di eliminare le incompatibilità tra tali TBI e il diritto dell’Unione.


35      V., ad esempio, le misure di salvaguardia previste dal capo V del regolamento (UE) 2015/478 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2015, relativo al regime comune applicabile alle importazioni (GU 2015, L 83, pag. 16; in prosieguo: il «regolamento di base sulle importazioni») (che concerne le importazioni da paesi e territori membri dell’OMC), nonché il regolamento (UE) 2015/755 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo al regime comune applicabile alle importazioni da alcuni paesi terzi (GU 2015, L 123, pag. 33) (che concerne le importazioni da paesi che non sono membri dell’OMC).


36      V., ad esempio, il regolamento di esecuzione (UE) 2019/159 della Commissione, del 31 gennaio 2019, che istituisce misure di salvaguardia definitive nei confronti delle importazioni di determinati prodotti di acciaio (GU 2019, L 31, pag. 27) (che istituisce un contingente tariffario del 25% ai fini dell’immissione in libera pratica nell’Unione di determinate categorie di prodotti di acciaio per un periodo di tre anni).


37      V. articolo 17 del regolamento di base sulle importazioni e articolo 15 del regolamento 2015/755. Per un esempio recente di siffatte misure di salvaguardia «regionalizzate», v. articolo 1 del regolamento di esecuzione 2023/1100 (che limita l’immissione in libera pratica delle importazioni di frumento, granturco, semi di colza e di girasole originari dell’Ucraina in Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania o Slovacchia).


38      V., a tal riguardo, l’articolo 2, paragrafo 1, dell’accordo dell’OMC sulle misure di salvaguardia, che prevede tale requisito e che deve pertanto guidare l’interpretazione del regolamento di base sulle importazioni. V., per analogia, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube (C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punto 32 e giurisprudenza ivi citata) (in cui si spiega che il principio pacta sunt servanda impone l’interpretazione conforme del diritto derivato dell’Unione alla luce di uno degli accordi OMC).


39      Sebbene la Corte non abbia mai riconosciuto la libertà degli scambi commerciali internazionali, è lecito ritenere che i Trattati abbiano instillato anche nella politica commerciale esterna dell’Unione europea la stessa idea di mercato liberalizzato presente nel progetto europeo ab initio. A sostegno di tale argomento, v. Petersmann, E.-U., «National constitutions and international economic law», in Hilf, M., e Petersmann, E.-U. (a cura di), National constitutions and international economic law, Kluwer, Bielefeld, 1993, pag. 24. Per un’opinione contrastante, v. Peers, S., «Fundamental right or political whim? WTO law and the European Court of Justice», in de Burca, G., e Scott, J. (a cura di), The EU and the WTO: Legal and Constitutional Issues, Bloomsbury Publishing, 2001, pag. 129.


40      V. sentenza del 30 maggio 2002, Expo Casa Manta (C‑296/00, EU:C:2002:316, punto 34) (in cui si traccia un’analogia tra una disposizione che ha preceduto l’articolo 24 del regolamento di base sulle importazioni e l’articolo 36 TFUE).


41      V., per analogia, sentenza del 10 gennaio 1985, Association des Centres distributeurs Leclerc e Thouars Distribution (229/83, EU:C:1985:1, punto 30) (in cui si precisa che le deroghe all’attuale articolo 36 TFUE devono essere interpretate restrittivamente).


42      Per utilizzare i termini di cui alle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Expo Casa Manta (C‑296/00, EU:C:2002:28, paragrafo 27).


43      Sentenza del 30 maggio 2002, Expo Casa Manta (C‑296/00, EU:C:2002:316, punto 31).


44      I controlli doganali sono definiti all’articolo 5, punto 3, del codice doganale dell’Unione come gli «atti specifici espletati dall’autorità doganale al fine di garantire la conformità con la normativa doganale e con le altre norme che disciplinano l’entrata, l’uscita, il transito, la circolazione, il deposito e l’uso finale delle merci in circolazione tra il territorio doganale dell’Unione e i paesi o territori non facenti parte di tale territorio, nonché la presenza e la circolazione nel territorio doganale dell’Unione delle merci non unionali e delle merci in regime di uso finale».


45      Vale a dire «divieti e restrizioni, giustificati, tra l’altro, da motivi di moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza».


46      Tuttavia, quand’anche esistesse una siffatta autorizzazione, le giustificazioni in base alle quali tali misure potrebbero essere adottate, nonché i loro limiti, sarebbero, a mio avviso, gli stessi esaminati ai paragrafi 40 e seguenti delle presenti conclusioni, a patto di non snaturare le competenze dell’Unione e delle sue istituzioni (v., nello stesso senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Consiglio, C‑13/07, EU:C:2009:190, paragrafo 83).


47      V. in tal senso, sentenza del 9 dicembre 1965, Singer (44/65, EU:C:1965:122, pag. 959).


48      V. in tal senso, sentenza del 16 dicembre 1981, Foglia (244/80, EU:C:1981:302, punto 15).


49      V., in tal senso, sentenza del 7 settembre 1999, Beck e Bergdorf (C‑355/97, EU:C:1999:391, punto 22).


50      V., ad esempio, sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a. (C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).


51      V. sentenza del 13 gennaio 2022, Tesco Stores ČR (C‑881/19, EU:C:2022:15, punti 44 e 46 e giurisprudenza ivi citata).


52      L’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori riconosce l’ampia gamma di esigenze dei consumatori dell’Unione rispetto ai loro prodotti alimentari. Esso precisa che «[l]a fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli (...), nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche». V. anche il considerando 4 del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.


53      Considerando 9 del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.


54      Articolo 9, paragrafo 1, lettera i), del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.


55      V., a tal riguardo, la definizione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera g), del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, ai sensi della quale per luogo di provenienza si intende «qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non è il “paese d’origine” come individuato ai sensi degli articoli da 23 a 26 del [regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1)]». Anche l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori precisa che, «[a]i fini del presente regolamento, il paese di origine di un alimento si riferisce all’origine di tale prodotto, come definita conformemente agli articoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) n. 2913/92». Le norme in precedenza previste agli articoli da 23 a 36 del regolamento n. 2913/92 sono ora contenute negli articoli da 59 a 63 del codice doganale dell’Unione.


56      Quale previsto all’articolo 7 del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.


57      V., in tal senso, sentenza del 12 novembre 2019, Organisation juive européenne e Vignoble Psagot (C‑363/18, EU:C:2019:954, punto 25; in prosieguo: la «sentenza Vignoble Psagot»).


58      L’articolo 1, paragrafo 4, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori precisa che esso si applica «fatti salvi i requisiti di etichettatura stabiliti da specifiche disposizioni dell’Unione per particolari alimenti».


59      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento sui prodotti agricoli, esso si applica, fatta eccezione per taluni prodotti della pesca e dell’acquacoltura, a tutti i prodotti elencati nell’allegato I dei Trattati. Quest’ultimo contiene, a sua volta, un elenco di capitoli selezionati che si sono poi evoluti nella nomenclatura combinata [regolamento (CEE) n. 2658/87, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU 1987, L 256, pag. 1)].


60      V. articolo 74 del regolamento sui prodotti agricoli.


61      Considerando 64 del regolamento sui prodotti agricoli.


62      V. articolo 75, paragrafo 3, lettera j), e articolo 76, paragrafo 1, del regolamento sui prodotti agricoli.


63      V. articolo 75, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui prodotti agricoli.


64      V. articolo 76, paragrafo 2, del regolamento sui prodotti agricoli.


65      V. articolo 76, paragrafo 3, del regolamento sui prodotti agricoli.


66      V. articolo 1, paragrafo 1, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli.


67      V. articolo 1, paragrafo 1, e articolo 3, paragrafo 1, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli. L’allegato I, parte A, di tale regolamento precisa in dettaglio le norme generali di commercializzazione di tali prodotti.


68      V. articolo 3, paragrafo 2, lettera j), del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli, il quale prevede che le norme di commercializzazione specifiche di cui all’allegato I, parte B, di detto regolamento si applicano ai «pomodori». L’allegato I, parte B, parte 10, sezione I, precisa poi che la nozione di pomodori comprende anche i pomodori «ciliegia».


69      V. allegato I, parte B, parte 10, sezione VI, sezione C, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli. A tal fine, una nota a piè di pagina precisa che occorre «[i]ndicare il nome completo o comunemente usato».


70      Ibidem.


71      V. articolo 3, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli, il quale precisa che «[g]li ortofrutticoli cui non si applica una norma di commercializzazione specifica devono essere conformi alla norma di commercializzazione generale». La norma generale di commercializzazione menzionata in tale disposizione è contenuta nell’allegato I, parte A, dello stesso regolamento.


72      V. allegato I, parte A, parte 4, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli. Anche in tal caso, una nota a piè di pagina richiede di «[i]ndicare il nome completo o comunemente usato».


73      V., a tal riguardo, articoli 8 e 11 del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli. L’articolo 11, paragrafo 3, dello stesso regolamento prevede altresì che, «[s]e dai controlli emergono irregolarità significative, gli Stati membri aumentano la frequenza dei controlli relativi agli operatori, ai prodotti, al luogo di origine o ad altri parametri». I controlli di conformità sono necessari, in particolare, in quanto il «paese di origine» di cui trattasi deve essere indicato con caratteri «leggibili», «indelebili» e visibili dall’esterno, mediante stampatura diretta o mediante etichetta integrata nell’imballaggio o fissata ad esso.


74      V. articolo 17, paragrafo 3, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli.


75      Per quanto riguarda il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e il regolamento sui prodotti agricoli, la Corte ha già riconosciuto l’assenza di una siffatta definizione nella sentenza del 4 settembre 2019, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main (C‑686/17, EU:C:2019:659, punto 46).


76      V. articolo 59, lettera c), del codice doganale dell’Unione, ai sensi del quale gli articoli relativi all’acquisizione e alla prova dell’origine (articoli 60 e 61) «stabiliscono le norme per la determinazione dell’origine non preferenziale delle merci ai fini dell’applicazione (...) delle altre misure dell’Unione relative all’origine delle merci».


77      V. sentenza del 4 settembre 2019, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main (C‑686/17, EU:C:2019:659, punto 46).


78      V., per analogia, sentenza del 4 settembre 2019, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main (C‑686/17, EU:C:2019:659, punto 50) (in cui si precisa che «l’indicazione obbligatoria del paese d’origine deve, per dare tutto l’effetto utile alle corrispondenti disposizioni e per coerenza, essere fondata sulle stesse definizioni, tanto in materia doganale, agricola o di tutela dei consumatori»).


79      V. articolo 31, lettera b), del regolamento delegato (UE) 2015/2446 della Commissione, del 28 luglio 2015, che integra il regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell’Unione (GU 2015, L 343, pag. 1).


80      Nella presente causa, è pacifico che i prodotti in questione sono raccolti nel territorio del Sahara occidentale.


81      Sentenza Vignoble Psagot, punto 30. Nella stessa sentenza, la Corte ha interpretato la nozione di «paese» come sinonimo della nozione di «Stato», la quale designa «un’entità sovrana che esercita, all’interno dei suoi confini geografici, la pienezza delle competenze riconosciute dal diritto internazionale» (v. punti 28 e 29).


82      V. sentenza Vignoble Psagot, punto 31. Come sostenuto dalla ricorrente, è su tale base che la Corte, nella sentenza Vignoble Psagot, ha esteso il requisito della corretta etichettatura dell’origine a un «territorio occupato dallo Stato di Israele» vale a dire alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e alle alture del Golan.


83      Sentenze Consiglio/Front Polisario, punto 107, e Western Sahara Campaign UK, punti 64 e 69.


84      V. allegato I del regolamento di esecuzione (UE) 2020/1470 della Commissione, del 12 ottobre 2020, relativo alla nomenclatura dei paesi e territori per le statistiche europee sugli scambi internazionali di beni e alla disaggregazione geografica per le altre statistiche sulle imprese (GU 2020, L 334, pag. 2).


85      Regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU 1987, L 256, pag. 1).


86      È anche per tale ragione che il Consiglio e la Commissione sostengono di non poter concludere, nella pratica, un accordo commerciale distinto con il territorio del Sahara occidentale. Cfr. l’accordo di associazione CE-OLP (approvato con decisione 97/430/CE del Consiglio, del 2 giugno 1997, relativa alla conclusione dell’accordo euromediterraneo interinale di associazione relativo agli scambi e alla cooperazione tra la Comunità europea, da una parte, e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) a beneficio dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, dall’altra (GU 1997, L 187, pag. 1) il quale, conformemente all’articolo 16, paragrafo 4, del suo protocollo, prevede che il certificato di circolazione EUR.1 è rilasciato dalle autorità doganali della Cisgiordania e della Striscia di Gaza se i prodotti da esportare verso l’Unione possono essere considerati prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e soddisfano gli altri requisiti di esportazione. V. anche sentenza del 25 febbraio 2010, Brita (C‑386/08, EU:C:2010:91, punti da 50 a 52) (in cui si precisa che le autorità doganali della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, e non le autorità doganali israeliane, sono competenti per quanto concerne i prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza).


87      V., allo stesso modo e per analogia, nel senso che il riconoscimento di uno Stato può essere dissociato dalla certificazione dell’origine, articolo 46 e protocollo III dell’accordo di stabilizzazione e di associazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da un lato, e il Kosovo *, dall’altro (GU 2016, L 71, pag. 3), che prevedono norme per la determinazione dell’origine dei prodotti originari di tale territorio. L’asterisco nel titolo rimanda alla seguente dichiarazione nella nota a piè di pagina dell’accordo: «Tale designazione non pregiudica le posizioni riguardo allo status ed è in linea con la risoluzione 1244 (1999) del [Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite] e con il parere della [Corte internazionale di Giustizia] sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo».


88      V., in tal senso, sentenza Vignoble Psagot, punto 25.


89      In una relazione della Commissione europea del 2015 si è constatato che «tra gli aspetti che incidono sul comportamento del consumatore, l’etichettatura di origine è inferiore per importanza a fattori quali il prezzo, il gusto, la data di scadenza/la data di consumo consigliata, la comodità e/o l’aspetto». V. relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente e degli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento [COM (2015) 204 final; in prosieguo: la «relazione della Commissione del 2015»].


90      Secondo l’Eurobarometro speciale n. 389 della Commissione, del 2012, sull’atteggiamento dei cittadini europei rispetto alla sicurezza e alla qualità degli alimenti e alle zone rurali (disponibile all’indirizzo: https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/1054), «una netta maggioranza (71%) afferma che l’origine degli alimenti è importante» (pag. 4), e l’origine è indicata come uno dei tre fattori che la maggioranza dei cittadini dell’Unione prende in considerazione all’atto di acquisto di alimenti (pag. 16).


91      V., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Severi (C‑446/07, EU:C:2009:530, punto 61).


92      Tale scelta potrebbe anche essere espressione di un «voto con il carrello della spesa», che si concretizza nell’acquisto o nel rifiuto di acquistare prodotti provenienti da parti del mondo che, secondo un consumatore, sollevano questioni politiche, ambientali, culturali o di altro tipo. L’espressione «voto con il carrello della spesa» [«voting with a trolley» in lingua inglese] è presa in prestito da un articolo contenuto in The Economist al fine di spiegare la prassi dei consumatori di esprimere le loro opinioni politiche attraverso le decisioni di acquisto. V. «Voting with your trolley: Can you really change the world just by buying certain foods?», The Economist, Special report, 7 dicembre 2006.


93      V., a tal riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Hogan nella causa Organisation juive européenne e Vignoble Psagot (C‑363/18, EU:C:2019:494, paragrafi da 47 a 49).


94      Infatti, la valutazione che il giudice è chiamato a compiere è la stessa quando le indicazioni non corrette si riferiscono al peso approssimativo o allo stato di maturazione dei prodotti ortofrutticoli di cui trattasi rispetto a quando si tratta dell’indicazione della loro provenienza.


95      V., in tal senso, sentenza Vignoble Psagot, punto 51.


96      V. sentenza Vignoble Psagot, punto 51.


97      V. sentenza Vignoble Psagot, punto 49.


98      V. sentenza Vignoble Psagot, punto 50.


99      V., in tal senso, sentenza Vignoble Psagot, punti da 48 a 51.


100      Prendo in prestito l’espressione utilizzata dall’avvocato generale Mischo nelle sue conclusioni nella causa Gut Springenheide e Tusky (C‑210/96, EU:C:1998:102, paragrafo 78), nelle quali egli ha parimenti operato una distinzione tra «dichiarazioni oggettivamente corrette; dichiarazioni oggettivamente scorrette; [e] dichiarazioni oggettivamente corrette, che possono tuttavia ingannare il consumatore, in quanto non completamente fedeli alla realtà».


101      Come discusso ai paragrafi da 66 a 81 delle presenti conclusioni.


102      Per completezza, aggiungo che tale regola si applica anche nel caso di prodotti ortofrutticoli contenuti in un miscuglio che proviene da più di un paese terzo, nel qual caso è aggiunto un riferimento generale all’origine (quale «miscuglio di prodotti ortofrutticoli dei paesi terzi»; v. articolo 7, paragrafo 3, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli) oppure è indicato ogni singolo «paese d’origine» in prossimità immediata del nome del prodotto in questione (v., ad esempio, nel caso di miscugli di pomodori di origine diversa, allegato I, parte A, punto 4, e allegato I, parte B, parte 10, sezione VI, punto C, dello stesso regolamento).


103      V., ad esempio, considerando 4 e 49 e articoli 5, paragrafo 4, e 6, paragrafo 1, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli. V. anche allegato I, parte A, parte 4, e allegato I, parte B, parte 10, sezione VI, punto C, di detto allegato, che parimenti impiegano il termine «paese» di origine al singolare.


104      Articolo 60, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione.


105      Ciò salvo che gli ortofrutticoli presenti in un miscuglio provengano da più di un paese terzo. V. articolo 7, paragrafo 3, del regolamento generale sulla commercializzazione degli ortofrutticoli.


106      A quanto risulta, l’attuale posizione dell’Unione è che il processo politico sulla questione del Sahara occidentale dovrebbe mirare a «una soluzione politica equa, realistica, pragmatica, durevole e reciprocamente accettabile (…), fondata su un “compromesso”», come indicato al punto 13 della dichiarazione comune dell’Unione europea e del Marocco in vista della quattordicesima sessione del Consiglio di associazione (27 giugno 2019), disponibile all’indirizzo: https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2019/06/27/joint-declaration-by-the-european-union-and-the-kingdom-of-morocco-for-the-fourteenth-meeting-of-the-association-council/.


107      V. sentenza del 13 gennaio 2022, Tesco Stores ČR (C‑881/19, EU:C:2022:15, punti 44 e 46 e giurisprudenza ivi citata).