Language of document : ECLI:EU:C:2018:171

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 7 marzo 2018 (1)

Causa C246/17

Ibrahima Diallo

contro

Stato belga

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Diritti dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di uno Stato membro – Domanda di carta di soggiorno in qualità di familiare – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 10, paragrafo 1 – Termine di sei mesi – Adozione e comunicazione della decisione – Conseguenze dell’inosservanza del termine – Interruzione e sospensione del termine»






1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale offre alla Corte l’opportunità di pronunciarsi sulla portata dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (2).

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Ibrahima Diallo, cittadino della Guinea e ascendente di un minore di nazionalità olandese domiciliato in Belgio, e lo Stato belga in merito ad una decisione di rifiuto, da parte di quest’ultimo, di rilasciargli una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione europea con l’ordine di lasciare il territorio.

3.        Detta domanda invita in particolare la Corte a fornire importanti precisazioni, da una parte, riguardo al termine entro il quale le decisioni di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 devono essere adottate e comunicate e riguardo alle eventuali conseguenze derivanti dalla mancata adozione o comunicazione di tali decisioni. Dall’altra parte, la Corte è chiamata a stabilire se, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione adottata ai sensi di tale disposizione, il termine di sei mesi di cui dispone l’autorità nazionale competente a norma di detta disposizione sia interrotto o sospeso.

4.        Nelle presenti conclusioni, esporrò le ragioni per le quali ritengo che l’articolo 10, paragrafo 1, di tale direttiva debba essere interpretato nel senso che il rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione deve avvenire entro il termine di sei mesi previsto da tale disposizione, che le decisioni adottate ai sensi di detta disposizione devono parimenti intervenire entro tale termine, mentre la comunicazione di una decisione di diniego della carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione può avvenire dopo detto termine. Esporrò, inoltre, i motivi per i quali ritengo che la mancata adozione o comunicazione di una decisione adottata ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 non possa avere come conseguenza automatica il rilascio della carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione e, infine, che l’annullamento giurisdizionale di una tale decisione abbia l’effetto di interrompere il termine di sei mesi di cui dispone l’amministrazione e, pertanto, di far decorrere nuovamente il termine di sei mesi.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        L’articolo 2 della direttiva 2004/38 così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

1)      “cittadino dell’Unione”: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;

2)      “familiare”:

(…)

d)      gli ascendenti diretti a carico (…);

(…)».

6.        L’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva così recita:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

7.        L’articolo 10, paragrafo 1, di detta direttiva prevede quanto segue:

«Il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione”, che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda. Una ricevuta della domanda di una carta di soggiorno è rilasciata immediatamente».

8.        L’articolo 15 della direttiva 2004/38, intitolato «Garanzie procedurali», dispone, al paragrafo 1, quanto segue:

«Le procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica».

9.        L’articolo 30 di tale direttiva, intitolato «Notificazione dei provvedimenti», così dispone:

«1.      Ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.

(…)

3.      La notifica riporta l’indicazione dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa dinanzi al quale l’interessato può opporre ricorso e il termine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, l’indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione».

B.      Diritto belga

10.      Ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 1, della legge in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento e allontanamento degli stranieri (3), del 15 dicembre 1980:

«Il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi nel Regno è riconosciuto il più rapidamente possibile ed entro sei mesi dalla data della domanda di cui al [paragrafo] 4, comma 2, al cittadino dell’Unione e ai suoi familiari che si trovano nelle condizioni e per la durata stabilite dal Re, conformemente ai regolamenti e alle direttive europee. Il riconoscimento tiene conto di tutti gli elementi del fascicolo».

11.      A termini dell’articolo 52, paragrafo 4, secondo comma, del regio decreto in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento e allontanamento degli stranieri (4), dell’8 ottobre 1981:

«Se il Ministro o un suo delegato riconosce il diritto di soggiorno o se non è stato adottato alcun provvedimento entro il termine di cui all’articolo 42 della legge [del 15 dicembre 1980], il sindaco o un suo delegato rilascia allo straniero una “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione” conforme al modello di cui all’allegato 9».

II.    Fatti della controversia principale e questioni pregiudiziali

12.      Il sig. Diallo è un cittadino della Guinea, padre di un minore di nazionalità olandese domiciliato in Belgio.

13.      In tale qualità, egli ha presentato, il 25 novembre 2014, una domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione in tale Stato membro.

14.      Il 22 maggio 2015, le autorità belghe hanno adottato una decisione di diniego di soggiorno con ordine di lasciare il territorio e gli hanno comunicato tale decisione il 3 giugno 2015, vale a dire sei mesi e nove giorni dopo la presentazione della domanda.

15.      Avendo il sig. Diallo proposto un ricorso di annullamento avverso tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio), quest’ultimo, con sentenza del 29 settembre 2015, ha annullato la decisione di diniego di soggiorno con ordine di lasciare il territorio in quanto essa era viziata da un difetto di motivazione.

16.      Di conseguenza, le autorità belghe hanno adottato, il 9 novembre 2015, una nuova decisione di diniego di soggiorno con ordine di lasciare il territorio. Tale decisione è stata comunicata al sig. Diallo il 26 novembre 2015.

17.      Secondo detta decisione, il sig. Diallo non soddisfaceva le condizioni per beneficiare del diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi in qualità di familiare di un cittadino dell’Unione, in mancanza di prove della disponibilità di risorse sufficienti e non avendo dimostrato che suo figlio, cittadino olandese, fosse a carico suo o che egli ne avesse effettivamente la custodia.

18.      L’11 dicembre 2015, il sig. Diallo ha proposto un ricorso di annullamento avverso tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri), il quale, con sentenza del 23 febbraio 2016, ha respinto tale ricorso.

19.      Il 25 marzo 2016, il sig. Diallo ha proposto un ricorso amministrativo per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio, vale a dire il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio).

20.      A sostegno di tale ricorso, egli afferma, in sostanza, che, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, la decisione relativa alla domanda di carta di soggiorno deve essere comunicata al richiedente entro i sei mesi successivi alla presentazione della domanda e che il diritto interno deve essere interpretato conformemente a tale requisito. Egli aggiunge che la concessione all’autorità competente nazionale di un nuovo termine di sei mesi, a seguito dell’annullamento di una prima decisione, priverebbe di effetto utile l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

21.      Le autorità belghe ritengono, dal canto loro, che, poiché nessuna disposizione impone un termine di comunicazione, l’autorità competente sia tenuta soltanto ad adottare una decisione relativa a una domanda di carta di soggiorno entro il termine di sei mesi. Esse aggiungono che il termine di cui dispone tale autorità a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una prima decisione rientra nel diritto nazionale e che non è dimostrato che la decorrenza di un nuovo termine di sei mesi sarebbe irragionevole.

22.      Quanto al giudice del rinvio, esso sottolinea, in primo luogo, che, poiché il diritto nazionale non precisa se la decisione relativa al riconoscimento del diritto di soggiorno debba essere adottata e comunicata entro sei mesi, l’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 è necessaria.

23.      In secondo luogo, esso nutre dubbi riguardo al termine di cui dispone l’autorità nazionale a seguito dell’annullamento di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno per adottare una nuova decisione e precisa che occorre stabilire se il principio di effettività osti a che tale autorità possa avvalersi dell’intero termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

24.      In terzo luogo, il giudice del rinvio si interroga sulle conseguenze connesse al superamento del termine di sei mesi di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 al fine di stabilire se tale disposizione osti a che una carta di soggiorno sia rilasciata automaticamente a causa del superamento del termine di sei mesi, anche qualora il richiedente non soddisfi le condizioni richieste.

25.      In tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva [2004/38] debba essere interpretato nel senso che richiede che la decisione relativa all’accertamento del diritto di soggiorno sia adottata e comunicata entro sei mesi o nel senso che consente che la decisione sia adottata entro tale termine ma sia comunicata successivamente. Qualora la predetta decisione possa essere comunicata successivamente, entro quale termine debba avvenire tale comunicazione.

2)      Se l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva [2004/38], in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2003/86/CE [del Consiglio], del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare [(5)] e con gli articoli 7, 20, 21 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione [europea], debba essere interpretato e applicato nel senso che la decisione adottata su tale base deve soltanto essere adottata entro il termine di sei mesi da esso prescritto, senza che esista alcun termine per la sua comunicazione, né alcuna incidenza sul diritto di soggiorno nel caso in cui la comunicazione intervenga oltre tale termine.

3)      Se, al fine di garantire l’effettività del diritto di soggiorno di un familiare di un cittadino dell’Unione, il principio di effettività osti a che l’autorità nazionale possa avvalersi, a seguito dell’annullamento di una decisione relativa a detto diritto, dell’intero termine di sei mesi di cui essa disponeva ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva [2004/38]. In caso affermativo, di quale termine disponga ancora l’autorità nazionale dopo l’annullamento della propria decisione che rifiuta il riconoscimento del diritto in questione.

4)      Se gli articoli 5, 10 e 31 della direttiva [2004/38], in combinato disposto con gli articoli 8 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [(6)], con gli articoli 7, 24, 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali (…) e con l’articolo 21 [TFUE], siano compatibili con una giurisprudenza e con disposizioni nazionali, quali gli articoli 39/2, paragrafo 2, 40, 40 bis, 42 e 43 della legge del 15 dicembre 1980 (…), e l’articolo 52, paragrafo 4, del regio decreto dell’8 ottobre 1981 (…), che comportano che una sentenza di annullamento di una decisione che rifiuta il soggiorno sulla base di tali disposizioni, emessa dal Conseil du contentieux des étrangers, abbia un effetto interruttivo e non sospensivo del termine perentorio di sei mesi prescritto dall’articolo 10 della direttiva [2004/38], dall’articolo 42 della legge del 15 dicembre 1980 e dall’articolo 52 del regio decreto dell’8 ottobre 1981.

5)      Se la direttiva [2004/38] imponga che dal superamento del termine di sei mesi previsto dal suo articolo 10, paragrafo 1, derivi una conseguenza e, in caso affermativo, quale conseguenza debba derivarne. Se la medesima direttiva [2004/38] imponga o consenta che la conseguenza del superamento di tale termine sia la concessione automatica della carta di soggiorno richiesta, senza che sia stato accertato che il richiedente soddisfi effettivamente le condizioni necessarie per beneficiare del diritto di soggiorno da lui rivendicato».

III. Analisi

A.      Sulla competenza della Corte

26.      In via principale, il governo belga eccepisce l’incompetenza della Corte a rispondere alle questioni pregiudiziali, a causa dell’inapplicabilità del diritto dell’Unione alla situazione di cui al procedimento principale. Infatti, il sig. Diallo non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38 e non potrebbe beneficiare delle disposizioni di quest’ultima, non essendo un «familiare» ai sensi dell’articolo 2, punto 2), di detta direttiva. Inoltre, i fatti della controversia principale non rientrerebbero neanche nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/86, in quanto la domanda di carta di soggiorno del sig. Diallo sarebbe fondata soltanto sulla sua qualità di ascendente di un cittadino dell’Unione. Infine, il governo belga sostiene che al sig. Diallo non possa essere riconosciuto un diritto di soggiorno sul fondamento degli articoli 20 e 21 TFUE.

27.      A mio avviso, occorre respingere tutte queste obiezioni.

28.      Infatti, va constatato che, dalla decisione di rinvio, risulta che il giudice del rinvio ha indicato le ragioni per le quali ritiene che l’interpretazione richiesta sia necessaria per risolvere la controversia principale ed ha precisato, in particolare, che tale interpretazione del diritto dell’Unione inciderà direttamente sulla valutazione della situazione del sig. Diallo.

29.      Invero, il giudice del rinvio ha affermato, da una parte, che, qualora dalla risposta della Corte risultasse che il termine di sei mesi di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 richieda o non osti a che dal suo superamento consegua il rilascio automatico della carta di soggiorno della quale è stata fatta domanda, quest’ultima dovrebbe essere rilasciata al sig. Diallo.

30.      Dall’altra parte, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se il diritto dell’Unione osti ad una giurisprudenza nazionale secondo la quale l’autorità competente nazionale può avvalersi, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno, dell’intero termine di sei mesi di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

31.      Orbene, tenuto conto del contenuto della normativa belga e dei fatti della controversia principale, l’incidenza dell’interpretazione richiesta sulla situazione del sig. Diallo è incontestabile.

32.      È pacifico che il sig. Diallo ha presentato una domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione in qualità di ascendente di un minore di nazionalità olandese domiciliato in Belgio, che la decisione di diniego gli è stata comunicata oltre sei mesi dopo la presentazione di tale domanda e che, a seguito dell’annullamento di detta decisione, è stata adottata e gli è stata comunicata una seconda decisione.

33.      È altresì pacifico che, ai sensi del diritto belga, qualora entro il termine di sei mesi non sia adottata alcuna decisione, al richiedente è rilasciata d’ufficio una carta di soggiorno.

34.      Pertanto, l’interpretazione fornita dalla Corte consentirà al giudice del rinvio di stabilire se, nel caso di specie, le autorità nazionali avrebbero dovuto rilasciare al sig. Diallo una carta di soggiorno poiché la prima decisione gli è stata comunicata dopo la scadenza del termine di sei mesi e, a seconda del termine di cui disponeva l’autorità nazionale competente per adottare una seconda decisione a seguito dell’annullamento della prima, non è escluso che tale seconda decisione sia stata adottata dopo la scadenza di detto termine.

35.      In tali circostanze, il governo belga non può sostenere che la situazione del sig. Diallo non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38.

36.      Alla luce di tutti questi elementi, ritengo che l’interpretazione richiesta rientri nella competenza interpretativa della Corte.

B.      Sulle questioni pregiudiziali

1.      Sulla prima, seconda e quinta questione pregiudiziale

37.      Con la prima, la seconda e la quinta questione pregiudiziale, che, a mio avviso, occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che la decisione relativa alla domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione deve essere adottata e comunicata entro il termine di sei mesi previsto da tale disposizione.

38.      Nell’ipotesi in cui detta decisione possa essere comunicata successivamente, il giudice del rinvio interroga la Corte in merito al termine entro il quale deve avvenire la comunicazione.

39.      Infine, il giudice del rinvio interroga la Corte in merito alle conseguenze del superamento del termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, in particolare per quanto riguarda il rilascio della carta di soggiorno.

40.      Tali questioni sollevano, a mio avviso, due problemi distinti, vale a dire, da una parte, il termine entro il quale la decisione adottata a seguito di una domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione deve essere adottata e comunicata e, dall’altra, l’eventuale conseguenza del superamento del termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

a)      Sui termini di adozione e di comunicazione delle decisioni di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38

41.      Dopo aver evidenziato il carattere perentorio del termine di sei mesi di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, indicherò gli obblighi incombenti alle autorità nazionali competenti per quanto riguarda la comunicazione delle decisioni di rilascio e di diniego della carta di soggiorno.

42.      In primo luogo, per quanto concerne la natura del termine di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, occorre ricordare che, secondo tale disposizione, il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda.

43.      Pertanto, è giocoforza constatare, da una parte, che la lettera di tale articolo disciplina espressamente soltanto la situazione in cui la domanda di carta di soggiorno è stata ritenuta fondata e, di conseguenza, è stata constatata la sussistenza del diritto di soggiorno e, dall’altra, che i termini utilizzati e i tempi dei verbi impiegati conferiscono a tale disposizione un carattere incontestabilmente perentorio.

44.      Ritengo quindi che tanto l’utilizzo dell’indicativo presente quanto il ricorso alla formula «non oltre», che indica chiaramente che tale termine costituisce la durata massima del tempo di esame della domanda (7), depongano a favore di tale conclusione (8).

45.      Inoltre, ricorrendo alla nozione di «rilascio», il legislatore ha chiaramente manifestato la propria intenzione di fissare un limite temporale alle autorità nazionali competenti. Prescrivendo che gli Stati membri sono tenuti a rilasciare la carta di soggiorno al richiedente «non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda», l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 esige che, entro tale termine di sei mesi, le autorità nazionali competenti esaminino la domanda, adottino una decisione e, in caso di constatazione del diritto di soggiorno del richiedente, rilascino una carta di soggiorno. Pertanto, il rilascio di tale documento concretizza la decisione positiva precedentemente adottata dalle autorità nazionali competenti a seguito del loro esame della domanda.

46.      Infatti, come ha giustamente sottolineato la Commissione europea, l’utilizzo del termine «rilascio» e di termini corrispondenti in altre versioni linguistiche della direttiva 2004/38 (9) implica non soltanto che la decisione sia adottata entro il termine di sei mesi, ma anche che la carta di soggiorno sia messa a disposizione del richiedente entro tale termine.

47.      Inoltre, qualsiasi altra interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 metterebbe in discussione l’effettività del diritto di soggiorno e, in definitiva, l’effetto utile di detta disposizione, poiché tale effetto utile potrà prodursi appieno soltanto quando il richiedente sarà in possesso di detta carta.

48.      Infatti, come sottolinea giustamente la Commissione, il possesso di un documento di natura permanente, anziché di una ricevuta transitoria rilasciata dalle autorità nazionali al momento della presentazione della domanda, facilita indubbiamente l’esercizio quotidiano del diritto di soggiorno, mentre il carattere temporaneo della ricevuta non consente di beneficiare della disposizione di cui all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, che esonera i familiari da obblighi di visto.

49.      Infine, tale interpretazione trova conferma nella giurisprudenza della Corte, la quale, interrogata non già sulla natura del termine, bensì sulle condizioni di rilascio della carta di soggiorno, ha dichiarato che la carta che constata il diritto di soggiorno deve essere «fornita» non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda (10).

50.      Ne consegue, quindi, a mio avviso, che il riconoscimento della fondatezza della domanda e la sua materializzazione in un titolo devono avvenire entro detto termine, poiché tale riconoscimento ufficiale conferisce al beneficiario il diritto a determinati vantaggi.

51.      Poiché la nozione di «rilascio» riguarda esclusivamente i casi in cui le autorità nazionali competenti constatino che il richiedente soddisfa le condizioni del diritto di soggiorno, si pone quindi la questione se, considerato il silenzio della direttiva 2004/38, il fatto che la decisione sia negativa e che il rilascio della carta di soggiorno sia rifiutato comporti una modifica della durata o della natura del termine.

52.      Ciò, a mio avviso, non avviene. Il termine non può cambiare natura e diventare semplicemente indicativo nel caso in cui, come nella specie per quanto riguarda la situazione del sig. Diallo, le autorità nazionali rifiutino di rilasciare la carta di soggiorno.

53.      Infatti, è chiaro che lo spirito della direttiva 2004/38 impone che la situazione delle persone che si trovano nel caso del sig. Diallo sia esaminata nel più breve tempo possibile.

54.      Inoltre, se, come propongo, le autorità devono rilasciare la carta di soggiorno entro il termine di sei mesi e adottare una decisione a tal fine, l’esame della domanda preliminare a tale decisione avviene necessariamente entro detto termine. Di conseguenza, ritenere che il termine di sei mesi sia perentorio anche nei casi di diniego della carta di soggiorno non impone alcun obbligo supplementare in termini di celerità alle autorità nazionali competenti.

55.      Ciò premesso, non vedo per quale motivo una decisione di diniego della concessione della carta di soggiorno possa essere adottata dopo il termine di sei mesi o addirittura essere rinviata sine die.

56.      In secondo luogo, per quanto riguarda i quesiti del giudice del rinvio relativi alla comunicazione della decisione, ritengo che, sul piano procedurale, le situazioni che danno luogo al rilascio della carta di soggiorno debbano essere distinte dalle situazioni, come nel caso di specie, di diniego di tale carta.

57.      Qualora il diritto di soggiorno sia constatato, ritengo che la decisione debba essere adottata e che la carta debba essere rilasciata entro il termine di sei mesi, per le ragioni esposte ai paragrafi da 44 a 50 delle presenti conclusioni.

58.      Per contro, sebbene il carattere perentorio del termine previsto da tale disposizione imponga che la decisione di diniego della carta di soggiorno sia adottata entro tale termine, ritengo tuttavia che la comunicazione di una siffatta decisione possa avvenire dopo detto termine.

59.      È pur vero che, conformemente alle disposizioni della direttiva 2004/38 (11) e al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (12), la comunicazione di una decisione di diniego della concessione di una carta di soggiorno è obbligatoria (13).

60.      Tuttavia, al pari del governo belga, ritengo che la comunicazione si differenzi fondamentalmente dall’esame delle condizioni del diritto di soggiorno, cosicché il termine di sei mesi non riguarda la comunicazione.

61.      Infatti, la comunicazione è priva di incidenza sul diritto di soggiorno, ma condiziona il controllo delle decisioni relative alla constatazione dell’esistenza o dell’assenza di tale diritto.

62.      Inoltre, alla luce del silenzio del legislatore in merito alla comunicazione delle decisioni di diniego della concessione della carta di soggiorno e dei diversi ambiti di applicazione delle direttive 2003/86 e 2004/38, l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2003/86 – il quale prescrive che le autorità nazionali competenti, entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, comunicano per iscritto la decisione, di accoglimento o di rigetto, alla persona interessata – non è di alcun aiuto ai fini dell’interpretazione degli obblighi delle autorità nazionali ai sensi della direttiva 2004/38.

63.      Ciò posto, la comunicazione deve avvenire, a mio avviso, nel più breve tempo possibile in seguito all’adozione della decisione da parte delle autorità nazionali competenti, precisamente al fine di consentire all’interessato di contestarla nel più breve tempo possibile.

64.      In tal modo, l’interpretazione che propongo non pregiudica i diritti dei richiedenti la carta di soggiorno.

65.      Infatti, al momento della presentazione della domanda, al richiedente è rilasciata immediatamente una ricevuta, che rimane valida fino alla comunicazione della decisione di diniego della carta di soggiorno e lo protegge temporaneamente.

66.      Inoltre, poiché il termine di ricorso contenzioso inizia a decorrere soltanto al momento della comunicazione della decisione (14), e non al momento dell’adozione di quest’ultima, la comunicazione della decisione dopo il termine di sei mesi non pregiudica il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

b)      Sulle conseguenze del superamento del termine di sei mesi di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38

67.      Il giudice del rinvio interroga la Corte sulle conseguenze del superamento del termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. In particolare, esso chiede alla Corte se tale direttiva richieda o consenta che la conseguenza del superamento di detto termine consista nella concessione automatica della carta di soggiorno senza che venga accertato preliminarmente che il richiedente soddisfi le condizioni necessarie per beneficiarne.

68.      A tale riguardo, è vero che, poiché la direttiva 2004/38 non precisa affatto le conseguenze derivanti dal superamento del termine di sei mesi, tale questione rientra, in linea di principio, nell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di effettività e di equivalenza (15).

69.      Tuttavia, tenuto conto dell’obiettivo della direttiva 2004/38 e delle ripercussioni del rilascio automatico della carta di soggiorno, sono convinto che l’articolo 10, paragrafo 1, di tale direttiva non consenta che dal superamento del termine di sei mesi derivi una siffatta conseguenza.

70.      In primo luogo, la normativa belga dà luogo a situazioni che sono, a mio avviso, contrarie allo scopo perseguito dalla direttiva 2004/38.

71.      Infatti, sia la lettera che lo spirito della direttiva 2004/38 presuppongono che la risposta fornita a una domanda di carta di soggiorno sia conforme alla situazione del richiedente e sia fondata su un esame approfondito e individuale della situazione di quest’ultimo (16).

72.      Orbene, nel caso di specie, la situazione del sig. Diallo illustra perfettamente i risultati, quanto meno incongrui, a cui può dare luogo la normativa belga.

73.      Infatti, la comunicazione di una decisione di riconoscimento del diritto di soggiorno dopo il termine di sei mesi è priva di conseguenze, mentre, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in caso di rigetto della domanda di carta di soggiorno, l’inosservanza del termine di sei mesi dà luogo al rilascio automatico di un titolo di soggiorno indebito che accerta un diritto che è, in realtà, contrario alla decisione che non è stata comunicata in tempo.

74.      È pur vero che il ragionamento è stato qui spinto alle estreme conseguenze ai fini della nostra dimostrazione. Tuttavia, le conseguenze di tale ragionamento dimostrano, a mio avviso, che le disposizioni della legge belga danno luogo, in ogni caso, ad un risultato contrario allo scopo perseguito dalla direttiva 2004/38, che consiste, evidentemente, nel fornire alla domanda di carta di soggiorno una risposta corrispondente alla situazione del richiedente.

75.      In secondo luogo, ritengo che il sistema di rilascio automatico delle carte di soggiorno sia fonte di incertezza del diritto.

76.      Riconosco che la volontà dichiarata dal governo belga di evitare il diniego di amministrazione è lodevole e che la normativa belga consente al richiedente di vedere chiarita la sua situazione malgrado l’inerzia o la lentezza delle autorità nazionali competenti.

77.      Tuttavia, poiché le carte di soggiorno rilasciate d’ufficio possono essere in seguito ritirate, queste ultime hanno, in realtà, soltanto un carattere provvisorio. Di conseguenza, la normativa belga genera, in capo ai titolari di dette carte, una notevole incertezza del diritto e persino situazioni inique, poiché, alcuni anni dopo aver rilasciato la carta di soggiorno senza un effettivo esame della situazione del richiedente, le autorità belghe possono revocare la carta con la motivazione che il titolare, benché in buona fede, non ha mai soddisfatto le condizioni di rilascio di tale carta.

78.      Orbene, contrariamente alla ricevuta provvisoria rilasciata al richiedente in attesa dell’adozione di una decisione, la carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione non presenta affatto un carattere provvisorio.

79.      Inoltre, tenuto conto del carattere automatico del rilascio della carta, è paradossale che il governo belga tenti di invocare il diritto all’errore per giustificare la possibilità di revocare tale carta.

80.      Infatti, sebbene sia ovvio che non può essere negata all’amministrazione la possibilità di correggere eventuali errori, è giocoforza constatare che il rilascio automatico delle carte di soggiorno non risulta da un errore, ma piuttosto dall’inerzia o dalla lentezza dell’amministrazione che non ha adottato una decisione entro il termine stabilito.

81.      In terzo luogo, il rilascio di un titolo di soggiorno ad un cittadino di uno Stato terzo deve essere considerato non come un atto costitutivo di diritti, ma come un atto destinato a constatare, da parte di uno Stato membro, la situazione individuale di tale cittadino (17).

82.      Orbene, la normativa belga che, come conseguenza della lentezza o dell’inerzia dell’amministrazione, impone il rilascio automatico della carta richiesta, attraverso la natura in realtà provvisoria che essa attribuisce a tale carta – che può essere in seguito revocata –, conferisce a tale documento il carattere di una presunzione relativa dell’esistenza di un diritto e non un carattere dichiarativo di tale diritto.

83.      Alla luce di tutti questi elementi, sono convinto che il superamento del termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 non possa avere come conseguenza il rilascio automatico della carta di soggiorno, vale a dire la constatazione automatica, ed eventualmente erronea, del diritto del richiedente.

84.      Infatti, sebbene detto superamento non possa restare senza conseguenze, il fatto che il richiedente soddisfi o meno le condizioni per ottenere la carta di soggiorno è indipendente dall’inerzia dell’amministrazione, poiché tali circostanze non modificano in alcun modo la situazione oggettiva del richiedente la carta di soggiorno e la constatazione secondo cui egli soddisfa o meno le condizioni per ottenere una carta di soggiorno.

85.      Tuttavia, il ricorso per responsabilità extracontrattuale dello Stato membro interessato per violazione del diritto dell’Unione costituisce uno strumento appropriato per determinare le conseguenze del superamento del termine perentorio di sei mesi in ciascun caso di specie (18).

86.      Infatti, qualora il ritardo dello Stato membro causasse di per sé un danno specifico, l’azione di risarcimento di tale danno, indipendentemente dalla sua natura, dovrebbe offrire al richiedente la carta di soggiorno un diritto al risarcimento (19).

87.      Alla luce di tutte queste considerazioni, da una parte, ritengo che la decisione di diniego della concessione di una carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 debba essere adottata entro il termine di sei mesi previsto da tale disposizione, ma possa essere comunicata successivamente.

88.      Dall’altra, considero che detta direttiva osti ad una normativa nazionale secondo la quale, in assenza di decisione entro il termine di sei mesi, la carta di soggiorno è automaticamente concessa, anche qualora il richiedente non soddisfi le condizioni necessarie.

2.      Sulla terza e sulla quarta questione pregiudiziale

89.      Con la terza e la quarta questione pregiudiziale, che propongo alla Corte di esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede se il diritto dell’Unione osti ad una giurisprudenza nazionale secondo la quale l’autorità competente nazionale può avvalersi, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, dell’intero termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

90.      È giocoforza constatare che, poiché la direttiva 2004/38 non disciplina la questione del termine di cui dispone l’amministrazione per adottare una decisione a seguito dell’annullamento di una prima decisione, tale questione rientra nell’autonomia procedurale degli Stati membri (20).

91.      Di conseguenza, spetta al giudice del rinvio verificare che il principio di equivalenza sia rispettato. A tale riguardo, la regola secondo cui l’autorità competente nazionale può avvalersi, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, dell’intero termine costituisce, come viene precisato nella decisione di rinvio, una regola giurisprudenziale e si applica, di conseguenza, alle procedure che disciplinano situazioni analoghe sottoposte al diritto interno.

92.      Quanto al rispetto del principio di effettività, è necessario verificare che le norme procedurali nazionali non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione.

93.      Comprendo bene la posizione del sig. Diallo e la portata della sua argomentazione. Nel suo caso personale, obbligare l’amministrazione ad adottare e a comunicare la seconda decisione nei pochi giorni che restano prima della scadenza del termine di sei mesi equivale ad imporre a quest’ultima un compito quasi impossibile che comporta, a causa del carattere automatico del rilascio della carta di soggiorno in caso di superamento del termine, la certezza per lui di beneficiare di un titolo di soggiorno al quale egli potrebbe non avere diritto.

94.      Naturalmente, la tutela giurisdizionale effettiva impone che una persona a cui viene respinta la domanda di carta di soggiorno mediante una decisione successivamente annullata abbia diritto a che venga adottata una nuova decisione (21) entro un termine che non superi quello di cui disponeva l’amministrazione per adottare la prima decisione, vale a dire, nel caso di specie, un termine di sei mesi (22).

95.      Tuttavia, il carattere retroattivo dell’annullamento impone che la decisione annullata sia considerata come mai esistita, che l’amministrazione si ritrovi nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza e, di conseguenza, che essa disponga di un termine di sei mesi. Infatti, come sottolinea giustamente il governo belga, l’annullamento comporta l’obbligo di riprendere ab initio la procedura ormai considerata come mai esistita.

96.      Tale posizione non è certamente rimessa in discussione dalla necessaria protezione dei diritti dei richiedenti la carta di soggiorno.

97.      Infatti, è chiaro che non si possono imporre all’amministrazione termini talmente brevi da rendere praticamente impossibile qualsiasi esame serio, in contraddittorio e diligente delle domande ad essa sottoposte, mentre tale esame, essendo stata annullata la prima decisione, risulta necessario.

98.      Inoltre, se, come ha sottolineato la Commissione durante la procedura legislativa, «[i]l termine di sei mesi sembra essere più realistico per permettere agli Stati membri di procedere alle verifiche necessarie ed al rilascio della carta di soggiorno» (23), allora un tale termine è ancora più necessario qualora la prima decisione sia stata annullata.

99.      Pertanto, ritenere, come suggerisce il ricorrente nel procedimento principale, che le autorità nazionali dispongano soltanto della parte residua del termine di sei mesi per adottare una seconda decisione contrasta, a mio avviso, con il diritto dei richiedenti la carta di soggiorno di vedere la loro domanda esaminata seriamente e diligentemente.

100. Inoltre, l’interpretazione raccomandata dalla Commissione, secondo la quale il nuovo termine deve essere determinato caso per caso, è, a mio avviso, doppiamente problematica.

101. Da una parte, dipendendo tale metodo dal grado di diligenza dell’autorità in questione nonché dal motivo di annullamento, esso non consente affatto di determinare facilmente il nuovo termine concesso all’autorità nazionale competente. Esso rischia inoltre di dar luogo a nuove controversie e all’allungamento dei tempi di decisione e di procedura, poiché la Commissione propone che l’autorità nazionale debba motivare il nuovo termine di cui dispone.

102. Dall’altra parte, trattandosi di un contenzioso di massa, tale posizione non è realistica e comporterebbe parimenti l’allungamento dei tempi di decisione.

103. In ogni caso, se è vero che il fatto che l’autorità competente nazionale possa avvalersi, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno, dell’intero termine di sei mesi di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 può comportare l’allungamento della procedura, il richiedente è temporaneamente protetto dalla ricevuta rilasciatagli al momento della presentazione della sua domanda.

104. Alla luce di tutte queste considerazioni, ritengo che l’autorità competente nazionale possa avvalersi, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, dell’intero termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

IV.    Conclusione

105. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio):

1)      La decisione di diniego di una carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere adottata entro il termine di sei mesi previsto da tale disposizione, ma può essere comunicata successivamente.

2)      L’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 non consente che la conseguenza del superamento del termine di sei mesi sia la concessione automatica della carta di soggiorno, senza che sia stato accertato che il richiedente soddisfi effettivamente le condizioni necessarie per beneficiare del diritto di soggiorno.

3)      A seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, l’autorità nazionale competente dispone dell’intero termine di sei mesi previsto da tale disposizione per adottare una nuova decisione.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2004, L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34.


3      Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584; in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980».


4      Moniteur belge del 27 ottobre 1981, pag. 13740; in prosieguo: il «regio decreto dell’8 ottobre 1981».


5      GU 2003, L 251, pag. 12.


6      Firmata a Roma il 4 novembre 1950.


7      V., per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Housieaux (C‑186/04, EU:C:2005:70, paragrafo 23).


8      A tale riguardo, può essere effettuato un parallelo con l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, 56, pag. 850), riguardo al quale dalla giurisprudenza – in particolare, dalla sentenza del 14 aprile 2005, Commissione/Spagna (C‑157/03, EU:C:2005:225, punti 45 e 46) – risulta che tale termine era perentorio. Peraltro, il punto 2.2.2 della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38 [COM(2009) 313 definitivo] afferma chiaramente che «[l]a carta di soggiorno deve essere rilasciata entro sei mesi dalla data della domanda. Il termine va interpretato alla luce dell’articolo 10 del trattato CE e la durata massima di sei mesi può giustificarsi solo qualora in sede di valutazione della domanda vengano in questione motivi di ordine pubblico».


9      Ad esempio, le versioni in lingua spagnola, inglese e italiana di tale direttiva menzionano, rispettivamente, la «expedición de un documento», l’«issuing of a document» e il «rilascio di un documento».


10      V. sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 42).


11      V. articoli 15 e 30 di tale direttiva.


12      Nel senso che l’efficacia dei rimedi giurisdizionali presuppone che l’interessato possa conoscere la motivazione della decisione adottata nei suoi confronti al fine di fare valere e di difendere i propri diritti, v. sentenze del 17 novembre 2011, Gaydarov (C‑430/10, EU:C:2011:749, punto 41 e giurisprudenza ivi citata), e del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 53). Sull’importanza e sulla portata dell’obbligo di motivazione incombente alle autorità nazionali, v. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa CO Sociedad de Gestión y Participación e a. (C‑18/14, EU:C:2015:95, nota 40).


13      Ad ogni buon conto, rammento che la comunicazione non può dipendere da una domanda dell’interessato, in quanto, da una parte, una tale interpretazione sarebbe contraria all’articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, secondo cui «[o]gni provvedimento (…) è notificato» e, dall’altra, è illogico pretendere che una persona richieda la comunicazione di una decisione di cui ignora l’esistenza. A tale riguardo, occorre distinguere le domande volte alla comunicazione di una decisione da quelle volte alla comunicazione della motivazione di una decisione. Per quanto riguarda tale seconda ipotesi, la giurisprudenza ammette che la motivazione possa essere comunicata soltanto dopo una richiesta in tal senso: v. sentenza del 17 novembre 2011, Gaydarov (C‑430/10, EU:C:2011:749, punto 41).


14      V. articolo 30, paragrafo 3, in fine, della direttiva 2004/38.


15      In un caso relativamente simile, nel quale una direttiva non indicava le conseguenze del superamento del termine di risposta impartito alle autorità nazionali, la Corte ha già dichiarato che, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, spettava agli Stati membri determinare gli effetti di un tale superamento del termine e che, di conseguenza, la direttiva non imponeva l’adozione di una decisione implicita di accettazione: v. sentenza del 20 gennaio 2005, Merck, Sharp & Dohme (C‑245/03, EU:C:2005:41, punti da 25 a 34). Più in generale, sulla questione del silenzio dell’amministrazione nel diritto dell’Unione, v. Bonichot, J.-C., «Le silence de l’administration communautaire: le silence est-il d’or en droit de l’Union?», La Cour de justice de l’Union européenne sous la présidence de Vassilios Skouris (2003-2015): liber amicorum Vassilios Skouris, Bruylant, Bruxelles, 2015, pagg. 117-129.


16      V. sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punti 22 e 26). A tale riguardo, da una parte, va rilevato che il richiedente la carta di soggiorno deve, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e dell’articolo 52, paragrafo 2, del regio decreto dell’8 ottobre 1981, fornire all’amministrazione un fascicolo contenente, oltre alla prova della sua identità, i documenti che consentano di dimostrare validamente che egli soddisfa le condizioni necessarie per il rilascio di tale carta. Dall’altra parte, a mio avviso, a porre problemi non è l’eventuale carattere implicito della decisione, bensì il fatto che, dal testo della normativa belga, risulta che la carta di soggiorno è rilasciata qualora non sia stata adottata alcuna decisione e senza che sia stato accertato che il richiedente soddisfi effettivamente le condizioni necessarie per beneficiare del diritto di soggiorno.


17      V. soluzione derivante dalle sentenze del 21 luglio 2011, Dias (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 48 e giurisprudenza ivi citata), nonché del 14 settembre 2017, Petrea (C‑184/16, EU:C:2017:684, punto 32), estesa dalla sentenza del 12 marzo 2014, O. e B. (C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 60) all’articolo 10 della direttiva 2004/38.


18      A tale riguardo, al paragrafo 78 delle sue conclusioni nella causa Commissione/Moravia Gas Storage (C‑596/13 P, EU:C:2014:2438), l’avvocato generale Kokott aveva ritenuto che il superamento del termine non impedisse alla Commissione di adottare una decisione e che il superamento del termine da parte della Commissione potesse, in mancanza di un motivo idoneo a giustificare tale superamento, far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.


19      Tenuto conto del testo della questione pregiudiziale, sono qui considerate soltanto le conseguenze del superamento del termine di sei mesi per il richiedente. Se le conseguenze dell’inosservanza del termine di sei mesi dovessero essere valutate sotto il profilo della sanzione dello Stato membro, allora un tale ritardo potrebbe costituire un inadempimento nell’attuazione della direttiva: v., per analogia, sentenza del 14 aprile 2005, Commissione/Spagna (C‑157/03, EU:C:2005:225).


20      In un diverso contesto, la Corte ha già dichiarato, da una parte, che spetta agli Stati membri stabilire se il superamento del termine previsto in una direttiva non osti a che le autorità competenti adottino una nuova decisione qualora la decisione precedente sia stata annullata in via giurisdizionale e, dall’altra, che una siffatta possibilità può essere esercitata solo entro un termine ragionevole che non può comunque superare il termine previsto da detto articolo: v. sentenza del 20 gennaio 2005, Glaxosmithkline (C‑296/03, EU:C:2005:42, punto 39).


21      V. sentenza del 20 gennaio 2005, Glaxosmithkline (C‑296/03, EU:C:2005:42, punto 35).


22      V. sentenza del 20 gennaio 2005, Glaxosmithkline (C‑296/03, EU:C:2005:42, punto 37).


23      Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (presentata dalla Commissione in applicazione dell’articolo 250, paragrafo 2 del trattato CE) [COM(2003) 199 definitivo].