Language of document : ECLI:EU:C:2018:391

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 5 giugno 2018 (1)

Causa C234/17

XC

YB

ZA

con l’intervento di

Generalprokuratur

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria)]

«Rinvio pregiudiziale – Principi del diritto dell’Unione – Autonomia procedurale – Principi di effettività e di equivalenza – Mezzo di ricorso che consente di ottenere la riapertura di un procedimento penale concluso con una decisione passata in giudicato in caso di violazione della CEDU – Obbligo di estendere tale mezzo di ricorso alle violazioni del diritto dell’Unione – Insussistenza – Articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione – Articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen – Principio del ne bis in idem»






I.      Introduzione

1.        Con decisione del 23 gennaio 2017, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria) ha presentato alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione e, in particolare, dei principi di equivalenza ed effettività.

2.        XC, YB e ZA (in prosieguo: gli «interessati») sono sospettati di evasione fiscale e di altri reati sul territorio svizzero. In applicazione dell’articolo 50, paragrafo 1, della convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990 ed entrato in vigore il 26 marzo 1995 (2) (in prosieguo: la «CAAS»), il pubblico ministero del canton San Gallo (Svizzera) ha sottoposto al pubblico ministero di Feldkirch (Austria) diverse domande di assistenza giudiziaria dirette ad ottenere l’interrogatorio degli interessati in qualità di imputati.

3.        In esito al procedimento penale che si è svolto in Austria gli interessati hanno proposto un ricorso dinanzi al giudice del rinvio diretto ad ottenere la riapertura del procedimento penale concluso con una decisione passata in giudicato in caso di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, o di uno dei suoi protocolli aggiuntivi (in prosieguo, congiuntamente, la «CEDU»). Tale mezzo di ricorso è stato introdotto nel diritto austriaco al fine di consentire l’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») che accertano una violazione della CEDU.

4.        Nell’ambito dei loro ricorsi, gli interessati hanno addotto segnatamente una violazione del principio del ne bis in idem come garantito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dall’articolo 54 della CAAS. Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione, e in particolare i principi di equivalenza e di effettività, debba essere interpretato nel senso che il giudice nazionale è tenuto a valutare, nell’ambito di un siffatto ricorso, l’esistenza di una violazione del diritto dell’Unione – in particolare dell’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS – sebbene il diritto nazionale preveda un siffatto riesame solo per quanto concerne le violazioni della CEDU.

5.        Proporrò alla Corte di rispondere a tale questione in senso negativo tenuto conto dell’esistenza di un «quadro costituzionale» (3) sviluppato dalla Corte e che assicura l’effettività del diritto dell’Unione ancor prima che le decisioni nazionali acquisiscano autorità di cosa giudicata, quadro che non ha equivalenti nella CEDU.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

6.        La CAAS è stata conclusa nell’intento di assicurare l’applicazione dell’accordo tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen il 14 giugno 1985 (4).

7.        L’articolo 50, paragrafo 1, della CAAS, inserito all’interno del titolo III, capitolo 2, di quest’ultima, rubricato «Assistenza giudiziaria in materia penale», dispone che:

«Le Parti contraenti si impegnano ad accordarsi, conformemente alla Convenzione ed al trattato di cui all’articolo 48, l’assistenza giudiziaria per le infrazioni alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di accise, d’imposta sul valore aggiunto [IVA] e di dogane (…)».

8.        L’articolo 54 della CAAS, inserito all’interno del titolo III, capitolo 3, di quest’ultima, rubricato «Applicazione del principio ne bis in idem», dispone che:

«Una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita».

B.      Diritto austriaco

9.        Il 1° marzo 1997 è stato inserito nel Strafprozessordnung (codice di procedura penale austriaco, in prosieguo: il «codice di procedura penale») l’articolo 363a. Tale disposizione prevede che:

«(1)      Se una sentenza della [Corte EDU] accerta che una decisione o un provvedimento di un giudice penale viola la [CEDU], qualora non si possa escludere che la violazione fosse atta ad incidere in modo svantaggioso per l’interessato sul contenuto di una decisione giurisdizionale in materia penale, il procedimento, su richiesta, deve essere riaperto.

(2)      In merito alla domanda di riapertura del procedimento è in ogni caso competente a decidere l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema). Possono presentare la domanda l’interessato colpito dalla violazione constatata e il Procuratore generale (Generalprokurator) (…). La domanda va presentata all’Oberster Gerichtshof. Se la domanda è presentata dal Procuratore generale deve essere sentito l’interessato, mentre per una domanda da parte dell’interessato occorre sentire il Procuratore generale (…)».

III. Controversia nella causa principale

10.      Il pubblico ministero del Canton San Gallo (Svizzera) svolgeva un’indagine penale nei confronti di XC, YB e altri per presunta evasione fiscale ai sensi dell’articolo 96, paragrafo 1, lettera b), della legge svizzera in materia di IVA (Mehrwertsteuergesetz) e per presunti altri reati. I suddetti soggetti avrebbero ottenuto indebiti rimborsi dell’IVA per un importo complessivo di CHF 835 374,17 (circa EUR 698 327,41) mediante dichiarazioni mendaci rilasciate all’amministrazione tributaria svizzera.

11.      Nell’ambito di tale indagine, il pubblico ministero del Canton San Gallo inviava una domanda di assistenza giudiziaria al pubblico ministero di Feldkirch (Austria).

12.      Con ordinanza del 15 marzo 2013, adottata dall’Oberlandesgericht Innsbruck (Tribunale superiore del Land di Innsbruck), in qualità di giudice d’appello, a seguito di opposizione e ricorso, veniva decisa l’ammissibilità dell’assistenza giudiziaria per l’ufficio di indagine cantonale (Kantonales Untersuchungsamt, Svizzera) concernente l’interrogatorio dell’imputata YB. In tal modo, esso respingeva le obiezioni fondate sull’articolo 54 della CAAS e sul fatto che diversi procedimenti fossero stati chiusi nel 2011 e 2012 da parte, rispettivamente, del pubblico ministero di Heilbronn (Germania) e del Fürstliches Landgericht del Liechtenstein (tribunale del Principato, Liechtenstein). In tale contesto l’attenzione veniva esplicitamente riposta sul capo d’accusa relativo alle esportazioni di merci e ai rimborsi dell’IVA per un importo complessivo di CHF 835 374,17 (circa EUR 698 327,41).

13.      XC e YB presentavano contro tale decisione una domanda di riapertura del procedimento dinanzi al giudice del rinvio. Con ordinanza del 17 settembre 2013, tale giudice annullava le decisioni del 31 dicembre 2012 del Landesgericht Feldkirch (tribunale regionale di Feldkirch, Austria) e del 15 marzo 2013 dell’Oberlandesgericht Innsbruck (tribunale superiore del Land di Innsbruck) nella parte in cui non riguardavano la domanda di assistenza giudiziaria relativa a presunti reati ai danni dell’amministrazione tributaria svizzera. In riferimento alle parti annullate, la domanda di assistenza giudiziaria veniva respinta. In riferimento alle parti non annullate, detto giudice precisava nei motivi che «il pubblico ministero dovrà dare seguito alla richiesta di interrogatorio non contestata nella domanda di riapertura in relazione ai presunti reati ai danni dell’amministrazione tributaria svizzera».

14.      Per la parte relativa ai presunti reati ai danni dell’amministrazione tributaria svizzera, il pubblico ministero di Feldkirch proseguiva la procedura. In tale ambito, esso riceveva dal pubblico ministero del Canton San Gallo richieste di eseguire ulteriori interrogatori, e l’ultima di tali richieste riguardava ZA in quanto imputato. Le successive opposizioni di XC e YB venivano respinte dal Landesgericht Feldkirch (tribunale regionale di Feldkirch) per intervenuta decisione definitiva. Anche i ricorsi proposti avverso altre decisioni di tale giudice venivano respinti.

15.      Con ordinanza del 9 ottobre 2015, l’Oberlandesgericht Innsbruck (tribunale superiore del Land di Innsbruck) respingeva anche i ricorsi degli interessati contro l’ordinanza del Landesgericht Feldkirch (tribunale regionale di Feldkirch) del 13 agosto 2015. Tale giudice indicava nella propria motivazione che anche la domanda di assistenza giudiziaria del 23 aprile 2015 si limitava ai presunti reati ai danni dell’amministrazione tributaria svizzera. Detto giudice non ravvisava elementi per ritenere che un interrogatorio di ZA potesse violare l’articolo 54 della CAAS.

16.      Ai sensi del codice di procedura penale, l’Oberlandesgericht Innsbruck (tribunale superiore del Land di Innsbruck) emanava la decisione del 9 ottobre 2015 in qualità di giudice di secondo e ultimo grado. Tale decisione è, di conseguenza, divenuta definitiva.

17.      Contro tale ordinanza gli interessati presentavano, in data 18 aprile 2016, una domanda di riapertura del procedimento dinanzi al giudice del rinvio. Essi sostengono che la concessione di assistenza giudiziaria al pubblico ministero di San Gallo abbia comportato una violazione dell’articolo 6 della CEDU, dell’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU, dell’articolo 50 della Carta e dell’articolo 54 della CAAS. Essi chiedono, in via principale, che il giudice del rinvio voglia riaprire il procedimento penale e dichiarare inammissibile l’assistenza giudiziaria.

IV.    La questione pregiudiziale

18.      Il giudice del rinvio precisa che, in Austria, la CEDU riveste rango costituzionale. Tale giudice rammenta che la Corte EDU può essere adita per un’asserita violazione della CEDU solo dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso interni. Di conseguenza, al fine di dare esecuzione alle sentenze della Corte EDU che accertano che una decisione penale definitiva viola la CEDU, l’articolo 363a del codice di procedura penale consente di presentare una domanda di «riapertura» del procedimento penale.

19.      Inoltre, in una decisione di principio del 1° agosto 2007 il giudice del rinvio ha dichiarato che una riapertura del procedimento penale in applicazione di tale disposizione non è subordinata alla previa constatazione da parte della Corte EDU di una violazione della CEDU. Pertanto, tale giudice può accogliere una domanda di riapertura dopo aver esso stesso constatato che una decisione o un provvedimento di un giudice penale di grado inferiore viola la CEDU.

20.      Di conseguenza, nell’ambito di un procedimento penale e sulla base di disposizioni che tutelano i diritti fondamentali nella legge austriaca, sussiste la possibilità di far valere direttamente dinanzi al giudice del rinvio, anche in mancanza di una sentenza della Corte EDU, mediante una domanda ai sensi dell’articolo 363a del codice di procedura penale, una violazione della CEDU. A partire dall’adozione della decisione menzionata al punto precedente, tale mezzo di ricorso è stato utilizzato sempre più frequentemente.

21.      In tale contesto il giudice del rinvio si è interrogato sull’eventuale sussistenza di un obbligo derivante dal principio di equivalenza e di effettività, come interpretato dalla Corte, e in forza del quale egli sarebbe tenuto ad estendere l’applicazione della procedura che prevede la riapertura di un procedimento penale alle presunte violazioni della Carta o di altre disposizioni del diritto dell’Unione.

22.      Alla luce di tali considerazioni, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, in riferimento ai principi di equivalenza ed effettività da esso derivanti, debba essere interpretato nel senso che [il giudice nazionale] è tenuto, su richiesta di un interessato, a sottoporre a riesame una sentenza di un giudice penale passata in giudicato in relazione a una presunta violazione del diritto dell’Unione (nella specie: l’articolo 50 della [Carta] e l’articolo 54 della [CAAS]), qualora il diritto nazionale (…) preveda un siffatto riesame solo per quanto concerne una presunta violazione della [CEDU]».

V.      Procedimento dinanzi alla Corte

23.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata registrata presso la cancelleria della Corte in data 4 maggio 2017.

24.      Osservazioni scritte sono state presentate dal governo austriaco, dal governo ungherese e dalla Commissione europea.

25.      All’udienza, tenutasi il 20 marzo 2018, erano presenti per svolgere osservazioni orali il governo austriaco, il governo ungherese e la Commissione.

VI.    Analisi

26.      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede se il diritto dell’Unione e, in particolare, i principi di equivalenza e di effettività, debba essere interpretato nel senso che impone al giudice nazionale di estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, segnatamente all’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, un mezzo di ricorso di diritto interno che consente di ottenere, in caso di violazione della CEDU, la riapertura di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato.

27.      In limine, ricordo che l’articolo 50 della Carta e l’articolo 54 della CAAS riguardano il diritto fondamentale di non essere giudicato o sanzionato penalmente due volte per lo stesso reato, ovvero principio «ne bis in idem».

28.      Tutte le parti che hanno sottoposto osservazioni alla Corte ritengono che a tale questione si debba rispondere in senso negativo. Per i motivi che illustrerò qui di seguito, questa è anche la mia opinione.

29.      Secondo una giurisprudenza costante, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la salvaguardia dei diritti derivanti, per i contribuenti, dal diritto dell’Unione, ivi comprese quelle che attuano il principio dell’autorità di cosa giudicata, rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Tuttavia, esse non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni simili di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività)(5).

30.      Nella specie, è pacifico che non sussiste una normativa dell’Unione che disciplini una mezzo di ricorso come quello che ha condotto alla controversia di cui alla causa principale, vale a dire un rimedio giurisdizionale che consente agli interessati di far valere che una decisione penale passata in giudicato viola un diritto fondamentale – nella specie, un diritto fondamentale garantito dalla CEDU – e, se opportuno, ottenere la riapertura del procedimento penale controverso.

31.      Di conseguenza, e in applicazione della giurisprudenza testé menzionata, occorre esaminare se il fatto di prevedere un siffatto mezzo di ricorso per le violazioni della CEDU, senza estenderlo alle violazioni del diritto dell’Unione, violi i principi di equivalenza e di effettività, come interpretati dalla Corte. Esaminerò tali due aspetti separatamente nelle sezioni B e C qui di seguito.

32.      In via preliminare, illustrerò le ragioni per cui ritengo che l’eccezione di irricevibilità dedotta dal governo austriaco debba essere respinta (sezione A).

A.      Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

33.      Il governo austriaco ha dedotto un’eccezione di irricevibilità contro la presente domanda di pronuncia pregiudiziale. Secondo tale governo è dubbio che le situazioni giuridiche di cui alla controversia principale rientrino nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, in quanto l’articolo 363a del codice di procedura penale non prevede un mezzo di ricorso in caso di violazione del diritto dell’Unione, bensì in caso di violazione della CEDU.

34.      Secondo costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (6).

35.      Per quanto concerne il primo argomento fatto valere dal governo austriaco, ricordo che la CAAS era in origine un accordo intergovernativo concluso al di fuori dell’ambito dell’Unione europea. Tuttavia, il Trattato di Amsterdam ha integrato l’acquis di Schengen in tale ambito (7). Pertanto, come correttamente rilevato dall’avvocato generale Kokott nella causa E (8), la CAAS è divenuta parte integrante del diritto dell’Unione, applicabile agli Stati membri aderenti allo spazio Schengen.

36.      Di conseguenza, quando le autorità di uno Stato membro accolgono una domanda di assistenza giudiziaria fondata sulla CAAS, come è avvenuto nella controversia di cui al procedimento principale, occorre considerare che esse danno attuazione al diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Tale interpretazione è corroborata dalla sentenza M, nella quale la Corte ha precisato che l’articolo 54 della CAAS deve essere interpretato alla luce dell’articolo 50 della Carta (9), e dalla sentenza Spasic, nella quale la Corte ha esaminato la validità dell’articolo 54 della CAAS in relazione all’articolo 50 della Carta (10).

37.      Il governo austriaco ha inoltre fatto valere che il giudice del rinvio non ha indicato i motivi precisi che l’hanno indotto ad interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione e a ritenere necessaria la presentazione di una questione pregiudiziale alla Corte. Con riferimento a tale secondo argomento, ritengo che il giudice del rinvio abbia esposto chiaramente i dubbi che esso nutre rispetto all’esistenza di un eventuale obbligo di estendere il mezzo di ricorso stabilito dall’articolo 363a del codice di procedura penale alle violazioni del diritto dell’Unione e, in particolare, all’inosservanza dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta o dalla CAAS.

38.      Aggiungo che tale questione può presentare un interesse per la soluzione della controversia di cui al procedimento principale, in quanto la Carta può, in forza del suo articolo 53, offrire una protezione più ampia di quella prevista dalla CEDU. Orbene, questo avviene in effetti con riguardo al principio ne bis in idem, che è stato fatto valere nella controversia di cui al procedimento principale. Infatti, come emerge anche dalle spiegazioni relative alla Carta (11), se la portata del principio ne bis in idem di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del Protocollo n. 7 della CEDU è limitata al territorio di ciascuno Stato considerato separatamente (12), l’articolo 50 della Carta estende invece tale portata al territorio dell’Unione considerato come un’unità (13). Alla stregua dell’articolo 50 della Carta, la portata territoriale dell’articolo 54 della CCAS è costituita dal territorio dell’insieme degli Stati aderenti allo spazio Schengen, considerato come un’unità.

39.      Alla luce di quanto sopra, la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale non mi pare assolutamente contestabile.

B.      Sull’assenza di violazione del principio di effettività sancito dal diritto dell’Unione

40.      Al fine di valutare la sussistenza di una violazione del principio di effettività sancito dal diritto dell’Unione, occorre determinare se l’impossibilità di rimettere in questione una decisione penale passata in giudicato facendo valere una violazione del diritto dell’Unione, segnatamente l’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione ai sensi della giurisprudenza richiamata al paragrafo 29 delle presenti conclusioni.

41.      A mio parere, dalla giurisprudenza della Corte emerge che il principio di effettività sancito dal diritto dell’Unione non richiede, salvo eccezione, che sia rimessa in discussione, in particolare mediante l’istituzione di un mezzo di ricorso specifico, l’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali contrarie al diritto dell’Unione. Tale giurisprudenza si spiega con l’esistenza di un quadro costituzionale sviluppato dalla Corte e che assicura l’effettività del diritto dell’Unione ancor prima che le decisioni nazionali acquisiscano autorità di cosa giudicata (sezione 1).

42.      La Corte ha, inequivocabilmente, stabilito un temperamento al principio dell’osservanza del principio dell’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali nell’ipotesi in cui il singolo non abbia avuto la facoltà di far valere i diritti ad esso conferiti dal diritto dell’Unione. Tale temperamento non è tuttavia pertinente nelle circostanze della controversia di cui alla causa principale (sezione 2).

1.      Il principio: il rispetto dell’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali

43.      Per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha a più riprese ricordato che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. In tale prospettiva, vanno presi in considerazione, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela del diritto alla difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (14).

44.      Tuttavia, la Corte ha altresì più volte sottolineato l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, occorre che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (15).

45.      Orbene, non si può negare che fra tali due principi vi sia una certa tensione. Infatti, l’impossibilità di rimettere in discussione una decisione nazionale passata in giudicato, la cui contrarietà al diritto dell’Unione sarebbe però pacifica, ha, in pratica, come conseguenza necessaria una riduzione dell’effettività del diritto dell’Unione.

46.      Tuttavia, una siffatta conseguenza non comporta, di per sé, una violazione del principio di effettività del diritto dell’Unione come interpretato dalla Corte. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione giudiziaria, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione del diritto dell’Unione (16).

47.      La Corte ha in particolare escluso qualsiasi violazione del principio di effettività sancito dal diritto dell’Unione in situazioni in cui il principio di autorità di cosa giudicata impediva al giudice nazionale di esaminare la validità di lodi arbitrali in relazione all’articolo 101 TFUE (17) o alle norme dell’Unione riguardanti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (18). Parimenti, la Corte ha ammesso che il principio dell’autorità di cosa giudicata impedisce al giudice nazionale di esaminare la validità di decisioni giudiziarie rispetto alle norme dell’Unione relative alla competenza internazionale dei giudici nazionali (19), di quelle relative agli appalti pubblici di lavori (20) o, ancora, dell’articolo 110 TFUE (21).

48.      Così, di norma, il principio di effettività sancito dal diritto dell’Unione non obbliga gli Stati membri a rimettere in questione l’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali, in particolare con l’istituzione di un mezzo di ricorso specifico come quello di cui all’articolo 363a del codice di procedura penale relativa alle violazioni della CEDU.

49.      A mio parere, tale giurisprudenza trova spiegazione nell’esistenza di un quadro costituzionale che conferisce al diritto dell’Unione una buona parte della sua specificità (22) e che assicura l’effettività del diritto dell’Unione ancor prima che le decisioni nazionali acquisiscano autorità di cosa giudicata.

50.      In primo luogo, le disposizioni vincolanti del diritto dell’Unione sono idonee ad attribuire direttamente diritti ai singoli (23). Tale principio dell’effetto diretto implica che il diritto dell’Unione non riguardi soltanto le relazioni fra Stati, ma conferisca agli individui diritti che questi ultimi possono far valere dinanzi a qualsivoglia autorità pubblica e, in particolare, dinanzi a qualsivoglia giudice nazionale.

51.      In relazione al diritto fondamentale oggetto della controversia di cui al procedimento principale, la Corte ha recentemente sottolineato, nella sentenza Garlsson Real Estate e a. (24), che il principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta conferisce ai soggetti dell’ordinamento un diritto direttamente applicabile.

52.      In secondo luogo, il principio del primato del diritto dell’Unione impone a tutti i giudici nazionali l’obbligo di garantire la piena efficacia delle disposizioni direttamente applicabili di tale diritto disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione di diritto nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (25).

53.      Dalla combinazione dell’effetto diretto e del primato del diritto dell’Unione deriva che tutti i giudici austriaci chiamati a pronunciarsi sulla controversia di cui alla causa principale avevano l’obbligo di porre rimedio a qualsiasi violazione del principio ne bis in idem come garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS. Al riguardo, il giudice del rinvio ha espressamente rilevato che il codice di procedura penale offre agli interessati diversi mezzi giuridici per far valere, nell’ambito di un procedimento penale, i diritti conferiti loro dall’ordinamento giuridico dell’Unione, ivi compreso quello di cui all’articolo 50 della Carta. Inoltre, dalla descrizione dei fatti fornita da tale giudice emerge che gli interessati hanno avuto l’effettiva possibilità di presentare diversi ricorsi nel corso del procedimento penale di cui sono stati oggetto, adducendo segnatamente la violazione di disposizioni del diritto dell’Unione come l’articolo 54 della CAAS (26).

54.      In terzo luogo, dall’articolo 267, secondo comma, TFUE, come interpretato dalla Corte, emerge che gli organi giurisdizionali nazionali godono della più ampia facoltà di adire la Corte se ritengono che, nell’ambito di una controversia al loro cospetto, siano sorte questioni, essenziali per la pronuncia nel merito, che richiedono un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto dell’Unione (27). Pertanto, a qualsiasi giudice interno è consentito, prima di adottare una decisione che risolve la controversia pendente dinanzi ad esso, rivolgersi alla Corte al fine di ottenere un’interpretazione vincolante del diritto dell’Unione. In forza dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, tale facoltà si converte persino in obbligo – fatta salva l’ipotesi di «acte clair» (28) – qualora una siffatta questione sia sollevata in una causa pendente dinanzi ad una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno (29).

55.      A mio parere, tale quadro costituzionale assicura, in linea di principio, a qualsiasi individuo normalmente diligente la possibilità di esercitare i diritti che ad esso sono conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione ancor prima di essere oggetto di una decisione avente autorità di cosa giudicata. Pertanto, tale quadro garantisce l’effettività del diritto dell’Unione senza che sia necessario prevedere un mezzo di ricorso che consenta di rimettere in questione le decisioni nazionali passate in giudicato.

56.      Aggiungo che tale quadro costituzionale è completato dall’obbligo che incombe agli Stati membri di prevedere un ricorso che consenta di far valere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione da parte di una decisione nazionale munita di autorità di cosa giudicata (30). Diversamente dai tre principi costituzionali descritti nei paragrafi precedenti, tale obbligo interviene dopo che la decisione nazionale è passata in giudicato. La Corte ha precisato, al riguardo, che il principio dell’autorità di cosa giudicata non si oppone al riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado (31).

57.      Da quanto precede emerge che l’impossibilità, nelle circostanze della controversia di cui alla causa principale, di rimettere in questione una decisione penale passata in giudicato adducendo una violazione del diritto dell’Unione, segnatamente l’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, non costituisce una violazione del principio di effettività del diritto dell’Unione.

2.      L’eccezione: la rimessa in questione dell’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali qualora il singolo non abbia avuto la facoltà di far valere i diritti ad esso conferiti dal diritto dell’Unione

58.      Devo tuttavia sottolineare che la Corte ha stabilito un’eccezione al rispetto dell’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali nell’ipotesi in cui il rispetto di tale principio condurrebbe a blindare una procedura nazionale dotata di alcune caratteristiche strutturali che rendono impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.

59.      Al riguardo, la Corte ha in particolare dichiarato che non è compatibile con il principio di effettività una norma nazionale secondo la quale, nelle controversie tributarie, il giudicato esterno, qualora l’accertamento consacrato concerna un punto fondamentale comune ad altre cause, esplica, rispetto a questo, efficacia vincolante. Infatti, una siffatta norma avrebbe avuto la conseguenza di imporre erga omnes l’interpretazione adottata nella prima decisione, in particolare quanto all’esistenza di una pratica abusiva in materia di IVA, senza possibilità di correzione in caso di interpretazione erronea del diritto dell’Unione (32).

60.      In un’altra causa, la Corte ha precisato che il principio di effettività del diritto dell’Unione osta altresì all’applicazione di una norma nazionale che impedisce al giudice nazionale di trarre tutte le conseguenze di una violazione del divieto di esecuzione degli aiuti di Stato sancito dall’articolo 108, paragrafo 3, terza frase, TFUE, a causa dell’esistenza di una decisione giurisdizionale nazionale, passata in giudicato, che ha affermato che i contratti di cui trattasi nella controversia di cui al procedimento principale rimangono in vigore senza tuttavia esaminare se tali contratti istituiscano un aiuto di Stato. Nella fattispecie in esame, tale norma avrebbe avuto la conseguenza di impedire qualsiasi controllo relativo all’osservanza del citato divieto (33).

61.      Preciso tuttavia che una semplice mancanza di diligenza nell’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione non è sufficiente per rimettere in questione l’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali (34). In altri termini, la rimessa in questione di tale principio, nell’intento di preservare l’effettività del diritto dell’Unione, riguarda unicamente procedure dotate di alcune caratteristiche strutturali che rendono impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.

62.      Nel caso di specie, nessun elemento del fascicolo consente di supporre che questo sia il caso nel procedimento di cui alla causa principale (35).

63.      Alla luce di ciò che precede, ritengo che il principio di effettività del diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che non obbliga il giudice nazionale ad estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, in particolare all’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, un mezzo di ricorso di diritto interno che consente di ottenere, in caso di violazione della CEDU, la riapertura di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato, qualora il singolo abbia avuto la facoltà di far valere i diritti che ad esso sono conferiti dal diritto dell’Unione nell’ambito di tale procedimento.

C.      Assenza di violazione del principio di equivalenza

64.      Al fine di rispondere alla questione proposta dal giudice del rinvio, occorre ancora appurare se il fatto di istituire un mezzo di ricorso che consente di ottenere, in caso di violazione della CEDU, la riapertura di un procedimento penale concluso con una decisione passata in giudicato, senza che essa sia estesa alle violazioni del diritto dell’Unione, segnatamente all’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, costituisca una violazione del principio di equivalenza.

65.      Ai sensi della giurisprudenza richiamata al paragrafo 29 delle presenti conclusioni, il principio di equivalenza esige che le modalità processuali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai contribuenti in forza del diritto dell’Unione non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna.

66.      Per i motivi che mi appresto ad illustrare, ritengo che il principio di equivalenza non obblighi gli Stati membri ad estendere al diritto dell’Unione un mezzo di ricorso come quello in oggetto nella controversia di cui al procedimento principale.

67.      In primo luogo, un ricorso fondato sulla CEDU non costituisce un «ricorso analogo di natura interna» ai sensi della summenzionata giurisprudenza, in quanto non riguarda la violazione di norme di diritto interno. A prescindere dallo status attribuito alla CEDU nella gerarchia delle norme dall’ordinamento giuridico nazionale (36), l’espressione «natura interna» riguarda, secondo me, solo le norme che possono essere modificate o abrogate dalle istituzioni dello Stato membro di cui trattasi. In altri termini, l’espressione «natura interna» riguarda esclusivamente le norme che trovano la propria fonte nell’ordinamento giuridico dello Stato membro di cui trattasi. Chiaramente, la CEDU non contiene norme del genere, alla stregua di qualsiasi strumento di diritto internazionale.

68.      Tale interpretazione è conforme all’obiettivo perseguito dal principio di equivalenza di prevenire pratiche di protezionismo procedurale da parte di uno Stato membro che consisterebbero nell’attribuire alle norme interne uno status privilegiato rispetto a quello offerto al diritto dell’Unione. Nella sentenza Târşia, la Corte ha precisato, al riguardo, che il principio di equivalenza presuppone un pari trattamento dei ricorsi basati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, analoghi, basati su una violazione del diritto dell’Unione (37).

69.      Orbene, il fatto di attribuire uno status privilegiato alla CEDU, vale a dire un complesso di norme internazionali, non può costituire un trattamento discriminatorio ai sensi di tale giurisprudenza. In altre parole, lo status attribuito alla CEDU non rappresenta un termine di paragone rilevante ai fini dell’applicazione del principio di equivalenza. Tenere conto di tale status condurrebbe a trasformare il principio di equivalenza in una clausola «della norma più favorita», in forza della quale il trattamento procedurale più favorevole previsto da uno Stato membro, sia in favore di norme di diritto interno o in favore di norme di diritto internazionale, dovrebbe essere automaticamente esteso al diritto dell’Unione.

70.      In secondo luogo, anche supponendo che un ricorso basato sulla CEDU dovesse essere assimilato a un ricorso di diritto interno, si dovrebbe comunque considerare che il principio di equivalenza non è violato nelle circostanze della controversia di cui alla causa principale in quanto un ricorso fondato sulla CEDU non è «analogo» ad un ricorso basato sul diritto dell’Unione.

71.      Secondo una giurisprudenza costante, il principio di equivalenza impone infatti un obbligo di pari trattamento fra i ricorsi basati su di una violazione del diritto dell’Unione e i ricorsi «analoghi» di diritto interno (38). Di conseguenza, tale principio non può essere interpretato nel senso che obbliga uno Stato membro ad estendere il suo regime nazionale più favorevole a tutte le azioni proposte in un determinato ambito del diritto (39) o, ancora, a tutti i ricorsi basati su di una violazione del diritto dell’Unione (40).

72.      Secondo detta giurisprudenza, occorre verificare l’analogia dei ricorsi di cui trattasi riguardo al loro oggetto, alla loro finalità ed ai loro elementi essenziali, tenendo conto, se del caso, dell’analogia delle norme di cui trattasi in considerazione della loro rilevanza nel procedimento complessivamente inteso, dello svolgimento del procedimento medesimo e delle specificità di tali norme (41).

73.      Orbene, i ricorsi rispettivamente basati sulla CEDU e sul diritto dell’Unione non possono essere considerati analoghi, in particolare con riferimento alla rilevanza che tali norme assumono nel procedimento nazionale ai sensi della summenzionata costante giurisprudenza.

74.      Come ho evidenziato nei precedenti paragrafi, il diritto dell’Unione è caratterizzato dall’esistenza di un quadro costituzionale che obbliga gli Stati membri a garantire l’effettività del diritto dell’Unione ancor prima che le decisioni nazionali acquisiscano autorità di cosa giudicata(42).

75.      Per contro, la ricevibilità di un ricorso dinanzi alla Corte EDU è subordinata all’esaurimento dei mezzi di ricorso interni, conformemente all’articolo 35, paragrafo 1, della CEDU. Tale esigenza presuppone necessariamente che una sentenza della Corte EDU che accerta una violazione della CEDU possa essere resa solo dopo una decisione adottata dal giudice nazionale di ultimo grado che, per ipotesi, è munita di autorità di cosa giudicata. Come evidenziato dal giudice del rinvio, il mezzo di ricorso di cui all’articolo 363a del codice di procedura penale è stato introdotto proprio al fine di consentire l’esecuzione delle sentenze della Corte EDU.

76.      A mio parere, tale differenza oggettiva tra il diritto dell’Unione e la CEDU implica che ricorsi di diritto interno basati rispettivamente su tali due corpi di norme, e relativi alla validità delle decisioni nazionali passate in giudicato, non possano considerarsi analoghi.

77.      L’effettività delle sentenze adottate dalla Corte EDU che constatano una violazione della CEDU è infatti subordinata, per ipotesi, all’intervento di un’azione dello Stato membro di cui trattasi dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso interni, segnatamente mediante l’istituzione di un ricorso che consente il riesame di decisioni passate in giudicato come quello di cui all’articolo 363a del codice di procedura penale.

78.      Per contro, l’effettività del diritto dell’Unione e, in particolare, delle sentenze della Corte, non richiede l’istituzione di un siffatto ricorso, in quanto il quadro costituzionale composto dall’effetto diretto, dal primato e dal rinvio pregiudiziale ne garantisce l’effettività ancor prima che le decisioni nazionali acquisiscano autorità di cosa giudicata.

79.      Al riguardo, come evidenziato dalla Corte nel parere 2/13, la chiave di volta del sistema giurisdizionale dell’Unione è costituita dal procedimento di rinvio pregiudiziale, il quale, instaurando un dialogo da giudice a giudice proprio tra la Corte e i giudici degli Stati membri, mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell’ordinamento istituito dai Trattati (43).

80.      Sottolineo che l’entrata in vigore del protocollo n. 16 alla CEDU (in prosieguo: il «protocollo n. 16»), il 1º agosto 2018, in seguito alla ratifica da parte della Repubblica francese lo scorso 12 aprile (44), non è idonea a mettere in dubbio tale constatazione relativa alla mancanza di analogia. Infatti, e da un lato, la Repubblica d’Austria non fa parte degli Stati firmatari di tale protocollo (45).

81.      Dall’altro, e in ogni caso, ritengo che, anche per quanto riguarda gli Stati firmatari, il protocollo n. 16 non sia idoneo ad aumentare l’effettività della CEDU prima che le decisioni nazionali acquisiscano autorità di cosa giudicata ad un livello paragonabile a quello del diritto dell’Unione.

82.      Certo, il protocollo n. 16 prevede la facoltà di rivolgere alla Corte EDU domande di pareri consultivi in merito a questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla CEDU o dai suoi protocolli. Tuttavia, esistono tre differenze principali tra tale meccanismo e quello stabilito dall’articolo 267 TFUE. In primo luogo, tale facoltà è riservata alle «più alte giurisdizioni» delle Alte Parti contraenti in forza dell’articolo 1 di tale protocollo. In secondo luogo, la Corte EDU effettua un controllo di tali domande ai sensi dell’articolo 2 del detto protocollo. In terzo luogo, l’articolo 5 del protocollo n. 16 precisa che i pareri consultivi resi in tale contesto non sono vincolanti.

83.      Alla luce di quanto precede, ritengo che ricorsi di diritto interno basati rispettivamente sul diritto dell’Unione e sulla CEDU, e relativi alla validità delle decisioni nazionali passate in giudicato, non possano considerarsi analoghi. Di conseguenza, il principio di equivalenza non può fondare un obbligo di estendere al diritto dell’Unione un mezzo di ricorso che prevede il riesame di decisioni passate in giudicato rispetto alla CEDU, come quello di cui all’articolo 363a del codice di procedura penale.

84.      Tale mancanza di analogia non viene rimessa in discussione dalla circostanza che il giudice del rinvio può egli stesso accertare una violazione della CEDU nell’ambito di un ricorso ai sensi dell’articolo 363a del codice di procedura penale, senza attendere una pronuncia della Corte EDU (46). Certo, tale possibilità aumenta il livello di effettività della CEDU in quanto consente al singolo di ottenere, senza dover adire la Corte EDU, la riapertura di un procedimento penale concluso con una decisione passata in giudicato. È però anche vero che, diversamente dall’effettività del diritto dell’Unione e, in particolare, delle sentenze della Corte, l’effettività della CEDU e delle sentenze della Corte EDU è garantita solo a partire dal momento in cui le decisioni nazionali acquisiscono autorità di cosa giudicata.

85.      Detto ciò, l’assenza di un obbligo di estendere un siffatto ricorso alle violazioni del diritto dell’Unione non implica, a mio parere, alcun divieto di procedere ad un’estensione del genere. A qualsiasi Stato membro è infatti consentito di prevedere, nell’esercizio della propria autonomia procedurale (47), un ricorso che permetta di rimettere in questione le decisioni nazionali passate in giudicato a seguito di una violazione del diritto dell’Unione.

86.      Nelle circostanze della controversia di cui al procedimento principale, al giudice del rinvio è quindi consentito applicare il diritto dell’Unione nell’ambito del mezzo di ricorso di cui all’articolo 363a del codice di procedura penale. Al riguardo, dalle osservazioni scritte e orali presentate dal governo austriaco emerge la constatazione, da parte del giudice del rinvio, di una violazione dell’articolo 54 della CAAS in una sentenza resa nell’ambito di tale procedimento.

87.      Preciso cionondimeno che l’esercizio di tale facoltà non fa sorgere alcun obbligo di proseguire con l’applicazione del diritto dell’Unione nell’ambito di tale via di ricorso, per lo meno rispetto al diritto dell’Unione e, in particolare, al principio di equivalenza. Tale circostanza non è infatti idonea ad alterare il ragionamento esposto supra, secondo il quale ricorsi rispettivamente basati sul diritto dell’Unione e sulla CEDU non possono essere considerati analoghi.

88.      Tenuto conto di quanto precede, ritengo che il principio di equivalenza debba essere interpretato nel senso che non obbliga il giudice nazionale ad estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, in particolare all’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, un mezzo di ricorso di diritto nazionale che consenta di ottenere, in caso di violazione della CEDU, la riapertura di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato.

VII. Conclusione

89.      Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria) come segue:

Il diritto dell’Unione, e in particolare i principi di equivalenza e di effettività, deve essere interpretato nel senso che non obbliga il giudice nazionale ad estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, in particolare all’inosservanza del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’articolo 54 della convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990 ed entrato in vigore il 26 marzo 1995, un mezzo di ricorso di diritto interno che consente di ottenere, in caso di violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o di uno dei suoi protocolli aggiuntivi, la riapertura di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato, qualora il singolo abbia avuto la facoltà di far valere i diritti che gli sono conferiti dal diritto dell’Unione nel corso di tale procedimento.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2000, L 239, pag. 19.


3      Tale espressione è stata utilizzata dalla Corte nel parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, punti 158 e 177).


4      GU 2000, L 239, pag. 13.


5      V., in particolare, sentenze del 16 marzo 2006, Kapferer (C‑234/04, EU:C:2006:178, punti 21 e 22); del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punto 24); del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 24); del 6 ottobre 2015, Târşia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 27), nonché del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2016:98, punto 40).


6      V., in particolare, sentenze del 7 dicembre 2017, López Pastuzano (C‑636/16, EU:C:2017:949, punto 19), nonché del 23 gennaio 2018, F. Hoffmann-La Roche e a. (C‑179/16, EU:C:2018:25, punto 45).


7      V. protocollo n. 19 sull’acquis di Schengen integrato nell’ambito dell’Unione europea, allegato al trattato UE e al trattato FUE.


8      Conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa E (C‑240/17, EU:C:2017:963, paragrafo 82).


9      Sentenza del 5 giugno 2014 (C‑398/12, EU:C:2014:1057, punto 35). V., inoltre, sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski (C‑486/14, EU:C:2016:483, punto 31).


10      Sentenza del 27 maggio 2014 (C‑129/14 PPU, EU:C:2014:586, punti da 51 a 74).


11      GU 2007, C 303, pag. 17.


12      «Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato». V., da ultimo, Corte EDU, 20 febbraio 2018, Krombach c. Francia, (CE:ECHR:2018:0220DEC006752114, § da 34 a 41).


13      «Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».


14      V., in particolare, sentenze del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 27); del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 39); del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 49); del 6 ottobre 2015, Târşia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 36); dell’11 novembre 2015, Klausner Holz Niedersachsen (C‑505/14, EU:C:2015:742, punto 41), nonché del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2016:98, punto 43).


15      V., in particolare, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 38); del 16 marzo 2006, Kapferer (C‑234/04, EU:C:2006:178, punto 20); del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 22); del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punti 35 e 36); del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti (C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 58); del 6 ottobre 2015, Târşia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 28), nonché dell’11 novembre 2015, Klausner Holz Niedersachsen (C‑505/14, EU:C:2015:742, punto 38).


16      V., in particolare, sentenze del 1° giugno 1999, Eco Swiss (C‑126/97, EU:C:1999:269, punto 47); del 16 marzo 2006, Kapferer (C‑234/04, EU:C:2006:178, punto 21); del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 23); del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 37); del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti (C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 59); del 6 ottobre 2015, Târşia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 29), nonché dell’11 novembre 2015, Klausner Holz Niedersachsen (C‑505/14, EU:C:2015:742, punto 39).


17      Sentenza del 1° giugno 1999, Eco Swiss (C‑126/97, EU:C:1999:269, punti da 43 a 48).


18      Sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punti da 39 a 48).


19      Sentenza del 16 marzo 2006, Kapferer (C‑234/04, EU:C:2006:178, punti da 19 a 24).


20      Sentenza del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti (C‑213/13, EU:C:2014:2067, punti da 58 a 61).


21      Sentenza del 6 ottobre 2015, Târşia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punti da 36 a 41).


22      V., in particolare, parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, punto 166): «(…) come rilevato più volte dalla Corte, il diritto dell’Unione si caratterizza per il fatto di derivare da una fonte autonoma, costituita dai Trattati, per il suo primato sul diritto dei singoli Stati membri (…) nonché per l’effetto diretto di tutta una serie di disposizioni applicabili ai cittadini di detti Stati membri nonché agli Stati stessi (…)». V., inoltre, sentenza del 6 marzo 2018, Achmea (C‑284/16, EU:C:2018:158, punto 33).


23      Il regolamento, in ragione della sua stessa natura e della sua funzione nell’ambito delle fonti del diritto dell’Unione, è atto ad attribuire ai singoli diritti che i giudici nazionali devono tutelare [v., in particolare, sentenze del 14 dicembre 1971 (Politi, 43/71, EU:C:1971:122, punto 9), nonché del 17 settembre 2002, Muñoz e Superior Fruiticola (C‑253/00, EU:C:2002:497, punto 27)]. Le disposizioni di diritto primario che impongono obblighi precisi e categorici, che non richiedono, per la loro applicazione, alcun intervento ulteriore delle autorità dell’Unione o nazionali, attribuiscono direttamente diritti ai soggetti dell’ordinamento. [v., in particolare, sentenze del 5 febbraio 1963, van Gend & Loos (26/62, EU:C:1963:1, pag. 23 e 24) nonché del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a. (C‑537/16, EU:C:2018:193, punto 65)]. In tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere invocate dai singoli dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, ove quest’ultimo non abbia recepito nei termini tale direttiva nel diritto interno o non l’abbia recepita correttamente [v., in particolare, sentenze del 4 dicembre 1974, van Duyn (41/74, EU:C:1974:133, punti da 11 a 15), nonché del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 31)].


24      Sentenza del 20 marzo 2018 (C‑537/16, EU:C:2018:193, punti da 64 a 68).


25      V., in particolare, sentenze del 15 luglio 1964, Costa (6/64, EU:C:1964:66, pag. da 1143 a 1145); del 9 marzo 1978, Simmenthal (106/77, EU:C:1978:49, punti 21 e 24); del 22 ottobre 1998, IN. CO. GE.’90 e a. (da C‑10/97 a C‑22/97, EU:C:1998:498, punti 20 e 21); dell’11 settembre 2014, A (C‑112/13, EU:C:2014:2195, punti 36 e 37), nonché del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth (C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punto 46).


26      V., supra, paragrafi da 12 a 16. Rilevo, al riguardo, che nessun elemento del fascicolo consente di presumere l’esistenza di una violazione del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva garantita dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della Carta [v. sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117, punti da 34 a 36)]. Peraltro, il giudice del rinvio non ha presentato nessun quesito alla Corte a tale riguardo. Ad ogni buon conto, sottolineo che la Corte, in particolare nelle numerose sentenze citate nella presente sezione, non ha mai interpretato la portata di tale diritto fondamentale nel senso che comporta la possibilità di rimettere in questione l’autorità di cosa giudicata di una decisione nazionale a causa di una violazione del diritto dell’Unione.


27      V., in particolare, sentenze dell’11 settembre 2014, A (C‑112/13, EU:C:2014:2195, punto 35) e del 5 aprile 2016, PFE (C‑689/13, EU:C:2016:199, punti da 31 a 36).


28      V., in particolare, sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punti da 16 a 21) e del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punti da 47 a 53).


29      L’inosservanza di tale obbligo può, se del caso, essere l’oggetto di un ricorso per inadempimento: v., al riguardo, il ricorso introdotto dalla Commissione nella causa Commissione/Francia (C‑416/17).


30      V., in particolare, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti da 34 a 36), nonché del 6 ottobre 2015, Târşia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 40).


31      Sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 40).


32      Sentenza del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punti da 26 a 32).


33      Sentenza dell’11 novembre 2015, Klausner Holz Niedersachsen (C‑505/14, EU:C:2015:742, punti da 42 a 46).


34      Nella sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punti 47 e 48), relativa a una domanda di esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo, la Corte ha dichiarato che il principio di effettività non richiede che il giudice investito rilevi d’ufficio il carattere abusivo di una clausola compromissoria quando il consumatore non ha proposto alcuna azione di annullamento avverso tale lodo. Per contro, un giudice investito di un ricorso in annullamento di un lodo arbitrale è tenuto ad annullare un accordo arbitrale che contiene una clausola abusiva anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo [sentenza del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punti da 30 a 39)]. Parimenti, il principio di effettività esige che il giudice investito dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento possa valutare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva nel contratto che fonda il credito controverso, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione [sentenza del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2016:98, punti da 50 a 55)].


35      V. punto 53 delle presenti conclusioni.      


36      Il giudice del rinvio ha precisato che, in Austria, la CEDU ha rango costituzionale. V. paragrafo 18 delle presenti conclusioni.


37      Sentenza del 6 ottobre 2015 (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 34).


38      Sentenza del 6 ottobre 2015, Târşia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punti 27 e 32).


39      V., in particolare, sentenze del 29 ottobre 2009, Pontin (C‑63/08, EU:C:2009:666, punto 45); del 26 gennaio 2010, Transportes Urbanos y Servicios Generales (C‑118/08, EU:C:2010:39, punto 34); dell’8 luglio 2010, Bulicke (C‑246/09, EU:C:2010:418, punto 27), nonché del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a. (C‑591/10, EU:C:2012:478, punto 31).


40      V., in tal senso, sentenze del 15 settembre 1998, Edis (C‑231/96, EU:C:1998:401, punti 36 e 37); del 15 settembre 1998, Spac (C‑260/96, EU:C:1998:402, punti 20 e 21); del 17 novembre 1998, Aprile (C‑228/96, EU:C:1998:544, punti 20 e 21), nonché del 9 febbraio 1999, Dilexport (C‑343/96, EU:C:1999:59, punti 27 e 28).


41      Sentenze del 29 ottobre 2009, Pontin (C‑63/08, EU:C:2009:666, punti 45 e 46), nonché del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a. (C‑591/10, EU:C:2012:478, punto 31).


42      V. paragrafi da 49 a 55 delle presenti conclusioni.


43      V. parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, punto 176) nonché sentenza del 6 marzo 2018, Achmea (C‑284/16, EU:C:2018:158, punto 37).


44      V. il comunicato stampa CEDU 143 (2018) del 12 aprile 2018, «La France ratifie le [protocole no 16] et déclenche son entrée en vigueur [la Francia ratifica il protocollo n. 16 e ne determina l’entrata in vigore]», disponibile all’indirizzo http://hudoc.echr.coe.int/fre-press?i= 003-6057606-7791962.


45      Lo stato delle firme e ratifiche del protocollo è disponibile all’indirizzo https://www.coe.int/fr/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/214/signatures?p_auth=JHVZ7Jke


46      V. paragrafi 19 e 20 delle presenti conclusioni.


47      V. paragrafi 29 delle presenti conclusioni.