Language of document : ECLI:EU:C:2018:499

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

27 giugno 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione europea – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 10, paragrafo 1 – Domanda della carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione – Rilascio – Termine – Adozione e notifica della decisione – Conseguenza dell’inosservanza del termine di sei mesi – Autonomia procedurale degli Stati membri – Principio di effettività»

Nella causa C‑246/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), con decisione del 27 aprile 2017, pervenuta in cancelleria il 10 maggio 2017, nel procedimento

Ibrahima Diallo

contro

État belge,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta (relatore), presidente di sezione, C.G. Fernlund, J.C. Bonichot, A. Arabadjiev e S. Rodin, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: V. Giacobbo-Peyronnel, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 gennaio 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per I. Diallo, da D. Andrien, avocat;

–        per il governo belga, da C. Pochet, M. Jacobs, L. Van den Broeck e P. Cottin, in qualità di agenti, assistiti da F. Motulsky, avocat;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da G. Wils e E. Montaguti, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 marzo 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Ibrahima Diallo, cittadino guineano, e l’État belge (Stato belga), in merito al rigetto della domanda da lui presentata, diretta a ottenere una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione europea.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        Al capo 2, relativo ai familiari, l’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU L 251, pag. 12), prevede segnatamente:

«In virtù della presente direttiva e fatto salvo il rispetto delle condizioni stabilite al capo IV, gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a)      gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine».

4        Il considerando 5 della direttiva 2004/38 è formulato come segue:

«Il diritto di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza (…)».

5        L’articolo 1 della direttiva 2004/38 così dispone:

«La presente direttiva determina:

a)      le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

b)      il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

c)      le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».

6        Il successivo articolo 2 così recita:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

2)      “familiare”:

a)      il coniuge;

b)      il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;

c)      i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);

d)      gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);

3)      “Stato membro ospitante”: lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno».

7        L’articolo 3 della direttiva 2004/38, intitolato «Aventi diritto», al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

8        L’articolo 5 della stessa direttiva, intitolato «Diritto d’ingresso», al suo paragrafo 2 così recita:

«I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono soltanto assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, conformemente al regolamento (CE) n. 539/2001 [del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2001, L 81, pag. 1)] o, se del caso, alla legislazione nazionale. Ai fini della presente direttiva il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10, in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere tale visto.

Gli Stati membri concedono a dette persone ogni agevolazione affinché ottengano i visti necessari. Tali visti sono rilasciati il più presto possibile in base a una procedura accelerata e sono gratuiti».

9        L’articolo 10 della direttiva 2004/38 così recita:

«1.      Il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione”, che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda. Una ricevuta della domanda di una carta di soggiorno è rilasciata immediatamente.

2.      Ai fini del rilascio della carta di soggiorno, gli Stati membri possono prescrivere la presentazione dei seguenti documenti:

a)      un passaporto in corso di validità;

b)      un documento che attesti la qualità di familiare o l’esistenza di un’unione registrata;

c)      l’attestato d’iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, qualsiasi prova del soggiorno nello Stato membro ospitante del cittadino dell’Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;

d)      nei casi di cui all’articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatte;

(…)».

 Diritto belga

10      Come esposto dal giudice del rinvio, in conformità all’articolo 42, paragrafo 1, della loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (legge del 15 dicembre 1980, sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri, Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584, in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), il diritto di soggiorno sul territorio belga viene riconosciuto entro i sei mesi successivi alla data della domanda.

11      Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 4, secondo comma, dell’arrêté royal du 8 octobre 1981 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (regio decreto dell’8 ottobre 1981, sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri, Moniteur belge del 27 ottobre 1981, pag. 13740; in prosieguo: il «regio decreto dell’8 ottobre 1981»), se, entro i sei mesi successivi alla domanda di riconoscimento del diritto del familiare del cittadino dell’Unione non viene presa alcuna decisione in merito a tale diritto, a quest’ultimo viene rilasciata d’ufficio la carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12      Il 25 novembre 2014, il sig. Diallo, cittadino guineano, ha presentato, in quanto ascendente di un minore cittadino olandese domiciliato in Belgio, una domanda diretta a ottenere la carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione.

13      Il 22 maggio 2015, lo Stato belga ha respinto tale domanda e ha ordinato al sig. Diallo di lasciare il suo territorio. Tale decisione sarebbe stata comunicata al sig. Diallo il 3 giugno 2015.

14      Adito dal sig. Diallo, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), con sentenza del 29 settembre 2015 ha annullato la decisione del 22 maggio 2015 per difetto di motivazione.

15      Il 9 novembre 2015, le autorità belghe competenti hanno adottato una nuova decisione di diniego di soggiorno, corredata dall’ordine di lasciare il territorio. Tale decisione è stata comunicata al sig. Diallo il 26 novembre 2015. Tale decisione indicava, in sostanza, che il sig. Diallo non aveva dimostrato nei termini che poteva beneficiare di un diritto di soggiorno superiore a tre mesi in qualità di «familiare di un cittadino dell’Unione». Più in particolare, lo Stato belga ha considerato, da un lato, che il sig. Diallo non aveva prodotto la prova di possedere sufficienti risorse e, dall’altro, che egli non aveva validamente dimostrato che suo figlio, cittadino olandese, era a suo carico o che egli ne aveva effettivamente la custodia.

16      L’11 dicembre 2015, il sig. Diallo ha proposto ricorso di annullamento contro la decisione del 9 novembre 2015 dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri). Con sentenza del 23 febbraio 2016, tale organo giurisdizionale ha respinto il ricorso.

17      Il 25 marzo 2016, il sig. Diallo ha proposto un ricorso amministrativo per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio). A sostegno di tale ricorso, egli afferma, in sostanza, che, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, la decisione relativa alla domanda di riconoscimento del diritto di soggiorno deve essere comunicata al richiedente entro i sei mesi successivi alla presentazione della domanda e che il diritto interno deve essere interpretato conformemente a tale requisito. Egli aggiunge che la concessione all’autorità competente nazionale di un nuovo termine di sei mesi, a seguito dell’annullamento di una prima decisione, priverebbe di effetto utile l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

18      Per parte sua, lo Stato belga afferma, in particolare, che non vi è alcuna disposizione legale o regolamentare che imponga un termine di comunicazione della decisione relativa a una domanda di carta di soggiorno. A suo avviso, l’autorità nazionale competente è tenuta soltanto ad adottare tale decisione nel termine di sei mesi. Peraltro, esso sostiene che, nei limiti in cui la direttiva 2004/38 non disciplina gli effetti derivanti dalla sentenza di annullamento del 29 settembre 2015, vale a dire entro quale termine debba essere adottata, da parte dell’autorità nazionale competente una nuova decisione in seguito all’annullamento giurisdizionale di una prima decisione, tale questione rientra nel diritto nazionale. Comunque, esso ritiene che non sia dimostrata l’irragionevolezza dell’avvio di un nuovo termine di sei mesi al fine di statuire su una domanda di carta di soggiorno in seguito all’annullamento giurisdizionale di una prima decisione.

19      In tal contesto, il giudice del rinvio osserva, anzitutto, che il diritto nazionale prevede soltanto che il diritto di soggiorno è riconosciuto al più tardi entro i sei mesi successivi alla data della domanda, senza precisare se la decisione relativa al riconoscimento del diritto di soggiorno debba essere notificata all’interessato entro tale termine. Tale giudice ritiene che, per applicare il diritto nazionale in conformità ai requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, occorre stabilire se tale disposizione debba essere interpretata nel senso che la decisione relativa all’accertamento del diritto di soggiorno dev’essere adottata e comunicata nel termine di sei mesi.

20      Il giudice del rinvio indica poi che la direttiva 2004/38 non disciplina le conseguenze dell’annullamento di una decisione relativa a una domanda di carta di soggiorno. Più in particolare, esso si chiede di quale termine disponga l’autorità nazionale competente per statuire su una domanda di carta di soggiorno in seguito all’annullamento giurisdizionale della sua prima decisione di diniego del riconoscimento del diritto in parola. Al riguardo, esso considera che, per stabilire tale nuovo termine, occorre sapere se il principio di effettività osti a che l’autorità nazionale competente possa nuovamente avvalersi, in seguito all’annullamento della sua decisione, dell’integralità del termine di sei mesi previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

21      Peraltro, il giudice del rinvio osserva che, secondo la giurisprudenza nazionale, tenuto conto del carattere imperativo del termine previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e degli effetti di una sentenza di annullamento, l’autorità nazionale competente dispone, a decorrere dalla notifica di tale sentenza, dell’interezza del termine di cui disponeva per statuire su una domanda di carta di soggiorno e non soltanto del termine residuo alla data in cui l’atto annullato è stato adottato.

22      Infine, tale giudice si chiede se la direttiva 2004/38 osti a che una carta di soggiorno sia rilasciata automaticamente al richiedente a causa del superamento del termine di sei mesi previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva stessa, sebbene tale richiedente non soddisfi le condizioni necessarie per beneficiarne. Al riguardo, il giudice del rinvio chiarisce che, qualora risultasse che il termine previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, era stato effettivamente superato nella fattispecie e che tale direttiva non si opponeva a che il superamento di tale termine avesse per conseguenza l’obbligo di rilasciare la carta di soggiorno richiesta, la decisione del 9 novembre 2015, che nega il rilascio della carta di soggiorno al sig. Diallo, dovrebbe allora essere considerata illegittima.

23      In tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva [2004/38] debba essere interpretato nel senso che richiede che la decisione relativa all’accertamento del diritto di soggiorno sia adottata e comunicata entro sei mesi o nel senso che consente che la decisione sia adottata entro tale termine ma sia comunicata successivamente. Qualora la predetta decisione possa essere comunicata successivamente, entro quale termine debba avvenire tale comunicazione.

2)      Se l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva [2004/38], in combinato disposto con l’articolo 5 [di tale direttiva], con l’articolo [5, paragrafo 4], della direttiva [2003/86] e con gli articoli 7, 20, 21 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione [europea], debba essere interpretato e applicato nel senso che la decisione adottata su tale base deve soltanto essere adottata entro il termine di sei mesi da esso prescritto, senza che esista alcun termine per la sua comunicazione, né alcuna incidenza sul diritto di soggiorno nel caso in cui la comunicazione intervenga oltre tale termine.

3)      Se, al fine di garantire l’effettività del diritto di soggiorno di un familiare di un cittadino dell’Unione, il principio di effettività osti a che l’autorità nazionale possa avvalersi, a seguito dell’annullamento di una decisione relativa a detto diritto, dell’intero termine di sei mesi di cui essa disponeva ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva [2004/38]. In caso affermativo, di quale termine disponga ancora l’autorità nazionale dopo l’annullamento della propria decisione che rifiuta il riconoscimento del diritto in questione.

4)      Se gli articoli 5, 10 e 31 della direttiva [2004/38], in combinato disposto con gli articoli 8 e 13 della Convenzione [europea] per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [, firmata a Roma il 4 novembre 1950], con gli articoli 7, 24, 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali (…) e con l’articolo 21 [TFUE], siano compatibili con una giurisprudenza e con disposizioni nazionali, quali gli articoli 39/2, paragrafo 2, 40, 40 bis, 42 e 43 della legge del 15 dicembre 1980 (…), e l’articolo 52, paragrafo 4, del regio decreto dell’8 ottobre 1981 (…), che comportano che una sentenza di annullamento di una decisione che rifiuta il soggiorno sulla base di tali disposizioni, emessa dal Conseil du contentieux des étrangers, abbia un effetto interruttivo e non sospensivo del termine perentorio di sei mesi prescritto dall’articolo 10 della direttiva [2004/38], dall’articolo 42 della legge del 15 dicembre 1980 e dall’articolo 52 del regio decreto dell’8 ottobre 1981.

5)      Se la direttiva [2004/38] imponga che dal superamento del termine di sei mesi previsto dal suo articolo 10, paragrafo 1, derivi una conseguenza e, in caso affermativo, quale conseguenza debba derivarne. Se la medesima direttiva [2004/38] imponga o consenta che la conseguenza del superamento di tale termine sia la concessione automatica della carta di soggiorno richiesta, senza che sia stato accertato che il richiedente soddisfi effettivamente le condizioni necessarie per beneficiare del diritto di soggiorno da lui rivendicato».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

24      Il governo belga sostiene che la Corte non è competente a rispondere alle questioni presentate dal giudice del rinvio, in quanto la situazione del ricorrente nel procedimento principale non rientra nell’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione.

25      Tale governo afferma, in primo luogo, che il sig. Diallo non può beneficiare delle disposizioni della direttiva 2004/38, non essendo un «familiare» ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38. In secondo luogo, la situazione del procedimento principale non rientrerebbe nemmeno nell’ambito d’applicazione della direttiva 2003/86, dato che il sig. Diallo ha chiesto una carta di soggiorno facendo valere soltanto la propria qualità di ascendente di un cittadino dell’Unione. In terzo luogo, il governo belga è del parere che al ricorrente nel procedimento principale non possa essere riconosciuto alcun diritto di soggiorno in base agli articoli 20 e 21 TFUE.

26      Al riguardo, va osservato che, con le questioni presentate, il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, tenendo conto di altre disposizioni rientranti in tale direttiva, della direttiva 2003/86, del Trattato FUE e della Carta dei diritti fondamentali.

27      Peraltro, la questione se il cittadino di uno Stato terzo rientri nell’ambito d’applicazione delle direttive 2003/86 e/o 2004/38 richiede l’interpretazione del diritto dell’Unione e, segnatamente, delle condizioni stabilite all’articolo 4 della direttiva 2003/86 nonché agli articoli 2 e 3 della direttiva 2004/38 (v., in questo senso, sentenze del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 22, e del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 44).

28      Orbene, in conformità all’articolo 267 TFUE, la Corte è competente a statuire, in via pregiudiziale, sull’interpretazione, in particolare, dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali nonché delle direttive di cui alle questioni pregiudiziali.

29      Nei limiti in cui, con la sua argomentazione, il governo belga mira in realtà a porre in discussione la ricevibilità delle questioni pregiudiziali, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il diniego espresso dalla Corte di statuire su una questione pregiudiziale presentata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o ancora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le sono sottoposte (v., in questo senso, segnatamente, sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 23).

30      Nella specie, è giocoforza constatare che il giudice del rinvio ha spiegato le ragioni per cui l’interpretazione delle questioni presentate alla Corte è necessaria per dirimere la controversia principale. Infatti, da tali spiegazioni risulta che la risposta della Corte a tali questioni è idonea a incidere direttamente sulla valutazione della situazione individuale del sig. Diallo e, segnatamente, sulla questione se le autorità nazionali competenti dovessero rilasciargli una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione.

31      Alla luce di quanto sin qui esposto, è giocoforza constatare che la Corte è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali presentate al giudice del rinvio e che queste ultime devono essere considerate ricevibili.

 Nel merito

 Sulle questioni prima e seconda

32      Con la prima e la seconda questione pregiudiziale, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che la decisione relativa alla domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione deve essere adottata e comunicata entro il termine di sei mesi previsto da tale disposizione.

33      Al riguardo, l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, dispone che il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione», che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda.

34      Dunque, risulta dal testo stesso di tale disposizione che gli Stati membri sono tenuti a rilasciare una carta di soggiorno ai familiari di un cittadino dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38, non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda.

35      Infatti, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, il ricorso alla formula «non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda» indica chiaramente che gli Stati membri devono rilasciare all’interessato la carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione entro tale termine.

36      Orbene, la nozione di «rilascio» di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 comporta che, come ha, in sostanza, rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 45 e 46 delle sue conclusioni, nel termine di sei mesi previsto in tale disposizione le autorità nazionali competenti devono esaminare la domanda, adottare una decisione e, nel caso in cui il richiedente soddisfi le condizioni per beneficiare del diritto di soggiorno sulla base della direttiva 2004/38, fornirgli tale carta di soggiorno.

37      Tale interpretazione è, peraltro, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, suffragata dalla giurisprudenza della Corte, la quale ha dichiarato, con riferimento al rilascio della carta di soggiorno previsto dalla direttiva 2004/38, che il legislatore dell’Unione si è essenzialmente limitato a elencare, all’articolo 10 di tale direttiva, i documenti che occorre presentare al fine di ottenere una carta siffatta, la quale deve allora essere fornita non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda (sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a., C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 42).

38      Ne deriva che l’obbligo incombente agli Stati membri di rilasciare la carta di soggiorno al familiare di un cittadino dell’Unione nel termine imperativo di sei mesi previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 implica necessariamente l’adozione e la notifica di una decisione all’interessato prima della scadenza di tale termine.

39      Lo stesso accade allorché le autorità nazionali competenti rifiutano di rilasciare all’interessato la carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione.

40      Infatti, nell’ambito del procedimento amministrativo istituito con l’articolo 10 della direttiva 2004/38, diretto a verificare nel termine di sei mesi la situazione individuale dei cittadini di Stati terzi alla luce delle disposizioni del diritto dell’Unione e, segnatamente, se tali cittadini rientrino nella nozione di «familiare», ai sensi della direttiva suddetta, le autorità nazionali competenti possono finire con l’adottare tanto una decisione positiva quanto una decisione negativa.

41      In tal contesto, la notifica al richiedente della decisione relativa alla domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione non può avvenire entro termini diversi a seconda che la decisione adottata dall’autorità nazionale competente sia positiva o negativa.

42      Pertanto, se, in seguito all’esame della domanda diretta a ottenere una carta di soggiorno, l’autorità nazionale competente constata che non ricorrono i presupposti stabiliti a questo scopo, tale autorità è tenuta ad adottare e a notificare al richiedente la decisione di diniego del rilascio della carta di soggiorno entro lo stesso termine di sei mesi.

43      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni prima e seconda dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che la decisione relativa alla domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione deve essere adottata e comunicata entro il termine di sei mesi previsto da tale disposizione.

 Sulla quinta questione

44      Con la sua quinta questione, che occorre esaminare prima delle questioni terza e quarta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2004/38 debba essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che impone alle autorità nazionali competenti di rilasciare d’ufficio all’interessato una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, allorché il termine di sei mesi, di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, è superato, senza previamente constatare se l’interessato soddisfa effettivamente le condizioni per soggiornare nello Stato membro ospitante in conformità al diritto dell’Unione.

45      Al riguardo, va osservato che la direttiva 2004/38 non contiene alcuna disposizione che disciplini le conseguenze derivanti dal superamento del termine previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, questione che ricade, in linea di principio, nell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatta salva l’osservanza dei principi di effettività e di equivalenza (v., in questo senso, sentenza del 17 marzo 2016, Bensada Benallal, C‑161/15, EU:C:2016:175, punto 24).

46      In tal contesto, sebbene il diritto dell’Unione non osti affatto a che gli Stati membri istituiscano regimi di accettazione o di autorizzazione implicita, è comunque necessario che siffatti regimi non pregiudichino l’effetto utile del diritto dell’Unione.

47      Al riguardo, come risulta dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, il diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, di tale direttiva, è «comprovato» dal rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione. A tal fine, l’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva elenca i documenti diretti ad accertare la qualità di «familiare», ai sensi della direttiva 2004/38, che i cittadini di Stati terzi devono presentare per ottenere detta carta di soggiorno.

48      Orbene, come risulta da una giurisprudenza costante della Corte, il rilascio di un titolo di soggiorno, come quello di cui all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, al cittadino di uno Stato terzo, deve essere considerato non come atto costitutivo di diritti, ma come atto destinato ad accertare, da parte dello Stato membro, la situazione individuale di tale cittadino alla luce delle disposizioni del diritto dell’Unione (v., in questo senso, sentenze del 21 luglio 2011, Dias, C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 48, nonché del 12 marzo 2014, O. e B., C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 60).

49      Il carattere dichiarativo delle carte di soggiorno implica che esse siano destinate a constatare un diritto di soggiorno preesistente in capo all’interessato (sentenze del 25 luglio 2008, Metock e a., C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 52, e del 21 luglio 2011, Dias, C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 54).

50      Ne deriva che l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, osta a che la carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione sia rilasciata al cittadino di uno Stato terzo che non soddisfi le condizioni da essa stabilite ai fini della sua attribuzione.

51      Considerato quanto precede, se nulla osta a che la normativa nazionale preveda che il silenzio dell’amministrazione competente per sei mesi a decorrere dalla presentazione della domanda valga decisione di rigetto, i termini stessi della direttiva 2004/38 ostano per contro a che esso valga decisione di accettazione.

52      Tuttavia, nel procedimento principale, da una parte, risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte che il ricorrente non può avvalersi della qualità di «ascendente diretto a carico» del cittadino dell’Unione interessato, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera d), della direttiva 2004/38 e dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, in modo che non può essere considerato «familiare» ai sensi di tali disposizioni (v., in questo senso, sentenza dell’8 novembre 2012, Iida, C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 54).

53      Orbene, secondo una giurisprudenza costante della Corte, traggono dalla direttiva 2004/38 diritti di ingresso e di soggiorno in uno Stato membro non tutti i cittadini di Stati terzi, ma unicamente quelli che sono «familiar[i]» ai sensi dell’articolo 2, punto 2, di detta direttiva, di un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, stabilendosi in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di cui ha la cittadinanza (sentenza dell’8 novembre 2012, Iida, C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 51).

54      D’altra parte, risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte, nonché dalle precisazioni fornite dal governo belga all’udienza, che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale prevede un sistema di rilascio automatico delle carte di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione secondo cui l’autorità nazionale competente deve concedere d’ufficio ai richiedenti tali carte qualora il termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 sia scaduto.

55      Un sistema siffatto, consentendo il rilascio della carta di soggiorno a una persona che non soddisfi le condizioni per ottenerla, contrasta con gli obiettivi della direttiva 2004/38.

56      Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che la direttiva 2004/38 deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che impone alle autorità nazionali competenti di rilasciare d’ufficio all’interessato una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, qualora sia superato il termine di sei mesi previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, senza accertare previamente che l’interessato soddisfi effettivamente le condizioni per soggiornare nello Stato membro ospitante in conformità al diritto dell’Unione.

 Sulle questioni terza e quarta

57      Con la terza e la quarta questione pregiudiziale, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, secondo la quale l’autorità nazionale competente può, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, automaticamente avvalersi di nuovo dell’intero termine di sei mesi previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

58      Al riguardo, va constatato che la direttiva 2004/38 non contiene alcuna disposizione relativa agli effetti dell’annullamento giurisdizionale di decisioni di diniego del rilascio di carte di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, adottate dalle autorità nazionali competenti e, in particolare, relativa al termine di cui dispongono tali autorità per adottare una nuova decisione in seguito a tale annullamento.

59      Pertanto, in conformità alla costante giurisprudenza della Corte, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilirle, in forza del principio di autonomia procedurale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, segnatamente, sentenze del 17 marzo 2016, Bensada Benallal, C‑161/15, EU:C:2016:175, punto 24, e del 13 dicembre 2017, El Hassani, C‑403/16, EU:C:2017:960, punto 26).

60      Nel procedimento principale, si pone soltanto la questione relativa al rispetto del principio di effettività.

61      Il giudice del rinvio si riferisce ad una giurisprudenza nazionale in forza della quale l’annullamento giurisdizionale di una decisione adottata da un’autorità amministrativa entro un termine imperativo fa automaticamente ripartire dalla notifica della sentenza di annullamento il decorso del termine integrale di cui tale autorità disponeva per statuire. Pertanto, in forza di tale giurisprudenza, l’autorità nazionale competente disponeva, in seguito all’annullamento giurisdizionale della sua decisione iniziale, di un nuovo termine di sei mesi basato sull’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 per rispondere alla domanda del sig. Diallo intesa a ottenere una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione.

62      In tal contesto, l’avvio automatico di un nuovo termine di sei mesi a seguito dell’annullamento giurisdizionale della decisione iniziale dell’autorità nazionale competente appare idoneo a rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto del familiare di un cittadino dell’Unione ad ottenere una decisione sulla sua domanda di carta di soggiorno a norma dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

63      Infatti, in primo luogo, come ricordato al punto 40 della presente sentenza, il procedimento amministrativo istituito all’articolo 10 della direttiva 2004/38 è inteso a verificare la situazione individuale dei cittadini di Stati terzi alla luce delle disposizioni del diritto dell’Unione nel termine imperativo di sei mesi. In particolare, le autorità nazionali competenti devono unicamente verificare in tale termine se il cittadino di uno Stato terzo sia in grado di dimostrare, presentando i documenti indicati all’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva, che egli ricade nella nozione di «familiare» di un cittadino dell’Unione, ai sensi della direttiva 2004/38, per beneficiare della carta di soggiorno.

64      In secondo luogo, conformemente ad una costante giurisprudenza della Corte, la direttiva 2004/38 mira ad agevolare l’esercizio del diritto fondamentale e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito direttamente ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, ed a rafforzare tale diritto. Il considerando 5 di tale direttiva sottolinea che detto diritto presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari di tali cittadini, qualunque sia la loro cittadinanza (sentenza del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

65      Tale obiettivo richiede che il cittadino di uno Stato terzo che dimostra di rientrare nella nozione di «familiare» di un cittadino dell’Unione, ai sensi della direttiva 2004/38, possa vedersi rilasciare quanto prima la carta di soggiorno che attesta tale qualità.

66      Infatti, da una parte, come rileva sostanzialmente la Commissione europea, il carattere dichiarativo della carta di soggiorno consente al cittadino di uno Stato terzo, che permane in una situazione di incertezza giuridica riguardo alla legittimità del suo soggiorno, di attestare, nei limiti in cui siano soddisfatte le condizioni sostanziali necessarie per l’ottenimento del diritto di soggiorno, l’esistenza del suo diritto di soggiorno derivato, che agevola sia l’esercizio del diritto stesso sia l’integrazione dell’interessato nello Stato membro ospitante.

67      D’altra parte, va ricordato che, in conformità all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, soltanto il possesso di una carta di soggiorno in corso di validità dispensa i familiari di un cittadino dell’Unione che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro dall’obbligo di ottenere un visto di ingresso sul territorio degli Stati membri. Come risulta dal considerando 8 di tale direttiva, detto esonero mira a facilitare la libera circolazione dei cittadini di Stati terzi, familiari di un cittadino dell’Unione (sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a., C‑202/13, EU:C:2014:2450, punti 40 e 41).

68      Pertanto, l’avvio automatico di un nuovo termine di sei mesi, in seguito all’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno, appare sproporzionato sotto il profilo della finalità del procedimento amministrativo previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 nonché dell’obiettivo di tale direttiva.

69      Ne consegue che il principio di effettività nonché l’obiettivo di celerità inerente alla direttiva 2004/38 ostano a che le autorità nazionali possano automaticamente avvalersi di un nuovo termine di sei mesi in seguito all’annullamento giurisdizionale di una prima decisione di diniego del rilascio di una carta di soggiorno. Esse sono tenute ad adottare una nuova decisione entro un termine ragionevole, che non può comunque superare il termine previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

70      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza e alla quarta questione dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, in seguito all’annullamento giurisdizionale di una decisione con cui si nega il rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, l’autorità nazionale competente può automaticamente avvalersi di nuovo dell’integralità del termine di sei mesi previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

 Sulle spese

71      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che la decisione relativa alla domanda di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione europea deve essere adottata e comunicata entro il termine di sei mesi previsto da tale disposizione.

2)      La direttiva 2004/38 deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che impone alle autorità nazionali competenti di rilasciare d’ufficio all’interessato una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione europea qualora sia superato il termine di sei mesi previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, senza accertare previamente che l’interessato soddisfi effettivamente le condizioni per soggiornare nello Stato membro ospitante in conformità al diritto dell’Unione.

3)      Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, in seguito all’annullamento giurisdizionale di una decisione con cui si nega il rilascio di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione europea, l’autorità nazionale competente può automaticamente avvalersi di nuovo dell’integralità del termine di sei mesi previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.