Language of document : ECLI:EU:C:2011:483

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

14 luglio 2011 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Aiuti di Stato – Aiuti a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002 – Recupero»

Nella causa C‑303/09,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 88, n. 2, CE, proposto il 30 luglio 2009,

Commissione europea, rappresentata dai sigg. L. Flynn e V. Di Bucci nonché dalla sig.ra E. Righini, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dai sigg. D. Del Gaizo e P. Gentili, avvocati dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta dal sig. J.-J. Kasel, presidente di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet e M. Safjan (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 gennaio 2011,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato nei termini stabiliti tutte le misure necessarie, da un lato, a sopprimere il regime di aiuti dichiarato illegale ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 20 ottobre 2004, 2005/315/CE, relativa al regime di aiuti cui l’Italia ha dato esecuzione a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002 (GU 2005, L 100, pag. 46), e, dall’altro lato, a recuperare presso i beneficiari gli aiuti concessi in base a tale regime, è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi del Trattato CE e degli artt. 2-6 di detta decisione.

 Contesto normativo

2        Il tredicesimo ‘considerando’ del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell’articolo [88 CE] (GU L 83, pag. 1), è così redatto:

«considerando che in caso di aiuti illegali non compatibili con il mercato comune occorrerebbe ripristinare la concorrenza effettiva; che a tal fine è necessario che l’aiuto, compresi gli interessi, venga recuperato senza indugio; che è opportuno che il recupero avvenga nel rispetto delle procedure di legge nazionali; che l’applicazione di queste procedure non dovrebbe impedire, facendo ostacolo ad un’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione, il ripristino della concorrenza effettiva; che, per ottenere detto risultato, gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per garantire l’efficacia della decisione della Commissione».

3        L’art. 14 del regolamento n. 659/1999, rubricato «Recupero degli aiuti», enuncia quanto segue:

«1.      Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario (in seguito denominata “decisione di recupero”). La Commissione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario.

2.      All’aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l’aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero.

3.      Fatta salva un’eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell’articolo [242 CE], il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario».

4        Ai sensi dell’art. 23, n. 1, dello stesso regolamento:

«Qualora lo Stato membro interessato non si conformi ad una decisione condizionale o negativa, in particolare nei casi di cui all’articolo 14, la Commissione può adire direttamente la Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell’articolo [88, n. 2, CE]».

 Fatti

5        Con la decisione 2005/315 la Commissione dichiarava che il regime di aiuti di Stato messo in atto dalla Repubblica italiana a favore delle imprese che avevano realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002 (in prosieguo: il «regime di aiuti controverso») era incompatibile con il mercato comune.

6        Detto regime di aiuti prevedeva la concessione di aiuti per indennizzare i danni subiti dalle imprese in conseguenza delle calamità che avevano colpito certune aree geografiche del territorio italiano nel corso del 2002.

7        La Commissione, dopo aver attentamente esaminato il meccanismo di aiuto in questione, concludeva che esso e l’importo concesso a ciascun beneficiario non avevano alcun rapporto con i danni effettivamente subiti, ma dipendevano dal volume degli investimenti realizzati durante un determinato periodo, dal volume di quelli realizzati negli anni precedenti e dall’esistenza di un reddito imponibile. Secondo la Commissione, tale regime non soddisfaceva le condizioni per beneficiare di una deroga ai sensi dell’art. 87, n. 2, lett. b), CE in quanto aiuti destinati ad ovviare ai danni causati dalle calamità naturali o da altri eventi eccezionali.

8        La Commissione considerava inoltre che la Repubblica italiana aveva dato illegalmente esecuzione a detto regime.

9        La Commissione constatava, pertanto, che la Repubblica italiana doveva adottare tutte le misure necessarie per recuperare gli aiuti illegali presso i beneficiari degli stessi, fatti salvi i casi individuali che soddisfacevano le condizioni di compatibilità con il mercato comune in applicazione della deroga di cui all’art. 87, n. 2, lett. b), CE.

10      Più specificamente, gli artt. 1‑7 della decisione 2005/315 sono così redatti:

«Articolo 1

Il regime di aiuti di Stato a favore delle imprese che abbiano realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all’articolo 5 sexies del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito con legge 21 febbraio 2003, n. 27, che proroga per determinate imprese i benefici previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 18 ottobre 2001, n. 383, al quale l’Italia ha dato illegalmente esecuzione in violazione dell’articolo 88, paragrafo 3, del trattato, è incompatibile con il mercato comune, fatte salve le disposizioni dell’articolo 3.

Articolo 2

L’Italia sopprime il regime di aiuti di cui all’articolo 1, in quanto continui a produrre effetti.

Articolo 3

I singoli aiuti concessi in base al regime di cui all’articolo 1 sono compatibili con il mercato comune ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, punto b), del Trattato, nella misura in cui non superino il valore netto dei danni effettivamente subiti da ciascuno dei beneficiari a causa degli eventi calamitosi di cui all’articolo 5 sexies decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, tenuto conto degli importi ricevuti a titolo di assicurazione o in forza di altri provvedimenti.

Articolo 4

I singoli aiuti concessi in base al regime di cui all’articolo 1 che non soddisfano le condizioni stabilite dall’articolo 3 sono incompatibili con il mercato comune.

Articolo 5

1.      L’Italia adotta tutte le misure necessarie per recuperare presso i beneficiari gli aiuti di cui all’articolo 4.

2.      L’Italia sospende tutti i versamenti di aiuti a partire dalla data di notifica della presente decisione.

3.      Il recupero è effettuato senza indugio secondo le procedure del diritto nazionale, purché queste permettano l’esecuzione immediata ed effettiva della presente decisione.

4.      Gli aiuti da recuperare sono maggiorati degli interessi maturati a partire dalla data in cui sono stati messi a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo.

5.      Gli interessi sono calcolati in base delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004.

6.      L’Italia ingiunge a tutti i beneficiari degli aiuti di cui all’articolo 4 di rimborsare, entro due mesi dalla data di notifica della presente decisione, gli aiuti illegalmente concessi maggiorati degli interessi.

Articolo 6

Entro due mesi dalla data di notifica della presente decisione, l’Italia informa la Commissione delle misure adottate per conformarvisi compilando il questionario allegato alla presente decisione. In particolare, l’Italia trasmette alla Commissione, entro il medesimo termine, tutti i documenti comprovanti l’avvenuto avvio dei procedimenti di recupero presso i beneficiari degli aiuti illegalmente concessi.

Articolo 7

La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione».

 Il procedimento precontenzioso

11      Il 22 ottobre 2004 la decisione 2005/315 è stata notificata alla Repubblica italiana.

12      Al fine di dare esecuzione a detta decisione, le autorità italiane hanno adottato un certo numero di provvedimenti e ne hanno informato la Commissione. In particolare, la procedura di esecuzione si è svolta nel modo seguente:

–        le autorità italiane hanno informato la Commissione dell’adozione della legge 25 gennaio 2006, n. 29 (Supplemento ordinario alla GURI n. 32 dell’8 febbraio 2006; in prosieguo: la «legge n. 29/2006»), in vigore dal 23 febbraio 2006, le cui disposizioni prevedevano, in particolare, che il regime in questione venisse interrotto, nonché le modalità per l’individuazione, la determinazione ed il recupero degli aiuti già indebitamente percepiti;

–        dette autorità hanno fatto pervenire alla Commissione le modalità di applicazione della legge n. 29/2006;

–        l’Agenzia delle Entrate ha adottato codici tributi per la restituzione degli aiuti illegalmente versati, ha fornito alle strutture territoriali le direttive e gli strumenti operativi ai fini del recupero degli stessi e, infine, ha adottato un’apposita procedura informatica per il monitoraggio dello stato di avanzamento del recupero;

–        il legislatore italiano ha tentato di risolvere il problema procedurale derivante dalla sospensione degli ordini di recupero dei suddetti aiuti, disposta dai giudici nazionali, ricorrendo alla procedura legislativa, con l’adozione del decreto legge 8 aprile 2008, n. 59 (GURI n. 84 del 9 aprile 2008, pag. 3; in prosieguo: il «decreto legge n. 59/2008»), in vigore dal 9 aprile 2008, convertito con legge 6 giugno 2008, n. 101 (GURI n. 132 del 7 giugno 2008, pag. 4).

13      Durante tutta la fase precontenziosa la Commissione ha insistito sulla necessità di procedere ad esecuzione immediata ed effettiva della decisione 2005/315. Essa ha inoltre chiesto in varie occasioni informazioni e chiarimenti ulteriori sui beneficiari degli aiuti illegalmente versati e sulle modalità di adozione delle disposizioni regolamentari di recupero di tali aiuti. Le autorità italiane hanno informato la Commissione, con varie lettere successive, dello stato e delle modalità di esecuzione di detta decisione.

14      La Commissione ha attirato l’attenzione della Repubblica italiana sul fatto che la procedura di recupero degli aiuti illegali era insufficiente. Più precisamente, la decisione della Commissione di adire la Corte nella presente causa è stata adottata in considerazione del fatto che, oltre tre anni dopo la decisione 2005/315, solo una parte degli aiuti è stata recuperata, mentre la Commissione non ha neppure potuto ottenere informazioni precise circa un numero rilevante di beneficiari.

 Sul ricorso

 Argomenti delle parti

15      Nel suo ricorso la Commissione fa valere, per prima cosa, che lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto, ai sensi dell’art. 249, quarto comma, CE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione.

16      Secondo la Commissione, l’obbligo di recupero costituisce un vero e proprio obbligo di risultato. Inoltre, il recupero dovrebbe essere non solo effettivo, ma anche immediato.

17      Riguardo alla necessità di adottare una legge ed i relativi provvedimenti amministrativi di esecuzione per eseguire la decisione 2005/315, la Commissione avrebbe ricordato più volte che la scelta dello strumento legislativo non costituiva il mezzo più adeguato per ottenere un’esecuzione immediata ed effettiva di tale decisione.

18      La Commissione sostiene, poi, che il solo mezzo di difesa che possa essere fatto valere dalla Repubblica italiana nella presente causa è quello relativo ad un’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione 2005/315. Eppure, le autorità italiane non avrebbero mai eccepito una qualsiasi impossibilità assoluta al riguardo.

19      In ogni caso, il presupposto attinente all’esistenza di un’impossibilità assoluta di esecuzione non risulterebbe soddisfatto qualora lo Stato membro convenuto si limitasse, come fa nella presente causa, ad appellarsi alle difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presenta l’esecuzione della decisione 2005/315.

20      Per quanto concerne le decisioni degli organi giurisdizionali nazionali con cui vengono disposti provvedimenti di sospensione del recupero, la Commissione sottolinea che il principio di effettività deve applicarsi anche ad essi. In presenza di un’eventuale domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento di recupero presentata dal beneficiario, il giudice nazionale adito dovrebbe applicare i criteri previsti dalla giurisprudenza della Corte onde evitare che la decisione di recupero sia privata del suo effetto utile.

21      Orbene, nel caso di specie, in mancanza di informazioni al riguardo da parte delle autorità italiane, non sarebbe possibile verificare se i giudici nazionali abbiano effettivamente adottato decisioni di sospensione dell’esecuzione delle misure di recupero tenendo in debito conto la suddetta giurisprudenza. La Commissione aggiunge che la legittimità della decisione 2005/315 non è stata contestata dinanzi al Tribunale di primo grado delle Comunità europee e che nessun giudice nazionale ha adito la Corte per una verifica pregiudiziale della validità di tale decisione.

22      Ad ogni modo, benché, in forza del decreto legge n. 59/2008, in caso di sospensione fondata su motivi attinenti all’illegittimità della decisione di recupero, il giudice nazionale sia tenuto, in via di principio, a provvedere all’immediato rinvio pregiudiziale della questione alla Corte, la Commissione osserva come tale normativa non sembri aver avuto grande effetto sulla prassi procedurale dei giudici nazionali. Infatti, a più di quattro anni dall’adozione della decisione 2005/315, le autorità italiane dovrebbero ancora recuperare più del 25% degli aiuti per i quali è stata inviata un’ingiunzione di pagamento.

23      Per quanto attiene, infine, all’obbligo di informazione che incombe alla Repubblica italiana ai sensi tanto dell’art. 6 della decisione 2005/315 quanto dell’art. 10 CE, la Commissione rileva che tale Stato membro non le ha comunicato, entro i termini impartiti, tutte le misure che avrebbe dovuto prendere per conformarsi a detta decisione.

24      La Repubblica italiana sostiene che il diritto dell’Unione non impone di seguire alcuna procedura specifica per il recupero degli aiuti di Stato illegalmente versati, ma esige unicamente che l’applicazione delle procedure nazionali consenta l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione 2005/315.

25      È proprio per garantire una tale esecuzione immediata ed effettiva che le autorità italiane avrebbero ritenuto necessario adottare la legge n. 29/2006. Nell’ordinamento italiano, infatti, lo strumento normativo costituirebbe il mezzo più idoneo per garantire le esigenze derivanti dal principio di effettività.

26      La Repubblica italiana osserva altresì che, nella voluminosa corrispondenza tra la Commissione e le autorità italiane, queste ultime avrebbero specificamente segnalato le difficoltà legate, da un lato, alla necessità di calcolare gli importi dovuti e di escludere dal recupero i beneficiari per i quali l’aiuto era da ritenersi compatibile con il mercato comune e, dall’altro, al fatto che taluni ricorsi proposti dai beneficiari, accolti dai giudici nazionali, escludevano la possibilità di procedere al recupero degli importi indebitamente percepiti.

27      Quanto all’argomento della Commissione relativo all’assenza di effettività delle procedure giudiziarie nazionali, la Repubblica italiana sottolinea gli sforzi del legislatore e dell’autorità tributaria nazionale. In tale contesto, detto Stato membro rileva pure che non può essergli addebitato il mancato recupero degli aiuti illegalmente versati allorché una decisione giudiziaria osta a tale recupero.

28      Riguardo al motivo tratto dalla Commissione dalla violazione dell’obbligo di informazione, la Repubblica italiana asserisce che l’obbligo di recupero previsto dalla decisione 2005/315 non sussiste nei confronti dei beneficiari che hanno ottenuto l’aiuto in violazione delle condizioni stabilite dalla normativa nazionale, giacché la loro situazione rientrerebbe piuttosto nel contesto dell’evasione fiscale. Inoltre, tale Stato membro ha prodotto, nel controricorso, un prospetto riepilogativo delle somme recuperate in applicazione di detta decisione.

 Giudizio della Corte

29      Da costante giurisprudenza della Corte risulta che lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto, ai sensi dell’art. 249 CE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione (sentenza 5 ottobre 2006, causa C‑232/05, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑10071, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata).

30      Detto Stato membro deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute (v. sentenze Commissione/Francia, cit., punto 42, e 22 dicembre 2010, causa C‑304/09, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32). Un recupero tardivo, successivo ai termini stabiliti, non può soddisfare i requisiti del Trattato (sentenze 14 febbraio 2008, causa C‑419/06, Commissione/Grecia, punti 38 e 61, nonché Commissione/Italia, cit., punto 32).

31      Conformemente all’art. 5, n. 3, della decisione 2005/315, la Repubblica italiana era tenuta a recuperare senza indugio presso i beneficiari gli aiuti indebitamente percepiti. Inoltre era tenuta, ai sensi dell’art. 6 della medesima decisione, ad informare la Commissione, entro due mesi dalla notifica della decisione, delle misure adottate per conformarvisi.

32      Orbene, nella presente causa, non è contestato che, diversi anni dopo la notifica alla Repubblica italiana della decisione 2005/315 e dopo la scadenza dei termini fissati da quest’ultima, una parte degli aiuti illegali non è stata ancora recuperata da tale Stato membro. Una simile situazione è manifestamente incompatibile con l’obbligo di quest’ultimo di pervenire ad un recupero effettivo delle somme dovute e costituisce una violazione del dovere di esecuzione immediata ed effettiva di detta decisione.

33      Quanto ai motivi invocati dalla Repubblica italiana a sua difesa, occorre rilevare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre ad un ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione sulla base dell’art. 88, n. 2, CE è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di cui trattasi (v., in particolare, sentenze 20 settembre 2007, causa C‑177/06, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑7689, punto 46; 13 novembre 2008, causa C‑214/07, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑8357, punto 44; Commissione/Italia, cit., punto 35, e 5 maggio 2011, causa C‑305/09, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32).

34      La condizione relativa all’esistenza di un’impossibilità assoluta di adempiere non è soddisfatta quando lo Stato membro convenuto si limiti a comunicare alla Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presentava l’esecuzione della decisione, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione altre modalità di esecuzione della decisione che avrebbero consentito di superare le difficoltà segnalate (v. sentenza 5 maggio 2011, Commissione/Italia, cit., punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).

35      La Corte ha altresì dichiarato che uno Stato membro il quale, in occasione dell’esecuzione di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato, incontri difficoltà impreviste e imprevedibili o si renda conto di conseguenze non considerate dalla Commissione, deve sottoporre tali problemi alla valutazione di quest’ultima, proponendo appropriate modifiche della decisione di cui trattasi. In tal caso, lo Stato membro e la Commissione, in forza del principio che impone agli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione doveri reciproci di leale cooperazione, principio che informa in particolare l’art. 10 CE, devono collaborare in buona fede per superare le difficoltà nel pieno rispetto delle disposizioni del Trattato, in particolare di quelle relative agli aiuti (sentenza 22 dicembre 2010, Commissione/Italia, cit., punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).

36      A tal riguardo occorre sottolineare che, tanto nei suoi contatti con la Commissione durante la fase precontenziosa quanto nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, la Repubblica italiana non ha mai fatto valere un’impossibilità assoluta di esecuzione della decisione 2005/315.

37      Invero, detto Stato membro si è limitato a portare a conoscenza della Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presentava l’attuazione di detta decisione.

38      In particolare, non può essere accolta l’argomentazione della Repubblica italiana attinente alle difficoltà dovute alla necessità di quantificare gli importi dovuti e di escludere dal recupero in questione i beneficiari per i quali l’aiuto doveva essere considerato compatibile con il mercato comune. Il fatto che detto Stato membro avverta la necessità di verificare la situazione individuale di ciascuna impresa interessata, allo scopo di compiere un esame preliminare volto ad identificare i beneficiari dei vantaggi considerati dalla decisione 2005/315, non è idoneo a giustificare la mancata esecuzione di tale decisione (v. sentenza 5 maggio 2011, Commissione/Italia, cit., punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).

39      È vero che, nel corso della procedura di recupero, il legislatore italiano ha intrapreso un’azione seria al fine di garantire l’efficacia di tale recupero adottando, anzitutto, la legge n. 29/2006 e, successivamente, il decreto legge n. 59/2008. In particolare, dagli atti di causa risulta che detta legge prevedeva l’interruzione del regime di aiuti controverso, nonché le modalità per l’individuazione, la determinazione ed il recupero degli aiuti indebitamente percepiti. Al fine di accelerare la definizione delle controversie già in corso, il decreto legge era destinato a risolvere il problema procedurale causato dalla sospensione degli ordini di recupero degli aiuti disposta dai giudici nazionali (v. sentenza 5 maggio 2011, Commissione/Italia, cit., punto 38).

40      Tuttavia, l’adozione dei provvedimenti menzionati al punto precedente non ha consentito di porre rimedio al ritardo nel recupero degli aiuti di cui alla decisione 2005/315. Infatti, l’entrata in vigore di tali provvedimenti è stata successiva ai termini impartiti dalla suddetta decisione per procedere al recupero e la loro opera si è dimostrata inefficace, dal momento che a vari anni dalla notifica della decisione 2005/315, fino alla data di deposito del presente ricorso, una parte degli aiuti illegali non è stata recuperata dalla Repubblica italiana.

41      Al riguardo occorre osservare che le azioni legislative destinate a garantire l’esecuzione, da parte dei giudici nazionali, di una decisione della Commissione che obbliga uno Stato membro a recuperare un aiuto illegale, le quali, come nella fattispecie, vengono adottate in ritardo e risultano inefficaci, non soddisfano i requisiti che derivano dalla giurisprudenza indicata ai punti 29 e 30 della presente sentenza (citate sentenze 22 dicembre 2010, Commissione/Italia, punto 42, e 5 maggio 2011, Commissione/Italia, punto 40).

42      La Repubblica italiana fa valere peraltro che la situazione di un certo numero di beneficiari degli aiuti in questione rientra nel contesto dell’evasione fiscale e che, in tal caso, l’obbligo di recuperare gli aiuti illegali non trova applicazione.

43      Sotto tale aspetto, si deve osservare che la questione di determinare se il beneficio concesso alle imprese interessate fosse conforme alla normativa interna ovvero se, al contrario, costituisse un’ipotesi di evasione o di frode fiscale è priva di incidenza sull’obbligo dello Stato membro in questione di recuperare gli aiuti entro i termini impartiti (sentenza 5 maggio 2011, causa Commissione/Italia, cit., punto 42). Eventuali difficoltà legate alla necessità di verificare le dichiarazioni fiscali, nell’ambito delle apposite procedure nazionali, non possono di per sé giustificare, come emerge dai punti 34 e 38 della presente sentenza, la mancata esecuzione della decisione 2005/315 entro i termini stabiliti.

44      Inoltre, dagli atti di causa emerge che la Repubblica italiana non ha mai chiesto alla Commissione modifiche della decisione 2005/315 volte a permetterle di superare le difficoltà connesse all’esecuzione effettiva ed immediata di quest’ultima.

45      Riguardo, poi, all’argomento relativo alla facoltà, per i giudici nazionali, di adottare misure di sospensione nel corso del procedimento di recupero degli aiuti, si deve ricordare che tali misure possono essere concesse con riserva che siano soddisfatte tutte le condizioni enunciate dalla giurisprudenza [v., in particolare, sentenze 21 febbraio 1991, cause riunite C‑143/88 e C‑92/89, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest, Racc. pag. I‑415, e 9 novembre 1995, causa C‑465/93, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft e a. (I), Racc. pag. I‑3761].

46      In particolare, un giudice nazionale può disporre provvedimenti provvisori di sospensione qualora nutra gravi riserve sulla validità dell’atto dell’Unione e purché provveda a deferire alla Corte la questione di validità dell’atto contestato. Orbene, nella presente causa, ai giudici dell’Unione non è stata deferita alcuna questione di legittimità della decisione 2005/315. In ogni caso, occorre constatare che la Repubblica italiana non ha dimostrato che le altre condizioni enunciate dalla giurisprudenza menzionata al punto precedente fossero soddisfatte.

47      Da quanto sopra affermato risulta che il presente ricorso è fondato nella parte in cui la Commissione addebita alla Repubblica italiana di non aver adottato, entro i termini stabiliti, tutte le misure necessarie a recuperare integralmente presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti controverso, che è stato dichiarato illegale ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione 2005/315.

48      Tenuto conto della conclusione enunciata al punto precedente, non occorre statuire sul capo delle conclusioni della Commissione diretto a far condannare la Repubblica italiana per non averla informata delle misure menzionate in detto capo, dato che tale Stato membro non ha, appunto, proceduto all’esecuzione della decisione 2005/315 nei termini stabiliti (sentenza 22 dicembre 2010, Commissione/Italia, cit., punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).

49      Occorre pertanto dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato nei termini stabiliti tutte le misure necessarie a recuperare integralmente presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegale ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione 2005/315, è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 5 di detta decisione.

 Sulle spese

50      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La Repubblica italiana, non avendo adottato nei termini stabiliti tutte le misure necessarie a recuperare integralmente presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegale ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 20 ottobre 2004, 2005/315/CE, relativa al regime di aiuti cui l’Italia ha dato esecuzione a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 5 di detta decisione.

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.