Language of document : ECLI:EU:C:2013:31

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

24 gennaio 2013 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune – Obbligo di recupero – Mancata esecuzione – Eccezione di irricevibilità – Autorità di cosa giudicata di una precedente sentenza della Corte»

Nella causa C‑529/09,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, secondo comma, TFUE, proposto il 18 dicembre 2009,

Commissione europea, rappresentata da L. Flynn e C. Urraca Caviedes, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Regno di Spagna, rappresentato da N. Díaz Abad, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuto,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešič, J.‑J. Kasel (relatore) e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 luglio 2012,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che il Regno di Spagna, non avendo adottato entro il termine impartito le misure necessarie per conformarsi alla decisione 1999/509/CE della Commissione, del 14 ottobre 1998, relativa all’aiuto concesso dalla Spagna a favore delle imprese del gruppo Magefesa e delle imprese che gli sono subentrate (GU 1999, L 198, pag. 15), per quanto riguarda l’impresa Industrias Domésticas SA (in prosieguo: l’«Indosa»), è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli 288, quarto comma, TFUE nonché 2 e 3 di tale decisione.

 Contesto normativo

2        Il considerando 13 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [108 TFUE] (GU L 83, pag. 1), è così redatto:

«considerando che in caso di aiuti illegali non compatibili con il mercato comune occorrerebbe ripristinare la concorrenza effettiva; che a tal fine è necessario che l’aiuto, compresi gli interessi, venga recuperato senza indugio; che è opportuno che il recupero avvenga nel rispetto delle procedure di legge nazionali; che l’applicazione di queste procedure non dovrebbe impedire, facendo ostacolo ad un’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione, il ripristino della concorrenza effettiva; che, per ottenere detto risultato, gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per garantire l’efficacia della decisione della Commissione».

3        L’articolo 14 del suddetto regolamento, rubricato «Recupero degli aiuti», così dispone:

«1.      Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario (...) La Commissione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario.

2.      All’aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l’aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero.

3.      Fatta salva un’eventuale ordinanza della Corte di giustizia [dell’Unione europea] emanata ai sensi dell’articolo [278 TFUE], il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario».

4        Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, del medesimo regolamento:

«Qualora lo Stato membro interessato non si conformi ad una decisione condizionale o negativa, in particolare nei casi di cui all’articolo 14, la Commissione può adire direttamente la Corte (...) ai sensi dell’articolo [108, paragrafo 2, TFUE]».

 Fatti

 Il contesto di fatto

5        La Magefesa è un gruppo di imprese industriali spagnole produttrici di articoli casalinghi.

6        Il gruppo Magefesa è costituito, in particolare, da quattro imprese, vale a dire l’Indosa, stabilita nel Paese basco, la Cubertera del Norte SA (in prosieguo: la «Cunosa») e la Manufacturas Gur SA (in prosieguo: la «GURSA»), stabilite in Cantabria, nonché la Manufacturas Inoxidables Gibraltar SA (in prosieguo: la «MIGSA»), stabilita in Andalusia.

7        Avendo conosciuto gravi difficoltà finanziarie a partire dall’anno 1983, il gruppo Magefesa è stato oggetto di un programma d’azione che prevedeva, segnatamente, una riduzione dell’organico, nonché la concessione di aiuti da parte dell’esecutivo centrale spagnolo e degli esecutivi regionali delle Comunità autonome del Paese basco, di Cantabria e di Andalusia, dove erano situati i vari impianti del gruppo.

8        Ai fini dell’attribuzione di tali aiuti, sono state create società di gestione nelle Comunità autonome interessate, vale a dire la Fiducias de la cocina y derivados SA (in prosieguo: la «Ficodesa») nel Paese basco, la Gestión de Magefesa en Cantabria SA in Cantabria e la Manufacturas Damma SA in Andalusia.

9        Poiché, nondimeno, la situazione ha continuato a peggiorare, la Cunosa ha cessato le proprie attività all’inizio dell’anno 1994 ed è stata dichiarata fallita il 13 aprile 1994, e la MIGSA ha cessato le proprie attività nel 1993 ed è stata dichiarata fallita il 17 maggio 1999. Per quanto riguarda la GURSA, essa è rimasta inattiva a partire dall’anno 1994 e, successivamente, è stata dichiarata insolvente.

10      Quanto all’Indosa, essa, a seguito di una domanda in tal senso da parte dei suoi dipendenti, è stata dichiarata in stato di insolvenza con decisione giurisdizionale del 19 luglio 1994, con effetto retroattivo della dichiarazione al 24 febbraio 1986. L’Indosa è stata tuttavia autorizzata, con nuova decisione giurisdizionale, a proseguire le proprie attività per evitare che i posti di lavoro dei 478 dipendenti dell’impresa fossero messi a repentaglio.

11      Per quanto attiene alle società di gestione, la Ficodesa è stata dichiarata fallita il 19 gennaio 1995 e la Manufacturas Damma SA nonché la Gestión de Magefesa en Cantabria SA hanno cessato le proprie attività.

 Le decisioni della Commissione

12      Il gruppo Magefesa è stato oggetto di due procedimenti in materia di aiuti di Stato.

13      Il 20 dicembre 1989 la Commissione ha adottato la decisione 91/1/CE, relativa ad aiuti concessi in Spagna dall’esecutivo centrale e da vari esecutivi autonomi a favore di Magefesa, produttore di casalinghi in acciaio inossidabile e piccoli elettrodomestici (GU 1991, L 5, pag. 18), con la quale detta istituzione ha dichiarato illegali e incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi alle imprese del gruppo Magefesa, sotto forma di garanzie su prestiti, di un prestito a condizioni diverse da quelle di mercato, di sovvenzioni a fondo perduto nonché di un abbuono di interessi creditizi.

14      Gli aiuti concessi dalla Comunità autonoma del Paese basco che sono stati dichiarati illegali e incompatibili con il mercato comune ai sensi della decisione 91/1 sono ripartiti nel modo seguente:

–        una garanzia su prestiti di ESP 300 milioni, concessa direttamente all’Indosa;

–        una garanzia su prestiti di ESP 672 milioni concessa alla Ficodesa, e

–        un abbuono di interessi creditizi di ESP 9 milioni.

15      Con la medesima decisione, le autorità spagnole sono state invitate, in particolare, a revocare le garanzie su prestiti, a trasformare il prestito a tasso ridotto in credito a condizioni normali ed a recuperare le sovvenzioni a fondo perduto.

16      Nel 1997 la Commissione ha ricevuto nuove denunce in merito ai vantaggi derivanti, per le imprese del gruppo Magefesa, dalla mancata restituzione degli aiuti dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione 91/1, nonché dall’inosservanza degli obblighi finanziari e fiscali di dette imprese. In seguito, tale istituzione ha deciso di avviare il procedimento previsto all’articolo 93, paragrafo 2, del Trattato CE (divenuto articolo 88, paragrafo 2, CE, a sua volta divenuto articolo 108 TFUE) per gli aiuti concessi alle suddette imprese o a quelle ad esse subentrate dopo l’anno 1989 e ha adottato, il 14 ottobre 1998, la decisione 1999/509. Quest’ultima è stata notificata al governo spagnolo il 29 ottobre 1998.

17      Con tale decisione, la Commissione ha dichiarato illegali e incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi dalle autorità spagnole segnatamente all’Indosa, sotto forma di sistematico inadempimento dell’obbligo di pagamento di tributi ed oneri sociali, tanto antecedentemente quanto successivamente alla data di dichiarazione di fallimento di detta impresa e fino al mese di maggio dell’anno 1997.

18      Con l’articolo 2 della medesima decisione, il Regno di Spagna è stato invitato a adottare le misure necessarie per recuperare tali aiuti dai beneficiari; gli importi recuperati dovevano includere gli interessi per il periodo compreso fra la data di concessione dei suddetti aiuti e quella effettiva di rimborso dei medesimi.

19      In applicazione dell’articolo 3 della decisione 1999/509, il Regno di Spagna era tenuto ad informare la Commissione, entro due mesi dalla notifica di tale decisione, circa le misure adottate per conformarvisi.

20      Con ricorso depositato presso la cancelleria della Corte il 28 dicembre 1998, il Regno di Spagna, ai sensi dell’articolo 173 del Trattato CE (divenuto, a seguito di modifica, articolo 230 CE, a sua volta divenuto articolo 263 TFUE), ha chiesto l’annullamento della decisione 1999/509.

21      Con sentenza del 12 ottobre 2000, Spagna/Commissione (C‑480/98, Racc. pag. I‑8717), la Corte ha dichiarato quanto segue:

«1)      La decisione [1999/509] è annullata nella parte in cui impone la riscossione – insieme con gli importi relativi agli aiuti da recuperare – di interessi maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento delle imprese Indosa e Cunosa sugli aiuti illegittimamente percepiti prima di tale dichiarazione.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      Il Regno di Spagna è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, i tre quarti di quelle della Commissione delle Comunità europee».

22      Il 22 dicembre 1999 la Commissione ha proposto, in applicazione dell’articolo 88, paragrafo 2, secondo comma, CE, un ricorso per inadempimento contro il Regno di Spagna volto a far dichiarare che quest’ultimo non aveva adottato, entro i termini impartiti, le misure necessarie per conformarsi alle decisioni 91/1 e 1999/509.

23      Con sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna (C‑499/99, Racc. pag. I‑6031), la Corte ha dichiarato quanto segue:

«1)      Il Regno di Spagna, da un lato, avendo omesso di adottare le misure necessarie per conformarsi alla decisione [91/1], che ha dichiarato illegittimi ed incompatibili con il mercato comune taluni aiuti concessi alle imprese [Indosa], [GURSA], [MIGSA] e [Cunosa], ed alla decisione [1999/509], che ha dichiarato illegittimi ed incompatibili con il mercato comune taluni aiuti concessi alle imprese GURSA, MIGSA e Cunosa, e, dall’altro, avendo omesso di informare la Commissione, entro i termini impartiti, delle misure adottate per dare attuazione alla decisione 1999/509, che ha dichiarato illegittimi ed incompatibili con il mercato comune taluni aiuti concessi all’impresa Indosa, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 249, quarto comma, CE e degli artt. 2 e 3 delle dette decisioni.

2)      Il ricorso della Commissione delle Comunità europee è respinto per il resto.

3)      Il Regno di Spagna è condannato alle spese».

24      Come emerge dalla motivazione di detta sentenza, la Corte ha respinto il ricorso della Commissione, nella parte in cui questo era volto a far dichiarare che il Regno di Spagna non aveva adottato le misure necessarie per conformarsi alla decisione 1999/509, basandosi sulla circostanza che la liquidazione dell’Indosa era stata decisa dall’assemblea dei creditori svoltasi il 4 luglio 2000.

 Le discussioni condotte fino alla presentazione del ricorso in esame

25      A seguito della citata sentenza Commissione/Spagna, è intercorso un voluminoso scambio di corrispondenza tra la Commissione e il Regno di Spagna in merito al recupero degli aiuti oggetto delle decisioni 91/1 e 1999/509 nonché all’esecuzione di detta sentenza.

26      Dagli atti presentati alla Corte emerge che l’Indosa, pur essendo stata dichiarata fallita nel 1994, ha proseguito le proprie attività.

27      In risposta alle richieste di informazioni della Commissione del 25 marzo e del 27 luglio 2004 nonché del 31 gennaio 2005, le autorità spagnole hanno in particolare indicato, con lettera del 31 marzo 2005, che l’accordo di liquidazione dell’Indosa era stato approvato il 29 settembre 2004, che tale approvazione era stata contestata senza che ciò avesse determinato effetto sospensivo e che, pertanto, la procedura di liquidazione degli attivi dell’Indosa poteva avere inizio.

28      Con lettere del 5 luglio e del 16 dicembre 2005, la Commissione ha rilevato che, dopo quasi tre anni dalla pronuncia della citata sentenza Commissione/Spagna, l’Indosa proseguiva le proprie attività, la procedura di liquidazione dei suoi attivi non era ancora stata avviata e l’aiuto illegale non era stato recuperato. Inoltre, detta istituzione ha chiesto la cessazione delle attività dell’Indosa e il completamento della liquidazione dei suoi attivi entro e non oltre il 25 gennaio 2006.

29      Nel corso del medesimo anno 2006, la Commissione ha ritenuto che le decisioni 91/1 e 1999/509 fossero state eseguite per quanto riguardava la GURSA, la MIGSA e la Cunosa, dato che queste ultime avevano cessato le proprie attività e che i loro attivi erano stati venduti a prezzo di mercato. Quanto, invece, all’Indosa, lo scambio di corrispondenza tra la Commissione e le autorità spagnole è proseguito.

30      Con lettera del 30 maggio 2006, il Regno di Spagna ha reso noto alla Commissione che l’accordo di liquidazione dell’Indosa aveva acquisito carattere definitivo il 2 maggio 2006.

31      La Commissione ha tuttavia sostenuto, in una serie di lettere datate, in particolare, 18 ottobre 2006, 27 gennaio 2007 e 26 settembre 2008, che le attività dell’Indosa non erano realmente cessate e che i suoi attivi non erano stati liquidati. Infatti, le informazioni fornite dal Regno di Spagna avrebbero mostrato che le attività dell’Indosa proseguivano attraverso la sua controllata al 100%, vale a dire la Compañía de Menaje Doméstico SA (in prosieguo: la «CMD»), che era stata costituita dall’amministratore fallimentare dell’Indosa per commercializzare i prodotti dell’impresa e alla quale erano stati trasferiti tutti gli attivi di quest’ultima nonché il suo personale. Ritenendo che gli attivi dell’Indosa non fossero stati trasferiti secondo una procedura aperta e trasparente, la Commissione ha concluso che la CMD proseguiva l’attività sovvenzionata e che, di conseguenza, gli aiuti di cui trattasi dovevano essere recuperati presso la CMD.

32      Il Regno di Spagna ha risposto con una serie di lettere, fra cui quelle dell’8 ottobre e del 13 novembre 2008 nonché del 24 luglio e del 25 agosto 2009, da cui emerge che la CMD era stata dichiarata fallita il 30 giugno 2008 e che i suoi amministratori giudiziari avevano presentato una domanda di risoluzione collettiva dei contratti di lavoro di tutto il personale, domanda che era stata accolta dal giudice nazionale competente.

33      Con lettere del 18 agosto e del 7 e 21 settembre 2009, la Commissione ha chiesto che le venisse trasmesso un calendario dettagliato indicante la data esatta della cessazione delle attività della CMD, nonché maggiori informazioni sul procedimento di cessione dei suoi attivi, compresa la prova che detta cessione era stata effettuata a condizioni di mercato. Tale istituzione ha altresì chiesto al Regno di Spagna di fornire prove idonee a dimostrare che gli aiuti dichiarati incompatibili con il mercato comune erano stati ammessi al passivo della CMD come debiti nella massa fallimentare.

34      Con lettere del 21 settembre e del 13 e 21 ottobre 2009, il Regno di Spagna ha risposto, in sostanza, che la CMD aveva cessato le proprie attività il 30 luglio 2009, senza tuttavia fornire alla Commissione il calendario dettagliato da questa richiesto.

35      Il 3 settembre 2009 alcuni ex dipendenti della CMD hanno creato una società a responsabilità limitata a partecipazione operaia, denominata Euskomenaje 1870 SLL (in prosieguo: l’«Euskomenaje»), la cui attività consiste nella fabbricazione e nella commercializzazione di articoli casalinghi e di piccoli elettrodomestici. Secondo il Regno di Spagna, l’Euskomenaje è stata autorizzata ad esercitare un’«attività provvisoria» al fine di garantire il mantenimento degli impianti industriali e di sostenere le spese fisse volte a ridurre il passivo nell’ambito della procedura fallimentare della CMD.

36      A seguito della costituzione di detta società, i curatori fallimentari della CMD hanno autorizzato la cessione provvisoria degli attivi di quest’ultima all’Euskomenaje fino alla conclusione della procedura di liquidazione della CMD.

37      La Commissione ha allora reagito come segue.

38      Da un lato, essa ha proposto il ricorso in esame, vertente sull’omessa esecuzione, da parte del Regno di Spagna, della decisione 1999/509 per quanto riguarda l’Indosa.

39      Dall’altro, detta istituzione ha avviato nei confronti del Regno di Spagna il procedimento previsto all’articolo 228 CE (divenuto articolo 260 TFUE), inviandogli, il 23 novembre 2009, una lettera di diffida nella quale addebitava a tale Stato membro di non aver dato seguito alla citata sentenza Commissione/Spagna, nella parte riguardante la decisione 91/1 e l’Indosa.

 Gli sviluppi successivi all’adizione della Corte nella presente causa

40      Il procedimento per omessa esecuzione di una sentenza della Corte che dichiara un inadempimento di uno Stato membro al diritto dell’Unione, menzionato al punto precedente, ha dato luogo alla sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna (C‑610/10, non ancora pubblicata nella Raccolta).

41      Da quest’ultima sentenza emerge che il 26 gennaio 2010 il Regno di Spagna ha informato la Commissione che l’Indosa e la CMD erano in corso di liquidazione ed avevano cessato le proprie attività.

42      Con lettere del 2 e del 9 giugno 2010, il Regno di Spagna ha indicato, in particolare, che la Comunità autonoma del Paese basco non figurava nell’elenco dei creditori della CMD per gli aiuti dichiarati illegali e incompatibili con il mercato comune dalla decisione 91/1, ma intendeva costituirsi nella procedura fallimentare di tale società per chiedere l’iscrizione in detto elenco del credito relativo ai suddetti aiuti.

43      Con lettera del 7 luglio 2010, il Regno di Spagna ha trasmesso alla Commissione il piano di liquidazione della CMD e l’ordinanza del competente giudice nazionale del 22 giugno 2010 che lo approvava. Tale piano prevede che l’insieme degli attivi della CMD debba essere venduto ai suoi creditori, ossia essenzialmente ai suoi dipendenti, attraverso una compensazione parziale dei loro crediti, a meno che non sia presentata un’offerta migliore entro il termine di quindici giorni dalla pubblicazione di detto piano. Tuttavia, da detto piano risulta che gli aiuti illegali di cui trattasi non figurano tra i crediti riconosciuti.

44      Il 3 dicembre 2010 la Comunità autonoma del Paese basco ha presentato una domanda di iscrizione al passivo, nell’ambito della procedura fallimentare della CMD, del credito relativo alla restituzione degli aiuti concessi all’Indosa e dichiarati illegali dalla decisione 91/1. Poiché il credito dichiarato a tale titolo ammontava all’incirca ad EUR 16,5 milioni, ossia un importo nettamente inferiore alla totalità degli aiuti interessati, detta Comunità lo ha più volte corretto, portandolo, secondo la sua ultima dichiarazione del 7 dicembre 2011, ad EUR 22 683 745, somma che corrisponde alla stima del credito in questione effettuata dalla Commissione.

45      Con ordinanza del 12 gennaio 2011, il Juzgado de lo Mercantil n. 2 di Bilbao (Spagna) ha ordinato la cessazione dell’attività della CMD e la chiusura dei suoi stabilimenti.

46      Il 3 marzo 2011 la Comunità autonoma del Paese basco ha presentato una domanda dinanzi a detto giudice diretta a far cessare l’attività dell’Euskomenaje che si svolgeva negli impianti della CMD.

47      Il 10 marzo 2011 la suddetta Comunità autonoma ha proposto appello avverso l’ordinanza del 22 giugno 2010, menzionata al punto 43 della presente sentenza, che aveva approvato il piano di liquidazione della CMD.

48      Con ordinanza del 16 gennaio 2012, l’Audiencia Provincial di Bizkaia (Spagna) ha annullato tale ordinanza e ha disposto la liquidazione degli attivi della CMD in condizioni di concorrenza libera, trasparente e aperta ai terzi.

49      Con ordinanza del 4 aprile 2012 del Juzgado de lo Mercantil n. 2 di Bilbao, è stato ammesso al passivo della CMD un credito di EUR 22 683 745 in favore della Comunità autonoma del Paese basco.

 Sul ricorso

50      Con atto separato depositato il 4 marzo 2010 presso la cancelleria della Corte, il Regno di Spagna ha sollevato nei confronti del ricorso della Commissione un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’articolo 91, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte nella versione applicabile a tale data. Il 31 agosto 2010 la Corte ha deciso di riunire tale eccezione al merito della causa e di esaminarla contemporaneamente a quest’ultima.

 Sull’eccezione di irricevibilità

 Argomenti delle parti

51      Il Regno di Spagna eccepisce l’irricevibilità del ricorso in esame, con la motivazione che questo contrasterebbe con il principio dell’autorità di cosa giudicata applicabile alla citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna.

52      A tale riguardo, nella fattispecie ricorrerebbero le tre condizioni richieste dalla giurisprudenza della Corte per l’accoglimento dell’eccezione di autorità della cosa giudicata, vale a dire l’identità delle parti, dell’oggetto e della causa petendi. Infatti, il ricorso contrapporrebbe le stesse parti, cioè la Commissione ed il Regno di Spagna, l’oggetto sarebbe identico nelle due cause, poiché si tratterebbe della decisione 1999/509, e la causa petendi sarebbe la stessa, poiché il ricorso che ha dato luogo alla suddetta sentenza Commissione/Spagna si fonda sull’articolo 88, paragrafo 2, CE, disposizione oggi corrispondente all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE.

53      Dato che nella citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna, la Corte avrebbe, in sostanza, dichiarato che il Regno di Spagna si era conformato agli obblighi ad esso incombenti ai sensi della suddetta decisione, il presente ricorso dovrebbe essere respinto in quanto irricevibile, poiché riguarderebbe una questione su cui si è già statuito. Al punto 43 di tale sentenza, infatti, la Corte si sarebbe limitata a constatare, con riferimento all’Indosa, una violazione da parte di detto Stato membro del solo obbligo di informare la Commissione circa le misure che erano già state adottate e quelle che sarebbero state adottate per recuperare gli aiuti concessi a tale impresa. Dai punti 40, 44 e 46 della medesima sentenza emergerebbe che il ricorso proposto da detta istituzione sarebbe, invece, stato respinto nella parte in cui si addebitava al Regno di Spagna di non aver adottato le misure necessarie per recuperare gli aiuti concessi all’Indosa, e questo perché, secondo i punti 33 e 35 della summenzionata sentenza, l’assemblea dei creditori ne aveva deciso la messa in liquidazione.

54      Il Regno di Spagna aggiunge che, per quanto riguarda l’obbligo di informare la Commissione delle misure adottate per l’esecuzione della decisione 1999/509 entro il termine previsto dalla medesima, dal punto 42 della citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna, emergerebbe che, conformemente all’articolo 3 di detta decisione, tale termine era scaduto il 29 dicembre 1998, ragion per cui l’obbligo in parola sarebbe oggi impossibile da soddisfare.

55      La Commissione chiede il rigetto dell’eccezione di irricevibilità sollevata dal Regno di Spagna.

56      Tale istituzione espone al riguardo che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, l’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi da una sentenza della Corte (v., in particolare, sentenze del 12 giugno 2008, Commissione/Portogallo, C‑462/05, Racc. pag. I‑4183, punto 23, e del 29 giugno 2010, Commissione/Lussemburgo, C‑526/08, Racc. pag. I‑6180, punto 27).

57      Più precisamente, secondo questa stessa giurisprudenza, in caso di modifica delle circostanze del caso di specie, la Commissione sarebbe tenuta a determinare se tale modifica costituisca un cambiamento fondamentale della premessa su cui la Corte si è fondata nella sua precedente sentenza e, in caso affermativo, la Commissione sarebbe legittimata a proporre un nuovo ricorso.

58      Orbene, questo è appunto quanto si verificherebbe nel caso di specie.

59      Infatti, al punto 33 della sua citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna, la Corte si sarebbe basata sulla premessa secondo cui «[i]l 4 luglio 2000 si è svolta un’assemblea dei creditori per decidere in merito alla prosecuzione od alla cessazione delle attività della Indosa; tale assemblea ha deliberato la messa in liquidazione dell’impresa entro un termine di quattro mesi».

60      Successivamente, sarebbe tuttavia emerso che, contrariamente a quanto convenuto nel corso della suddetta assemblea dei creditori, l’Indosa non è stata messa in liquidazione, ma, al contrario, le sue attività sono proseguite, in un primo tempo direttamente tramite l’Indosa, poi, in un secondo tempo, tramite la CMD, che è la controllata di ques’ultima.

61      Pertanto, le premesse di fatto essenziali su cui si fondava la citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna, non si sarebbero verificate. I fatti menzionati al punto precedente costituirebbero, infatti, elementi nuovi, non decisi dalla stessa sentenza, con la conseguenza che l’oggetto della presente controversia sarebbe diverso da quello della causa definita con tale sentenza.

62      Peraltro, la Commissione non avrebbe potuto promuovere dinanzi alla Corte un’azione nei confronti del Regno di Spagna in applicazione dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, dato che, all’epoca, la Corte non aveva ancora dichiarato l’inadempimento da parte di tale Stato membro dell’obbligo di recupero degli aiuti illegali versati all’Indosa prescritto dalla decisione 1999/509.

63      La Commissione aggiunge che, se la Corte accogliesse l’eccezione di irricevibilità, detta istituzione sarebbe privata dei mezzi che il Trattato FUE mette a sua disposizione per obbligare uno Stato membro a eseguire una decisione adottata al fine di rimediare alla distorsione della concorrenza causata da aiuti dichiarati incompatibili con il mercato comune. La tesi sostenuta dal Regno di Spagna priverebbe quindi di ogni efficacia la normativa riguardante il controllo degli aiuti di Stato, così come la decisione che ha dichiarato l’illegittimità degli aiuti di cui trattasi nella fattispecie.

 Giudizio della Corte

64      In primo luogo, occorre ricordare l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici degli Stati membri (v. sentenza Commissione/Lussemburgo, cit., punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

65      Come già dichiarato dalla Corte, tale principio è applicabile anche ai procedimenti per inadempimento (sentenza Commissione/Lussemburgo, cit., punto 27).

66      Da consolidata giurisprudenza della Corte emerge che l’autorità di cosa giudicata riguarda tuttavia unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale di cui trattasi (sentenza Commissione/Lussemburgo, cit., punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

67      Al fine di determinare se la Commissione abbia violato il principio dell’autorità di cosa giudicata proponendo il ricorso in esame, occorre verificare se, alla luce del contesto fattuale e giuridico dei due procedimenti interessati, sussista in sostanza un’identità di fatto e di diritto tra la presente causa e quella definita con la citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna (v. sentenza Commissione/Lussemburgo, cit., punto 28).

68      Si tratta, più precisamente, di valutare se l’oggetto della presente controversia coincida con quello che ha dato luogo alla suddetta sentenza Commissione/Spagna (v., in tal senso, sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 27).

69      In secondo luogo, si deve rilevare che il mezzo di ricorso di cui all’articolo 108, paragrafo 2, secondo comma, TFUE è solo una variante del ricorso per inadempimento, specificamente adattata ai problemi particolari che gli aiuti statali sollevano in relazione alla concorrenza nel mercato interno (v. sentenza del 3 luglio 2001, Commissione/Belgio, C‑378/98, Racc. pag. I‑5107, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

70      Nell’ambito dei procedimenti promossi in applicazione dell’articolo 258 TFUE, la Corte ha più volte statuito che l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che i mutamenti intervenuti in seguito non possono essere presi in considerazione (v., in particolare, sentenza Commissione/Belgio, cit., punto 25).

71      Emerge inoltre da costante giurisprudenza della Corte che la data rilevante per la valutazione di un ricorso per inadempimento proposto in forza dell’articolo 108, paragrafo 2, secondo comma, TFUE è in linea di principio – in ragione del fatto che tale disposizione non prevede una fase precontenziosa, a differenza dell’articolo 258 TFUE, e che, di conseguenza, la Commissione non emette un parere motivato che impartisce allo Stato membro interessato un termine per conformarsi al diritto dell’Unione – quella che è stata prevista nella decisione della Commissione di cui si fa valere la mancata esecuzione (v., in particolare, sentenze del 14 aprile 2011, Commissione/Polonia, C‑331/09, Racc. pag. I‑2933, punto 50 e giurisprudenza ivi citata; del 1° marzo 2012, Commissione/Grecia, C‑354/10, punto 61, e del 28 giugno 2012, Commissione/Grecia, C‑485/10, punto 31).

72      Per quanto riguarda il termine impartito nella fattispecie, l’articolo 3 della decisione 1999/509 imponeva al Regno di Spagna un termine di due mesi dalla data di notifica della medesima per informare la Commissione delle misure adottate per conformarsi a tale decisione.

73      Poiché detta decisione è stata notificata al Regno di Spagna il 29 ottobre 1998, il termine di due mesi enunciato al suo articolo 3 è quindi giunto a scadenza il successivo 29 dicembre.

74      Tuttavia, nella fattispecie, è necessario constatare che, come già affermato al punto 28 della presente sentenza, nell’ambito delle lunghe discussioni intercorse tra le parti in merito al recupero degli aiuti di cui trattasi la Commissione aveva fissato, nella sua lettera del 16 dicembre 2005, un nuovo termine con scadenza al 25 gennaio 2006 affinché il suddetto Stato membro si conformasse ai suoi obblighi derivanti dalla decisione 1999/509.

75      Occorre in tal senso considerare che il termine fissato all’articolo 3 della decisione in parola è stato sostituito da quello risultante dalla lettera del 16 dicembre 2005, ragion per cui è quest’ultimo il termine rilevante per la valutazione dell’inadempimento dedotto dalla Commissione nella presente causa (v., in tal senso, citate sentenze Commissione/Belgio, punto 28; Commissione/Polonia, punto 50, e del 28 giugno 2012, Commissione/Grecia, punto 31).

76      Ne consegue che, ai fini della valutazione dell’inadempimento contestato nell’ambito del presente procedimento, la Corte è chiamata ad esaminare la situazione di fatto e di diritto quale si presentava al 25 gennaio 2006 e che, pertanto, la data rilevante nella fattispecie è ben posteriore a quella in cui la citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna, è stata pronunciata.

77      In tali circostanze, non si può validamente sostenere che la presente controversia e quella all’origine della sentenza Commissione/Spagna abbiano lo stesso oggetto.

78      Orbene, come ricordato ai punti 67 e 68 della presente sentenza, l’identità di oggetto tra le due cause in questione, nel senso che esse vertono sulla stessa situazione di fatto e di diritto, costituisce una delle condizioni necessarie perché alla prima decisione giurisdizionale possa essere riconosciuta l’autorità di cosa giudicata nei confronti della presente causa.

79      Di conseguenza, l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Regno di Spagna, relativa all’autorità di cosa giudicata della citata sentenza del 2 luglio 2002, Commissione/Spagna, dev’essere respinta.

 Nel merito

 Argomenti delle parti

80      La Commissione addebita al Regno di Spagna di non aver adottato le misure che l’esecuzione della decisione 1999/509 comporta con riferimento al recupero degli aiuti illegali concessi all’Indosa.

81      Infatti, benché la suddetta impresa sia stata dichiarata fallita sin dall’anno 1994, tali aiuti non sarebbero stati recuperati presso la medesima né iscritti al passivo come debiti nella massa fallimentare di tale impresa.

82      Inoltre, le attività dell’Indosa sarebbero state proseguite, nonostante la dichiarazione di fallimento di tale società, in un primo tempo dall’Indosa stessa, poi, in un secondo tempo, dalla sua controllata al 100%, vale a dire la CMD. Il trasferimento degli attivi dall’Indosa alla CMD sarebbe poi stato effettuato in maniera non trasparente e senza una procedura di gara.

83      Quanto alla CMD, società che, successivamente, è stata a sua volta dichiarata fallita, la Commissione ritiene che le autorità spagnole non abbiano neppure in questo caso proceduto al recupero degli aiuti illegali di cui trattasi presso detta impresa e non abbiano nemmeno iscritto al passivo il credito relativo alla restituzione di tali aiuti nell’ambito della procedura fallimentare di quest’ultima.

84      Inoltre, a seguito della cessazione delle attività della CMD, il vantaggio concorrenziale derivante dal beneficio degli aiuti illegali si sarebbe protratto in favore dell’Euskomenaje, un’impresa creata da ex dipendenti della CMD al fine di continuare l’attività fino ad allora esercitata da quest’ultima. Tutto ciò indurrebbe a ritenere che questa operazione sia ancora una volta servita ad eludere gli obblighi derivanti dalla liquidazione della società beneficiaria degli aiuti illegali, dato che il trasferimento degli attivi della CMD all’Euskomenaje è stato effettuato senza pubblicità e senza alcun corrispettivo.

85      Il Regno di Spagna sostiene, invece, di aver preso tutte le misure in suo potere per garantire l’esecuzione della decisione 1999/509.

86      A questo proposito, detto Stato membro fa valere in sostanza che, per quanto riguarda, in primo luogo, l’iscrizione del credito relativo alla restituzione degli aiuti illegali di cui trattasi nell’ambito della procedura fallimentare della CMD, la Comunità autonoma del Paese basco ha adottato una serie di iniziative a tal fine.

87      Quanto, in secondo luogo, alla cessazione dell’attività sovvenzionata, il Regno di Spagna ammette che questa si è protratta nei locali della CMD tramite l’Euskomenaje. Tale Stato membro ritiene, tuttavia, di aver compiuto quanto necessario per porre termine a detta attività.

88      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la vendita degli attivi della CMD, il Regno di Spagna ritiene, facendo riferimento alla sentenza del 17 novembre 2011, Commissione/Italia (C‑496/09, Racc. pag. I‑11483), che sia sufficiente, ai fini dell’esecuzione di un obbligo di recupero di un aiuto illegale e incompatibile con il mercato comune, che sia iscritto al passivo fallimentare il credito relativo alla restituzione degli aiuti in questione, non essendo quindi più richiesta la vendita a prezzo di mercato degli attivi del beneficiario di tale aiuto.

89      Infine, il Regno di Spagna sostiene che i creditori pubblici non hanno potuto accelerare la liquidazione della CMD, svolgendosi questa sotto la sorveglianza di un giudice e secondo il procedimento previsto dalla normativa nazionale applicabile. Varie difficoltà indipendenti dalla volontà del Regno di Spagna spiegherebbero i ritardi in tale operazione di liquidazione. Il mancato recupero degli aiuti concessi sarebbe dovuto alla circostanza che le imprese in questione sono fallite.

 Giudizio della Corte

90      In via preliminare, si deve ricordare che, come più volte dichiarato dalla Corte, la soppressione di un aiuto illegale mediante recupero è la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità (v., in particolare, sentenza Commissione/Polonia, cit., punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

91      Pertanto, lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegali è tenuto, ai sensi dell’articolo 288 TFUE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione. Esso deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute, al fine di eliminare la distorsione della concorrenza causata dal vantaggio concorrenziale procurato dall’aiuto illegittimo (v. sentenza Commissione/Polonia, cit., punti 55 e 56).

92      Conformemente all’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 659/99, il recupero di un aiuto dichiarato illegale e incompatibile da una decisione della Commissione va effettuato, come altresì emerge dal considerando 13 di tale regolamento, senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della suddetta decisione; una simile condizione riflette le esigenze del principio di effettività sancito dalla giurisprudenza della Corte (v. sentenze Commissione/Polonia, cit., punto 59, e del 29 marzo 2012, Commissione/Italia, C‑243/10, punto 36).

93      Per valutare la fondatezza del ricorso in esame, è pertanto importante verificare se gli importi degli aiuti illegali di cui trattasi siano stati restituiti dall’impresa beneficiaria dei medesimi entro il termine impartito.

94      Occorre anzitutto constatare che la controversia sottoposta alla Corte verte unicamente sugli aiuti concessi all’Indosa e dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione 1999/509.

95      Occorre in proposito ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, la data di riferimento per l’applicazione dell’articolo 108, paragrafo 2, secondo comma, TFUE è quella prevista nella decisione di cui si fa valere la mancata esecuzione o, eventualmente, quella che la Commissione ha fissato successivamente (v., in particolare, sentenza del 28 giugno 2012, Commissione/Grecia, cit., punto 31).

96      Come già detto ai punti 74‑76 della presente sentenza, la data rilevante nella fattispecie è quella della scadenza del termine fissato dalla Commissione nella sua lettera del 16 dicembre 2005, vale a dire il 25 gennaio 2006.

97      Orbene, nel caso di specie, è pacifico che a quest’ultima data gli aiuti illegali di cui l’Indosa ha beneficiato non erano stati recuperati presso tale impresa. È del resto necessario constatare che, con riferimento a quest’ultima, nessuna delle somme di cui alla decisione 1999/509 era stata oggetto di recupero fino alla data dell’udienza nella presente causa.

98      Una simile situazione è manifestamente incompatibile con l’obbligo dello Stato membro interessato di pervenire ad un recupero effettivo delle somme dovute e costituisce una palese violazione del dovere di esecuzione immediata ed effettiva della suddetta decisione.

99      Sempre secondo costante giurisprudenza, l’unico mezzo difensivo che uno Stato membro può opporre ad un ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di tale istituzione che ordina il recupero dell’aiuto in questione (v., in particolare, sentenza Commissione/Polonia, cit., punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

100    Orbene, nella presente causa il Regno di Spagna non ha neppure dedotto un’impossibilità assoluta di esecuzione siffatta.

101    In ogni caso, si deve ricordare che, da un lato, la condizione dell’impossibilità assoluta di esecuzione non è soddisfatta quando lo Stato membro convenuto si limita ad invocare le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che ha dovuto affrontare per attuare la decisione interessata, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese coinvolte al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione altre modalità di esecuzione della decisione che avrebbero consentito di superare le difficoltà, e che, dall’altro, asseriti problemi interni riscontrati nell’esecuzione della decisione della Commissione non possono giustificare l’inosservanza, da parte di tale Stato membro, degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione (v. sentenza Commissione/Polonia, cit., punti 70 e 72).

102    Di conseguenza, le spiegazioni fornite dal suddetto Stato membro a propria difesa, basate su pretese difficoltà di ordine interno, non possono in alcun caso essere ammesse per giustificare la mancata esecuzione della decisione 1999/509.

103    Quanto alla circostanza, invocata dal Regno di Spagna, secondo cui l’Indosa, come del resto la CMD che le è subentrata, sono state dichiarate fallite e secondo cui un recupero degli aiuti di cui trattasi è reso impossibile dall’assenza di attivi, occorre rilevare che, qualora gli aiuti illegittimamente versati debbano essere recuperati presso un’impresa in stato di fallimento o soggetta a una procedura diretta alla realizzazione dell’attivo e all’accertamento del passivo, la Corte ha ripetutamente statuito che non ha alcuna incidenza sull’obbligo di recupero il fatto che detta impresa sia in difficoltà o in stato di fallimento (v. sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, cit., punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

104    Sempre secondo costante giurisprudenza, il ripristino della situazione anteriore e l’eliminazione della distorsione di concorrenza risultante dagli aiuti illegittimamente erogati possono, in linea di principio, essere conseguiti con l’iscrizione al passivo fallimentare del credito relativo alla restituzione degli aiuti in questione (v. sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, cit., punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

105    Nella fattispecie, è pacifico che, alla data di riferimento del 25 gennaio 2006, gli aiuti illegali di cui trattasi non erano stati oggetto di una tale iscrizione.

106    In considerazione delle peculiarità della presente causa nonché degli argomenti illustrati dalle parti, occorre inoltre precisare che, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno di Spagna, anche se l’iscrizione al passivo fallimentare del credito relativo agli aiuti di cui trattasi fosse avvenuto entro il termine impartito, l’espletamento di tale formalità non sarebbe stato sufficiente, di per sé solo, a soddisfare l’obbligo di eseguire la decisione 1999/509 e di rimuovere la distorsione della concorrenza creata dal beneficio di tali aiuti.

107    Infatti, come già più volte dichiarato dalla Corte, l’iscrizione al passivo fallimentare del credito relativo alla restituzione degli aiuti in questione consente di porsi in regola con l’obbligo di recupero solo qualora, nel caso in cui le autorità statali non possano recuperare integralmente l’importo degli aiuti, la procedura fallimentare giunga alla liquidazione dell’impresa beneficiaria degli aiuti illegali, ossia alla cessazione definitiva della sua attività (sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, cit., punto 104 e giurisprudenza ivi citata).

108    Nella fattispecie, risulta tuttavia che non solo l’Indosa non era ancora stata oggetto di liquidazione alla data del 25 gennaio 2006, ma che, per giunta, le sue attività sono proseguite tramite la CMD, poi l’Euskomenaje.

109    Orbene, dato che l’impresa beneficiaria degli aiuti illegali è fallita ed è stata costituita una nuova società al fine di proseguire le attività dell’impresa fallita, la prosecuzione di tale attività, senza l’integrale recupero degli aiuti in questione, è idonea a protrarre la distorsione della concorrenza causata dal vantaggio concorrenziale di cui detta società ha goduto sul mercato rispetto ai suoi concorrenti. Pertanto, una simile società di nuova costituzione può essere tenuta, ove continui a godere di detto vantaggio, al rimborso degli aiuti in parola. Così è, segnatamente, nel caso in cui si dimostri che tale società continua effettivamente a godere del vantaggio concorrenziale corrispondente al beneficio di detti aiuti, in particolare qualora essa proceda all’acquisto degli attivi della società in liquidazione senza versare in corrispettivo un prezzo conforme alle condizioni del mercato, o qualora la creazione di una società siffatta abbia avuto come effetto l’elusione dell’obbligo di restituzione di tali aiuti. Ciò vale, in particolare, qualora il versamento di un prezzo conforme alle condizioni di mercato non sia sufficiente a neutralizzare il vantaggio concorrenziale corrispondente al beneficio degli aiuti illegali. Le suesposte considerazioni non sono del resto affatto contraddette dalla citata sentenza del 17 novembre 2011, Commissione/Italia, richiamata dal Regno di Spagna (sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, cit., punti 106 e 108).

110    A tale riguardo, occorre sottolineare che, nella fattispecie, il Regno di Spagna non ha adottato entro il termine impartito alcuna misura idonea a garantire il recupero degli aiuti illegali di cui trattasi.

111    Così, da un lato, solamente il 3 dicembre 2010 la Comunità autonoma del Paese basco ha presentato una domanda di iscrizione al passivo di parte del credito relativo alla restituzione degli aiuti illegali nell’ambito della procedura fallimentare della CMD. Inoltre, come emerge dai punti 23 e 73 della citata sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, il credito dichiarato a tale titolo era relativo agli aiuti dichiarati illegali dalla decisione 91/1, mentre la presente controversia riguarda gli aiuti di cui alla decisione 1999/509.

112    D’altro lato, solamente il 3 marzo 2011 la suddetta Comunità autonoma del Paese basco ha proposto, dinanzi al Juzgado de lo Mercantil n. 2 di Bilbao, una domanda diretta a far cessare l’attività dell’Euskomenaje che si svolgeva negli impianti della CMD.

113    Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre quindi concludere che il Regno di Spagna non può validamente sostenere di aver eseguito la decisione 1999/509, ragion per cui il ricorso proposto dalla Commissione deve considerarsi integralmente fondato.

114    Occorre di conseguenza dichiarare che il Regno di Spagna, non avendo adottato, entro il termine impartito, le misure necessarie per conformarsi alla decisione 1999/509 per quanto riguarda l’Indosa, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi degli articoli 288, quarto comma, TFUE nonché 2 e 3 di tale decisione.

 Sulle spese

115    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Regno di Spagna, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Non avendo adottato, entro il termine impartito, le misure necessarie per conformarsi alla decisione 1999/509/CE della Commissione, del 14 ottobre 1998, relativa all’aiuto concesso dalla Spagna a favore delle imprese del gruppo Magefesa e delle imprese che gli sono subentrate, per quanto riguarda l’impresa Industrias Domésticas SA, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 288, quarto comma, TFUE nonché 2 e 3 di tale decisione.

2)      Il Regno di Spagna è condannato alle spese.

Firme


* Lingua processuale: lo spagnolo.