Language of document : ECLI:EU:C:2015:68

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 5 febbraio 2015 (1)

Causa C‑182/13

Valerie Lyttle,

Sarah Louise Halliday,

Clara Lyttle,

Tanya McGerty

contro

Bluebird UK Bidco 2 Ltd

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dagli Industrial Tribunals (Northern Ireland) (Regno Unito)]

Causa C‑392/13

Andrés Rabal Cañas

contro

Nexea Gestión Documental SA,

Fondo de Garantía Salarial

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona (Spagna)]

Causa C‑80/14

Union of Shop, Distributive and Allied Workers (USDAW),

B. Wilson

contro

WW Realisation 1 Ltd, in liquidazione,

Ethel Austin Ltd,

Secretary of State for Business, Innovation and Skills

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England and Wales) (Regno Unito)]

«Direttiva 98/59/CE – Articolo 1 – Licenziamenti collettivi – Nozione di “stabilimento” – Metodo di calcolo del numero di licenziamenti»





1.        Le tre cause in esame sollevano sostanzialmente la medesima questione e, pertanto, le analizzerò congiuntamente nelle presenti conclusioni, sebbene non siano state formalmente riunite. La questione che si pone in tutte le suddette cause riguarda l’esatta portata della nozione di «stabilimento» di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a) (2), della direttiva 98/59/CE (3) al fine di stabilire se abbiano avuto luogo licenziamenti collettivi.

2.        Di fatto, la Corte ha già interpretato la nozione controversa con particolare riferimento al punto i) dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59 e ha dichiarato che tale nozione definisce «l’unità alla quale sono addetti i lavoratori colpiti da licenziamento per lo svolgimento delle loro mansioni» (4). Nei casi trattati in precedenza, tale interpretazione era favorevole ai lavoratori interessati. Tuttavia, nelle cause qui in esame la medesima interpretazione sembrerebbe, prima facie, avere un effetto negativo per i lavoratori interessati. In tale contesto sorge ora la questione se il suddetto orientamento giurisprudenziale debba essere applicato anche con particolare riferimento al punto ii) dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59.

3.        A mio avviso, è essenziale che la Corte fornisca un’interpretazione coerente – agevolando così l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione – della nozione controversa.

I –          Contesto normativo

A –          Direttiva 98/59

4.        Le disposizioni della direttiva 75/129/CEE (5), nonché della direttiva 92/56/CEE (6) recante modifica della precedente, sono state consolidate dalla direttiva 98/59, la quale ha al contempo abrogato tali direttive precedenti.

5.        L’articolo 1 della direttiva 98/59 (Sezione I – «Definizione e campo di applicazione») così recita:

«1.      Ai fini dell’applicazione della presente direttiva:

a)      per licenziamento collettivo si intende ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore se il numero dei licenziamenti effettuati è, a scelta degli Stati membri:

i)      per un periodo di 30 giorni:

–        almeno pari a 10 negli stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 e meno di 100 lavoratori;

–        almeno pari al 10% del numero dei lavoratori negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 100 e meno di 300 lavoratori;

–        almeno pari a 30 negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 300 lavoratori;

ii)      oppure, per un periodo di 90 giorni, almeno pari a 20, indipendentemente dal numero di lavoratori abitualmente occupati negli stabilimenti interessati;

(…).

Per il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque.

2.      La presente direttiva non si applica:

a)      ai licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o dell’espletamento del compito previsto nei suddetti contratti; (…)».

B –          Contesto normativo nazionale

1.            Normativa del Regno Unito

6.        Il capo II della parte IV della legge del 1992 sui sindacati e le relazioni industriali (testo consolidato) [Trade Union and Labour Relations (Consolidation) Act 1992] (in prosieguo: il «TULRCA») dà attuazione agli obblighi incombenti al Regno Unito in forza della direttiva 98/59 relativamente all’Inghilterra e al Galles, nonché alla Scozia.

7.        L’articolo 188, paragrafo 1, del TULRCA dispone che, quando un datore di lavoro prevede di licenziare per esubero 20 o più dipendenti di un unico stabilimento in un periodo pari o inferiore a 90 giorni, deve consultare in merito a tali licenziamenti tutte le persone che rappresentano legittimamente i dipendenti eventualmente interessati dai licenziamenti previsti o dai provvedimenti adottati in relazione a tali licenziamenti.

8.        Se il datore di lavoro non rispetta uno dei requisiti di cui all’articolo 188 del TULRCA, il tribunale del lavoro può concedere un’indennità di tutela ai sensi dell’articolo 189, paragrafo 2, che, conformemente all’articolo 189, paragrafo 3, comporta l’obbligo per il datore di lavoro di pagare la retribuzione relativa al periodo tutelato, come definito all’articolo 189, paragrafo 4.

9.        Per quanto riguarda l’Irlanda del Nord, la direttiva 98/59 è stata recepita con la parte XIII del decreto sui diritti dei lavoratori (Irlanda del Nord) [Employment Rights (Northern Ireland) Order] (in prosieguo: l’«ERO»). L’articolo 216 dell’ERO è sostanzialmente analogo all’articolo 188, paragrafo 1, del TULRCA.

2.            Normativa spagnola

10.      La direttiva 98/59 è recepita nell’ordinamento spagnolo dalla legge recante lo Statuto dei lavoratori (Ley del Estatuto de los Trabajadores (7); in prosieguo: l’«ET»). L’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET («Licenziamenti collettivi») così recita:

«Ai fini di quanto stabilito nella presente legge, per licenziamento collettivo si intende la cessazione di contratti di lavoro per cause economiche, tecniche, organizzative o legate alla produzione, qualora, nell’arco di 90 giorni, tale cessazione riguardi almeno:

a)      10 lavoratori, in imprese che ne occupano meno di 100;

b)      il 10% del numero di lavoratori in imprese che ne occupano fra 100 e 300;

c)      30 lavoratori in imprese che ne occupano oltre 300.

Si reputa che ricorrano cause economiche quando dai risultati dell’impresa emerge una situazione economica negativa, in casi quali l’esistenza di perdite attuali o previste o la diminuzione persistente del suo livello di introiti ordinari o delle vendite. In ogni caso, la diminuzione è reputata persistente se, per tre trimestri consecutivi, il livello degli introiti ordinari o delle vendite di ogni trimestre è inferiore a quello registrato nel medesimo trimestre dell’anno precedente (…)

Per il calcolo del numero di cessazioni di contratti cui si riferisce il primo comma del presente paragrafo, si terrà conto al tempo stesso di qualsiasi altra risoluzione contrattuale verificatasi nel periodo di riferimento su iniziativa del datore di lavoro, per altri motivi non inerenti alla persona del lavoratore, diversi da quelli previsti all’articolo 49, paragrafo 1, lettera c), della presente legge [(8)], purché il loro numero non sia inferiore a cinque (…)».

II –       Fatti, procedimenti e questioni pregiudiziali

A –          Questioni sollevate e fatti all’origine dei rinvii pregiudiziali

1.            Causa C‑182/13, Lyttle e a.

11.      La Bluebird UK Bidco 2 Ltd (in prosieguo: la «Bluebird») è l’attuale proprietaria dell’impresa «Bonmarché». Nel gennaio 2012 la Bonmarché contava 394 negozi di abbigliamento in tutto il Regno Unito e nell’Isola di Man, presso i quali erano impiegati 4 000 dipendenti. All’epoca, in Irlanda del Nord e nell’Isola di Man (che erano considerate come costituenti un’unica unità amministrativa), la Bonmarché gestiva 20 negozi con 180 dipendenti.

12.      Poiché il precedente proprietario della Bonmarché era divenuto insolvente e quest’ultima era stata sottoposta ad amministrazione controllata, detta impresa veniva ceduta alla Bluebird il 20 gennaio 2012. Nella primavera 2012 la Bluebird attuava un programma di licenziamenti nell’intero Regno Unito e nell’Isola di Man. Come conseguenza, rimangono attualmente solo 265 negozi Bonmarché e circa 2 900 dipendenti nel Regno Unito, mentre in Irlanda del Nord sono rimasti 8 negozi e 75 dipendenti. Il processo di riduzione del personale sfociato nei licenziamenti non ha avuto inizio prima del gennaio 2012 e si è svolto senza alcuna consultazione collettiva che avrebbe soddisfatto i requisiti della direttiva 98/59. Tutti i licenziamenti pertinenti hanno avuto effetto dal 12 marzo 2012.

13.      Le quattro ricorrenti nella causa C‑182/13 fanno parte di un gruppo di 19 dipendenti della Bonmarché dell’Irlanda del Nord che sono stati licenziati nella primavera del 2012 e hanno adito i Northern Ireland Industrial Tribunals. Le quattro ricorrenti erano impiegate presso quattro diversi negozi Bonmarché in varie località dell’Irlanda del Nord, ciascuno dei quali impiegava meno di 20 dipendenti.

14.      Nutrendo dubbi in ordine alla corretta interpretazione della direttiva 98/59, gli Industrials Tribunals hanno deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, nel contesto dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), della [direttiva 98/59], il termine “stabilimento” abbia il medesimo significato che riveste nel contesto dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva medesima.

2)      In caso di risposta negativa, se uno “stabilimento”, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), possa essere costituito da una sotto‑unità organizzativa di un’impresa che consiste in, o comprende più di un’unità locale di occupazione.

3)      Se, all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), della direttiva, l’espressione “almeno pari a 20” si riferisca al numero di licenziamenti in tutti gli stabilimenti del datore di lavoro, o se si riferisca invece al numero di licenziamenti per stabilimento. (In altri termini, se il riferimento a “20” sia un riferimento a 20 in ogni singolo stabilimento, o a 20 in totale)».

2.            Causa C‑392/13, Rabal Cañas

15.      La Nexea Gestión Documental SA (in prosieguo: la «Nexea») è un’impresa appartenente ad un gruppo di società detenuto al 100% da un ente pubblico facente capo al Ministero dell’Economia e della Pubblica Amministrazione.

16.      Il sig. Rabal Cañas ha iniziato a lavorare per la Nexea il 14 gennaio 2008.

17.      Il 20 luglio 2012 la Nexea disponeva di due stabilimenti: uno a Madrid (servizio amministrativo e sito produttivo), con 164 dipendenti, e uno a Barcellona (centro operativo), con 20 dipendenti. Il 20 luglio 2012, la Nexea ha posto fine individualmente a 14 contratti di lavoro nello stabilimento di Madrid. Le ragioni addotte erano un calo del fatturato per tre trimestri consecutivi, a partire dal quarto trimestre del 2011, con perdite in tale esercizio e previsioni di perdite per il 2012. Le azioni esperite per contestate le suddette cessazioni contrattuali sono state respinte da varie sentenze pronunciate dai giudici del lavoro di Madrid.

18.      Successivamente, nell’agosto 2012, si è posto fine a due contratti di lavoro nello stabilimento di Barcellona. Nel settembre 2012 ha avuto luogo una cessazione contrattuale a Madrid. Nell’ottobre 2012 ha avuto luogo un’ulteriore cessazione del rapporto di lavoro a Barcellona. Nel novembre 2012 sono stati sciolti tre contratti di lavoro nello stabilimento di Madrid e uno nello stabilimento di Barcellona. Il giudice del rinvio precisa che le cinque cessazioni del rapporto di lavoro avvenute nei mesi di ottobre e novembre erano dovute alla scadenza di contratti a termine.

19.      Il 20 dicembre 2012, il sig. Rabal Cañas e altri 12 dipendenti dello stabilimento di Barcellona sono stati informati per iscritto della cessazione individuale del rispettivo contratto di lavoro, con effetto dalla data di notifica. Le ragioni addotte erano economiche, organizzative e legate alla produzione, simili a quelle citate in ordine alle 14 risoluzioni contrattuali avvenute in data 20 luglio 2012 nello stabilimento di Madrid. Secondo la Nexea, ciò avrebbe reso necessario chiudere il centro operativo di Barcellona. I rimanenti tre dipendenti dello stabilimento di Barcellona (il direttore e due rappresentanti commerciali) sono stati assegnati allo stabilimento di Madrid.

20.      Con ricorso proposto dinanzi al Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona avverso la Nexea ed il Fondo de Garantía Salarial (Fondo di garanzia salariale), il sig. Andrés Rabal Cañas ha impugnato la cessazione del suo contratto di lavoro. Nutrendo dubbi in ordine alla corretta interpretazione della direttiva 98/59, detto giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la nozione di “licenziamento collettivo” prevista all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59, comprendendo nel suo ambito ogni “licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore”, secondo la soglia numerica stabilita dalla suddetta disposizione, debba interpretarsi – data la sua portata [nell’ambito dall’Unione] – nel senso che osta o si oppone a che la norma nazionale di recepimento o trasposizione limiti l’ambito della nozione medesima ad un solo tipo determinato di cessazioni, corrispondenti a cause “economiche, tecniche, organizzative o legate alla produzione”, come fa l’articolo 51, paragrafo 1, dell’[ET].

2)      Se, ai fini del calcolo del numero di licenziamenti computabili al fine di determinare se ricorra un caso di “licenziamento collettivo” nei termini definiti all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59, sia come “licenziamento effettuato da un datore di lavoro” [lettera a)], sia come “cessazione del contratto di lavoro verificatasi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque” [articolo 1, paragrafo 1, secondo comma], si debbano comprendere nel calcolo le cessazioni individuali del rapporto di lavoro per scadenza del contratto a tempo determinato (per una durata, un’opera o un servizio convenuti) come quelle contemplate all’articolo 49, paragrafo 1, lettera c), dell’[ET].

3)      Se la nozione “licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato”, in considerazione della regola di non applicazione della direttiva di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), sia definita esclusivamente dal criterio rigorosamente quantitativo di cui [all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a),] o richieda inoltre che la causa della cessazione collettiva del rapporto di lavoro derivi da un medesimo contesto di assunzione collettiva per la stessa durata, lo stesso servizio o la stessa opera.

4)      Se la nozione di “stabilimento”, come nozione di diritto [dell’Unione] essenziale per definire che cosa debba intendersi per “licenziamento collettivo” nel contesto dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59 e data la natura della medesima come norma minima ai sensi dell’articolo 5, renda possibile un’interpretazione che permette che la norma di trasposizione o recepimento nella normativa interna dello Stato membro – l’articolo 51, paragrafo 1, dell’[ET] nel caso del Regno di Spagna – riferisca l’ambito del calcolo della soglia numerica soltanto all’insieme dell’“impresa”, escludendo quelle situazioni che, se si fosse accolto lo “stabilimento” come unità di riferimento, avrebbero superato la soglia numerica stabilita nella suddetta norma».

3.            Causa C‑80/14, USDAW e Wilson

21.      Le società WW Realisation 1 Limited (in liquidazione) ed Ethel Austin Limited erano imprese commerciali di vendita al dettaglio a livello nazionale, operanti rispettivamente con i marchi «Woolworths» ed «Ethel Austin». Divenute insolventi, sono state sottoposte ad amministrazione controllata, con conseguente licenziamento per esubero di migliaia di dipendenti in tutto il Regno Unito.

22.      L’USDAW è un sindacato che conta oltre 430 000 iscritti in tutto il Regno Unito. I lavoratori iscritti all’USDAW coprono varie occupazioni e settori, e includono dipendenti di negozi, operai di fabbrica e addetti ai magazzini, autisti e addetti ai call center. La sig.ra Wilson era impiegata presso il negozio Woolworths a St Ives, Cornovaglia, ed era rappresentante dell’USDAW al forum nazionale dei dipendenti della Woolworths.

23.      In seguito all’insolvenza delle società Woolworths ed Ethel Austin, i ricorrenti hanno presentato ricorsi, per conto di alcune migliaia di ex dipendenti delle società Woolworths ed Ethel Austin iscritti all’USDAW e licenziati per esubero, nei confronti di dette società, dinanzi al Liverpool Employment Tribunal e al London Central Employment Tribunal. I ricorrenti chiedevano il versamento di indennità di tutela da parte dei loro datori di lavoro, adducendo che questi ultimi non avevano consultato i dipendenti in merito ai licenziamenti previsti, come sarebbe richiesto dalle pertinenti norme del TULRCA.

24.      Il Secretary of State for Business, Innovation and Skills è intervenuto nel procedimento avviato nei confronti della Woolworths dinanzi al London Central Employment Tribunal poiché, considerato lo stato d’insolvenza del datore di lavoro, poteva essere ritenuto responsabile per il versamento di qualunque indennità di tutela accordata ai sensi della normativa nazionale di recepimento della direttiva 2008/94/CE (9). La Court of Appeal precisa che, qualora nel procedimento principale venga riconosciuta un’indennità di tutela a carico della Ethel Austin o della Woolworths, in caso di mancato versamento da parte del datore di lavoro e su richiesta scritta di un lavoratore al Secretary of State, quest’ultimo dovrebbe pagare la somma spettante al lavoratore riguardo a tale debito, fino a un massimale fissato dalla legge. In caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, della somma dovuta da parte del Secretary of State, il lavoratore può presentare un reclamo al tribunale del lavoro, che ha il potere di fissare l’importo di ogni versamento dovuto dal Secretary of State.

25.      Il 2 novembre 2011 e il 18 gennaio 2012, rispettivamente, i summenzionati tribunali del lavoro hanno accordato indennità di tutela a favore degli ex dipendenti della Woolworths e della Ethel Austin, negando però a circa 4 500 lavoratori tali indennità in ragione del fatto che lavoravano in negozi con meno di 20 dipendenti, poiché ciascun negozio è stato considerato come uno stabilimento distinto. Il 30 maggio 2013, in sede di appello, l’Employment Appeal Tribunal (in prosieguo: l’«EAT») ha dichiarato che, per dare una lettura dell’articolo 188, paragrafo 1, del TULRCA compatibile con la direttiva 98/59, era necessario eliminare l’espressione «di un unico stabilimento». L’EAT ha anche dichiarato che i lavoratori licenziati potevano invocare direttamente la direttiva e ha statuito che il Secretary of State era responsabile per il pagamento delle indennità di tutela a tutti i lavoratori.

26.      Il Secretary of State è stato autorizzato ad impugnare la decisione dell’EAT dinanzi alla Court of Appeal. Nutrendo dubbi quanto alla corretta interpretazione della direttiva 98/59, detto giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      a)      Se l’espressione “almeno pari a 20” di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), della [direttiva 98/59] si riferisca al numero di licenziamenti effettuati in un periodo di 90 giorni, prendendo in considerazione tutti gli stabilimenti in cui hanno luogo i licenziamenti, o se si riferisca invece al numero di licenziamenti effettuati in ciascun singolo stabilimento.

b)      Nel caso in cui l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), si riferisca al numero di licenziamenti in ciascun singolo stabilimento, quale sia il significato del termine “stabilimento”. In particolare, se si debba intendere per “stabilimento” l’intera impresa commerciale interessata, quale unica unità produttiva, o quella parte dell’impresa in cui si prevede di effettuare licenziamenti, piuttosto che l’unità alla quale sono addetti i lavoratori per lo svolgimento delle loro mansioni, ad esempio ciascun singolo negozio.

2)      Qualora un lavoratore agisca nei confronti di un datore di lavoro privato per ottenere un’indennità di tutela, se lo Stato membro possa invocare, o fondarsi sul fatto, che dalla direttiva non derivano diritti aventi effetto diretto nei confronti del datore di lavoro allorché:

i)      il datore di lavoro privato, ove lo Stato membro avesse attuato correttamente la direttiva, sarebbe stato responsabile del pagamento delle indennità di tutela al lavoratore per essere venuto meno all’obbligo di consultazione previsto dalla direttiva; nonché,

ii)      nello stato di insolvenza del datore di lavoro, qualora fosse riconosciuta un’indennità di tutela a carico del datore di lavoro privato e quest’ultimo non la versasse, in caso di richiesta nei confronti dello Stato membro, quest’ultimo sarebbe esso stesso responsabile del pagamento al lavoratore di qualunque indennità di tutela di tal genere, in forza della normativa interna di attuazione della [direttiva 2008/94], fermi restando i limiti della responsabilità imposta all’organismo di garanzia dello Stato membro ai sensi dell’[articolo] 4 della predetta direttiva».

B –          Procedimenti dinanzi alla Corte

27.      La Bluebird ha presentato osservazioni scritte nella causa C‑182/13, così come l’USDAW e la sig.ra Wilson nella causa C‑80/14. Il governo del Regno Unito ha parimenti presentato osservazioni nelle due cause suddette. Il governo spagnolo ha presentato osservazioni nella causa C‑392/13 e nella causa C‑80/14, mentre il governo ungherese nonché la Commissione hanno presentato osservazioni in tutte le tre cause.

28.      Il 20 novembre 2014 si è tenuta un’udienza comune, nel corso della quale l’USDAW e la sig.ra Wilson, la Bluebird, i governi spagnolo e del Regno Unito nonché la Commissione hanno presentato osservazioni orali.

III –       Analisi

A –          Osservazioni introduttive

29.      Dalle presenti cause risulta che la Corte è chiamata anzitutto a determinare l’unità pertinente – dal punto di vista del datore di lavoro – per stabilire se siano state raggiunte le soglie di cui all’articolo 1 della direttiva 98/59. In particolare, la terza questione nella causa C‑182/13 sembra sostanzialmente identica alla prima questione, lettera a), della causa C‑80/14, dal momento che sono entrambe incentrate sull’espressione «almeno pari a 20» di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), di tale direttiva. Analogamente, le questioni prima e seconda nella causa C‑182/13, la quarta questione nella causa C‑392/13 e la prima questione, lettera b), nella causa C‑80/14 vertono tutte sulla corretta interpretazione della nozione controversa.

30.      Tuttavia, a mio avviso, le due questioni sopra menzionate (le implicazioni dell’espressione «almeno pari a 20» e il significato di «stabilimento») sono collegate, come risulta dal modo in cui la Court of Appeal ha formulato la prima questione, lettera b). Infatti, per quanto riguarda le soglie fissate all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), della direttiva 98/59, il cui superamento determina l’applicazione della procedura di consultazione, chiedere se si debba sommare il numero di licenziamenti in tutti gli stabilimenti del datore di lavoro, secondo me, è solo un modo diverso per chiedere un chiarimento circa le esatte dimensioni di uno «stabilimento». Ciò premesso, ritengo che le questioni prima, seconda e terza nella causa C‑182/13, la quarta questione nella causa C‑392/13 e la prima questione, lettere a) e b), nella causa C‑80/14 possano essere esaminate congiuntamente, come farò ai paragrafi da 36 a 63 infra.

31.      Oltre a tale questione principale, due delle cause (C‑392/13 e C‑80/14) sollevano talune questioni secondarie distinte.

32.      In primo luogo, la maggior parte dei quesiti posti dal giudice spagnolo nella causa C‑392/13 riguarda, in realtà, aspetti diversi della nozione di «licenziamenti collettivi» utilizzata nella direttiva 98/59. Infatti, le prime tre questioni vertono sull’interpretazione di detta nozione dal punto di vista dei lavoratori. A mio parere, la risposta a tali questioni risulta chiaramente dalla giurisprudenza della Corte o è evidente.

33.      In secondo luogo, la seconda questione nella causa C‑80/14 riguarda un argomento diverso, vale a dire le conseguenze, in forza del diritto dell’Unione, di un erroneo recepimento della direttiva 98/59. Anche se ciò non risulta direttamente dal tenore di tale questione, qualsiasi risposta presupporrebbe che il Regno Unito non abbia interpretato correttamente la nozione controversa e, pertanto, non abbia recepito adeguatamente detta direttiva nel diritto nazionale.

34.      Inoltre, prima di esaminare la questione principale, va rilevato che, secondo la Bluebird, la domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑182/13 sarebbe irricevibile, in quanto il significato di «stabilimento» sarebbe evidente. Peraltro, il governo spagnolo afferma che le circostanze della causa C‑392/13 non danno luogo a una situazione di licenziamento collettivo ai sensi della direttiva 98/59, in quanto le soglie non sarebbero state raggiunte. Pertanto, il governo spagnolo ritiene che la quarta questione in detta causa sia di natura ipotetica.

35.      Occorre rammentare ancora una volta che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale godono di una presunzione di pertinenza (10). Nei due casi in esame non sembra che le richieste di interpretazione della direttiva 98/59 non abbiano alcun nesso con le circostanze delle cause pendenti dinanzi ai giudici remittenti, né esse appaiono ipotetiche, e le ordinanze di rinvio non sembrano prive degli elementi di fatto o di diritto necessari per consentire alla Corte di fornire una risposta utile. In particolare, l’argomento della Bluebird è privo di fondamento, in quanto i giudici nazionali rimangono del tutto liberi di sottoporre questioni alla Corte, qualora lo ritengano opportuno, e la circostanza che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte non rende irricevibile una domanda di pronuncia pregiudiziale (11). Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal governo spagnolo, mi sembra che il Juzgado de lo Social n. 33 desideri sapere come interpretare correttamente la nozione controversa e le soglie previste dalla direttiva 98/59 ai fini del procedimento di cui è investito. In un’altra occasione, di fronte a una fattispecie analoga, la Corte non ha dichiarato irricevibili le questioni sollevate (12). Non vedo alcuna ragione per cui le presenti cause dovrebbero essere trattate diversamente.

B –          La nozione controversa

1.            Il paradigma: le sentenze Rockfon (13) e Athinaïki Chartopoiïa (14)

36.      Ricordo preliminarmente che l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59 definisce, anzitutto, la nozione chiave di «licenziamento collettivo». Tale nozione è rimasta sostanzialmente inalterata fin dalla metà degli anni Settanta, allorché fu adottata la prima direttiva sui licenziamenti collettivi (15).

37.      Conformemente alla direttiva 98/59, la definizione di «licenziamento collettivo» è suddivisa in due parti. La prima parte riguarda i tipi di licenziamenti individuali (16) che, se effettuati in numero sufficiente, danno luogo a licenziamenti collettivi (in prosieguo: i «licenziamenti rilevanti per la direttiva»). La seconda parte riguarda le soglie numeriche che, se superate per un certo periodo di tempo, fanno sorgere l’obbligo per il datore di lavoro di informare e consultare i lavoratori ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 98/59 e comportano l’applicazione della procedura di cui agli articoli 3 e 4 della stessa direttiva (in prosieguo: la «procedura di tutela»). La nozione controversa è utilizzata ai fini di tali soglie. Nel caso di specie, la direttiva 98/59 autorizza gli Stati membri a scegliere tra due diversi metodi, descritti rispettivamente ai punti i) e ii) dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a) (17).

38.      Come ho accennato in precedenza, la Corte ha già interpretato la nozione controversa con riferimento al punto i) dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59 nel senso che definisce «l’unità alla quale sono addetti i lavoratori colpiti da licenziamento per lo svolgimento delle loro mansioni» (18). Evidentemente, un termine dovrebbe avere lo stesso significato in tutti i contesti, in quanto ciò rafforza la certezza del diritto (19). Pertanto, poiché la Corte non ha aggiunto alcuna riserva alle menzionate decisioni, l’interpretazione del diritto fornita dalla Corte in via pregiudiziale nella sentenza Rockfon, e confermata nella sentenza Athinaïki Chartopoiïa, deve essere di applicazione generale. Sarebbe decisamente assurdo prospettare un’interpretazione mutevole di una nozione sottesa a una disposizione contenuta in una sezione intitolata «Definizione e campo di applicazione». Ciò priverebbe detta disposizione di qualsiasi significato e scopo e sarebbe incompatibile con il principio della certezza del diritto.

39.      Pertanto, occorre chiaramente supporre che l’interpretazione della nozione controversa si applichi erga omnes, anche in riferimento al punto ii) dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59. Tuttavia, dal momento che la giurisprudenza esistente interpreta detta nozione solo con riferimento al metodo del punto i) e tale interpretazione, in definitiva, potrebbe penalizzare i lavoratori nelle cause in esame, si pone ora la questione se ricorrano validi motivi per modificarla in considerazione delle circostanze delle cause in esame.

2.            Non occorre raccomandare una modifica del paradigma

40.      Nelle cause C‑182/13 e C‑80/14, in particolare, i ricorrenti suggeriscono di differenziare l’attuale interpretazione della nozione controversa in riferimento al metodo del punto ii), essenzialmente sulla base di un’interpretazione teleologica della direttiva 98/59.

a)            Riflessioni sullo scopo della direttiva 98/59

41.      A questo proposito, si deve rilevare che lo scopo dichiarato della direttiva 98/59 consiste nel promuovere il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in tema di licenziamenti collettivi (20). In siffatto contesto emergono due obiettivi distinti. Il primo di tali due obiettivi potrebbe forse esporre a critiche o mettere in dubbio l’attuale interpretazione della nozione controversa (mi dedicherò al secondo obiettivo nel paragrafo 51 infra).

42.      La direttiva 98/59 è intesa, da un lato, ad istituire una tutela minima in riferimento all’informazione e alla consultazione dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, mentre gli Stati membri restano liberi di adottare misure più favorevoli ai lavoratori (in prosieguo: l’«obiettivo di protezione sociale») (21). La Corte ha quindi dato una definizione del termine «stabilimento» molto «ampia» – o, detto in altro modo, molto mirata – al fine di limitare per quanto possibile i casi di licenziamenti collettivi che non sarebbero soggetti alla direttiva 98/59 a seguito della qualificazione giuridica di tale nozione a livello nazionale (22).

43.      Nelle cause C‑182/13 e C‑80/14 rileva il fatto che il Regno Unito abbia scelto il metodo del punto ii) per dare attuazione alla direttiva 98/59. Alla luce di tale circostanza, si potrebbe sostenere che le sentenze della Corte nelle cause Rockfon e Athinaïki Chartopoiïa riguardassero solo il metodo del punto i) o, quanto meno, vertessero esclusivamente sui licenziamenti effettuati in un unico stabilimento (23). Per promuovere la tutela dei lavoratori, la Corte potrebbe adottare un’interpretazione secondo cui vengono raggruppati tutti i licenziamenti rilevanti per la direttiva all’interno di un gruppo nel suo complesso, effettuati nel contesto di un unico processo di ristrutturazione. Presumibilmente, siffatta interpretazione non richiederebbe nemmeno una lettura differenziata dei punti i) e ii) della direttiva 98/59 – se si parte dal presupposto che la ratio decidendi della Corte nelle succitate sentenze valga solo per i casi concernenti un unico stabilimento.

44.      Tuttavia, temo che questa tesi sia errata.

45.      Nella sentenza Rockfon, la Corte era perfettamente consapevole del fatto che la nozione controversa era suscettibile di interpretazioni diverse (24). Nonostante le differenze tra le varie versioni linguistiche delle direttive 75/129 e 98/59, vi è un elemento che si può desumere dalle sentenze Rockfon e Athinaïki Chartopoiïa. Dichiarando che uno «stabilimento» è l’unità locale di occupazione, la Corte ha respinto l’interpretazione suggerita dalle omonime imprese datrici di lavoro. In particolare, non ha ritenuto opportuno equiparare la nozione controversa all’«impresa» ai sensi del capo I del titolo VII del Trattato FUE o ad un ente dotato di personalità giuridica, quale una società a responsabilità limitata. La Corte non ha neppure ritenuto opportuno attribuire a detta nozione il medesimo significato che essa riveste nel contesto del diritto di stabilimento sancito dall’articolo 49 TFUE.

46.      Pertanto, uno degli insegnamenti tratti dalle sentenze Rockfon e Athinaïki Chartopoiïa è che la Corte non presta alcuna attenzione all’organizzazione interna dell’entità datrice di lavoro, concentrando invece l’attenzione sull’unità locale di occupazione (25). Cambiare adesso posizione, in ragione del fatto che un datore di lavoro dispone di varie unità locali di occupazione con meno di 20 dipendenti, aprirebbe la strada, diversamente da prima, a un’interpretazione mutevole di detta nozione a seconda dell’organizzazione interna del datore di lavoro, il che, a sua volta, sarebbe in contrasto con il considerando 11 della direttiva 98/59 (26).

47.      Invero, secondo la tesi sostenuta dalle ricorrenti nelle cause C‑182/13 e C‑80/14, la procedura di tutela andrebbe estesa a tutti i lavoratori licenziati nell’ambito del medesimo processo di ristrutturazione, a prescindere dalle dimensioni dallo stabilimento presso il quale erano occupati. È evidente che conferire il grado massimo di tutela minimizzando il metodo di attuazione andrebbe a vantaggio dei lavoratori che, secondo l’interpretazione corrente della nozione controversa, non hanno diritto ad alcuna indennità di tutela. Tuttavia, tale approccio sarebbe in linea con l’obiettivo di armonizzazione minima perseguito dalla direttiva 98/59, la quale, come giustamente rilevato dalla Commissione in udienza, non prevede quale punto di partenza una tutela piena per tutti – nemmeno quando il numero di licenziamenti sia superiore alle soglie previste –, dovendo sussistere anche il requisito temporale (27).

48.      Inoltre, ritengo inaccettabile la tesi, esposta in udienza, secondo cui si potrebbe utilizzare la stessa unità di riferimento sia per il metodo del punto i) che per il metodo del punto ii), vale a dire lo «stabilimento» anziché l’«impresa», pur includendo ugualmente nel metodo del punto ii) tutti i licenziamenti rilevanti per la direttiva nell’ambito di un gruppo nel suo complesso, conseguenti al medesimo processo di ristrutturazione. Ciò equivarrebbe a creare una finzione giuridica con conseguenze ignote sul metodo del punto i). Sarebbe molto più onesto suggerire di operare una svolta rispetto alla giurisprudenza Rockfon e Athinaïki Chartopoiïa.

49.      Peraltro, non è sfuggito alla mia attenzione – né, del resto, a quella del governo del Regno Unito sul punto – che la Corte ha tenuto a sottolineare gli effetti socioeconomici che i licenziamenti collettivi potrebbero provocare in un contesto locale e in un determinato ambiente sociale (28). Essa ha quindi interpretato la nozione controversa nel senso che si riferisce all’«unità alla quale sono addetti i lavoratori colpiti da licenziamento per lo svolgimento delle loro mansioni» (29); in altre parole, l’unità locale di occupazione. Infatti, è proprio la comunità locale quella che rischierebbe di soffocare e di scomparire in mancanza di una tutela contro i licenziamenti collettivi. Per contro, i licenziamenti locali rilevanti per la direttiva, che rimangono al di sotto delle soglie previste, non rappresentano la stessa minaccia per la sopravvivenza delle comunità locali. Quand’anche il numero totale di licenziamenti implicati nel processo di ristrutturazione fosse elevato su scala nazionale, ciò non direbbe nulla su come tali effetti vengano percepiti a livello locale. Le persone in cerca di occupazione a livello locale, laddove sono in numero ridotto, potrebbero essere riassorbite più rapidamente nel mercato del lavoro.

50.      Pertanto, alla luce di quanto precede, non sono convinto che l’obiettivo della tutela sociale conduca inequivocabilmente all’interpretazione suggerita dalle ricorrenti nelle cause C‑182/13 e C‑80/14.

51.      Ancora più importante è osservare che la direttiva 98/59, pur garantendo un livello minimo di tutela dei diritti dei lavoratori nei diversi Stati membri, mira, per altro verso, ad armonizzare gli oneri che le suddette norme di tutela comportano per le imprese dell’Unione europea («l’obiettivo inerente al mercato interno») (30). Infatti, nonostante un’evoluzione convergente, sussistono differenze che possono ripercuotersi direttamente sul funzionamento del mercato interno. A giudicare dal tenore di alcuni considerando della direttiva, il legislatore dell’Unione di fatto ha ritenuto che l’obiettivo di tutela sociale non potesse essere dissociato dall’obiettivo inerente al mercato interno (31). Pertanto, come rilevato dal governo ungherese, tale obiettivo avvalora la tesi secondo cui la nozione controversa deve ricevere un’interpretazione uniforme al fine di rafforzare la trasparenza e la prevedibilità per gli imprenditori che decidono di ristrutturare le loro attività.

b)            Altre considerazioni

52.      Inoltre, la tesi secondo cui l’interpretazione della nozione controversa andrebbe differenziata nel contesto del punto ii) dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59 deve essere respinta per vari altri motivi.

53.      In primo luogo, il fatto che alcune versioni linguistiche (32) riportino «stabilimenti» al plurale, non ha alcuna rilevanza; si tratta semplicemente di un riferimento generico. Per contro, alcune altre versioni linguistiche sembrano essere deliberatamente più specifiche (33). Tali versioni riportano «stabilimenti» al plurale all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 98/59, ma utilizzano il singolare all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii). Tale formulazione più precisa escluderebbe che l’espressione «almeno pari a 20», utilizzata nella terza questione nella causa C‑182/13 e nella prima questione nella causa C‑80/14, si riferisca al numero di licenziamenti presso tutti gli stabilimenti del datore di lavoro.

54.      In secondo luogo, nel contesto della direttiva 98/59, la Corte ha già dichiarato che la destinataria degli obblighi procedurali di cui agli articoli 2 e 3 della direttiva 98/59 è solo la società controllata datrice di lavoro e non la società controllante, anche nel caso in cui la decisione di procedere ai licenziamenti collettivi venga adottata da quest’ultima, in quanto la società controllante non ha la qualità di datore di lavoro (34). Atteso che gli obblighi vengono imposti solo alla controllata datrice di lavoro, sarebbe incoerente pretendere che le soglie siano calcolate con riferimento all’intero gruppo.

55.      Inoltre, occorre tenere conto anche del modo in cui la nozione controversa viene utilizzata generalmente nel diritto del lavoro dell’Unione. A tal riguardo, la direttiva 2002/14/CE (35) contiene, all’articolo 2 («Definizioni»), due definizioni distinte delle nozioni di «impres[a]» e «stabilimento». Analogamente, l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b) (capo I ‑ «Ambito di applicazione e definizioni»), della direttiva 2008/94 fa riferimento all’«impresa o (…) stabilimento del datore di lavoro» (il corsivo è mio) e l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a) (capo I – «Ambito di applicazione e definizioni»), della direttiva 2001/23/CE (36) si riferisce ai «trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti». Ciò avvalora la tesi secondo cui, nel diritto del lavoro dell’Unione, l’impresa non equivale allo stabilimento.

56.      In terzo luogo, passando all’esame del contesto legislativo della direttiva 98/59, dai lavoratori preparatori della direttiva 75/129 emerge che, in sede di consultazione, il Comitato economico e sociale aveva suggerito di definire il termine «impresa» figurante nella proposta originaria della Commissione (37) come «unità locale di occupazione» (38). Tuttavia, nel testo definitivo, il Consiglio ha sostituito il termine «impresa» con «stabilimento», forse per chiarire tale distinzione (39). Alla luce di ciò, sembra ancora perfettamente valida l’osservazione dell’avvocato generale Cosmas secondo cui, «(…) se il legislatore comunitario avesse inteso che tutti i lavoratori di un’impresa, indipendentemente dalla sede di lavoro, dovevano venir accomunati per calcolare il totale dei dipendenti in base al quale commisurare la legittimità o meno del licenziamento, avrebbe dovuto usare un termine più consono» (40).

57.      Inoltre, la direttiva 98/59 non ha comportato alcuna reale modifica del regime giuridico precedentemente applicabile. Essa si è limitata a fondere e consolidare le direttive 75/129 e 92/56, senza apportare alcuna modifica rilevante alla nozione controversa. Più precisamente, dai lavori preparatori risulta che, di fatto, il legislatore dell’Unione non intendeva introdurre alcuna modifica sostanziale (41) e si è accontentato di mantenere lo status quo. Se avesse, invece, ritenuto erronea l’interpretazione data dalla Corte nel 1995 alla nozione controversa, l’adozione della direttiva 98/59 sarebbe stata l’occasione ideale per modificare tale nozione, come ha giustamente osservato la Bluebird in udienza. Questo non è accaduto, né è stata introdotta alcuna modifica a seguito della sentenza Athinaïki Chartopoiïa, o successivamente. Ciò è degno di nota, dato che alcuni commentatori avevano effettivamente reso pubblico cosa potesse significare per il Regno Unito l’interpretazione fornita dalla Corte nella sentenza Rockfon (42), ancora prima che fosse adottata la direttiva 98/59 (43).

58.      In quarto luogo, come rilevato in udienza dall’USDAW e dalla sig.ra Wilson, è inerente al sistema delle soglie stabilite rispettivamente per il metodo del punto i) e per il metodo del punto ii) che tali metodi funzionino in modo diverso. Entrambi garantiscono una protezione ai lavoratori in determinati casi e non in altri. Al momento del confronto dei due metodi, l’argomento addotto dinanzi alla Corte è che una simile applicazione differenziata è arbitraria. Tuttavia, tale modulazione era voluta, dato che siffatta scelta di metodo, che non appariva nella proposta originaria della Commissione, è stata specificamente introdotta dal Consiglio. Arbitrario sarebbe semmai interpretare il metodo del punto ii) nel modo suggerito dall’USDAW e dalla sig.ra Wilson, in quanto ciò provocherebbe un reale divario tra i rispettivi livelli di tutela accordati.

59.      Nel caso di specie, vorrei ricordare che, come è stato confermato in udienza, il Regno Unito non ha più modificato il metodo da esso prescelto per l’attuazione della direttiva dagli anni Settanta, allorché ha legittimamente scelto di optare per il metodo del punto ii) anziché per il metodo del punto i), in un’epoca in cui il significato della nozione controversa non era chiaro come ora.

60.      In quinto luogo, ignorando le differenze intrinseche tra il metodo del punto i) e il metodo del punto ii), si priverebbe l’articolo 5 della direttiva 98/59 di qualsiasi significato e scopo (44). La direttiva comporta solo un’armonizzazione minima, vale a dire che gli Stati membri possono adottare norme più favorevoli per i lavoratori. Essi possono quindi, ad esempio, fissare soglie che diano attuazione ad entrambi i metodi, quello del punto i) e quello del punto ii), quale un numero inferiore di licenziamenti rilevanti per la direttiva su un periodo più lungo.

61.      Per tutti questi motivi, condivido la tesi addotta dalla Bluebird, dai governi spagnolo, del Regno Unito e ungherese nonché dalla Commissione, secondo cui la nozione controversa deve essere interpretata nello stesso modo con riferimento ai punti i) e ii) dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59, vale a dire nel senso che essa indica l’unità in cui i lavoratori licenziati svolgono le loro mansioni. Pertanto, la menzionata direttiva non richiede – né vieta – di sommare il numero di licenziamenti in tutti gli stabilimenti del datore di lavoro al fine di stabilire se siano state raggiunte le soglie di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a). Spetta agli Stati membri decidere, ove opportuno, di aumentare il livello di protezione in forza dell’articolo 5 della direttiva 98/59, purché il risultato sia più favorevole per i lavoratori licenziati in tutti i casi (e non solo in media, come suggerito dal governo spagnolo). È compito dei giudici nazionali accertare se ciò sia effettivamente avvenuto.

62.      Infine, è altresì opportuno chiarire che spetta al giudice del rinvio in ognuno dei tre procedimenti determinare come sia costituita esattamente l’unità locale di occupazione in ciascuna fattispecie, essendo questa una questione di fatto. Ad esempio, se un datore di lavoro è titolare di vari negozi in un centro commerciale, non si può escludere che tutti i suddetti negozi debbano essere considerati come un’unica unità locale di occupazione. Come rilevato dal governo spagnolo, ciò dipenderà da vari fattori: i) se si possa ritenere che l’entità in questione nel suo complesso presenti caratteristiche di permanenza e stabilità; ii) se tale entità sia destinata ad effettuare una o più operazioni determinate, e iii) se la medesima disponga di un insieme di lavoratori, di strumenti tecnici e di una struttura organizzativa adeguati per il compimento di tali operazioni. La suddetta entità non deve essere necessariamente dotata di un’autonomia giuridica, economica, finanziaria, amministrativa o tecnologica per poter essere qualificata come stabilimento (45).

63.      Alla luce di quanto precede, non occorre pronunciarsi sulla domanda della Bluebird volta ad ottenere la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza. Qualora la Corte non condividesse il mio parere, detta domanda apparirebbe in ogni caso ingiustificata, date le condizioni molto restrittive alle quali è soggetta (46).

C –          Questioni secondarie

64.      Come si è già rilevato, oltre alla questione principale precedentemente esaminata, le cause C‑392/13 e C‑80/14 sollevano varie altre questioni.

1.            Prima questione nella causa C‑392/13: la nozione di «licenziamento collettivo»

65.      Con la sua prima questione, il Juzgado de lo Social n. 33 chiede alla Corte, sostanzialmente, di chiarire se la nozione di «licenziamento collettivo» prevista all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59 debba essere interpretato nel senso che osta a una norma nazionale che limita la portata di detta nozione solo alle cessazioni dovute a cause economiche, tecniche, organizzative o legate alla produzione. Ricapitolando, l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), stabilisce che i licenziamenti rilevanti per la direttiva sono quelli verificatisi su iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore.

66.      Sebbene il governo spagnolo abbia affermato in udienza di avere optato per il metodo del punto i), mi sembra che, in realtà, la Spagna abbia attuato una combinazione dei metodi dei punti i) e ii): l’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET prevede un approccio variabile «a tre scenari» coperto dal metodo del punto i), ma combinato con un periodo (più lungo) di 90 giorni, che induce a pensare al metodo del punto ii) (47). Tuttavia, nel caso di specie, la questione è se l’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET sia basato su un’interpretazione troppo restrittiva della nozione di «licenziamento». Tale nozione, che ha un significato uniforme nel diritto dell’Unione, comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso (48). Inoltre, dalla giurisprudenza risulta che l’espressione «ragioni non inerenti alla persona del lavoratore» deve essere interpretata in senso lato (49).

67.      Orbene, conformemente all’articolo 5 della direttiva 98/59, gli Stati membri possono accordare ai lavoratori una tutela più ampia, ad esempio prevedendo un termine più lungo per il computo dei licenziamenti rilevanti per la direttiva. Tuttavia, la direttiva non è uno smörgåsbord, nel senso che non può essere applicata selettivamente. Gli Stati membri non possono compensare un maggiore livello di tutela con una riduzione del medesimo sotto altri aspetti, ad esempio interpretando in modo più restrittivo la nozione di «licenziamento» (50). Al pari dei metodi per il calcolo delle soglie – e quindi delle soglie stesse –, detta nozione non rientra nella loro discrezionalità (51).

68.      L’articolo 51, paragrafo 1, primo comma, dell’ET, che è inteso a dare attuazione all’articolo 1 della direttiva 98/59, menziona solo la «cessazione di contratti di lavoro per cause economiche, tecniche, organizzative o legate alla produzione». Tale riserva sembrerebbe restringere la portata illimitata della nozione di «licenziamento». Infatti, la normativa spagnola in questione tiene conto della sentenza nella causa Commissione/Portogallo, in cui tale Stato membro aveva illegittimamente limitato la medesima nozione ai licenziamenti per ragioni di natura strutturale, tecnologica o congiunturale (52). Successivamente, nella sentenza Rodríguez Mayor e a. (53), la Corte, pur differenziando in qualche modo la portata di tale nozione con riferimento alla cessazione di contratti conseguente al decesso del datore di lavoro, si è premurata di distinguere tale specifica situazione da quella oggetto della sentenza precedente (54). Poiché la causa C‑392/13 non riguarda una siffatta situazione particolare, non ravviso alcun motivo per cui la Corte dovrebbe statuire diversamente rispetto alla sentenza Commissione/Portogallo. Pertanto, come osservato dal giudice del rinvio e dal governo ungherese, l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59 osterebbe a una norma nazionale quale l’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET.

69.      Tuttavia, il governo spagnolo fa riferimento alla disposizione «onnicomprensiva» di cui al quinto comma dell’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET. Tale disposizione prevede che debba tenersi conto, oltre che della cessazione dei contratti di lavoro stipulati per un determinato periodo di tempo o per un compito determinato (in prosieguo: i «contratti a tempo determinato»), di qualsiasi altra cessazione del rapporto di lavoro verificatasi su iniziativa del datore di lavoro per altri motivi non inerenti alla persona del lavoratore, purché il loro numero non sia inferiore a cinque.

70.      A tal riguardo, rilevo che il quinto comma dell’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET è molto simile al secondo comma dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59 e sembra dargli attuazione. Quest’ultima disposizione disciplina i «licenziamenti per assimilazione», che sono equiparati ai «licenziamenti in senso proprio» (i «licenziamenti in senso proprio» sono caratterizzati dalla mancanza di consenso del lavoratore) (55). Se il numero di licenziamenti per assimilazione è almeno pari a cinque, i medesimi diventano rilevanti per la direttiva ai fini del calcolo delle soglie.

71.      Nondimeno, resta il fatto che, per quanto riguarda i «licenziamenti in senso proprio», la direttiva 98/59 non richiede che essi debbano essere almeno cinque per poter essere considerati rilevanti per la direttiva, circostanza che il governo spagnolo ha ammesso in udienza. Sembrerebbe quindi che l’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET, prescrivendo che debbano esservi almeno cinque licenziamenti dovuti a cause economiche, tecniche, organizzative o legate alla produzione, restringa indebitamente la portata della nozione di «licenziamento». Pertanto, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione nella causa C‑392/13 nel senso che l’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva osta a siffatta disposizione.

2.            Questioni seconda e terza nella causa C‑392/13: l’applicabilità della direttiva 98/59 ai contratti a tempo determinato

72.      Con queste due questioni, il Juzgado de lo Social n. 33 chiede chiarimenti sull’applicabilità della direttiva 98/59 ai contratti a tempo determinato che sono giunti a scadenza, allo spirare del tempo convenuto o alla realizzazione dell’opera o servizio prestabiliti.

73.      In sostanza, con la seconda questione si chiede se i contratti a tempo determinato scaduti debbano essere presi in considerazione in quanto licenziamenti rilevanti per la direttiva ai fini del calcolo delle soglie di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59. Dall’ordinanza di rinvio sembrerebbe, tuttavia, che il giudice a quo voglia sapere solo se la direttiva gli imponga di includere dette cessazioni del rapporto di lavoro nel calcolo delle soglie per i «licenziamenti in senso proprio», senza necessariamente applicare loro la procedura di tutela.

74.      Con la terza questione si sembra chiedere, anche se la sua formulazione non è molto chiara, se l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/59 riguardi esclusivamente i licenziamenti collettivi di lavoratori con contratti a tempo determinato verificatisi per le medesime cause (ad esempio, la scadenza di vari contratti a tempo determinato al termine di una stagione turistica o al completamento di un progetto edilizio).

75.      La risposta ad entrambe le questioni, come hanno sostanzialmente rilevato il governo ungherese e la Commissione, emerge direttamente dai termini dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/59. Detta disposizione esclude i contratti a tempo determinato dall’ambito di applicazione della direttiva, a meno che i licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o dell’espletamento del compito previsto nei contratti in questione. Considerata la natura di tali contratti, che, come giustamente osservato dalla Commissione, cessano necessariamente alla scadenza del periodo convenuto, la suddetta norma appare del tutto chiara. Infatti, un contratto a tempo determinato che sia cessato in modo naturale non equivale al licenziamento di un lavoratore a tempo indeterminato per motivi non inerenti alla sua persona.

76.      Tale interpretazione non è rimessa in discussione dal secondo comma dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59. Come si è già rilevato, detta disposizione disciplina i licenziamenti per assimilazione. Non riguarda invece i contratti a tempo determinato, dei quali tratta esclusivamente l’articolo 1, paragrafo 2, della medesima direttiva. Mentre, in generale, le deroghe devono essere interpretate restrittivamente, non è possibile introdurre, per via interpretativa, una riserva aggiuntiva nel testo dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 98/59 che originariamente non era presente. Ciò vale a maggior ragione in quanto il legislatore dell’Unione ha già inserito una specifica riserva nel testo di tale deroga, senza ritenere di doverne aggiungere altre. Nel medesimo senso, la Corte ha già rifiutato di interpretare restrittivamente un’analoga deroga ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 98/59 (56). A fortiori, ritengo che l’esclusione dei contratti a tempo determinato non possa valere solo per le situazioni in cui le cause della loro cessazione siano le stesse.

77.      In ogni caso, nulla impedisce al Juzgado de lo Social n. 33 di includere nel calcolo delle soglie tutte le cessazioni di contratti a tempo determinato venuti a scadenza, se il diritto spagnolo lo consente. Come rilevato dal governo ungherese, agli Stati membri non è vietato adottare, conformemente all’articolo 5 della direttiva 98/59, norme più favorevoli ai lavoratori.

78.      Per questi motivi, suggerisco alla Corte di rispondere congiuntamente alle questioni seconda e terza nella causa C‑392/13 dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso che tutti i licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti a tempo determinato sono esclusi dall’ambito di applicazione di detta direttiva, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o dell’espletamento del compito previsti in siffatti contratti. È irrilevante che le cause di cessazione dei contratti siano le stesse. Ciò non osta all’adozione di norme nazionali più favorevoli ai lavoratori.

3.            Seconda questione nella causa C‑80/14: oltre l’effetto diretto verticale

79.      Con la sua seconda questione, la Court of Appeal chiede se, nelle circostanze specifiche del caso di specie, non sia consentito a uno Stato membro invocare il fatto che una direttiva non può imporre obblighi ai privati se non è stata recepita correttamente. I motivi per deferire tale questione pregiudiziale discendono sostanzialmente dalla tesi sostenuta dall’USDAW e dalla sig.ra Wilson: uno Stato membro non può far valere il proprio recepimento incompleto della direttiva 98/59 nei procedimenti promossi nei confronti di datori di lavoro insolventi del settore privato, qualora lo Stato stesso possa successivamente trovarsi confrontato a ricorsi proposti in forza della normativa nazionale che dà attuazione alla direttiva 2008/94. In altre parole, l’argomento sembra essere quello che la direttiva 2008/94 trasforma in qualche modo la natura orizzontale del procedimento promosso in forza della direttiva 98/59 in natura verticale.

80.      In tale ottica, la questione sollevata è interessante. Tuttavia, perché possano sorgere gli obblighi di cui alla direttiva 2008/94, occorre che sia rimasto insoluto, a causa dell’insolvenza di un datore di lavoro, un credito rientrante nell’ambito di tale direttiva (quale un’indennità di tutela). Qualora la Corte si pronunci nel senso che il Regno Unito ha recepito erroneamente il metodo del punto ii) (e tralasciando la possibilità di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla direttiva, problema che, secondo quanto espressamente precisato dalla Court of Appeal, non viene sollevato con la questione deferita), il diritto a un’indennità di tutela presuppone che la direttiva esplichi un effetto orizzontale nei confronti dei datori di lavoro del settore privato, insolventi o meno. In mancanza di tale effetto orizzontale, l’argomento dell’USDAW e della sig.ra Wilson condurrebbe al risultato assurdo per cui i lavoratori licenziati collettivamente da un datore di lavoro insolvente avrebbero maggiori diritti rispetto a quelli licenziati collettivamente da un datore di lavoro non insolvente, ipotesi questa che non può essere presa in considerazione. In ogni caso, non si è sostenuto che la direttiva 98/59 abbia un effetto orizzontale diretto né vedo come potrebbe averlo. Ciò premesso, l’argomento addotto dall’USDAW e dalla sig.ra Wilson sembra ininfluente.

81.      Ad ogni modo, dal momento che non ritengo che il Regno Unito abbia omesso di dare corretta esecuzione alla direttiva 98/59, proporrò alla Corte di non rispondere a tale questione.

IV –  Conclusione

82.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni sollevate nella causa C‑182/13 dagli Industrial Tribunals (Northern Ireland) (Regno Unito), alla quarta questione nella causa C‑392/13, sollevata dal Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona (Spagna), e alle questioni sollevate nella causa C‑80/14 dalla Court of Appeal (England and Wales) (Regno Unito):

–        la nozione di «stabilimento» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii), della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, ha lo stesso significato di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), i), di detta direttiva. Tale nozione indica l’unità alla quale i lavoratori colpiti dal licenziamento sono addetti per lo svolgimento dei loro compiti, che spetta al giudice del rinvio determinare. Ciò non osta a che gli Stati membri adottino, sulla base di detta nozione, norme di attuazione che, senza ridurre il livello minimo di tutela, risultino più favorevoli ai lavoratori. Spetta al giudice nazionale verificare se ricorra tale ipotesi.

Nella causa C‑392/13, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni prima, seconda e terza:

–        l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59 osta a una norma nazionale, quale l’articolo 51, paragrafo 1, della Ley del Estatuto de los Trabajadores del 29 marzo 1995, secondo cui devono sussistere almeno cinque cessazioni di contratti di lavoro senza il consenso dei lavoratori interessati, dovute a cause economiche, tecniche, organizzative o legate alla produzione, affinché tali cessazioni contrattuali possano essere prese in considerazione per stabilire se abbiano avuto luogo licenziamenti collettivi;

–        l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso che tutti i licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato sono esclusi dall’ambito di applicazione di detta direttiva, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o dell’espletamento del compito previsti da siffatti contratti. È irrilevante che le cause di cessazione dei contratti siano le stesse. Ciò non osta a che gli Stati membri adottino norme che, senza ridurre il livello minimo di tutela, risultino più favorevoli ai lavoratori.


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Il caso diventa ulteriormente complesso in quanto tale nozione viene richiamata in riferimento sia al punto i) che al punto ii) della menzionata disposizione. Nelle presenti conclusioni, indicherò dunque questa nozione come la «nozione controversa», specificando però, ove opportuno, se le mie osservazioni si riferiscano all’uno o all’altro dei suddetti punti.


3 –      Direttiva del Consiglio del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 225, pag. 16).


4 –      V. sentenze Rockfon (C‑449/93, EU:C:1995:420, punto 32) e Athinaïki Chartopoiïa (C‑270/05, EU:C:2007:101, punto 25).


5 –      Direttiva del Consiglio del 17 febbraio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 48, pag. 29).


6 –      Direttiva del Consiglio del 24 luglio 1992, che modifica la direttiva 75/129/CEE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai licenziamenti collettivi (GU L 245, pag. 3).


7 –      BOE n. 75 del 29 marzo 1995, pag. 9654, come modificata.


8 –      L’articolo 49, paragrafo 1, lettera c), dell’ET («Cessazione del contratto di lavoro») dispone: «Il contratto di lavoro cessa (…) allo spirare del tempo convenuto o alla realizzazione dell’opera o del servizio oggetto del contratto (...)».


9 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (versione codificata) (GU L 283, pag. 36).


10 –      V., inter alia, sentenza Gruslin (C‑88/13, EU:C:2014:2205, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


11 –      V., in tal senso, sentenza Torresi (C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


12 –      V. sentenza Rodríguez Mayor e a. (C‑323/08, EU:C:2009:770, punti da 21 a 28).


13 –      EU:C:1995:420.


14 –      EU:C:2007:101.


15 –      V. articolo 1 della direttiva 75/129.


16 –      Nota relativa alla versione inglese delle conclusioni.


17 –      Più in particolare, il primo metodo, previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 98/59 (in prosieguo: il «metodo del punto i)»), prevede tre alternative, in funzione del numero totale di lavoratori occupati nello stabilimento considerato. In base a tale metodo, il numero di licenziamenti rilevanti per la direttiva, espresso in percentuale o in valore assoluto e calcolato su un periodo più breve (30 giorni), deve essere posto in relazione con il numero totale di lavoratori. Per contro, il secondo metodo, previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), ii) (in prosieguo: il «metodo del punto ii)»), sembra più lineare, perlomeno a prima vista. Esso richiede di accertare, su un periodo più lungo (90 giorni), se il numero di licenziamenti rilevanti per la direttiva in un determinato stabilimento superi un valore assoluto (19), a prescindere dal numero totale di lavoratori ivi occupati.


18 –      V. supra, nota 4.


19 –      V. accordo interistituzionale del 22 dicembre 1998 sugli orientamenti comuni relativi alla qualità redazionale della legislazione comunitaria (GU 1999, C 73, pag. 1), punto 6.


20 –      Sentenza Commissione/Portogallo (C‑55/02, EU:C:2004:605, punto 47).


21 –      V. sentenza Confédération générale du travail e a. (C‑385/05, EU:C:2007:37, punto 44). V. altresì, in riferimento alla direttiva 75/129, sentenza Rockfon (EU:C:1995:420, punto 29).


22 –      V., inter alia, sentenza Athinaïki Chartopoïïa (EU:C:2007:101, punto 26).


23 –      Nella causa Rockfon (EU:C:1995:420), l’omonima impresa apparteneva al gruppo Rockwell, che aveva oltre 300 dipendenti e un ufficio comune del personale. La Rockfon A/S aveva 162 dipendenti, di cui 24 o 25 erano stati licenziati. Nella causa Athinaïki Chartopoiïa (EU:C:2007:101), il consiglio di amministrazione dell’Athinaïki Chartopoiïa AE aveva deciso di chiudere una delle tre unità di produzione, presso la quale erano occupati 420 dipendenti.


24 –      V., in tal senso, sentenza Rockfon (EU:C:1995:420, punto 30).


25 –      V., segnatamente, sentenze Rockfon (EU:C:1995:420, punto 30) e Athinaïki Chartopoiïa (EU:C:2007:101, punto 28).


26 –      Tale considerando enuncia che «(…) occorre garantire l’adempimento degli obblighi del datore di lavoro in materia di informazione, consultazione e comunicazione indipendentemente dal fatto che le decisioni riguardanti i licenziamenti collettivi siano prese dal datore di lavoro o da un’impresa che lo controlli».


27 –      Nel caso specifico della Ethel Austin, sui circa 1 700 lavoratori licenziati, 490 hanno ricevuto un’indennità di tutela (il che significa che oltre il 71% non l’ha ricevuta). Nel caso della Woolworths, invece, sui 27 000 lavoratori licenziati, 3 233 non avevano diritto a un’indennità di tutela (meno del 12%; v. punti 30 e 31 della sentenza dell’EAT, cause nn. UKEAT/0547/12/KN e UKEAT/0548/12/KN). Quanto alla Bluebird, dall’ordinanza di rinvio sembra emergere che, sui 105 lavoratori licenziati nella regione dell’Irlanda del Nord, 19 non hanno ricevuto un’indennità di tutela (poco più del 18%).


28 –      V. sentenza Athinaïki Chartopoiïa (EU:C:2007:101, punto 28).


29 –      Sentenze Rockfon (EU:C:1995:420, punto 32), e Athinaïki Chartopoiïa (EU:C:2007:101, punto 25).


30 –      V. sentenza Confédération générale du travail e a. (EU:C:2007:37, punto 43), nonché, nel medesimo senso, sentenza Commissione/Portogallo (EU:C:2004:605, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). Blanpain, R., rileva in Labour Law and Industrial Relations of the European Community, Kluwer, Deventer: 1991, pagg. 153 e 154 – in riferimento a un esempio specifico – che la direttiva 75/129 è stata adottata per impedire alle imprese paneuropee di speculare sul luogo (vale a dire, lo Stato membro) in cui il licenziamento dei lavoratori avrebbe un costo minore.


31 –      Mi riferisco, in particolare, ai considerando da 2 a 4 e 6 della direttiva 98/59: «(…) occorre rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, tenendo conto della necessità di uno sviluppo economico-sociale equilibrato nella Comunità; (…) nonostante un’evoluzione convergente, sussistono differenze tra le disposizioni in vigore negli Stati membri della Comunità per quanto riguarda le modalità e la procedura dei licenziamenti collettivi e le misure che possono attenuare per i lavoratori le conseguenze di tali licenziamenti (…); tali differenze possono ripercuotersi direttamente sul funzionamento del mercato interno; (…) [l]a realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea (…)». V. anche sentenza Nolan (C‑583/10, EU:C:2012:638, punti da 37 a 40).


32 –      Come nelle versioni inglese, spagnola, francese, italiana e neerlandese.


33 –      Come nelle versioni danese, tedesca, finlandese, croata, ungherese e svedese.


34 –      Sentenza Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a. (C‑44/08, EU:C:2009:533, punti 57 e 58).


35 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (GU L 80, pag. 29).


36 –      Direttiva del Consiglio del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16).


37 –      COM(72) 1400; v., ad esempio, progetto di articolo 4.


38 –      GU 1973, C 100, pag. 11, a pag. 14.


39 –      Cfr. sentenza Rockfon (EU:C:1995:420, punto 33). Tale modifica, che non è avvenuta per tutte le versioni linguistiche dell’epoca, sembra aver avuto luogo tra la consultazione del Parlamento e del Comitato economico e sociale.


40 –      Conclusioni dell’avvocato generale Cosmas nella causa Rockfon (C‑449/93, EU:C:1995:242, paragrafo 32). Il corsivo è mio.


41 –      A tale riguardo, si vedano i verbali della 2115a riunione del Consiglio (AGRI) tenutasi a Bruxelles il 20 luglio 1998 (nn. C/98/254 e 10395/98), punto IX, secondo cui «[l]’obiettivo è il mero consolidamento (o la “codifica ufficiale” ai sensi del [punto 1 dell’accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994 [–] Metodo di lavoro accelerato ai fini della codificazione ufficiale dei testi legislativi (GU 1996, C 102, pag. 2)]), senza modifiche sostanziali».


42 –      V. Rubinstein, M., «Highlights: April 2007», 2007 Industrial Relations Law Reports, pagg. 225 e segg., e Barnard, C., «EU Employment Law», Oxford University Press, Oxford: 2012 (4a ed.), pagg. 632 e 633.


43 –      V., in particolare, Rubinstein, M., «Highlights: March 1996», 1996 Industrial Relations Law Reports, pagg. 113 e segg.


44 –      L’articolo 5 della direttiva 98/59 così recita: «La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o favorire o consentire l’applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori».


45 –      V. sentenza Athinaïki Chartopoiïa (EU:C:2007:101, punti 27 e 28).


46 –      V sentenza Schulz e Egbringhoff (C‑359/11 e C‑400/11, EU:C:2014:2317, punti 57 e segg.).


47 –      V. sentenza Rodríguez Mayor e a. (EU:C:2009:770, punti da 22 a 24). Inoltre, la Spagna ha anche stabilito, con il quarto comma dell’articolo 51, paragrafo 1, dell’ET, che si verifica un licenziamento collettivo se la cessazione dei contratti di lavoro dovuta a cause economiche, tecniche, organizzative o legate alla produzione riguarda l’intero organico di un’impresa e consegue alla cessazione totale dell’attività di questa, anche nel caso in cui non siano raggiunte le soglie di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59, purché il numero di lavoratori interessati sia superiore a cinque.


48 –      Sentenza Agorastoudis e a. (da C‑187/05 a C‑190/05, EU:C:2006:535, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


49 –      V., in tal senso, sentenza Rodríguez Mayor e a. (EU:C:2009:770, punto 34).


50 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Italia (91/81, EU:C:1982:212, punti da 8 a 10).


51 –      V., in tal senso, sentenza Confédération générale du travail e a. (EU:C:2007:37, punto 47).


52 –      V. sentenza Commissione/Portogallo (EU:C:2004:605, punto 66 e dispositivo). V. anche sentenza Commissione/Regno Unito (C‑383/92, EU:C:1994:234, punti da 29 a 32).


53 –      EU:C:2009:770. Detta causa verteva su una questione pregiudiziale che presentava forti analogie con quella ora in esame.


54 –      Ibid., punto 52.


55 –      V. sentenza Commissione/Portogallo (EU:C:2004:605, punto 56). I licenziamenti per assimilazione si verificano, inter alia, nel caso in cui il lavoratore sia indotto a prestare il proprio consenso, ad esempio in cambio di vantaggi economici; v. paragrafi 46 e 47 delle conclusioni dell’avvocato generale Tizzano nella medesima causa (EU:C:2004:139). Ad esempio, i lavoratori potrebbero accettare un prepensionamento volontario per iniziativa del datore di lavoro senza che sia loro imputabile individualmente; v. Barnard, C., op. cit., pag. 631.


56 –      V. sentenza Nolan (EU:C:2012:638, punti 42 e 43).