Language of document : ECLI:EU:C:2016:278

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

19 aprile 2016 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Direttiva 2000/78/CE – Principio della non discriminazione in ragione dell’età – Normativa nazionale contraria a una direttiva – Possibilità per un privato di far valere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione – Controversia tra privati – Bilanciamento di diversi diritti e principi – Principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento – Ruolo del giudice nazionale»

Nella causa C‑441/14,

avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Højesteret (Corte suprema, Danimarca), con decisione del 22 settembre 2014, pervenuta in cancelleria il 24 settembre 2014, nel procedimento

Dansk Industri (DI), per conto della Ajos A/S,

contro

Successione Karsten Eigil Rasmussen,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, T. von Danwitz, J.L. da Cruz Vilaça, A. Arabadjiev e F. Biltgen (relatore), presidenti di sezione, J. Malenovský, E. Levits, J.‑C. Bonichot, M. Berger, E. Jarašiūnas e C. Vajda, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 luglio 2015,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Dansk Industri (DI), per conto della Ajos A/S, da M. Eisensee, advokat;

–        per la Successione Karsten Eigil Rasmussen, da A. Andersen, advokat;

–        per il governo danese, da J. Bering Liisberg e M. Wolff, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, da B. Beutler, in qualità di agente;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M. Bulterman e M. Gijzen, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da M. Clausen e D. Martin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 novembre 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione, da un lato, dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, lettera a), nonché dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16), e, dall’altro, del principio della non discriminazione in ragione dell’età nonché dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.

2        Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la Dansk Industri (DI), per conto della Ajos A/S (in prosieguo: la «Ajos»), e gli aventi causa a titolo successorio del sig. Rasmussen in merito al rifiuto opposto dalla Ajos di concedere al sig. Rasmussen un’indennità di licenziamento.

 Contesto normativo

 La direttiva 2000/78

3        Ai sensi del suo articolo 1, la direttiva 2000/78 «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, [l’]handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

4        L’articolo 2 di tale direttiva così recita:

«1.       Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

(...)».

5        L’articolo 6 della medesima direttiva è così formulato:

«1.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

a)      la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;

b)      la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l’accesso all’occupazione o a taluni vantaggi connessi all’occupazione;

(...).

2.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che la fissazione per i regimi professionali di sicurezza sociale di un’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche o all’invalidità, compresa la fissazione per tali regimi di età diverse per lavoratori o gruppi o categorie di lavoratori e l’utilizzazione, nell’ambito di detti regimi, di criteri di età nei calcoli attuariali[,] non costituisca una discriminazione fondata sull’età purché ciò non dia luogo a discriminazioni fondate sul sesso».

 Il diritto danese

6        La legge relativa ai rapporti giuridici tra i datori di lavoro e i lavoratori subordinati [lov om retsforholdet mellem arbejdsgivere og funktionærer (funktionærloven)], nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: la «legge relativa ai lavoratori subordinati»), contiene, all’articolo 2a, le seguenti disposizioni relative all’indennità speciale di licenziamento:

«1.      In caso di licenziamento di un lavoratore subordinato, in servizio nella stessa azienda continuativamente per 12, 15 o 18 anni, il datore di lavoro, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, gli corrisponde una somma pari, rispettivamente, a 1, a 2 ovvero a 3 mensilità di stipendio.

2.      Le disposizioni di cui al paragrafo 1 non trovano applicazione se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore subordinato percepirà la pensione di vecchiaia del regime generale.

3.      L’indennità di licenziamento non viene corrisposta se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore subordinato percepirà una pensione di vecchiaia dal datore di lavoro e se ha aderito al regime previdenziale di cui trattasi prima del compimento del cinquantesimo anno di età.

4.      Le disposizioni di cui al paragrafo 3 non si applicano se un contratto collettivo disciplinasse, alla data del 1° luglio 1996, la questione della riduzione o della soppressione dell’indennità di licenziamento a motivo della pensione di vecchiaia corrisposta dal datore di lavoro.

5.      Le disposizioni di cui al paragrafo 1 si applicano mutatis mutandis in caso di licenziamento illegittimo».

7        Il giudice del rinvio precisa che il Regno di Danimarca ha trasposto la direttiva 2000/78 con la legge n. 253, che modifica la legge relativa, in particolare, al divieto di discriminazione nel mercato del lavoro (lov nr. 253 om ændring af lov om forbud mod forskelsbehandling på arbejdsmarkedet m.v.), del 7 aprile 2004, e la legge n. 1417, che modifica la legge relativa, in particolare, al divieto di discriminazione nel mercato del lavoro (lov nr. 1417 om ændring af lov om forbud mod forskelsbehandling på arbejdsmarkedet m.v), del 22 dicembre 2004.

8        L’articolo 1 della citata legge n. 253 del 7 aprile 2004, come modificata (in prosieguo: la «legge antidiscriminazione»), prevede, al paragrafo 1, quanto segue:

«Si intende per discriminazione ai sensi della presente legge qualsiasi atto di discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza, il colore, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche, l’orientamento sessuale, l’età, l’handicap, la cittadinanza o l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale o etnico».

9        L’articolo 2, paragrafo 1, della legge antidiscriminazione così dispone:

«È vietata qualsiasi discriminazione da parte di un datore di lavoro in occasione dell’assunzione, del licenziamento, del trasferimento o della promozione di dipendenti o candidati ad un lavoro, ovvero della fissazione delle loro condizioni retributive o di lavoro».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

10      Il sig. Rasmussen è stato licenziato il 25 maggio 2009 dalla Ajos, suo datore di lavoro, all’età di 60 anni. Alcuni giorni dopo, egli ha presentato a tale impresa le sue dimissioni e ha convenuto con la stessa che avrebbe lasciato il lavoro alla fine del mese di giugno 2009. Egli è stato assunto successivamente da un’altra impresa.

11      Il giudice del rinvio indica che il sig. Rasmussen, siccome era stato al servizio della Ajos dal 1° giugno 1984, aveva diritto, in linea di principio, a un’indennità di licenziamento pari a tre mensilità di stipendio ai sensi dell’articolo 2a, paragrafo 1, della legge relativa ai lavoratori subordinati. Ciononostante, poiché, al momento in cui aveva lasciato il lavoro, egli aveva raggiunto l’età di 60 anni e aveva diritto alla pensione di vecchiaia da parte del datore di lavoro in applicazione di un regime al quale aveva aderito prima del compimento del cinquantesimo anno di età, la disposizione dell’articolo 2a, paragrafo 3, di detta legge, come interpretata da una giurisprudenza nazionale costante, non gli consentiva di esigere una siffatta indennità, sebbene egli fosse rimasto nel mercato del lavoro dopo aver lasciato la Ajos.

12      Nel marzo 2012, il sindacato Dansk Formands Forening ha intrapreso, in nome del sig. Rasmussen, un’azione contro la Ajos al fine di ottenere il pagamento dell’indennità di licenziamento di tre mensilità di stipendio, come prevista all’articolo 2a della legge relativa ai lavoratori subordinati. A tal riguardo detto sindacato si è basato sulla sentenza della Corte, del 12 ottobre 2010, Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600).

13      Il 14 gennaio 2014, il Sø- og Handelsretten (tribunale marittimo e commerciale) ha accolto la domanda presentata in nome del sig. Rasmussen, ormai rappresentato dai suoi aventi causa a titolo successorio, volta ad ottenere il pagamento dell’indennità di licenziamento in questione. Tale giudice ha dichiarato che dalla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, ECLI:EU:C:2010:600) risultava che l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati era contrario alla direttiva 2000/78 e ha constatato che l’interpretazione nazionale precedente di detto articolo 2a era contraria al principio generale, sancito dal diritto dell’Unione, del divieto di discriminazioni in ragione dell’età.

14      La Ajos ha impugnato tale sentenza dinanzi allo Højesteret (Corte suprema) facendo valere che un’interpretazione dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati che sia conforme alle disposizioni interpretate nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) sarebbe, tuttavia, contra legem. Essa sostiene inoltre che l’applicazione di una norma così chiara e priva di ambiguità come quella prevista all’articolo 2a, paragrafo 3, di detta legge non può essere disapplicata in forza del principio generale del diritto dell’Unione relativo al divieto di discriminazioni in ragione dell’età, pena la violazione dei principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto.

15      Ricordando che si tratta, nel caso di specie, di una controversia tra privati, nel cui contesto non sarebbe possibile riconoscere un effetto diretto alle disposizioni della direttiva 2000/78, e che un’interpretazione dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati che sia conforme al diritto dell’Unione sarebbe contraria alla giurisprudenza nazionale, il giudice del rinvio si domanda se il principio generale del diritto dell’Unione relativo al divieto di discriminazioni in ragione dell’età possa essere evocato da un lavoratore subordinato nei confronti del suo datore di lavoro privato, onde obbligare quest’ultimo al pagamento di un’indennità di licenziamento prevista dal diritto danese, anche quando detto datore di lavoro, conformemente al diritto nazionale, sia esentato da tale pagamento. In tal modo, il caso di specie solleverebbe altresì la questione della misura in cui un principio non scritto del diritto dell’Unione possa ostare a che un datore di lavoro privato si avvalga eventualmente di una disposizione di legge nazionale contraria a detto principio.

16      Il giudice del rinvio ritiene che sia necessario, ai fini di tale verifica, determinare se il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età abbia lo stesso contenuto e la medesima portata della direttiva 2000/78 o se quest’ultima preveda al riguardo una tutela più ampia contro le discriminazioni in ragione dell’età.

17      Se la direttiva non dovesse accordare una tutela più ampia rispetto al principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, andrebbe verificato parimenti se tale principio possa, come risulterebbe dalle sentenze Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709) e Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21), essere applicato direttamente nei rapporti tra privati e in che modo la sua applicazione diretta debba essere bilanciata con il principio della certezza del diritto nonché con il principio della tutela del legittimo affidamento, suo corollario.

18      Il giudice del rinvio si domanda poi se, in una situazione come quella di cui al procedimento dinanzi ad esso pendente, il diritto dell’Unione consenta a un giudice nazionale di procedere a un bilanciamento tra il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, da un lato, e il principio della certezza del diritto nonché il principio della tutela del legittimo affidamento, dall’altro, e di giungere alla conclusione che il principio della certezza del diritto deve prevalere sul principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, di modo che il datore di lavoro è, conformemente al diritto nazionale, esentato dall’obbligo di pagare l’indennità di licenziamento.

19      A tal proposito il giudice del rinvio s’interroga anche sulla questione se nell’ambito di un siffatto bilanciamento possa essere presa in considerazione la circostanza che il lavoratore subordinato abbia la possibilità, se del caso, di esigere un risarcimento dallo Stato danese a motivo dell’incompatibilità della normativa danese con il diritto dell’Unione.

20      È in tale contesto che la Højesteret (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il principio generale del diritto dell’Unione del divieto delle discriminazioni in ragione dell’età osti a una normativa, come quella danese, in base alla quale i lavoratori non hanno diritto a un’indennità di licenziamento allorché possono beneficiare di una pensione di vecchiaia da parte del loro datore di lavoro nell’ambito di un regime pensionistico al quale abbiano aderito prima del compimento del cinquantesimo anno di età, indipendentemente dal fatto che scelgano di restare nel mercato del lavoro oppure di andare in pensione.

2)      Se sia compatibile con il diritto dell’Unione che un giudice danese, nell’ambito di una controversia tra un lavoratore e un datore di lavoro privato riguardante il pagamento di un’indennità di licenziamento – pagamento dal quale il diritto danese, come descritto nella prima questione, esenta il datore di lavoro, in violazione del principio generale del diritto dell’Unione del divieto delle discriminazioni in ragione dell’età –, proceda a un bilanciamento di tale principio e del suo effetto diretto con il principio della certezza del diritto e il suo corollario, il principio della tutela del legittimo affidamento, giungendo alla conclusione che il principio della certezza del diritto deve prevalere sul principio del divieto delle discriminazioni in ragione dell’età, in modo che il datore di lavoro non è tenuto, ai sensi del diritto nazionale, a corrispondere un’indennità di licenziamento. Si chiede, inoltre, di chiarire se la circostanza che il lavoratore possa, se del caso, domandare allo Stato danese un risarcimento danni per l’incompatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione abbia ripercussioni sulla fattibilità di un tale bilanciamento».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

21      Con la prima questione il giudice del rinvio, investito di una controversia tra privati, domanda, in sostanza, se il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che priva un lavoratore subordinato del diritto di beneficiare di un’indennità di licenziamento allorché ha titolo a una pensione di vecchiaia da parte del datore di lavoro nell’ambito di un regime pensionistico al quale tale lavoratore subordinato abbia aderito prima del compimento del cinquantesimo anno di età, indipendentemente dal fatto che egli scelga di restare nel mercato del lavoro o di andare in pensione.

22      Al fine di rispondere a tale questione, si deve, anzitutto, ricordare che il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, che la direttiva 2000/78 esprime concretamente, trova la sua fonte, come risulta dai considerando 1 e 4 di detta direttiva, in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (v. sentenze Mangold, C‑144/04, EU:C:2005:709, punto 74, e Kücükdeveci, C‑555/07, EU:C:2010:21, punti 20 e 21). Dalla giurisprudenza della Corte risulta altresì che tale principio, ora sancito all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere considerato un principio generale del diritto dell’Unione (v. sentenze Mangold, C‑144/04, EU:C:2005:709, punto 75, e Kücükdeveci, C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 21).

23      Va precisato, poi, che, siccome la direttiva 2000/78 non sancisce di per sé il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, ma lo esprime soltanto concretamente in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, la portata della tutela conferita da tale direttiva non eccede quella accordata da detto principio. Il legislatore dell’Unione europea ha inteso, tramite l’adozione della citata direttiva, definire un quadro più preciso, destinato a facilitare l’attuazione concreta del principio della parità di trattamento e, in particolare, a determinare diverse possibilità di deroga allo stesso, delimitandole mediante una definizione più chiara del loro ambito di applicazione.

24      Occorre, infine, aggiungere che, affinché il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età si applichi a una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, è necessario pure che tale situazione rientri nell’ambito del divieto delle discriminazioni stabilito dalla direttiva 2000/78.

25      A tal riguardo è sufficiente ricordare che, come la Corte ha già dichiarato, escludendo in via generale dal beneficio dell’indennità speciale di licenziamento un’intera categoria di lavoratori, l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati incide sulle condizioni di licenziamento di tali lavoratori ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78 (sentenza Ingeniørforeningen i Danmark, C‑499/08, EU:C:2010:600, punto 21). Ne consegue che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, pertanto, in quello del principio generale della non discriminazione in ragione dell’età.

26      In tale contesto, e tenuto conto della circostanza che la Corte ha già dichiarato che gli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 dovevano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale, come quella di cui alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale, in forza della quale i lavoratori aventi titolo a una pensione di vecchiaia da parte del proprio datore di lavoro nell’ambito di un regime previdenziale al quale abbiano aderito prima del compimento del cinquantesimo anno di età non possono, in ragione di tale solo fatto, beneficiare di un’indennità speciale di licenziamento destinata a favorire il reinserimento professionale dei lavoratori aventi un’anzianità di servizio superiore ai dodici anni nell’impresa (sentenza Ingeniørforeningen i Danmark, C‑499/08, EU:C:2010:600, punto 49), deve concludersi altrettanto riguardo al principio fondamentale della parità di trattamento, del quale il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età costituisce soltanto un’espressione particolare.

27      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, come espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, deve essere interpretato nel senso che esso osta, anche in una controversia tra privati, a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che priva un lavoratore subordinato del diritto di beneficiare di un’indennità di licenziamento allorché ha titolo a una pensione di vecchiaia da parte del datore di lavoro nell’ambito di un regime pensionistico al quale tale lavoratore subordinato abbia aderito prima del compimento del cinquantesimo anno di età, indipendentemente dal fatto che egli scelga di restare nel mercato del lavoro o di andare in pensione.

 Sulla seconda questione

28      Con la seconda questione il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso consente a un giudice nazionale investito di una controversia tra privati, qualora risulti che la disposizione nazionale pertinente è contraria al principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, di bilanciare detto principio con i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento e di concludere che occorre far prevalere i secondi sul primo. In tali circostanze, il giudice del rinvio s’interroga altresì sulla questione se, in occasione di tale ponderazione, esso possa o debba tener conto del fatto che gli Stati membri hanno l’obbligo di risarcire il danno causato ai privati dalla trasposizione inesatta di una direttiva, quale la direttiva 2000/78.

29      A tal riguardo occorre, in primo luogo, ricordare la giurisprudenza costante secondo la quale, quando sono chiamati a dirimere una controversia tra privati nella quale la normativa nazionale di cui trattasi risulti contraria al diritto dell’Unione, i giudici nazionali devono assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle disposizioni del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia (v., in tal senso, sentenze Pfeiffer e a., da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 111, nonché Kücükdeveci, C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 45).

30      Se è vero che, con riferimento a una controversia tra privati, la Corte ha dichiarato in maniera costante che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze Marshall, 152/84, EU:C:1986:84, punto 48; Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 20, nonché Pfeiffer e a., da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 108), essa ha parimenti dichiarato a più riprese che l’obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato previsto da quest’ultima così come il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo s’impongono a tutte le autorità degli Stati membri, comprese, nell’ambito delle loro competenze, quelle giurisdizionali (v., in tal senso, in particolare, sentenze von Colson e Kamann, 14/83, EU:C:1984:153, punto 26, nonché Kücükdeveci, C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 47).

31      Ne consegue che, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali chiamati a interpretarlo sono tenuti a prendere in considerazione l’insieme delle norme di tale diritto e ad applicare i criteri ermeneutici riconosciuti dallo stesso al fine di interpretarlo per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288, terzo comma, TFUE (v., in particolare, sentenze Pfeiffer e a., da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punti 113 e 114, nonché Kücükdeveci, C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 48).

32      Certamente, la Corte ha precisato che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale conosce limiti. In tal senso, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al diritto dell’Unione nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto interno trova un limite nei principi generali del diritto e non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (v. sentenze Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 100; Dominguez, C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 25, nonché Association de médiation sociale, C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 39).

33      In tali circostanze, occorre precisare che l’esigenza di un’interpretazione conforme include l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva (v., in tal senso, sentenza Centrosteel, C‑456/98, EU:C:2000:402, punto 17).

34      Pertanto, il giudice del rinvio non può, nel procedimento principale, validamente ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare la disposizione nazionale di cui trattasi conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto di aver costantemente interpretato detta disposizione in un senso che è incompatibile con tale diritto.

35      Ciò precisato, si deve ancora aggiungere che, quand’anche si trovi effettivamente nell’impossibilità di procedere a un’interpretazione del diritto nazionale che sia conforme a tale direttiva, un giudice nazionale investito di una controversia in cui è messo in discussione il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, ha tuttavia l’obbligo di assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giuridica che il diritto dell’Unione attribuisce ai soggetti dell’ordinamento, garantendone la piena efficacia e disapplicando, ove necessario, ogni disposizione della normativa nazionale contraria a tale principio (sentenza Kücükdeveci, C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 51).

36      Peraltro, dal punto 47 della sentenza Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2) risulta che il principio della non discriminazione in ragione dell’età conferisce ai privati un diritto soggettivo evocabile in quanto tale che, persino in controversie tra privati, obbliga i giudici nazionali a disapplicare disposizioni nazionali non conformi a detto principio.

37      Pertanto, nella specie, qualora ritenga di trovarsi nell’impossibilità di assicurare un’interpretazione conforme della disposizione nazionale di cui trattasi, il giudice del rinvio dovrà disapplicare tale disposizione.

38      In secondo luogo, riguardo alla questione di stabilire gli obblighi derivanti dal principio della tutela del legittimo affidamento per un giudice nazionale investito di una controversia tra privati, si deve sottolineare che un giudice nazionale non può basarsi su detto principio per continuare ad applicare una norma di diritto nazionale contraria al principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, come espresso concretamente dalla direttiva 2000/78.

39      Infatti, l’applicazione del principio della tutela del legittimo affidamento, quale prospettata dal giudice del rinvio, equivarrebbe, in realtà, a limitare gli effetti nel tempo dell’interpretazione accolta dalla Corte, poiché, per mezzo suo, detta interpretazione non troverebbe applicazione nel procedimento principale.

40      Orbene, conformemente a una giurisprudenza costante, l’interpretazione che la Corte dà del diritto dell’Unione, nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE, chiarisce e precisa, se necessario, il significato e la portata di tale diritto, nel senso in cui deve o avrebbe dovuto essere inteso e applicato sin dalla data della sua entrata in vigore. Ne deriva che, al di fuori di circostanze del tutto eccezionali, la cui sussistenza non è stata tuttavia dedotta nella specie, il diritto dell’Unione così interpretato deve essere applicato dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda di interpretazione, purché sussistano, peraltro, i presupposti per sottoporre ai giudici competenti una controversia relativa all’applicazione di detto diritto (v., in particolare, sentenza Gmina Wrocław, C‑276/14, EU:C:2015:635, punti 44 e 45 nonché giurisprudenza citata).

41      Del resto, la tutela del legittimo affidamento non può, comunque sia, essere evocata per negare al privato che ha intrapreso l’azione che ha portato la Corte a interpretare il diritto dell’Unione in senso ostativo alla norma di diritto nazionale di cui trattasi il beneficio di tale interpretazione (v., in tal senso, sentenze Defrenne, 43/75, EU:C:1976:56, punto 75, nonché Barber, C‑262/88, EU:C:1990:209, punti 44 e 45).

42      Per quanto riguarda l’interrogativo del giudice del rinvio menzionato al punto 19 della presente sentenza, occorre sottolineare che la possibilità per i privati che beneficiano di un diritto soggettivo derivante dal diritto dell’Unione, come, nel caso di specie, il lavoratore subordinato, di chiedere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto dell’Unione imputabile a uno Stato membro (v., in tal senso, sentenze Francovich e a., C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 33, nonché Brasserie du pêcheur e Factortame, C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 20) non può rimettere in discussione l’obbligo, per il giudice del rinvio, di privilegiare l’interpretazione del diritto nazionale che sia conforme alla direttiva 2000/78 ovvero, qualora una siffatta interpretazione si rivelasse impossibile, di disapplicare la disposizione nazionale contraria al principio generale della non discriminazione in ragione dell’età come espresso concretamente da detta direttiva, né portare tale giudice, nell’ambito della controversia di cui è investito, a far prevalere la tutela dell’affidamento del privato, nel caso di specie il datore di lavoro, che si sia conformato al diritto nazionale.

43      Tutto ciò considerato, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di una controversia tra privati rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 è tenuto, nel momento in cui attua le disposizioni del suo diritto interno, a interpretarle in modo tale che esse possano ricevere un’applicazione conforme a tale direttiva oppure, qualora una siffatta interpretazione conforme fosse impossibile, a disapplicare, se necessario, qualsiasi disposizione di tale diritto interno contraria al principio generale della non discriminazione in ragione dell’età. Né i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento né la possibilità per il privato che si ritenga leso dall’applicazione di una disposizione nazionale contraria al diritto dell’Unione di far valere la responsabilità dello Stato membro interessato per violazione del diritto dell’Unione possono rimettere in discussione tale obbligo.

 Sulle spese

44      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      Il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, come espresso concretamente dalla direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che esso osta, anche in una controversia tra privati, a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che priva un lavoratore subordinato del diritto di beneficiare di un’indennità di licenziamento allorché ha titolo a una pensione di vecchiaia da parte del datore di lavoro nell’ambito di un regime pensionistico al quale tale lavoratore subordinato abbia aderito prima del compimento del cinquantesimo anno di età, indipendentemente dal fatto che egli scelga di restare nel mercato del lavoro o di andare in pensione.

2)      Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di una controversia tra privati rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 è tenuto, nel momento in cui attua le disposizioni del suo diritto interno, a interpretarle in modo tale che esse possano ricevere un’applicazione conforme a tale direttiva ovvero, qualora una siffatta interpretazione conforme fosse impossibile, a disapplicare, se necessario, qualsiasi disposizione di tale diritto interno contraria al principio generale della non discriminazione in ragione dell’età. Né i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento né la possibilità per il privato che si ritenga leso dall’applicazione di una disposizione nazionale contraria al diritto dell’Unione di far valere la responsabilità dello Stato membro interessato per violazione del diritto dell’Unione possono rimettere in discussione tale obbligo.

Firme


* Lingua processuale: il danese.