Language of document : ECLI:EU:C:2016:734

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 29 settembre 2016 (1)

Causa C‑158/14

A,

B,

C

e

D

contro

Minister van Buitenlandse Zaken

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]

«Articolo 267 TFUE — Articolo 263, quarto comma, TFUE — Ricevibilità di un ricorso di annullamento e controllo della validità di un atto dell’Unione nell’ambito di un procedimento pregiudiziale — Regolamento di esecuzione (UE) n. 610/2010 — Posizione comune 2001/931/PESC — Regolamento (CE) n. 2580/2001 del Consiglio — Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio — Definizione di atti terroristici — Se atti di forze armate non statali in un conflitto armato non internazionale costituiscano atti terroristici – Convenzioni antiterrorismo — Diritto internazionale umanitario»





1.        È stato accertato che A, B, C e D si erano dedicati alla raccolta e al trasferimento di fondi a favore delle «Tigri per la liberazione della patria Tamil» (Liberation Tigers of Tamil Eelam; in prosieguo: le «LTTE»), un gruppo che ha combattuto una guerra civile contro il governo dello Sri Lanka allo scopo di creare uno Stato indipendente nel nord e nell’est dello Sri Lanka per il popolo tamil, e che è stato qualificato come «terrorista» dall’Unione europea per circa dieci anni.

2.        Le autorità dei Paesi Bassi hanno designato A, B, C e D come persone soggette a misure restrittive al fine di combattere il terrorismo, applicando la normativa dei Paesi Bassi di attuazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «CSNU»). Di conseguenza, le loro risorse sono congelate, è vietato prestare loro, o a loro beneficio, servizi finanziari e non è possibile mettere a loro disposizione nessuna risorsa. Nell’adottare tali misure, le autorità dei Paesi Bassi hanno considerato le LTTE un’organizzazione terroristica. Tale conclusione teneva conto di un regolamento di esecuzione del Consiglio dell’Unione europea che manteneva la LTTE in un elenco di gruppi coinvolti in atti terroristici e ai quali si applicano misure restrittive. Nei loro ricorsi dinanzi ai giudici dei Paesi Bassi, A, B, C e D sostengono che tale regolamento è invalido, poiché le azioni delle LTTE non costituivano atti terroristici. A loro avviso le LTTE erano piuttosto una forza armata non statale impegnata in Sri Lanka in un conflitto armato non internazionale e pertanto le loro azioni erano regolate unicamente dal diritto internazionale umanitario, e non dalle norme dell’Unione e di diritto internazionale relative alla lotta al terrorismo. Ne consegue che l’Unione europea è incorsa in errore nel considerare gli attacchi e i rapimenti compiuti dalle LTTE tra il 2005 e il 2009 come «atti terroristici» tali da giustificare l’inserimento delle LTTE nell’elenco dell’Unione dei gruppi implicati in atti terroristici.

3.        Il Raad van State (Consiglio di Stato) ha presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale, chiedendo in sostanza chiarimenti circa la definizione di «atti terroristici» utilizzata al momento dell’adozione del regolamento di esecuzione del Consiglio e se eventuali incongruenze tra tale definizione nel diritto dell’Unione e nel diritto internazionale (in particolare, tra il corpus di norme del diritto internazionale relativo al contrasto al terrorismo e il diritto internazionale umanitario) possano inficiare la validità del regolamento di esecuzione in questione. Esso, inoltre, domanda se A, B, C e D possano invocare l’invalidità di tale regolamento di esecuzione nei procedimenti principali, dato che attualmente, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, i singoli beneficiano di un accesso diretto più ampio ai giudici dell’Unione.

 Diritto internazionale

 Diritto internazionale umanitario

4.        Il diritto internazionale umanitario disciplina la condotta delle ostilità nel corso dei conflitti armati internazionali e non internazionali. Esso è deputato, tra l’altro, ad assicurare protezione alle popolazioni civili nelle zone di conflitto attraverso la riduzione degli effetti della guerra sulle persone e sui beni (2).

5.        Una parte significativa del diritto internazionale umanitario può essere rinvenuta nelle quattro Convenzioni di Ginevra (3) e nei loro tre Protocolli aggiuntivi (4). Uno dei principi fondamentali contenuti nelle Convenzioni e nei Protocolli aggiuntivi è costituito dalla distinzione tra la popolazione civile e i combattenti militari e tra gli obiettivi civili e gli obiettivi militari. Questi testi normativi stabiliscono i diritti di base dei prigionieri di guerra (civili e personale militare), le forme di protezione per i feriti ed i malati, nonché le forme di protezione e i diritti riconosciuti ai civili (non combattenti) all’interno delle zone di guerra e attorno a esse. L’Unione europea non è parte di nessuna delle Convenzioni né dei Protocolli aggiuntivi, tuttavia tutti gli Stati membri ne sono parti.

6.        L’articolo 2 comune a ciascuna delle Convenzioni di Ginevra [«Applicazione della(e) Convenzione(i)»] dispone in particolare:

«Oltre alle disposizioni che devono entrare in vigore in tempo di pace, la presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse.

La Convenzione è parimenti applicabile in tutti i casi di occupazione totale o parziale del territorio di un’Alta Parte contraente, anche se questa occupazione non incontrasse resistenza militare alcuna.

(…)».

7.        Tuttavia, ai sensi dell’articolo 3 comune a ciascuna delle Convenzioni di Ginevra («Conflitti privi di carattere internazionale»), che codifica una regola di diritto internazionale consuetudinario (5):

«Nel caso in cui un conflitto armato che non presenti carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti in conflitto sarà tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti:

1)      Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferite, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole basata sulla razza, il colore, la religione o la credenza, il sesso, la nascita, il censo, o altro criterio analogo. A questo scopo, sono e rimangono vietati, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:

a)      le violenze contro la vita e l’integrità corporale, specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi;

b)      la cattura di ostaggi;

(…)».

8.        L’articolo 1 del Protocollo I («Principi generali e campo di applicazione»), che riguarda la protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali e codifica inoltre il diritto internazionale consuetudinario (6), dispone in particolare:

«(…)

3.      Il presente Protocollo, che completa le Convenzioni di Ginevra (…), si applicherà nelle situazioni previste nel [comune articolo 2].

4.      Le situazioni indicate nel paragrafo precedente comprendono i conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati in conformità della Carta delle Nazioni [Unite]».

9.        L’articolo 51, paragrafo 2, del Protocollo I dispone che «sono vietati gli atti o minacce di violenza, il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile».

10.      Il Protocollo II riguarda la protezione delle vittime di conflitti armati non internazionali. La CIG non ha ancora preso posizione sulla questione se tale protocollo codifichi regole di diritto internazionale consuetudinario.

11.      L’articolo 1 del Protocollo II («Campo di applicazione materiale») dispone:

«1.      Il presente Protocollo, che sviluppa e completa [l’articolo 3 comune] senza modificarne le condizioni attuali di applicazione, si applicherà a tutti i conflitti armati che non rientrano nell’articolo 1 del [Protocollo I] e che si svolgono sul territorio di un’Alta Parte contraente fra le sue forze armate e forze armate dissidenti o gruppi armati organizzati che, sotto la condotta di un comando responsabile, esercitano, su una parte del suo territorio, un controllo tale da permettere loro di condurre operazioni militari prolungate e concertate, e di applicare il presente Protocollo.

2.      Il presente Protocollo non si applicherà alle situazioni di tensioni interne, di disordini interni, come le sommosse, gli atti isolati e sporadici di violenza ed altri atti analoghi, che non sono considerati come conflitti armati».

12.      L’articolo 4 del Protocollo II («Garanzie fondamentali») dispone, in particolare, che è proibita «in ogni tempo e in ogni luogo» la cattura di ostaggi tra le persone che non partecipano direttamente o non partecipano più alle ostilità o agli atti di terrorismo (7).

13.      L’articolo 6 («Azione penale») stabilisce garanzie minime applicabili all’azione penale e alle condanne di reati commessi con i conflitti armati non internazionali. Tale disposizione impone alle autorità al potere, al termine delle ostilità, di adoperarsi per concedere la più larga amnistia possibile alle persone che avessero preso parte al conflitto armato o che fossero private della libertà per motivi connessi con il conflitto armato, siano esse internate o detenute (8).

14.      Il secondo periodo dell’articolo 13, paragrafo 2, del Protocollo II vieta «gli atti o le minacce di violenza, il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile». Alcuni tribunali penali internazionali hanno ritenuto che questa norma abbia natura di regola di diritto internazionale consuetudinario, la cui violazione è fonte di responsabilità penale individuale (9).

 Diritto internazionale in materia di lotta al terrorismo e cattura di ostaggi

Risoluzione 1373 (2001)

15.      Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1373 (2001) [in prosieguo: la «risoluzione 1373 (2001)»] (10) il 28 settembre 2001, all’indomani degli attacchi che hanno avuto luogo negli Stati Uniti il giorno 11 settembre di quello stesso anno. Il punto 1 richiede a tutti gli Stati di:

«a)      prevenire e reprimere il finanziamento di atti terroristici;

b)      sanzionare penalmente la fornitura o la raccolta volontaria, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, di fondi da parte dei loro cittadini o nei loro territori, con l’intenzione di utilizzare i fondi o sapendo che questi devono essere utilizzati per realizzare atti terroristici;

(…)

d)      Vietare ai loro cittadini o a qualsiasi persona o entità nel loro territorio di rendere disponibile qualsiasi fondo, bene finanziario o risorsa economica o altri servizi finanziari o altri servizi collegati, direttamente o indirettamente, a beneficio di persone che commettono, tentano di commettere, facilitano o partecipano all’esecuzione di atti terroristici, di entità di proprietà di o controllate, direttamente o indirettamente, da tali persone e di persone ed entità che agiscono a nome di o agli ordini di tali persone (…)».

16.      Il punto 3, lettera d), richiama tutti gli Stati ad «aderire quanto prima possibile alle rilevanti convenzioni e protocolli internazionali relativi al terrorismo, compresa la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento al terrorismo del 9 dicembre 1999 [(11)]».

 Convenzioni multilaterali e regionali contro il terrorismo

17.      Gli Stati non hanno (ancora) raggiunto un accordo circa una definizione globale, generalmente applicabile, di cosa costituisca atto terroristico (12).

18.      La Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo (in prosieguo: la «Convenzione sugli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo») è stata firmata a New York il 15 dicembre 1997 (13). Benché l’Unione europea non sia essa stessa parte della Convenzione, lo sono tutti i suoi Stati membri. L’ultimo considerando della Convenzione per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo indica che le attività delle forze militari degli Stati sono disciplinate da norme di diritti internazionale che esulano dall’ambito della convenzione e che pertanto l’esclusione di determinate azioni dal campo di applicazione della convenzione non «giustifica né rende leciti atti altrimenti illeciti, né impedisce l’esercizio di azioni giudiziarie in virtù di altre leggi (…)».

19.      L’articolo 19, paragrafo 2, dispone che «le attività delle forze armate in periodo di conflitto armato, nel significato attribuito a questi termini nel diritto internazionale umanitario, e che sono disciplinate da tale diritto, non sono regolamentate da [la «Convenzione per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo»]; [nemmeno] le attività svolte dalle forze armate di uno Stato nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali sono regolamentate dalla presente Convenzione, in quanto disciplinate da altre norme del diritto internazionale».

20.      La Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo (in prosieguo: la «Convenzione sul finanziamento del terrorismo») è stata firmata a New York il 9 dicembre 1999 (14). Benché l’Unione europea non sia essa stessa parte, lo sono tutti i suoi Stati membri. L’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione sul finanziamento del terrorismo dispone quanto segue:

«Commette reato ai sensi della presente convenzione chiunque, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, illegalmente e intenzionalmente, fornisce o raccoglie fondi con l’intento di utilizzarli o sapendo che sono destinati ad essere utilizzati, integralmente o parzialmente, al fine di compiere:

a)      un atto che costituisce reato ai sensi di e come definito in uno dei trattati elencati nell’Allegato [(15)];

b)      qualsiasi altro atto diretto a causare la morte o gravi lesioni fisiche a un civile, o qualsiasi altra persona che non partecipa attivamente alle ostilità in una situazione di conflitto armato, quando la finalità di tale atto, per sua natura o per il contesto, è quella di intimidire una popolazione, o di costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere qualcosa».

21.      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della Convenzione sul finanziamento del terrorismo, gli Stati parti devono adottare, in conformità dei principi del loro diritto interno, le misure necessarie per identificare, individuare e congelare o sequestrare tutti i fondi utilizzati o destinati ad essere utilizzati allo scopo di commettere i reati di cui all’articolo 2, unitamente ai proventi derivanti da tali reati, al fine di un’eventuale confisca.

22.      L’articolo 21 dispone che «nessuna disposizione [della Convenzione] incide sugli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati o degli individui in base al diritto internazionale, in particolare gli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite, il diritto internazionale umanitario e le altre convenzioni pertinenti».

23.      La Convenzione internazionale per la repressione degli atti di terrorismo nucleare (in prosieguo: la «Convenzione sul terrorismo nucleare») è stata adottata a New York il 13 aprile 2005 (16). Benché l’Unione europea non ne sia parte, la netta maggioranza degli Stati membri lo sono (17). L’articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione sul terrorismo nucleare stabilisce che le attività delle forze armate in periodo di conflitto armato, in base al significato attribuito a questi termini dal diritto internazionale umanitario, che sono disciplinate da tale diritto, non sono regolate dalla convenzione, e che le attività intraprese dalle forze militari di uno Stato nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali non sono a loro volta regolate dalla convenzione, nei limiti in cui sono disciplinate da altre norme di diritto internazionale.

24.      Le convenzioni regionali comprendono la recente Convenzione del Consiglio d’Europa (in prosieguo: il «CdE») per la prevenzione del terrorismo (18). L’Unione europea ha firmato tale convenzione, ma non l’ha ancora ratificata; inoltre, non tutti, ma la netta maggioranza degli Stati membri l’hanno firmata o ratificata (19). L’articolo 26, paragrafo 5, della Convenzione del CdE per la prevenzione del terrorismo dispone:

«Le attività delle forze armate in periodo di conflitto armato, in base al significato attribuito a questi termini dal diritto internazionale umanitario, che sono disciplinate da tale diritto, non sono regolate dalla presente Convenzione, e le attività intraprese dalle forze armate di una Parte nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali non sono a loro volta regolate dalla presente Convenzione, nei limiti in cui sono disciplinate da altre norme di diritto internazionale».

 Convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi

25.      La Convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi (in prosieguo: la «Convenzione sugli ostaggi») è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1979 (20). L’articolo 12 della Convenzione sugli ostaggi dispone che «[n]ella misura in cui [le Convenzioni di Ginevra ed i relativi protocolli] possono applicarsi a un atto di cattura di ostaggi e nella misura in cui gli Stati parti alla presente convenzione [sugli ostaggi] sono tenuti, in virtù di dette convenzioni, a perseguire o a consegnare l’autore della cattura di ostaggi, la presente Convenzione [sugli ostaggi] non verrà applicata ad un atto di cattura di ostaggi commesso durante conflitti armati, come definiti [nelle Convenzioni di Ginevra e nei relativi protocolli] (…)».

 Diritto dell’Unione

 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

26.      L’articolo 263, quarto comma, TFUE stabilisce che «[q]ualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione». Il primo comma specifica su quali tipi di atti la Corte può esercitare un controllo di legittimità. Tra questi sono compresi gli atti del Consiglio. Il secondo comma enuncia i motivi di tale controllo, per i quali sussiste la competenza della Corte. Ai sensi del sesto comma, i ricorsi devono essere proposti «(…) nel termine di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza».

 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

27.      Il primo paragrafo dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta» (21)) dispone che «[o]gni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».

28.      L’articolo 48, paragrafo 1, dispone che «[o]gni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata». Ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, «[i]l rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

 Posizione comune 2001/931/PESC

29.      Il considerando 2 della posizione comune 2001/931/PESC (22) fa riferimento alla risoluzione 1373 (2001), che stabilisce strategie di ampio respiro per la lotta al terrorismo e in particolare al finanziamento dello stesso. Il considerando 5 afferma che l’Unione europea dovrebbe adottare ulteriori misure per attuare la risoluzione 1373 (2001).

30.      L’articolo 1, paragrafo 1, stabilisce che «[l]a (…) posizione comune si applica, in conformità delle disposizioni dei seguenti articoli, alle persone, gruppi ed entità, elencati nell’allegato, coinvolti in atti terroristici».

31.      L’articolo 1, paragrafo 2, definisce «persone, gruppi ed entità, coinvolti in atti terroristici» come segue:

«–      persone che compiono, o tentano di compiere, atti terroristici o vi prendono parte o li agevolano,

–        gruppi ed entità posseduti o controllati direttamente o indirettamente da tali persone; e persone, gruppi ed entità che agiscono a nome o sotto la guida di tali persone, gruppi ed entità, inclusi i capitali provenienti o generati da beni posseduti o controllati direttamente o indirettamente da tali persone o da persone, gruppi ed entità ad esse associate».

32.      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, per «atto terroristico» si intende:

«(…) uno degli atti intenzionali di seguito indicati, che, per la sua natura o contesto possa recare grave danno a un paese o un’organizzazione internazionale, definito reato in base al diritto nazionale, quando è commesso al fine di:

i)      intimidire seriamente la popolazione, o

ii)      costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto; o

iii)      destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o un’organizzazione internazionale:

a)      attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso;

b)      attentati gravi all’integrità fisica di una persona;

c)      sequestro di persona e cattura di ostaggi;

d)      distruzioni massicce di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale ovvero di luoghi pubblici o di proprietà private, che possono mettere a repentaglio vite umane o causare perdite economiche considerevoli;

e)      sequestro di aeromobili o navi o di altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di trasporto di merci;

f)      fabbricazione, detenzione, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi da fuoco, esplosivi, armi atomiche, biologiche o chimiche, nonché, per le armi biologiche e chimiche, ricerca e sviluppo;

g)      diffusione di sostanze pericolose, cagionamento di incendi, inondazioni o esplosioni il cui effetto metta in pericolo vite umane;

h)      manomissione o interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse naturali fondamentali il cui effetto metta in pericolo vite umane;

i)      minaccia di mettere in atto uno dei comportamenti elencati alle lettere da a) a h);

j)      direzione di un gruppo terroristico;

k)      partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, anche fornendo informazioni o mezzi materiali o finanziandone in qualsiasi forma le attività, nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose del gruppo.

(…)».

33.      Ai sensi degli articoli 2 e 3, si richiedeva alla (allora) Comunità europea, nei limiti dei poteri ad essa conferiti dal (all’epoca) Trattato che istituisce la Comunità europea, di «ordina[re] il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche delle persone, gruppi ed entità elencati nell’allegato» e di «garanti[re] che i capitali, le risorse finanziarie o economiche o i servizi finanziari o altri servizi connessi non siano messi a disposizione, direttamente o indirettamente, delle persone, gruppi ed entità elencati nell’allegato».

 Regolamento del Consiglio n. 2580/2001

34.      I considerando 3 e 4 del regolamento (CE) n. 2580/2001 (23) del Consiglio fanno riferimento alla risoluzione 1373 (2001). Il considerando 5 indica che è necessaria l’azione della Comunità per attuare gli aspetti di politica estera e di sicurezza comune (in prosieguo: la «PESC») della posizione comune 2001/931. Ai sensi del considerando 14, l’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3 (24), può includere persone ed entità legate o facenti capo a paesi terzi oppure su cui si incentrano per altri motivi gli aspetti PESC della posizione comune 2001/931/PESC.

35.      L’articolo 1, paragrafo 2, definisce il «congelamento di capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche» come «divieto di spostare, trasferire, alterare, utilizzare o trattare i capitali in modo da modificarne il volume, l’importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura e la destinazione o da introdurre altri cambiamenti tali da consentire l’uso dei capitali in questione, compresa la gestione di portafoglio». L’articolo 1, paragrafo 4 dispone che, secondo il regolamento n. 2580/2001, «atto terroristico» ha lo stesso significato di cui all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 (25).

36.      L’articolo 2, paragrafo 1 dispone che, fatte salve le disposizioni degli articoli 5 e 6 (26):

«a)      tutti i capitali, le altre attività finanziarie e le risorse economiche di cui una persona fisica o giuridica, gruppo o entità ricompresi nell’elenco di cui [all’articolo 2, paragrafo 3] detenga la proprietà o il possesso sono congelati;

b)      è vietato mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione delle persone fisiche o giuridiche, gruppo o entità ricompresi nell’elenco di cui [all’articolo 2, paragrafo 3], capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche».

37.      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2 (e fatte salve le disposizioni degli articoli 5 e 6), «(…) è vietata la prestazione di servizi finanziari destinati alle persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità ricompresi nell’elenco di cui [all’articolo 2, paragrafo 3]».

38.      L’articolo 2, paragrafo 3, stabilisce che il Consiglio ha il compito di elaborare, riesaminare e modificare l’elenco di persone, gruppi o entità ai quali si applica il regolamento n. 2580/2001 (in prosieguo: l’«elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3»), in conformità delle disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi 4, 5 e 6, della posizione comune 2001/931. Detta norma prevede che l’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, include:

«i)      persone che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

ii)      persone giuridiche, gruppi o entità che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

iii)      persone giuridiche, gruppi o entità di proprietà o sotto il controllo di una o più delle persone fisiche o giuridiche, dei gruppi e delle entità di cui ai punti i) e ii);

iv)      persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità che agiscano per conto o su incarico di una o più persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità di cui ai punti i) e ii)».

39.      Ai sensi dell’articolo 9, «[c]iascuno Stato membro determina le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento.Le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive» (27).

 Decisione quadro del Consiglio 2002/475/GAI

40.      Il considerando 3 della decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio (28) fa riferimento al fatto che tutti gli Stati membri o alcuni di essi sono parti di una serie di convenzioni relative al terrorismo. Il considerando 6 indica che la definizione dei reati terroristici dovrebbe essere ravvicinata in tutti gli Stati membri, compresa quella dei reati riconducibili a organizzazioni terroristiche. Ai sensi del considerando 11, «[l]a (…) decisione quadro non disciplina le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato, secondo le definizioni date a questi termini dal diritto internazionale umanitario, attività disciplinate da questo stesso diritto, né le attività svolte dalle forze armate di uno Stato nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali, che sono disciplinate da altre norme del diritto internazionale» (29).

41.      L’articolo 1, paragrafo 1, così dispone:

«1.      Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici gli atti intenzionali di cui alle lettere da a) a i) definiti reati in base al diritto nazionale che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di:

–        intimidire gravemente la popolazione, o

–        costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o

–        destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un’organizzazione internazionale:

[gli atti intenzionali di cui alle lettere da a) a i) sono identici a quelli indicati alle lettere da a) a i) dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 (30)]».

 Iscrizione delle LTTE nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3

42.      Le LTTE sono state inserite per la prima volta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/231/PESC ad opera della posizione comune 2006/380/PESC del Consiglio (31). Il medesimo giorno, tale gruppo è stato inserito nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, ad opera della decisione 2006/379/CE del Consiglio (32). La permanenza delle LTTE in quell’elenco è il risultato di una serie di decisioni e regolamenti, ciascuno dei quali ha abrogato e sostituito il precedente, ivi compreso il regolamento di esecuzione (UE) n. 610/2010 del Consiglio (33). L’elenco più recente figura nell’allegato del regolamento di esecuzione (UE) 2015/2425 del Consiglio (34).

 Diritto dei Paesi Bassi

43.      L’articolo 2, paragrafo 1, del Sanctieregeling terrorisme 2007-II (decreto sulle sanzioni per la repressione del terrorismo; in prosieguo: il «Sanctieregeling 2007») autorizza il Minister van Buitenlandse Zaken (Ministro degli Affari esteri; in prosieguo: il «Ministro»), di concerto con il Ministro della Giustizia (in prosieguo: il «Minister van Justitie») e con il Ministro delle Finanze (in prosieguo: il «Minister van Financiën»), ad adottare una decisione di iscrizione in elenco in relazione alle persone o gruppi che, a suo avviso, rientrano nel novero di persone o gruppi contemplati dalla risoluzione 1373 (2001). Quando viene adottata una siffatta decisione, tutte le risorse appartenenti a tali persone o gruppi sono congelate (articolo 2, paragrafo 2); è vietato prestare loro servizi finanziari o prestare servizi finanziari a loro beneficio (articolo 2, paragrafo 3) o mettere a loro disposizione, direttamente o indirettamente, risorse economiche (articolo 2, paragrafo 4).

44.      Il giudice del rinvio rileva che l’articolo 2 del Sanctieregeling 2007 dà attuazione alla risoluzione 1373 (2001), ma non fa riferimento al regolamento n. 2580/2001, alla posizione comune 2001/931, né ad alcun atto che disponga l’iscrizione di persone o gruppi nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3.

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

45.      A, B, C e D sono residenti nei Paesi Bassi. Con decisioni dell’8 giugno 2010 (in prosieguo: le «decisioni di designazione»), essi sono stati designati dal Ministro quali persone (fisiche) alle quali è applicabile il Sanctieregeling 2007; di conseguenza, le loro risorse sono state congelate. Con decisioni del 25 novembre 2010, 8 dicembre 2010 e 10 gennaio 2011 (in prosieguo: le «decisioni impugnate»), il Ministro ha respinto le impugnazioni proposte da A, B, C e D contro tali decisioni di designazione. Le decisioni impugnate si basavano sul fatto che A, B, C e D appartengono al gruppo di persone a cui fa riferimento la risoluzione 1373 (2001). Per giungere a questa conclusione, il Ministro ha tenuto conto delle seguenti circostanze: i) A, B e C avevano preso parte alla raccolta di fondi per le LTTE; ii) le LTTE erano inserite nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3; e iii) erano stati avviati procedimenti penali a carico di A, B, C e D dinanzi alla sezione penale del rechtbank ’s-Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia), sulla base, tra l’altro, della presunta violazione dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 3 del regolamento n. 2580/2001.

46.      Nella sentenza del 21 ottobre 2011, il rechtbank ’s-Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia) ha concluso, per quanto riguarda la condanna di tre dei quattro ricorrenti per violazione del regolamento n. 2580/2001, che B, C e D avevano svolto attività (di raccolta fondi) per le LTTE, ma li ha assolti dall’accusa di partecipazione a un gruppo terroristico. Esso ha ritenuto che le disposizioni relative al terrorismo contenute nel codice penale dei Paesi Bassi diano attuazione alla decisione quadro 2002/475 e che il conflitto tra il governo dello Sri Lanka e le LTTE fosse un conflitto armato non internazionale ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo II (35). Di conseguenza, alla luce del considerando 11 della decisione quadro 2002/475, le accuse contro B, C e D non comportavano la partecipazione a un gruppo terroristico. Tuttavia, il rechtbank ’s-Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia) ha condannato B, C e D per violazione degli articoli 2, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 3 del regolamento n. 2580/2001. Esso si è considerato vincolato dalla decisione del Consiglio di inserire le LTTE nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3. Inoltre esso ha rilevato che le decisioni con cui le LTTE erano state iscritte nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, e che erano applicabili all’epoca in cui erano stati commessi i presunti reati, non erano state impugnate dinanzi al Tribunale. Pertanto, il rechtbank ’s-Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia) è partito dal presupposto che tali decisioni fossero valide. Al momento della redazione delle presenti conclusioni, i procedimenti di impugnazione contro tali sentenze erano pendenti dinanzi al Gerechtshof Den Haag (Corte d’appello regionale dell’Aia).

47.      Nel frattempo, i ricorsi di A, B, C e D contro le decisioni impugnate sono stati respinti in quanto infondati dalla sezione per il contenzioso amministrativo del rechtbank Zwolle-Lelystad (Tribunale distrettuale di Zwolle-Lelystad), dal rechtbank ’s-Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia) e dal rechtbank Alkmaar (Tribunale distrettuale di Alkmaar). A, B, C e D hanno quindi proposto impugnazione avverso tali sentenze dinanzi al giudice del rinvio. Essi contestano il proprio coinvolgimento nella raccolta di fondi per le LTTE. Essi sostengono che la sezione penale del rechtbank ’s-Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia) ha stabilito che le LTTE non sono un gruppo terroristico, poiché il conflitto delle LTTE con il governo dello Sri Lanka era un conflitto armato non internazionale.

48.      Secondo il giudice del rinvio, le LTTE erano state inserite nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, in ragione di una serie di attacchi e di rapimenti avvenuti tra il 2005 e il 2009. Il giudice del rinvio osserva inoltre che tali atti risultano essere stati commessi nello Sri Lanka ed essere collegati al conflitto tra il governo di tale paese e le LTTE. Il giudice del rinvio rileva che il Ministro aveva motivo di ritenere che A, B, C, e D si fossero dedicati alla raccolta di fondi a favore delle LTTE. Esso nutre tuttavia dubbi circa la validità dell’iscrizione delle LTTE nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, all’epoca delle decisioni del Ministro del 25 novembre 2010, dell’8 dicembre 2010 e delle due decisioni del 10 gennaio 2011. Inoltre è controversa la questione della legittimazione ad agire di A, B, C, e D per contestare la validità del regolamento di esecuzione n. 610/2010 dinanzi al Tribunale.

49.      In questo contesto, il giudice del rinvio ha chiesto indicazioni alla Corte in ordine alle seguenti questioni:

«1)      Se gli appellanti nel procedimento di cui trattasi, anche in considerazione dell’articolo 47 [della Carta], sarebbero stati senza alcun dubbio legittimati a presentare personalmente dinanzi al Tribunale, in forza dell’articolo 263 del TFUE, un ricorso di annullamento del regolamento di esecuzione n. 610/2010, nella misura in cui esso dispone l’iscrizione delle LTTE [nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3].

2)      a)     Se atti di forze armate durante un conflitto armato, ai sensi del diritto internazionale umanitario, anche alla luce del considerando 11 della decisione quadro 2002/475/GAI, possano essere reati terroristici ai sensi di detta decisione quadro.

b)      In caso di risposta affermativa alla questione 2a), se atti di forze armate durante un conflitto armato, ai sensi del diritto internazionale umanitario, siano atti terroristici ai sensi della posizione comune 2001/931/PESC e del regolamento n. 2580/2001.

3)      Se gli atti posti a fondamento del regolamento di esecuzione n. 610/2010, nella misura in cui esso dispone l’iscrizione delle LTTE [nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3], siano atti di forze armate durante un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario.

4)      Se, anche alla luce delle risposte date alle questioni 1, 2a), 2b) e 3, il regolamento di esecuzione n. 610/2010, nella misura in cui esso dispone l’iscrizione delle LTTE [nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3], sia invalido.

5)      In caso di risposta affermativa alla questione 4, se detta invalidità valga dunque anche per le decisioni del Consiglio anteriori e posteriori di attualizzazione [dell’elenco, di cui all’articolo 2, paragrafo 3], nella misura in cui esse dispongono l’iscrizione delle LTTE in detto elenco».

50.      A, B, C e D, i governi dei Paesi Bassi, spagnolo e del Regno Unito, il Consiglio e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte. Fatta eccezione per il governo del Regno Unito, le stesse parti hanno presentato osservazioni orali all’udienza dell’8 marzo 2016.

 Valutazione

 Osservazioni preliminari

51.      Nel 2011, le LTTE hanno contestato dinanzi al Tribunale la loro iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, sostenendo, tra l’altro, che il regolamento n. 2580/2001 non si applica alle situazioni di conflitto armato, poiché tali conflitti (e pertanto anche gli atti commessi in tale contesto) sono regolati unicamente dal diritto internazionale umanitario. Il Tribunale ha respinto tale motivo (36), ma ha annullato sulla base di altri motivi (di natura procedurale) una serie di regolamenti di esecuzione simili al regolamento di esecuzione n. 610/2010, nella parte in cui tali regolamenti riguardavano le LTTE. L’impugnazione del Consiglio avverso tale sentenza (37) non è diretta contro l’analisi effettuata dal Tribunale della nozione di «atti terroristici» nella pertinente normativa dell’Unione. Tuttavia, tale analisi riguarda la questione principale sollevata in questa sede dal giudice del rinvio, vale a dire se le misure restrittive dell’Unione nei confronti delle LTTE siano compatibili con il diritto internazionale umanitario. Vi farò pertanto riferimento, ove opportuno.

52.      Inoltre, le misure di congelamento di beni, oggetto del procedimento principale, sono basate sul Sanctieregeling 2007, che dà attuazione alla risoluzione 1373/2001. Il Sanctieregeling 2007 non fa riferimento a nessuno degli atti normativi dell’Unione sui quali vengono chiesti chiarimenti nelle questioni oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale. Non risulta nemmeno che A, B, C e D siano inseriti essi stessi nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3. In tali circostanze sorge il quesito se le questioni da 2 a 5 siano rilevanti per dirimere la controversia nel procedimento principale.

53.      Secondo una giurisprudenza costante, il rifiuto da parte della Corte di pronunciarsi su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale (38).

54.      Non vedo ragioni, tuttavia, di applicare tale giurisprudenza nel caso di specie. Da una parte, è pacifico che le misure di congelamento delle attività in questione sono state imposte ad A, B, C e D poiché essi avevano raccolto fondi per le LTTE, che compaiono nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3. Come ho spiegato, tale elenco dava attuazione, in quello che era allora il diritto comunitario, agli aspetti PESC della posizione comune 2001/931, la quale a sua volta dava attuazione alla risoluzione 1373 (2001). Dall’altra, come affermato nella decisione di rinvio, uno dei motivi esposti dinanzi al giudice del rinvio per contestare tali misure è che le LTTE non possono essere considerate un gruppo terroristico e, pertanto, sono state erroneamente iscritte nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3. Il giudice del rinvio spiega che ove tale motivo fosse ritenuto fondato le misure di congelamento delle attività in questione dovrebbero essere annullate e che, in tal caso, A, B, C e D potrebbero altresì avere diritto a un risarcimento per l’intero periodo durante il quale le LTTE erano iscritte nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3. A mio avviso, ciò è sufficiente per concludere che le questioni da 2 a 5 hanno un rapporto con il procedimento principale.

55.      Benché il giudice del rinvio suddivida la seconda questione in due parti, in realtà tale questione richiede chiarimenti da parte della Corte in merito al seguente aspetto: se, tenendo conto del considerando 11 della decisione quadro 2002/475, gli «atti terroristici» ai sensi della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001 possano potenzialmente ricomprendere le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario, quale il conflitto che contrapponeva le LTTE al governo dello Sri Lanka. Per rispondere a tale quesito, dovrò muovere dal presupposto che tale conflitto fosse un conflitto armato non internazionale ai sensi del diritto internazionale umanitario (39). Ciò comporta, in particolare, che non si trattava di una situazione di disordini e tensioni interni, alla quale non si applicano né l’articolo 3 comune alle convenzioni di Ginevra né il Protocollo II. Nel formulare queste ipotesi, mi baso sulla spiegazione fornita dal giudice del rinvio, secondo la quale il Ministro e il rechtbank ’s‑Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia) hanno dichiarato che il conflitto era un conflitto armato non internazionale ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo II. Questa, tra l’altro, è la posizione del Consiglio nel presente procedimento.

56.      La terza e la quarta questione riguardano sostanzialmente la validità del regolamento n. 610/2010. Supponendo che la risposta alla seconda questione (riassunta nel paragrafo precedente) sia negativa, il Consiglio ha commesso un errore nel considerare gli attacchi e i rapimenti compiuti dalle LTTE tra il 2005 e il 2009 come «attacchi terroristici» che giustificano l’inserimento di detto gruppo nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3? Quale sarebbe la conclusione se, al contrario, la risposta alla questione menzionata nel paragrafo precedente fosse affermativa? La quinta questione sorgerebbe esclusivamente nel caso in cui il regolamento di esecuzione n. 610/2010 fosse invalido.

57.      La prima questione è nettamente distinta dalle altre e pertanto la analizzerò separatamente. Essa riguarda la ricevibilità e richiede pertanto di essere esaminata per prima.

 Se un ricorso diretto proposto da A, B, C e D per l’annullamento del regolamento n. 610/2010 sarebbe stato senza alcun dubbio ricevibile (prima questione)

58.      A, B, C e D non hanno proposto un ricorso diretto dinanzi al Tribunale ai sensi dell’articolo 263 TFUE chiedendo l’annullamento del regolamento di esecuzione n. 610/2010, ma hanno invece invocato l’invalidità di tale regolamento dinanzi ai giudici dei Paesi Bassi. Il giudice del rinvio chiede se essi possano procedere in tal modo. In caso di risposta negativa, non sussiste alcuna necessità di esaminare le questioni riguardanti la validità del regolamento di esecuzione n. 610/2010 (40).

59.      Secondo la regola generale ai sensi del diritto dell’Unione, nell’ambito di un procedimento nazionale ogni parte ha il diritto di eccepire l’invalidità di disposizioni contenute in atti dell’Unione su cui si basa una decisione o un provvedimento nazionale adottato nei suoi confronti e di chiedere al giudice nazionale di sottoporre tale questione alla Corte (41). Sebbene i giudici nazionali possano concludere che un atto dell’Unione è valido, essi non possono invece dichiararne l’invalidità (42).

60.      Tale regola generale conosce tuttavia un’eccezione. Nella sentenza TWD, la Corte ha dichiarato che, laddove una parte ha un diritto evidente, ai sensi dell’attuale articolo 263 TFUE, di instaurare direttamente dinanzi ai giudici dell’Unione europea un procedimento per impugnare una misura dell’Unione e lascia spirare il termine imposto da quell’articolo, detta parte non può successivamente impugnare «indirettamente» la validità di tale misura, mettendone in discussione la legittimità dinanzi al giudice nazionale e ottenendo per questa via che tale questione sia portata dinanzi alla Corte attraverso il procedimento di rinvio pregiudiziale (43). Nella sentenza Pringle, la Corte ha dichiarato che se non sussiste alcun dubbio che quella parte sarebbe stata legittimata ad agire ai sensi dell’articolo 263 TFUE, allora si applica l’eccezione (44), alla quale farò riferimento come all’«eccezione TWD». Nei casi in cui essa trova applicazione e una parte non ha promosso un ricorso diretto entro il termine stabilito, l’atto dell’Unione diviene definitivo nei suoi confronti. In tal modo, gli atti che dispiegano effetti giuridici non possono essere messi in discussione all’infinito (45) e per questa via viene assicurata la certezza del diritto (46).

61.      L’eccezione TWD è stata elaborata prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. All’epoca, il quarto comma dell’articolo 230 CE stabiliva quando i singoli erano legittimati ad agire dinanzi ai giudici dell’Unione.

62.      In tale contesto, la decisione di rinvio richiama l’attenzione sulla sentenza della Corte E e F (47). Tale causa riguardava due singoli che avevano contestato la legittimità dell’inserimento di un gruppo (del quale erano presumibilmente membri) nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3. Applicando il quarto comma dell’articolo 230 CE ed esaminando la possibile applicazione dell’eccezione TWD, la Corte ha concluso che E e F non erano incontestabilmente legittimati a proporre un ricorso diretto, poiché: i) non erano oggetto essi stessi di iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3; ii) la decisione di rinvio non stabiliva che la loro posizione all’interno del gruppo avrebbe conferito loro il potere di rappresentare tale gruppo dinanzi al Tribunale; e iii) l’iscrizione non li riguardava senza dubbio «direttamente e individualmente»: l’iscrizione del gruppo nell’elenco era di portata generale e contribuiva, in combinato disposto con il regolamento n. 2580/2001, a imporre a un numero indeterminato di persone l’osservanza di misure restrittive specifiche (48).

63.      Tuttavia, benché la sentenza relativa a quella causa sia stata pronunciata nel giugno del 2010, essa faceva riferimento a questioni emerse prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il giudice del rinvio non è certo se, a seguito all’entrata in vigore di tale trattato, la sentenza E e F comporta ancora che A, B, C e D possano invocare l’invalidità del regolamento di esecuzione n. 610/2010 dinanzi ai giudici dei Paesi Bassi.

64.      Ai sensi del quarto comma dell’articolo 263 TFUE, un singolo può ora proporre un ricorso contro i) un atto adottato nei suoi confronti (in prosieguo: la «prima parte»); ii) un atto che lo riguarda direttamente e individualmente (in prosieguo: la «seconda parte»); e iii) un atto regolamentare che lo riguarda direttamente e che non comporta alcuna misura d’esecuzione (in prosieguo: la «terza parte»).

65.      Le prime due parti del quarto comma dell’articolo 263 TFUE corrispondono al quarto comma dell’articolo 230 CE. La Corte ha confermato che le condizioni di «incidenza diretta» e di «incidenza individuale» in questa disposizione hanno mantenuto il medesimo significato che avevano prima del Trattato di Lisbona (49). Pertanto, la condizione di «incidenza diretta» significa che la misura impugnata i) deve produrre effetti direttamente sulla situazione giuridica del singolo e ii) non deve lasciare alcun potere discrezionale ai suoi destinatari, che sono incaricati della sua applicazione, avendo l’applicazione stessa carattere meramente automatico e derivante dalla sola normativa dell’Unione, senza l’intervento di altre norme intermedie (50). La condizione dell’incidenza individuale è soddisfatta «solo se [l’atto impugnato] concerne [i ricorrenti] a causa di determinate qualità loro [proprie] o di una situazione di fatto che li caratterizza rispetto a chiunque altro e, quindi, li distingue in modo analogo ai destinatari» (51).

66.      Ampliando l’accesso al Tribunale attraverso l’aggiunta di una terza parte (52), il Trattato di Lisbona ha cercato di garantire una tutela giurisdizionale effettiva alle persone fisiche o giuridiche che, non avendo un interesse individuale (nonostante l’atto in questione le riguardi direttamente), sarebbero altrimenti in grado di ottenere il controllo di legittimità di un atto regolamentare per il quale non siano richieste misure di esecuzione solamente violandone le disposizioni ed eccependo in seguito, nei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali, che tali disposizioni erano illegittime (53). La terza parte del quarto comma dell’articolo 263 TFUE deve quindi essere interpretata in modo tale da assicurare questo livello più elevato di tutela giurisdizionale. Non è concepibile che i singoli debbano beneficiare di una protezione minore di quella di cui godevano prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

67.      Come va quindi interpretata l’eccezione TWD, ora che l’accesso ai giudici dell’Unione è stato ampliato?

68.      Nella sentenza Pringle, la Corte ha confermato che l’eccezione TWD continuava a essere applicabile anche in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Essa ha fatto riferimento alla legittimazione ad agire ai sensi del quarto comma dell’articolo 263 TFUE senza distinguere tra i differenti fondamenti di tale legittimazione (54). La Corte ha dichiarato che «non risulta che il ricorrente nel procedimento principale sarebbe stato, senza alcun dubbio, legittimato a proporre un ricorso di annullamento contro [una decisione di modifica dei Trattati] ai sensi dell’articolo 263 TFUE» (55). In tali circostanze, quella conclusione era ovvia.

69.      A mio avviso, non esistono valide ragioni per interpretare l’eccezione TWD in maniera diversa, per quanto attiene alla terza parte, rispetto al modo in cui essa si applica alla prima e alla seconda parte, né per ritenere che essa non debba applicarsi anche alla terza parte.

70.      L’eccezione TWD ha una portata molto limitata – se sussiste qualsiasi dubbio circa la ricevibilità, l’eccezione non si applica. L’eventuale sussistenza di un «dubbio» in relazione a un caso concreto deve potersi risolvere nella pratica senza alcuna inutile difficoltà, poiché l’avvocato che rappresenta un singolo deve essere in grado di consigliare il suo cliente con certezza circa la direzione che la sua contestazione dovrebbe prendere. Questi esigerà inoltre di poter agire rapidamente, poiché dovrà fare attenzione al termine di due mesi per proporre il ricorso di cui all’articolo 263 TFUE. A mio avviso, le questioni dovranno dipendere dallo stato della giurisprudenza e dalla situazione del singolo interessato nel momento in cui è chiamato a decidere se proporre un ricorso diretto.

71.      Se i dubbi del singolo circa la ricevibilità di un ricorso diretto erano fondati, allora l’eccezione TWD non si applicherà – e la Corte dovrebbe propendere per l’ammissibilità di una contestazione della validità attraverso la procedura di cui all’articolo 267 TFUE. Ciò garantirà una tutela giurisdizionale effettiva, come richiesto dall’articolo 47 della Carta.

72.      Tale conclusione ha senso anche in termini di gestione del procedimento: non è nell’interesse del sistema giudiziario dell’Unione incoraggiare mediante un’applicazione troppo ampia dell’eccezione TWD un flusso massiccio di ricorsi diretti presentati a titolo conservativo, che il Tribunale dovrebbe trattare e probabilmente debitamente dichiarare irricevibili. È preferibile che i giudici nazionali mettano un filtro alle contestazioni della validità che prima facie non appaiono convincenti.

73.      Applicando tale ragionamento al caso di specie, il giudice del rinvio chiede se un ricorso presentato da A, B, C e D dinanzi al Tribunale sarebbe stato «senza alcun dubbio» ricevibile. Per le ragioni evidenziate sopra, è questo il criterio corretto da applicare. In altri termini, la decisione di A, B, C e D di proporre ricorso dinanzi al giudice nazionale piuttosto che dinanzi al giudice dell’Unione si dimostrerà giustificata sia i) se è evidente che essi non erano legittimati ad agire sulla base dell’articolo 263 TFUE, sia ii) se i loro dubbi al riguardo erano fondati.

74.      Quindi, lungi dal sussistere dubbi sulla possibilità per A, B, C e D di impugnare il regolamento di esecuzione n. 610/2010 sulla base della prima o della seconda parte del quarto comma dell’articolo 263 TFUE, appare chiaro che il Tribunale avrebbe respinto un tale ricorso in quanto irricevibile. Nessun atto dell’Unione è stato adottato nei confronti di A, B, C e D. Neppure può affermarsi che incontestabilmente l’iscrizione nel regolamento di esecuzione n. 610/2010 «li riguardasse direttamente e individualmente». Se un ricorrente non soddisfa l’una o l’altra di queste due condizioni, non può impugnare l’atto (56). Non vi è alcuna disposizione, nel regolamento di esecuzione n. 610/2010, che consenta di identificare A, B, C, e D. Mentre quel regolamento potrebbe benissimo riguardare altre persone individualmente (57), esso non identifica chi sia membro dei gruppi ed entità elencati nel proprio allegato, o chi ne sia in qualsiasi modo collegato. Pertanto A, B, C e D non sarebbero stati in grado di dimostrare che l’atto li riguardava «individualmente».

75.      Con riferimento alla terza parte, a mio avviso, i dubbi di A, B, C e D circa la ricevibilità di un ricorso di annullamento del regolamento di esecuzione n. 610/2010 sulla base di tale parte («atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione») erano fondati.

76.      Il regolamento di esecuzione n. 610/2010 è un atto regolamentare, vale a dire un atto di applicazione generale diverso da un atto legislativo (58) (con ciò intendendosi gli atti giuridici adottati attraverso la procedura legislativa) (59). Esso è stato adottato sulla base dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, che dispone che il Consiglio, deliberando all’unanimità, elabora, riesamina e modifica l’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, in conformità delle disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi 4, 5 e 6 della posizione comune 2001/931. Questa non era una procedura legislativa. Il regolamento di esecuzione n. 610/2010 si applicava in parte anche a una categoria indeterminata di singoli e di persone giuridiche (60): come conseguenza dell’iscrizione delle LTTE nell’elenco, chiunque deve rispettare i divieti stabiliti all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b) e all’articolo 2, paragrafo 2 del regolamento n. 2580/2001 (61). Perciò, anche se riguardava individualmente le LTTE, si trattava chiaramente di un atto di portata generale per quanto concerne A, B, C e D (62).

77.      Risulta dunque chiaro che il regolamento di esecuzione n. 610/2010 riguardava A, B, C e D. Era fuori di dubbio che esso avesse incidenza diretta per questi ultimi e che non comportasse misure di esecuzione?

78.      Il concetto di incidenza diretta ha la propria base teorica, almeno in parte, nella nozione di causalità. Deve sussistere un nesso causale diretto tra l’atto criticato e l’asserita perdita o danno che giustificano la concessione di un mezzo di ricorso (63). Le ragioni politiche che sottendono a tale requisito sono chiare: se è necessaria una misura aggiuntiva per conferire piena efficacia all’atto criticato, allora è quella misura che deve essere impugnata dinanzi ai giudici e non l’atto originario.

79.      Al precedente paragrafo 65 ho esposto il criterio nella forma che la Corte ha utilizzato nella propria giurisprudenza più recente al fine di determinare la sussistenza di un’incidenza diretta. Non si tratta, tuttavia, della sola variante rinvenibile nella giurisprudenza. Nella sentenza Les Verts, la Corte ha statuito che una misura rispettava il criterio quando le misure in questione costituivano una disciplina completa, autosufficiente «e che non richiede[va] alcuna disposizione di attuazione» (64). Questa variante è riprodotta in forma sostanzialmente simile nella terza parte. Sebbene l’inserimento della parola «e» sia probabilmente tautologico, l’intenzione appare chiara. Per stabilire se una misura abbia incidenza diretta nei confronti di un ricorrente nella posizione di A, B, C e D, è necessario determinare se essa comporti misure di esecuzione (65).

80.      Il giudice del rinvio rileva che, a suo avviso, è difficile trarre dalla giurisprudenza recente della Corte indicazioni chiare in relazione al significato e all’applicazione esatti del termine «misure di esecuzione» nel caso di specie. Sebbene sia vero che detta giurisprudenza non cerca di definire esplicitamente tale espressione, mi sembra però che in essa siano presenti due elementi dai quali si possono trarre alcune indicazioni.

81.      In primo luogo, nella sentenza T & L Sugars, la Corte ha statuito - in una causa riguardante misure nazionali necessarie al fine di dare attuazione a due regolamenti di esecuzione della Commissione – che la natura specifica di tali misure non incideva sulla loro qualità di «misure di esecuzione». Essa ha proseguito osservando che tale conclusione non era messa in discussione dalla loro presunta meccanicità. Il criterio serve piuttosto a stabilire se le misure dell’Unione dispieghino i loro effetti giuridici nei confronti del ricorrente unicamente per il tramite di atti adottati (in quella causa) da autorità nazionali: in tal caso, tali atti costituiscono misure di esecuzione ai sensi della terza parte (66).

82.      In secondo luogo, nella sentenza Telefónica la Corte ha statuito che, al fine di stabilire se un atto regolamentare comporti tali misure, la questione dovrebbe essere risolta facendo riferimento alla posizione della persona interessata. È irrilevante se l’atto di cui trattasi comporti misure di esecuzione nei confronti di altre persone; bisognerebbe fare riferimento unicamente all’oggetto del ricorso (67).

83.      La questione deve pertanto essere risolta facendo riferimento unicamente alla posizione di A, B, C e D, sotto il profilo dell’oggetto del loro ricorso dinanzi al giudice nazionale, ossia il regolamento di esecuzione n. 610/2010 e, dato il collegamento evidente tra i due regolamenti, il regolamento n. 2580/2001.

84.      Applicando quanto precede alla situazione di A, B, C e D nel procedimento principale, si può affermare che il regolamento n. 2580/2001, unitamente al regolamento di esecuzione n. 610/2010, «incideva direttamente» su A, B, C e D? Chiaramente, non incideva specificamente su di essi, poiché il loro nome non figura nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3 (68). Ma quantomeno si può sostenere che incideva su di essi nel senso che l’inserimento di una persona in tale elenco ha come effetto che nessuna persona soggetta al diritto dell’Unione può raccogliere fondi o metterli a disposizione della persona inserita nell’elenco. Una tale conclusione non sarebbe necessariamente in contrasto con la legislazione o con la giurisprudenza. Su questa base, si potrebbe sostenere che essi avrebbero dovuto impugnare il regolamento di esecuzione n. 610/2010 direttamente dinanzi al Tribunale ai sensi della terza parte dell’articolo 263 TFUE. La difficoltà che tale approccio presenta risiede nel fatto che (per quanto è possibile affermare sulla base dei fatti portati a conoscenza della Corte) A, B, C e D non sono venuti a conoscenza del fatto che i loro capitali erano stati congelati sulla base dell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, fino al momento del loro inserimento nelle decisioni di designazione del Ministro. Fino a quel momento non era accaduto loro nulla di sfavorevole e conseguentemente non vi era nulla che avrebbero voluto impugnare. Pertanto, non posso affermare che essi avessero «senza alcun dubbio» il diritto di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale su tale base.

85.      In subordine, si può sostenere (come suggerisce in giudice del rinvio), che, poiché l’articolo 9 del regolamento n. 2580/2001 richiede agli Stati membri di determinare le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni del regolamento, ciò significa che sono effettivamente necessarie misure di esecuzione? Se così fosse, la situazione sarebbe chiara: A, B, C e D non potevano essere tenuti a proporre ricorso dinanzi al Tribunale. Infatti, apparentemente essi non sarebbero stati legittimati, su nessuna base, ad agire in tal modo. Una siffatta argomentazione rifletterebbe il dettato della legislazione, ma, almeno potenzialmente, non la giurisprudenza citata supra al paragrafo 82, che suggerisce la necessità di fare riferimento agli aspetti specifici della causa e non alle circostanze generali in cui essa si inserisce. Nel caso di specie non si tratta delle sanzioni che A, B, C e D contestano nei loro ricorsi dinanzi ai giudici nazionali, bensì del loro inserimento in una decisione adottata ai sensi del Sanctieregeling 2007. Ancora una volta, non posso affermare che non sussista alcun dubbio sulla questione.

86.      Qual è, quindi, la posizione con riferimento al Sanctieregeling 2007? Il giudice del rinvio osserva che l’articolo 2 del Sanctieregeling 2007 è stato introdotto al fine di conferire efficacia alla risoluzione n. 1373 (2001) e che esso non fa riferimento al regolamento n. 2580/2001, alla posizione comune 2001/931, né ad alcun atto che collochi persone o gruppi nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3. Nonostante ciò, l’ordinanza di rinvio prosegue segnalando che il Ministro ha basato espressamente le sue decisioni di designazione sulla premessa che le LTTE sarebbero un gruppo terroristico, poiché sono inserite nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, e sul fatto che erano stati avviati procedimenti penali a carico di A, B, C e D, sulla base, tra l’altro, della presunta violazione, da parte di questi ultimi, degli articoli 2, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 3 del regolamento n. 2580/2001 (69). Su questa base è possibile affermare che il Sanctieregeling 2007 e le decisioni adottate ai sensi dello stesso rappresentino misure di esecuzione ai sensi dell’articolo 263 TFUE? Obiettivamente, una volta di più la posizione non mi sembra chiara e, di conseguenza, non scevra da dubbi.

87.      La maggior parte dello studio del diritto e gran parte della sua applicazione hanno a che fare con la questione della certezza. Questo è l’obiettivo che il diritto si sforza di raggiungere, poiché ai destinatari deve essere chiaro quali siano i loro diritti e i loro obblighi. Ma, utilizzando l’espressione «senza alcun dubbio» nella propria giurisprudenza, la Corte ha riconosciuto il dato di fatto che, a volte, tale obiettivo ideale potrebbe non essere raggiunto. L’eccezione TWD si applica, nell’interesse della certezza del diritto, specificamente (ed esclusivamente) alle situazioni in cui non sussiste alcun dubbio sulla ricevibilità di un ricorso presentato dinanzi al Tribunale da un determinato soggetto privato. A mio avviso, in questo caso non è così. Ne consegue che l’eccezione TWD non trova applicazione.

88.      Pertanto, in risposta alla prima questione, concludo che un ricorso diretto di A, B, C e D per contestare la validità del regolamento di esecuzione n. 610/2010, nella misura in cui tale regolamento riguardava le LTTE, non sarebbe stato senza alcun dubbio ricevibile. Ne consegue che A, B, C e D avevano fondati motivi di eccepire l’invalidità di tale regolamento dinanzi al giudice nazionale e di chiedere che fosse presentata una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

 Interpretazione della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001 (questioni dalla seconda alla quinta)

 La competenza della Corte a interpretare la posizione comune 2001/931

89.      In primo luogo si pone la questione se la Corte sia competente a interpretare la posizione comune 2001/931, che è un atto in materia di PESC. In linea di principio, il secondo comma dell’articolo 24, paragrafo 1, TUE esclude la competenza della Corte in quest’area, con l’eccezione della sua competenza a controllare il rispetto dell’articolo 40 TUE (70) e a controllare la legittimità di alcune decisioni, come stabilito al secondo comma dell’articolo 275 TFUE. L’articolo 275 stabilisce, in particolare, che la Corte è competente «a pronunciarsi sui ricorsi, proposti secondo le condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma, [TFUE], riguardanti il controllo della legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio in base al titolo V, capo 2 del trattato sull’Unione europea», quali le misure di PESC che hanno classificato le LTTE come gruppo o organizzazione terroristica (71).

90.      A prima vista, ciò non si estende all’interpretazione o al controllo della legittimità di tali atti nell’ambito del procedimento di rinvio pregiudiziale. Tuttavia, condivido la posizione esposta di recente dall’avvocato generale Whatelet nelle sue conclusioni nella causa Rosneft, secondo la quale, nel sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il controllo della legittimità degli atti dell’Unione europea, il controllo di legittimità menzionato nell’ultima frase del secondo comma dell’articolo 24, paragrafo 1, TUE include non solo i ricorsi di annullamento, ma anche il meccanismo del rinvio pregiudiziale (72). L’ordinamento giuridico dell’Unione europea, che è basato sullo Stato di diritto (73), deve assicurare, entro l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, l’accesso a un ricorso effettivo, attualmente garantito dal primo comma dell’articolo 47 della Carta. I rinvii pregiudiziali nelle cause che riguardano questioni di validità giocano un ruolo fondamentale a questo proposito per le persone che, come i ricorrenti nel procedimento principale, potrebbero subire le conseguenze negative di misure PESC non adottate individualmente nei loro confronti e che pertanto, in linea di principio, non hanno diritto di chiedere dinanzi ai giudici dell’Unione l’annullamento di tali misure sulla base del secondo comma dell’articolo 275 TFUE. Come sostiene l’avvocato generale Wathelet, inoltre, il potere della Corte di controllare la legittimità di misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, adottate sulla base del titolo V, capo 2 del trattato sull’Unione europea, nell’ambito del rinvio pregiudiziale, comporta necessariamente anche il potere di interpretare tali atti (74).

91.      Per quanto concerne il presente procedimento, le LTTE non sono state considerate un gruppo o un’organizzazione terroristica ai sensi della posizione comune 2001/931 fino a quando non è entrata in vigore la posizione comune 2006/380, la quale, tuttavia, si è limitata ad aggiornare l’elenco di persone ed entità soggette a misure restrittive in base alla posizione comune 2001/931. Considero, pertanto, la posizione comune 2001/931, come modificata dalla posizione comune 2006/380, una decisione «che preved[e] misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio in base al titolo V, capo 2 del [TUE]», ai sensi dell’ultima frase del secondo comma dell’articolo 24, paragrafo 1, TUE e del secondo comma dell’articolo 275 TFUE. Di conseguenza, la Corte è competente a rispondere alla seconda questione, nella misura in cui essa richieda l’interpretazione della posizione comune 2001/931, in aggiunta al regolamento n. 2580/2001.

 La nozione di «atto terroristico» nella posizione comune 2001/931 e nel regolamento n. 2580/2001

92.      La nozione di «atto terroristico» nell’articolo 1 della posizione comune 2001/931 e nell’articolo 2, paragrafo 3 del regolamento n. 2580/2001 deve essere interpretata tenendo conto della formulazione, degli obiettivi e del contesto di tali disposizioni; la genesi di tale espressione potrebbe altresì fornire informazioni pertinenti per la sua interpretazione (75).

93.      Le LTTE sono state inserite nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, per avere compiuto atti che sono definiti come «atti terroristici» nel regolamento n. 2580/2001, il quale a sua volta fa riferimento alla definizione contenuta nell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 (76). Nulla nella formulazione di queste misure dell’Unione suggerisce che tale nozione non possa ricomprendere azioni commesse in tempo di conflitto armato e disciplinate dal diritto internazionale umanitario.

94.      Tale interpretazione non trova sostegno nemmeno negli obiettivi della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001. Queste misure perseguono essenzialmente un obiettivo preventivo: esse mirano a combattere il terrorismo privandolo delle sue risorse finanziarie attraverso il congelamento dei capitali e delle risorse economiche delle persone o entità sospettate di coinvolgimento in attività terroristiche o in attività collegate al terrorismo (77). La tutela di tali obiettivi ha la stessa importanza quando gli atti sono commessi nel corso di conflitti armati o quando sono commessi in altre circostanze.

95.      Una lettura della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001 limitata a tali atti suggerisce pertanto che deve essere adottata un’interpretazione ampia della nozione di «atto terroristico». Prendendo in considerazione la normativa e il contesto di diritto internazionale in cui essi devono essere interpretati, una siffatta interpretazione si rivela corretta?

 Decisione quadro 2002/475

96.      Il giudice del rinvio chiede specificamente [alla lettera a) della seconda questione] se il considerando 11 della decisione quadro 2002/475 sia rilevante per l’interpretazione della nozione di «atto terroristico» contenuta nella posizione comune 2001/931 e nel regolamento n. 2580/2001. Il fatto che tale considerando intenda escludere dall’ambito di applicazione della decisione quadro (78) gli atti compiuti da forze armate in tempo di conflitto armato comporta qualche conseguenza sulla portata di tale posizione comune e di tale regolamento?

97.      A mio avviso, la risposta è negativa.

98.      La decisione quadro 2002/475 armonizza il diritto penale degli Stati membri e mira ad avvicinare la definizione dei «reati terroristici» negli Stati membri (79). Il suo ambito di applicazione e i suoi obiettivi sono pertanto diversi da quelli della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001, che riguardano misure preventive contro il terrorismo e non cercano di affiancare o coadiuvare i procedimenti penali nazionali (80). La stessa formulazione del considerando 11 (in particolare l’espressione «[l]a presente decisione quadro non disciplina») rende evidente che, come sostiene la Commissione, l’unico scopo di tale considerando è di chiarire che la decisione quadro 2002/475 non disciplina le «attività» delle forze armate in tempo di conflitto armato. Il considerando 11 della decisione quadro 2002/475, pertanto, non fornisce indicazioni circa il significato di «atto terroristico» nella posizione comune 2001/931 e nel regolamento 2580/2001 (81). Tale posizione, in ogni caso, è conforme alla giurisprudenza consolidata secondo la quale un considerando nel preambolo di un atto dell’Unione non ha valore giuridico vincolante e non può quindi essere fatto valere né per derogare alle disposizioni stesse dell’atto di cui trattasi, né per interpretare tali disposizioni in un senso manifestamente contrario alla loro formulazione (82). Il considerando 11 non fa specificamente riferimento a nessuna disposizione dell’articolato della decisione quadro 2002/475 e pertanto in nessun caso può incidere sul modo in cui interpretare gli atti dell’Unione.

 Interpretazione in conformità con il diritto internazionale

99.      Stanti tali premesse, si deve ancora esaminare l’articolo 3, paragrafo 5, TUE, ai sensi del quale l’Unione europea deve contribuire alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale. Di conseguenza, quando adotta un atto, essa è tenuta ad osservare il diritto internazionale, ivi compreso il diritto internazionale consuetudinario, al cui rispetto sono vincolate le istituzioni dell’Unione medesima (83).

100. Inoltre, secondo costante giurisprudenza le disposizioni del diritto dell’Unione devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce del diritto internazionale (84). Benché la Corte abbia applicato questo requisito principalmente ad accordi formalmente vincolanti per l’Unione (85), esso ha una portata più ampia. Nella sentenza Poulsen e Diva Navigation, la Corte ha statuito che «le competenze [dell’Unione europea] devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale e che, perciò, [la disposizione di diritto dell’Unione che doveva essere interpretata in quella causa] va interpretat[a], e la sua sfera d’applicazione circoscritta, alla luce delle norme pertinenti del diritto marittimo internazionale [consuetudinario]» (86). La Corte è andata ancora oltre nella sentenza Intertanko (87). In quell’occasione ha statuito che il fatto che un accordo internazionale vincoli tutti gli Stati membri ma non l’Unione in quanto tale «può produrre conseguenze sull’interpretazione […] delle disposizioni del diritto derivato» anche se l’accordo non codifica regole di diritto internazionale consuetudinario e che la stessa Corte deve interpretare le disposizioni di diritto derivato «tenendo conto» dell’accordo in questione (88) La Corte ha giustificato tale analisi sulla base del «principio consuetudinario di buona fede» e del principio di leale cooperazione sancito dall’attuale l’articolo 4, paragrafo 3, TUE. L’obiettivo è quello di evitare, per quanto possibile, un’interpretazione del diritto dell’Unione che renda impossibile per gli Stati membri rispettare i propri impegni derivanti dal diritto internazionale.

101. È pertanto necessario esaminare, in primo luogo, se la posizione comune 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001 possano essere interpretati in maniera conforme alle norme di diritto internazionale pertinenti. In caso di risposta affermativa, non vi è necessità di stabilire se tali norme rientrino tra quelle alla luce delle quali la Corte può controllare la legittimità delle misure adottate dalle istituzioni dell’Unione (89).

102. Deve essere compiuta una distinzione tra, da una parte, le norme di diritto internazionale umanitario e, dall’altra, le norme di diritto internazionale che disciplinano il contrasto al terrorismo e la cattura di ostaggi. Nelle presenti conclusioni procederò ad esaminare solo quelle fonti del diritto internazionale alle quali viene fatto riferimento nell’ordinanza di rinvio o nelle difese delle parti.

–       Diritto internazionale umanitario

103. Con riferimento, in primo luogo, al diritto internazionale umanitario, la Corte può legittimamente considerare che le convenzioni di Ginevra e i relativi protocolli siano rilevanti, poiché le LTTE e il governo dello Sri Lanka erano impegnati in un conflitto armato all’epoca dei fatti. Inoltre, tutti gli Stati membri sono parti di tali convenzioni e protocolli (90). La Corte, pertanto, ha il dovere di tenerne conto nell’interpretare la posizione comune 2001/931 ed il regolamento n. 2580/2001, indipendentemente dal fatto che tali convenzioni e protocolli codifichino o meno regole consuetudinarie di diritto internazionale (91).

104. Non posso che respingere l’argomento svolto dai ricorrenti nel procedimento principale, secondo il quale, poiché le LTTE erano una forza armata non statale impegnata in un conflitto armato non internazionale in Sri Lanka, il diritto internazionale umanitario impediva di considerare gli attacchi e i rapimenti da esse compiuti tra il 2005 e il 2009 come «atti terroristici». In primo luogo, l’articolo 3 comune alle convenzioni di Ginevra, che disciplina specificamente i conflitti non internazionali, vieta la violenza contro la vita e contro l’integrità personale in ogni tempo e in ogni luogo, in particolare l’assassinio in tutte le sue forme e la cattura di ostaggi, quando commessa nei confronti di «persone che non prendono parte attivamente alle ostilità, ivi inclusi i membri delle forze armate che hanno deposto le armi e quelle messe fuori combattimento da malattia, ferite, detenzione o qualsiasi altra causa» (92). Anche se in maniera implicita, tale disposizione vieta chiaramente gli atti terroristici che potrebbero produrre tali conseguenze (93).

105. L’articolo 4, paragrafo 2, lettera d), del Protocollo II è più esplicito laddove stabilisce che coloro che prendono parte ad un conflitto armato non internazionale non potranno, in nessun tempo e luogo, commettere atti di terrorismo nei confronti di persone che non partecipano direttamente o che non partecipano più alle ostilità (94). Nemmeno potranno, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del Protocollo II, commettere atti o esercitare minacce di violenza il cui scopo principale sia di diffondere il terrore tra la popolazione civile.

106. Il Protocollo I si applica anzitutto ai conflitti armati internazionali (95) e pertanto non sembra immediatamente pertinente per la presente causa. Tuttavia, anche se tale protocollo si applicasse al conflitto tra il governo dello Sri Lanka e le LTTE (96), la conclusione non sarebbe diversa, poiché anche il Protocollo I vieta «gli atti o minacce di violenza, il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile» (97). Il diritto internazionale umanitario vieta quindi «gli atti di terrore sia nei conflitti armati internazionali sia non internazionali, indipendentemente dal fatto che siano commessi da parti statali o non statali» (98).

107. Qual è la posizione riguardo alle azioni dirette contro persone che partecipano direttamente al conflitto armato o contro obiettivi militari e che non diffondono il terrore fra la popolazione civile? I combattenti in un conflitto armato internazionale hanno il diritto di partecipare direttamente alle ostilità e godono pertanto di immunità con riferimento alle azioni compiute in quanto combattenti, a condizione che osservino il diritto internazionale umanitario. Al contrario, coloro che prendono parte a un conflitto armato non internazionale non beneficiano dell’immunità nemmeno quando le loro azioni sono conformi all’articolo 3 comune alle convenzioni di Ginevra e agli articoli 4, paragrafo 2, lettera d) e 13, paragrafo 2, del Protocollo II (99). Così, ad esempio, un soldato di una forza armata non statale che, senza infrangere il diritto internazionale umanitario, abbia ucciso un combattente nemico appartenente alle forze governative nel contesto di un conflitto non internazionale può essere processato per omicidio. Questo risultato scaturisce dai principi di sovranità e di non intervento negli affari interni (100). Di conseguenza, i partecipanti a un conflitto non internazionale non possono sottrarsi alle misure repressive o preventive che uno Stato potrebbe reputare appropriate nelle circostanze del caso (101), purché sia competente a imporre tali misure e rispetti le convenzioni antiterrorismo applicabili e le altre norme di diritto internazionale che lo vincolano (102).

108. È stato sostenuto che qualificare come «terroristiche» le azioni dei partecipanti a un conflitto armato non internazionale potrebbe ridurre l’interesse di questi ultimi a rispettare il diritto internazionale umanitario, in quanto tali partecipanti avrebbero poche ragioni per osservare (in particolare) l’articolo 3 comune alle convenzioni di Ginevra e gli articoli 4, paragrafo 2, lettera d) e 13, paragrafo 2, del Protocollo II, se tale osservanza non fosse sostanzialmente ricompensata in termini di responsabilità penale (103).

109. È pur vero che la protezione offerta dall’articolo 6, paragrafo 5, del Protocollo II è relativamente debole: tale disposizione è redatta in termini puramente programmatici (104) [«(…) si adopereranno per concedere la più larga amnistia possibile (…)»] e non offre pertanto nessuna ricompensa paragonabile all’immunità del «combattente» concessa a coloro che rispettano il diritto internazionale umanitario nel corso delle ostilità (105). Il fatto che il diritto internazionale umanitario non imponga l’immunità potrebbe pregiudicare l’efficacia di tale diritto e incrementarne i costi di attuazione. Tuttavia, tale (presunta) condizione subottimale del diritto internazionale non è, in quanto tale, atta ad alterare il diritto internazionale umanitario nella sua forma oggi esistente (106).

110. In ogni caso, anche supponendo che la nozione di «atto terroristico» nel contesto di un conflitto armato non internazionale abbia un significato più ristretto di quello che ha in tempo di pace, i ricorrenti nel procedimento principale non hanno dimostrato né tantomeno sostenuto che gli attacchi e i rapimenti sui quali si basava l’inserimento delle LTTE nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, non costituivano, in tutto o in parte, violazioni del diritto internazionale umanitario. In particolare, non è stato suggerito che nessuna di tali azioni era diretta contro civili o contro altre persone che non partecipavano direttamente alle ostilità tra le LTTE e il governo dello Sri Lanka. I ricorrenti nel procedimento principale sostengono piuttosto che, poiché le LTTE erano coinvolte in un conflitto armato non internazionale ai sensi del diritto internazionale umanitario, le loro attività non potevano in nessun caso essere considerate «terroristiche» (107). Per le ragioni che ho esposto, tale argomento dev’essere respinto.

–       Diritto internazionale concernente la lotta al terrorismo e la cattura di ostaggi

111. Per quanto concerne il diritto internazionale che disciplina la lotta al terrorismo, evidenzio in primo luogo che la Convenzione per la repressione degli atti di terrorismo nucleare, menzionata nell’ordinanza di rinvio, non presenta alcun legame evidente con il procedimento principale. Pertanto, non la prenderò in considerazione nel prosieguo. Inoltre, la Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo non è vincolante per l’Unione europea, né è stata ratificata da tutti i suoi Stati membri. Pertanto, tale Convenzione non fa parte delle norme internazionali che dovrebbero orientare la Corte nell’interpretazione della posizione comune n. 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001.

112. La posizione comune n. 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001 conferiscono efficacia alla risoluzione 1373 (2001) (108). Benché l’Unione europea non sia essa stessa membro delle Nazioni Unite, la Corte ha dichiarato che «[l’Unione] è (…) tenuta ad attribuire particolare importanza al fatto che, a norma dell’[articolo] 24 della Carta delle Nazioni Unite, l’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di risoluzioni in base al capitolo VII di detta carta costituisce l’esercizio della responsabilità principale di cui è investito tale organo internazionale per mantenere, su scala mondiale, la pace e la sicurezza, responsabilità che, nell’ambito del citato capitolo VII, include il potere di determinare ciò che costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, nonché di assumere le misure necessarie per il mantenimento o il ristabilimento di queste ultime» (109). La Corte deve pertanto, per quanto possibile, interpretare la posizione comune 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001 in maniera conforme alla risoluzione 1373 (2001). Tuttavia, tale risoluzione non definisce gli «atti terroristici», né limita la propria portata alla luce del diritto internazionale umanitario.

113. La Convenzione per la repressione degli attentati terroristici mediante l’utilizzo di esplosivo è vincolante per tutti gli Stati membri. Considerando gli elementi che hanno indotto il Consiglio a inserire le LTTE nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3 – che fa riferimento ad «attacchi» commessi dalle LTTE (110) –, tale convenzione potrebbe essere pertinente anche nel procedimento principale. La Convenzione sugli attentati terroristici mediante l’utilizzo di esplosivo deve pertanto essere presa in considerazione per interpretare la posizione comune 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001 (111).

114. La Convenzione per la repressione degli attentati terroristici mediante l’utilizzo di esplosivo esclude dal proprio campo di applicazione «le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato», che sono disciplinate dal diritto internazionale umanitario (112). Ciò tuttavia non significa che tali atti non possano essere qualificati come «atti terroristici» ai sensi del diritto internazionale umanitario. Questa mia conclusione è corroborata dall’ultimo considerando della Convenzione per la repressione degli attentati terroristici mediante l’utilizzo di esplosivo, che precisa che «l’esclusione di determinate azioni dal campo di applicazione [della convenzione] non giustifica né rende legittimi atti altrimenti illegittimi, né impedisce l’esercizio di azioni giudiziarie in virtù di altre leggi (…)». Tale considerando è una conferma di quella che il Consiglio correttamente descrive come la natura complementare delle norme di diritto internazionale umanitario esaminate supra e di determinate norme internazionali sulla lotta al terrorismo.

115. Un ragionamento simile si applica alla Convenzione sugli ostaggi, anch’essa pertinente nel presente procedimento (113). Benché l’Unione europea non sia formalmente vincolata da tale convenzione, tutti gli Stati membri ne sono parti. L’obiettivo dell’articolo 12 della stessa è semplicemente quello di chiarire il campo di applicazione materiale della Convenzione sugli ostaggi. Tale disposizione pertanto non ha alcun genere di impatto sulla prevenzione e la repressione delle catture d’ostaggi che si siano verificate nel contesto di un conflitto armato e che sono pertanto disciplinate dal diritto internazionale umanitario (114). Ancora una volta, queste varie serie di norme internazionali risultano essere complementari.

116. Per di più, come la Commissione ha confermato in udienza, l’azione degli Stati membri ai sensi della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001 rientra in linea di principio nel campo di applicazione della Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo. Questi atti dell’Unione, infatti, mirano a combattere il terrorismo internazionale attraverso misure finanziarie specifiche dirette contro persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici. Inoltre, la Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo è vincolante per tutti gli Stati membri. Pertanto la Corte dovrebbe, per quanto possibile, interpretare la posizione comune 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001 in maniera tale da non rischiare di provocare una situazione in cui tutti gli Stati membri si ritroverebbero a violare i loro obblighi derivanti da tale convenzione.

117. Tuttavia, nulla nella Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo impedisce di considerare «atti terroristici» le azioni di forze armate non statali nei conflitti non internazionali.

118. In primo luogo, come dichiarato dal Tribunale nella sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (115), l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b) della Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo contempla esplicitamente la possibilità di commettere «atti terroristici» nell’ambito di un conflitto armato, purché siano soddisfatte due condizioni: i) l’atto deve essere diretto a causare la morte o gravi lesioni fisiche e ii) la finalità dell’atto, per la sua natura o contesto, deve essere di intimidire una popolazione, o obbligare un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o a astenersi dal compiere qualcosa. Di conseguenza, nel regolamentare il finanziamento degli atti terroristici ai sensi della Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo, gli Stati parti (o la stessa Unione europea) possono inserire, nella definizione di «atti terroristici», gli atti commessi in tempo di conflitto armato.

119. In secondo luogo e in ogni caso, l’articolo 21 chiarisce che la Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo non incide sugli obblighi che gravano sui singoli in virtù del diritto internazionale umanitario. Tali obblighi comprendono il divieto assoluto di compiere uno qualunque degli atti menzionati dall’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e b), comune alle convenzioni di Ginevra e dagli articoli 4, paragrafo 2, lettera d) e 13, paragrafo 2, del Protocollo II.

120. Un’interpretazione della nozione di «atto terroristico» nella posizione comune 2001/931 e nel regolamento n. 2580/2001 tale da ricomprendervi le azioni compiute dalle forze armate non statali in un conflitto non internazionale, pertanto, non è maggiormente incompatibile con gli atti di diritto internazionale sulla lotta al terrorismo e sulla cattura di ostaggi, esaminati in precedenza, di quanto non lo sia con le pertinenti norme di diritto internazionale umanitario.

121. Concludo pertanto, in risposta alla lettera b) della seconda questione, che le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato non internazionale, disciplinate dal diritto internazionale umanitario, possono costituire «atti terroristici» ai sensi della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001, interpretati alla luce delle pertinenti norme di diritto internazionale umanitario e di diritto internazionale sulla lotta al terrorismo e sulla cattura di ostaggi.

122. Alla luce degli argomenti presentati alla Corte dai ricorrenti nel procedimento principale (116), ritengo altresì, in risposta alle questioni terza e quarta, che dal presente rinvio non sono emersi elementi tali da inficiare la validità del regolamento n. 610/2010, nella parte in cui riguardava le LTTE. In tale contesto, non occorre esaminare la quinta questione.

 Conclusioni

123. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) come segue:

–        L’eccezione, di elaborazione giurisprudenziale, risultante dalla sentenza del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90) è applicabile alla terza parte dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

–        Non può affermarsi senza alcun dubbio che, qualora A, B, C e D avessero contestato dinanzi al Tribunale la validità del regolamento di esecuzione (UE) n. 610/2010 del Consiglio, del 12 luglio 2010, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 1285/2009, nella parte in cui tale regolamento riguardava le Tigri per la liberazione della patria Tamil (LTTE), il loro ricorso sarebbe stato ricevibile. Ne consegue che A, B, C e D erano avevano ragioni fondate per far valere l’invalidità di tale regolamento dinanzi al giudice nazionale e per chiedere che fosse proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

–        Le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato non internazionale, disciplinate dal diritto internazionale umanitario, possono costituire «atti terroristici» ai sensi della posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e del regolamento n. 2580/2001, interpretati alla luce delle pertinenti norme di diritto internazionale umanitario e di diritto internazionale sulla lotta al terrorismo e sulla cattura di ostaggi.

–        Dal presente rinvio pregiudiziale non sono emersi elementi tali da inficiare la validità del regolamento n. 610/2010, nella parte in cui tale regolamento riguardava le LTTE.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Sentenza del 30 gennaio 2014, Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39, punto 23).


3      Convenzione di Ginevra per il miglioramento della sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna del 12 agosto 1949, Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite (in prosieguo: «R.T.N.U.»), vol. 75, pag. 31 (in prosieguo: la «prima convenzione di Ginevra»); Convenzione di Ginevra per il miglioramento della sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate sul mare del 12 agosto 1949, R.T.N.U., vol. 75, pag. 85 (in prosieguo: la «seconda convenzione di Ginevra»); Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra del 12 agosto 1949, R.T.N.U., vol. 75, pag. 135 (in prosieguo: la «terza convenzione di Ginevra»); e la Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949, R.T.N.U., vol. 75, pag. 287 (in prosieguo: la «quarta convenzione di Ginevra»).


4      Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali (Protocollo I) dell’8 giugno 1977, R.T.N.U., vol. 1125, pag. 3 (in prosieguo: il «Protocollo I»); Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali (Protocollo II) dell’8 giugno 1977, R.T.N.U., vol. 1125, pag. 609 (in prosieguo: il «Protocollo II»); Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo all’adozione di un emblema distintivo aggiuntivo (Protocollo III) dell’8 dicembre 2005, R.T.N.U., vol. 2404, pag. 261.


5      V., ad esempio, Corte internazionale di giustizia (in prosieguo: la «CIG»), Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua/Stati Uniti d’America), Merits, sentenza, raccolta CIG 1986, pag. 14, punti 218 e 219; Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), Updated Commentary on the First Geneva Convention (2016), disponibile su https://www.icrc.org (in prosieguo: «Commentario CICR 2016»), comune articolo 3, punto 155; e CIG, Legality of the Threat of Use of Nuclear Weapons, parere, Raccolta CIG 1996, pag. 226 (in prosieguo: «CIG, Armi nucleari»), punti 78 e 79.


6      La CIG ha dichiarato che le regole contenute nel Protocollo I, quando adottate, si sono limitate a esprimere il diritto consuetudinario preesistente: CIG, Armi Nucleari, punto 84.


7      Articolo 4, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, lettere c) e d) del Protocollo II.


8      Articolo 6, paragrafo 5, del Protocollo II.


9      V. Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia, sezione d’appello, Prosecutor v. Stanislav Galić, sentenza, IT‑98/29‑A (30 novembre 2006), punti 86, 90 e 98 (la stessa conclusione era stata raggiunta con riferimento all’articolo 51, paragrafo 2 del Protocollo I; Corte speciale per la Sierra Leone, sezione II, Prosecutor against Brima e a., sentenza, SCSL‑04‑16‑T (20 giugno 2007), punti da 662 a 666. V. anche Commentario CICR 2016, articolo 3 comune, punto 525.


10      S/RES/1373 (2001).


11      V. infra, paragrafo 20.


12      Si stanno compiendo tentativi per negoziare un progetto di convenzione generale sul terrorismo internazionale in seno al comitato ad hoc istituito dalla risoluzione 51/210 del 17 dicembre 1996 dell’Assemblea Generale. Tuttavia, i progressi sono lenti, in parte a causa della difficoltà di trovare un accordo sulla definizione di terrorismo e sulla questione se tale definizione debba includere anche le attività delle forze armate in periodo di conflitto armato disciplinate dal diritto internazionale umanitario e quelle dei movimenti di liberazione nazionale. V. in particolare Sesto Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Relazione di sintesi delle riunioni della settantesima sessione, A/C.6/70/SR. 1, 2, 3, 4, 5, 27 e 29.


13      U.N.T.S., Vol. 2149, pag. 256.


14      U.N.T.S., Vol. 2178, pag. 197.


15      L’elenco include, in particolare, la Convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi (v., inoltre, paragrafo 25 infra), (punto 4) e la Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo (punto 9).


16      U.N.T.S., vol. 2445, pag. 89.


17      Austria, Belgio, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito.


18      STCE n. 196.


19      I seguenti 22 Stati membri sono parti della convenzione: Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia.


20      United Nations Treaties Series, Vol. 1316, pag. 205.


21      GU 2012, C 326, pag. 391.


22      Posizione comune del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 93), come modificata.


23      Regolamento del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 70), come da ultimo modificato.


24      v. infra, paragrafo 38.


25      V. supra, paragrafo 32.


26      Gli articoli 5 e 6 riguardano gli interessi versati sui conti congelati, le specifiche autorizzazioni per utilizzare i conti congelati ed effettuare pagamenti dagli stessi e le specifiche autorizzazioni per scongelare i capitali, le altre attività finanziarie o risorse economiche, per rendere disponibili tali attività o risorse o per prestare servizi finanziari.


27      V. anche considerando 12.


28      Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo (GU 2002, L 164, pag. 3).


29      È stato il Parlamento europeo a raccomandare l’aggiunta di un considerando che distinguesse i gruppi terroristici dai gruppi, all’interno dell’Unione europea, che si oppongo ai regimi totalitari e alla repressione in paesi terzi o che supportano tale resistenza. L’obiettivo era di assicurare che questi ultimi non fossero definiti quali terroristi, pur senza impedire che venissero perseguiti e puniti per reati previsti dal diritto penale nazionale: v. Parlamento europeo, Relazione sulla proposta della Commissione di decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo [COM(2001) 521].


30      V. supra, paragrafo 32.


31      Posizione comune del 29 maggio 2006 che aggiorna la posizione comune 2001/931 e abroga la posizione comune 2006/231 (GU 2006, L 144, pag. 25).


32      Decisione del 29 maggio 2006 che attua l’articolo 2, paragrafo 3 del regolamento (CE) n. 2580/2001 e abroga la decisione 2005/930/CE (GU 2006, L 144, pag. 21).


33      Regolamento di esecuzione del 12 luglio 2010 che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 1285/2009 (GU 2010, L 178, pag. 1). V. articolo 1 e punto 2.17 dell’elenco contenuto nell’allegato.


34      Regolamento di esecuzione del 21 dicembre 2015 che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1325 (GU 2015, L 334, pag. 1).


35      V. supra, paragrafo 10.


36      Sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 83). La proposizione dei ricorsi da parte delle LTTE dinanzi al Tribunale (rispettivamente l’11 aprile e il 28 settembre 2011) è di data successiva sia alle decisioni di designazione (8 giugno 2010) sia alle decisioni impugnate (25 novembre 2010, 8 dicembre 2010 e 10 gennaio 2011).


37      Consiglio/LTTE, C‑599/14 P (pendente dinanzi alla Corte), causa nella quale ho presentato le mie conclusioni in data 22 settembre 2016.


38      V., da ultimo, sentenza dell’8 giugno 2016, Hünnebeck (C‑479/14, EU:C:2016:412, punto 30 e giurisprudenza citata).


39      Diversamente tale questione sarebbe ipotetica.


40      V., al riguardo, sentenza del 17 febbraio 2011, Bolton Alimentari (C‑494/09, EU:C:2011:87, punto 21).


41      Sentenza del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 39 e giurisprudenza citata) (in prosieguo: la «sentenza Pringle»).


42      Sentenza del 22 ottobre 1987, Foto – Frost (314/85, EU:C:1987:452, punti 14 e 15). V. anche le sentenze del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA (C‑344/04, EU:C:2006:10, punti 27 e 30), e del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 95) (in prosieguo: la «sentenza Inuit I»).


43      V. sentenza del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90, punti 17 e 18) (in prosieguo: la «sentenza TDW»). Tale causa riguardava una decisione della Commissione indirizzata a uno Stato membro, che faceva espressamente riferimento al beneficiario dell’aiuto individuale (TWD); lo Stato membro aveva comunicato la decisione a tale beneficiario.


44      V. sentenza Pringle, punto 41 e giurisprudenza citata.


45      V. sentenza del 15 febbraio 2001, Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101, punto 29 e giurisprudenza citata.


46      Sentenza TWD, punto 16.


47      Sentenza del 29 giugno 2010, E e F (C‑550/09, EU:C:2010:382) (in prosieguo: la «sentenza E e F»).


48      Sentenza E e F, punti da 49 a 52 e giurisprudenza citata.


49      Sentenza Inuit I, punti 70 e 71.


50      V., in particolare, sentenze del 5 maggio 1998, Glencore Grain/Commissione (C‑404/96 P, EU:C:1998:196, punto 41); del 29 giugno 2004, Front National/Parlamento (C‑486/01 P, EU:C:2004:394, punto 34); del 10 settembre 2009, Commissione/Ente per le Ville vesuviane e Ente per le Ville vesuviane/Commissione (C‑445/07 P e C‑455/07 P, EU:C:2009:529, punto 45 e giurisprudenza citata); e del 17 settembre 2015, Confederazione Cooperative Italiane e a./Anicav e a. (C‑455/13 P, C‑457/13 P e C‑460/13 P, EU:C:2015:616, punto 46 e giurisprudenza citata).


51      Sentenza del 28 aprile 2015, T & L Sugars e Sidul Açúcares/Commissione [C‑456/13 P, EU:C:2015:284 (in prosieguo: la «sentenza T & L Sugars), punto 63 e giurisprudenza citata].


52      Sentenza Inuit I, punti da 55 a 57; v. anche punti 70 e 71.


53      Sentenze T & L Sugars, punto 29 e giurisprudenza citata e del 19 dicembre 2013, Telefónica/Commissione (C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 27) (in prosieguo: la «sentenza Telefónica). V. anche la «Relazione finale del circolo di discussione sul funzionamento della Corte di giustizia» (CONV 636/03, punto 21).


54      Sentenza Pringle, punto 41 e giurisprudenza citata. V. anche sentenza del 28 aprile 2016, Borealis Polyolefine e a. [C‑191/14, C‑192/14, C‑295/14, C‑389/14 e C‑391/14 e da C‑391/14 a C‑393/14, EU:C:2016:311, punti da 46 a 49 (il ragionamento qui svolto suggerisce che la Corte abbia implicitamente accettato l’applicazione dell’eccezione TWD con riferimento alla terza parte)].


55      Sentenza Pringle, punto 42. La questione era se tale decisione era stata o avrebbe dovuto essere stata adottata conformemente alla procedura di revisione semplificata prevista dall’articolo 48, paragrafo 6, TUE.


56      Sentenza Inuit I, punti 75 e 76.


57      Quali le persone ed entità indicate nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3.


58      Sentenza Inuit I, punto 60.


59      Articolo 289, paragrafo 3, TFUE.


60      V., ad esempio, sentenza del 15 giugno 1993, Albertal e a./Commissione (C‑213/91, EU:C:1993:238, punto 19).


61      V. supra paragrafi 36 e 37. V. anche sentenza E e F, punto 51 e giurisprudenza citata.


62      V., in tal senso, sentenze del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti da 241 a 244), e del 23 aprile 2013, Gbagb e a./Consiglio (da C‑478/11 P a C‑482/11 P, EU:C:2013:258, punto 56).


63      V., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 1984, Comune di Differdange e a./Commissione (222/83, EU:C:1984:266, punti da 10 a 12).


64      Sentenza del 23 aprile 1986, Les Verts/Parlamento (294/83, EU:C:1986:166, punto 31).


65      V., in tal senso, sentenza Telefónica, punti da 27 a 29.


66      V. punti da 40 a 42. Il meccanismo in questione è esposto al punto 3 della sentenza, che riproduce i punti da 39 a 45 della sentenza del Tribunale impugnata. T & L avevano sostenuto che l’unico ruolo lasciato agli Stati membri era quello di semplici «cassette della posta» (punto 18). La Commissione ha confermato che le misure nazionali in questione erano importanti e necessarie (punto 24).


67      V. punti 30 e 31.


68      Vale la pena osservare a questo proposito che, nella sentenza T & L Sugars, la Corte ha statuito che, poiché i ricorrenti non rientravano tra i soggetti ai quali si applicava la disciplina in questione (i ricorrenti erano raffinatori di canna da zucchero e la normativa riguardava i produttori di zucchero), la disciplina non incideva direttamente sulla loro situazione giuridica ed era priva di incidenza diretta nei loro confronti (v. punto 37).


69      V. supra, paragrafo 45.


70      Questa disposizione, che riguarda i rapporti tra la PESC e altre competenze dell’Unione, non è rilevante nel caso di specie.


71      V. paragrafo 42 delle presenti Conclusioni.


72      Conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Rosneft (C‑72/15, EU:C:2016:381, paragrafo 38 e paragrafi da 62 a 66).


73      Articolo 21, paragrafo 1, TUE.


74      Conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Rosneft (C‑72/15, EU:C:2016:381, paragrafi da 73 a 76).


75      V. sentenze Inuit I, punto 50, e Pringle, punto 135.


76      Articolo 1, paragrafo 4, del regolamento n. 2580/2001.


77      V. sentenza del 15 novembre 2012, Al‑Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al‑Aqsa (C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 67 e giurisprudenza citata) (in prosieguo: la «sentenza Al‑Aqsa»).


78      V. supra, paragrafo 40.


79      Considerando 6 della decisione quadro 2002/475; v. anche articolo 1, paragrafo 1.


80      V. sentenza Al‑Aqsa, punto 67 e giurisprudenza citata.


81      V., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 73). Come già osservato, questo punto non è stato oggetto di impugnazione da parte del Consiglio (v. supra, paragrafo 51).


82      V., ad esempio, sentenza dell’11 aprile 2013, Della Rocca (C‑290/12, EU:C:2013:235, punto 38 e giurisprudenza citata).


83      V., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 101 e giurisprudenza citata).


84      V., ad esempio, sentenza del 15 marzo 2012, SCF Consorzio Fonografici (C‑135/10, EU:C:2012:140, punto 51 e giurisprudenza citata). V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Diakité (C‑285/12, EU:C:2013:500, paragrafi 23 e 24).


85      V., ad esempio, sentenze del 10 settembre 1996, Commissione/Germania (C‑61/94, EU:C:1996:313, punti da 52 a 58), e del 1o aprile 2004, Bellio F.lli (C‑286/02, EU:C:2004:212, punto 33).


86      Sentenza del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C‑286/90. EU:C:1992:453, punto 9). V. anche, ad esempio, sentenza del 15 gennaio 2015, Evans (C‑179/13, EU:C:2015:12, punto 35).


87      Sentenza del 3 giugno 2008, The International Association of Independent Tanker Owners e a. (C‑308/06, EU:C:2008:312).


88      Punto 52.


89      Il controllo della validità del diritto derivato dell’Unione compiuto sulla base del diritto internazionale (accordi internazionali o regole consuetudinarie di diritto internazionale) rimane eccezionale, poiché soggetto a condizioni molto rigorose. Per quanto riguarda gli accordi internazionali, v., da ultimo, sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 84). Per quanto riguarda le regole consuetudinarie di diritto internazionale, v. sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punti 101, 102 e 107).


90      V. supra, paragrafo 4.


91      V. supra, paragrafo 100 e giurisprudenza citata.


92      Articolo 3 comune, paragrafo 1, lettere a) e b). Nella sentenza del 27 giugno 1986, Nicaragua/Stati Uniti, la Corte internazionale di giustizia ha statuito che le regole contenute nel comune articolo 3 «costituiscono un parametro minimo, in aggiunta alle regole più elaborate da applicare anch’esse ai conflitti internazionali» e che riflettono «considerazioni elementari di umanità» (Racc. CIG, 1984, pag. 392, punto 218).


93      V., in tal senso, Gasser, H.–P., «Acts of terror, “terrorism” and international humanitarian law», International Review of the Red Cross, 2002, pag. 560.


94      Con riferimento ai conflitti armati internazionali, v. articolo 51, paragrafo 2, del Protocollo I, e articolo 33, paragrafo 1, della quarta convenzione di Ginevra.


95      V. articolo 1, paragrafo 3, che fa riferimento all’articolo 2 comune alle Convenzioni di Ginevra.


96      Sarebbe così se il conflitto costituisse un conflitto armato in cui «i popoli lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del loro diritto all’autodeterminazione» (articolo 1, paragrafo 4, del Protocollo I).


97      Articolo 51, paragrafo 2 del Protocollo I.


98      Pfanner, T., «Scope of Application, Perpetrators of Terror, and International Humanitarian law», in: Fernández – Sánchez (Ed.), International Legal Dimensions of Terrorism (Martinus Nijhoff Publishers, 2009), pag. 289.


99      Ciò che viene richiesto a tutte le autorità al potere è di adoperarsi per garantire a quei partecipanti la più ampia amnistia possibile al termine delle ostilità (articolo 6, paragrafo 5, del Protocollo II). «Nei conflitti armati non internazionali, non viene riconosciuto lo status di combattente e di prigioniero di guerra, perché non vi è, da parte degli Stati, la volontà di concedere, ai membri di gruppi armati di opposizione, l’immunità dalle azioni penali previste al diritto interno per aver imbracciato le armi» [CICR, «The relevance of IHL in the context of terrorism» (La pertinenza del diritto internazionale umanitario nel contesto del terrorismo), www.icrc.org/eng/resources/documents/faq/terrorism-ihl-210705.htm, consultato il 4 luglio 2016].


100      L’articolo 3, paragrafo 1 del Protocollo II dispone che «nessuna disposizione [di tale Protocollo] potrà essere invocata per attentare alla sovranità di uno Stato o alla responsabilità del governo di mantenere o di ristabilire l’ordine pubblico nello Stato, o di difendere l’unità nazionale e l’integrità territoriale dello Stato con tutti i mezzi legittimi».


101      Dette misure possono rispondere ad azioni che lo Stato considera terrorismo, ma non solamente a tali azioni (ad esempio, potrebbero contemplare anche l’alto tradimento o lo spionaggio).


102      V. anche Commentario CICR 2016, comune articolo 3, punto 514 e paragrafi da 111 a 121 infra.


103      V., inter alia, Pejic, J., «Terrorist Acts and Groups: A Role for International Law?», British Yearbook of International Law, 2004, pagg. 75 e 76, e Sassóli, M., «Terrorism and War», Journal of International Criminal Justice, 2006, pag. 970. Come evidenzia Sassóli, «se ogni atto compiuto contro le forze statali costituisce “terrorismo”, come suggerito da taluni, questo indebolisce [il diritto internazionale umanitario] e la volontà da parte dei gruppi armati di osservare lo stesso diritto internazionale umanitario». V. Sassóli, M., «The Role of Human Rights and International Humanitarian Law in New Types of Armed Conflicts» in: Ben – Naftali, O. (Ed.), International Humanitarian law and International Human Rights Law (Oxford, OUP 2011, pag. 37).


104      Con questa espressione, intendo dire che tale disposizione fissa semplicemente degli obiettivi e non mira pertanto a creare diritti o doveri per i singoli.


105      La conferenza diplomatica che ha adottato il Protocollo II ha respinto la proposta, formulata dal Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), di richiedere ai giudici, in caso di azioni promosse nei confronti di partecipanti ad un conflitto armato non internazionale, di prendere in considerazione, nella massima misura possibile, il fatto che l’ accusato avesse rispettato le disposizioni del Protocollo II.V. CICR, Progetto di protocolli aggiuntivi alle convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, Commentario, Genova 1973, pag. 141 (articolo 10, paragrafo 5).


106      V. paragrafo 107.


107      Al contrario, esse potevano (in teoria) essere considerate crimini di guerra. I ricorrenti nel procedimento principale, inoltre, esprimono brevemente dubbi sul fatto che le LTTE fossero effettivamente responsabili di tali attacchi e di rapimenti. Tuttavia, essi non forniscono nessun elemento specifico in grado di mettere in discussione la posizione del Consiglio.


108      V. supra, paragrafo 34.


109      Sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 294).


110      V. supra, paragrafo 48.


111      V. supra, paragrafo 100 e giurisprudenza citata.


112      Articolo 19, paragrafo 2.


113      Le LTTE sono state inserite nell’elenco dell’Unione a seguito, tra l’altro, degli atti che il Consiglio ha qualificato come «rapimenti» tra il 2005e il 2009: v. supra, paragrafo 48. Ai fini della presente analisi, non rilevo differenze significative tra questa espressione e l’espressione «cattura di ostaggi» impiegata nella convenzione relativa agli ostaggi.


114      V. articolo 3, paragrafo 1, lettera b) comune alle convenzioni di Ginevra e l’articolo 4, paragrafo 2, lettera c) del Protocollo II.


115      T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 64.


116      V., in particolare, paragrafo 110 delle presenti conclusioni.