Language of document : ECLI:EU:C:2016:760

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate l’11 ottobre 2016 (1)

Causa C‑439/16 PPU

Emil Milev

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva (UE) 2016/343 – Rafforzamento di determinati aspetti della presunzione di innocenza – Articoli 3 e 6 – Applicazione nel tempo – Normativa nazionale che vieta, durante la fase dibattimentale del procedimento, di esaminare se vi siano motivi plausibili di supporre che l’imputato abbia commesso un reato – “Parere” di un organo giurisdizionale supremo in cui si constata un conflitto tra la normativa nazionale e l’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 4, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – Margine di discrezionalità lasciato ai giudici nazionali per decidere se applicare o meno detta Convenzione»





I –          Introduzione

1.        Ai sensi del Nakazatelno-protsesualen kodeks (codice di procedura penale; in prosieguo: il «NPK»), il giudice chiamato a pronunciarsi su una misura di custodia cautelare non può esaminare, nella fase dibattimentale del procedimento penale, la questione relativa all’esistenza di motivi plausibili di supporre che sia stato commesso un reato. Tale normativa ha dato luogo a diverse condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»). Secondo una giurisprudenza costante della Corte EDU, l’articolo 5, paragrafo 4, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), «esige dalle autorità giudiziarie investite di una richiesta di scarcerazione, in particolare, di analizzare la questione relativa all’esistenza di motivi plausibili di sospettare che il detenuto abbia commesso un reato» (2).

2.        Il Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione, Bulgaria), adita dallo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato, Bulgaria), giudice del rinvio, ha constatato un conflitto tra la suddetta normativa processuale nazionale e l’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), di tale articolo (in prosieguo: il «parere della Corte suprema»). Tuttavia, la Corte suprema ha lasciato ai giudici nazionali la libertà di decidere se applicare la giurisprudenza della Corte EDU o la normativa nazionale in parola, in attesa di un intervento del legislatore.

3.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla conformità del parere reso dal Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) con la direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (3). La particolarità della presente causa deriva dal fatto che la domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta nell’ambito di un procedimento penale a carico del sig. Emil Milev e della custodia cautelare di quest’ultimo, è pervenuta alla Corte qualche mese dopo l’entrata in vigore della direttiva 2016/343 e assai prima della scadenza del termine per la sua trasposizione.

II –       Contesto normativo

A –          Diritto dell’Unione

1.            La Carta

4.        A termini dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»): «[o]gni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza».

5.        Ai sensi dell’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale»:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

(...)».

6.        L’articolo 48 della Carta, intitolato «Presunzione di innocenza e diritti della difesa», è formulato come segue:

«1.      Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.

2.      Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

B –    Direttiva 2016/343

7.        A tenore dei considerando 16 e 22 della direttiva 2016/343:

«(16) La presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l’indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l’idea che una persona sia colpevole. Ciò dovrebbe lasciare impregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato, come l’imputazione, nonché le decisioni giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono gli effetti di una pena sospesa, purché siano rispettati i diritti della difesa. Dovrebbero altresì restare impregiudicate le decisioni preliminari di natura procedurale, adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità, quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purché non presentino l’indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l’autorità competente potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell’indagato o imputato tali da giustificare la decisione e la decisione potrebbe contenere un riferimento a tali elementi.

(...)

(22)      L’onere della prova della colpevolezza di indagati e imputati incombe alla pubblica accusa e qualsiasi dubbio dovrebbe valere in favore dell’indagato o imputato. La presunzione di innocenza risulterebbe violata qualora l’onere della prova fosse trasferito dalla pubblica accusa alla difesa, fatti salvi eventuali poteri di accertamento dei fatti esercitati d’ufficio dal giudice, la sua indipendenza nel valutare la colpevolezza dell’indagato o imputato e il ricorso a presunzioni di fatto o di diritto riguardanti la responsabilità penale di un indagato o un imputato. Tali presunzioni dovrebbero essere confinate entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e preservando i diritti della difesa, e i mezzi impiegati dovrebbero essere ragionevolmente proporzionati allo scopo legittimo perseguito. Le presunzioni dovrebbero essere confutabili e, in ogni caso, si dovrebbe farvi ricorso solo nel rispetto dei diritti della difesa».

8.        Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2016/343, intitolato «Presunzione di innocenza», «[g]li Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza».

9.        Ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2016/343, intitolato «Riferimenti in pubblico alla colpevolezza»:

«1.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità.

2.      Gli Stati membri provvedono affinché siano predisposte le misure appropriate in caso di violazione dell’obbligo stabilito al paragrafo 1 del presente articolo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in conformità con la presente direttiva, in particolare con l’articolo 10».

10.      L’articolo 6 della direttiva 2016/343, intitolato «Onere della prova», è così formulato:

«1.      Gli Stati membri assicurano che l’onere di provare la colpevolezza degli indagati e imputati incomba alla pubblica accusa, fatti salvi l’eventuale obbligo per il giudice o il tribunale competente di ricercare le prove sia a carico sia a discarico e il diritto della difesa di produrre prove in conformità del diritto nazionale applicabile.

2.      Gli Stati membri assicurano che ogni dubbio in merito alla colpevolezza sia valutato in favore dell’indagato o imputato, anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta».

11.      L’articolo 10 della direttiva 2016/343, intitolato «Mezzi di ricorso», è del seguente tenore:

«1.      Gli Stati membri provvedono affinché gli indagati e imputati dispongano di un ricorso effettivo in caso di violazione dei diritti conferiti dalla presente direttiva.

2.      Fatti salvi le norme e i sistemi nazionali in materia di ammissibilità delle prove, gli Stati membri garantiscono che, nella valutazione delle dichiarazioni rese da indagati o imputati o delle prove raccolte in violazione del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi, siano rispettati i diritti della difesa e l’equità del procedimento».

12.      Conformemente al suo articolo 15, la direttiva 2016/343, che è stata pubblicata l’11 marzo 2016, è entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. L’articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva, stabilisce che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 1° aprile 2018.

C –          Diritto bulgaro

13.      Ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, del NPK, l’imputato può essere sottoposto a misure coercitive allorché «dalle prove versate agli atti emergano motivi plausibili di supporre che lo stesso abbia commesso il reato e qualora sia presente uno dei motivi di giustificazione previsti dall’articolo 57». Conformemente all’articolo 57 del NPK, le suddette misure coercitive vengono adottate al fine di evitare che l’imputato si dia alla fuga, commetta un reato o impedisca l’esecuzione della condanna penale definitiva. L’articolo 58, paragrafo 4, del NPK menziona la custodia cautelare tra tali misure coercitive.

14.      Ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, del NPK, la custodia cautelare viene disposta quando «vi sono motivi plausibili che consentono di supporre che l’imputato abbia commesso un reato punito con una pena privativa della libertà o altra pena più severa ed emerge dalle prove nel procedimento che esiste un pericolo reale che l’imputato si dia alla fuga o commetta un altro reato». A termini dell’articolo 64, paragrafo 4, del NPK, riguardante la fase istruttoria, «il tribunale adotta la misura coercitiva della custodia cautelare se sono soddisfatti i requisiti di cui all’articolo 63, paragrafo 1, e, in caso contrario, il tribunale può decidere di non adottare alcuna misura coercitiva o di adottarne una meno restrittiva».

15.      Secondo l’articolo 256, paragrafo 1, punto 2, del NPK, ai fini della preparazione dell’udienza, il giudice relatore si esprime relativamente alla misura coercitiva, senza valutare la questione dell’esistenza di motivi plausibili di supporre che sia stato commesso un reato. A tenore del paragrafo 3 del medesimo articolo, tale limitazione si applica parimenti nell’ipotesi di una domanda relativa alla misura coercitiva della custodia cautelare, quando il tribunale esamina se sono soddisfatti i requisiti per una commutazione o per un annullamento della misura coercitiva.

16.      Ai sensi dell’articolo 270, paragrafo 1, del NPK, la questione della commutazione della misura coercitiva può essere sollevata in qualsiasi momento durante la fase istruttoria. Secondo l’articolo 270, paragrafo 2, del NPK, il tribunale statuisce mediante ordinanza in udienza pubblica, senza valutare se vi sono motivi plausibili di supporre che sia stato commesso un reato.

III –       Fatti e questione pregiudiziale

17.      Secondo quanto emerge dall’ordinanza di rinvio, il sig. Milev è accusato di otto reati, tra i quali figurano la direzione di un gruppo criminale organizzato e armato, un sequestro di persona, il furto e l’incendio di un’automobile, il tentato omicidio di un agente di polizia nonché la rapina di una banca e di due distributori di benzina. Tali reati sono punibili con pene privative della libertà da un minimo di tre anni di detenzione fino all’ergastolo senza possibilità di commutazione.

18.      Il sig. Milev è stato posto in custodia il 24 novembre 2013. Durante la fase istruttoria, il giudice competente ha ritenuto che persistessero motivi plausibili di sospettare che il sig. Milev sia l’autore dei reati in questione.

19.      Dopo l’apertura della fase dibattimentale, l’8 giugno 2015, il giudice del rinvio [Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato)], su istanza dell’imputato, si è pronunciato in più occasioni sulla revoca della custodia cautelare, senza tuttavia verificare la presenza o l’assenza di motivi plausibili di sospettare che il sig. Milev abbia commesso i reati in discussione. L’articolo 270, paragrafo 2, del NPK, letto in combinato disposto con l’articolo 256, paragrafo 3, seconda frase, di quest’ultimo, in effetti vieta al giudice di analizzare in tale fase del procedimento i motivi plausibili di supporre che una persona sia l’autrice di un reato.

20.      Il giudice del rinvio ha constatato un conflitto tra la summenzionata normativa nazionale e l’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), dello stesso articolo, che permette di trattenere una persona in custodia unicamente quando «vi siano motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato». A causa dell’impossibilità di garantire gli standard di legittimità della detenzione ai sensi della CEDU, lo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato) ha annullato più volte gli ordini di custodia cautelare. Tuttavia, tali decisioni di annullamento sono state riformate in appello.

21.      È in tale contesto che il giudice del rinvio ha chiesto al Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) di pronunciarsi al riguardo. Nel corso dell’udienza tenutasi il 7 aprile 2016, il plenum della sezione penale del Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) ha confermato l’esistenza di un conflitto tra l’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), del medesimo articolo, e le disposizioni del diritto nazionale che vietano al giudice di pronunciarsi sui motivi plausibili di sospettare che l’imputato abbia commesso il reato. Come emerge dal verbale dell’udienza, i giudici hanno espresso dubbi circa le possibilità, nella pratica, di garantire simultaneamente il rispetto dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, in combinato disposto con il paragrafo 1 lettera c), dello stesso articolo, e dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU relativo all’imparzialità del tribunale. La nomina di un collegio giudicante separato, che sarebbe chiamato a statuire esclusivamente sui motivi per il trattenimento di una persona in custodia, è stata considerata problematica. Difatti, secondo i giudici, tale misura presenterebbe il rischio di ostacolare il buon funzionamento dei tribunali che dispongono solamente di un numero limitato di giudici in carica.

22.      Il Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) è così pervenuta alla seguente conclusione: «[è] chiaro che non siamo in grado di proporre una qualunque soluzione al problema. A nostro avviso, ogni collegio giudicante deve decidere se dare la priorità alla CEDU o alla legge nazionale e se è in grado di statuire in tale ambito». Il presidente dell’assemblea plenaria della sezione penale del Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) ha ordinato di inviare copia del verbale al giudice del rinvio e al Ministero della Giustizia, in vista di avviare una modifica legislativa.

23.      Secondo il giudice del rinvio, tale parere della Corte suprema ha il valore di una sentenza interpretativa. Esso sarebbe quindi vincolante per gli organi giurisdizionali di qualsiasi grado, compresi i diversi collegi giudicanti del Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione).

24.      È in occasione di una nuova istanza di commutazione della custodia cautelare in una misura più lieve, presentata dal sig. Milev, che lo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se sia conforme agli articoli 3 e 6 della direttiva 2016/343 (riguardanti la presunzione di innocenza e l’onere della prova nei procedimenti penali) una giurisprudenza nazionale – in particolare, un parere vincolante del Varhoven kasatsionen Sad (Corte suprema di cassazione) (reso dopo l’adozione della suddetta direttiva, ma prima della scadenza del termine per il suo recepimento) conformemente al quale il Varhoven kasatsionen Sad (Corte suprema di cassazione), avendo constatato un conflitto tra l’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), del medesimo articolo, e la normativa nazionale (articolo 270, paragrafo 2, del NPK), in merito alla presa in considerazione o meno di motivi plausibili per presumere la commissione di un reato (nell’ambito del procedimento di controllo di un’estensione di una misura coercitiva di “custodia cautelare” durante la fase dibattimentale del procedimento penale), ha concesso ai giudici di merito la facoltà di decidere se rispettare la CEDU».

25.      Poiché la detenzione del sig. Milev è tuttora in corso, il giudice del rinvio ha chiesto di trattare la causa con procedimento pregiudiziale d’urgenza in conformità dell’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

26.      Tale procedimento è stato accordato dalla Quarta Sezione della Corte con decisione del 17 agosto 2016.

27.      Il sig. Milev e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Soltanto la Commissione ha partecipato all’udienza, che si è tenuta il 22 settembre 2016.

IV –       Analisi

A –          Considerazioni preliminari

28.      Il presente rinvio pregiudiziale verte sulla conformità con la direttiva 2016/343 del parere della Corte suprema, come riprodotto nel verbale del 7 aprile 2016. Il giudice del rinvio nutre dubbi al riguardo, nella misura in cui, dopo aver constatato un conflitto tra la normativa nazionale e l’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), dello stesso articolo, detto parere della Corte suprema lascia ai giudici di grado inferiore la libertà di decidere se occorra rispettare la CEDU oppure applicare le disposizioni nazionali contrarie.

29.      Tale questione presenta due ordini di problemi. In primo luogo, il termine per il recepimento della direttiva 2016/343 non era ancora scaduto nel momento in cui è stata adottata la decisione di rinvio. In secondo luogo, non è affatto evidente che il contenuto del parere della Corte suprema rientri nell’ambito di applicazione materiale della direttiva stessa.

30.      In merito al primo punto, il giudice del rinvio ha giustificato la ricevibilità della propria domanda di pronuncia pregiudiziale sottolineando che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le autorità nazionali devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalle direttive in pendenza del termine di recepimento di queste ultime. Orbene, secondo il giudice del rinvio, tale situazione si verificherebbe nel caso del parere della Corte suprema, che è intervenuto dopo l’entrata in vigore della direttiva 2016/343.

31.      Tenuto conto di tali considerazioni, ritengo che il presente rinvio pregiudiziale non possa essere considerato irricevibile. Anche la Commissione è di questo stesso avviso.

32.      In primo luogo, poiché vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, le questioni sollevate dai giudici nazionali investiti di una controversia reale godono di una presunzione di rilevanza (4).

33.      In secondo luogo, il parere della Corte suprema è stato reso il 7 aprile 2016, ossia dopo l’entrata in vigore della direttiva 2016/343, che è avvenuta il 31 marzo 2016 in forza dell’articolo 15 di quest’ultima. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, nei limiti in cui una direttiva sia già entrata in vigore alla data dei fatti di causa, l’interpretazione delle sue disposizioni può essere utile al giudice del rinvio al fine di permettergli di statuire prendendo in considerazione l’obbligo di non dettare misure di natura tale da compromettere gravemente il risultato perseguito dalla direttiva (5).

34.      In tali circostanze, ritengo che occorra rispondere alla questione pregiudiziale concentrando l’attenzione sul parere della Corte suprema e sul citato obbligo di astenersi. Siffatta analisi è esposta nel titolo B delle presenti conclusioni.

35.      Tuttavia, la questione vertente sull’obbligo di non compromettere gravemente il risultato della direttiva 2016/343 durante il periodo di recepimento è diversa da quella, sottostante, relativa alla compatibilità del parere della Corte suprema (e, di conseguenza, della normativa nazionale) con la direttiva stessa.

36.      Per le ragioni in prosieguo illustrate, ritengo che nella presente causa non occorra procedere a tale analisi. Tuttavia, al fine di assistere pienamente la Corte, un esame conciso della questione di cui trattasi è esposto infra, sotto il titolo C.

B –          Se il parere della Corte suprema comprometta gravemente gli obiettivi della direttiva 2016/343

1.            Gli effetti giuridici delle direttive prima della scadenza del termine di recepimento

37.      Nell’ambito di una questione pregiudiziale posta prima della scadenza del termine fissato per la trasposizione di una direttiva, non si può contestare agli Stati membri di non aver ancora adottato i provvedimenti di recepimento di quest’ultima(6). Tuttavia, è giurisprudenza costante che una direttiva produce effetti giuridici nei confronti dello Stato membro destinatario a seguito della sua pubblicazione o dalla data della sua notifica (7). Difatti, è ben noto che dal combinato disposto degli articoli 4, paragrafo 3, TUE, e 288 TFUE risulta che gli Stati membri devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente la realizzazione del risultato prescritto da una direttiva (8). Tale obbligo di astensione deve intendersi riferito all’adozione di qualsiasi misura, generale o particolare (9). Esso si impone nei confronti di tutte le autorità degli Stati membri, compresi i giudici nazionali (10).

2.            Il parere della Corte suprema

38.      La questione pregiudiziale è stata posta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato) al fine di valutare se il parere della Corte suprema violi il summenzionato obbligo di astensione. In tale contesto è opportuno verificare se il parere della Corte suprema sia di natura tale da compromettere gravemente la realizzazione del risultato prescritto dalla direttiva 2016/343.

39.      La decisione di rinvio richiama l’attenzione sul fatto che il Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) sarebbe giunto a una soluzione molto diversa se avesse applicato il principio dell’interpretazione conforme rispetto alla direttiva 2016/343, dato che quest’ultima era già in vigore alla data di adozione del parere.

40.      Orbene, si deve sin d’ora sottolineare che l’obbligo di interpretare il diritto interno in maniera conforme a una direttiva incombe ai giudici nazionali solamente a partire dalla scadenza del termine di attuazione di quest’ultima (11). Gli obblighi, come quelli imposti dalla giurisprudenza Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443) in linea con la giurisprudenza Inter-Environnement Wallonie (C‑129/96, EU:C:1997:628), che incombono ai giudici nazionali durante il periodo di recepimento, sono più moderati. Infatti, i giudici nazionali devono «astenersi per quanto possibile dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva» (12).

41.      Di conseguenza, occorre in particolare tenere presente che il citato obbligo di astensione non implica l’attuazione della direttiva 2016/343 né l’interpretazione del diritto nazionale conforme a quest’ultima. Al contrario, l’obbligo di astensione riguarda unicamente le misure che possono compromettere gravemente gli obiettivi perseguiti da una direttiva. Esso pertanto vieta agli Stati membri di adottare misure che rischino di pregiudicare gravemente tali obiettivi e i cui effetti giuridici persistano anche dopo la scadenza del termine di recepimento (13).

42.      Riguardo agli obiettivi della direttiva 2016/343, dal suo articolo 1, lettera a), si evince che quest’ultima stabilisce norme minime comuni concernenti alcuni aspetti della presunzione di innocenza nei procedimenti penali. Così facendo, la direttiva 2016/343 mira a rafforzare la fiducia degli Stati membri nei reciproci sistemi di giustizia penale e, quindi, a facilitare il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia penale (14).

43.      Da un punto di vista materiale, non si può escludere che, nell’ambito dell’esame di una misura di custodia cautelare, l’assenza di un controllo giudiziario dei «motivi plausibili» possa compromettere la tutela effettiva della presunzione di innocenza, il cui rispetto è garantito dalla direttiva 2016/343 (15). Ritengo, tuttavia, che la realizzazione degli obiettivi di detta direttiva non sia pregiudicata da una misura nazionale come il parere della Corte suprema.

44.      Non si può escludere a priori che una decisione giudiziaria possa compromettere gravemente la realizzazione del risultato prescritto dopo la scadenza del suddetto termine (16).

45.      Tuttavia, tre fattori indicano che ciò non accade nella fattispecie. In primo luogo, non si può considerare il parere della Corte suprema – che è intervenuto poco dopo l’entrata in vigore della direttiva 2016/343 – come una misura di recepimento di quest’ultima. Non si può neppure considerare tale parere come interpretativo delle misure di recepimento della direttiva de qua. Infatti, l’articolo 270 del NPK non costituisce una misura mirante a recepire la direttiva 2016/343 né una misura idonea ad assicurare la conformità a quest’ultima del diritto nazionale.

46.      In secondo luogo, il parere della Corte suprema conferisce un margine discrezionale ai giudici nazionali, riconoscendo loro la facoltà di disapplicare la normativa nazionale. È irrilevante il fatto che tale parere possa venire percepito come uno strumento contenente istruzioni di carattere vincolante (17). In realtà, il parere della Corte suprema non comporta alcuna modifica della situazione precedente di natura tale da poter avere l’effetto di ostacolare il conseguimento dei risultati perseguiti dalla direttiva 2016/343.

47.      Infine, il parere della Corte suprema non pregiudica in alcun modo le scelte che deve operare il legislatore al momento di recepire la direttiva 2016/343.

48.      Da un punto di vista sostanziale, detto parere prende posizione su un conflitto tra il diritto nazionale e la CEDU. Esso sottolinea in effetti la contraddizione esistente tra la normativa nazionale e l’articolo 5 della CEDU ed esprime la necessità di un intervento del legislatore nazionale al fine di garantire il rispetto degli articoli 5 e 6 della CEDU. Al riguardo, il fatto che il parere della Corte suprema sia stato trasmesso al Ministero della Giustizia in vista di sollecitare una modifica legislativa conferma che, lungi dal compromettere gravemente gli obiettivi della direttiva 2016/343, detto parere, al contrario, ne promuove l’adempimento.

49.      Di conseguenza, non si può affermare che il parere della Corte suprema comprometta i risultati prescritti dalla direttiva 2016/343, nella misura in cui propone soluzioni atte a contribuire alla realizzazione di questi ultimi. Ne deriva, a fortiori, che il parere della Corte suprema non è in grado di compromettere gravemente la realizzazione dei risultati prescritti dalla direttiva in parola.

3.            I principi generali del diritto dell’Unione e i diritti fondamentali

50.      Il riferimento del giudice del rinvio alla sentenza Mangold (18) non induce a trarre una diversa conclusione.

51.      Certamente, dalla giurisprudenza emerge che i principi generali del diritto – al pari della Carta – sono applicabili nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (19). A tal fine, possono essere considerate rientranti nell’ambito di applicazione di una direttiva, a decorrere dalla data di entrata in vigore di detta direttiva, non solo le disposizioni nazionali aventi espressamente ad oggetto l’attuazione della stessa, ma altresì le disposizioni nazionali preesistenti idonee a garantire la conformità del diritto nazionale a quest’ultima (20).

52.      Orbene, nel caso di specie, il parere della Corte suprema non costituisce né una misura di attuazione della direttiva né una misura idonea a garantire la conformità del diritto nazionale con quest’ultima. Di conseguenza, il mero riferimento, da parte del giudice del rinvio, ad una direttiva il cui periodo di recepimento non sia ancora giunto a scadenza e i cui obiettivi non siano stati gravemente compromessi non è di natura tale da far rientrare la situazione di cui al procedimento principale nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (21).

4.            Conclusione

53.      Ciò considerato, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sottoposta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato) nel senso che un parere della Corte suprema, intervenuto durante il periodo di recepimento della direttiva 2016/343, non è di natura tale da compromettere gravemente gli obiettivi prescritti da detta direttiva qualora conferisca agli organi giurisdizionali la libertà di decidere tra l’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), dello stesso articolo, e l’applicazione di una normativa nazionale contraria a tali disposizioni.

C –          Interpretazione della direttiva 2016/343

1.            Considerazioni preliminari

54.      Se la Corte decidesse di accogliere la proposta avanzata nel precedente paragrafo, non ci sarebbe bisogno di esaminare le considerazioni sottostanti, che si riferiscono all’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2016/343.

55.      Il giudice del rinvio sostiene che era possibile interpretare il diritto nazionale conformemente alla direttiva 2016/343. In tale contesto, la Commissione, dopo aver concluso che il parere della Corte suprema non comprometteva gravemente i risultati prescritti da tale direttiva, ha proposto di riformulare la questione pregiudiziale. In particolare, essa ha suggerito di procedere all’interpretazione di detta direttiva e all’esame della compatibilità con quest’ultima di una normativa nazionale come quella che è stata oggetto del parere della Corte suprema.

56.      All’udienza la Commissione ha precisato che una questione così formulata sarebbe ricevibile, in quanto non si può escludere che determinati sistemi nazionali prevedano l’obbligo interno di procedere ad un’interpretazione conforme, anche prima della scadenza del termine di recepimento.

57.      Nella presente causa, nessun elemento del fascicolo reso disponibile alla Corte indica che tale obbligo sia imposto in Bulgaria. In mancanza di chiare indicazioni da parte del giudice del rinvio, ritengo che l’adozione di un simile approccio sarebbe incompatibile con la giurisprudenza che ha posto limiti alla ricevibilità delle questioni pregiudiziali puramente ipotetiche (22).

58.      Nonostante tale riluttanza, le considerazioni che seguono procedono all’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2016/343, al fine di assistere pienamente la Corte nel caso in cui desiderasse proseguire – cosa che sconsiglierei – nella direzione indicata dalla Commissione. In ogni caso, tali considerazioni assumono rilevanza unicamente nell’ipotesi in cui il sistema nazionale preveda l’interpretazione conforme prima della scadenza del termine di recepimento. Esse non possono in alcun modo essere interpretate come un ampliamento degli obblighi incombenti agli Stati membri durante il periodo di recepimento della direttiva 2016/343.

2.            L’interpretazione della direttiva 2016/343

59.      La Commissione ha rilevato che la situazione del sig. Milev rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2016/343, in quanto egli è imputato nella fase dibattimentale di un procedimento penale.

60.      Condivido il parere della Commissione in proposito.

61.      Infatti, benché la custodia cautelare non sia oggetto di una normativa specifica dell’Unione europea, le decisioni giudiziarie riguardanti la custodia cautelare attengono alla tutela della presunzione di innocenza, come viene garantita dalla direttiva 2016/343.

62.      Come ha sottolineato la Commissione, siffatta conclusione deriva dall’articolo 2 e dal considerando 12 della direttiva 2016/343, secondo cui quest’ultima si applica alle persone indagate o imputate, in tutte le fasi del procedimento penale, dal momento in cui una persona sia indagata per un reato. Inoltre, le decisioni riguardanti la custodia cautelare sono menzionate a titolo di esempio nel considerando 16 della direttiva in parola, tra le misure rientranti nel successivo articolo 4, quali «decisioni preliminari di natura procedurale».

63.      Di conseguenza, la presunzione di innocenza è opponibile alle decisioni giudiziarie riguardanti la custodia cautelare.

64.      Infatti, le decisioni giudiziarie relative alla custodia cautelare possono, in casi specifici, comportare una violazione del diritto fondamentale alla presunzione di innocenza, come enunciato dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta. Il significato e la portata di tale disposizione sono uguali a quelli dell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, come risulta dall’articolo 52, paragrafo 3, della Carta e dalle relative spiegazioni.

65.      Al riguardo, la Corte EDU ha statuito, nell’ambito del mantenimento di un ordine di custodia cautelare, che non si possono assimilare dei sospetti a una constatazione formale di colpevolezza (23). Difatti, la Corte EDU opera una distinzione tra le dichiarazioni «che rispecchiano l’idea che la persona interessata sia colpevole e quelle che si limitano a descrivere una situazione di sospetto», per poi concludere che «le prime violano la presunzione di innocenza, mentre le seconde sono considerate conformi allo spirito dell’articolo 6 della [CEDU]» (24).

66.      Pertanto, un’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2016/343, letta alla luce dell’articolo 48 della Carta, permette di affermare, al pari della Commissione, che il regime bulgaro che non consente al giudice che conosce della fase dibattimentale del procedimento penale di pronunciarsi sui «motivi plausibili» non può essere giustificato né dal punto di vista dell’imparzialità del giudice né da quello della presunzione di innocenza (25).

67.      Tuttavia, le decisioni giudiziarie riguardanti la custodia cautelare possono, in circostanze particolari, essere costitutive di una violazione del principio di imparzialità del giudice nonché del rispetto della presunzione di innocenza – che è strettamente collegato a tale principio. Ciò accade, per esempio, quando il giudice fonda l’ordine di custodia cautelare su «sospetti particolarmente forti che l’interessato abbia commesso i reati di cui trattasi» (26) o allorché un ordine di carcerazione contenga dichiarazioni che vanno oltre la descrizione di una situazione di sospetto (27).

68.      La questione sollevata nella presente causa riguarda tuttavia uno scenario completamente inverso, ossia l’assenza di controllo giurisdizionale dei motivi plausibili di sospettare che l’imputato abbia commesso il reato.

69.      A tal riguardo, la Commissione ritiene che l’obbligo del giudice di esaminare l’esistenza di motivi plausibili di sospettare che l’imputato abbia commesso un reato non derivi né da un principio generale di rispetto della presunzione di innocenza né dalle disposizioni della direttiva. Tenuto conto della giurisprudenza della Corte EDU, tale obbligo deriverebbe unicamente dall’articolo 5 della CEDU, quale garanzia procedurale del diritto fondamentale alla libertà. Secondo la Commissione, la direttiva 2016/343 non contiene disposizioni che specifichino i requisiti in materia di adozione o mantenimento della custodia cautelare. Poiché tale questione non è disciplinata né dalla direttiva in parola né da altri strumenti del diritto dell’Unione, essa non rientrerebbe nell’ambito di applicazione di quest’ultimo.

70.      Non posso condividere questa interpretazione.

71.      Infatti, nell’ambito della CEDU, che costituisce un sistema completo di tutela dei diritti dell’uomo, l’articolo 5 della CEDU è una disposizione specifica relativa alle misure che comportano una privazione della libertà. Di conseguenza, la Corte EDU verifica l’esistenza di «motivi plausibili» nell’ambito della custodia cautelare, alla luce dell’articolo 5 della CEDU. Quest’ultima disposizione contiene una norma specifica, al suo paragrafo 4, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), dello stesso articolo, secondo la quale i giudici investiti di una domanda di scarcerazione devono esaminare se esistano motivi plausibili di sospettare che il detenuto abbia commesso un reato. Di conseguenza, non sorprende che i ricorsi contro la Repubblica di Bulgaria in tale ambito siano stati fondati sull’articolo 5 della CEDU (28), dato che tale norma può essere considerata come una lex specialis (29) rispetto alla presunzione di innocenza.

72.      Nondimeno, il fatto che, nella giurisprudenza della Corte EDU, l’obbligo di esaminare i «motivi plausibili» sia sistematicamente fondato sull’articolo 5 della CEDU non impedisce di far discendere siffatto obbligo anche dalle esigenze legate alla presunzione di innocenza.

73.      Nel contesto del diritto dell’Unione, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta comporta, come conseguenza, che il significato e la portata dei diritti garantiti da quest’ultima sono uguali a quelli che la citata convenzione conferisce ai diritti corrispondenti. Tuttavia, ciò non implica che specifici principi, elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU in relazione ad un determinato diritto fondamentale non possano costituire, nell’ambito del diritto dell’Unione, elementi facenti parte del contenuto tutelato attraverso altri diritti fondamentali.

74.      In particolare, una simile limitazione non si potrebbe imporre nell’ambito dell’interpretazione, svolta alla luce dei diritti fondamentali, di un atto di diritto derivato che segua una logica interna diversa. Difatti, il sistema della Corte EDU permette di esaminare le censure in questione in relazione a disposizioni più specifiche, mentre il sistema di tutela dei diritti fondamentali istituito dalla Carta è diverso sotto tale aspetto, facendo riferimento esclusivamente all’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

75.      Di conseguenza, nell’ambito dell’interpretazione della direttiva 2016/343 relativa a determinati aspetti della presunzione di innocenza, il contenuto e il significato delle garanzie previste dall’articolo 3 della direttiva nonché dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta non possono essere concepiti in maniera restrittiva sulla base delle ragioni esposte dalla Commissione. A tal riguardo, è opportuno ricordare che l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più ampia di quella conferita dalla CEDU.

76.      In tale contesto, il nesso logico tra il criterio dei «motivi plausibili» nella fase della custodia cautelare e la presunzione di innocenza, quale garantita dall’articolo 3 della direttiva 2016/343 e dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, è assolutamente innegabile. Come sostiene il giudice del rinvio, la presunzione di innocenza rende praticamente impossibile adottare misure repressive nei confronti di una persona accusata di aver commesso un reato senza aver prima dimostrato almeno l’esistenza di un motivo plausibile per sospettare che essa ne sia l’autrice. Qualsiasi detenzione senza condanna costituisce indubbiamente «una grave deroga ai principi della libertà individuale e della presunzione di innocenza» (30). Pertanto, l’esistenza di «motivi plausibili» costituisce, nell’ambito della CEDU, uno dei criteri che consentono di privare una persona della libertà prima che sia pronunciata una qualsiasi condanna, nonostante la presunzione di innocenza (31). Così, nel contesto specifico della custodia cautelare, il requisito relativo ai «motivi plausibili» è legato alla garanzia della presunzione di innocenza.

77.      A mio avviso, l’assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale dei motivi plausibili di sospettare che l’imputato abbia commesso il reato può costituire una violazione della presunzione di innocenza.

78.      Tale concezione della presunzione di innocenza è peraltro sorretta da un esame sistematico delle disposizioni della direttiva 2016/343 riguardanti aspetti particolari della presunzione di innocenza.

79.      Così, il collegamento tra la necessità di dimostrare un minimo sospetto ragionevole e la presunzione di innocenza deriva dall’articolo 4 della direttiva 2016/343 letto in combinato disposto con il considerando 16 di quest’ultima.

80.      Ai sensi dell’articolo 4 della direttiva in parola, l’obbligo di garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole «lascia impregiudicat[e] (...) le decisioni preliminari di natura procedurale (...) fondate sul sospetto o su indizi di reità». Tra queste ultime il considerando 16 menziona in particolare le decisioni relative alla custodia cautelare. Peraltro, esso indica esplicitamente che, prima di prendere tale decisione, l’autorità competente «potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell’indagato o imputato tali da giustificare la decisione». Detta decisione «potrebbe contenere un riferimento a tali elementi».

81.      Pertanto, l’articolo 4 della direttiva 2016/343 preserva il potere discrezionale degli Stati membri esprimendo al contempo l’obbligo che gli stessi fondino le loro decisioni preliminari di natura procedurale, come i provvedimenti che dispongono la custodia cautelare, su elementi di giustificazione sufficienti. Da un canto, il legislatore dell’Unione ha voluto affermare che tali decisioni di per sé non costituiscono una violazione della presunzione di innocenza, anche se fanno riferimento all’esistenza di un sospetto. D’altro canto, il legislatore ha tuttavia espressamente previsto che i giudici possano essere obbligati a fondare tali decisioni su elementi di giustificazione sufficienti. Parimenti, la suddetta direttiva rispecchia l’esigenza di condurre un esame dei motivi idonei a giustificare le decisioni preliminari fondate su un sospetto, come quelle relative alla custodia cautelare. Di conseguenza, gli Stati membri devono rispettare le garanzie derivanti dalla Carta quando si avvalgono della summenzionata possibilità riguardante le «decisioni procedurali».

82.      Mi pare quindi che le garanzie inerenti alla presunzione di innocenza ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2016/343 siano opponibili tanto nell’ipotesi di un’azione «positiva» del giudice (per esempio, una decisione contenente affermazioni sulla colpevolezza dell’interessato), quanto nel caso di un’azione di natura «negativa», come accade in assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale dei sospetti alla base di una misura di custodia cautelare durante la fase dibattimentale del procedimento penale.

83.      Occorre parimenti sottolineare che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 obbliga gli Stati membri ad adottare le misure appropriate in caso di violazione dell’obbligo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in conformità con il successivo articolo 10. Infatti, ai sensi di quest’ultimo, gli indagati e gli imputati dispongono di un ricorso effettivo. Orbene, in assenza totale di un controllo giudiziario sui «motivi plausibili», siffatto ricorso non può essere effettivo.

84.      Per tali ragioni, il mantenimento di una persona in stato di detenzione senza alcun controllo giurisdizionale dei «motivi plausibili» può, a mio avviso, comportare una violazione del principio della presunzione di innocenza ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2016/343, nonché delle garanzie offerte dagli articoli 4 e 10 della direttiva stessa.

V –    Conclusione

85.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere allo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato, Bulgaria) nei seguenti termini:

Un parere del Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione, Bulgaria), intervenuto durante il periodo di recepimento della direttiva (UE) 2016/343, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, non è tale da compromettere gravemente gli obiettivi prescritti da tale direttiva qualora conferisca agli organi giurisdizionali la libertà di decidere tra l’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, letto in combinato disposto con il paragrafo 1, lettera c), del medesimo articolo, e l’applicazione di una normativa nazionale contraria a tali disposizioni.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      V., per esempio, Corte EDU, 27 marzo 2012, Nikolay Gerdjikov contro Bulgaria CE:ECHR:2012:0327JUD002706104, § 26 e giurisprudenza ivi citata.


3 –      GU 2016, L 65, pag. 1.


4 –      Sentenza del 5 aprile 2011, Société fiduciaire nationale d’expertise comptable (C‑119/09, EU:C:2011:208, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).


5 –      V., in tal senso, sentenze del 23 aprile 2009, VTB-VAB e Galatea (C‑261/07 e C‑299/07, EU:C:2009:244, punti da 35 a 41), nonché del 21 luglio 2011, Azienda Agro-Zootecnica Franchini e Eolica di Altamura (C‑2/10, EU:C:2011:502, punto 69).


6 –      V., per esempio, sentenze del 18 dicembre 1997, Inter-Environnement Wallonie (C‑129/96, EU:C:1997:628, punto 43); del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 114), nonché del 15 ottobre 2009, Hochtief e Linde-Kca-Dresden (C‑138/08, EU:C:2009:627, punto 25).


7 –      V., in particolare, sentenza del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 119).


8 –      V., per esempio, sentenze del 18 dicembre 1997, Inter-Environnement Wallonie (C‑129/96, EU:C:1997:628, punto 45); del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 21), nonché del 13 marzo 2014, Jetair e BTWE Travel4you (C‑599/12, EU:C:2014:144, punto 35).


9 –      V., per esempio, sentenza del 4 maggio 2016, Commissione/Austria (C‑346/14, EU:C:2016:322, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).


10 –      V., per esempio, sentenza del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 122).


11 –      Sentenza del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 115).


12 –      Sentenza del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 123).


13 –      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Nomarchiaki Aftodioikisi Aitoloakarnanias e a. (C‑43/10, EU:C:2011:651, paragrafo 108).


14 –      V. considerando 9 e 10 della direttiva.


15 –      V. paragrafi 59 e segg. delle presenti conclusioni.


16 –      Ciò potrebbe accadere, in particolare, nel caso di una decisione concernente misure di attuazione di una direttiva adottate durante il periodo di recepimento. V., in tal senso, la presa di posizione dell’avvocato generale Mazák nella causa Kadzoev (C‑357/09 PPU, EU:C:2009:691, punto 35).


17 –      Dagli atti di causa pervenuti alla Corte emerge che il parere è stato emesso in esito ad una procedura del tutto particolare. Lo Spetsializiran nakazatelen sad (tribunale penale specializzato), che ha richiesto il parere contestato della Corte suprema, nell’ordinanza del 9 marzo 2016 riconosce in effetti che la sua domanda di interpretazione è priva di base giuridica. Tuttavia, nella decisione di rinvio si afferma invece che tale parere ha carattere vincolante. In tale contesto, mi limiterò a constatare che spetta al giudice nazionale definire l’ambito normativo e fattuale di cui è responsabile. Non spetta alla Corte verificarne l’esattezza.


18 –      Sentenza del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709).


19 –      V., in tal senso, la sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 21).


20 –      V., in questo senso, sentenze del 7 settembre 2006, Cordero Alonso (C‑81/05, EU:C:2006:529, punto 29), e del 21 luglio 2011, Azienda Agro-Zootecnica Franchini e Eolica di Altamura (C‑2/10, EU:C:2011:502, punto 70).


21 –      V., in questo senso, sentenza del 23 settembre 2008, Bartsch (C‑427/06, EU:C:2008:517, punti 15 e segg.).


22 –      Al riguardo si può stabilire un parallelo con la linea giurisprudenziale avviata con la sentenza del 18 ottobre 1990, Dzodzi (C‑297/88 e C‑197/89, EU:C:1990:360). Difatti la Corte si è dichiarata competente a statuire sulle questioni pregiudiziali relative al diritto dell’Unione in situazioni in cui i fatti di cui al procedimento principale non rientrino nell’ambito di applicazione di quest’ultimo, ma in cui disposizioni del diritto dell’Unione siano state rese applicabili dal diritto nazionale a motivo di un rinvio. Tuttavia, «sebbene la Corte possa, in tali circostanze, procedere all’interpretazione richiesta, non le spetta prendere un’iniziativa in tal senso se dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta che al giudice del rinvio è effettivamente imposto siffatto obbligo». V. ordinanza del 12 maggio 2016, Sahyouni (C‑281/15, EU:C:2016:343, punto 28). V., inoltre, ordinanza del 30 gennaio 2014, C. (C‑122/13, EU:C:2014:59, punto 15).


23 –      V., per esempio, Corte EDU, Jasiński contro Polonia CE:ECHR:2005:1220JUD003086596, § 55; 22 aprile 2010, Chesne contro Francia, CE:ECHR:2010:0422JUD002980806 § 36, e 13 giugno 2013, Romenskiy contro Russia CE:ECHR:2013:0613JUD002287502, § 27.


24 –      V., per esempio, Corte EDU, 31 marzo 2016, Petrov e Ivanova contro Bulgaria, CE:ECHR:2016:0331JUD004577310, § 44 e giurisprudenza ivi citata.


25 –      In tal senso, la Corte EDU ha dichiarato, a proposito di una normativa bulgara che vietava ai giudici di analizzare i motivi plausibili di sospettare che l’interessato avesse commesso un reato, che «la preoccupazione di garantire l’imparzialità di un giudice penale non è in grado di giustificare una simile limitazione della portata del controllo esercitato dagli organi giurisdizionali in relazione alla regolarità della custodia cautelare». V., per esempio, Corte EDU, 26 luglio 2001, Ilijkov contro Bulgaria CE:ECHR:2001:0726JUD003397796, § 97, e 27 marzo 2012, Gerdjikov contro Bulgaria CE:ECHR:2012:0327JUD002706104, § 28.


26 –      In relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU (imparzialità dei tribunali), v. Corte EDU, 24 maggio 1989, Hauschildt contro Danimarca, CE:ECHR:1989:0524JUD001048683, § 52. In determinate cause, la Corte EDU ha esaminato anzitutto tali censure sulla base dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Di seguito, essa non ha ritenuto necessario proseguire l’esame alla luce dell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU.V. Corte EDU, 13 giugno 2013, Romensij contro Russia CE:ECHR:2013:0613JUD002287502, § 31.


27 –      V., in questo senso, in relazione all’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, Corte EDU, 27 febbraio 2007, Nešťák contro Slovacchia, CE:ECHR:2007:0227JUD006555901, § 88 ‑91; 20 novembre 2011, Fedorenko contro Russia, CE:ECHR:2011:0920JUD003960205, § 88‑93, nonché 10 novembre 2015, Slavov e a. contro Bulgaria, CE:ECHR:2015:1110JUD005850010, § 130.


28 –      V., per esempio, sentenze citate dal giudice del rinvio Corte EDU, 25 marzo 1999, Nikolova contro Bulgaria [GC], CE:ECHR:1999:0325JUD003119596, § 61‑66; 26 luglio 2001, Ilijkov contro Bulgaria CE:ECHR:2001:0726JUD003397796, § 95‑97; 21 luglio 2003, Hristov contro Bulgaria, CE:ECHR:2003:0731JUD003543697, § 116‑120; 9 giugno 2005, I.I. contro Bulgaria, CE:ECHR:2005:0609JUD004408298, § 103‑106; 21 dicembre 2006, Vassilev contro Bulgaria, CE:ECHR:2006:1221JUD006254400, § 33‑39; 13 novembre 2008, Bochev contro Bulgaria, CE:ECHR:2008:1113JUD007348101, § 64‑66 e 71; 21 aprile 2009, Rangelov contro Bulgaria, CE:ECHR:2009:0423JUD001438703, § 44‑47; 22 ottobre 2009, Dimitrov contro Bulgaria, CE:ECHR:2009:1022JUD003627502, § 86‑90; 26 novembre 2009, Koriyski contro Bulgaria, ECHR:2009:1126JUD001925703, § 44‑46, nonché 27 marzo 2012, Gerdjikov contro Bulgaria, CE:ECHR:2012:0327JUD002706104.


29 –      V., in tal senso, Trechsel, S., Human Rights in Criminal Proceedings, OUP 2005, p. 180. Per esempio, nella causa Erdem contro Germania, il ricorrente aveva sostenuto che la durata della sua custodia cautelare violava l’articolo 5, paragrafo 3, e l’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU. La Corte EDU, avendo constatato che tale custodia violava l’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU, non ha ritenuto necessario esaminare separatamente la censura del ricorrente sotto il profilo dell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU (Corte EDU, 5 luglio 2001, Erdem contro Germania, CE:ECHR:2001:0705JUD003832197, § 49).


30 –      Corte EDU, 10 novembre 1969, Stögmüller contro Austria, CE:ECHR:1969:1110JUD000160262, § 4.


31 –      Nel prendere posizione in merito all’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU [relativo alla durata della detenzione conformemente alle condizioni stabilite dal paragrafo 1, lettera c), dello stesso articolo], la Corte EDU ha dichiarato che «il proseguimento dell’incarcerazione in un determinato caso si giustifica solamente in presenza di indizi concreti che rivelino un’effettiva esigenza di pubblico interesse la quale prevalga, nonostante la presunzione di innocenza, sulla regola relativa al rispetto della libertà individuale, di cui all’articolo 5 della [CEDU]». V., per esempio, Corte EDU, 26 ottobre 2000, Kudla contro Polonia, CE:ECHR:2000:1026JUD003021096, § 110.