CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
M. CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA
presentate il 12 settembre 2017 (1)
Causa C‑524/15
Menci Luca
con l’intervento di:
Procura della Repubblica
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Bergamo (Italia)]
«Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Normativa nazionale che prevede una sanzione amministrativa e una sanzione penale per gli stessi fatti, relativi all’omesso versamento dell’IVA – Violazione del principio del ne bis in idem – Identità dei fatti – Ripetizione dei procedimenti o delle sanzioni – Eccezioni al divieto del ne bis in idem – Nesso materiale e temporale sufficientemente stretto tra i procedimenti»
1. In quali condizioni si applica il principio del ne bis in idem quando le normative di taluni Stati consentono di cumulare le sanzioni amministrative con quelle penali al fine di punire l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») per importi elevati? È questo, in sintesi, il problema sul quale la Corte è chiamata ancora una volta a pronunciarsi.
2. Nella sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (2), la Corte ha definito i criteri che i giudici nazionali dovevano applicare in relazione al diritto di una persona di non essere perseguita due volte per la medesima violazione dell’obbligo di pagamento dell’IVA. Lo ha fatto recependo soluzioni elaborate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), ma la risposta fornita in detta sentenza ha dato luogo a difficoltà e controversie tra i giudici di alcuni Stati membri, come l’Italia.
3. Inoltre, la Corte EDU ha modificato notevolmente la sua giurisprudenza relativa al principio del ne bis in idem nella sentenza del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia (3). La Corte di giustizia dovrà decidere se adottare questo nuovo orientamento, più restrittivo, in materia di ne bis in idem o mantenere un livello di protezione più elevato. A fini di chiarificazione della sentenza Åkerberg Fransson, la Corte dovrà quindi stabilire se nel diritto dell’Unione viga la limitazione al principio del ne bis in idem recentemente statuita dalla Corte EDU.
4. Le presenti conclusioni vengono presentate contestualmente a quelle nelle cause Garlsson Real State (C‑537/16), Di Puma (C‑596/16) e Consob (C‑597/16), tenuto conto della connessione esistente tra loro.
I. Contesto normativo
A. Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (in prosieguo: la «CEDU»)
5. Il protocollo n. 7 integrativo della CEDU, firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984 (in prosieguo: il «protocollo n. 7»), disciplina, all’articolo 4, il «diritto di non essere giudicato o punito due volte» nei seguenti termini:
«1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.
2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.
3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione».
B. Diritto dell’Unione europea
6. Ai sensi dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»):
«Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».
7. L’articolo 51 della Carta definisce l’ambito di applicazione della stessa:
«1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati.
2. La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati».
8. L’articolo 52 disciplina come segue la portata e l’interpretazione dei diritti e dei principi riconosciuti dalla Carta:
«1. Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
(…)
3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.
4. Laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni.
(…)
6. Si tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali, come specificato nella presente Carta».
C. Diritto italiano
9. L’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 471 (4), così recita:
«Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633» (5).
10. Il decreto legislativo del 10 marzo 2000, n. 74, relativo ai reati in materia di imposte dirette ed IVA(6) (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 74/2000»), disciplina, all’articolo 10 ter, l’«omesso versamento dell’IVA», disponendo quanto segue:
«La disposizione di cui all’art. 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo».
11. Conformemente all’articolo 10 bis del decreto legislativo n. 74/2000:
«È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta».
12. Gli articoli da 19 a 21 del decreto legislativo n. 74/2000, contenuti nel titolo «Rapporti con il sistema sanzionatorio amministrativo e fra procedimenti», prevedono, in sintesi: a) che si applica la disposizione speciale quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa; b) che il processo penale e il procedimento amministrativo si svolgono separatamente, vale a dire che nessuno dei due viene sospeso in attesa della risoluzione dell’altro; c) che l’autorità competente irroga le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato e d) che, tuttavia, tali sanzioni non sono eseguibili, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto e, in quest’ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui sono stati comunicati il provvedimento di archiviazione o la sentenza.
13. Successivamente alla data in cui si sono svolti i vari fatti all’origine del presente rinvio pregiudiziale, la normativa italiana è stata modificata dal decreto legislativo del 24 settembre 2015, n. 158 (7) (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 158/2015»), che ha riformato gli articoli 10 bis e 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000 e introdotto un’ulteriore causa di esclusione della punibilità mediante il nuovo articolo 13 del medesimo decreto.
14. In virtù dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 158/2015, l’articolo 10 bis del decreto legislativo n. 74/2000 è attualmente formulato come segue:
«È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta».
15. L’articolo 8 del decreto legislativo n. 158/2015 ha modificato come segue l’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, con effetto dal 22 ottobre 2015:
«È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta».
II. Controversia nazionale e questione pregiudiziale
16. Il sig. Luca Menci, in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, è stato sottoposto ad accertamento dall’autorità tributaria italiana a causa dell’omesso versamento dell’IVA per il periodo d’imposta 2011, il cui importo totale ammontava a EUR 282 495,76. L’accertamento si è concluso con la relativa liquidazione tributaria il 6 novembre 2013 e l’imposizione al sig. Menci di una sanzione pari a EUR 84 748,74. L’Amministrazione finanziaria ha accolto l’istanza di rateizzazione del sig. Menci, il quale ha proceduto al versamento delle prime rate.
17. Dopo la conclusione del procedimento amministrativo sanzionatorio e una volta divenuta definitiva la suddetta sanzione, la Procura della Repubblica, ritenendo che l’omesso versamento dell’IVA integrasse il reato previsto all’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, ha avviato un procedimento penale a carico del sig. Menci in data 13 novembre 2014.
18. Nell’ambito di detto procedimento penale, il Tribunale di Bergamo (Italia) ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se la previsione dell’art. 50 [della Carta], interpretato alla luce dell’art. 4 [del] protocollo n. 7 della [CEDU] e della relativa giurisprudenza della Corte [EDU], osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile».
19. La Corte ha disposto la riunione di tale rinvio con le cause Orsi (C‑217/15) e Baldetti (C‑350/15). Hanno presentato osservazioni scritte il difensore del sig. Menci, il governo italiano e la Commissione europea. L’udienza (congiunta per le tre cause) si è tenuta l’8 settembre 2016.
20. Prima della lettura delle conclusioni, annunciata per il 17 novembre 2016, è stata pubblicata la sentenza della Corte EDU del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia. A seguito di tale sentenza, in data 30 novembre 2016 la Quarta Sezione della Corte ha deciso di separare la causa Menci dalle due cause precedenti, proponendone l’assegnazione alla Grande Sezione (8).
21. Con ordinanza del 25 gennaio 2017, la Grande Sezione ha disposto la riapertura della fase orale. L’udienza si è tenuta il 30 maggio 2017, unitamente all’udienza relativa alle cause Garlsson Real State (C‑537/16), Di Puma (C‑596/16) e Consob (C‑597/16) (9). All’udienza, il sig. Menci, la Commissione nonché i governi italiano e tedesco hanno presentato osservazioni relativamente alle questioni attinenti al presente rinvio pregiudiziale.
III. Analisi della questione pregiudiziale
22. La correlazione sotto il profilo metodologico operata dalla Corte nella sentenza del 5 aprile 2017, Orsi e Baldetti (10), analizzando l’articolo 50 della Carta in combinato disposto con l’articolo 4 del protocollo n. 7 si riflette come segue nei punti 15 e 24 di detta sentenza:
– «[L’]esame della questione sollevata deve essere condotto alla luce unicamente dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta».
– Al termine di tale esame, «ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, nella misura in cui l’articolo 50 della medesima contiene un diritto corrispondente a quello previsto all’articolo 4 del protocollo n. 7 alla CEDU, occorre garantire che la predetta interpretazione dell’articolo 50 della Carta non sia in contrasto con il livello di tutela garantito dalla CEDU».
23. Orbene, per interpretare l’articolo 50 della Carta occorre inoltre ricordare che, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della stessa, «[l]addove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione». (11)
24. Pertanto, mi occuperò in primo luogo della giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 50 della Carta, in quanto riferimento necessario per applicare il principio del ne bis in idem ai casi di cumulo di sanzioni tributarie e penali per omesso versamento dell’IVA.
25. Esporrò poi il mio parere riguardo all’eventuale effetto su tale giurisprudenza delle pronunce della Corte EDU, compresa la sentenza A e B c. Norvegia. Esaminerò inoltre la possibilità che la Corte elabori una modalità autonoma di analisi dei procedimenti misti (penali e amministrativi) che presentano un nesso materiale e temporale sufficiente.
26. Infine, una volta concluse dette analisi, tornerò ai fatti del presente procedimento pregiudiziale per proporre una risposta che consenta al giudice nazionale di dirimere la controversia.
A. Giurisprudenza della Corte sull’applicazione dell’articolo 50 della Carta al cumulo di sanzioni tributarie e penali
27. Il principio del ne bis in idem compare nel diritto dell’Unione con diverse varianti (12) il cui trattamento non è ancora stato reso uniforme dalla Corte, nonostante gli inviti in tal senso di alcuni avvocati generali (13). Non mi soffermerò sull’analisi della giurisprudenza, più restrittiva, che interpreta tale principio in riferimento alle norme sulla difesa della libera concorrenza, né su quella relativa all’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, più estensiva, che offre un livello più elevato di tutela dei diritti degli accusati in tale materia.
28. La giurisprudenza della Corte sull’applicazione del principio del ne bis in idem al cumulo di sanzioni tributarie e penali come risposta dello Stato all’omesso versamento di imposte (in particolare dell’IVA) è stata definita nella sentenza Åkerberg Fransson. Dopo avere applicato i criteri Engel volti a stabilire se una sanzione sia realmente di «natura penale», nonostante la sua formale configurazione amministrativa, la Corte ha fatto espressamente riferimento all’effettività delle sanzioni, il cui rapporto con la giurisprudenza della Corte EDU può risultare di difficile articolazione.
29. Nella sentenza Åkerberg Fransson (14), dopo essersi dichiarata competente a rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale (15), la Corte ha dichiarato che il principio del ne bis in idem «non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale» (16). La libertà di scelta delle sanzioni da parte degli Stati membri si giustifica con la necessità di assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione (17).
30. Tuttavia, la Corte ha fissato un limite al cumulo di sanzioni penali e tributarie: «qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell’articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona». Pertanto, è possibile comminare simultaneamente sanzioni tributarie e penali, ma non imporre una sanzione nominalmente amministrativa che, in realtà, abbia natura repressiva, unitamente a una sanzione penale (18).
31. Per stabilire, specularmente, quando una sanzione tributaria sia di carattere penale, la Corte ha fatto ricorso, come già detto, ai «criteri Engel», che aveva precedentemente utilizzato nella sentenza Bonda (19). Tuttavia, anziché applicarli essa stessa a una normativa come quella svedese, ha lasciato tale compito al giudice nazionale remittente (20), con l’avvertenza che esso avrebbe potuto concludere nel senso dell’incompatibilità del cumulo di sanzioni tributarie e penali con l’articolo 50 della Carta solo se le rimanenti sanzioni erano effettive, proporzionate e dissuasive (21).
32. L’efficacia nella repressione delle frodi e la tutela degli interessi finanziari dell’Unione fanno quindi da contrappunto ai fini della valutazione dell’incompatibilità del cumulo di sanzioni tributarie e penali con il principio del ne bis in idem, quando si tratta di tributi che riguardano detti interessi.
33. L’esigenza di effettività delle sanzioni si trasforma, secondo la sentenza Taricco e a. (22), in un requisito che incide sulla libertà di scelta degli Stati membri, in quanto «possono (…) essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA». Siffatta limitazione trova peraltro fondamento nell’articolo 325 TFUE, ai sensi del quale gli Stati membri devono lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, devono adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi (23).
34. In definitiva, con le sentenze Bonda (24) e Åkerberg Fransson la Corte ha interpretato l’articolo 50 della Carta in assonanza con (25) la giurisprudenza sino ad allora prevalente della Corte EDU in materia di ne bis in idem (26). Tale convergenza era logica, data la similitudine tra la disciplina del ne bis in idem di cui all’articolo 4 e del protocollo n. 7 e quella di cui all’articolo 50 della Carta (27).
B. Giurisprudenza della Corte EDU sul principio del ne bis in idem e il cumulo di sanzioni tributarie e penali
35. La tutela del principio del ne bis in idem nel contesto del Consiglio d’Europa non è esente da complicazioni. Tale diritto non è stato incluso nella CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e la sua tutela è stata realizzata successivamente mediante il protocollo n. 7, ratificato da quarantaquattro dei quarantasette Stati membri del Consiglio d’Europa. Il Regno Unito non lo ha sottoscritto e la Germania e i Paesi Bassi sono riluttanti a ratificare tale protocollo La Germania, al momento della firma, nonché vari altri paesi durante la sua conclusione (Austria, Francia, Portogallo e Italia), hanno formulato riserve o dichiarazioni nei loro strumenti di ratifica, al fine di circoscrivere la competenza della Corte EDU all’ambito strettamente penale, onde poter mantenere il doppio binario di sanzioni amministrative e penali per gli stessi fatti (28).
36. La giurisprudenza della Corte EDU ha limitato gli effetti di tali riserve o dichiarazioni, subordinandone la validità, conformemente all’articolo 57 della CEDU, al rispetto delle seguenti condizioni: devono essere formulate al momento della firma del protocollo, devono riguardare norme vigenti all’epoca della ratifica, non devono essere di carattere generale e devono contenere una breve esposizione delle norme interessate (29). Ritenendo che non sussistessero tali condizioni, nella sentenza Grande Stevens e a. c. Italia (30) la Corte EDU ha considerato invalida la dichiarazione formulata dall’Italia nello strumento di ratifica del protocollo n. 7, che era intesa a limitarne l’applicazione unicamente alle sanzioni e ai procedimenti qualificati come penali dal diritto italiano.
37. Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il principio del ne bis in idem vieta di avviare due o più procedimenti di natura penale (doppio procedimento) e di applicare due o più condanne definitive (doppia condanna) nei confronti della stessa persona e per gli stessi fatti. Lo scopo di tale principio è impedire la ripetizione di procedimenti penali già conclusi, nonché garantire la certezza del diritto per i singoli, proteggendoli dall’alea di poter essere sottoposti a un doppio esercizio dell’azione giudiziaria, a un doppio procedimento o a una doppia condanna. Buona parte di tale giurisprudenza della Corte EDU verte, in particolare, sulla duplicazione delle sanzioni tributarie e penali.
38. L’applicazione del principio del ne bis in idem da parte della Corte EDU è subordinata alla sussistenza di quattro condizioni: 1) l’identità della persona imputata o sanzionata, 2) l’identità dei fatti sui quali vertono i procedimenti (idem), 3) la duplicità di procedimenti sanzionatori (bis) e 4) il carattere definitivo di una delle due decisioni. Le condizioni rilevanti ai fini della presente causa, all’origine di ampia e ampiamente controversa giurisprudenza della Corte EDU, sono l’identità dei fatti (idem) e la duplicità di procedimenti (bis).
1. Identità dei fatti (concetto di «idem»)
39. Tale elemento del principio del ne bis in idem richiede di stabilire se i procedimenti ripetuti debbano vertere unicamente sul medesimo comportamento (idem factum) oppure sia necessario altresì che si applichi la medesima qualificazione giuridica (idem crimen).
40. Inizialmente, la giurisprudenza della Corte EDU è stata molto eterogenea e, in alcuni casi di cumulo di sanzioni penali e tributarie, ha dichiarato che gli stessi fatti potevano essere oggetto di sanzione penale e di sanzione amministrativa, poiché le stesse non tenevano conto dei medesimi elementi (31).
41. Per influenza della giurisprudenza della Corte di giustizia relativa all’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (32), la Corte EDU ha proceduto a una revisione e riconfigurazione della sua giurisprudenza nella fondamentale sentenza Zolotoukhin c. Russia (33), nella quale ha affermato che l’articolo 4 del protocollo n. 7. vieta di punire una seconda violazione sulla base di fatti identici, o sostanzialmente uguali, a quelli sui quali è stata basata la prima, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica (opzione chiara per l’idem factum e negazione dell’idem crimen). La Corte EDU descrive l’identità dei fatti come un insieme di circostanze concrete che riguardano il medesimo autore, inscindibilmente collegate tra loro nel tempo e nello spazio (34).
42. Nella sua giurisprudenza successiva (35), la Corte EDU ha mantenuto tale approccio, favorevole alle garanzie dei singoli, consistente nel valutare l’idem factum a fronte dell’idem crimen. Nella sentenza della Grande Camera A e B c. Norvegia (36) lo ha nuovamente confermato.
2. Ripetizione dei procedimenti sanzionatori (concetto di bis)
43. La duplicazione di procedimenti sanzionatori di carattere penale è l’elemento che ha dato luogo a più difficoltà nell’applicazione dell’articolo 4 del protocollo n. 7. Quando si cumulano procedimenti o condanne vertenti su fatti identici, promananti da giudici penali, l’applicazione di detto principio non solleva grandi difficoltà. Tuttavia, esistono norme di natura repressiva che i legislatori nazionali possono configurare come norme di diritto amministrativo sanzionatorio, e non di diritto penale, al fine di eludere l’applicazione delle tutele e delle garanzie proprie dei procedimenti penali (37).
a) Giurisprudenza generale della Corte EDU
44. La proliferazione di norme di diritto amministrativo sanzionatorio di carattere repressivo spiega perché la Corte EDU abbia elaborato criteri specifici e autonomi, a partire dalla sentenza Engel e a. c. Paesi Bassi (38), al fine di chiarire le nozioni di «accusa penale» di cui all’articolo 6 della CEDU e di «pena» ai sensi dell’articolo 7 della CEDU. Nello specifico, per interpretare l’articolo 4 del protocollo n. 7, ha parimenti fatto ricorso ai cosiddetti «criteri Engel» (39), vale a dire la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, la natura dell’illecito nonché la natura e intensità o gravità della sanzione inflitta all’autore dell’illecito. Gli ultimi due criteri sono alternativi, ma la Corte EDU può, in funzione delle particolarità del caso, valutarli congiuntamente (40).
45. Nella sentenza A e B c. Norvegia, la Corte EDU ha riaffermato l’utilizzo esclusivo dei criteri Engel, sebbene alcuni Stati intervenienti in quella causa avessero suggerito altri criteri aggiuntivi per potenziarne l’applicazione, al di là dei confini ristretti del diritto penale (41).
46. Il primo criterio «Engel» attiene alla qualificazione dell’illecito nel diritto nazionale, che la Corte EDU considera soltanto come il punto di partenza per stabilire se una sanzione abbia «natura penale». Non è una regola decisiva, salvo che lo stesso diritto nazionale qualifichi come penali entrambe le sanzioni, nel qual caso, logicamente, il principio del ne bis in idem è senz’altro applicabile. Se, invece, l’ordinamento interno qualifica la sanzione come amministrativa, sarà necessario esaminarla alla luce degli altri due criteri, in considerazione dei quali occorrerà decidere se, nonostante tutto, detta sanzione abbia «natura penale» ai fini dell’articolo 4 del protocollo n. 7.
47. Il secondo criterio «Engel» riguarda la natura dell’illecito. Nella giurisprudenza della Corte EDU, per accertare se una violazione tributaria di carattere amministrativo sia in realtà di natura penale si tiene conto di fattori quali: a) i destinatari della norma sanzionatoria, nel senso che, qualora sia diretta al pubblico in generale, e non a un gruppo chiaramente delimitato di destinatari, essa sarà generalmente di «carattere penale» (42); b) lo scopo della norma di cui trattasi, poiché l’illecito non presenterà tale carattere se la sanzione prevista è diretta unicamente al risarcimento dei danni patrimoniali (43) e sarà invece di carattere penale allorché la sua previsione risponde a finalità repressive e preventive (44), e c) il bene giuridico tutelato dalla disposizione nazionale sanzionatoria, la quale sarà di carattere penale se è intesa a proteggere beni giuridici la cui tutela è normalmente garantita mediante norme di diritto penale (45).
48. Il terzo criterio «Engel» riguarda la natura e il grado di severità della sanzione. Le pene privative della libertà sono, di per sé, norme di natura penale (46) e lo stesso vale per quelle pecuniarie la cui inosservanza possa comportare una detenzione sostitutiva o l’iscrizione nel casellario giudiziale (47).
49. Applicando tali criteri al cumulo di sanzioni tributarie e penali, la Corte EDU ha ritenuto, in non poche occasioni, che le prime hanno «carattere penale» ai sensi degli articoli 6 e 7 della CEDU e, per analogia, dell’articolo 4 del suo protocollo n. 7 (48). Ciò è accaduto, in particolare, in casi relativi a sanzioni pecuniarie inflitte nell’ambito di procedimenti amministrativi vertenti sull’omesso versamento di imposte, ancorché per importi modesti (49). La Corte EDU perviene a detta conclusione dopo avere esaminato la natura e la severità della sanzione, valutando se possa essere applicata integralmente, cioè senza tenere conto dell’importo finale risultante da eventuali sconti concessi dall’Amministrazione finanziaria (50). In tal senso, la Corte EDU ha considerato irrilevante la circostanza che la prima sanzione sia stata detratta dalla seconda al fine di ridurre la doppia sanzione (51).
50. Per contro, la Corte EDU ha dichiarato che non rivestono carattere penale i procedimenti e le misure fiscali diretti al recupero delle imposte non pagate e a riscuotere gli interessi di mora, a prescindere dal loro importo (52).
51. In altre pronunce, la Corte EDU ha confermato che la garanzia inerente al principio del ne bis in idem non si applica solo in caso di doppia condanna, ma anche in caso di doppia sottoposizione a giudizio, vale a dire, a coloro i quali siano stati oggetto di accuse che non hanno portato a una condanna. La Corte EDU ha parimenti confermato che è irrilevante che il procedimento amministrativo preceda o segua il procedimento penale, che la prima sanzione sia compensata con quella applicata nel secondo o che l’interessato sia stato assolto al termine del secondo o del primo procedimento (53).
52. La vis espansiva di tale giurisprudenza della Corte EDU ha favorito la tutela dei singoli di fronte al potere repressivo delle autorità nazionali. Una simile circostanza può forse spiegare la reazione di alcuni Stati, percettibile nelle tesi da essi sostenute nella causa A e B c. Norvegia (54), alla quale detto giudice è stato sensibile.
b) Eccezione nei casi di procedimenti misti che presentano un nesso temporale e materiale sufficientemente stretto: la sentenza A e B c. Norvegia
53. Nella sentenza A e B c. Norvegia, la Corte EDU ammette che, in presenza di sanzioni formalmente amministrative aventi carattere penale, l’articolo 4 del protocollo n. 7 non si assume violato dal cumulo di procedimenti penali e amministrativi sanzionatori, purché esista tra essi un nesso materiale e temporale sufficientemente stretto. Se lo Stato dimostra che fra tali procedimenti sussiste siffatto nesso temporale o materiale, non vi è «ripetizione di procedimenti o di pene (bis)». (55)
54. Secondo la Corte EDU, per stabilire se sussista un nesso materiale sufficientemente stretto tra i procedimenti penali e amministrativi sanzionatori, occorre attenersi in particolare ai seguenti criteri (56):
– le finalità complementari dei procedimenti e il loro rapporto con diversi aspetti dell’atto pregiudizievole per la società. La complementarietà e la coerenza saranno tanto maggiori quanto più lontane dal «nocciolo duro del diritto penale» siano le sanzioni del procedimento amministrativo, e viceversa (57);
– il doppio binario, sotto il profilo giuridico e nella pratica, dei procedimenti quando sia una conseguenza prevedibile del medesimo comportamento sanzionato;
– la complementarietà nell’istruzione dei procedimenti che eviti, laddove possibile, la ripetizione della raccolta e della valutazione degli elementi di prova, grazie all’interazione tra le diverse autorità, in modo che gli accertamenti di fatto operati in uno dei procedimenti siano acquisiti nell’altro;
– il calcolo e la presa in considerazione della sanzione inflitta nel primo procedimento al momento di imporre quella del secondo, in modo che la sanzione inflitta al singolo non comporti un onere eccessivo, risultando adeguata ad evitare tale rischio l’esistenza di un procedimento di compensazione.
55. La Corte EDU è meno precisa circa le regole per dimostrare il nesso temporale sufficiente tra i procedimenti. Essa si limita ad indicare che non occorre che il procedimento penale e quello amministrativo si svolgano simultaneamente, dal principio alla fine, e aggiunge che la prova sarà tanto più difficile per lo Stato quanto più ampio sarà lo sfasamento temporale tra i due procedimenti (58).
56. Dal confronto tra i fatti in discussione nella sentenza A e B c. Norvegia, da un lato, e quelli nella successiva sentenza del 18 maggio 2017, Jóhannesson e a. c. Islanda (59), dall’altro, emergono ostacoli quasi insormontabili che i giudici nazionali dovranno affrontare per chiarire a priori, con un minimo di certezza e prevedibilità, quando sussista tale nesso temporale.
C. Incidenza della sentenza A e B c. Norvegia sul diritto dell’Unione
57. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il significato e la portata del suo articolo 50 devono essere «uguali a quelli conferiti» dalla corrispettiva disposizione della CEDU. Ai fini della sua interpretazione, il diritto tutelato dall’articolo 50 della Carta non può essere disgiunto dall’articolo 4 del protocollo n. 7, senza che la mancata ratifica o le riserve e le dichiarazioni di alcuni Stati (60) relative a quest’ultimo siano rilevanti per la Corte.
58. Tale è l’orientamento implicitamente seguito dalla sentenza Åkerberg Fransson, nella quale non è stato ammesso che il numero di ratifiche del protocollo della CEDU dovesse incidere sul suo utilizzo come criterio per l’interpretazione dell’articolo 50 della Carta, nonostante le riserve espresse in tal senso (61).
59. La nota esplicativa relativa all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta indica che «[i]l riferimento alla CEDU riguarda sia la convenzione che i relativi protocolli». È irrilevante che questi ultimi siano o meno vincolanti per tutti gli Stati membri dell’Unione (62). Inoltre, tale differenziazione potrebbe determinare un’interpretazione e un’applicazione della Carta non uniformi (63), a seconda che lo Stato sia o meno vincolato da un protocollo allegato alla CEDU.
60. Orbene, il nuovo orientamento giurisprudenziale adottato dalla Corte EDU nella sentenza A e B c. Norvegia rappresenta una notevole sfida per la Corte di giustizia. Il rispetto istituzionale tra i due organi giurisdizionali osta a qualsiasi commento critico (64), ma non vieta di osservare che, con il suo nuovo approccio, la Corte EDU ha modificato in misura significativa la portata finora attribuita al principio del ne bis in idem.
61. In tale contesto, ritengo che la Corte possa optare per una delle due soluzioni seguenti:
– accettare - tout court - la limitazione del principio del ne bis in idem stabilita dalla sentenza A e B c. Norvegia e applicarla nell’ambito dell’articolo 50 della Carta, prendendo in considerazione l’articolo 52, paragrafo 3, della stessa;
– respingere tale limitazione e mantenere il livello di tutela fissato nella sentenza Åkerberg Fransson facendo riferimento alla (precedente) giurisprudenza generale della Corte EDU. In tal modo, la Corte attiverebbe la clausola dell’articolo 52, paragrafo 3, in fine, secondo cui l’obbligo di interpretare in modo omogeneo le disposizioni della Carta dal contenuto analogo a quelle della CEDU «non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».
62. A parte queste due opzioni, stante la sentenza A e B c. Norvegia la Corte può, logicamente, elaborare una giurisprudenza specifica per determinare la compatibilità con l’articolo 50 della Carta dei cosiddetti «procedimenti misti (amministrativi e penali) che presentano un nesso sufficiente».
1. Allineamento alla nuova giurisprudenza della Corte EDU
63. Siffatta soluzione sarebbe certamente in linea con il dovere di interpretazione armonica delle disposizioni della Carta e di quelle della CEDU (e dei suoi protocolli) sulla base dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta.
64. Vari governi intervenuti nel procedimento propugnano siffatto allineamento, richiamandosi peraltro alle norme di interpretazione della Carta contenute nel suo articolo 52, paragrafi 4 e 6. La prima indica che, «[l]addove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni». A tenore della seconda, «[si] tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali, come specificato nella presente Carta».
65. I governi menzionati osservano che, per quanto riguarda la possibilità di cumulare sanzioni penali e amministrative per gli stessi fatti, le legislazioni e le prassi nazionali sono molto variegate. A fronte di tale realtà eterogenea, essi auspicano un’interpretazione restrittiva dell’articolo 50 della Carta, che garantisca agli Stati un potere repressivo adeguato, come avrebbe fatto la Corte EDU nella sentenza A e B. c. Norvegia.
66. Non condivido tali argomenti. La norma interpretativa di cui all’articolo 52, paragrafo 6, non è applicabile all’articolo 50 della Carta, dato che, come affermato dalla Commissione, detta disposizione non contiene alcun riferimento alle legislazioni e alle prassi nazionali (a differenza di altre, quali gli articoli 16, 27, 28, 30, 34, 35 o 36 della Carta).
67. Nemmeno la regola di cui all’articolo 52, paragrafo 4, è pertinente per definire la portata dell’articolo 50 della Carta. Da un lato, i medesimi governi ammettono che non esistono tradizioni costituzionali comuni per quanto riguarda il contenuto del diritto in parola (65). Dall’altro, le tradizioni degli Stati che limitano l’efficacia del principio del ne bis in idem esclusivamente al diritto penale condurrebbero a un’interpretazione dell’articolo 50 più restrittiva perfino di quella adottata dalla Corte EDU in relazione all’articolo 4 del protocollo n. 7.
68. Un simile risultato sarebbe incompatibile con l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, sicché le tradizioni costituzionali comuni, ove ne esistessero in materia, potrebbero servire come criterio di interpretazione dell’articolo 50 della Carta solo qualora comportassero un livello di tutela del diritto più elevato (66).
69. Da parte mia, non vedo motivi (ma piuttosto inconvenienti) per i quali la Corte dovrebbe aderire alla decisione della Corte EDU di ridurre il contenuto del diritto che il principio del ne bis in idem garantisce ai singoli, quando si tratti di sanzioni della stessa natura (materialmente penali) imposte due volte per i medesimi fatti. Ritengo che sia difficile rinunciare al livello di tutela già raggiunto con la sentenza Åkerberg Fransson solo perché la Corte EDU ha cambiato orientamento (67) interpretando, nell’ambito di sua competenza, l’articolo 4 del protocollo n. 7.
70. In primo luogo, la stessa Corte EDU riconosce (68) che il modo migliore per rispettare il principio del ne bis in idem, previsto dall’articolo 4 del protocollo n. 7, è il binario unico di sanzione e considera quindi il doppio binario in caso di procedimenti misti come un’eccezione a tale regola generale. Se esiste un doppio procedimento, ancorché misto, la conseguenza, di norma, è la violazione del principio del ne bis in idem.
71. In secondo luogo, il mutamento di orientamento giurisprudenziale diretto a far salvi i «procedimenti misti che presentano un nesso temporale e materiale sufficiente» è ispirato a una posizione di deferenza verso gli argomenti degli Stati parti della CEDU (69). La Corte EDU attribuisce rilevanza alla circostanza che il principio del ne bis in idem non sia stato incluso nella CEDU e sia stato aggiunto ad essa solo nel 1984 (mediante il protocollo n. 7), con riserve e dichiarazioni di alcuni firmatari. La riluttanza di taluni Stati ad accettare il ne bis in idem e le divergenze tra i diritti nazionali sembrano avere influito sul riconoscimento di tale notevole eccezione alla sua applicazione (non prevista, quanto meno non espressamente, dall’articolo 4 del protocollo n. 7) (70).
72. Non credo, ripeto, che la Corte di giustizia debba seguire la Corte EDU su questa strada. L’interpretazione dell’articolo 50 della Carta non può dipendere dalla maggiore o minore predisposizione degli Stati a rispettarne il contenuto, giuridicamente vincolante. Se nella giurisprudenza della Corte si era consolidato un orientamento secondo cui due procedimenti, paralleli o successivi, che sfocino in due sanzioni materialmente penali, per gli stessi fatti, continuano ad essere due (bis) e non uno, non ravviso validi motivi per abbandonare tale orientamento.
73. Inoltre, introdurre nel diritto dell’Unione un criterio di interpretazione dell’articolo 50 della Carta fondato sul maggiore o minore nesso materiale e temporale tra alcuni procedimenti (quelli penali) e altri (quelli amministrativi sanzionatori) aggiungerebbe notevole incertezza e complessità al diritto delle persone di non essere giudicate né condannate due volte per gli stessi fatti. I diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta devono essere di facile comprensione per tutti e il loro esercizio richiede una prevedibilità e una certezza che, a mio parere, non sono compatibili con un simile criterio.
2. Tutela più elevata del principio del ne bis in idem nel diritto dell’Unione
74. La Corte ha ribadito che, anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di dare ai diritti in essa contemplati corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di quelli loro conferiti dalla suddetta convenzione, quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione (71).
75. Tale giurisprudenza sottolinea l’autonomia della Corte di giustizia nell’interpretare le disposizioni della Carta, che sono le sole applicabili nell’ambito del diritto dell’Unione. Pertanto, la giurisprudenza della Corte EDU può non essere presa in considerazione quando, in relazione a diritti della Carta di contenuto analogo a quelli della CEDU e dei suoi protocolli, l’interpretazione della Corte di giustizia stabilisca un livello di tutela più elevato, sempre che ciò non leda un altro diritto garantito dalla Carta (72).
76. Nell’esercizio di tale autonomia, la Corte di giustizia potrebbe elaborare una propria interpretazione dell’articolo 50 della Carta, improntata alla continuità, divergente dalla linea giurisprudenziale rappresentata dalla sentenza della Corte EDU A e B c. Norvegia. Sarebbe sufficiente verificare che tale interpretazione rispetti (73) e oltrepassi il livello di tutela garantito dall’articolo 4 del protocollo n. 7, quale inteso dalla Corte EDU.
77. Poiché la sentenza A e B c. Norvegia riduce le garanzie per gli amministrati derivanti dalla suddetta disposizione, consentendo il cumulo di procedimenti, pene e sanzioni amministrative dal contenuto materialmente penale, nelle circostanze sopra indicate, la Corte assicurerebbe un livello di tutela più elevato, nell’ambito dell’articolo 50 della Carta, mantenendo senza riserve la sua giurisprudenza pregressa, sulla scia della sentenza Åkerberg Fransson.
D. Una soluzione autonoma per circoscrivere la portata dell’articolo 50 della Carta?
78. L’articolo 50 della Carta, al pari dell’articolo 4 del protocollo n. 7, sancisce il principio del ne bis in idem in quanto diritto fondamentale della persona, non soggetto a deroghe. Talvolta non si tiene sufficientemente conto di simile qualità e si fanno prevalere sul diritto in parola considerazioni di ordine economico (la situazione delle finanze pubbliche, ad esempio), che, pur essendo perfettamente legittime in altri ambiti, non sono sufficienti a giustificarne la limitazione (74).
79. Orbene, nella sentenza Spasic (75), la Corte ha ammesso talune limitazioni alla tutela conferita dal principio del ne bis in idem nell’ambito dell’articolo 50 della Carta. In particolare, la Corte ha dichiarato che l’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (il quale subordina l’applicazione del principio del ne bis in idem alla condizione che, in caso di condanna, la pena «sia stata eseguita», sia «in corso di esecuzione attualmente» o non possa più essere eseguita) è compatibile con l’articolo 50 della Carta.
80. Si potrebbe ammettere, su questa stessa linea, il doppio binario di sanzioni penali e tributarie di contenuto materialmente penale per gli stessi fatti, quando si tratti di procedimenti paralleli? Secondo la clausola orizzontale di cui all’articolo 52, paragrafo 1, prima frase, della Carta, la limitazione del diritto al ne bis in idem deve essere prevista dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detto diritto. Ai sensi della seconda frase del medesimo paragrafo, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni al principio del ne bis in idem solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (76).
81. Dei quattro requisiti indispensabili per legittimare la limitazione del diritto fondamentale, il primo e l’ultimo non solleverebbero, nel caso di specie, particolari difficoltà. La legge nazionale darebbe copertura alla doppia sottoposizione a giudizio e quest’ultima risponderebbe a una finalità di interesse generale riconosciuta dallo stesso diritto dell’Unione (vale a dire, l’esigenza che le sanzioni per le frodi gravi in materia di IVA siano efficaci e dissuasive, menzionata nella sentenza Åkerberg Fransson e successivamente ribadita nella sentenza Taricco e a. (77)).
82. Tuttavia, dubito che in tale contesto si rispetterebbe il contenuto essenziale del diritto a non essere giudicato o condannato penalmente due volte per la stessa violazione. In ogni caso, ed è questo il fattore chiave, la limitazione finora analizzata non mi sembra necessaria ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
83. La circostanza che le normative degli Stati membri prevedano soluzioni diverse per tale questione dimostra di per sé, a mio modo di vedere, il carattere innecessario di siffatta limitazione. Se fosse realmente imprescindibile ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, lo sarebbe per tutti e non solo per alcuni degli Stati membri.
84. Da una panoramica delle normative di vari Stati membri dell’Unione emerge che esistono almeno due diversi sistemi di sanzione delle frodi relative all’omesso pagamento dell’IVA.
85. In primo luogo, i sistemi che si potrebbero definire a doppio binario (quello italiano del «doppio binario penale‑amministrativo in materia tributaria» o quello svedese esaminato nella sentenza Åkerberg Fransson) consentono di svolgere in parallelo procedimenti amministrativi sanzionatori, di competenza delle autorità tributarie, e procedimenti penali, di competenza dei pubblici ministeri e dei giudici, e di cumulare sanzioni tributarie e sanzioni penali (comprese le pene privative della libertà, quelle pecuniarie e altre pene privative di diritti) nei casi più gravi di frode.
86. In secondo luogo, i sistemi che si potrebbero qualificare come sistemi a binario unico consentono, in caso di omesso versamento dell’IVA per importi elevati, di avviare procedimenti e applicare sanzioni tributarie o penali, ma ne vietano il cumulo. Se il valore della frode supera una determinata soglia, spesso gli ordinamenti nazionali attribuiscono rilevanza penale a tale comportamento e ne prevedono la repressione unicamente con sanzioni penali (di nuovo, pene detentive, multe e altro) (78), anche qualora, logicamente, l’Amministrazione liquidi, eventualmente, l’importo che il contribuente dell’IVA ha omesso di versare.
87. Nei sistemi a binario unico, il principio del ne bis in idem di cui all’articolo 50 della Carta è rispettato e il contribuente ha la garanzia che non sarà giudicato o condannato penalmente due volte per la stessa violazione. La certezza che, in definitiva, le frodi più gravi saranno contrastate efficacemente con sanzioni penali che possono comportare la detenzione del trasgressore conferisce a queste ultime la forza dissuasiva richiesta, necessaria per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione. Non può dirsi lo stesso, a mio parere, per i sistemi a doppio binario.
88. Pertanto, il doppio binario di procedimenti paralleli (amministrativi e penali), siano essi più o meno vicini nel tempo, e delle correlate sanzioni di natura penale irrogate al termine degli stessi da due autorità dello Stato dotate di potere repressivo che si pronunciano su medesimi fatti illeciti, non è una esigenza necessaria che autorizzi a limitare il diritto protetto dal principio del ne bis in idem, nemmeno al lodevole scopo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione ed evitare che le frodi gravi restino impunite.
89. Nulla osta a che gli Stati membri impongano sanzioni penali, unitamente a quelle amministrative, per gli stessi fatti, se queste ultime non hanno natura penale. A mio parere, dovrebbe essere questo il punto fondamentale della controversia. Anziché offuscare la chiarezza che deve avere il diritto tutelato dal principio del ne bis in idem, subordinandolo a constatazioni di immane complessità, sarebbe sufficiente ripercorrere il cammino che ha condotto ad attribuire natura penale alle sanzioni pecuniarie inflitte dalle amministrazioni finanziarie.
90. Qualora, invece, si mantenga il carattere materialmente penale di tali sanzioni, come ritengo opportuno, occorre che la garanzia dell’articolo 50 della Carta sia pienamente salvaguardata quando lo stesso fatto integri una violazione, nel contempo, di norme tributarie che prevedono una risposta materialmente penale e di norme propriamente penali (vale a dire, quelle che identificano i reati).
91. Ciò che accade in circostanze del genere è ben noto nel diritto repressivo: un concorso di leggi, o di norme (non di reati) che deve essere risolto in modo unitario. Infatti, quando lo stesso fatto è riconducibile a due (o più) norme che lo sanzionano, la risposta repressiva deve essere individuata in una di tali norme, ossia quella che ha efficacia preminente (79).
92. La risposta repressiva unica a fronte dello stesso fatto non comporta, peraltro, una limitazione dell’ampia capacità normativa di cui dispone il legislatore nazionale per concretizzarne il contenuto. Nulla impedisce che tale risposta, che dovrà essere fornita una sola volta in toto per rispettare il diritto al ne bis in idem, preveda pene privative della libertà, multe e misure privative di diritti (interdizioni, divieti di contrarre o di esercitare determinate attività ecc.) (80). Inoltre, per conseguire l’obiettivo della dissuasione, cui ho già fatto riferimento, le frodi fiscali più gravi potrebbero essere punite con una combinazione di tali sanzioni, nel rispetto del principio di proporzionalità.
93. Se, come fatto presente, la possibilità di integrare in una risposta unica tipi diversi di misure repressive fuga il timore che gli autori di frodi fiscali possano restare impuniti, non è necessario, nel senso sopra indicato, limitare il principio del ne bis in idem escludendo dall’ambito della tutela di tale diritto le (doppie) sanzioni imposte in seguito all’istruzione di (due o più) procedimenti, li si definisca paralleli, misti o concorrenti, attraverso i quali vengono sanzionati gli stessi fatti.
94. In definitiva, suggerisco alla Corte di adottare un’interpretazione dell’articolo 50 della Carta che prosegua in linea con la sua giurisprudenza precedente, ma non riduca il contenuto di tale diritto nel senso indicato dalla sentenza A e B c. Norvegia né in applicazione dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
E. Risposta alla questione pregiudiziale
95. Dopo questa ampia, ma ineludibile, analisi della giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di giustizia sul principio del ne bis in idem, riprendo il caso del sig. Menci per esaminare la questione sollevata dal giudice a quo.
96. Alla luce della sentenza Åkerberg Fransson, si potrebbe proporre di offrire una risposta molto semplice, ma certamente poco utile, al giudice del rinvio: basterebbe ricordargli la sentenza citata e invitarlo ad applicare esso stesso i criteri Engel, senza fornirgli ulteriori elementi di valutazione.
97. Ritengo tuttavia che nel contesto delle divergenze tra i giudici italiani, alle quali ho fatto riferimento (81), circa le ripercussioni della sentenza Åkerberg Fransson e della giurisprudenza della Corte EDU in questa materia, specialmente dopo il mutamento di orientamento giurisprudenziale di cui alla sentenza A e B c. Norvegia, la Corte debba compiere un passo in più per facilitare ai giudici nazionali l’applicazione dell’articolo 50 della Carta.
98. In base a tale premessa, intendo esaminare in successione se nella questione pregiudiziale sollevata ricorrano: a) l’identità dei fatti sui quali vertono i procedimenti e b) la duplicità di procedimenti sanzionatori. In una fattispecie come quella oggetto del presente procedimento l’identità personale e il carattere definitivo della sanzione ricorrono entrambe chiaramente e non richiedono ulteriori chiarimenti. Infine, esaminerò la possibilità di ammettere deroghe al divieto sancito dall’articolo 50 sulla linea indicata dalla Corte EDU nella sentenza A e B c. Norvegia o seguendo la via aperta dalla Corte di giustizia con la giurisprudenza Spasic (82).
1. Identità dei fatti (idem)
99. Per quanto riguarda l’«idem», ossia l’identità dei fatti, la giurisprudenza della Corte (in particolare quella elaborata in relazione all’articolo 54 della Convenzione di Schengen, già citata) e la giurisprudenza della Corte EDU dopo la sentenza Zolotukhin c. Russia (83) contiene indicazioni sufficienti che possono essere trasposte all’applicazione dell’articolo 50 della Carta in caso di cumulo di sanzioni tributarie e penali per omesso versamento dell’IVA.
100. Secondo la tesi prevalente in tale giurisprudenza, il divieto di doppia sanzione si riferisce ai medesimi fatti materiali (idem factum), intesi come un insieme di circostanze concrete inscindibilmente connesse, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica (idem crimen) o dall’interesse giuridico tutelato.
101. Il giudice deve chiarire, conformemente alla regola sopra esposta, se le sanzioni tributarie per omesso versamento dell’IVA e le sanzioni penali per il mancato pagamento dell’IVA dovuta annualmente si applichino agli stessi fatti.
102. Nelle sue osservazioni scritte, il governo ceco sostiene che l’identità in parola dovrebbe essere interpretata restrittivamente in caso di cumulo di sanzioni tributarie e penali, seguendo la scia tracciata dalla Corte nei procedimenti in materia di tutela della concorrenza (84). Detto governo fa riferimento, in particolare, al triplice requisito di identità dei fatti, unità del contravventore e unità dell’interesse giuridico tutelato (85).
103. Sebbene ritenga, al pari di altri avvocati generali, che la Corte dovrebbe uniformare la sua giurisprudenza sull’applicazione del principio del ne bis in idem nell’ambito della tutela della concorrenza (86) con quella da essa elaborata in relazione all’articolo 54 della Convenzione di Schengen e ad altre disposizioni concernenti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (esigenza che è divenuta più pressante dopo l’evoluzione segnata dalla sentenza della Corte EDU Zolotoukhin c. Russia) (87), non penso che la differenza di dettaglio sottolineata dal governo ceco sia rilevante nel caso di specie. È sufficiente ricordare che, a mio avviso, l’interesse giuridico tutelato dalle sanzioni tributarie previste per l’omesso versamento dell’IVA coincide con quello tutelato dalle sanzioni penali per la medesima condotta.
104. Maggiori difficoltà solleva l’argomento del governo italiano, il quale invoca a suo sostegno la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione secondo cui non sussiste identità dei fatti se le violazioni amministrative puniscono l’omesso versamento periodico dell’IVA in ogni mese, o trimestre, successivo alla maturazione del relativo debito, e la previsione dell’illecito penale sanziona l’omesso pagamento (per importi superiori a EUR 50 000 o 250 000, a seconda della legge applicabile nel momento considerato) corrispondente al periodo dell’anno. Detto giudice ritiene, in sintesi, che in questi casi non sussista la necessaria identità (88), aggiungendo che il principio del ne bis in idem si riferisce unicamente ai procedimenti penali e che, pertanto, esso non può applicarsi al cumulo di sanzioni penali e sanzioni amministrative fiscali, cosicché la normativa italiana non contravverrebbe né all’articolo 50 della Carta, né all’articolo 4 del protocollo n. 7.
105. Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione sostiene invece la tesi opposta, che condivido, poiché mi sembra conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte EDU sul criterio dell’identità dei fatti.
106. Di fronte a una condotta omissiva consistente nell’inadempimento dell’obbligo di versare l’IVA, ciò che rileva è il complesso delle circostanze di fatto specifiche, inscindibilmente connesse nel tempo e nello spazio, riconducibili a uno stesso trasgressore. Orbene, tanto nel caso delle violazioni fiscali quanto in quello delle violazioni penali in discussione nel procedimento principale, le differenze che, secondo il governo italiano, determinano l’applicazione dei due tipi di sanzione non sono di natura fattuale, ma giuridica (89). Il fatto materiale è sempre lo stesso, vale a dire l’omesso versamento dell’IVA per un importo elevato, e gli ulteriori requisiti previsti in relazione a tale omesso versamento, ossia la presentazione della dichiarazione IVA annuale, una soglia minima e un termine di riferimento, sono presupposti giuridici, e non di fatto.
107. La giurisprudenza della Corte di giustizia (e della Corte EDU) sopra richiamata (90) sottolinea che per valutare l’identità dei fatti non si deve tenere conto della loro qualificazione giuridica. Ciò che conta è l’«idem factum», e non l’«idem crimen». Sebbene il governo italiano osservi giustamente, in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione, che occorre procedere a una «valutazione concreta» dei fatti, la sua tesi relativa al rapporto di «progressione illecita» nella condotta attinente all’omesso versamento dell’IVA quale base per concludere che, in questi casi, non sussiste identità tra i fatti sanzionati due volte, non mi convince. Difatti, per quanto riguarda il sig. Menci, le circostanze di fatto concrete, che hanno dato luogo all’irrogazione della sanzione tributaria e alle quali può applicarsi del pari la sanzione penale, sono le stesse: l’omesso versamento dell’IVA corrispondente al periodo d’imposta compreso tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2011 per un importo di EUR 282 495,76. La sanzione tributaria viene applicata a tali fatti utilizzando taluni criteri giuridici, mentre la sanzione penale richiede una valutazione di elementi giuridici diversi, ma le circostanze di fatto, ribadisco, non sono differenti.
108. Si impone un’ultima considerazione riguardo alla compatibilità dell’interpretazione da me proposta con l’obbligo degli Stati membri di applicare sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate, che garantiscano la riscossione dell’IVA e la tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Come ho già indicato, il ricorso ad un sistema a doppio binario per reprimere le frodi in materia di IVA non è necessariamente più efficace rispetto all’utilizzo di un sistema a binario unico. Se l’esigenza di ricorrere a doppi procedimenti e a doppie sanzioni derivasse, in sostanza, dalle carenze delle strutture amministrative o giudiziarie volte alla repressione delle frodi in materia di IVA, si potrebbero conseguire del pari siffatti obiettivi attraverso il miglioramento di tali procedimenti, e senza sacrificare il diritto fondamentale di non essere giudicato o condannato penalmente due volte per gli stessi fatti.
2. La duplicità dei procedimenti o delle sanzioni (bis)
109. Come si è anticipato, l’articolo 50 della Carta, secondo la sentenza Åkerberg Fransson:
– è compatibile con l’esistenza di un sistema a doppio binario (amministrativo e penale) per sanzionare le frodi in materia di IVA, tenuto conto della libertà degli Stati membri di scegliere le modalità di repressione dell’evasione di tale imposta;
– è incompatibile, nondimeno, con la doppia punizione, a titolo, da un lato, di sanzione (o procedimento) penale e, dall’altro, di sanzione (o procedimento) tributaria, quando si possa affermare che quest’ultima ha in realtà carattere penale, nonostante la sua eventuale qualificazione da parte del diritto interno come sanzione meramente amministrativa. In tale ipotesi, ribadisco, «qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell’articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva [(91)], tale disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona» (92).
110. Conformemente alla medesima sentenza, incombe ai giudici remittenti accertare se le sanzioni tributarie imposte dall’Amministrazione finanziaria italiana siano in realtà di natura penale. Dovranno provvedere, come si è già detto, ad applicare essi stessi i «criteri Engel», soluzione che risulta logica (dato che il giudice nazionale conosce il suo diritto interno meglio della Corte), ma non esente da rischi (93). Ne consegue che è opportuno fornire a detti giudici alcune indicazioni interpretative supplementari per aiutarli a precisare meglio, nelle rispettive controversie, i margini dei menzionati criteri, in particolare del secondo e del terzo.
111. Il primo criterio Engel (la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto interno) ha scarsissima rilevanza nel caso di specie, dato che, come ha spiegato nelle sue osservazioni il governo italiano, le sanzioni tributarie per omesso versamento dell’IVA sono, nominalmente, di natura amministrativa secondo il diritto italiano, tanto per la loro denominazione quanto per gli organi che le impongono e il procedimento applicato. Ciò non deve impedire, tuttavia, la loro successiva analisi alla luce degli altri due criteri (94).
112. Il secondo criterio Engel riguarda la natura giuridica dell’illecito, che deve essere accertata dal giudice nazionale. A tal fine, esso può fare riferimento, ispirandosi alla giurisprudenza della Corte EDU sopra richiamata (95), a un insieme di elementi di confronto, tra cui l’ambito soggettivo, vale a dire l’insieme dei destinatari della norma che istituisce l’illecito. Nel caso delle violazioni tributarie per omesso versamento dell’IVA, punite con sanzioni amministrative, si tratta di tutti i contribuenti tenuti al pagamento dell’imposta in parola, e non di un gruppo determinato o circoscritto di potenziali trasgressori.
113. In tale contesto, maggiore rilevanza assume lo scopo della norma sanzionatoria al quale, come si è già rilevato, fanno parimenti riferimento la Corte EDU (96) e la Corte di giustizia nella sentenza Bonda del 5 giugno 2012 (97). Corrobora la natura penale dell’illecito la circostanza che la relativa sanzione sia volta alla repressione e alla prevenzione delle condotte illecite, e non solo al risarcimento dei danni patrimoniali. Orbene, sarebbe difficile negare che le norme sanzionatorie nell’ordinamento tributario sono dirette, al contempo, a punire i contribuenti le cui frodi siano state scoperte e a fungere da ammonimento o da mezzo di prevenzione nei confronti degli altri contribuenti, onde evitare che cedano alla tentazione di non pagare le imposte dovute. Certamente, dal momento che le sanzioni amministrative e quelle penali sono espressioni dello ius puniendi dello Stato, non vedo come si possa negare alle prime (se non mediante una costruzione artificiale, meramente dogmatica) la doppia natura preventiva e repressiva, che le rende simili alle norme strettamente penali (98). Oltre ciò, a mio avviso, qualsiasi sanzione ha, in realtà, una componente repressiva e il suo effetto preventivo o dissuasivo deriva appunto dalla punizione che essa comporta (99).
114. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l’effetto repressivo delle sanzioni tributarie non viene meno per il fatto che la legislazione nazionale consenta, in alcuni casi, di ridurne l’importo a causa del successivo pagamento dell’imposta, o autorizzi l’Amministrazione a rinunciarvi a determinate condizioni o a concludere patti, transazioni o accordi con i trasgressori che ammettano le proprie responsabilità e si astengano dall’impugnare tali atti. Queste ultime misure, o altre analoghe, possono intervenire anche nel corso dei procedimenti penali (100), senza che ciò induca a dubitare che le sanzioni previste dal codice penale (o da leggi speciali) per i reati tributari abbiano tale natura. Gli ordinamenti nazionali possono prevedere, ad esempio, che la regolarizzazione a posteriori della situazione fiscale comporta, a determinate condizioni, ora l’eliminazione dell’antigiuridicità inerente alla violazione iniziale dell’obbligazione tributaria (con conseguente venir meno dell’addebito penale), ora l’attenuazione della risposta punitiva.
115. L’ultimo elemento di cui occorre tenere conto, secondo l’interpretazione ispirata dalla giurisprudenza della Corte EDU, è il bene giuridico tutelato dalla norma nazionale che sanziona l’illecito. In linea di principio, detta norma avrà carattere penale se il suo scopo è la tutela di beni giuridici la cui difesa è normalmente garantita mediante norme penali (101).
116. Lo scopo delle sanzioni tributarie per omesso versamento dell’IVA è, per l’appunto, assicurare la corretta riscossione di tale imposta e la simultanea tutela degli interessi finanziari degli Stati e dell’Unione. Si tratta quindi di beni giuridici che, nei casi più gravi, devono essere protetti anche mediante il diritto penale, come la Corte ha ribadito nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (102), dato che gli Stati devono reprimere efficacemente le frodi in tale settore.
117. Di fronte a quest’obbligo, sarebbe lecito chiedersi se l’opzione migliore sia cumulare sanzioni tributarie e sanzioni penali per gli stessi fatti, il che, con sufficiente probabilità, renderebbe più efficace la repressione delle frodi (quanto meno di quelle gravi) in materia di IVA. Simmetricamente, tale doppia sottoposizione a procedimento ridurrebbe il vantaggio di cui godrebbero i contribuenti con maggiori disponibilità economiche in caso di applicazione del principio del ne bis in idem, qualora si concludesse che la sanzione amministrativa osta alla successiva sanzione penale per gli stessi fatti (103).
118. Non ritengo tuttavia che una simile obiezione sia convincente. Senza che occorra duplicare i procedimenti sanzionatori, amministrativo e penale, per gli stessi fatti, un’adeguata descrizione delle fattispecie penali di frode o elusione fiscale più gravi, unitamente all’azione diligente dei giudici penali di ciascuno Stato, garantisce in misura sufficiente l’efficacia dissuasiva accresciuta della repressione di tali fattispecie, evitando al contempo la violazione di una garanzia così importante per il contribuente come il diritto a non essere giudicato o condannato due volte per la medesima violazione.
119. Il terzo criterio Engel riguarda la natura e il grado di severità della sanzione. Traendo ispirazione dalla giurisprudenza della Corte EDU, che deve riflettersi nell’interpretazione dell’articolo 50 della Carta, i giudici nazionali devono ricordare che, come ha ripetutamente dichiarato la stessa Corte EDU, la modesta entità delle sanzioni pecuniarie irrogate nei procedimenti amministrativi per omesso versamento di imposte non esclude che dette sanzioni abbiano carattere penale (104). Invero, l’ordinanza di rinvio indica che la sanzione tributaria di cui all’articolo 13 del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 471 (pari al 30% dell’importo dell’IVA non versata), ha, per natura ed entità, carattere penale, senza che vi osti la circostanza che altre sanzioni aumentino tale percentuale fino al 100% o a cifre superiori (105).
3. Le eventuali restrizioni al divieto del ne bis in idem nel caso di specie
120. Alla luce degli elementi di fatto esposti nella sua ordinanza dal giudice del rinvio, la cui valutazione in definitiva gli spetta, il doppio binario di procedimenti avviati nei confronti del sig. Menci per un’unica condotta (l’omesso versamento dell’IVA) potrebbe comportare una violazione del suo diritto a non essere giudicato e condannato due volte per gli stessi fatti.
121. Avendo escluso che si possa accettare, in relazione all’applicazione del principio del ne bis in idem a casi di frode fiscale disciplinati dal diritto dell’Unione, la limitazione dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta (sentenza Spasic) (106), potrei fermarmi qui senza procedere oltre.
122. Tuttavia, per l’ipotesi in cui la Corte decidesse di esplorare questa possibilità, ritengo, in subordine, che la sua applicazione al presente procedimento non sarebbe possibile. Inoltre, siffatta limitazione non è necessaria, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, e il cumulo di procedimenti o sanzioni previsto dal diritto nazionale non soddisfa il criterio di proporzionalità, cosicché non appare riconducibile a detta disposizione.
123. Ai fini della proporzionalità, si potrebbe valutare il coordinamento tra i diversi procedimenti, la cooperazione tra le autorità durante il loro svolgimento e la compensazione delle possibili sanzioni. Orbene, tali elementi sembrano deporre a sfavore di una normativa come quella italiana, applicata al sig. Menci, la quale i) non prevede il coordinamento tra procedimenti penali e amministrativi, ii) non impone alle autorità partecipanti ai suddetti procedimenti di collaborare tra loro, al fine di evitare aggravi eccessivi per il singolo e iii) non istituisce un sistema di coordinamento o compensazione delle sanzioni, limitandosi a stabilire che le sanzioni amministrative sono esigibili solo al termine del procedimento penale.
124. Parimenti in subordine, per il caso in cui la Corte di giustizia decidesse di seguire la via tracciata dalla Corte EDU nella sentenza A e B c. Norvegia al fine di interpretare l’articolo 50 della Carta, ritengo che un caso come quello del sig. Menci non sia riconducibile alla giurisprudenza elaborata in detta sentenza.
125. A dimostrazione di ciò è sufficiente osservare che, sulla base degli elementi agli atti, nel caso di specie non sembrano sussistere né la complementarietà né l’istruzione coordinata dei procedimenti (penali e amministrativi). Sebbene la valutazione definitiva dei fatti e del contesto della fattispecie spetti al giudice del rinvio, tutto sembra indicare che vi sia stata una netta separazione tra il procedimento amministrativo sanzionatorio e il procedimento penale. Non si rileva nemmeno uno stretto nesso temporale tra i due procedimenti (fra i quali intercorre un intervallo di oltre un anno; inoltre, il procedimento penale è stato avviato dopo la conclusione di quello amministrativo, una volta divenuta definitiva la sanzione ivi irrogata).
IV. Conclusione
126. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Bergamo (Italia):
«L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea:
– richiede per la sua applicazione la sussistenza dell’identità dei fatti materiali che, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica, costituiscono la base per l’adozione delle sanzioni tributarie e di quelle penali;
– risulta violato qualora venga promosso un procedimento penale o inflitta una pena di tale natura a una persona già punita, in via definitiva, per lo stesso fatto con una sanzione tributaria quando quest’ultima, nonostante la sua denominazione, in realtà abbia carattere penale. Il giudice nazionale verificherà tale circostanza applicando i seguenti criteri: la qualificazione giuridica dell’illecito secondo il diritto interno; la sua natura, che deve essere valutata tenendo conto dell’obiettivo della norma, dei suoi destinatari e del bene giuridico da essa tutelato, nonché la natura e il grado di severità della sanzione».