Language of document : ECLI:EU:C:2017:928

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 30 novembre 2017 (1)

Causa C‑147/16

Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen VZW

contro

Susan Romy Jozef Kuijpers

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vredegerecht te Antwerpen (Giudice di pace di Anversa, Belgio)]

«Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Verifica d’ufficio del giudice nazionale diretta a stabilire se un contratto rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 – Articolo 2, lettera c) – Nozione di “professionista”»






1.        Un istituto scolastico senza scopo di lucro che concede ai suoi studenti crediti finalizzati a permettere loro di pagare le proprie tasse di iscrizione e i viaggi di studio sotto forma di un piano di rimborso a rate esente da interessi agisce come un «professionista» ai sensi della direttiva 93/13/CEE (2)? Inoltre, ove lo studente interessato non sia intervenuto attivamente nel successivo procedimento per il recupero del credito insoluto unitamente ad interessi e indennizzo dei costi, il giudice nazionale è tenuto a verificare d’ufficio se il contratto rientri nel campo di applicazione della direttiva?

2.        Le questioni summenzionate sono emerse nell’ambito di una controversia che contrappone un istituto scolastico a uno dei suoi studenti. Esse offrono alla Corte la possibilità di meglio definire il campo di applicazione della direttiva 93/13 oltre ai poteri e agli obblighi che ne derivano in capo ai giudici nazionali.

 Normativa

 Direttiva 93/13

3.        La direttiva 93/13 è stata adottata sulla base dell’articolo 100 A del Trattato CEE (ora articolo 114 TFUE). Essa mira a evitare che clausole abusive siano incluse nei contratti stipulati con i consumatori e a proteggere i consumatori dagli abusi di potere del venditore o del prestatario (3). Gli Stati membri possono garantire un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della direttiva (4).

4.        In base al decimo considerando della direttiva, le regole in merito alle clausole abusive devono applicarsi a «qualsiasi contratto» stipulato fra un professionista ed un consumatore. Esso indica esplicitamente che, di conseguenza, in particolare i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare e i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società dovrebbero essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva. Tuttavia, la direttiva riguarda tutte le attività professionali, comprese quelle di carattere pubblico (5).

5.        L’articolo 1, paragrafo 1, definisce l’ambito di applicazione della direttiva 93/13 nei seguenti termini:

«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».

6.        L’articolo 2, lettere b) e c), definisce i termini «consumatore» come «qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della [direttiva 93/13], agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale» e «professionista [“seller or supplier” nella versione inglese]» (6) come «qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della [direttiva 93/13], agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».

7.        L’articolo 3, paragrafo 1, stabilisce che «[u]na clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

 Diritto belga

8.        La direttiva 93/13 è stata recepita nel diritto nazionale con il Marktpraktijkenwet (legge sulle pratiche di mercato) del 6 aprile 2010. Al fine di definire il suo ambito di applicazione, la legge in parola ha introdotto il termine «impresa» in luogo di «professionista» impiegato nell’articolo 2, lettera c), della direttiva. L’articolo I.1(1) del Wetboek Economisch Recht (codice di diritto economico) definisce un’impresa come «qualsiasi persona fisica o giuridica che persegue stabilmente uno scopo economico, incluse le sue associazioni».

9.        L’articolo 806 del Gerechtelijk Wetboek (codice giudiziario) stabilisce gli obblighi del giudice in caso di sentenza contumaciale: «in caso di sentenza contumaciale, il giudice deve ammettere le domande o le difese della parte costituita nei limiti in cui il procedimento, le domande o i motivi non violano l’ordine pubblico».

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

10.      La sig.ra Susan Kuijpers era una studentessa del Karel de Grote Hogesschool (collegio universitario Karel de Grote; in prosieguo: il «KdG»). Il 3 febbraio 2014 le veniva chiesto di pagare al KdG un importo totale di EUR 1 546 a titolo di tassa di iscrizione per gli anni accademici 2012/2013 e 2013/2014 e di contributo per un viaggio di studio. Non essendo nella condizione di versare tale importo in un’unica soluzione, il KdG studievoorzieningsdienst (segreteria per gli studi del KdG; in prosieguo: il «KdG Stuvo») le concedeva un piano di rimborso a rate esente da interessi. In base ad esso, il KdG Stuvo versava alla sig.ra Kuijpers la somma a lei necessaria per pagare il KdG. A partire dal 25 febbraio 2014, la sig.ra Kuijpers doveva rimborsare al KdG Stuvo EUR 200 al mese per sette mesi. La rata finale, pari a EUR 146, doveva essere saldata il 25 settembre 2014.

11.      Il contratto conteneva la seguente clausola:

«Se l’importo concesso in prestito non è tempestivamente restituito (in tutto o in parte) è dovuto ipso iure e senza previa messa in mora un interesse pari al 10% all’anno, calcolato sul debito residuo e con decorrenza dal giorno successivo alla scadenza non rispettata. Inoltre, in tal caso, sarà dovuto un indennizzo a copertura delle spese di recupero del credito, contrattualmente fissato nel 10% del debito residuo con un minimo di EUR 100».

12.      Pur avendo ricevuto una lettera di messa in mora, la sig.ra Kuijpers non provvedeva a versare le rate di rimborso da lei dovute.

13.      Il 27 novembre 2015 il KdG citava in giudizio la sig.ra Kuijpers avviando un procedimento dinanzi al Vredegerecht te Antwerpen (giudice di pace di Anversa, Belgio) chiedendo (sulla base del contratto stipulato con il KdG Stuvo) l’importo capitale (EUR 1 546), interessi di mora nella misura del 10% a decorrere dal 25 febbraio 2014 (EUR 269,81) e le spese (EUR 154,60). Con sentenza provvisoria del 4 febbraio 2016 il suddetto giudice riconosceva al KdG l’importo capitale di EUR 1 546. Tuttavia, esso riapriva il procedimento con riferimento alla questione degli interessi e delle spese al fine di verificare quale fosse la posizione del KdG con riferimento alla possibilità di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea (in prosieguo: la «Corte») una questione pregiudiziale. Il 4 marzo 2016, il KdG presentava osservazioni orali al riguardo. La sig.ra Kuijpers non compariva all’udienza.

14.      Il giudice del rinvio afferma che, a norma dell’articolo 806 del codice giudiziario, poiché la sig.ra Kuijpers non è comparsa all’udienza, esso è tenuto ad ammettere la domanda del KdG nei limiti in cui il procedimento o le domande non violano l’ordine pubblico. Ciò solleva in primis la questione della possibilità per il giudice nazionale di esaminare d’ufficio se il contratto alla base della domanda rientri nel campo di applicazione della legge nazionale di recepimento della direttiva 93/13 e, in secondo luogo, se la normativa nazionale che esclude un siffatto esame in ragione della natura non imperativa delle disposizioni sulle clausole contrattuali abusive sia compatibile con la direttiva di cui trattasi (7). Inoltre, il giudice del rinvio esprime dubbi in ordine alla compatibilità con la direttiva 93/13 della normativa nazionale che limita il campo di applicazione delle disposizioni in materia di clausole contrattuali abusive ai contatti tra consumatori e «imprese» (8).

15.      In tale contesto, detto giudice ha chiesto alla Corte chiarimenti sulle seguenti questioni:

1)      Se il giudice nazionale, allorché è investito di un’azione nei confronti di un consumatore relativa all’esecuzione di un contratto ed esso, in forza delle norme di procedura nazionali, ha soltanto il potere di esaminare d’ufficio se la domanda sia contraria alle norme nazionali di ordine pubblico, sia parimenti competente ad esaminare e ad accertare d’ufficio, anche in caso di contumacia, che il contratto di cui trattasi rientra nell’ambito di applicazione della [direttiva 93/13], come recepita in diritto nazionale belga.

2)      Se un istituto scolastico autonomo, che presta attività di insegnamento sovvenzionata ad un consumatore, nel quadro di un contratto vertente su tale prestazione a fronte del pagamento di una tassa di iscrizione, eventualmente maggiorata degli importi a rimborso delle spese sostenute dall’istituto, possa essere considerato un’impresa ai sensi del diritto europeo.

3)      Se un contratto tra un consumatore e un istituto scolastico autonomo sovvenzionato, vertente sulla prestazione di attività di insegnamento sovvenzionate da parte di detto istituto, rientri nell’ambito di applicazione della [direttiva 93/13], e se un istituto scolastico autonomo che presta attività di insegnamento sovvenzionate ad un consumatore nel quadro del contratto avente ad oggetto tale prestazione debba essere considerato un professionista ai sensi della direttiva.

16.      Hanno presentato osservazioni scritte i governi austriaco, belga e polacco, nonché la Commissione europea. All’udienza del 9 marzo 2017, il governo belga e la Commissione hanno svolto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dalla Corte.

 Prima questione

17.      Con la presente questione il giudice del rinvio chiede chiarimenti circa la sua competenza a esaminare d’ufficio se un contratto rientri nel campo di applicazione della direttiva 93/13, anche qualora il consumatore non sia comparso in udienza. La questione di cui trattasi è collegata all’esistenza di una disposizione nazionale che autorizza i giudici a esaminare d’ufficio soltanto se una domanda sia contraria alle regole nazionali di ordine pubblico. Esaminerò tale questione per prima, poiché la questione se la direttiva 93/13 sia applicabile (e se tale applicabilità possa essere esaminata ex officio) precede, dal punto di vista logico, le questioni concernenti lo status delle parti di un contratto specifico e la legittimità delle sue clausole.

18.      La Commissione afferma che la regola secondo cui le clausole abusive non vincolano i consumatori ha carattere imperativo. Pertanto, i giudici nazionali, hanno il potere e l’obbligo di esaminare d’ufficio se un contratto rientri nel campo di applicazione della direttiva 93/13, anche ove il consumatore non sia comparso in udienza.

19.      Il governo belga concorda con la conclusione della Commissione. Esso afferma che l’articolo 806 del codice giudiziario è coerente con la suddetta interpretazione poiché, nel valutare se sollevare o meno d’ufficio una questione di ordine pubblico, un giudice nazionale deve in primis stabilire se la disposizione rientri di fatto nel campo di applicazione delle regole di ordine pubblico. Il principio di equivalenza richiede che lo stesso ragionamento sia applicato alle disposizioni delle direttive, come la direttiva 93/13.

20.      Infatti, in base a una giurisprudenza consolidata, un giudice nazionale deve esaminare d’ufficio se una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore rientri nell’ambito di applicazione della direttiva di cui trattasi e, in caso affermativo, la natura eventualmente abusiva di una clausola siffatta (9).

21.      Tuttavia, resta la questione se tale obbligo gravi sul giudice nazionale anche in caso di contumacia del consumatore.

22.      Al fine di rispondere alla suddetta questione, è opportuno tener presente una serie di principi già consacrati nella giurisprudenza della Corte.

23.      In primis, «il sistema di tutela istituito dalla direttiva [93/13] è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse» (10).

24.      In secondo luogo, la disposizione ai sensi della quale le clausole abusive non vincolano i consumatori, «costituisce una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime [(11)]. Essa deve essere considerat[a] come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico» (12). L’esame della questione se la direttiva sia applicabile in una determinata situazione precede logicamente detta analisi (v. paragrafo 20 supra e note).

25.      In terzo luogo, la situazione di disuguaglianza esistente tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (13). Tale intervento positivo consiste nell’esame d’ufficio, da parte di un giudice, della questione se un contratto ricada nel campo di applicazione della direttiva 93/13 e se le sue clausole siano eventualmente abusive. Infatti, la tutela prevista dalla direttiva di cui trattasi a favore dei consumatori si estende ai casi in cui il consumatore si astenga dal dedurre l’abusività della clausola perché ignora i suoi diritti o perché viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un’azione giudiziaria comporterebbe (14).

26.      Inoltre, in conformità del principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri, in mancanza di armonizzazione dei meccanismi nazionali, le regole processuali che rendono possibile il suddetto intervento positivo rientrano nell’ordinamento giuridico interno, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (15).

27.      Nell’ambito della causa Asturcom Telecomunicaciones, relativa a un contratto contenente una clausola compromissoria, la Corte ha avuto occasione di affrontare la questione dei procedimenti non in contraddittorio. Nei confronti di una consumatrice, rimasta contumace, era stato emanato un lodo arbitrale da questa non impugnato nei termini previsti dal diritto nazionale. Il lodo arbitrale era così divenuto definitivo. A fronte del tentativo di Asturcom di dare esecuzione al lodo, il giudice nazionale competente sosteneva che la clausola compromissoria fosse abusiva. Tuttavia, il diritto nazionale applicabile non prevedeva alcuna disposizione concernente la valutazione del carattere abusivo delle clausole compromissorie ad opera del giudice competente a statuire su un ricorso per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo. In tale contesto, il giudice nazionale chiedeva alla Corte se esso fosse competente a rilevare d’ufficio la nullità della convenzione d’arbitrato e, di conseguenza, ad annullare il lodo in presenza di una clausola abusiva all’interno di detta convenzione arbitrale (16).

28.      Alla luce dell’importanza del principio della res judicata, la Corte ha stabilito che il rispetto del principio di effettività non può giungere al punto di esigere che un giudice nazionale debba supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato che non ha partecipato al procedimento arbitrale e neppure proposto un’azione d’annullamento contro il lodo arbitrale divenuto per tale fatto definitivo (17).

29.      Tuttavia, a giudizio della Corte, il principio di equivalenza impone che, qualora un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale definitivo debba, secondo le norme procedurali interne, valutare d’ufficio la contrarietà di una clausola compromissoria alle norme nazionali d’ordine pubblico, egli è parimenti tenuto a valutare ex officio il carattere abusivo di detta clausola alla luce della direttiva, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (18).

30.      Nella causa VB Pénzügyi Lízing, il giudice nazionale chiedeva di chiarire se esso fosse tenuto a procedere a un’istruttoria d’ufficio, al fine di accertare gli elementi di fatto e di diritto necessari per valutare se una clausola contrattuale attributiva della competenza giurisdizionale territoriale esclusiva fosse abusiva, nell’ipotesi in cui il diritto nazionale prevedeva una tale istruttoria soltanto su istanza di una delle parti (19). La Corte ha stabilito che, per garantire l’efficacia della tutela dei consumatori, il giudice nazionale deve, in tutti i casi e a prescindere dalle norme di diritto interno, determinare se la clausola controversa sia stata o meno oggetto di un negoziato individuale tra un professionista e un consumatore in modo da determinare se essa ricada nel campo di applicazione della direttiva 93/13 (20).

31.      Tale approccio è stato confermato nella causa Banco Español de Crédito (un caso concernente la natura abusiva di una clausola relativa agli interessi per ritardato pagamento delle rate di un prestito). La Corte ha stabilito che una regola procedurale che istituisce un’impossibilità per il giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esaminare d’ufficio la natura abusiva delle clausole contrattuali, in assenza di opposizione proposta dal consumatore, anche qualora disponga già di tutti gli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, può compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13 (21).

32.      Nella sentenza ERSTE Bank Hungary, la Corte ha ulteriormente sviluppato tale affermazione spiegando che la tutela giurisdizionale effettiva garantita dalla direttiva 93/13 si fonda sulla premessa secondo la quale i giudici nazionali sono previamente aditi da una delle parti del contratto (22). Osservo che, in tali circostanze, il consumatore – se non è la parte che ha dato avvio al procedimento – è verosimilmente il destinatario del procedimento di cui trattasi e la sentenza incide sulla sua posizione giuridica a prescindere dal fatto che egli si costituisca o meno nel procedimento.

33.      A mio giudizio, dalla giurisprudenza è possibile dedurre i seguenti principi: i) il principio di effettività non impone al sistema giudiziario nazionale di intervenire se nessuna delle parti del contratto ha avviato un procedimento dinanzi ai giudici nazionali; ii) in caso di avvio di un procedimento, i suddetti giudici devono sempre valutare, d’ufficio e a prescindere dalle disposizioni di diritto interno, se un contratto ricada nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13; iii) in caso affermativo, essi devono, ancora una volta d’ufficio, esaminare l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi; iv) dalla natura imperativa delle regole fissate dalla direttiva consegue che esse devono essere applicate a prescindere dallo status riconosciuto alle disposizioni nazionali di recepimento nell’ordinamento giuridico nazionale e dalle azioni o dalle richieste presentate dalle parti in giudizio.

34.      Il fatto che il consumatore non fosse la parte che ha avviato il procedimento, che egli non sia comparso in udienza o che non abbia invocato la direttiva 93/13 non può incidere su tale conclusione.

35.      In tale contesto, la normativa belga che consente ai giudici di esaminare d’ufficio unicamente se una domanda sia contraria alle disposizioni nazionali di ordine pubblico ma non, nel contempo, se essa leda i principi sanciti dalla direttiva 93/13, può risultare problematica.

36.      Tuttavia, le suddette disposizioni devono essere interpretate in conformità del diritto dell’Unione. Il giudice nazionale, ove ‑ in base alle disposizioni processuali interne – possa esaminare d’ufficio la validità di un atto giuridico alla luce delle disposizioni nazionali di ordine pubblico, deve esercitare il suddetto potere anche rispetto alle disposizioni di diritto dell’Unione aventi carattere imperativo in conformità dei principi di equivalenza e di effettività. Alla luce di tale interpretazione, condivido l’approccio del governo belga fondato sulla sentenza Asbeek Brusse e de Man Garabito (23) secondo cui, in base all’articolo 806 del codice giudiziario, il giudice nazionale è tenuto a valutare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo di una clausola alla luce della direttiva 93/13 nello stesso modo in cui egli compie tale valutazione alla luce delle disposizioni nazionali di ordine pubblico.

37.      Pertanto, concludo che un giudice nazionale ha il potere e l’obbligo di esaminare d’ufficio se un contratto ricada nel campo di applicazione della direttiva 93/13, anche qualora manchi una specifica richiesta in tal senso, in particolare, in quanto il consumatore non si è costituito nel procedimento.

 Sulla seconda e sulla terza questione

 Osservazioni generali

38.      Prima di affrontare nel merito la seconda e la terza questione, che è opportuno trattare insieme, è necessario definirne il contenuto.

39.      L’impiego del termine «impresa» nella seconda questione appare insolito nel contesto della tutela del consumatore. Suppongo che esso si spieghi in ragione della formulazione delle disposizioni del diritto nazionale alla base della presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

40.      Come spiega il governo belga nelle sue osservazioni scritte, il termine «impresa», che trae origine dalla normativa in materia di concorrenza, era stato impiegato dal legislatore belga per recepire nell’ordinamento giuridico nazionale il vocabolo «professionista» utilizzato nell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13 (24). È probabile che ciò abbia indotto il giudice nazionale a chiedere se un istituto scolastico autonomo che presta attività di insegnamento sovvenzionata, come il KdG nella fattispecie, possa essere considerato un’«impresa» ai sensi del diritto dell’Unione.

41.      Tuttavia, dalla necessità di garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione discende che, laddove una sua disposizione non rinvii al diritto degli Stati membri per quanto riguarda una determinata nozione, quest’ultima deve essere oggetto, nell’intera Unione europea, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione (25).

42.      Infatti, la direttiva 93/13 definisce effettivamente il termine «professionista» senza fare alcun riferimento al diritto nazionale. Pertanto, ne consegue che, ai fini dell’applicazione della direttiva, tale espressione deve essere considerata come volta a designare una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme sul territorio di quest’ultima.

43.      Il significato del termine «professionista» non può quindi dipendere dalla modalità scelta dal legislatore nazionale per recepirlo nel diritto nazionale. La normativa nazionale di recepimento della direttiva, a prescindere dal fatto che essa impieghi il termine «seller or supplier [professionista]», «business [attività imprenditoriale]», «trader [professionista]», «undertaking [impresa]» o «professional [professionista]», dovrebbe essere interpretata in maniera uniforme conformemente alla definizione di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13. Pertanto, ciò che rileva nella specie non è il significato della nozione di «impresa» nel contesto del diritto della concorrenza o come essa sia interpretata nella giurisprudenza in materia di prestazioni di servizi, ma se un contratto concluso tra un consumatore e un organismo come il KdG rientri nel campo di applicazione della direttiva 93/13.

44.      In tale contesto, ritengo che l’obiettivo perseguito dal giudice del rinvio nel sollevare sia la seconda che la terza questione sia quello di stabilire se un istituto scolastico autonomo che presta attività di insegnamento sovvenzionata, come il KdG, possa essere considerato un «professionista» ai sensi della definizione contenuta nell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13.

 Portata del termine «professionista»

45.      Il governo belga afferma che un istituto scolastico autonomo che presta attività di insegnamento sovvenzionata, come il KdG, non può essere considerato un «professionista» ai sensi della direttiva 93/13. Un contratto di «servizi» richiede un elemento retributivo che in tal caso è assente, o ‑ se non assente – minimo, poiché l’istituto pubblico di cui trattasi assolve compiti in campo sociale, culturale ed educativo a favore dell’intera popolazione. Il governo austriaco condivide tale opinione.

46.      Per contro, il governo polacco afferma che un siffatto istituto scolastico è un «professionista» ai sensi della direttiva. Il contratto concluso da un istituto scolastico e da uno studente rientra nelle attività professionali di tale istituto. È irrilevante se questi ne tragga o meno un profitto.

47.      La Commissione ritiene che occorra distinguere tra l’attività didattica svolta dal KdG quale attività principale e la sua attività occasionale e accessoria come istituto di credito, oggetto quest’ultima della presente causa. Benché l’attività principale educativa del KdG sia di interesse generale e non ricada nel campo di applicazione della direttiva 93/13, la sua attività occasionale ed accessoria vi rientra.

48.      A mio giudizio, nell’interpretare la nozione di «professionista» occorre prendere le mosse dall’effettiva formulazione della definizione contenuta nell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13. Tale nozione si compone dei seguenti elementi: «qualsiasi persona fisica o giuridica», «sia essa pubblica o privata», «che agisce nel quadro della sua attività professionale» e «nei contratti oggetto della presente direttiva».

49.      La suddetta definizione deve essere interpretata tenendo conto del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione (26). Essa ha carattere oggettivo e si basa su taluni elementi verificabili (27). Il termine «professionista [“seller or supplier” nella versione inglese]» è specifico per la direttiva 93/13 e, a mio giudizio, più ampio rispetto ai termini impiegati in vari altri strumenti in materia di tutela dei consumatori (28).

50.      La prima parte della definizione di cui trattasi, vale a dire, «qualsiasi persona fisica o giuridica sia essa pubblica o privata», chiarisce che la qualifica, lo status giuridico nonché le caratteristiche specifiche della persona in questione a titolo del diritto nazionale sono irrilevanti ai fini della qualificazione come «professionista» (29).

51.      L’utilizzo del termine «qualsiasi» indica che la definizione deve essere interpretata in maniera estensiva al fine di coprire tutte le persone fisiche o giuridiche che possano imporre condizioni contrattuali abusive ai consumatori.

52.      La seconda parte della definizione richiede che il professionista «agisca nel quadro della sua attività professionale».

53.      La direttiva non delimita in alcun modo tali attività se non per il fatto che si tratta di vendita di beni o prestazioni di servizi (30). L’approccio è funzionale: il contratto deve essere parte di attività compiute per fini che non rientrano nel quadro dell’attività professionale di una persona. La definizione di «consumatore» e di «professionista» dipendono entrambe dall’ambito in cui la persona interessata agisce (31). Il «consumatore» e il «professionista» si collocano agli estremi opposti di un negozio giuridico. Il consumatore, considerato come vulnerabile e in una posizione di maggiore debolezza, si trova a un estremo e il professionista, che gode di una posizione di forza idonea a permettergli di imporgli le proprie condizioni negoziali, all’altro. La definizione non contiene alcuna condizione con riferimento alla natura o alla finalità delle attività del professionista.

54.      Inoltre, nulla nella direttiva esclude un particolare tipo di attività professionale dal suo ambito di applicazione. È vero che il decimo considerando indica che una serie di contratti si intendono esclusi, ad esempio quelli relativi ai diritti di successione (32), ma non vi è alcuna disposizione equivalente con riferimento a una specifica tipologia di attività professionale. Al contrario, il quattordicesimo considerando afferma esplicitamente che la direttiva riguarda anche le attività professionali di carattere pubblico.

55.      Nella sentenza Šiba, la Corte ha stabilito che un avvocato che, nel quadro della sua attività professionale, fornisce a titolo oneroso un servizio di assistenza legale a favore di una persona fisica che agisce per fini privati è un «professionista» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13 e che la natura pubblica di tali attività non confuta la suddetta constatazione (33).

56.      Nel più ampio contesto delle direttive in materia di diritti dei consumatori, la Corte ha parimenti stabilito che il termine «trader [professionista]», utilizzato nell’ambito della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, non esclude dal campo di applicazione di detta direttiva organismi che svolgono un compito di interesse generale. Pertanto, la Corte ha stabilito che il termine «professionista [“trader” nella versione inglese]» ricomprende un organismo di diritto pubblico incaricato di una missione di interesse generale, quale la gestione di un regime legale di assicurazione malattia (34). A mio giudizio, tale approccio può legittimamente essere trasposto sulla nozione di «professionista» nel contesto della direttiva 93/13 (che peraltro – diversamente dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali – indica esplicitamente le attività professionali a carattere pubblico come rientranti nel proprio campo di applicazione).

57.      La Corte ha sì ivi fatto riferimento al «professionista [trader]» come alla parte che esercita un’attività remunerata, ma al fine di sottolineare che non escludeva dal campo di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali né gli enti incaricati di una missione di interesse generale, né quelli aventi uno status di diritto pubblico (35). I compiti di natura e interesse pubblici sono spesso svolti senza fini di lucro in generale. Di conseguenza, ritengo che il carattere improntato a fini di lucro o al non profit dell’organizzazione sia irrilevante per la definizione del «professionista» con riferimento a uno specifico contratto.

58.      Per quanto attiene alla natura dei servizi forniti, non ritengo che l’argomentazione dedotta dal governo belga e dalla Commissione, secondo cui l’istruzione pubblica finanziata principalmente dal bilancio dello Stato non può essere considerata un servizio ai sensi dell’articolo 57 TFUE, significhi che, per l’effetto, gli istituti scolastici sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/13 quando concludono contratti contenenti clausole abusive.

59.      È ovviamente vero che la Corte ha stabilito che i corsi offerti da determinati istituti rientranti in un sistema di istruzione pubblica finanziata interamente o precipuamente con fondi pubblici sono esclusi dalla definizione di servizi poiché lo Stato, istituendo e mantenendo tale sistema, non intende svolgere attività lucrative, bensì assolvere i propri compiti in campo sociale, culturale ed educativo in favore dei propri cittadini (36).

60.      Tuttavia, vi è anche una giurisprudenza costante secondo cui i corsi offerti da istituti scolastici finanziati essenzialmente da fondi privati (in particolare, ma non necessariamente, dagli alunni o dai loro genitori) costituiscono «servizi» ai sensi dell’articolo 57 TFUE, dal momento che lo scopo consiste nell’offrire una prestazione in cambio di un corrispettivo (37).

61.      Dai due suddetti orientamenti giurisprudenziali si evince che, a giudizio della Corte, l’elemento essenziale nel definire i servizi ai fini dell’articolo 57 TFUE è l’eventuale carattere oneroso del servizio e non la natura delle funzioni svolte.

62.      La giurisprudenza sulla direttiva sulle pratiche commerciali sleali (38) conferma tale approccio nei limiti in cui include un organismo di diritto pubblico incaricato di una missione di interesse generale, quale la gestione di un regime legale di assicurazione malattia, nell’ambito di applicazione della direttiva (39). La direttiva sulle pratiche commerciali sleali si fonda sulla medesima base giuridica della direttiva 93/13, vale a dire l’articolo 95 CE (già articolo 100 A CEE, ora articolo 114 TFUE) sul ravvicinamento delle disposizioni legislative. La suddetta base giuridica sottolinea espressamente l’esigenza di legiferare per garantire un livello di protezione elevato dei consumatori (40), obiettivo non affrontato dall’articolo 57 TFUE sulla libera prestazione dei servizi.

63.      Infine, la formulazione della direttiva 93/13 non include alcuna restrizione quanto alla natura e all’obiettivo delle attività di cui trattasi o delle loro modalità di finanziamento. Al contrario, essa ricomprende espressamente le attività di carattere pubblico nel suo ambito di applicazione (41).

64.      Pertanto, ritengo che il fatto che una persona fisica o giuridica possa prestare attività di insegnamento sovvenzionata non le impedisca di essere considerata un «professionista» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13.

65.      Per quanto attiene alla terza parte della definizione di «professionista» (contratti oggetto della presente direttiva), gli articoli 1, paragrafo 1, e 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 chiariscono che la direttiva si applica alle clausole dei «contratti stipulati tra un professionista e un consumatore» che «non siano stati oggetto di negoziato individuale» (42). Il decimo considerando della direttiva sottolinea l’ampio ambito di applicazione della suddetta nozione. «Qualsiasi contratto» stipulato fra un professionista e un consumatore (ad eccezione di contratti quali i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare e i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società) ricade nella direttiva (43). Un contratto può essere scritto od orale (44). L’oggetto del contratto è irrilevante per definire l’ambito di applicazione della direttiva (45).

66.      La direttiva 93/13, aspetto questo essenziale, definisce i contratti ai quali essa si applica con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale. Tale criterio corrisponde all’idea sulla quale è basato il sistema di tutela istituito dalla direttiva, ossia che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il livello di informazione. Di conseguenza il consumatore potrebbe trovarsi a dover aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse (46).

67.      Da quanto precede consegue che un «professionista» ai sensi della direttiva 93/13 è una persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, a prescindere dal suo stato giuridico o dalle sue caratteristiche, i) offre beni o servizi di ogni tipo e caratteristiche e ii) stipula un contratto con un consumatore, se iii) tale contratto rientra nel quadro della sua attività professionale. La natura (pubblica o privata), l’oggetto (compiti pubblici o privati, missioni di interesse generale) e il risultato (a fine di lucro o meno) sono tutti aspetti irrilevanti. Anche la finalità del contratto è irrilevante, a condizione che esso sia concluso tra un consumatore e un professionista e rientri nell’attività professionale di quest’ultimo.

68.      Pertanto, ritengo che un istituto scolastico autonomo che presta attività di insegnamento sovvenzionata possa essere considerato un «professionista» ai sensi della direttiva 93/13 quando stipula un contratto rientrante nella direttiva di cui trattasi nel quadro della sua attività professionale. Spetta al giudice nazionale stabilire se sia questo il caso nella fattispecie e se il contratto stipulato dalla sig.ra Kuijpers e dal KdG violi disposizioni imperative previste dalla direttiva de qua.

 Conclusione

69.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dal Vredegerecht te Antwerpen (Giudice di pace di Anversa, Belgio) come segue:

–        Un giudice nazionale ha il potere e l’obbligo di esaminare d’ufficio se un contratto ricada nel campo di applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, anche qualora manchi una specifica richiesta in tal senso, in particolare, in quanto il consumatore non si è costituito nel procedimento.

–        Un istituto scolastico autonomo che presta attività di insegnamento sovvenzionata può essere considerato un «professionista» ai sensi della direttiva 93/13 quando stipula un contratto rientrante nella direttiva di cui trattasi nel quadro della sua attività professionale. Spetta al giudice nazionale stabilire se, nello specifico caso, sia così e se il contratto di cui trattasi violi disposizioni imperative previste dalla direttiva de qua.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).


3      V. quarto e nono considerando.


4      Dodicesimo considerando.


5      Quattordicesimo considerando.


6      I testi francese e olandese utilizzano un solo termine, vale a dire, rispettivamente, «professionnel» e «verkoper».


7      Il giudice nazionale solleva dubbi quanto alla natura di disposizioni nazionali in materia di clausole contrattuali abusive. È incerto se costituiscano disposizioni di «ordine pubblico» in base al diritto nazionale.


8      La nozione di «impresa» nella normativa belga di recepimento potrebbe essere interpretata come più restrittiva rispetto a quella di «professionista» (che è parte della definizione del campo di applicazione rationae personae della direttiva 93/13) e, quindi, come volta a escludere contratti quale quello in esame dall’ambito di applicazione della direttiva.


9      Sentenza del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank (C‑472/11, EU:C:2013:88, punto 24 e giurisprudenza ivi citata). V. anche sentenza del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing (C‑137/08, EU:C:2010:659, punto 56). In quest’ultimo caso, la Corte ha espressamente distinto, nei punti da 49 a 52, tra la valutazione del fatto se un contratto rientri nel campo di applicazione della direttiva 93/13 (prima fase del ragionamento) e l’eventuale carattere abusivo delle sue clausole (seconda fase del ragionamento).


10      Sentenza del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank(C‑472/11, EU:C:2013:88, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).


11      Sentenza del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).


12      Sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 52).


13      Sentenza del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 39).


14      Sentenza del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punto 29) (v. paragrafo 20 supra). Nel presente procedimento, la sig.ra Kuijpers, se aveva difficoltà finanziarie a rispettare il piano di rientro a rate mensili di EUR 200 concordato con il KdG Stuvo, può aver forse esitato dinanzi all’idea di incaricare un avvocato di assisterla nell’ambito della successiva azione giudiziaria.


15      Sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). V. anche le mie conclusioni nella causa Faber (C‑497/13, EU:C:2014:2403, paragrafi da 57 a 59).


16      Sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punti da 20 a 27).


17      Sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 47).


18      Sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 53).


19      Sentenza del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing (C‑137/08, EU:C:2010:659, punto 45).


20      Sentenza del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing (C‑137/08, EU:C:2010:659, punto 51).


21      Sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 53).


22      Sentenza del 1o ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary (C‑32/14, EU:C:2015:637, punto 63).


23      Sentenza del 30 maggio 2013 (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 45).


24      V. paragrafo 8.


25      Sentenza del 7 settembre 2017, Schottelius (C‑247/16, EU:C:2017:638, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).


26      Sentenza del 9 novembre 2016, Wathelet (C‑149/15, EU:C:2016:840, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


27      V., per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nella causa Wathelet (C‑149/15, EU:C:2016:217, paragrafo 44).


28      La diversa terminologia impiegata nei suddetti strumenti riflette, ovviamente, le differenze nei loro campi di applicazione. Così, l’articolo 1, paragrafo 2, lettere c) e d), della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU 1999, L 171, pag. 12) utilizza i termini «venditore» e «produttore»; l’articolo 2, lettera b), della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (in prosieguo: la «direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22) utilizza il termine «professionista [“trader” nella versione inglese]»; l’articolo 3, lettera b), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE (GU 2008, L 133, pag. 66) impiega il termine «creditore»; e l’articolo 2, punto 2, della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2011, L 304, pag. 64) utilizza il termine «professionista[“trader” nella versione inglese]».


29      V., per analogia, sentenza del 3 ottobre 2013, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs (C‑59/12, EU:C:2013:634, punto 26).


30      Settimo considerando.


31      V. conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón in Costea (C‑110/14, EU:C:2015:271, paragrafo 20).


32      È interessante osservare che non vi è alcuna disposizione sostanziale che attribuisce effetti specifici alle esclusioni contenute nella terza parte di detto considerando.


33      Sentenza del 15 gennaio 2015, Šiba (C‑537/13, EU:C:2015:14, punti 24 e 25).


34      Sentenza del 3 ottobre 2013, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs (C‑59/12, EU:C:2013:634, punti 37 e 41).


35      Sentenza del 3 ottobre 2013, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs (C‑59/12, EU:C:2013:634, punto 32).


36      Sentenza del 7 dicembre 1993, Wirth (C‑109/92, EU:C:1993:916, punto 15).


37      Sentenza del 20 maggio 2010, Zanotti (C‑56/09, EU:C:2010:288, punti 32 e 33 e giurisprudenza ivi citata).


38      V. paragrafo 56, supra.


39      Sentenza del 3 ottobre 2013, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs (C‑59/12, EU:C:2013:634, punti 37 e 41).


40      V. articolo 100 A, paragrafo 3, CEE e articolo 95, paragrafo 3, CE.


41      Quattordicesimo considerando. V. anche sentenza del 15 gennaio 2015, Šiba (C‑537/13, EU:C:2015:14, punti 24 e 25).


42      Sentenza del 15 gennaio 2015, Šiba (C‑537/13, EU:C:2015:14, punto 19).


43      Decimo considerando.


44      Undicesimo considerando.


45      Ordinanza del 14 settembre 2016, Dumitraș (C‑534/15, EU:C:2016:700, punto 27).


46      Sentenza del 15 gennaio 2015, Šiba (C‑537/13, EU:C:2015:14, punti 21 e 22 e giurisprudenza ivi citata).