Language of document : ECLI:EU:C:2018:465

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

19 giugno 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Direttiva 2008/115/CE – Articolo 3, punto 2 – Nozione di “soggiorno irregolare” – Articolo 6 – Adozione di una decisione di rimpatrio anteriormente all’esito del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Principio di “non-refoulement” (non respingimento) – Diritto a un ricorso effettivo – Autorizzazione a permanere in uno Stato membro»

Nella causa C‑181/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), con decisione dell’8 marzo 2016, pervenuta in cancelleria il 31 marzo 2016, nel procedimento

Sadikou Gnandi

contro

État belge,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, T. von Danwitz (relatore), J.L. da Cruz Vilaça, C.G. Fernlund e C. Vajda, presidenti di sezione, E. Juhász, C. Toader, M. Safjan, D. Šváby, M. Berger, E. Jarašiūnas, K. Jürimäe e C. Lycourgos, giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: R. Şereş, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° marzo 2017,

considerate le osservazioni presentate:

–        per S. Gnandi, da D. Andrien, avocat;

–        per il governo belga, da C. Pochet, M. Jacobs, in qualità di agenti, assistiti da C. Piront, S. Matray e D. Matray, avocats;

–        per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga e M. Heller, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 giugno 2017,

vista l’ordinanza di riapertura della trattazione orale del 25 ottobre 2017 e in seguito all’udienza dell’11 dicembre 2017,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il S. Gnandi, da D. Andrien, avocat;

–        per il governo belga, da C. Pochet, M. Jacobs e C. Van Lul, in qualità di agenti, assistiti da C. Piront, S. Matray e D. Matray, avocats;

–        per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, da R. Kanitz, in qualità di agente;

–        per il governo francese, da E. de Moustier, E. Armoët e D. Colas, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, P. Huurnink e J. Langer, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga, M. Heller e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni integrative dell’avvocato generale all’udienza del 22 febbraio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’’interpretazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1. dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13), nonché del principe di non-refoulement e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, sanciti, rispettivamente, dall’articolo 18 e dall’articolo 19,, paragrafo 2, nonché dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra il sig. Sadikou Gnandi e l’État belge (Stato belga), in merito alla legittimità di una decisione con cui è stato disposto al primo di lasciare il territorio dello Stato belga.

 Contesto normativo

 Convenzione di Ginevra

3        L’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], come completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, a sua volta entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), intitolato «Divieto d’espulsione e di rinvio al confine», al paragrafo 1 così dispone:

«Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei territori ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

 Diritto dell’Unione

 Direttive 2003/9/CE e 2013/33/UE

4        L’articolo 2, lettera c), della direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18), definisce la nozione di «richiedente» o di «richiedente asilo», ai fini della direttiva medesima nel senso di «qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di asilo in merito alla quale non sia ancora stata presa una decisione definitiva».

5        Il successivo articolo 3, intitolato «Ambito d’applicazione», dispone, al paragrafo 1, quanto segue:

«La presente direttiva si applica a tutti i cittadini di paesi terzi ed agli apolidi che presentano domanda di asilo alla frontiera o nel territorio di uno Stato membro, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti asilo (…).»

6        L’articolo 2, lettera c), e l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/9 sono stati sostituiti, in termini sostanzialmente identici, rispettivamente, dall’articolo 2, lettera b), e dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2013/33/UE de Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).

 Le direttive 2005/85 e 2013/32/UE

7        I considerando 2 e 8 della direttiva 2005/85 così recitano:

«(2)      Il Consiglio europeo (…) ha convenuto di lavorare all’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della [Convenzione di Ginevra], affermando in questo modo il principio di «non refoulement» (non respingimento) e garantendo che nessuno sia nuovamente esposto alla persecuzione.

(…)

(8)       La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare nella [Carta].»


8        L’articolo 7 della direttiva medesima, intitolato «Diritto di rimanere nello Stato membro durante l’esame della domanda», dispone quanto segue:

«1. I richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III. Il diritto a rimanere non dà diritto a un titolo di soggiorno.

2. Gli Stati membri possono derogare a questa disposizione solo se, a norma degli articoli 32 e 34, non sarà dato seguito a una domanda reiterata o se essi intendono consegnare o estradare, ove opportuno, una persona in altro Stato membro in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo (…) o altro, o in un paese terzo, o presso una corte o un tribunale penale internazionale.»

9        L’articolo 39 della direttiva 2005/85, intitolato «Diritto ad un mezzo di impugnazione efficace», obbliga, al paragrafo 1, gli Stati membri a garantire che il richiedente asilo abbia diritto ad un mezzo di impugnazione efficace. Il paragrafo 3 del medesimo articolo così recita:

«Gli Stati membri prevedono, se del caso, norme conformi ai loro obblighi internazionali intese:

a)       a determinare se il rimedio di cui al paragrafo 1 produce l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito;

b)       a prevedere la possibilità di un mezzo di impugnazione giurisdizionale o di misure cautelari, qualora il mezzo di impugnazione di cui al paragrafo 1 non produca l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito (…)

(…)»

10      Gli articoli 7 e 39 della direttiva 2005/85 sono stati sostituiti, rispettivamente, dagli articoli 9 e 46 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).

11      Ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2013/32, intitolato «Diritto di rimanere nello Stato membro durante l’esame della domanda»:

«1. I richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III. Il diritto a rimanere non dà diritto a un titolo di soggiorno.

2. Gli Stati membri possono derogare a questa disposizione solo se, a norma degli articoli 32 e 34, non sarà dato seguito a una domanda reiterata o se essi intendono consegnare o estradare, ove opportuno, una persona in altro Stato membro in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo […] o altro, o in un paese terzo, o presso una corte o un tribunale penale internazionale.

(…)»

12      L’articolo 46 della direttiva medesima, intitolato «Diritto a un mezzo di impugnazione efficace», al paragrafo 5 così dispone:

«Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.»

 La direttiva 2008/115

13      I considerando 2, 4, 6, 8, 9, 12 e 24 della direttiva 2008/115 così recitano:

«(2)      Il Consiglio europeo (…) ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni perché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti e della loro dignità.

(…)

(4)      Occorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d’immigrazione correttamente gestita.

(…)

(6)      È opportuno che gli Stati membri provvedano a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e trasparente.

(…)

(8)      Si riconosce che è legittimo che gli Stati membri procedano al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, purché esistano regimi in materia di asilo equi ed efficienti che rispettino pienamente il principio di non-refoulement.

(9)      In conformità della direttiva [2005/85], il soggiorno di un cittadino di un paese terzo che abbia chiesto asilo in uno Stato membro non dovrebbe essere considerato irregolare nel territorio di tale Stato membro finché non sia entrata in vigore una decisione negativa in merito alla sua domanda d’asilo o una decisione che pone fine al suo diritto di soggiorno quale richiedente asilo.

(…)

(12)      È necessario occuparsi della situazione dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ma che non è ancora possibile allontanare.(…)

(…)

(24)      La presente decisione rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti nella [Carta]».

14      Il successivo articolo 2, paragrafo 1, precisa che la direttiva stessa si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare.

15      A termini del successivo articolo 3:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(…)

(2)      “soggiorno irregolare” la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del [regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1)], o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

(…)

(4)      “decisione di rimpatrio” decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

(5)      “allontanamento” l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro;

(…)»

16      L’articolo 5 della direttiva medesima, rubricato «Non-refoulement, interesse superiore del bambino, vita familiare e condizioni di salute», così recita:

«Nell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

a) l’interesse superiore del bambino;

b) la vita familiare;

c) le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

e rispettano il principio di non-refoulement.»

17      Il successivo articolo 6, intitolato «Decisione di rimpatrio», così dispone:

«1. Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

(…)

4. In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio. Qualora sia già stata emessa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare.

(…)

6. La presente direttiva non osta a che gli Stati membri decidano di porre fine al soggiorno regolare e dispongano contestualmente il rimpatrio e/o l’allontanamento e/o il divieto d’ingresso in un’unica decisione o atto amministrativo o giudiziario in conformità della legislazione nazionale, fatte salve le garanzie procedurali previste dal capo III e da altre pertinenti disposizioni del diritto comunitario e nazionale».

18      A termini del successivo articolo 7, rubricato «Partenza volontaria»:

«1. La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta.

(…)

2. Gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l’esistenza di bambini che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali.

(…)»

19      Il successivo articolo 8, intitolato «Allontanamento», prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7.

(…)

3. Gli Stati membri possono adottare una decisione o un atto amministrativo o giudiziario distinto che ordini l’allontanamento.

(…)»

20      Ai sensi del successivo articolo 9, paragrafo 1:

«Gli Stati membri rinviano l’allontanamento:

a)      qualora violi il principio di non-refoulement, oppure

b)      per la durata della sospensione concessa ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2».

21      L’articolo 13, intitolato «mezzi di ricorso», collocato nel capo III della direttiva stessa relativo alle «garanzie procedurali», al paragrafo 1 così dispone:

«Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza».

22      A termini del successivo articolo 15:

«Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando:

a)      sussiste un rischio di fuga o

b)      il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio».

 Diritto belga

23      L’articolo 39/70, primo comma, della legge del 15 dicembre 1980, che disciplina l’ingresso nel territorio, il soggiorno, l’insediamento e l’allontanamento degli stranieri (Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584), nel testo applicabile ai fatti della causa principale (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), prevede quanto segue:

«Salvo consenso dell’interessato, nessuna misura di allontanamento dal territorio o di respingimento può essere eseguita forzosamente nei confronti dello straniero durante il termine previsto per la presentazione del ricorso nonché durante l’esame dello stesso».

24      L’articolo 52/3, paragrafo 1, primo e secondo comma, della legge medesima così recita:

«Qualora il Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides [(Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi)] non tenga conto della domanda di asilo o neghi il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione dello status di protezione sussidiaria allo straniero e quest’ultimo soggiorni in modo irregolare nel Regno, il ministro o il soggetto delegato da quest’ultimo deve emettere senza indugio l’ordine di lasciare il territorio, giustificato da uno dei motivi di cui all’articolo 7, primo comma, punti da 1 a 12. La decisione è notificata immediatamente all’interessato ai sensi dell’articolo 51/2.

Nel caso in cui il Conseil du contentieux des étrangers [(Consiglio del contenzioso degli stranieri)] respinga il ricorso proposto dallo straniero avverso una decisione adottata dal Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides [(Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi)] ai sensi dell’articolo 39/2, paragrafo 1, punto 1, ed il soggiorno dello straniero nel Regno sia irregolare, il ministro o il suo delegato deve disporre senza indugio la proroga dell’ordine di lasciare il territorio previsto al primo comma. La decisione è notificata immediatamente all’interessato ai sensi dell’articolo 51/2».

25      L’articolo 75, paragrafo 2, del Regio Decreto dell’8 ottobre 1981, relativo all’ingresso nel territorio, al soggiorno, all’insediamento e all’allontanamento degli stranieri (Moniteur belge del 27 ottobre 1981, pag. 13740), nel testo applicabile ai fatti della causa principale, così dispone:

«Nel caso in cui il Commissaire général aux Réfugiés et aux Apatrides [(Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi)] neghi allo straniero il riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria o non prenda in considerazione la domanda di asilo, il ministro o il soggetto da quest’ultimo delegato ordina all’interessato di lasciare il territorio, ai sensi dell’articolo 52/3, paragrafo 1, della legge [del 15 dicembre 1980]».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

26      Il 14 aprile 2011, il sig. Gnandi, cittadino togolose, presentava dinanzi alle autorità belghe domanda di protezione internazionale, domanda che veniva respinta, il 23 maggio seguente, dal Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi, Belgio, in prosieguo: il «CGRA»). Il 3 giugno 2014, lo Stato belga ordinava al sig. Gnandi, tramite il proprio Office des étrangers (Ufficio stranieri), di lasciare il territorio.

27      Avverso la decisione del CGRA del 23 maggio 2014 il sig. Gnandi proponeva ricorso, in data 23 giugno 2014, dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio del contenzioso degli stranieri, Belgio, in prosieguo: il «CCS»), chiedendo l’annullamento dell’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014 nonché, al tempo stesso, la sospensione dell’esecuzione dello stesso.

28      Con sentenza del 31 ottobre 2014 il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio del contenzioso degli stranieri) respingeva il ricorso proposto contro la decisione del CGRA del 23 maggio 2014, nonché, con sentenza del 19 maggio 2015, il ricorso proposto avverso l’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014. Il sig. Gnandi impugnava le due sentenze dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) il quale, in data 10 novembre 2015, annullava la sentenza del Conseil du contentieux des étrangers del 31 ottobre 2014 rinviando la causa dinanzi al medesimo. Il procedimento principale riguarda unicamente il ricorso per cassazione proposto dal sig. Gnandi avverso la sentenza del Conseil du contentieux des étrangers del 19 maggio 2015.

29      Nell’ambito di tale procedimento, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 5 della direttiva [2008/115], che impone agli Stati membri di rispettare il principio di non-refoulement al momento dell’attuazione di tale direttiva, nonché il diritto a un ricorso effettivo, previsto dall’articolo 13, paragrafo 1, della medesima direttiva e dall’articolo 47 della [Carta] debbano essere interpretati nel senso che ostano all’adozione di una decisione di rimpatrio – come quella prevista dall’articolo 6 della direttiva 2008/115 nonché dall’articolo 52/3, paragrafo 1, della [legge del 15 dicembre 1980] e dall’articolo 75, paragrafo 2, del Regio Decreto dell’8 ottobre 1981 in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento, e allontanamento degli stranieri – sin dal momento del rigetto della domanda di asilo da parte del [CGRA] e, dunque, prima che i mezzi di ricorso avverso tale decisione di rigetto possano essere esauriti e prima che la procedura di asilo possa essere definitivamente chiusa».

 Sulla pendenza della controversia principale

30      Dinanzi alla Corte il governo belga ha sostenuto che non vi sarebbe più necessità di pronunciarsi sulla questione pregiudiziale, considerato che l’ordine di lasciare il territorio, oggetto del procedimento principale, sarebbe stato caducato a seguito della concessione al sig. Gnandi dell’autorizzazione di soggiorno temporaneo nonché della pronuncia della sentenza d’annullamento della decisione del CGRA del 23 maggio 2014, pronunciata dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio del contenzioso degli stranieri) in data 11 marzo 2016,.

31      A tal riguardo, emerge sia dal dettato sia dalla ratio dell’articolo 267 TFUE che il procedimento pregiudiziale presuppone la pendenza dinanzi ai giudici nazionali di un’effettiva controversia, nell’ambito della quale dovrà essere emessa una pronuncia che possa tener conto della sentenza pregiudiziale della Corte. La Corte deve pertanto verificare, anche d’ufficio, la pendenza della controversia principale (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

32      Nella specie, dagli atti di causa in possesso della Corte risulta che, successivamente alla proposizione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il sig. Gnandi è stato autorizzato, con decisione dell’Office des étrangers (Ufficio stranieri) dell’8 febbraio 2016, a soggiornare sul territorio belga sino al 1° marzo 2017 e che, successivamente alla sentenza del Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio del contenzioso degli stranieri) dell’11 marzo 2016, la sua domanda di protezione internazionale è stata nuovamente respinta da parte del CGRA in data 30 giugno 2016.

33      Il giudice del rinvio, invitato dalla Corte a dichiarare se ritenesse ancora necessaria la risposta alla questione pregiudiziale ai fini della decisione della controversia, ha fatto presente di voler insistere sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, precisando, sostanzialmente, che l’annullamento della decisione del CGRA del 23 maggio 2014 per effetto della sentenza del Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio del contenzioso degli stranieri) dell’11 marzo 2016 non aveva di per sé prodotto alcun effetto giuridico sull’ordine di lasciare il territorio, oggetto del procedimento principale, e che la concessione al sig. Gnandi dell’autorizzazione di soggiorno temporaneo non implicava la revoca implicita di detto ordine. Il giudice a quo ha aggiunto che l’ordine medesimo è nuovamente produttivo di effetti giuridici a decorrere dal 30 giugno 2016, data di pronuncia del nuovo rigetto della domanda di protezione internazionale del sig. Gnandi da parte del CGRA

34      A tal riguardo, non compete alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione di disposizioni nazionali (sentenza del 17 dicembre 2015, Tall, C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Si deve conseguentemente ritenere, alla luce delle indicazioni fornite dal giudice del rinvio, che la controversia principale sia tuttora pendente dinanzi al giudice medesimo e che la risposta della Corte alla questione sollevata mantenga la sua utilità ai fini della soluzione della lite. Occorre pertanto rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale.

 Sulla questione pregiudiziale

35      Con la questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115, nel combinato disposto con la direttiva 2005/85 nonché alla luce del principio non-refoulement e del diritto a rimedi giurisdizionali effettivi, sanciti dall’articolo 18, dall’articolo 19, paragrafo 2, e dall’articolo 47 della Carta, debba essere interpretata nel senso che osti all’adozione di una decisione di rimpatrio ex articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, nei confronti di un cittadino di un paese terzo che abbia presentato domanda di protezione internazionale straniero, direttamente a seguito del rigetto della domanda stessa da parte dell’autorità competente e, pertanto, nelle more dell’esito del ricorso giurisdizionale proposto avverso tale rigetto.

36      Si deve rilevare, in limine, come osservato dal giudice del rinvio nella propria domanda di pronuncia pregiudiziale, che l’ordine di lasciare il territorio, oggetto del procedimento principale, costituisce una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115. Tale disposizione definisce, infatti, la nozione di «decisione di rimpatrio» nel senso di una decisione o di un atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio.

37      A termini dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva medesima, essa si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare. Per quanto attiene, più specificamente, alle decisioni di rimpatrio, l’articolo 6, paragrafo 1 di detta direttiva prevede che gli Stati membri adottino, in linea di principio, una decisione di tal genere nei confronti di qualsiasi cittadino di paesi terzi il cui soggiorno sul proprio territorio sia irregolare.

38      Al fine di poter stabilire se una decisione di rimpatrio possa essere adottata nei confronti di un cittadino di un paese terzo direttamente a seguito del rigetto della sua domanda di protezione internazionale operata dall’autorità competente, occorre quindi esaminare, in primo luogo, se il cittadino stesso si trovi, a seguito del rigetto, in una situazione di soggiorno irregolare ai sensi della direttiva 2008/115.

39      A tal riguardo, dalla definizione di «soggiorno irregolare», di cui all’articolo 3, punto 2, della direttiva, emerge che ogni cittadino di un paese terzo che si trovi sul territorio di uno Stato membro senza rispettare i requisiti stabiliti ai fini dell’ingresso, del soggiorno o di residenza, si trova, per tale sol fatto, in una situazione di soggiorno irregolare (sentenza del 7 giugno 2016, Affum, C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 48).

40      A termini dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, il richiedente protezione internazionale è autorizzato a restare nello Stato membro, ai soli fini del procedimento, sino all’adozione della decisione di primo grado di rigetto della domanda di protezione internazionale. Se è pur vero che il diritto di restare non costituisce, alla luce dell’espresso tenore di detta disposizione, un diritto all’ottenimento di un permesso di soggiorno, risulta tuttavia, segnatamente dal considerando 9 della direttiva 2008/115, che tale diritto di restare impedisce che il soggiorno del richiedente protezione internazionale sia qualificato come «irregolare» ai sensi della direttiva medesima, nel periodo intercorrente dalla presentazione della domanda di protezione internazionale stessa sino all’adozione della decisione di primo in grado in merito.

41      Come emerge in termini univoci dal tenore dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, il diritto di restare ivi previsto cessa con l’adozione della decisione di primo grado di rigetto della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente. In assenza di un diritto o di un permesso di soggiorno concesso all’interessato in base ad altro fondamento normativo, in particolare ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, che consenta al richiedente, la cui domanda sia stata respinta, di soddisfare i requisiti d’ingresso, di soggiorno o di residenza nello Stato membro de quo, tale decisione di rigetto fa sì che, dal momento della sua adozione, il richiedente medesimo non risponda più a tali requisiti, ragion per cui il suo soggiorno diviene irregolare.

42      È ben vero che l’articolo 39, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 lascia agli Stati membri la facoltà di prevedere norme che consentano ai richiedenti protezione internazionale di restare sul loro territorio nelle more dell’esito del ricorso proposto contro il rigetto della domanda di protezione internazionale. Nella specie, l’articolo 39/70 della legge del 15 dicembre 1980 sembra contenere una norma di tal genere, in quanto riconosce ai richiedenti protezione internazionale il diritto di restare sul territorio belga per il periodo corrispondente ai termini di proposizione del ricorso e del suo esame, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.

43      È parimenti vero che la Corte ha avuto modo di dichiarare, ai punti 47 e 49 della sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), che l’autorizzazione a restare ai fini dell’esercizio effettivo di un’azione avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale osta all’applicazione della direttiva 2008/115 al cittadino di un paese terzo, autore di tale domanda, nelle more del ricorso contro il suo rigetto.

44      Da tale sentenza non può tuttavia farsi discendere che l’autorizzazione a restare impedirebbe di ritenere che, a seguito del rigetto della domanda di protezione internazionale e fatta salva l’esistenza di un diritto o di un permesso di soggiorno quale rilevato supra al punto 41, il soggiorno dell’interessato divenga irregolare ai sensi della direttiva 2008/115.

45      Infatti, in primo luogo, va precisato, alla luce della portata delle questioni pregiudiziali sollevate nel procedimento che ha condotto alla menzionata sentenza nonché del contesto in cui il procedimento stesso si collocava, che l’interpretazione accolta nella sentenza medesima è stata elaborata al solo fine di garantire che la procedura di rimpatrio non venisse avviata sino a quando il richiedente, la cui domanda sia stata respinta, sia autorizzato a restare, nelle more dell’esito del proprio ricorso, e che, in particolare, durante tale periodo questi non possa essere posto in detenzione, in virtù dell’articolo 15 della direttiva stessa, a fini di allontanamento.

46      In secondo luogo, né l’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115 né alcun’altra sua disposizione subordina l’irregolarità del soggiorno all’esito del ricorso avverso la decisione amministrativa relativa alla cessazione del soggiorno regolare o all’assenza di un’autorizzazione a restare nelle more dell’esito del ricorso stesso. Al contrario, mentre, come rilevato supra al punto 40, dal combinato disposto dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 e del considerando 9 della direttiva 2008/115 emerge che il diritto del richiedente la protezione internazionale di restare sul territorio dello Stato membro interessato, nel periodo compreso tra la presentazione della domanda sino all’emanazione della decisione di primo grado in merito, impedisce che il soggiorno dell’interessato sia qualificato, nel periodo medesimo, come «irregolare», ai sensi della direttiva 2008/115, nessuna disposizione e nessun considerando della direttiva 2005/85 o della direttiva 2008/115 prevede, per contro, che l’autorizzazione a restare sul territorio de quo nelle more dell’esito del ricorso proposto contro il rigetto della domanda escluda, di per sé, tale qualificazione.

47      In terzo luogo, la direttiva 2008/115 non si fonda sull’idea secondo cui l’irregolarità del soggiorno e, quindi, l’applicabilità della direttiva stessa presupporrebbero l’assenza di qualsiasi possibilità legale, per un cittadino di un paese terzo, di restare sul territorio dello Stato membro interessato, segnatamente nelle more dell’esito del ricorso giurisdizionale proposto contro la decisione relativa alla cessazione del soggiorno regolare. Al contrario, la direttiva trova applicazione, come risulta dal suo considerando 12, nei confronti dei cittadini di un paese terzo autorizzati, sebbene il loro soggiorno sia irregolare, a restare legalmente sul territorio dello Stato membro interessato, non potendo essere ancora oggetto di allontanamento. In particolare, l’articolo 7 della direttiva prevede la fissazione di un termine congruo per la partenza volontaria delle persone interessate durante il quale queste, per quanto il loro soggiorno sia irregolare, sono ancora autorizzate a restare. Inoltre, a termini dell’articolo 5 e dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva stessa, gli Stati membri sono tenuti a rispettare il principio di non-refoulement con riguardo ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e a rinviare il loro allontanamento nel caso in cui ciò avvenisse in violazione di detto principio.

48      In quarto luogo, si deve ricordare che l’obiettivo principale della direttiva 2008/115 consiste, come emerge dai suoi considerando 2 e 4, nel porre in essere un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone interessate (v., in tal senso, sentenze del 17 luglio 2014, Pham, C‑474/13, EU:C:2014:2096, punto 20, e del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 75 e la giurisprudenza ivi citata.

49      Tale obiettivo trova specifica espressione nell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115, che lascia espressamente agli Stati membri la facoltà di decidere in merito alla fine del soggiorno regolare e, al tempo stesso, in merito al rimpatrio nell’ambito di uno stesso atto di natura amministrativa. Infatti, tale possibilità di cumulo delle due decisioni in un solo atto di natura amministrativa consente agli Stati membri di garantire la concomitanza, se non il raggruppamento, dei procedimenti amministrativi da cui siano scaturite le decisioni medesime nonché i relativi procedimenti d’impugnazione. Come osservato, segnatamente, dai governi ceco, olandese e tedesco, tale possibilità di cumulo consente anche di superare le difficoltà pratiche inerenti alla notificazione delle decisioni di rimpatrio.

50      Orbene, un’interpretazione della direttiva medesima secondo cui l’irregolarità del soggiorno sarebbe esclusa, per effetto della sola esistenza di un’autorizzazione a restare nelle more dell’esito del ricorso proposto contro il rigetto della domanda di protezione internazionale, si risolverebbe nel privare tale possibilità di cumulo del proprio effetto utile, ponendosi in tal modo in contrasto con l’obiettivo di realizzazione di un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio. Infatti, seguendo tale interpretazione, la decisione di rimpatrio potrebbe essere adottata solo successivamente alla decisione del ricorso, il che rischierebbe di ritardare considerevolmente l’avvio della procedura di rimpatrio, rendendola più complessa.

51      In quinto luogo, per quanto attiene al necessario rispetto delle esigenze derivanti dal diritto a rimedi giurisdizionali effettivi e del principio di non-refoulement, richiamati dal giudice del rinvio nella questione pregiudiziale, si deve sottolineare che l’interpretazione della direttiva 2008/115, al pari di quella della direttiva 2005/85, dev’essere compiuta, come emerge dal considerando 24 della prima e dal considerando 8 della seconda, nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti, segnatamente, dalla Carta (v., in tal senso, sentenza 17 dicembre 2015, Tall, C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 50).

52      Per quanto riguarda, più in particolare, i ricorsi previsti all’articolo 13 della direttiva 2008/115 contro le decisioni attinenti al rimpatrio, al pari di quelli contemplati all’articolo 39 della direttiva 2005/85 avverso le decisioni di rigetto delle domande di protezione internazionale, le loro caratteristiche devono essere determinate conformemente all’articolo 47 della Carta, a termini del quale ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice, nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo medesimo (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Abdida, C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 45, e del 17 dicembre 2015, Tall, C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 51).

53      Occorre parimenti rilevare che il principio di non-refoulement è garantito quale diritto fondamentale dall’articolo 18 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (sentenza del 24 giugno 2015, H.T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 65), ed è riaffermato, in particolare, al considerando 2 della direttiva 2005/85 nonché al considerando 8 e all’articolo 5 della direttiva 2008/115. L’articolo 18 della Carta prevede peraltro, al pari dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, il rispetto delle norme della Convenzione di Ginevra (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 et C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 75).

54      Ai sensi della giurisprudenza della Corte, qualora uno Stato membro decida di allontanare un richiedente protezione internazionale verso un paese in cui esistano seri motivi per ritenere che questi si trovi esposto al rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 18 della Carta, nel combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, ovvero all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, previsto all’articolo 47 di quest’ultima, esige che il richiedente medesimo disponga di un ricorso con pieni effetti sospensivi contro l’esecuzione della misura che consenta il suo rimpatrio (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Abdida, C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 52, e del 17 dicembre 2015, Tall, C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 54).

55      È ben vero che la Corte ha già avuto modo di affermare che l’assenza di effetti sospensivi di un ricorso proposto contro la sola decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale è conforme, in linea di massima, al principio di non-refoulement e all’articolo 47 della Carta, atteso che la sua esecuzione non può tuttavia comportare, di per sé, l’allontanamento del cittadino di un paese terzo di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, Tall, C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 56).

56      Per contro, il ricorso proposto avverso una decisione di rimpatrio ex articolo 6 della direttiva 2008/115 dev’essere munito, al fine di garantire, nei confronti del cittadino di un paese terzo interessato, il rispetto delle esigenze derivanti dal principio di non-refoulement e dall’articolo 47 della Carta, di pieni effetti sospensivi, considerato che detta decisione è tale da esporre il cittadino medesimo al serio rischio di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 18 della Carta, nel combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, ovvero a trattamenti contrari all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Abdida, C‑562/13, EU:C:2014:2453, punti 52 e 53, nonché del 17 dicembre 2015, Tall, C‑239/14, EU:C:2015:824, punti 57 e 58). Lo stesso ragionamento vale, a fortiori, per quanto attiene ad un’eventuale decisione di allontanamento ex articolo 8, paragrafo 3, della direttiva stessa.

57      Ciò detto, né l’articolo 39 della direttiva 2005/85 e l’articolo 13 della direttiva 2008/115, né l’articolo 47 della Carta, alla luce delle garanzie sancite dall’articolo 18 e dal successivo articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima, impongono l’esistenza di un doppio grado di giudizio. Rileva, infatti, unicamente l’esperibilità di rimedi dinanzi all’autorità giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf, C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 69).

58      Ne consegue che, con riguardo ad una decisione di rimpatrio e ad una eventuale decisione di allontanamento, la protezione insita nel diritto a rimedi giurisdizionali effettivi nonché nel principio di non-refoulement dev’essere garantita riconoscendo al richiedente protezione internazionale il diritto di ricorso con pieni effetti sospensivi, quantomeno dinanzi all’autorità giurisdizionale. Fatta salva la stretta osservanza di tale esigenza, la mera circostanza che il soggiorno dell’interessato sia qualificato come irregolare, ai sensi della direttiva 2008/115, a seguito del rigetto della domanda di protezione internazionale, e che una decisione di rimpatrio possa essere conseguentemente adottata direttamente a seguito di tale rigetto o con esso cumulata in uno stesso atto amministrativo non contrasta né con il principio di non-refoulement né con quello del diritto a rimedi giurisdizionali effettivi.

59      Alla luce dei suesposti rilievi, si deve ritenere, in conclusione, che il cittadino di un paese terzo, salva l’ipotesi in cui gli sia stato concesso un diritto o un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, si trova in una situazione di soggiorno irregolare, ai sensi della direttiva medesima, a seguito del rigetto in prime cure della propria domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente, e ciò indipendentemente dall’esistenza di un’autorizzazione a restare nelle more della decisione del ricorso contro il rigetto stesso. Una decisione di rimpatrio può essere quindi adottata, in linea di principio, nei confronti di un cittadino di un paese terzo, a seguito del rigetto stesso o cumulativamente con il medesimo in un unico atto amministrativo.

60      Ciò premesso, si deve sottolineare, in secondo luogo, che gli Stati membri sono tenuti a fare in modo che ogni decisione di rimpatrio rispetti le garanzie procedurali di cui al capo III della direttiva 2008/115 nonché le altre pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione e del diritto nazionale. Tale obbligo è espressamente sancito dall’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva medesima nel caso in cui la decisione di rimpatrio venga adottata contemporaneamente con il rigetto in primo grado della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente. Esso trova parimenti applicazione in una fattispecie, come quella oggetto del procedimento principale, in cui la decisione di rimpatrio sia stata presa immediatamente a seguito del rigetto della domanda di protezione internazionale, in un atto di natura amministrativa distinto e da parte di un’autorità differente.

61      In tale contesto, spetta agli Stati membri garantire la piena efficacia del ricorso contro la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale, nel rispetto del principio della parità di armi, il quale esige, in particolare, la sospensione di tutti gli effetti della decisione di rimpatrio durante il termine previsto ai fini della proposizione del ricorso medesimo e, in caso di sua proposizione, sino alla relativa decisione.

62      A tal riguardo, non è sufficiente che lo Stato membro interessato si astenga dal procedere all’esecuzione forzata della decisione di rimpatrio. Al contrario, è necessario che tutti gli effetti giuridici di tale decisione siano sospesi e quindi, segnatamente, che il termine ai fini della partenza volontaria, di cui all’articolo 7 della direttiva 2008/115, non inizi a decorrere fintantoché l’interessato sia autorizzato a restare. Inoltre, durante tale periodo, questi non può essere posto in detenzione a fini di allontanamento ai sensi dell’articolo 15 della direttiva.

63      Nelle more dell’esito del ricorso contro il rigetto, in primo grado, della propria domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente, l’interessato deve peraltro poter beneficiare, in linea di principio, dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2003/9, il cui articolo 3, paragrafo 1, ne subordina infatti l’applicazione unicamente alla sussistenza di un’autorizzazione a restare sul territorio dello Stato in qualità di richiedente e non ne esclude, pertanto, l’applicazione nell’ipotesi in cui l’interessato, già in possesso di tale autorizzazione, si trovi in situazione di soggiorno irregolare ai sensi della direttiva 2008/115. A tal riguardo, dall’articolo 2, lettera c), della direttiva 2003/9 emerge che l’interessato conserva il proprio status di richiedente protezione internazionale ai sensi della direttiva medesima sino al momento della pronuncia definitiva in merito alla propria domanda (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, Cimade e GISTI, C‑179/11, EU:C:2012:594, punto 53).

64      Inoltre, considerato che, malgrado l’adozione di una decisione di rimpatrio, intervenuta successivamente al rigetto in primo grado della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente ovvero cumulativamente al rigetto in uno stesso atto amministrativo, il richiedente protezione internazionale dev’essere autorizzato a restare sino alla decisione del ricorso proposto contro il rigetto stesso, gli Stati membri devono consentire alle persone interessate di far valere qualsiasi mutamento delle circostanze verificatosi successivamente alla decisione di rimpatrio che presenti rilevanza significativa per la valutazione della situazione degli interessati medesimi con riguardo alla direttiva 2008/115 e, in particolare, all’articolo 5 della medesima.

65      Infine, come emerge dal considerando 6 della direttiva 2008/115, gli Stati membri devono assicurare il rispetto di una procedura di rimpatrio equa e trasparente (v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 40, e del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 61). A tal fine, spetta loro, nel caso in cui la decisione di rimpatrio venga adottata a seguito del rigetto in primo grado della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente ovvero cumulativamente con il rigetto stesso in un unico atto amministrativo, far sì che il richiedente la protezione internazionale interessato venga informato, in termini trasparenti, in ordine al rispetto delle garanzie menzionate supra ai punti da 61 a 64.

66      Nella specie, il giudice del rinvio fa presente che la decisione di rimpatrio di cui trattasi nel procedimento principale, sebbene non possa costituire oggetto di esecuzione forzata anteriormente alla decisione del ricorso proposto dal sig. Gnandi avverso il rigetto della propria domanda di protezione internazionale, risulta pregiudizievole per il medesimo, obbligandolo a lasciare il territorio belga. Con riserva di verifica da parte del giudice medesimo, sembra quindi che la garanzia menzionata supra ai punti 61 e 62, secondo cui la procedura di rimpatrio dev’essere sospesa nelle more della decisione del ricorso de quo, non sia rispettata.

67      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che la direttiva 2008/115, nel combinato disposto con la direttiva 2005/85 nonché alla luce del principio di non-refoulement e del diritto ad un ricorso effettivo, sanciti dall’articolo 18, dall’articolo 19, paragrafo 2, e dall’articolo 47 della Carta, dev’essere interpretata nel senso che non osta all’adozione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva stessa, nei confronti di un cittadino di un paese terzo che abbia proposto domanda di protezione internazionale, direttamente a seguito del rigetto di tale domanda da parte dell’autorità competente ovvero cumulativamente con il rigetto stesso in un unico atto amministrativo e, pertanto, anteriormente alla decisione del ricorso giurisdizionale proposto avverso il rigetto medesimo, subordinatamente alla condizione, segnatamente, che lo Stato membro interessato garantisca la sospensione di tutti gli effetti giuridici della decisione di rimpatrio nelle more dell’esito del ricorso, che il richiedente possa beneficiare, durante tale periodo, dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2003/9 e che sia in grado di far valere qualsiasi mutamento delle circostanze verificatosi successivamente all’adozione della decisione di rimpatrio, che presenti rilevanza significativa per la valutazione della situazione dell’interessato con riguardo alla direttiva 2008/115 e, in particolare, all’articolo 5 della medesima, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.

 Sulle spese

68      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel combinato disposto con la direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, nonché alla luce del principio di non-refoulement e del diritto ad un ricorso effettivo, sanciti dall’articolo 18, dall’articolo 19, paragrafo 2, e dall’articolo 47 della Carta, dev’essere interpretata nel senso che non osta all’adozione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva stessa, nei confronti di un cittadino di un paese terzo che abbia proposto domanda di protezione internazionale, direttamente a seguito del rigetto di tale domanda da parte dell’autorità competente ovvero cumulativamente con il rigetto stesso in un unico atto amministrativo e, pertanto, anteriormente alla decisione del ricorso giurisdizionale proposto avverso il rigetto medesimo, subordinatamente alla condizione, segnatamente, che lo Stato membro interessato garantisca la sospensione di tutti gli effetti giuridici della decisione di rimpatrio nelle more dell’esito del ricorso, che il richiedente possa beneficiare, durante tale periodo, dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative allaccoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri,e che sia in grado di far valere qualsiasi mutamento delle circostanze verificatosi successivamente all’adozione della decisione di rimpatrio, che presenti rilevanza significativa per la valutazione della situazione dell’interessato con riguardo alla direttiva 2008/115 e, in particolare, all’articolo 5 della medesima, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.