Language of document : ECLI:EU:C:2018:482

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 21 giugno 2018(1)

Cause riunite C61/17, C62/17 e C72/17

Miriam Bichat (C61/17)

Daniela Chlubna (C62/17)

Isabelle Walkner (C72/17)

contro

Aviation Passage Service Berlin GmbH & Co. KG

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesarbeitsgericht Berlin (Tribunale superiore del lavoro del Land di Berlino, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Licenziamenti collettivi – Direttiva 98/59/CE – Articolo 2, paragrafo 4 – Nozione di impresa che controlla il datore di lavoro – Procedure di consultazione dei lavoratori – Onere della prova»






1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte è chiamata a fornire indicazioni riguardo all’interpretazione della direttiva 98/59/CE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (2) e, in particolare, alla questione se la nozione di «impresa che (…) controlli [il datore di lavoro]» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della medesima direttiva debba essere interpretata solo in base a un rapporto de iure oppure se sia sufficiente anche un rapporto de facto.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 La Carta

2.        L’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (3) stabilisce quanto segue:

«È riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali».

 Direttiva 98/59

3.        Conformemente ai considerando 2 e 11 della direttiva 98/59:

«(2)      considerando che occorre rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, tenendo conto della necessità di uno sviluppo economico‑sociale equilibrato nel[l’Unione];

(…)

(11)      considerando che occorre garantire l’adempimento degli obblighi del datore di lavoro in materia di informazione, consultazione e comunicazione indipendentemente dal fatto che le decisioni riguardanti i licenziamenti collettivi siano prese dal datore di lavoro o da un’impresa che lo controlli».

4.        L’articolo 2 della direttiva è l’unico articolo contenuto nella sezione II, intitolato «Informazione e consultazione». Per quanto rilevante nella fattispecie, tale disposizione prevede quanto segue:

«1.      Quando il datore di lavoro prevede di effettuare licenziamenti collettivi, deve procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un accordo.

2.      Nelle consultazioni devono essere almeno esaminate le possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati.

(…)

3.      Affinché i rappresentanti dei lavoratori possano formulare proposte costruttive, il datore di lavoro deve in tempo utile nel corso delle consultazioni:

a)      fornire loro tutte le informazioni utili e

b)      comunicare loro, comunque, per iscritto:

i)      le ragioni del progetto di licenziamento,

ii)      il numero e le categorie dei lavoratori da licenziare,

iii)      il numero e le categorie dei lavoratori abitualmente impiegati,

iv)      il periodo in cui si prevede di effettuare i licenziamenti,

v)      i criteri previsti per la selezione dei lavoratori da licenziare, qualora le legislazioni e/o le prassi nazionali ne attribuiscano la competenza al datore di lavoro,

vi)      il metodo di calcolo previsto per qualsiasi eventuale indennità di licenziamento diversa da quella derivante dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

(…)

4.      Gli obblighi di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 sono applicabili indipendentemente dal fatto che le decisioni riguardanti i licenziamenti collettivi siano prese dal datore di lavoro o da un’impresa che lo controlli.

Nell’esame delle pretese violazioni degli obblighi di informazione, consultazione e notifica previsti nella presente direttiva, non si deve tener conto dei mezzi di difesa del datore di lavoro basati sul fatto che l’impresa che ha preso la decisione determinante il licenziamento collettivo non gli ha trasmesso le informazioni necessarie».

5.        Ai sensi dell’articolo 6 della direttiva:

«Gli Stati membri provvedono affinché i rappresentanti dei lavoratori e/o i lavoratori dispongano di procedure amministrative e/o giurisdizionali per far rispettare gli obblighi previsti dalla presente direttiva».

 Diritto nazionale

6.        L’articolo 17 del Kündigungsschutzgesetz (legge sulla protezione contro il licenziamento illegittimo; in prosieguo il «KSchG») è stato emanato al fine di recepire la direttiva 98/59 nel diritto nazionale. Per quanto pertinente nel presente procedimento, tale disposizione prevede quanto segue:

«(…)

(2)      Quando prevede di effettuare licenziamenti collettivi, che è tenuto a notificare [all’Agenzia federale per l’impiego] (…), il datore di lavoro deve fornire per tempo informazioni utili ai rappresentanti dei lavoratori e, in particolare, deve informarli per iscritto:

1.      delle ragioni del progetto di licenziamento;

2.      del numero e delle categorie di lavoratori da licenziare;

3.      del numero e delle categorie di lavoratori abitualmente impiegati;

4.      del periodo in cui si prevede di effettuare i licenziamenti;

5.      dei criteri previsti per la selezione dei lavoratori da licenziare;

6.      del metodo di calcolo previsto per qualsiasi indennità di licenziamento.

Nelle consultazioni tra il datore di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori devono essere almeno esaminate le possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze.

(…)

(3a)      Gli obblighi in materia di informazione, consultazione e notifica di cui ai paragrafi da 1 a 3 sono applicabili indipendentemente dal fatto che le decisioni riguardanti i licenziamenti collettivi siano prese dal datore di lavoro o da un’impresa che lo controlli. Il datore di lavoro non può invocare il fatto che l’impresa che ha preso la decisione determinante il licenziamento collettivo non gli ha trasmesso le informazioni necessarie.

(…)».

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

 Causa C61/17

7.        La sig.ra Miriam Bichat, ricorrente nella causa C‑61/17, ha lavorato per l’Aviation Passage Service Berlin GmbH & Co. KG (in prosieguo: l’«APSB»), convenuta nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio, e per le società cui quest’ultima è succeduta, all’aeroporto Tegel di Berlino (4).

8.        La situazione dell’esatta proprietà, sul piano fattuale e giuridico, dell’APSB non è del tutto chiara. Il giudice del rinvio riporta che tale ente è un’impresa controllata, dal punto di vista giuridico, da un’impresa denominata GlobalGround Berlin GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «GGB»). L’esistenza di tale rapporto non significa tuttavia che, secondo il diritto nazionale, la GGB e l’APSB fanno parte dello stesso gruppo di imprese. Il giudice del rinvio dichiara inoltre di ritenere appurato il fatto che, all’epoca dei fatti rilevanti del procedimento principale, la GGB non si trovava in una posizione tale da poter controllare essa stessa il processo decisionale dell’APSB.

9.        Il 9 e il 22 settembre 2014, la GGB ha comunicato all’APSB che quest’ultima doveva ridurre le proprie operazioni all’aeroporto di Tegel e che tale parte della sua attività veniva trasferita a un’impresa non appartenente al gruppo. Di conseguenza, i contratti stipulati dall’APSB per eseguire tali operazioni si sarebbero estinti. Tale impresa non avrebbe assunto alcun membro del personale dell’APSB.

10.      Sempre il 22 settembre 2014 ha avuto luogo un’assemblea generale dell’APSB in cui la GGB, quale unico membro avente diritti di voto, ha deliberato che le attività dell’APSB presso, in particolare, l’aeroporto di Tegel sarebbero dovute cessare completamente a partire dal 31 marzo 2015.

11.      Il 2 gennaio 2015 l’APSB ha informato il comitato aziendale della propria intenzione di procedere a licenziamenti collettivi a seguito dell’avviso di risoluzione dei contratti, notificato dalla GGB nel settembre 2014. Essa ha aggiunto di non essere stata informata dalla GGB delle ragioni di tale avviso, ma doveva supporre che ciò fosse dovuto al persistere di perdite elevate, che si era cercato invano di ridurre. Tali perdite erano imputate ai costi elevati delle retribuzioni e agli accordi restrittivi concernenti i turni di lavoro.

12.      Il 14 gennaio 2015 i rappresentanti dei lavoratori hanno replicato, esprimendo malcontento per il fatto che le informazioni fornite erano eccessivamente vaghe e chiedendo chiarimenti.

13.      Il 20 gennaio 2015 l’APSB ha adottato la decisione operativa di cessare le proprie attività e il 28 gennaio 2015 ha notificato i licenziamenti collettivi derivanti da tale decisione all’Agentur für Arbeit (Agenzia per l’impiego). È stato previsto che detti licenziamenti avessero luogo entro il 31 marzo 2015.

14.      Sempre il 20 gennaio 2015 l’APSB ha tenuto una riunione con i rappresentanti dei lavoratori in cui ha fornito sostanzialmente le stesse motivazioni per i licenziamenti che aveva fornito il 2 gennaio di detto anno. In particolare, essa ha osservato che non le erano state comunicate le precise motivazioni sottese alla decisione della GGB di risolvere i contratti.

15.      Il 27 gennaio 2015 i rappresentanti dei lavoratori hanno annunciato la loro opposizione ai licenziamenti con la motivazione che le presunte perdite erano fittizie e che la contabilità della GGB e dell’APSB era stata manipolata.

16.      Sono stati proposti vari ricorsi contro i licenziamenti collettivi dinanzi all’Arbeitsgericht, Berlin (Tribunale del lavoro di Berlino), ciascuno dei quali si è concluso con esito positivo. Pertanto, sembra che siano stati notificati nuovi avvisi di licenziamento e che i licenziamenti abbiano infine avuto luogo il 31 gennaio 2016.

17.      La ricorrente ha avviato un procedimento dinanzi al medesimo giudice, affermando, in particolare, che il suo licenziamento costituiva violazione dell’articolo 17 del KSchG in quanto non erano state addotte adeguate motivazioni per i licenziamenti. Con sentenza del 12 gennaio 2016, detto giudice ha respinto il ricorso della sig.ra Bichat e ha dichiarato che i licenziamenti erano validi. La ricorrente ha proposto un’impugnazione dinanzi al Landesarbeitsgericht Berlin (Tribunale superiore del lavoro del Land di Berlino, Germania).

18.      Considerando che, ai fini della pronuncia nel procedimento principale, sia necessaria un’interpretazione delle disposizioni della direttiva 98/59 relativa ai licenziamenti collettivi e, in particolare, della nozione di «impresa che controlli [il datore di lavoro]», il giudice del rinvio ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se costituisca un’impresa controllante ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, della [direttiva 98/59] solo un’impresa che eserciti la sua influenza attraverso quote di partecipazione e diritti di voto, o se sia sufficiente anche un’influenza derivante da una situazione contrattuale o di fatto (ad esempio, a motivo dei poteri di talune persone fisiche di impartire istruzioni).

2)      Qualora si risponda alla prima questione nel senso che non occorre un’influenza esercitata attraverso quote di partecipazione e diritti di voto:

Se si configurino «decisioni riguardanti i licenziamenti collettivi» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, della [direttiva 98/59] anche nel caso in cui vengano imposte al datore di lavoro dall’impresa che lo controlla istruzioni tali da rendere economicamente necessari per il datore di lavoro i licenziamenti collettivi.

3)      In caso di risposta affermativa alla seconda questione:

Se l’articolo 2, paragrafo 4, secondo comma, in combinato disposto con i paragrafi 3, lettere a) e b), punto i), e 1, della [direttiva 98/59], richieda che i rappresentanti dei lavoratori vengano informati anche sui motivi economici o di altra natura per i quali l’impresa controllante ha adottato le decisioni che hanno fatto sì che il datore di lavoro preveda di effettuare licenziamenti collettivi.

4)      Se sia compatibile con l’articolo 2, paragrafo 4, in combinato disposto con i paragrafi 3, lettere a) e b), punto i), e 1, della [direttiva 98/59] far gravare sui lavoratori, che fanno valere in giudizio l’invalidità del loro licenziamento effettuato nell’ambito di un licenziamento collettivo adducendo che il datore di lavoro che ha effettuato il licenziamento non ha svolto correttamente la procedura di consultazione con i rappresentanti dei lavoratori, un onere della prova che vada oltre quello di fornire elementi per suffragare una situazione di controllo.

5)      In caso di risposta affermativa alla quarta questione:

Quali ulteriori oneri di prova possano essere imputati in questo caso ai lavoratori sulla base delle norme citate.

 Cause C62/17 e C72/17

19.      I fatti e le questioni di diritto che sorgono in tali cause, così come le questioni pregiudiziali, sono sostanzialmente identici a quelli della causa C‑61/17.

 Cause riunite C61/17, C62/17 e C72/17

20.      Con decisione del presidente della Corte del 9 marzo 2017, le cause C‑61/17, C‑62/17 e C‑72/17 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento e ai fini della sentenza.

21.      Hanno presentato osservazioni scritte la sig.ra Chlubna (ricorrente nella causa C‑62/17) e la sig.ra Walkner (ricorrente nella causa C‑72/17), l’APSB, il governo tedesco e la Commissione europea. Dette parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dalla Corte all’udienza del 12 aprile 2018.

 Valutazione

 Osservazioni preliminari

 Contesto delle cause

22.      I dettagli dell’esatto contesto fattuale delle presenti cause non sono del tutto chiari. Nel tentativo di stabilire se tale contesto possa essere definito in modo più preciso, la Corte ha inviato al giudice del rinvio una richiesta di chiarimenti su talune questioni esposte nell’ordinanza di rinvio, alla quale detto giudice ha debitamente risposto. Nel precedente paragrafo 8 ho esposto le informazioni quali sono state fornite alla Corte riguardo alla proprietà e al controllo dell’APSB per le quali non sembrano sussistere dubbi.

23.      Taluni aspetti del procedimento principale, tuttavia, sono oggetto di affermazioni formulate per conto delle ricorrenti riguardo alla proprietà e al controllo dell’APSB. Il giudice del rinvio sembra aver preso tali affermazioni sufficientemente sul serio da proporre le domande di pronuncia pregiudiziale sulle quali la Corte viene chiamata a pronunciarsi. Ciò vale in particolare per i punti riguardanti la proprietà di fatto esposti nella prima questione. Presenterò una sintesi di tali affermazioni ai successivi paragrafi da 24 a 28. Occorre sottolineare, tuttavia, che le questioni ivi riportate non costituiscono fatti comprovati (5).

24.      Le ricorrenti sostengono che la GGB, che ha o ha avuto all’epoca dei fatti rilevanti del procedimento principale il controllo di diritto sull’APSB, è stata acquisita, nel 2008, da un gruppo di società operanti nel mercato sotto la denominazione comune di «WISAG» (6). Le attività di tale gruppo si estendono alla prestazione di servizi aeroportuali, compresi i servizi di assistenza a terra del tipo intrapreso dall’APSB.

25.      L’APSB ha svolto soltanto attività commerciali, principalmente per quanto riguarda l’assistenza ai passeggeri; essa non ha operato a livello amministrativo o nel mercato, in altre parole. Quest’ultimo aspetto è stato affidato alla GGB.

26.      Nel 2013 tutte le attività della GGB o circa un terzo di esse sono state trasferite alla WISAG Contracting GMBH & Co. KG; le parti dissentono riguardo all’esatta entità del trasferimento. In ogni caso, al più tardi entro la fine di tale anno la GGB aveva cessato di assumere personale. Nel contempo, detta impresa si è trovata in serie difficoltà finanziarie, culminate in un deficit di EUR 7,9 milioni alla fine del 2014. In circostanze normali l’effettiva insolvenza della GGB avrebbe comportato la cessazione delle sue attività; invece, essa è stata comunque finanziata con risorse di tesoreria fornite a livello centrale dal gruppo WISAG.

27.      All’epoca del licenziamento delle ricorrenti da parte dell’APSB, l’impresa apparteneva di fatto, sebbene non sul piano giuridico, al gruppo WISAG.

28.      Le ricorrenti sostengono inoltre che taluni contratti eseguiti dall’APSB fino alla cessazione delle sue attività commerciali sono stati ceduti ad altre società all’interno del gruppo WISAG.

29.      Quanto sopra esposto rappresenta solo una sintesi delle affermazioni delle ricorrenti riguardo agli ulteriori fatti alla base delle controversie nel procedimento principale. Mi sono limitata a esporre i punti salienti. In tali affermazioni si suggerisce implicitamente che la decisione o le decisioni di risoluzione dei contratti dell’APSB, e con ciò il licenziamento dei dipendenti come le ricorrenti, sono state adottate da un’impresa a un livello superiore all’interno del gruppo societario WISAG. Ne deriverebbe che solo tale impresa sarebbe a conoscenza delle ragioni sottese alla decisione o alle decisioni controverse che, conformemente all’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59 fornita dalle ricorrenti, dovevano essere trasmesse all’APSB e ulteriormente comunicate da tale entità ai lavoratori per dare attuazione agli obblighi di consultazione stabiliti dalla direttiva.

 Sulla ricevibilità

30.      Il governo tedesco sostiene che la prima questione sollevata dal giudice del rinvio è irricevibile. Tale affermazione è basata su due motivazioni. Secondo la prima, emerge chiaramente dai fatti di causa che il controllo ai sensi della direttiva 98/59 spetta alla GGB, in quanto è tale impresa l’unico membro appartenente al gruppo della APSB a disporre dell’influenza necessaria e dei diritti di voto all’interno di tale società. La questione è quindi priva di utilità e ipotetica. In base alla seconda motivazione, i fatti di causa non sono presentati in modo sufficientemente chiaro da consentire alla Corte di pronunciarsi. Non esistono, in particolare, elementi che indichino che la WISAG ha adottato decisioni che possano aver inciso direttamente o indirettamente sugli affari dell’APSB.

31.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, «le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte» (7).

32.      Alla luce di tale giurisprudenza, le osservazioni del governo tedesco non mi sembrano pertinenti. È vero che l’esposizione dei fatti contenuta nell’ordinanza di rinvio, anche quale integrata dalla risposta del giudice del rinvio alla richiesta di chiarimenti formulata dalla Corte, è poco chiara. Tuttavia, ciò non ha impedito al governo tedesco o alla Commissione di presentare osservazioni dettagliate alla Corte e non si può affermare che tale esposizione sia così priva di informazioni da impedire la formulazione di una risposta utile. Per quanto attiene alla questione se la quota di partecipazione e i diritti di voto della GGB nella APSB siano stati sufficienti a configurare un «controllo» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva, tale punto costituisce l’aspetto centrale della questione del giudice del rinvio e non vi è motivo per cui possa essere definito ipotetico. La situazione potrebbe essere diversa qualora la GGB avesse fornito le opportune informazioni all’APSB in tempo utile per consentire lo svolgimento di consultazioni, ma manifestamente non risulta che ciò sia avvenuto(8). Infatti, se così fosse stato fatto, probabilmente non vi sarebbe stato alcun ricorso da proporre in base alla direttiva 98/59. Le osservazioni del governo tedesco dovrebbero essere pertanto respinte.

33.      Il governo tedesco sostiene inoltre che la quarta questione è ipotetica e non necessita di risposte. Il diritto tedesco non si applica nel modo contemplato dal giudice del rinvio, cosicché, nella fattispecie, non sorgono questioni relative all’onere della prova.

34.      Come ho osservato nelle mie conclusioni nella causa Online Games (9), la Corte non può adottare un’interpretazione del diritto nazionale fornita dal governo di uno Stato membro preferendola a quella del giudice del rinvio per dichiarare quindi una questione pregiudiziale irricevibile. Tuttavia, ciò sembra proprio quanto viene richiesto alla Corte nel caso di specie. Qualora il giudice di uno Stato membro dovesse nutrire dubbi quanto all’applicazione del diritto dell’Unione a una situazione altrimenti disciplinata dalle norme nazionali, tali dubbi si devono presumere rilevanti, per tutte le ragioni esposte nella giurisprudenza cui si è fatto riferimento supra (10). Le osservazioni del governo tedesco devono essere pertanto respinte.

 Direttiva 98/59: una panoramica

35.      Secondo una giurisprudenza costante, «ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte» (11). Tale osservazione è particolarmente appropriata nella fattispecie.

36.      Prima di esaminare nei dettagli le questioni sollevate dal giudice del rinvio inizierò pertanto ad affrontare l’analisi della direttiva 98/59 da tale prospettiva.

37.      L’aspetto sostanziale della direttiva è presentato all’articolo 2, paragrafo 1. Tale disposizione impone al datore di lavoro, che prevede di effettuare licenziamenti collettivi, di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un accordo. L’articolo 2, paragrafo 2, prevede che lo scopo di tali consultazioni è quello di esaminare le possibilità (i) di evitare, ove possibile, tali licenziamenti oppure, nei limiti in cui ciò non sia possibile, di ridurli e (ii) di attenuare le conseguenze delle misure da adottare. Una definizione concreta viene fornita dall’articolo 2, paragrafo 3, secondo il quale «[a]ffinché i rappresentanti dei lavoratori possano formulare proposte costruttive», il datore di lavoro deve fornire loro in tempo utile, nel corso delle consultazioni, tutte le informazioni utili, tra cui le ragioni del progetto di licenziamento da comunicare loro per iscritto.

38.      Tali disposizioni sono state inizialmente adottate, nel diritto dell’Unione, dalla direttiva 75/129/CEE (12). Al fine di colmare ciò che è stato descritto come «una lacuna nella (…) normativa precedente e fornire una precisazione in merito agli obblighi dei datori di lavoro facenti parte di un gruppo d’imprese» (13), la direttiva 92/56/CEE (14) ha aggiunto la norma contenuta nell’attuale articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59. Tale disposizione prevede che gli obblighi di cui all’articolo 2, paragrafo 1, debbano essere applicati indipendentemente dal fatto che le decisioni riguardanti i licenziamenti collettivi siano prese dal datore di lavoro o «da una impresa che lo controlli». È a tale disposizione, in particolare, che si riferisce la presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

39.      La nozione di «impresa che controlli [il datore di lavoro]» può richiamare prima facie, in tale contesto, nozioni di diritto societario e il concetto di «gruppo di società». Occorre tuttavia rilevare una serie di punti. In primo luogo, la direttiva, in realtà, non utilizza il termine «società» ma si riferisce, al contrario, all’«impresa». Detto termine può presentare una portata notevolmente più ampia. In secondo luogo, non esiste una definizione comune, nel diritto dell’Unione, dell’espressione «gruppo di società»: si tratta di una questione esclusivamente di diritto nazionale (15). In terzo luogo, le circostanze in cui è possibile applicare l’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59 sono molteplici e varie. Ciò deve essere inteso nell’ambito di quanto descritto dalla Corte come «un contesto economico caratterizzato dall’esistenza di un numero crescente di gruppi di imprese» (16). Il caso più semplice comprende un’impresa che opera in un unico Stato membro ed esiste soltanto un’eventuale impresa che potrebbe essere considerata, sotto ogni profilo, come quella «che [la] controlli», anch’essa costituita o attiva nello stesso Stato membro. Tuttavia, tale impresa controllante può essere parimenti situata in un altro Stato membro o, in realtà, completamente al di fuori dell’Unione europea e può non essere sempre possibile stabilire agevolmente quale impresa detenga il «controllo».

40.      Vale anche la pena ricordare che la natura dei rapporti all’interno del «gruppo» può variare notevolmente. In alcuni casi, il controllo viene esercitato esclusivamente dall’alto con l’attribuzione, se del caso, di una discrezionalità assai limitata alle imprese che si collocano a un livello inferiore. In altri casi, può avvenire il contrario, con l’ente posto al vertice che svolge il ruolo di «pura» holding e che delega le decisioni gestionali più a valle. Può essere un’impresa intermedia ad adottare tali decisioni; non è necessariamente la stessa impresa che assume i lavoratori. Il rapporto tra l’impresa controllante e il datore di lavoro può essere, in alcuni casi, di natura fluida e costruttiva, con le decisioni importanti adottate solo dopo discussioni e spiegazioni approfondite riguardo alle motivazioni sottostanti. In altri casi, ci si può aspettare che il datore di lavoro agisca in base alle istruzioni impartite dall’impresa controllante e che non gli siano fornite né ragioni né spiegazioni sui motivi per cui tali istruzioni possano essere impartite. Anche all’interno della struttura di un gruppo societario la società che adotta la decisione di annunciare licenziamenti collettivi non deve essere necessariamente la holding ma può essere unicamente il datore di lavoro. Il «controllo», interpretato tecnicamente, in tale contesto diviene quindi irrilevante. In sintesi, non si può affermare pertanto che esiste un unico tipo di partecipazione di controllo, giuridica (o anche finanziaria), che possa ritenersi comprensivo di tutte le possibili circostanze in cui trova applicazione l’articolo 2, paragrafo 4. Il «controllo» può quindi assumere varie forme ed è implicito nelle questioni sollevate dal giudice del rinvio che far valere semplicemente aspetti de iure di tale nozione può comportare manipolazioni o addirittura abusi.

41.      Occorre aggiungere, separatamente, che la direttiva non definisce il significato della nozione di «impresa che controlli [il datore di lavoro]». L’applicazione uniforme del diritto dell’Unione e, parimenti, del principio di uguaglianza richiedono che i termini di una disposizione di tale diritto, la quale non sia stata definita e non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo significato e della sua portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione (17). Sebbene l’articolo 5 della direttiva 98/59 consenta agli Stati membri, in particolare, di introdurre disposizioni nazionali più favorevoli ai lavoratori, tali Stati membri sono tuttavia vincolati, come osserva correttamente la Commissione, all’interpretazione autonoma e uniforme attribuita ai termini di diritto dell’Unione utilizzati nella direttiva (18).

 Sulla prima questione: la natura della partecipazione di controllo richiesta ai fini dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59

42.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il rapporto tra un datore di lavoro e l’impresa che lo controlla debba essere, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva, una partecipazione de iure o se sia anche sufficiente una partecipazione de facto.

43.      La procedura stabilita dalla direttiva riguarda la consultazione. Essa non tenta in ogni caso di disciplinare il modo in cui un gruppo di imprese è organizzato né riduce la libertà di un tale gruppo di procedere all’organizzazione delle sue attività nel modo più conforme alle sue esigenze (19). Lo scopo della consultazione, ove possibile, è di evitare del tutto la necessità dei licenziamenti collettivi previsti. Quando tale scopo non può essere conseguito – e si deve presumere che in molti casi non sia conseguito – il numero dei licenziamenti dovrebbe essere ridotto o le conseguenze dovrebbero essere attenuate, nei limiti di quanto possibile considerate le circostanze. L’obbligo di partecipare incombe sempre al datore di lavoro, non all’impresa che detiene il controllo, anche se è evidente che il dovere di tenere consultazioni può sorgere in situazioni in cui la prospettiva di tali licenziamenti non costituisce direttamente una scelta del datore di lavoro. A tal fine, il datore di lavoro deve procedere «in tempo utile a consultazioni (…) al fine di giungere ad un accordo» e i rappresentanti dei lavoratori dovrebbero essere posti in condizione di formulare «proposte costruttive» (20).

44.      Il processo di consultazione dovrebbe essere, in tutti i sensi, efficace. Non viene inteso come un esercizio puramente simbolico. Infatti, l’essenza della nozione di «consultazione» consiste nel fatto che entrambe le parti possono raggiungere un risultato costruttivo attraverso la discussione e la negoziazione, risultato che non potrebbe essere altrimenti raggiunto. Il datore di lavoro deve quindi garantire che le consultazioni in questione perseguano uno scopo utile. È il datore di lavoro che deve avviarle; esso non può far valere l’omessa comunicazione delle informazioni necessarie da parte dell’impresa che adotta le decisioni e deve sopportare esso stesso le conseguenze di tale omissione (21). È quindi fondamentale che tali informazioni siano fornite al datore di lavoro dalla fonte giusta.

45.      La direttiva 98/59 tace riguardo alla questione del «controllo» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4. La prima questione che sorge in tale contesto è se il «controllo» sia inteso nel senso che si riferisce a un’impresa rientrante nella definizione di «società holding» ai sensi del diritto nazionale. Tutte le parti in udienza hanno ammesso che ciò è possibile. A tal riguardo, si può tracciare un’analogia con la definizione di «impresa controllante» quale stabilita all’articolo 3 della direttiva 2009/38. Il paragrafo 1 di tale disposizione definisce la nozione in base all’esercizio di un’influenza dominante in conseguenza, a titolo esemplificativo, della proprietà, della partecipazione finanziaria o delle norme che disciplinano tale influenza. Il paragrafo 2 prosegue prevedendo talune presunzioni che, sebbene non siano espressamente formulate in tal modo, riflettono essenzialmente un rapporto di diritto societario tra una controllata e la sua controllante (22).

46.      Tuttavia, concordo con la Commissione sul fatto che tale definizione è formulata in modo troppo restrittivo per adattarsi a tutte le circostanze contemplate dalla direttiva 98/59. Essa riflette il contesto in cui è stata adottata la direttiva 2009/38, ossia l’istituzione di comitati aziendali nell’ambito di imprese di maggiori dimensioni (ivi definite «imprese e gruppi di imprese di dimensioni comunitarie»), per l’informazione e la consultazione riguardo a un’ampia serie di questioni incidenti sui lavoratori in generale (23). Il criterio basato sul diritto societario stabilito all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 98/59 riflette il fatto che l’impresa controllante, in tale contesto, costituisce, nella maggior parte dei casi, la holding capogruppo.

47.      Tuttavia, nel caso di specie così non è, o non deve esserlo necessariamente,. La questione del controllo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59 non è «quale impresa è la holding capogruppo del datore di lavoro?», ma «quale impresa può fornire le informazioni necessarie per consentire lo svolgimento di consultazioni secondo debite modalità contemplate dalla direttiva?». In tale contesto, il criterio basato sul diritto societario può avere il merito della certezza del diritto. Per tutti gli altri aspetti, mi sembra che tale criterio sia troppo limitato e non rifletta l’impianto sistematico della direttiva 98/59. Inoltre, siffatto approccio non potrebbe tener conto, per definizione, delle differenze esistenti, nel diritto societario, a livello di Stati membri e della necessità che all’espressione «impresa che controlli [il datore di lavoro]» sia attribuita un’interpretazione autonoma in tutta l’Unione (24).

48.      Ne deriva, a mio avviso, che il rapporto de iure non è necessariamente determinante; anche il rapporto de facto può essere rilevante.

49.      Qual è dunque la natura di tale rapporto? Suggerisco che l’impresa controllante debba avere un’influenza sul datore di lavoro per quanto riguarda le modalità con cui devono essere effettuati i licenziamenti collettivi previsti. Siffatta influenza non deve essere «dominante» nel senso che l’impresa controllante deve godere di una posizione più elevata nella gerarchia strutturale rispetto al datore di lavoro, in quanto non vi è motivo per cui le decisioni che possono portare a licenziamenti collettivi siano adottate a un livello superiore dal punto di vista organizzativo. In altre parole, il termine «controllo» non deve significare controllo gerarchico. Esso presuppone inoltre che l’impresa che detiene il controllo fornisca le informazioni che consentono al datore di lavoro di procedere a consultazioni, in quanto, se ciò non viene effettuato, quest’ultimo viene meno ai suoi obblighi ai sensi della direttiva.

50.      In sintesi, suggerisco che l’impresa che detiene il «controllo» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, per adottare la giurisprudenza della Corte di cui alla sentenza Akavan, sia prima facie l’impresa che, nelle circostanze del caso di specie, adotta una decisione strategica o commerciale che costringe il datore di lavoro a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi (25).

51.      Tuttavia, come sembrano aver ritenuto concordemente tutte le parti in udienza, è necessario escludere i rapporti in cui le parti si trovino in condizioni di libera concorrenza. Pertanto, la nozione di «impresa che controlli [il datore di lavoro]» non può includere un’impresa che si trovi in condizioni di libera concorrenza rispetto al datore di lavoro, come un fornitore o un cliente il cui comportamento può avere un impatto economico sull’attività del datore di lavoro e può imporgli, in casi più estremi, di prevedere e, se necessario, di attuare licenziamenti collettivi. Siffatta entità non avrebbe alcun interesse o motivo per comunicare le informazioni necessarie al datore di lavoro.

52.      Deve esistere, in altri termini, un rapporto tra l’impresa che detiene il controllo e il datore di lavoro che fornisce al primo una ragione per comunicare le informazioni necessarie a fini di consultazione.

53.      A tal riguardo, ritengo necessario respingere le osservazioni del governo tedesco secondo le quali il fondamento di tale rapporto può essere rinvenuto in ciò che esso definisce «controllo giuridicamente radicato». Posso ammettere che un controllo di tal genere possa esistere quando, ad esempio, vi è un impegno contrattuale in atto che consente al datore di lavoro di chiedere all’impresa che detiene il controllo di fornire le informazioni necessarie. Tuttavia, siffatto accordo sembra, in concreto, relativamente improbabile. Al contrario, se ho ben compreso le osservazioni della Germania, siffatto controllo può essere implicito, sotto il profilo giuridico, nei rapporti tra le due entità. Il datore di lavoro, in tale contesto, avrebbe il potere di costringere l’impresa che detiene il controllo a fornire tali informazioni. A tal proposito, va osservato che anche nel contesto di una struttura controllante basata sul diritto societario tale rapporto non esiste. Il «controllo» esiste in direzione gerarchicamente discendente, nel senso che attribuisce alla holding il potere di fornire indicazioni alle sue controllate su come gestire i loro affari. Tuttavia, non è vero il contrario: la controllata può chiedere ma non può costringere. In tali circostanze, non posso trarre indicazioni utili dall’argomentazione del governo tedesco.

54.      Deve sussistere, tuttavia, una sorta di legame sotto forma di incentivo, offerto all’impresa che detiene il controllo, a fornire le informazioni che consentono lo svolgimento di adeguate consultazioni. La forma evidente che siffatto incentivo può assumere consiste nell’impatto finanziario che può avere qualsiasi mancata comunicazione delle informazioni sulla sua quota di partecipazione nel datore di lavoro. Tale impatto può verificarsi, ad esempio, in quanto la normativa a livello nazionale prevede che qualsiasi licenziamento collettivo imposto senza adeguate consultazioni sia nullo, o in quanto il datore di lavoro è soggetto a una sanzione pecuniaria per tale omissione. In tali circostanze, la perdita finanziaria che ne deriva giunge fino all’impresa che detiene il controllo in ragione della sua partecipazione nel datore di lavoro.

55.      A mio avviso, ciò significa che le due entità devono condividere gli stessi interessi commerciali sotto forma di struttura societaria (de iure) o di rapporto contrattuale o fattuale (de facto), rappresentato da un interesse patrimoniale comune. Non è necessario che tale interesse assuma la forma di proprietà legale. Può essere diretto o indiretto e non deve essere necessariamente esclusivo. La proprietà parziale di tale interesse è sufficiente. Se tale interesse sia o meno sufficiente per configurarsi come controllo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59 in una determinata fattispecie è una questione che va definita dal giudice nazionale competente a esaminare e a formulare conclusioni in base alle prove.

56.      Prima di concludere la mia analisi sulla prima questione sollevata dal giudice del rinvio, dovrei accennare brevemente a un argomento presentato dall’ASPB. Essa afferma che qualsiasi rapporto diverso da quello basato sulla nozione di partecipazione di controllo ai sensi del diritto societario dello Stato membro interessato violerebbe l’articolo 16 della Carta. Tale argomento mi sembra del tutto infondato. L’articolo 16 riflette la giurisprudenza della Corte riguardante la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale e l’articolo 119, paragrafi 1 e 3, TFUE, che riconosce la libera concorrenza (26). Tale disposizione è in ogni caso soggetta all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, che consente limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti, fatte salve le condizioni dalla stessa stabilite, in particolare che tali limitazioni siano previste dalla legge. Non sussistono elementi, nella fattispecie, che indichino che l’interpretazione della direttiva 98/59 da me proposta violi i diritti e le libertà sanciti all’articolo 16 e non approfondisco la questione.

57.      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, ritengo che si debba rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso che la nozione di impresa controllante ai sensi di tale disposizione va intesa in riferimento all’(eventuale) impresa che adotta una decisione strategica o commerciale che costringe il datore di lavoro a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi. Non deve necessariamente trattarsi di un’impresa che controlla il datore di lavoro de iure, ma può anche essere un’impresa che controlla il datore di lavoro de facto. Un’impresa di tal genere non include, tuttavia, un’impresa che si trova in condizioni di libera concorrenza rispetto al datore di lavoro, come un fornitore o un cliente il cui comportamento può avere un impatto sull’attività del datore di lavoro. Al contrario, il datore di lavoro e l’impresa che ne detiene de facto il controllo devono condividere gli stessi interessi commerciali sotto forma di rapporto contrattuale o fattuale, rappresentato da un interesse patrimoniale comune. Tale interesse non deve necessariamente assumere la forma di una proprietà legale. Può essere diretto o indiretto e non deve essere necessariamente esclusivo. La proprietà parziale di tale interesse è sufficiente. Se tale interesse sia o meno sufficiente per configurare un controllo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, in una determinata fattispecie è una questione che va definita dal giudice nazionale competente a esaminare e a formulare conclusioni in base alle prove.

 Sulla seconda questione: la nozione di «decisione riguardante i licenziamenti collettivi»

58.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede indicazioni riguardo al significato dell’espressione «decisione riguardante i licenziamenti collettivi» contenuta nell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59. Se comprendo bene la sua posizione, tale punto è sostanzialmente rilevante nel caso di specie in quanto riguarda il momento in cui l’impresa controllante deve comunicare le informazioni al datore di lavoro ai fini di tale disposizione.

59.      Nel fare riferimento, all’articolo 2, paragrafo 4, a una decisione riguardante i licenziamenti collettivi, la direttiva potrebbe dare l’impressione, a una prima lettura, che le condizioni stabilite da tale disposizione si applichino solo dopo che la decisione sia stata effettivamente adottata. A un esame più attento, tuttavia, appare evidente che ciò non può costituire un’interpretazione corretta. Come sottolineato correttamente dalla Commissione, l’articolo 2, paragrafo 4, fa riferimento agli obblighi stabiliti ai paragrafi 1, 2 e 3 di tale articolo. Il primo di tali paragrafi si applica a una situazione in cui il datore di lavoro «prevede di effettuare licenziamenti collettivi», che costituisce il momento in cui esso ha il dovere di procedere a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori. Ai sensi del paragrafo 3, il datore di lavoro deve «in tempo utile nel corso delle consultazioni» fornire informazioni che consentano a tali rappresentanti di formulare proposte costruttive. Siffatto approccio è confermato dalla giurisprudenza della Corte, secondo la quale la procedura di consultazione deve svolgersi prima dell’adozione di una decisione relativa alla risoluzione dei contratti dei lavoratori (27).

60.      Per quanto riguarda il momento in cui le consultazioni devono iniziare, la stessa giurisprudenza chiarisce che ciò prescinde dalla circostanza che il datore di lavoro sia già in grado di fornire ai rappresentanti dei lavoratori tutte le informazioni richieste dall’articolo 2, paragrafo 3, lettera b), della direttiva, in quanto tali informazioni possono essere comunicate durante le consultazioni, e non necessariamente al momento dell’apertura delle medesime. Del pari, tuttavia, imporre al datore di lavoro il dovere di avviare trattative quando sussiste una possibilità puramente teorica che possano essere effettuati licenziamenti collettivi comporterebbe il rischio di imporre al datore di lavoro un onere intollerabile e molto probabilmente irrealistico. La Corte ha quindi dichiarato che detto termine non inizia a decorrere fino all’adozione di una decisione strategica o di una modifica di attività che costringono il datore di lavoro a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi (28).

61.      La decisione relativa al momento di avvio delle consultazioni ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 98/59 è una questione di competenza del datore di lavoro. Quest’ultimo deve adottare tale decisione conformemente ai principi esposti nei paragrafi precedenti. Quando è soggetto al controllo di un’altra impresa a norma dell’articolo 2, paragrafo 4, il datore di lavoro deve tener conto, di conseguenza, di qualsiasi informazione e istruzione che gli viene fornita dalla sua impresa controllante che possa avere un impatto sulla possibilità o meno di prevedere licenziamenti collettivi. Parimenti, e sebbene non sia soggetta all’obbligo legale di svolgere consultazioni, l’impresa che detiene il controllo deve fornire le informazioni necessarie al datore di lavoro non più tardi del momento in cui quest’ultimo è tenuto ad adempiere i suoi doveri al riguardo. In mancanza di siffatta comunicazione, la direttiva diviene priva di oggetto. Qualora l’impresa che detiene il controllo dovesse imporre al datore di lavoro le condizioni che rendono economicamente necessario per quest’ultimo effettuare licenziamenti collettivi, ciò richiede a mio avviso, in ogni caso, che il datore di lavoro avvii il processo di consultazione.

62.      Ritengo pertanto che occorra rispondere alla seconda questione dichiarando che il datore di lavoro ha il dovere di avviare il processo di consultazione ai sensi della direttiva 98/59 quando viene a conoscenza dell’adozione di una decisione strategica o di una modifica di attività che lo costringe a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi. Quando esiste un’«impresa che controlli [il datore di lavoro]» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, di tale direttiva, l’imposizione al datore di lavoro, da parte di tale impresa, delle condizioni che rendono economicamente necessario per quest’ultimo effettuare licenziamenti collettivi richiede che il datore di lavoro avvii il processo di consultazione, se non vi ha già provveduto.

 Sulla terza questione: la portata dell’obbligo di comunicazione

63.      Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza indicazioni sulla portata dell’obbligo di comunicazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 98/59.

64.      Ancora una volta, è importante richiamare il contesto in cui sorgono tali obblighi. In primo luogo (in forza dell’articolo 2, paragrafo 1), il datore di lavoro che prevede di effettuare licenziamenti collettivi deve procedere a consultazioni «al fine di giungere ad un accordo». In secondo luogo (come specificato dall’articolo 2, paragrafo 2), nelle consultazioni in questione devono essere almeno esaminate le possibilità di evitare o di ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze (se e nei limiti in cui tali licenziamenti debbano essere effettuati). In terzo luogo, l’articolo 2, paragrafo 3, richiede che le informazioni ivi specificate siano fornite «[a]ffinché i rappresentanti dei lavoratori possano formulare proposte costruttive». Quando, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, le decisioni riguardanti i licenziamenti collettivi sono prese da un’impresa che controlla il datore di lavoro, le informazioni devono essere comunicate al datore di lavoro in tempo utile per consentire a quest’ultimo di adempiere gli obblighi previsti dalla direttiva.

65.      La portata dei doveri imposti è quindi ampia. È evidente che è necessario un elevato grado di buona fede da parte del datore di lavoro per garantire la loro efficace attuazione. Tali doveri esigono che il datore di lavoro, come richiesto dal giudice del rinvio, riveli i motivi economici o di altra natura in base ai quali l’impresa controllante ha adottato le decisioni che hanno portato il datore di lavoro a prevedere licenziamenti collettivi?

66.      È probabile che in molti, se non addirittura nella maggior parte dei casi, la risposta sia affermativa. Senza conoscere le ragioni sottese alla decisione strategica o alla modifica di attività cui viene fatto riferimento nel precedente paragrafo 60 i rappresentanti dei lavoratori possono ritenere materialmente impossibile formulare proposte costruttive nel corso delle consultazioni.

67.      Restringerei tuttavia tale affermazione generale sotto un unico aspetto. Il dovere di fornire informazioni esiste per consentire ai rappresentanti dei lavoratori di formulare proposte costruttive. Non esiste alcun dovere di comunicare informazioni che non perseguono tale obiettivo. Poiché l’impatto di tale condizione varia da un caso all’altro, ritengo che non sia possibile stabilire un orientamento generale al riguardo. Spetta al giudice nazionale, competente a esaminare e a formulare conclusioni in base alle prove, decidere in ogni caso sull’applicazione dei principi pertinenti alla causa di cui è investito.

68.      Ritengo pertanto che occorra rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 98/59 dovrebbe essere interpretato nel senso che richiede al datore di lavoro, nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, la decisione riguardante i licenziamenti collettivi sia adottata da un’impresa che controlla il datore di lavoro, di rivelare i motivi economici o di altra natura in base ai quali l’impresa controllante ha adottato le decisioni che hanno portato a prevedere licenziamenti collettivi. Tuttavia, il dovere di comunicazione non si applica quando le informazioni in questione non perseguono l’obiettivo di consentire ai rappresentanti dei lavoratori di formulare proposte costruttive in relazione ai licenziamenti previsti. Spetta al giudice nazionale competente ad accertare i fatti decidere sull’applicazione dei principi pertinenti a una determinata causa.

 Sulla quarta e sulla quinta questione: l’onere della prova

69.      Con la quarta e quinta questione, che è preferibile esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza indicazioni riguardo all’onere della prova in azioni basate sull’articolo 2 della direttiva 98/59.

70.      L’articolo 6 della direttiva è espresso in termini chiari. Esso richiede agli Stati membri di provvedere affinché i rappresentanti dei lavoratori e/o i lavoratori stessi dispongano di procedure giurisdizionali e/o amministrative per far rispettare gli obblighi previsti dalla direttiva. Diversamente da taluni altri atti legislativi dell’Unione, la direttiva 98/59 non contiene disposizioni relative all’onere della prova (29). Secondo una costante giurisprudenza della Corte, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto dell’Unione. Ciò si estende alle modalità probatorie, ivi comprese (ove applicabili), le norme che disciplinano la ripartizione dell’onere della prova (30). Gli Stati membri, tuttavia, sono tenuti a garantire in ogni caso la tutela effettiva di tali diritti. Tale norma costituisce l’aspetto centrale dei principi di equivalenza e di effettività nonché del requisito previsto dal diritto dell’Unione secondo il quale deve esistere una tutela giurisdizionale effettiva di tali diritti (31). Detti principi sono sanciti all’articolo 6 della direttiva 98/59. I lavoratori e i loro rappresentanti devono essere in condizione di esercitare i propri diritti ai sensi della direttiva allo stesso modo in cui sarebbero in grado di esercitare diritti equivalenti ai sensi del diritto nazionale e le norme procedurali pertinenti non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (32).

71.      Ciò premesso, la Corte non può fornire più di un orientamento generico. Spetta al giudice nazionale competente a esaminare e a formulare conclusioni in base alle prove garantire che i principi cui viene fatto riferimento nel precedente paragrafo 70 siano rispettati. Qualora non dovessero riflettere tali principi, le norme applicabili, stabilite dal diritto nazionale, andrebbero respinte (33). Così avviene nel caso in cui, in particolare, tali norme richiedano ai rappresentanti dei lavoratori che tentano di contestare i licenziamenti collettivi di provare questioni riguardo alle quali non è previsto, in pratica, che essi abbiano accesso alle informazioni necessarie a tal fine.

72.      Non ho niente da aggiungere per quanto riguarda la quinta questione.

73.      Sono quindi del parere che occorre rispondere alla quarta e quinta questione dichiarando che l’articolo 6 della direttiva 98/59 dovrebbe essere interpretato nel senso che i lavoratori e i loro rappresentanti devono essere in condizione di esercitare i propri diritti ai sensi della direttiva allo stesso modo in cui sarebbero in grado di esercitare diritti equivalenti ai sensi del diritto nazionale. Le norme procedurali pertinenti non devono essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tali diritti. Spetta al giudice nazionale competente a esaminare e a formulare conclusioni in base alle prove garantire che siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività nonché il requisito previsto dal diritto dell’Unione secondo il quale deve esistere una tutela giurisdizionale effettiva di tali diritti. Qualora non dovessero riflettere tali principi, le norme applicabili, stabilite dal diritto nazionale, andrebbero respinte. Così avviene nel caso in cui, in particolare, tali norme richiedano ai rappresentanti dei lavoratori che tentano di contestare i licenziamenti collettivi di provare questioni riguardo alle quali non è previsto, in pratica, che essi abbiano accesso alle informazioni necessarie a tal fine.

 Conclusione

74.      Per tutte le suesposte motivazioni, ritengo che la risposta alle questioni pregiudiziali sollevate dal Landesarbeitsgericht, Berlin (Tribunale superiore del lavoro del Land di Berlino, Germania) debba essere del seguente tenore:

1)      L’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59/CE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi deve essere interpretato nel senso che la nozione di impresa controllante ai sensi di tale disposizione va intesa in riferimento all’(eventuale) impresa che adotta una decisione strategica o commerciale che costringe il datore di lavoro a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi. Non deve necessariamente trattarsi di un’impresa che controlla il datore di lavoro de iure, ma può anche essere un’impresa che controlla il datore di lavoro de facto. Un’impresa di tal genere non include, tuttavia, un’impresa che si trova in condizioni di libera concorrenza rispetto al datore di lavoro, come un fornitore o un cliente il cui comportamento può avere un impatto sull’attività del datore di lavoro. Al contrario, il datore di lavoro e l’impresa che ne detiene de facto il controllo devono condividere gli stessi interessi commerciali sotto forma di rapporto contrattuale o fattuale, rappresentato da un interesse patrimoniale comune. Tale interesse non deve necessariamente assumere la forma di una proprietà legale. Può essere diretto o indiretto e non deve essere necessariamente esclusivo. La proprietà parziale di tale interesse è sufficiente. Se tale interesse sia o meno sufficiente per configurare un controllo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, in una determinata fattispecie è una questione che va definita dal giudice nazionale competente a esaminare e a formulare conclusioni in base alle prove.

2)      Il datore di lavoro ha il dovere di avviare il processo di consultazione ai sensi della direttiva 98/59 quando viene a conoscenza dell’adozione di una decisione strategica o di una modifica di attività che lo costringe a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi. Quando esiste un’«impresa che controlli [il datore di lavoro]» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, di tale direttiva, l’imposizione al datore di lavoro, da parte di tale impresa, delle condizioni che rendono economicamente necessario per quest’ultimo effettuare licenziamenti collettivi richiede che il datore di lavoro avvii il processo di consultazione, se non vi ha già provveduto.

3)      L’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 98/59 dovrebbe essere interpretato nel senso che richiede al datore di lavoro, nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, la decisione riguardante i licenziamenti collettivi sia adottata da un’impresa che controlla il datore di lavoro, di rivelare i motivi economici o di altra natura in base ai quali l’impresa controllante ha adottato le decisioni che hanno portato a prevedere licenziamenti collettivi. Tuttavia, il dovere di comunicazione non si applica quando le informazioni in questione non perseguono l’obiettivo di consentire ai rappresentanti dei lavoratori di formulare proposte costruttive in relazione ai licenziamenti previsti. Spetta al giudice nazionale competente ad accertare i fatti decidere sull’applicazione dei principi pertinenti a una determinata causa.

4)      L’articolo 6 della direttiva 98/59 dovrebbe essere interpretato nel senso che i lavoratori e i loro rappresentanti devono essere in condizione di esercitare i propri diritti ai sensi della direttiva allo stesso modo in cui sarebbero in grado di esercitare diritti equivalenti ai sensi del diritto nazionale. Le norme procedurali pertinenti non devono essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tali diritti. Spetta al giudice nazionale competente a esaminare e a formulare conclusioni in base alle prove garantire che siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività nonché il requisito previsto dal diritto dell’Unione secondo il quale deve esistere una tutela giurisdizionale effettiva di tali diritti. Qualora non dovessero riflettere tali principi, le norme applicabili, stabilite dal diritto nazionale, andrebbero respinte. Così avviene nel caso in cui, in particolare, tali norme richiedano ai rappresentanti dei lavoratori che tentano di contestare i licenziamenti collettivi di provare questioni riguardo alle quali non è previsto, in pratica, che essi abbiano accesso alle informazioni necessarie a tal fine.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva del Consiglio del 20 luglio 1998 (GU 1998, L 225, pag. 16).


3      GU 2010, C 83, pag. 389 (in prosieguo: la «Carta»).


4      L’esposizione dei fatti contenuta nella presente sezione delle conclusioni è tratta dall’ordinanza di rinvio, come integrata dalla risposta del giudice del rinvio alla richiesta di chiarimenti formulata da questa Corte. V. anche infra, paragrafi 22 e segg.


5      In più di una occasione si è rivelato difficile distinguere tra informazioni fornite dal giudice del rinvio come dati di fatto e questioni che rappresentano soltanto argomenti presentati dalle ricorrenti. Ho cercato di essere cauta al riguardo. In caso di incertezza sulla categoria di appartenenza di un determinato punto, ho indicato quest’ultimo come affermazione.


6      Il giudice del rinvio osserva che il gruppo comprende numerose imprese collegate fra loro in diritto o in fatto ma che si è rivelato impossibile chiarire completamente il loro status nel procedimento principale.


7      V., in particolare, sentenza del 7 dicembre 2017, López Pastuzano, C‑636/16, EU:C:2017:949, punto 19 e giurisprudenza ivi citata.


8      V. supra, paragrafo 11.


9      Conclusioni presentate nella causa Online Games e a., C‑685/15, EU:C:2017:201, paragrafo 25.


10      V. supra, nota 7.


11      V., in particolare, sentenza del 6 luglio 2017, Air Berlin, C‑290/16, EU:C:2017:523, punto 25 e giurisprudenza ivi citata.


12      Direttiva del Consiglio, del 17 febbraio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU 1975, L 48, pag. 29).


13      Sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08, EU:C:2009:533, punto 61.


14      Direttiva del Consiglio, del 24 giugno 1992, che modifica la direttiva 75/129 (GU 1992, L 245, pag. 3).


15      In una relazione redatta nell’ottobre 2016 dal Gruppo informale di esperti di diritto societario, istituito dalla Commissione nel maggio 2014 per assisterla con consulenze qualificate su questioni di diritto societario, il gruppo ha osservato che «Gli Stati membri adottano tipi di approccio diversi e anche in conflitto fra loro riguardo al riconoscimento degli interessi del gruppo» (sezione 1, pag. 5). V. http://orbilu.uni.lu/bitstream/10993/34455/1/2016-10%20icleg_recommendations_interest_group_final_en.pdf


16      Sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08, EU:C:2009:533, punto 44.


17      V., in particolare, sentenza del 17 luglio 2008, Kozlowski, C‑66/08, EU:C:2008:437, punto 42 e giurisprudenza ivi citata.


18      V., in tal senso, sentenza del 27 gennaio 2005, Junk, C‑188/03, EU:C:2005:59, punto 29.


19      V., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08, EU:C:2009:533, punti 59 e 42.


20      Articolo 2, rispettivamente, paragrafi 1 e 3, della direttiva 98/59.


21      V., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08, EU:C:2009:533, punto 69. Vale inoltre la pena osservare che l’impresa che controlla il datore di lavoro ai fini dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 98/59 non deve essere costituita o stabilita necessariamente nel territorio dell’Unione e, pertanto, può non essere soggetta alla giurisdizione dei giudici degli Stati membri. Contrastano, a tal riguardo, le norme stabilite all’articolo 4 della direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (GU 2009, L 122, pag. 28), che stabiliscono disposizioni specifiche per disciplinare tale eventualità; v. anche, nel contesto della normativa che ha preceduto tale direttiva, sentenza del 15 luglio 2004, ADS Anker, C‑349/01, EU:C:2004:440, punti 55 e segg.


22      L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2009/38 enuncia quanto segue: «[s]i presume la possibilità di esercitare un’influenza dominante, salvo prova contraria, se un’impresa, direttamente o indirettamente nei confronti di un’altra impresa: a) detiene la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa; b) dispone della maggioranza dei voti in rapporto alle partecipazioni al capitale dell’impresa; oppure c) può nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa».


23      V., a tal riguardo, articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2009/38. V. anche considerando 17 di tale direttiva, che enuncia quanto segue: «[è] necessario avere una definizione di “impresa controllante” esclusivamente per quanto attiene alla presente direttiva e lasciando impregiudicate le definizioni di “gruppo” e di “controllo” presenti in altri atti».


24      V. supra, paragrafi 39 e 41.


25      V., al riguardo, sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08, EU:C:2009:533, punto 48.


26      V. Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17).


27      Sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08, EU:C:2009:533, punto 70.


28      Sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08, EU:C:2009:533, rispettivamente, punti 55, 52 e 49.


29      V., ad esempio, articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).


30      V., in tal senso, sentenza del 24 aprile 2008, Arcor, C‑55/06, EU:C:2008:244, punto 189.


31      V., in particolare, sentenza del 16 luglio 2009, Mono Car Styling, C‑12/08, EU:C:2009:466, punti 48 e 49 e giurisprudenza ivi citata.


32      V., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2013, Test Claimants in the Franked Investment Income Group Litigation, C‑362/12, EU:C:2013:834, punto 32 e giurisprudenza ivi citata.


33      V., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2015, Nike European Operations Netherlands, C‑310/14, EU:C:2015:690, punto 28.