Language of document : ECLI:EU:C:2019:43

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

22 gennaio 2019 (1)

«Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 21 – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/CE – Articolo 2, paragrafo 2, lettera a) – Discriminazione diretta fondata sulla religione – Normativa nazionale che concede a taluni lavoratori un giorno di ferie il Venerdì santo – Giustificazione – Articolo 2, paragrafo 5 – Articolo 7, paragrafo 1 – Obblighi dei datori di lavoro privati e del giudice nazionale derivanti da una incompatibilità del diritto nazionale con la direttiva 2000/78»

Nella causa C‑193/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria), con decisione del 24 marzo 2017, pervenuta in cancelleria il 13 aprile 2017, nel procedimento

Cresco Investigation GmbH

contro

Markus Achatzi,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, A. Prechal, C. Toader e C. Lycourgos (relatore), presidenti di sezione, A. Rosas, M. Ilešič, M. Safjan, D. Šváby, C. Vajda e S. Rodin, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: R. Şereş, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 aprile 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Cresco Investigation GmbH, da M. Zehetbauer, Rechtsanwältin;

–        per M. Achatzi, da A. Obereder, Rechtsanwalt;

–        per il governo austriaco, da G. Hesse, in qualità di agente;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili e F. De Luca, avvocati dello Stato;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, M. Szwarc e A. Siwek, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da B.-R. Killmann e D. Martin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 luglio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») nonché dell’articolo 1, dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), dell’articolo 2, paragrafo 5, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Cresco Investigation GmbH (in prosieguo: la «Cresco») e il sig. Markus Achatzi in merito al diritto di quest’ultimo di beneficiare di un’indennità complementare alla retribuzione percepita per le prestazioni svolte nel corso di un Venerdì santo.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        Il considerando 24 della direttiva 2000/78 enuncia quanto segue:

«L’Unione europea, nella dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali allegata all’atto finale del trattato di Amsterdam, ha riconosciuto espressamente che rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri e[,] inoltre, che rispetta lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali. In tale prospettiva, gli Stati membri possono mantenere o prevedere disposizioni specifiche sui requisiti professionali essenziali, legittimi e giustificati che possono essere imposti per svolgervi un’attività lavorativa».

4        L’articolo 1 di tale direttiva è formulato nel modo seguente:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

5        L’articolo 2 di detta direttiva così dispone:

«1.      Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

(…)

5.      La presente direttiva lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui».

6        L’articolo 7 della medesima direttiva, intitolato «Azione positiva e misure specifiche», prevede, al suo paragrafo 1, quanto segue:

«Allo scopo di assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1».

7        L’articolo 16 della direttiva 2000/78 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie per assicurare che:

a)      tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio della parità di trattamento siano abrogate;

b)      tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi, nei regolamenti interni delle aziende o nelle regole che disciplinano il lavoro autonomo e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate».

 Diritto austriaco

8        L’articolo 1, paragrafo 1, dell’Arbeitsruhegesetz (legge in materia di periodi di riposo, BGBl. 144/1983), nella sua versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: l’«ARG»), dispone quanto segue:

«La presente legge federale si applica ai lavoratori di ogni tipo, fatte salve le disposizioni che seguono».

9        L’articolo 7 di detta legge così recita:

«(1)      Nei giorni festivi il lavoratore ha diritto a un periodo di riposo ininterrotto di almeno 24 ore, che deve iniziare tra la mezzanotte e le ore 6 del giorno festivo.

(2)      Ai sensi della presente legge federale, i giorni festivi sono:

Il 1o gennaio (Capodanno), il 6 gennaio (Epifania), il lunedì di Pasqua, il 1o maggio (festa dello Stato), l’Ascensione, il lunedì di Pentecoste, il Corpus Domini, il 15 agosto (Assunzione), il 26 ottobre (festa nazionale), il 1o novembre (Ognissanti), l’8 dicembre (Immacolata Concezione), il 25 dicembre (Natale) e il 26 dicembre (Santo Stefano).

(3)      Per gli appartenenti alle Chiese evangeliche di confessione augustana e di confessione elvetica, della Chiesa vetero‑cattolica e della Chiesa evangelica metodista anche il Venerdì santo è un giorno festivo.

(…)».

10      Ai termini dell’articolo 9 della medesima legge:

«(1)      Il lavoratore mantiene il suo diritto alla retribuzione per il lavoro non prestato a causa di un giorno festivo (…).

(2)      Al lavoratore viene riconosciuta la retribuzione che avrebbe ricevuto se non fosse venuta meno la prestazione del lavoro per i motivi indicati nel paragrafo 1.

(…)

(5)      Il lavoratore che viene impiegato durante il riposo festivo ha diritto, oltre alla retribuzione di cui al paragrafo 1, al corrispettivo maturato per il lavoro prestato, a meno che venga concordato un riposo compensativo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 6».

11      La direttiva 2000/78 è stata recepita nel diritto austrico segnatamente dal Gleichbehandlungsgesetz (legge relativa alla parità di trattamento, BGBl. I, 66/2004), che contiene un divieto di discriminazione nell’ambito del rapporto di lavoro, in particolare in ragione della religione o delle convinzioni personali, per quanto riguarda la determinazione della retribuzione nonché delle altre condizioni di lavoro.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12      In virtù dell’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG, il Venerdì santo è un giorno festivo retribuito, con un periodo di riposo di 24 ore, per i membri delle Chiese evangeliche di confessione augustana e di confessione elvetica, della Chiesa vetero‑cattolica e della Chiesa evangelica metodista (in prosieguo: le «chiese indicate nell’ARG»). Se, tuttavia, un membro di una di tali chiese lavora in tale giorno, egli ha diritto a una retribuzione supplementare per detto giorno festivo (in prosieguo: l’«indennità per giorno festivo»).

13      Il sig. Achatzi è un lavoratore dipendente della Cresco, agenzia di investigazioni private, e non è membro di alcuna delle chiese indicate nell’ARG. Egli ritiene di essere stato privato in maniera discriminatoria dell’indennità per giorno festivo per il lavoro svolto il 3 aprile 2015, giorno del Venerdì santo, e chiede, a tale titolo, il pagamento, da parte del suo datore di lavoro, di EUR 109,09, oltre agli interessi.

14      Il giudice del rinvio ha riformato la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dal sig. Achatzi.

15      L’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria), investito di un’impugnazione presentata dalla Cresco avverso tale decisione d’appello, rileva innanzitutto che, dei tredici giorni festivi elencati all’articolo 7, paragrafo 2, dell’ARG, tutti, ad eccezione del 1o maggio e del 26 ottobre, che sono privi di qualsiasi aspetto religioso, hanno un rapporto con il cristianesimo e due di essi sono addirittura legati esclusivamente al cattolicesimo. Il complesso di tali giorni festivi darebbe inoltre diritto a tutti i lavoratori al congedo retribuito dal lavoro, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa.

16      Il giudice del rinvio sottolinea, poi, che il regime speciale previsto all’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG mira a consentire ai membri di una delle chiese interessate da tale disposizione di praticare la loro religione in un giorno di celebrazione particolarmente importante per i medesimi.

17      Secondo il giudice del rinvio, l’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG fa dipendere la concessione di un giorno festivo supplementare dalla religione dei lavoratori, con la conseguenza che le persone che non appartengono alle chiese indicate nell’ARG beneficiano di un giorno festivo pagato in meno rispetto ai membri di una di tali chiese, ciò che costituisce, in linea di principio, un trattamento meno favorevole fondato sulla religione.

18      Il giudice del rinvio si chiede tuttavia se la situazione di tali due categorie di lavoratori sia paragonabile.

19      Esso rileva, a tal proposito, che l’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG ha l’obiettivo di consentire ai lavoratori membri di una delle chiese indicate nell’ARG di praticare la loro religione il Venerdì santo, senza dover concordare a tale scopo un giorno di ferie con il loro datore di lavoro. Orbene, i lavoratori membri della Chiesa romano‑cattolica, cui appartiene la maggioranza della popolazione austriaca, beneficerebbero di tale possibilità, in quanto i giorni festivi indicati all’articolo 7, paragrafo 2, dell’ARG e che riguardano la loro religione sono giorni di riposo per tutti i lavoratori.

20      Tuttavia, e anche qualora il ricorrente nel procedimento principale non asserisse che le sue esigenze religiose non sono state prese in considerazione il Venerdì santo, detto giudice ritiene che, per valutare la compatibilità della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale con la direttiva 2000/78, occorra tener conto del fatto che le esigenze religiose di taluni lavoratori non sono prese in considerazione da detta normativa. Taluni contratti collettivi conterrebbero, certo, disposizioni paragonabili all’articolo 7 dell’ARG, segnatamente per quanto riguarda il giorno dell’Espiazione della religione ebraica o quello della festa della Riforma delle chiese protestanti, ma, in mancanza di tali contratti, i lavoratori si dovrebbero affidare in larga misura alla buona volontà del loro datore di lavoro.

21      Il giudice del rinvio rileva inoltre che la differenza di trattamento di cui trattasi nel procedimento principale potrebbe essere assoggettata al diritto dell’Unione, in una controversia tra privati come quella di cui al procedimento principale, solo se tale diritto fosse direttamente applicabile. Esso sottolinea infatti che la direttiva 2000/78 è stata recepita dalla legge relativa alla parità di trattamento, la quale non è preminente rispetto all’ARG, e che la chiara formulazione dell’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG osta ad un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione che estendesse il regime del Venerdì santo ai lavoratori non appartenenti alle chiese indicate nell’ARG.

22      Il giudice del rinvio rileva anche che, a termini del suo articolo 2, paragrafo 5, la direttiva 2000/78 lascia impregiudicate le misure previste dalla normativa nazionale che, in una società democratica, sono necessarie segnatamente alla tutela dei diritti e delle libertà altrui e sottolinea che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, la libertà di religione e la libertà di culto figurano tra le basi della società democratica.

23      Detto giudice si chiede pertanto se il regime previsto all’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG debba essere considerato una misura necessaria alla tutela della libertà di religione e di culto dei lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG.

24      Il giudice del rinvio si chiede ancora se la differenza di trattamento di cui trattasi possa essere giustificata a titolo dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, in quanto misura positiva e specifica destinata ad eliminare svantaggi esistenti.

25      Detto giudice sottolinea sì che, sul mercato del lavoro austriaco, non esistono, in linea di principio, svantaggi strutturali per i lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG. Tuttavia, costringere questi ultimi a lavorare in uno dei giorni più importanti per la loro religione, quando ciò non avviene, ad esempio, per i membri della Chiesa romano-cattolica, le cui grandi solennità sono giorni di riposo per tutti i lavoratori, potrebbe essere considerato un siffatto svantaggio, che l’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG sarebbe quindi diretto a compensare.

26      Infine, nel caso in cui la Corte dovesse ritenere che il regime legale del Venerdì santo previsto all’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG violi la direttiva 2000/78, si porrebbe la questione se tale violazione debba essere compensata dall’obbligo per il datore di lavoro, società di diritto privato, di accordare tale giorno festivo a tutti i suoi lavoratori, anche allorché il legislatore austriaco ha inteso prendere in considerazione le esigenze giustificate da motivi religiosi solo di un gruppo di lavoratori ben delimitato per salvaguardare gli interessi dei datori di lavoro, che si opponevano ad un’estensione eccessiva del regime generale dei giorni festivi.

27      Qualora dovesse essere constatato, inoltre, che il regime legale del Venerdì santo non costituisce un’azione positiva o una misura specifica, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, il giudice del rinvio si chiede se tale constatazione debba condurre all’inapplicabilità totale dell’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG, per cui nessun lavoratore potrebbe beneficiare, il Venerdì santo, di un giorno festivo o dell’indennità per giorno festivo.

28      Alla luce di quanto sin qui esposto, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 21 della [Carta], in combinato disposto con gli articoli 1 e 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2000/78], debba essere interpretato nel senso che, in una controversia tra lavoratore e datore di lavoro in relazione a un rapporto di lavoro privato, esso osta a una normativa nazionale secondo la quale soltanto per gli appartenenti alle Chiese evangeliche di confessione augustana e di confessione elvetica, della Chiesa vetero‑cattolica e della Chiesa evangelica metodista anche il Venerdì santo è un giorno festivo con un periodo di riposo ininterrotto di almeno 24 ore e, in caso di impiego del lavoratore nonostante il riposo festivo, oltre al diritto alla retribuzione per il tempo di lavoro non prestato a causa del giorno festivo, viene riconosciuto anche un diritto alla retribuzione per il lavoro prestato, mentre ciò non avviene per altri lavoratori, non appartenenti a tali chiese.

2)      Se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 21 della [Carta], in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva [2000/78], debba essere interpretato nel senso che detta direttiva non osta alla normativa nazionale descritta nella prima questione, la quale riconosce diritti soltanto a un gruppo relativamente ristretto, se rapportato alla popolazione totale e all’appartenenza della maggioranza alla Chiesa romano‑cattolica, di appartenenti a determinate (altre) chiese, poiché si tratta di una misura che, in una società democratica, è necessaria per la tutela dei diritti e delle libertà altrui, in particolare del diritto alla libertà religiosa.

3)      Se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 21 della [Carta], in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2000/78], debba essere interpretato nel senso che la normativa nazionale esposta nella prima questione costituisce una misura positiva e specifica in favore degli appartenenti alle chiese indicate nella prima questione, allo scopo di assicurare la loro completa parità nella vita professionale, per prevenire o compensare, per tali appartenenti, svantaggi in ragione della religione, se in tal modo viene loro riconosciuto il medesimo diritto di esercitare la religione durante l’orario di lavoro in una festività solenne per tale religione, quale quello che in base a una diversa normativa nazionale sussiste in capo alla maggioranza dei lavoratori per il fatto che i giorni festivi della religione, nella quale la maggioranza dei lavoratori si riconosce, sono giorni di riposo in generale.

Qualora venga ravvisata una discriminazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2000/78]:

4)      Se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 21 della [Carta], in combinato disposto con gli articoli 1, 2, paragrafo 2, lettera a), e 7, paragrafo 1, della direttiva [2000/78], debba essere interpretato nel senso che il datore di lavoro privato, finché da parte del legislatore non sia stato istituito un assetto giuridico privo di discriminazioni, è tenuto a riconoscere a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa, i diritti descritti nella prima questione in relazione al giorno del Venerdì santo, oppure se la normativa nazionale descritta nella prima questione debba essere del tutto disapplicata, con la conseguenza che i diritti e le pretese relativi al Venerdì santo descritti nella prima questione non vengano riconosciuti ad alcun lavoratore».

 Sulla competenza della Corte

29      Secondo il governo polacco, in virtù dell’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, la concessione da parte di uno Stato membro di un giorno festivo destinato a consentire la celebrazione di una festa religiosa non rientra nel diritto dell’Unione, per cui la Corte non è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali che le sono rivolte dal giudice del rinvio.

30      A tal proposito, occorre rilevare che l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, stabilisce che l’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale.

31      Da una siffatta disposizione non consegue tuttavia che una differenza di trattamento contenuta in una normativa nazionale, che prevede la concessione a taluni lavoratori di un giorno festivo destinato a consentire la celebrazione di una festa religiosa, sia esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 e che la conformità di una tale differenza di trattamento con questa direttiva esuli da un sindacato giurisdizionale effettivo.

32      Infatti, da un lato, la formulazione dell’articolo 17 TFUE corrisponde, in sostanza, a quella della dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali, allegata all’atto finale del Trattato di Amsterdam. Orbene, il fatto che quest’ultima sia esplicitamente citata al considerando 24 della direttiva 2000/78 mette in risalto che il legislatore dell’Unione ha necessariamente tenuto conto di detta dichiarazione al momento di adottare la suddetta direttiva (v., in tal senso, sentenze del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 57, e dell’11 settembre 2018, IR, C‑68/17, EU:C:2018:696, punto 48).

33      Dall’altro lato, l’articolo 17 TFUE esprime, certo, la neutralità dell’Unione nei confronti dell’organizzazione, da parte degli Stati membri, dei loro rapporti con le chiese e le associazioni o comunità religiose (sentenze del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 58, e dell’11 settembre 2018, IR, C‑68/17, EU:C:2018:696, punto 48). Tuttavia, le disposizioni nazionali di cui trattasi nel procedimento principale non sono dirette a organizzare i rapporti tra uno Stato membro e le chiese, ma mirano unicamente a concedere ai lavoratori, membri di talune chiese, un giorno festivo supplementare che coincide con una festa religiosa importante per tali chiese.

34      L’eccezione di incompetenza dedotta dal governo polacco deve dunque essere respinta.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulle prime tre questioni

35      Con le sue prime tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 1 e 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 debbano essere interpretati nel senso che una normativa nazionale in virtù della quale, da un lato, il Venerdì santo è un giorno festivo solo per i lavoratori appartenenti a talune chiese cristiane e, dall’altro, solo tali lavoratori hanno diritto, se chiamati a lavorare in tale giorno festivo, a un’indennità per giorno festivo istituisca una discriminazione diretta fondata sulla religione. In caso di risposta affermativa, esso chiede anche se le misure previste da tale normativa nazionale possano essere considerate misure necessarie alla preservazione dei diritti e delle libertà altrui, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, di detta direttiva, o misure specifiche destinate a compensare svantaggi correlati alla religione, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva.

36      In primo luogo, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 1 della direttiva 2000/78, quest’ultima mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo, negli Stati membri, il principio della parità di trattamento.

37      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, per «principio della parità di trattamento» si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1 della medesima direttiva. L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva precisa che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 1, di quest’ultima, sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1 della direttiva in parola, tra cui figura la religione, una persona è trattata in modo meno favorevole di un’altra che si trovi in una situazione analoga.

38      In tale contesto, occorre, in primo luogo, determinare se dalla normativa di cui trattasi nel procedimento principale risulti una differenza di trattamento tra lavoratori fondata sulla loro religione.

39      A tal proposito, occorre rilevare che l’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG riconosce ai soli lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG il diritto ad un giorno festivo il Venerdì santo. Ne consegue che l’indennità per giorno festivo che, in virtù dell’articolo 9, paragrafo 5, dell’ARG, può far valere il lavoratore chiamato ad esercitare la propria attività professionale nel corso di un giorno festivo è dovuta ai lavoratori che esercitano la loro attività professionale il Venerdì santo solo se questi ultimi siano membri di una di tali chiese.

40      Pertanto, la normativa di cui trattasi nel procedimento principale istituisce una differenza di trattamento fondata direttamente sulla religione dei lavoratori. Infatti, il criterio di differenziazione cui ricorre tale normativa deriva direttamente dall’appartenenza dei lavoratori a una determinata religione.

41      In secondo luogo, occorre esaminare se una tale differenza di trattamento riguardi categorie di lavoratori che si trovino in situazioni paragonabili.

42      A tal proposito, il requisito relativo alla comparabilità delle situazioni al fine di determinare la sussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento deve essere valutato alla luce della totalità degli elementi che le caratterizzano e, in particolare, dell’oggetto e dello scopo della normativa nazionale che istituisce la distinzione di cui trattasi [v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 89, e del 26 giugno 2018, MB (Cambiamento di sesso e pensione di vecchiaia), C‑451/16, EU:C:2018:492, punto 42].

43      Va parimenti precisato che, da un lato, non è necessario che le situazioni siano identiche, ma soltanto che siano comparabili e, dall’altro, che l’esame di tale comparabilità deve essere condotto non in maniera generale e astratta, bensì in modo specifico e concreto in riferimento alla prestazione di cui trattasi (sentenza del 19 luglio 2017, Abercrombie & Fitch Italia, C‑143/16, EU:C:2017:566, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

44      Nella fattispecie, l’articolo 7, paragrafo 3, dell’ARG accorda, il Venerdì santo, un periodo di riposo continuo di 24 ore ai soli lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG. Siffatta disposizione stabilisce così una differenza di trattamento quanto alla concessione di un giorno festivo tra detti lavoratori e il complesso degli altri lavoratori.

45      A tal proposito, emerge dal fascicolo a disposizione della Corte che il periodo di riposo di 24 ore accordato il Venerdì santo ai lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG è giustificato, dalle autorità nazionali competenti, con l’importanza che un tale giorno riveste per tali comunità religiose.

46      Tuttavia, come emerge dalla decisione di rinvio, la concessione di un giorno festivo il Venerdì santo a un lavoratore appartenente ad una delle chiese indicate nell’ARG non è subordinata alla condizione dell’adempimento, da parte del lavoratore, di un obbligo religioso determinato nel corso di tale giornata, ma è subordinata unicamente all’appartenenza formale di detto lavoratore ad una di tali chiese. Tale lavoratore resta pertanto libero di disporre a proprio piacimento, ad esempio a fini di riposo o di svago, del periodo relativo a tale giorno festivo.

47      La situazione di un siffatto lavoratore non si differenzia, a tal proposito, da quella degli altri lavoratori che desiderino disporre di un periodo di riposo o di svago un Venerdì santo senza che possano tuttavia beneficiare di un giorno festivo corrispondente.

48      Deriva inoltre dal combinato disposto dell’articolo 7, paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 5, dell’ARG che solo i lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG possono beneficiare dell’indennità per giorno festivo se lavorano il Venerdì santo.

49      Alla luce della natura finanziaria della prestazione interessata da un tale trattamento differenziato, nonché del nesso indissolubile che la unisce alla concessione di un giorno festivo il Venerdì santo, occorre parimenti considerare che, per quanto riguarda l’attribuzione di una tale prestazione finanziaria, la situazione dei lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG è paragonabile a quella di tutti gli altri lavoratori, a prescindere dall’appartenenza di questi ultimi ad una religione.

50      Infatti, come emerge dal fascicolo a disposizione della Corte, la concessione di tale indennità al lavoratore membro di una di dette chiese, chiamato a lavorare di Venerdì santo, dipende unicamente dall’appartenenza formale di tale lavoratore ad una di tali chiese. Detto lavoratore avrebbe pertanto diritto a siffatta indennità anche se avesse lavorato di Venerdì santo senza aver sentito l’obbligo o l’esigenza di celebrare tale festa religiosa. La sua situazione non si differenzia quindi da quella degli altri lavoratori che abbiano lavorato il Venerdì santo senza beneficiare di una siffatta indennità.

51      Ne deriva che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale ha l’effetto di trattare in maniera diversa, in funzione della religione, situazioni paragonabili. Essa istituisce, quindi, una discriminazione diretta fondata sulla religione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.

52      In secondo luogo, occorre determinare se una siffatta discriminazione diretta possa essere giustificata sulla base dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78 o dell’articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva.

53      Da un lato, ai termini dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78, quest’ultima lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui.

54      Adottando tale disposizione, il legislatore dell’Unione ha inteso prevenire e comporre, in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, un conflitto tra, da una parte, il principio della parità di trattamento e, dall’altra, la necessità di assicurare l’ordine, la sicurezza e la salute pubblici, la prevenzione dei reati nonché la tutela dei diritti e delle libertà individuali, che sono indispensabili al funzionamento di una società democratica. Il legislatore ha deciso che, in taluni casi elencati all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78, i principi posti da quest’ultima non si applicano a misure che contengano differenze di trattamento fondate su uno dei motivi di cui all’articolo 1 di tale direttiva, a condizione tuttavia che tali misure siano necessarie alla realizzazione delle finalità soprammenzionate (sentenza del 13 settembre 2011, Prigge e a., C‑447/09, EU:C:2011:573, punto 55).

55      Peraltro, poiché detto articolo 2, paragrafo 5, istituisce una deroga al divieto di discriminazione, deve essere interpretato in maniera restrittiva. Anche i termini utilizzati in tale disposizione depongono nel senso di una tale impostazione (sentenza del 13 settembre 2011, Prigge e a., C‑447/09, EU:C:2011:573, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

56      Nella fattispecie, occorre sottolineare, in primo luogo, che le misure di cui trattasi nel procedimento principale, ovvero il riconoscimento del Venerdì santo come giorno festivo per i lavoratori appartenenti a una delle chiese indicate nell’ARG, nonché la concessione a tali lavoratori dell’indennità per giorno festivo nel caso in cui essi siano chiamati a lavorare durante il periodo di riposo relativo a tale giorno festivo, sono previste dalla normativa nazionale, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78.

57      In secondo luogo, come rileva il giudice del rinvio, la concessione di un giorno festivo il Venerdì santo ai lavoratori appartenenti a una delle chiese indicate nell’ARG ha l’obiettivo di tener conto dell’importanza particolare che rivestono, per i membri di tali chiese, le celebrazioni religiose associate a un tale giorno.

58      Orbene, è pacifico che la libertà di religione fa parte dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione, e la nozione di «religione» deve essere intesa a tal proposito nel senso che essa comprende sia il forum internum, ossia il fatto di avere convinzioni, sia il forum externum, ossia la manifestazione pubblica della fede religiosa (v., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C‑157/15, EU:C:2017:203, punto 28, nonché del 14 marzo 2017, Bougnaoui e ADDH, C‑188/15, EU:C:2017:204, punto 30). Ne consegue che l’obiettivo perseguito dal legislatore austriaco figura effettivamente tra quelli elencati all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78.

59      Occorre ancora determinare, in terzo luogo, se tali misure siano necessarie alla tutela della libertà di religione dei lavoratori in questione.

60      A tal proposito, occorre constatare che, come ha confermato il governo austriaco in udienza dinanzi alla Corte, la possibilità per i lavoratori, che non appartengono alle chiese indicate nell’ARG, di celebrare una festa religiosa non coincidente con uno dei giorni festivi elencati all’articolo 7, paragrafo 2, dell’ARG, è presa in considerazione nel diritto austriaco, non attraverso la concessione di un giorno festivo supplementare, ma principalmente mediante un dovere di sollecitudine dei datori di lavoro nei confronti dei loro dipendenti, che consente a questi ultimi di ottenere, se del caso, il diritto ad assentarsi dal loro lavoro per la durata necessaria allo svolgimento di taluni riti religiosi.

61      Ne consegue che misure nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale non possono essere considerate necessarie alla tutela della libertà di religione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78.

62      D’altra parte, occorre verificare se disposizioni come quelle di cui trattasi nel procedimento principale possano essere giustificate in virtù dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/78.

63      Emerge da quest’ultima disposizione che, allo scopo di assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1 di detta direttiva.

64      L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 ha lo scopo preciso e limitato di autorizzare provvedimenti che, pur apparendo discriminatori, mirano effettivamente a eliminare o a ridurre le disparità di fatto che possono esistere nella realtà della vita sociale (v., per analogia, sentenza del 30 settembre 2010, Roca Álvarez, C‑104/09, EU:C:2010:561, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

65      Inoltre, nel determinare la portata di qualsiasi deroga ad un diritto fondamentale, come quello alla parità di trattamento, occorre rispettare il principio di proporzionalità che richiede che le limitazioni non eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito e prescrive di conciliare, per quanto possibile, il principio della parità di trattamento con le esigenze del fine così perseguito (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2002, Lommers, C‑476/99, EU:C:2002:183, punto 39).

66      Nel caso di specie, e senza che sia necessario stabilire se la circostanza che il Venerdì santo, che risulta essere uno dei giorni più importanti della religione cui appartengono i lavoratori membri di una delle chiese indicate nell’ARG, non corrisponde a uno dei giorni festivi elencati all’articolo 7, paragrafo 2, di tale legge, costituisca uno svantaggio nell’esercizio della loro vita professionale, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, occorre rilevare che non si può ritenere che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale contenga misure specifiche destinate a compensare un siffatto «svantaggio» nel rispetto del principio di proporzionalità e, per quanto possibile, del principio di uguaglianza.

67      Infatti, come è stato rilevato al punto 60 della presente sentenza, le disposizioni di cui trattasi nel procedimento principale accordano un periodo di riposo di 24 ore, il Venerdì santo, ai lavoratori appartenenti ad una delle chiese indicate nell’ARG, mentre i lavoratori appartenenti ad altre religioni, le cui feste importanti non coincidano con i giorni festivi previsti all’articolo 7, paragrafo 2, dell’ARG, in linea di principio, possono assentarsi dal proprio lavoro per svolgere i riti religiosi relativi a tale festa solo in virtù di un’autorizzazione accordata dal loro datore di lavoro nell’ambito del dovere di sollecitudine.

68      Ne consegue che le misure di cui trattasi nel procedimento principale eccedono quanto è necessario per compensare un siffatto ipotetico svantaggio e che esse istituiscono una differenza di trattamento tra lavoratori, confrontati a obblighi religiosi paragonabili, che non garantisce, per quanto possibile, il principio di uguaglianza.

69      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle prime tre questioni dichiarando che:

–        gli articoli 1 e 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale in virtù della quale, da un lato, il Venerdì santo è un giorno festivo solo per i lavoratori appartenenti a talune chiese cristiane e, dall’altro, solo tali lavoratori hanno diritto, se chiamati a lavorare in tale giorno festivo, a un’indennità per giorno festivo costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione, e

–        le misure previste da tale normativa nazionale non possono essere considerate né misure necessarie alla preservazione dei diritti e delle libertà altrui, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, di detta direttiva, né misure specifiche destinate a compensare svantaggi correlati alla religione, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva.

 Sulla quarta questione

70      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che, finché lo Stato membro interessato non abbia modificato, al fine di ripristinare la parità di trattamento, la propria normativa che concede il diritto a un giorno festivo il Venerdì santo solo ai lavoratori membri di talune chiese cristiane, un datore di lavoro privato soggetto a detta normativa abbia l’obbligo di accordare anche agli altri suoi lavoratori il diritto ad un giorno festivo il Venerdì santo e, di conseguenza, di riconoscere a questi ultimi, se sono chiamati a lavorare in tale giorno, il diritto a un’indennità per giorno festivo.

71      Dalla risposta fornita alle prime tre questioni deriva che la direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che essa osta a una differenza di trattamento fondata sulla religione, quale quella istituita dalle disposizioni di cui trattasi nel procedimento principale.

72      Occorre tuttavia rilevare, in primo luogo, che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti. Infatti, estendere l’invocabilità di direttive non recepite, o non correttamente recepite, all’ambito dei rapporti tra privati equivarrebbe a riconoscere all’Unione il potere di istituire con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza le spetta solo qualora le sia attribuito il potere di adottare regolamenti (sentenza del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth, C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

73      Così, una direttiva non può essere fatta valere in una controversia tra privati ai fini della disapplicazione della normativa di uno Stato membro contraria a tale direttiva (sentenza del 7 agosto 2018, Smith, C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 44).

74      Tuttavia, occorre ricordare a tal riguardo, in secondo luogo, che spetta ai giudici nazionali, tenendo conto di tutte le norme del diritto nazionale e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, decidere se e in quale misura una disposizione nazionale possa essere interpretata conformemente alla direttiva 2000/78, senza procedere ad un’interpretazione contra legem di tale disposizione nazionale (sentenze del 17 aprile 2018, Egenberger, С-414/16, EU:C:2018:257, punto 71, e dell’11 settembre 2018, IR, C‑68/17, EU:C:2018:696, punto 63).

75      Nel caso in cui, come sembra emergere dalla decisione di rinvio, fosse impossibile al giudice del rinvio procedere a una siffatta interpretazione conforme, occorre precisare, in terzo luogo, che la direttiva 2000/78 non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il quale trova la sua fonte in diversi atti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma ha il solo obiettivo di stabilire, in queste stesse materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra i quali la religione o le convinzioni personali, come risulta dal titolo e dall’articolo 1 della medesima (sentenze del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 75, e dell’11 settembre 2018, IR, C‑68/17, EU:C:2018:696, punto 67).

76      Il divieto di ogni discriminazione fondata sulla religione o le convinzioni personali riveste carattere imperativo in quanto principio generale del diritto dell’Unione. Sancito all’articolo 21, paragrafo 1, della Carta, tale divieto è di per sé sufficiente a conferire ai privati un diritto invocabile in quanto tale nell’ambito di una controversia che li vede opposti in un settore disciplinato dal diritto dell’Unione (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 76).

77      Riguardo all’effetto imperativo che esso esplica, l’articolo 21 della Carta non si distingue, in linea di principio, dalle diverse disposizioni dei trattati istitutivi che vietano le discriminazioni fondate su vari motivi, anche quando tali discriminazioni derivino da contratti conclusi tra privati (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 77).

78      Pertanto, qualora dovesse risultare che le disposizioni nazionali non possano essere interpretate in maniera conforme alla direttiva 2000/78, il giudice del rinvio sarebbe tuttavia tenuto ad assicurare la protezione giuridica derivante per i lavoratori dall’articolo 21 della Carta e a garantire la piena efficacia di tale articolo.

79      In quarto luogo, occorre rilevare che, in virtù di una giurisprudenza costante della Corte, quando una discriminazione, contraria al diritto dell’Unione, sia stata constatata e finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il rispetto del principio di uguaglianza può essere garantito solo mediante la concessione alle persone appartenenti alla categoria sfavorita degli stessi vantaggi di cui beneficiano le persone della categoria privilegiata. Le persone sfavorite devono dunque essere poste nella stessa situazione in cui si trovano le persone che beneficiano del vantaggio in questione (sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

80      In tale ipotesi, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione nazionale discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti del gruppo sfavorito lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria. Tale obbligo incombe al giudice nazionale indipendentemente dall’esistenza, nel diritto interno, di disposizioni che gli attribuiscono la competenza al riguardo (sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 67 e giurisprudenza ivi citata).

81      Tuttavia, tale soluzione è destinata a essere applicata soltanto in presenza di un sistema di riferimento valido (sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

82      Tale circostanza ricorre nel procedimento principale, per cui il regime applicabile ai membri delle chiese indicate nell’ARG rimane, in mancanza di corretta applicazione del diritto dell’Unione, il solo sistema di riferimento valido.

83      Pertanto, finché il legislatore nazionale non abbia adottato misure per il ripristino della parità di trattamento, spetta ai datori di lavoro assicurare ai lavoratori non appartenenti ad una di tali chiese un trattamento identico a quello che le disposizioni di cui trattasi nel procedimento principale riservano ai lavoratori appartenenti ad una di dette chiese.

84      Occorre sottolineare, a tal proposito, che dalla normativa nazionale pertinente emerge che questi ultimi lavoratori sono tenuti ad informare il loro datore di lavoro della propria appartenenza a una delle chiese indicate nell’ARG per consentire a quest’ultimo di prevedere la loro assenza il Venerdì santo.

85      Pertanto, finché non sia intervenuto alcun adeguamento legislativo, il datore di lavoro deve riconoscere, in virtù dell’articolo 21 della Carta, ai lavoratori non appartenenti ad alcuna di dette chiese il diritto a un giorno festivo il Venerdì santo purché tali lavoratori abbiano informato, prima di tale giorno, il loro datore di lavoro della loro intenzione di non lavorare detto giorno.

86      Ne consegue anche che un lavoratore non appartenente ad alcuna delle chiese indicate nell’ARG ha il diritto di ottenere il versamento, da parte del proprio datore di lavoro, dell’indennità prevista all’articolo 9, paragrafo 5, dell’ARG, qualora tale datore di lavoro non abbia accolto la sua richiesta di non dover lavorare tale giorno.

87      In quinto luogo, occorre ricordare che gli obblighi imposti ai datori di lavoro, come ricordati ai punti 85 e 86 della presente sentenza, valgono solo finché non siano state adottate dal legislatore nazionale misure che ripristinino la parità di trattamento.

88      Infatti, se è vero che gli Stati membri, conformemente all’articolo 16 della direttiva 2000/78, sono tenuti ad abrogare tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento, tale articolo non impone loro tuttavia di adottare determinati provvedimenti in caso di violazione del divieto di discriminazione ma lascia ai medesimi la libertà di scegliere, fra le varie soluzioni atte a conseguire lo scopo che esso contempla, quella che appare la più adatta a tale effetto, in funzione delle situazioni che possono presentarsi (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2018, Stollwitzer, C‑482/16, EU:C:2018:180, punti 28 e 30).

89      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 21 della Carta deve essere interpretato nel senso che, finché lo Stato membro interessato non abbia modificato, al fine di ripristinare la parità di trattamento, la propria normativa che concede il diritto ad un giorno festivo il Venerdì santo solo ai lavoratori membri di talune chiese cristiane, un datore di lavoro privato soggetto a detta normativa ha l’obbligo di accordare anche agli altri suoi lavoratori il diritto a un giorno festivo il Venerdì santo, purché questi ultimi abbiano chiesto in anticipo a detto datore di lavoro di non dover lavorare quel giorno e, di conseguenza, di riconoscere a tali lavoratori il diritto ad un’indennità per giorno festivo, quando detto datore di lavoro non abbia accolto siffatta richiesta.

 Sulle spese

90      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      Gli articoli 1 e 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale in virtù della quale, da un lato, il Venerdì santo è un giorno festivo solo per i lavoratori appartenenti a talune chiese cristiane e, dall’altro, solo tali lavoratori hanno diritto, se chiamati a lavorare in tale giorno festivo, ad un’indennità complementare alla retribuzione percepita per le prestazioni svolte in tale giorno costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione.

Le misure previste da tale normativa nazionale non possono essere considerate né misure necessarie alla preservazione dei diritti e delle libertà altrui, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, di detta direttiva, né misure specifiche destinate a compensare svantaggi correlati alla religione, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva.

2)      L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che, finché lo Stato membro interessato non abbia modificato, al fine di ripristinare la parità di trattamento, la propria normativa che concede il diritto a un giorno festivo il Venerdì santo solo ai lavoratori membri di talune chiese cristiane, un datore di lavoro privato soggetto a detta normativa ha l’obbligo di accordare anche agli altri suoi lavoratori il diritto ad un giorno festivo il Venerdì santo, purché questi ultimi abbiano chiesto in anticipo a detto datore di lavoro di non dover lavorare quel giorno e, di conseguenza, di riconoscere a tali lavoratori il diritto ad un’indennità complementare alla retribuzione percepita per le prestazioni svolte in tale giorno, quando detto datore di lavoro non abbia accolto siffatta richiesta.


Firme


1 Lingua processuale: il tedesco.