Language of document : ECLI:EU:C:2019:194

SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

13 marzo 2019 (*)

«Ricorso di annullamento – Direttiva (UE) 2016/2284 – Riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici – Adozione di atti di diritto dell’Unione – Svolgimento del procedimento legislativo – Articolo 4, paragrafo 3, TUE – Principio di leale cooperazione – Esercizio effettivo del potere di valutazione del legislatore dell’Unione – Valutazione d’impatto – Valutazione sufficiente degli effetti dell’atto impugnato – Articolo 5, paragrafo 4, TUE – Principio di proporzionalità – Articolo 4, paragrafo 2, TUE – Uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati – Articolo 191, paragrafo 2, TFUE – Politica dell’Unione in materia ambientale – Considerazione della diversità delle regioni dell’Unione europea – Sindacato giurisdizionale»

Nella causa C‑128/17,

avente ad oggetto un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, proposto il 10 marzo 2017,

Repubblica di Polonia, rappresentata da B. Majczyna, in qualità di agente,

ricorrente,

sostenuta da:

Ungheria, rappresentata da M.Z. Fehér, G. Koós ed E. Tóth, in qualità di agenti,

Romania, rappresentata da C. Canţăr, R.H. Radu, A. Wellman e M. Chicu, in qualità di agenti,

intervenienti

contro

Parlamento europeo, rappresentato da A. Tamás e A. Pospíšilová Padowska, in qualità di agenti,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Simm, A.‑Z. Varfi, K. Adamczyk Delamarre e A. Sikora-Kalėda, in qualità di agenti,

convenuti

sostenuti da:

Commissione europea, rappresentata da K. Petersen, K. Herrmann e G. Gattinara, in qualità di agenti,

interveniente,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta da J.‑C. Bonichot (relatore), presidente della Prima Sezione, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, E. Regan e C.G. Fernlund, giudici,

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la Repubblica di Polonia chiede alla Corte, in via principale, di annullare la direttiva (UE) 2016/2284 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2016, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE (GU 2016, L 344, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva impugnata»), e, in subordine, di annullarla nella parte in cui fissa impegni nazionali di riduzione di tali emissioni per il 2030.

 Contesto normativo

 La direttiva impugnata

2        I considerando 1, 3, da 5 a 9, 10, 13, 14, 18 e 19 della direttiva impugnata sono formulati nei termini seguenti:

«(1)      Negli ultimi venti anni nell’Unione si sono registrati considerevoli progressi nell’ambito della qualità dell’aria e delle emissioni atmosferiche antropogeniche, in particolare attraverso una politica specifica dell’Unione che comprende la comunicazione della Commissione[,] del 21 settembre 2005[,] intitolata “Strategia tematica sull’inquinamento atmosferico” (“STIA”) [COM(2005) 446 definitivo]. (…) Tuttavia, come indicato nella comunicazione della Commissione[,] del 18 dicembre 2013[,] intitolata “Aria pulita per l’Europa” [COM(2013) 918 final] (“Nuova STIA”), sussistono significativi impatti negativi e rischi significativi per l’ambiente e per la salute umana.

(…)

(3)      La nuova strategia stabilisce nuovi obiettivi strategici per il periodo fino al 2030 con l’intento di progredire verso l’obiettivo di lungo termine dell’Unione relativo alla qualità dell’aria.

(…)

(5)      Gli Stati membri e l’Unione sono parti della convenzione della commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza del [13 novembre 1979] (“convenzione LRTAP”) e di molti suoi protocolli, tra cui il protocollo del 1999 relativo alla riduzione dell’acidificazione, dell’eutrofizzazione e dell’ozono troposferico che è stato rivisto nel 2012 (“protocollo di Göteborg rivisto”).

(6)      Per il 2020 e gli anni successivi, la versione rivista del protocollo di Göteborg stabilisce, per ogni parte, nuovi impegni di riduzione rispetto al 2005 (anno di riferimento) delle emissioni di biossido di zolfo, ossidi di azoto, ammoniaca, composti organici volatili non metanici e del particolato fine; (…).

(7)      È auspicabile pertanto rivedere il regime dei limiti di emissione nazionali istituito dalla direttiva 2001/81/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici (GU 2001, L 309, pag. 22),] per garantirne la coerenza rispetto agli impegni internazionali dell’Unione e degli Stati membri. A tal fine, gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni per qualsiasi anno dal 2020 al 2029 di cui alla presente direttiva sono identici a quelli stabiliti nella versione rivista del protocollo di Göteborg.

(8)      Gli Stati membri dovrebbero attuare la presente direttiva in modo che contribuisca efficacemente al conseguimento dell’obiettivo a lungo termine dell’Unione in materia di qualità dell’aria, come auspicato dagli orientamenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, (…).

(9)      La presente direttiva dovrebbe altresì contribuire al conseguimento, in modo economicamente vantaggioso, degli obiettivi di qualità dell’aria stabiliti dalla legislazione dell’Unione e all’attenuazione degli impatti dei cambiamenti climatici, oltre che al miglioramento della qualità dell’aria a livello mondiale e a migliori sinergie con le politiche dell’Unione in materia di clima e di energia, evitando nel contempo duplicazioni della vigente legislazione dell’Unione.

(10)      La presente direttiva contribuisce inoltre a ridurre i costi sanitari dell’inquinamento atmosferico nell’Unione, migliorando il benessere dei cittadini dell’Unione, nonché ad agevolare la transizione verso un’economia verde.

(…)

(13)      Gli Stati membri dovrebbero rispettare gli impegni di riduzione delle emissioni stabiliti dalla presente direttiva dal 2020 al 2029 e a partire dal 2030. Per garantire progressi concreti verso il conseguimento degli impegni per il 2030, gli Stati membri dovrebbero individuare nel 2025 livelli di emissione indicativi che siano tecnicamente fattibili e non comportino costi sproporzionati, e dovrebbero adoperarsi per rispettare detti livelli. Qualora le emissioni del 2025 non possano essere limitate secondo la traiettoria stabilita, è auspicabile che gli Stati membri spieghino i motivi di tale scostamento, nonché le misure che li ricondurrebbero sulla loro traiettoria, nelle successive relazioni previste dalla presente direttiva.

(14)      Gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni stabiliti dalla presente direttiva a partire dal 2030 sono basati sul potenziale di riduzione stimato di ciascuno Stato membro contenuto nella relazione n. 16 della strategia tematica sull’inquinamento atmosferico (“STIA 16”) del gennaio 2015, sull’esame tecnico delle differenze tra le stime nazionali e quelle della suddetta relazione e sull’obiettivo politico di mantenere la riduzione complessiva dell’impatto sulla salute entro il 2030 (rispetto al 2005) il più vicino possibile a quella della proposta della Commissione per la presente direttiva. Per aumentare la trasparenza, la Commissione dovrebbe pubblicare le ipotesi di base utilizzate nella STIA 16.

(…)

(18)      Al fine di rispettare i loro impegni di riduzione delle emissioni e contribuire efficacemente al conseguimento degli obiettivi di qualità dell’aria dell’Unione, è opportuno che ogni Stato membro elabori, adotti e attui un programma di controllo dell’inquinamento atmosferico nazionale. (…)

(19)      Al fine di ridurre le emissioni da fonti antropogeniche, i programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico dovrebbero prendere in esame misure applicabili a tutti i settori pertinenti, tra cui agricoltura, energia, industria, trasporti su strada, navigazione interna, riscaldamento domestico e utilizzo di macchine mobili non stradali e di solventi. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter decidere in merito alle misure da adottare per adempiere agli impegni di riduzione delle emissioni di cui alla direttiva».

3        L’articolo 1 della direttiva impugnata prevede quanto segue:

«1.      Al fine di tendere al conseguimento di livelli di qualità dell’aria che non comportino significativi impatti negativi e rischi significativi per la salute umana e l’ambiente, la presente direttiva stabilisce gli impegni di riduzione delle emissioni per le emissioni atmosferiche antropogeniche degli Stati membri di biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), ammoniaca (NH3), e particolato fine (PM2,5) e impone l’elaborazione, l’adozione e l’attuazione di programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico e il monitoraggio e la comunicazione in merito ai suddetti inquinanti e agli altri inquinanti indicati all’allegato I e ai loro effetti.

2.      La presente direttiva contribuisce inoltre a conseguire:

a)      gli obiettivi di qualità dell’aria stabiliti nella legislazione dell’Unione, nonché progressi verso l’obiettivo a lungo termine dell’Unione di raggiungere livelli di qualità dell’aria in linea con gli orientamenti sulla qualità dell’aria pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità;

b)      gli obiettivi dell’Unione in materia di biodiversità e di ecosistemi in linea con il 7º programma d’azione per l’ambiente;

c)      un rafforzamento delle sinergie tra la politica dell’Unione in materia di qualità dell’aria e altre politiche pertinenti dell’Unione, in particolare le politiche in materia di clima e di energia».

4        L’articolo 4 della direttiva di cui trattasi così dispone:

«1.      Gli Stati membri riducono le loro emissioni annue antropogeniche di biossido di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili non metanici, ammoniaca e particolato fine conformemente agli impegni nazionali di riduzione delle emissioni applicabili dal 2020 al 2029 e a partire dal 2030 come indicato nell’allegato II.

2.      Fatto salvo il paragrafo 1, gli Stati membri adottano le misure necessarie volte a limitare nel 2025 le loro emissioni (…). I livelli indicativi di tali emissioni saranno fissati secondo una traiettoria lineare di riduzione stabilita tra i loro livelli di emissione definiti dagli impegni di riduzione delle emissioni per il 2020 e i livelli di emissione definiti dagli impegni di riduzione delle emissioni per il 2030.

Gli Stati membri possono seguire una traiettoria non lineare di riduzione, qualora sia economicamente o tecnicamente più efficiente, e a condizione che, a partire dal 2025, essa converga progressivamente con la traiettoria lineare delle riduzioni e che non pregiudichi alcun impegno di riduzione delle emissioni per il 2030. Gli Stati membri fissano la traiettoria e le motivazioni per seguirla nei programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico da presentare alla Commissione in conformità dell’articolo 10, paragrafo 1.

Qualora le emissioni del 2025 non possano essere limitate secondo la traiettoria stabilita, gli Stati membri spiegano i motivi di tale scostamento, nonché le misure che li ricondurranno sulla loro traiettoria, nelle successive relazioni d’inventario fornite alla Commissione conformemente all’articolo 10, paragrafo 2.

(…)».

5        Ai termini del successivo articolo 5, paragrafo 3:

«Lo Stato membro, per cui uno o più impegni di riduzione stabiliti all’allegato II sono fissati a un livello più rigoroso rispetto alla riduzione efficiente sotto il profilo dei costi individuata nella STIA 16, che, in un dato anno, non può rispettare il pertinente impegno di riduzione delle emissioni dopo aver attuato tutte le misure efficienti sotto il profilo dei costi, è ritenuto in conformità con il pertinente impegno di riduzione delle emissioni per un massimo di cinque anni, a condizione che per ciascuno di tali anni compensi la non conformità con una riduzione equivalente delle emissioni di un altro inquinante di cui all’allegato II».

6        L’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva medesima è così formulato:

«La Commissione pubblica sul suo sito web:

a)      le ipotesi di base considerate per ciascuno Stato membro per la definizione del potenziale nazionale di riduzione delle emissioni utilizzato per redigere la STIA 16;

(…)».

7        L’allegato II della direttiva impugnata contiene un elenco che specifica, per ciascuno Stato membro, gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni per gli anni dal 2020 al 2029 e a partire dal 2030.

8        Ai termini dell’allegato III, parte 1, punto 1, di tale direttiva:

«I programmi nazionali iniziali di controllo dell’inquinamento atmosferico di cui agli articoli 6 e 10 devono riguardare almeno gli elementi seguenti:

(…)

b)      le opzioni strategiche considerate per rispettare gli impegni di riduzione delle emissioni nel periodo tra il 2020 e il 2029 e a partire dal 2030 e conseguire i livelli intermedi delle emissioni stabiliti per il 2025 e per contribuire a migliorare ulteriormente la qualità dell’aria, e l’analisi di queste opzioni, ivi compreso il metodo di analisi; ove possibile, l’impatto individuale o complessivo delle politiche e delle misure sulle riduzioni delle emissioni, la qualità dell’aria e l’ambiente e le relative incertezze;

(…)

d)      se del caso, una spiegazione dei motivi per cui i livelli indicativi delle emissioni per il 2025 possono essere raggiunti solo mediante misure che comportano costi sproporzionati;

(…)».

 L’Accordo interistituzionale «Legiferare meglio»

9        L’Accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea, del 13 aprile 2016, intitolato «Legiferare meglio» (GU 2016, L 123, pag. 1; in prosieguo: l’«Accordo interistituzionale “Legiferare meglio”»), contiene il titolo III, intitolato «Strumenti per legiferare meglio», in cui figurano i punti da 12 a 15 dell’Accordo. Questi ultimi sono così formulati:

«12.      Le tre istituzioni concordano nel riconoscere l’apporto positivo delle valutazioni d’impatto per il miglioramento della qualità della legislazione dell’Unione.

Le valutazioni d’impatto sono uno strumento inteso a fornire alle tre istituzioni un ausilio per prendere decisioni ben fondate e non sostituiscono le decisioni politiche nell’ambito del processo decisionale democratico. Le valutazioni d’impatto non devono condurre a indebiti ritardi nell’iter legislativo né compromettere la capacità dei co-legislatori di proporre modifiche.

Le valutazioni d’impatto dovrebbero riguardare l’esistenza, la portata e le conseguenze di un problema e determinare se sia necessaria o meno l’azione dell’Unione. Dovrebbero individuare soluzioni alternative nonché, laddove possibile, costi e benefici potenziali a breve e a lungo termine, valutando gli impatti sotto il profilo economico, ambientale e sociale in modo integrato e equilibrato e fondandosi su analisi qualitative e quantitative. È opportuno che siano rispettati rigorosamente i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, nonché i diritti fondamentali. (…) Le valutazioni d’impatto dovrebbero basarsi su informazioni accurate, oggettive e complete ed essere proporzionate quanto alla loro portata e alle tematiche su cui si concentrano.

13.      La Commissione effettua valutazioni d’impatto delle proprie iniziative legislative e non legislative (…).

14.      All’atto dell’esame delle proposte legislative della Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio tengono pienamente conto delle valutazioni d’impatto della Commissione. (…)

15.      Il Parlamento europeo e il Consiglio, se lo ritengono opportuno e necessario per l’iter legislativo, effettuano valutazioni d’impatto in relazione alle modifiche sostanziali che hanno apportato alla proposta della Commissione. Il Parlamento europeo e il Consiglio di norma prendono come punto di partenza la valutazione d’impatto della Commissione per i loro ulteriori lavori. La definizione di una modifica “sostanziale” dovrebbe spettare alla rispettiva istituzione».

 Fatti

10      La direttiva impugnata fa parte delle misure adottate dall’Unione nel settore delle emissioni antropogeniche nell’aria e della qualità dell’aria. Essa s’inserisce nell’ambito di una politica strategica dell’Unione che, alla data di adozione della direttiva stessa, comprendeva, tra l’altro, quanto segue:

–        la politica strategica sull’inquinamento atmosferico del 2005 risultante dal sesto programma di azione del 2002 stabilito dalla decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2002, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (GU 2002, L 242, pag. 1);

–        gli atti legislativi dell’Unione attuativi di tale strategia, quali la direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (GU 2008, L 152, pag. 1), e la direttiva 2001/81, nonché

–        l’attività dell’Unione a livello internazionale e, segnatamente, la Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza [(Convenzione LRTAP)], approvata dall’Unione con la decisione 81/462/CEE del Consiglio, dell’11 giugno 1981 (GU 1981, L 171, pag. 11), e il protocollo di tale Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza per la riduzione dell’acidificazione, dell’eutrofizzazione e dell’ozono troposferico, adottato il 30 novembre 1999 (in prosieguo: il «protocollo di Göteborg»), approvato dall’Unione con la decisione 2003/507/CE del Consiglio, del 13 giugno 2003 (GU 2003, L 179, pag. 1).

11      La versione rivista del protocollo di Göteborg è stata approvata dall’Unione con la decisione (UE) 2017/1757 del Consiglio, del 17 luglio 2017 (GU 2017, L 248, pag. 3).

12      Nel corso del 2013, la Commissione ha pubblicato la sua nuova STIA, secondo la quale permanevano impatti negativi e rischi significativi per l’ambiente e per la salute umana dovuti all’inquinamento dell’aria. In tale contesto, il 18 dicembre 2013, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici e che modifica la direttiva 2003/35/CE [COM(2013) 920 final; in prosieguo: la «proposta di direttiva»].

13      Nell’ambito di tale proposta, sono stati stabiliti impegni nazionali per il 2020 e il 2030 sulla base dei dati dichiarati nella valutazione d’impatto dei servizi della Commissione, del 18 dicembre 2013 [SWD(2013) 531 final; in prosieguo: la «valutazione d’impatto]. Per effettuare la valutazione d’impatto, la Commissione si è avvalsa dei dati generati tramite il sistema di modellizzazione denominato «GAINS» ([Greenhouse Gas-Air Pollution Interactions and Synergies model;] in prosieguo: il «sistema GAINS») dell’International Institute for Applied System Analysis (Istituto internazionale di analisi dei sistemi applicati; in prosieguo: l’«IIASA»), in qualità di consulente della Commissione.

14      La proposta di direttiva è stata esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio. In sede di Consiglio, la proposta de qua e la valutazione d’impatto sono state discusse, tra il 2014 e il 2016, nel corso di ventiquattro riunioni a livello del gruppo di lavoro, di tredici riunioni del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) e di quattro riunioni a livello dei Ministri. Inoltre, le successive presidenze del Consiglio hanno organizzato riunioni bilaterali informali con tutti gli Stati membri, in parte con il sostegno della Commissione, al fine di chiarire questioni specifiche riguardanti diversi Stati membri. In tale contesto, i dati forniti nella valutazione d’impatto sono stati aggiornati alla luce di diciassette successive relazioni dell’IIASA, intitolate «relazioni STIA», seguite dalla rispettiva numerazione (da 1 a 16b).

15      Il 16 dicembre 2015 il Consiglio ha adottato l’orientamento generale riguardante la proposta di direttiva. All’inizio del 2016, il medesimo ha avviato negoziati con il Parlamento. Il 29 giugno 2016 il Coreper ha approvato un accordo informale tra queste due istituzioni.

16      Durante la riunione del Consiglio del 17 ottobre 2016, la Repubblica di Polonia, l’Ungheria e la Romania hanno espresso le loro preoccupazioni in merito all’impatto economico degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni previsti dalla proposta di direttiva e alla metodologia utilizzata per stabilire tali impegni.

17      Dopo la votazione in Parlamento, il 23 novembre 2016, la direttiva impugnata è stata votata dal Consiglio l’8 dicembre 2016 e adottata a Strasburgo il 14 dicembre 2016.

 Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

18      La Repubblica di Polonia chiede che la Corte voglia:

–        in via principale, annullare la direttiva impugnata;

–        in subordine, annullare l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, l’articolo 14, paragrafo 3, lettera a), l’allegato II e l’allegato III, parte 1, punto 1, lettere b) e d), della medesima direttiva, e

–        condannare il Parlamento e il Consiglio alle spese.

19      Il Parlamento e il Consiglio chiedono che la Corte voglia:

–        respingere integralmente il ricorso e

–        condannare la Repubblica di Polonia alle spese.

20      Con decisione del 30 agosto 2017, l’Ungheria e la Romania sono state ammesse ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica di Polonia. Alla stessa data, la Commissione è stata ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio.

 Sul ricorso

 Sul terzo motivo

 Argomenti delle parti

21      Con il suo terzo motivo, che occorre esaminare in primo luogo, la Repubblica di Polonia sostiene che il Parlamento e il Consiglio hanno violato l’obbligo di effettuare una corretta valutazione dell’impatto della direttiva impugnata prima della sua adozione.

22      Conformemente al punto 13 dell’Accordo interistituzionale «Legiferare meglio», la Commissione sarebbe tenuta ad effettuare una valutazione d’impatto qualora un atto giuridico fosse suscettibile di avere un impatto significativo. In forza del punto 12 di tale Accordo, le valutazioni d’impatto effettuate nell’ambito dell’iter legislativo dovrebbero riguardare l’esistenza, la portata e le conseguenze di un problema. Le stesse dovrebbero tenere conto dei costi e degli impatti sotto il profilo economico, ambientale e sociale. Tali valutazioni dovrebbero parimenti essere proporzionate quanto alla loro portata e alle tematiche su cui si concentrano e basarsi su informazioni oggettive, complete e accurate. Conformemente agli orientamenti della Commissione, del 7 luglio 2017, sulle modalità di applicazione dell’Accordo interistituzionale «Legiferare meglio» [SWD(2017) 350 final], la Commissione dovrebbe svolgere una valutazione settoriale. Di conseguenza, tale istituzione non avrebbe un potere di valutazione discrezionale sul contenuto di una valutazione d’impatto.

23      La valutazione d’impatto non soddisferebbe tali requisiti. I costi associati agli impegni nazionali di riduzione delle emissioni e le conseguenze economiche per i settori interessati non sarebbero stati tenuti nella dovuta considerazione o sarebbero stati sottostimati. Inoltre, i dati utilizzati al fine di valutare gli impatti positivi della direttiva impugnata non sarebbero attendibili.

24      Le lacune riguarderebbero, in particolare, il potenziale di riduzione delle emissioni e i costi delle misure necessarie nei settori della produzione agricola, del trasporto individuale e della produzione di elettricità. Lo stesso varrebbe per l’ammodernamento degli impianti di riscaldamento domestico.

25      Inoltre, la valutazione d’impatto sarebbe troppo generica, in quanto esaminerebbe congiuntamente gli impatti derivanti dall’insieme degli atti adottati nell’ambito del pacchetto «Aria pulita», vale a dire la direttiva impugnata, la direttiva (UE) 2015/2193 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi (GU 2015, L 313, pag. 1), e la decisione 2017/1757. Essa ometterebbe altresì di tenere conto della situazione particolare di ciascuno Stato membro.

26      Alla luce di quanto precede, sarebbe impossibile stimare i costi di attuazione della direttiva impugnata in Polonia.

27      Peraltro, nel corso del procedimento legislativo, il Parlamento e il Consiglio avrebbero modificato elementi sostanziali della proposta di direttiva, segnatamente per quanto riguarda il tasso di riduzione di particolato fine in Polonia. Pertanto, conformemente al punto 15 dell’Accordo interistituzionale «Legiferare meglio», la valutazione d’impatto avrebbe dovuto essere aggiornata. Essendo stata elaborata nel corso del 2013, l’aggiornamento della valutazione sarebbe stato altresì necessario per verificare che nel 2016 fosse ancora attuale.

28      Inoltre, dalla valutazione d’impatto risulterebbe che l’attuazione degli impegni nazionali di riduzione delle immissioni potrebbe richiedere una modifica della struttura stessa dell’approvvigionamento energetico degli Stati membri. La direttiva impugnata, in tal caso, avrebbe dovuto essere adottata all’unanimità sulla base dell’articolo 192, paragrafo 2, TFUE, che prevede un siffatto quorum per le delibere relative a misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo.

29      Il Parlamento e il Consiglio concludono per il rigetto del terzo motivo.

 Giudizio della Corte

30      A sostegno del suo terzo motivo, la Repubblica di Polonia fa sostanzialmente valere l’irregolarità della procedura di adozione della direttiva impugnata, dovuta alle lacune nella valutazione d’impatto, riguardanti segnatamente le conseguenze delle misure previste sull’economia degli Stati membri, in particolare sulla Repubblica di Polonia.

31      Occorre rilevare, in primo luogo, che, come sostiene correttamente il Parlamento, la forma in cui sono registrati i dati di base presi in considerazione dal legislatore dell’Unione non è importante. Il legislatore dell’Unione può tenere conto non solo della valutazione d’impatto, ma anche di ogni altra fonte d’informazione (v., per analogia, sentenze dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C‑343/09, EU:C:2010:419, punti 36, 37 e 40, nonché del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punti da 64 a 66).

32      Per adottare la direttiva impugnata, il legislatore dell’Unione si è basato sulla valutazione d’impatto, sui dati contenuti nel sistema GAINS, sulle relazioni STIA nonché su un’analisi di sensibilità, una sintesi della quale figura nel documento n. 11265/16 del Consiglio, del 14 luglio 2016.

33      Per quanto concerne, anzitutto, la valutazione d’impatto, come precisato dal Consiglio e dalla Commissione, essa illustra i costi associati al rispetto degli impegni a carico di ciascuno Stato membro e in relazione a ogni opzione considerata, espressi in milioni di euro e in percentuali di prodotto interno lordo (PIL). I costi associati al rispetto degli impegni sono altresì presentati per ciascun settore economico a livello dell’Unione.

34      La valutazione d’impatto esamina cinque opzioni strategiche che si differenziano in funzione del livello di riduzione delle emissioni considerato. Per ciascuna opzione, essa fornisce, in base a stime e previsioni, una valutazione degli investimenti necessari per la loro attuazione nonché vantaggi diretti e altri benefici che ne deriveranno.

35      Per quanto riguarda, poi, il sistema GAINS, come osserva il Consiglio, lo stesso consente di studiare strategie di controllo delle emissioni con un soddisfacente rapporto costi/efficacia, riproducendo, per quanto possibile, le emissioni storiche e definendo, su tale base, proiezioni relative alle emissioni di alcuni inquinanti atmosferici per ciascun paese. A tale scopo si utilizzano i dati provenienti da statistiche internazionali dell’energia, dell’industria nonché dagli inventari sulle emissioni e i dati forniti dagli stessi paesi interessati. Le modalità operative del sistema GAINS consistono nel mettere a disposizione degli Stati membri tutti i dati che consentono agli stessi di fornire elementi di prova a sostegno delle ipotesi alternative sottoposte a valutazione. I riferimenti al contesto aggiornato figurano nella valutazione d’impatto. I dati dettagliati relativi ai parametri utilizzati per ogni settore dei diversi Stati membri sono stati pubblicati sul sito Internet GAINS affinché tali Stati possano individuare le ipotesi concrete avanzate in relazione alla loro situazione.

36      A tal riguardo, la Commissione precisa correttamente che il sistema GAINS fornisce informazioni dettagliate relative a ogni settore dell’attività economica di ciascuno Stato membro quanto alle emissioni prodotte, al potenziale di riduzione di tali emissioni e ai costi associati a una siffatta riduzione.

37      Come sottolinea il Parlamento, tali dati sono stati esaminati in stretta collaborazione con le autorità e gli esperti nazionali. D’altronde, è pacifico che gli Stati membri avevano accesso al sistema GAINS e alle relazioni STIA elaborate dall’IIASA.

38      Dalle osservazioni del Parlamento e del Consiglio, sostenuti dalla Commissione, risulta inoltre che l’IIASA ha aggiornato i propri calcoli dopo la pubblicazione della valutazione d’impatto e che, in tale contesto, ha adottato le relazioni STIA da 11 a 16b. Allo scopo di rimuovere alcune differenze rilevate tra le ipotesi nazionali e quelle dell’IIASA, tale istituto ha pubblicato le relazioni STIA 13 e 14 e ha ricalcolato gli impegni di riduzione delle emissioni nella relazione STIA 16. Nel proprio ricorso, la Repubblica di Polonia ammette, d’altronde, che l’analisi delle divergenze tra le stime effettuate da diversi Stati membri e le stime elaborate dall’IIASA è stata pubblicata in diverse relazioni STIA.

39      Come rilevato dal Consiglio, sostenuto dalla Commissione, gli Stati membri potevano altresì presentare le loro posizioni sugli scostamenti tra le loro stime di costo e quelle effettuate dall’IIASA nell’ambito delle discussioni bilaterali condotte dalla presidenza del Consiglio. L’esito di tali discussioni costituisce l’oggetto della relazione STIA 16, il che non è contestato dalla Repubblica di Polonia.

40      Infine, è stata effettuata un’analisi di sensibilità al fine di stabilire definitivamente la portata degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni per quanto riguarda il periodo compreso tra il 2020 e il 2029 e a partire dal 2030, quali figurano all’allegato II della direttiva impugnata. Come precisato al punto 32 della presente sentenza, il documento n. 11265/16 del Consiglio, del 14 luglio 2016, contiene una sintesi di tale analisi. Una versione completa della medesima è stata trasmessa alle autorità polacche il 13 maggio 2016, come rilevato dalla Commissione. Nell’ambito di tale analisi di sensibilità, è stato verificato se l’utilizzo delle proprie stime da parte degli Stati membri relative a talune ipotesi avrebbe inciso sulla fattibilità degli impegni di riduzione delle emissioni proposti nella relazione STIA 16.

41      Dalle considerazioni suesposte risulta che la Repubblica di Polonia non può legittimamente sostenere che i dati presi in considerazione dal legislatore dell’Unione al fine di adottare la direttiva impugnata erano incompleti quanto alla situazione particolare della Repubblica di Polonia, dal momento che tali dati sono stati definiti dall’IIASA insieme a rappresentanti di detto Stato membro e, segnatamente, sulla base di dati forniti da questi ultimi. Inoltre, come emerge dal documento n. 11265/16 del Consiglio, del 14 luglio 2016 (pagg. 66 e 67), la Repubblica di Polonia non ha comunicato tutte le informazioni relative a taluni inquinanti oggetto della direttiva impugnata.

42      Per le stesse ragioni e, in particolare, poiché il legislatore dell’Unione si è altresì basato su altre informazioni a sua disposizione, gli argomenti della Repubblica di Polonia volti a dimostrare che la valutazione d’impatto sarebbe stata imprecisa, insufficiente e troppo generica non possono essere accolti.

43      In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento della Repubblica di Polonia secondo cui il Parlamento e il Consiglio avrebbero modificato elementi sostanziali della proposta di direttiva e, di conseguenza, avrebbero dovuto aggiornare la valutazione d’impatto, conformemente al punto 15 dell’Accordo interistituzionale «Legiferare meglio», è sufficiente constatare che tale disposizione non prevede, in ogni caso, alcun obbligo fermo a carico delle istituzioni interessate. Essa prevede la facoltà di effettuare un siffatto aggiornamento solo se il Parlamento e il Consiglio «lo ritengono opportuno e necessario per l’iter legislativo».

44      Ad ogni modo, la Repubblica di Polonia non può contestare al Parlamento e al Consiglio di aver basato l’adozione della direttiva impugnata su dati che non erano più attuali. Infatti, il processo decisionale è stato costantemente accompagnato da aggiornamenti dei dati disponibili come testimoniano, segnatamente, le relazioni STIA e l’analisi di sensibilità menzionate ai precedenti punti della presente sentenza.

45      Da quanto precede risulta che il Parlamento e il Consiglio, nel corso del procedimento legislativo, hanno tenuto in considerazione i dati scientifici e le informazioni disponibili ai fini dell’esercizio effettivo del loro potere di valutazione.

46      In terzo luogo, quanto alle affermazioni della Repubblica di Polonia secondo cui la direttiva impugnata non avrebbe dovuto essere adottata sulla base del paragrafo 1, bensì del paragrafo 2 dell’articolo 192 TFUE, esse devono essere respinte nell’ambito del presente motivo in quanto inconferenti. Infatti, con il suo terzo motivo, la Repubblica di Polonia intende dimostrare soltanto la lacunosità della valutazione d’impatto senza rimettere in discussione la scelta della base giuridica della direttiva impugnata.

47      Di conseguenza, il terzo motivo dev’essere respinto.

 Sul primo e sul secondo motivo

 Argomenti delle parti

48      Con il primo e il secondo motivo, la Repubblica di Polonia sostiene che il Parlamento e il Consiglio hanno violato i principi di leale cooperazione, di trasparenza e di apertura nonché l’obbligo di motivare gli atti giuridici.

49      Da un lato, i negoziati relativi agli impegni nazionali di riduzione delle emissioni sarebbero stati discriminatori e opachi e, dall’altro, la Repubblica di Polonia sarebbe stata privata delle garanzie procedurali, come la possibilità di verificare le ipotesi sottese a tali impegni.

50      Risulterebbe dalla sentenza del 24 giugno 1992, Commissione/Grecia (C‑137/91, EU:C:1992:272), che il principio di leale cooperazione, quale sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, può costituire il fondamento giuridico autonomo di un ricorso dinanzi alla Corte, e dalla sentenza del 14 giugno 2016, Parlamento/Consiglio (C‑263/14, EU:C:2016:435), che la violazione di tale principio consentirebbe di annullare un atto giuridico dell’Unione, anche in assenza di violazione della procedura legislativa di cui al trattato FUE.

51      La Repubblica di Polonia, sostenuta dall’Ungheria e dalla Romania, ritiene che, per rispettare pienamente il principio di leale cooperazione nel corso della procedura di adozione di un atto giuridico dell’Unione, il Consiglio sia tenuto, nella fase dei lavori preparatori, a trasmettere le informazioni che consentono di comprendere l’impatto di un atto del genere a tutti gli Stati membri. La sentenza del 5 dicembre 2017, Germania/Consiglio (C‑600/14, EU:C:2017:935, punto 107), conforterebbe tale interpretazione.

52      Inoltre, i principi di leale cooperazione, di trasparenza e di apertura nonché l’obbligo di motivazione sarebbero applicabili all’iter legislativo e ne garantirebbero il corretto svolgimento, come risulterebbe dall’Accordo interistituzionale «Legiferare meglio».

53      La Repubblica di Polonia precisa di aver espresso riserve sullo svolgimento dei negoziati nel corso della procedura di adozione della direttiva impugnata. Essa avrebbe parimenti chiesto informazioni supplementari, in quanto le ipotesi e i dati utilizzati per stabilire gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni sarebbero stati parzialmente sconosciuti.

54      Infatti, né il sistema GAINS né le pubblicazioni dell’IIASA conterrebbero talune informazioni essenziali. In particolare, la Repubblica di Polonia non avrebbe potuto verificare talune ipotesi concernenti la distribuzione, settore per settore, delle fonti d’inquinamento atmosferico, le ipotesi di sviluppo delle economie degli Stati membri e le previsioni relative alle emissioni formulate per il 2030. Non sarebbero state divulgate le modalità di conversione dell’obiettivo sanitario globale in impegni di riduzione delle emissioni e come tali impegni siano stati fissati per ciascuno Stato membro. La Repubblica di Polonia avrebbe chiesto, senza successo, una descrizione di ogni sottocategoria di fonti di emissioni esaminate.

55      Non avendo accesso a tutte le ipotesi formulate, agli strumenti di modellizzazione, alla programmazione e ai parametri, il sistema GAINS non potrebbe colmare tali lacune. Lo stesso varrebbe per il modello denominato «Primes», utilizzato dalla Commissione per generare dati di input nel sistema GAINS. Per quanto concerne il documento n. 11265/16 del Consiglio, del 14 luglio 2016, esso non conterrebbe neppure le informazioni necessarie ma solo una breve descrizione del metodo impiegato.

56      A sostegno delle conclusioni della Repubblica di Polonia, la Romania fa valere che il documento n. 11265/16 del Consiglio, del 14 luglio 2016, non contiene tutte le informazioni tecniche che giustificano gli impegni di riduzione delle emissioni imposti alla Repubblica di Polonia. Tale documento, peraltro, sarebbe stato comunicato tardivamente, vale a dire successivamente alla votazione in Consiglio, il 29 giugno 2016, della proposta di direttiva.

57      Inoltre, secondo la Repubblica di Polonia, alcune ipotesi di base sarebbero errate, in particolare quelle relative al ritmo di sostituzione dei veicoli dotati di motore a combustione e alle emissioni di ammoniaca in agricoltura. La Commissione non avrebbe corretto tali errori, come avrebbe invece chiesto la Repubblica di Polonia.

58      La Repubblica di Polonia ritiene che, nonostante i suoi reclami, il Consiglio non abbia tenuto in considerazione i problemi da essa sollevati, in tal modo violando il suo diritto alla piena partecipazione al procedimento legislativo.

59      Il principio di leale cooperazione comprenderebbe il diritto di essere ascoltato, il quale consente a una parte interessata da un atto che le arreca pregiudizio di far conoscere utilmente il suo punto di vista. Tale diritto sarebbe stato disatteso, in quanto la Repubblica di Polonia non poteva conoscere gli effetti socioeconomici derivanti dagli impegni di riduzione delle emissioni imposti agli Stati membri.

60      Il principio di leale cooperazione esigerebbe, inoltre, che le istituzioni e gli Stati membri, che dovrebbero accordarsi sulle soluzioni individuate e sui dati presi in considerazione a tal fine, collaborino lealmente. Le istituzioni avrebbero dovuto dialogare con la Repubblica di Polonia e motivare il rigetto delle obiezioni formulate da tale Stato membro. A tal riguardo, il mero rinvio ai modelli analitici del sistema GAINS o ad altri documenti dell’IIASA, accessibili a tutti gli Stati membri, non sarebbe sufficiente.

61      Peraltro, la Romania sostiene che il principio di trasparenza è sancito all’articolo 19, paragrafo 1, della decisione n. 2009/937/UE del Consiglio, del 1o dicembre 2009, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU 2009, L 325, pag. 35; in prosieguo: il «regolamento interno del Consiglio»). La portata di tale principio troverebbe concretizzazione nel combinato disposto dell’articolo 20 del regolamento de quo con il suo allegato V, il quale prevede che la «presidenza trasmette alle delegazioni, il più presto possibile in sede di preparazione dei lavori del Coreper, tutte le informazioni necessarie per consentire un’accurata preparazione del medesimo».

62      Nella specie, il lasso di tempo tra la comunicazione, il 28 giugno 2016, della nuova proposta di redazione dell’allegato II della direttiva impugnata e l’approvazione di tale proposta in sede di Coreper, il 29 giugno 2016, per raggiungere un accordo con il Parlamento, non avrebbe consentito una preparazione accurata. Per giunta, il metodo di calcolo degli impegni nazionali sarebbe stato comunicato agli Stati membri solo il 18 luglio 2016.

63      Tale constatazione non potrebbe essere inficiata dalla circostanza che la direttiva impugnata sia stata adottata dopo essere stata votata dal Consiglio soltanto l’8 dicembre 2016, dal momento che, dopo la votazione del 29 giugno 2016, gli Stati membri sarebbero stati privati di fatto di qualsivoglia possibilità di far valere le rispettive posizioni.

64      Inoltre, la Romania ritiene che le disposizioni dell’allegato II, articolo 5, del regolamento interno del Consiglio, che prevede l’applicazione del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43), non siano state rispettate nel trattamento delle richieste d’informazioni formulate dalla Repubblica di Polonia.

65      Il Parlamento e il Consiglio ritengono che tali motivi debbano essere respinti.

 Giudizio della Corte

66      Dall’argomentazione riportata, in sostanza, ai punti 51, 52 e da 58 a 60 della presente sentenza emerge segnatamente che, deducendo una violazione del principio di trasparenza, del diritto di essere ascoltato e dell’obbligo di motivazione, la Repubblica di Polonia intende unicamente illustrare gli obblighi che le istituzioni dell’Unione sono tenute a rispettare nel corso del processo legislativo, in ossequio al principio di leale cooperazione. Occorre quindi valutare gli argomenti sollevati da detto Stato membro a sostegno del suo primo e del suo secondo motivo esclusivamente alla luce di quest’ultimo principio.

67      Si deve rammentare che, in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati.

68      Occorre, pertanto, verificare, tenendo conto dello svolgimento del processo decisionale sfociato nell’adozione della direttiva impugnata, quale risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte, se il Parlamento e il Consiglio siano venuti meno al loro dovere di leale cooperazione.

69      A tal riguardo, come risulta dal punto 14 della presente sentenza, in sede di Consiglio, la proposta di direttiva e la valutazione d’impatto sono state discusse, tra il 2014 e il 2016, nel corso di ventiquattro riunioni a livello di gruppo di lavoro, di tredici riunioni del Coreper e di quattro riunioni a livello dei Ministri. Inoltre, le successive presidenze del Consiglio hanno organizzato riunioni bilaterali informali con tutti gli Stati membri, in parte con il sostegno della Commissione.

70      Come risulta altresì dai punti da 32 a 41 della presente sentenza, la Repubblica di Polonia, durante l’iter legislativo, aveva accesso a tutti i documenti sui quali si è basato il legislatore dell’Unione per adottare la direttiva impugnata e poteva presentare le proprie osservazioni sui dati contenuti in tali documenti e sulle ipotesi accolte.

71      Tale constatazione non è inficiata dall’affermazione della Romania secondo cui il documento n. 11265/16 del Consiglio, del 14 luglio 2016, sarebbe stato trasmesso in ritardo alla Repubblica di Polonia. Il documento in parola era infatti disponibile diversi mesi prima dell’adozione da parte del Consiglio, l’8 dicembre 2016, della direttiva impugnata.

72      La Repubblica di Polonia sostiene, inoltre, che le informazioni di cui disponevano il legislatore dell’Unione e gli Stati membri nel corso del processo legislativo che ha portato all’adozione della direttiva impugnata erano insufficienti per poter comprendere tutti gli impatti della direttiva de qua, se non parzialmente errate.

73      Tuttavia, nei settori in cui il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale, la Corte verifica esclusivamente se gli autori dell’atto impugnato siano in grado di dimostrare che lo stesso è stato adottato attraverso un effettivo esercizio del loro potere discrezionale e di esporre, a tal fine, in modo chiaro e inequivocabile, i dati di base che hanno dovuto essere presi in considerazione per fondare le misure controverse di tale atto e dai quali dipendeva l’esercizio del loro potere discrezionale (v., in tal senso, sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑5/16, EU:C:2018:483, punti da 151 a 153). Orbene, dal punto 45 della presente sentenza risulta che il legislatore dell’Unione ha effettivamente ottemperato a tale obbligo tenendo conto di tutti i numerosi dati disponibili.

74      L’obbligo di leale cooperazione non può avere una portata più ampia, nel senso che produrrebbe l’effetto di imporre, in ogni caso, al legislatore dell’Unione di produrre, su richiesta di uno Stato membro, documenti e informazioni asseritamente mancanti o di correggere informazioni in suo possesso prima di poter procedere all’adozione di un atto. Una siffatta interpretazione potrebbe infatti impedire alle istituzioni di esercitare il loro potere discrezionale e bloccare l’iter legislativo.

75      È certo vero che il dovere di leale cooperazione comporta l’obbligo di reciproca assistenza, il quale implica, segnatamente, lo scambio di informazioni pertinenti tra le istituzioni e gli Stati membri nell’ambito dell’iter legislativo. Tuttavia, l’obbligo medesimo non può consentire a uno di tali Stati, in caso di disaccordo sulla sufficienza, la pertinenza o l’esattezza dei dati disponibili, di contestare per quest’unico motivo la legittimità del processo decisionale.

76      A tale riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’adozione di un atto legislativo nel rispetto delle disposizioni pertinenti del trattato FUE, nonostante l’opposizione di una minoranza di Stati membri, non può costituire una violazione dell’obbligo di leale cooperazione che incombe al Parlamento e al Consiglio (v., in tal senso, sentenze del 13 ottobre 1992, Portogallo e Spagna/Consiglio, C‑63/90 e C‑67/90, EU:C:1992:381, punto 53, nonché del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio, C‑149/96, EU:C:1999:574, punto 66).

77      La sentenza del 5 dicembre 2017, Germania/Consiglio (C‑600/14, EU:C:2017:935), non consente d’invalidare tale constatazione, in quanto, al punto 107 della medesima, invocato dalla Repubblica di Polonia, la Corte si è limitata a valutare se, alla luce del principio di leale cooperazione, il processo decisionale che ha condotto all’adozione dell’atto impugnato nella causa che ha dato luogo alla sentenza de qua fosse stato condotto con la dovuta tempestività, considerate le circostanze pertinenti.

78      Riguardo all’argomento della Romania, riportato sostanzialmente ai punti da 61 a 63 della presente sentenza, secondo cui il procedimento legislativo non sarebbe stato condotto in modo conforme al regolamento interno del Consiglio a causa della comunicazione tardiva di talune informazioni e di taluni documenti, occorre rilevare che, con il suo primo e secondo motivo, la Repubblica di Polonia sostiene di non aver avuto le informazioni necessarie per poter partecipare utilmente al processo che ha portato all’adozione della direttiva impugnata. Essa non afferma, invece, che il regolamento interno del Consiglio sarebbe stato violato né che informazioni o documenti le sarebbero stati trasmessi tardivamente.

79      A questo proposito, si deve rammentare che una parte la quale, ai sensi dell’articolo 40 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, è autorizzata a intervenire in una controversia proposta dinanzi a quest’ultima non può modificare l’oggetto della controversia quale definito dalle conclusioni e dai motivi delle parti principali. Ne consegue che sono ricevibili soltanto gli argomenti di un interveniente che rientrino nel quadro delineato da siffatti motivi e conclusioni (sentenza del 7 ottobre 2014, Germania/Consiglio, C‑399/12, EU:C:2014:2258, punto 27).

80      Tale argomento della Romania deve essere pertanto respinto.

81      Lo stesso vale per l’argomento della Romania vertente su una violazione del regolamento n. 1049/2001, atteso che la Repubblica di Polonia non sostiene di aver presentato al Consiglio una domanda di accesso ai documenti, in applicazione del regolamento n. 1049/2001, né che il Parlamento e il Consiglio abbiano violato il regolamento medesimo.

82      Alla luce di quanto precede, occorre respingere il primo e il secondo motivo della Repubblica di Polonia.

 Sul quarto motivo

 Argomenti delle parti

83      Con il suo quarto motivo, la Repubblica di Polonia sostiene che le misure necessarie per rispettare gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni previsti dalla direttiva impugnata possono comportare, a suo carico, conseguenze negative in determinati settori e costi socioeconomici particolarmente pesanti. Il legislatore dell’Unione non ne avrebbe tenuto conto e sarebbe quindi incorso in un errore manifesto adottando la direttiva impugnata, integrante una violazione del principio di proporzionalità, quale sancito dall’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

84      Essa ritiene che il sindacato della Corte sulla proporzionalità di una misura non si limiti agli errori manifesti, ma si estenda anche al contemperamento degli interessi in gioco nonché alla valutazione dell’adeguatezza delle misure contestate, della loro necessità e della capacità degli Stati membri di attuarle. La Corte dovrebbe parimenti esaminare se sussistano soluzioni meno vincolanti, il rapporto tra i costi e l’obiettivo perseguito nonché le opzioni meno onerose per gli operatori economici.

85      La versione rivista del protocollo di Göteborg, menzionata nei considerando della direttiva impugnata, non potrebbe costituire un quadro di riferimento ai fini di tale valutazione. Essa non sarebbe stata ratificata da tutti gli Stati membri e non farebbe parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

86      Quanto ai costi di attuazione della direttiva impugnata, la Repubblica di Polonia ritiene che gli stessi ammontino, per quanto la riguarda, a circa 557 milioni di euro l’anno, oltre alle spese per l’attuazione della direttiva 2008/50. Tali costi e le conseguenze negative degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni per i settori industriali e non, vale a dire i trasporti, l’agricoltura e il settore urbano domestico, sarebbero nettamente superiori ai vantaggi che ne deriverebbero.

87      Nel settore agricolo, più di due terzi delle aziende avrebbero piccole dimensioni e potrebbero ottenere un’esenzione dalle misure per la riduzione delle emissioni di ammoniaca, ai sensi dell’allegato III, parte 2, lettera C, della direttiva impugnata. Pertanto, un terzo delle aziende agricole nazionali dovrebbe sostenere tutto l’onere di tali misure. Nel settore dei trasporti, il parco automobili polacco sarebbe costituito per la maggior parte da veicoli con più di dieci anni. La loro sostituzione darebbe luogo a costi stimati tra 1,3 e 3,9 miliardi di euro, senza che con tale misura si possa raggiungere il livello di riduzione delle emissioni richiesto. Il costo associato alla sostituzione dei dispositivi per il riscaldamento domestico ammonterebbe a circa 12,7 miliardi di euro per l’intero paese. Inoltre, l’abbandono del carbone, che costituirebbe la fonte di energia meno onerosa, aumenterebbe sensibilmente il prezzo dell’energia.

88      Vista la struttura dei settori in parola, la riduzione delle emissioni conformemente alla direttiva impugnata colpirebbe maggiormente i cittadini con un basso reddito. La Repubblica di Polonia non sarebbe in grado di addebitare tale onere ad altre persone. In particolare, i principi «chi inquina paga» e della parità di trattamento osterebbero al trasferimento della responsabilità alle grandi aziende agricole. La competitività delle piccole aziende agricole sarebbe quindi a rischio.

89      Peraltro, la Repubblica di Polonia ritiene che gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni nonché l’imposizione di un breve termine per la loro attuazione eccedano quanto necessario per conseguire l’obiettivo fissato dal legislatore dell’Unione. Lo stesso varrebbe per quanto concerne l’obbligo per gli Stati membri di fissare, dal 2025, un livello indicativo di emissione secondo una traiettoria lineare di riduzione, definito in funzione degli impegni di riduzione delle emissioni, da un lato, per il 2020 e, dall’altro, per il 2030. Si sarebbe potuto prevedere un meccanismo di attuazione progressiva degli impegni tra il 2030 e il 2035 che avrebbe consentito di distribuire i costi nel tempo. Tali costi potrebbero inoltre risultare meno elevati, in quanto i prezzi delle tecnologie potrebbero abbassarsi col passare degli anni.

90      D’altronde, il carattere vincolante del calendario previsto dalla direttiva impugnata si porrebbe in contrasto con l’articolo 288 TFUE, in forza del quale gli Stati membri mantengono la competenza in merito alla forma e ai mezzi di attuazione delle direttive.

91      Il meccanismo di flessibilità di cui all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva impugnata non attenuerebbe la portata degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni in quanto le sue condizioni di applicazione sarebbero troppo restrittive.

92      L’esame della proporzionalità della direttiva impugnata dimostrerebbe, inoltre, che la Repubblica di Polonia sarebbe chiamata a sostenere un onere più gravoso degli altri Stati membri. Per quanto concerne la riduzione delle emissioni di ammoniaca, l’obiettivo fissato per la Repubblica di Polonia consisterebbe in una riduzione di tali emissioni fino al 17%, mentre la media a livello dell’Unione si posizionerebbe intorno al 13%. Per quanto riguarda il particolato fine (PM2,5), la Repubblica di Polonia dovrebbe conseguire una riduzione del 58% rispetto alla media del 27%. Indubbiamente, il potenziale di riduzione delle emissioni in Polonia sarebbe elevato, tuttavia esso non potrebbe giustificare l’imposizione di obblighi sproporzionati a tale Stato membro.

93      Il Parlamento e il Consiglio ritengono che tale motivo debba essere respinto.

 Giudizio della Corte

94      In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, il principio di proporzionalità richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non superino i limiti di quanto è necessario per il loro conseguimento, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., segnatamente, sentenze del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 78, nonché del 6 settembre 2017, Slovacchia e Ungheria/Consiglio, C‑643/15 e C‑647/15, EU:C:2017:631, punto 206).

95      Per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale sul rispetto di tale principio, in un contesto tecnico complesso ed evolutivo, il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale per determinare l’ampiezza delle misure che adotta, segnatamente quanto alla valutazione di elementi in fatto altamente complessi di ordine scientifico e tecnico, mentre il sindacato del giudice dell’Unione deve limitarsi ad esaminare se l’esercizio di tale potere non sia viziato da errore manifesto o da sviamento di potere o, ancora, se il legislatore non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale. In un tale contesto, il giudice dell’Unione non può infatti sostituire la sua valutazione degli elementi di fatto di ordine scientifico e tecnico a quella del legislatore dell’Unione cui il Trattato ha affidato tale compito (sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 150).

96      Alla luce di tali considerazioni, occorre stabilire se, adottando le misure di cui alla direttiva impugnata, il legislatore dell’Unione non sia incorso in un errore manifesto e se gli inconvenienti che ne derivano per taluni attori economici siano sproporzionati rispetto ai vantaggi che le medesime presentano (v., in tal senso, sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 170).

97      Come risulta dal considerando 1 della direttiva impugnata, nonostante i progressi già registrati nell’Unione nell’ambito della qualità dell’aria e delle emissioni atmosferiche antropogeniche, sussistono significativi impatti negativi e rischi significativi per l’ambiente e per la salute umana. Secondo il suo considerando 8, l’attuazione di tale direttiva da parte degli Stati membri dovrebbe altresì contribuire al conseguimento degli obiettivi in materia di qualità dell’aria stabiliti nella legislazione dell’Unione nonché dei progressi verso l’obiettivo a lungo termine dell’Unione di raggiungere livelli di qualità dell’aria in linea con gli orientamenti sulla qualità dell’aria pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

98      Conformemente al suo articolo 1, paragrafo 1, e al suo articolo 4, detta direttiva prevede numerose misure che consentono di tendere al conseguimento di livelli di qualità dell’aria che non comportino significativi impatti negativi e rischi significativi per la salute umana e l’ambiente e, segnatamente, la riduzione delle emissioni in due tappe per il periodo compreso tra il 2020 e il 2029 e a partire dal 2030.

99      Dal considerando 7 della direttiva impugnata risulta che gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni per il periodo compreso tra il 2020 e il 2029, indicati al suo allegato II, devono consentire all’Unione di garantirne la coerenza rispetto agli impegni internazionali dell’Unione e degli Stati membri. Tali impegni sono infatti identici a quelli stabiliti nella versione rivista del protocollo di Göteborg che, come rilevato al punto 11 della presente sentenza, è stata approvata, a nome dell’Unione europea, con la decisione 2017/1757.

100    Inoltre, dalla valutazione d’impatto discende che gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni per il periodo compreso tra il 2020 e il 2029 potrebbero essere rispettati se la legislazione dell’Unione in materia di qualità dell’aria in vigore nel 2012 fosse pienamente attuata.

101    Conformemente a quanto enunciato dal considerando 14 della direttiva impugnata, gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni che la medesima prevede a partire dal 2030 sono basati, segnatamente, sul potenziale di riduzione stimato di ciascuno Stato membro, sull’esame tecnico delle differenze tra le stime nazionali e quelle della relazione STIA 16, nonché sull’obiettivo politico di mantenere la riduzione complessiva dell’impatto sulla salute entro il 2030 rispetto al 2005 il più vicino possibile a quella della proposta di direttiva.

102    Affinché quest’ultimo obiettivo possa essere conseguito, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva in parola, letto alla luce del considerando 13 della stessa, prevede un meccanismo inteso a garantire progressi concreti verso il conseguimento del livello di riduzione delle emissioni applicabile dal 2030. Tale disposizione obbliga gli Stati membri ad adoperarsi affinché che le emissioni nazionali prodotte nel 2025 siano in linea con un livello risultante da una traiettoria di riduzione lineare tra gli impegni per il 2020 e quelli per il 2030. In tal modo, la direttiva impugnata favorisce una riduzione delle emissioni progressiva e continua.

103    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, non risulta che il legislatore dell’Unione sia incorso in un errore manifesto prevedendo l’obbligo, per gli Stati membri, di limitare almeno le loro emissioni antropogeniche annue di biossido di zolfo, di ossidi di azoto, di composti organici volatili non metanici, di ammoniaca e di particolato fine conformemente agli impegni nazionali di riduzione delle emissioni applicabili per il periodo compreso tra il 2020 e il 2029 nonché a partire dal 2030, di cui all’allegato II della direttiva impugnata.

104    Tale constatazione non può essere inficiata dall’argomento della Repubblica di Polonia secondo cui gli impatti negativi derivanti dal rispetto di tali impegni che si produrrebbero a suo carico nei settori dell’agricoltura e dei trasporti nonché per i nuclei familiari a basso reddito sarebbero sproporzionati.

105    Si deve infatti constatare, alla stregua del Parlamento e del Consiglio, che né la distribuzione dei costi associati all’esecuzione degli impegni di riduzione delle emissioni né la fonte del relativo finanziamento sono state determinate dalla direttiva impugnata, come risulta dal suo considerando 19.

106    Peraltro, il legislatore dell’Unione non è tenuto a tenere conto della situazione particolare di uno Stato membro allorché l’atto dell’Unione di cui trattasi ha un impatto in tutti gli Stati membri e presuppone che sia garantito un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto degli obiettivi perseguiti da tale atto. Di conseguenza, la ricerca di un siffatto equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, di per sé, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 167).

107    A tale riguardo, come risulta già dai punti da 32 a 40 della presente sentenza, il Parlamento e il Consiglio non hanno omesso di tenere conto dei costi socioeconomici derivanti dall’attuazione della direttiva impugnata, per quanto concerne, in particolare, la Repubblica di Polonia. Al contrario, è sulla base dell’insieme delle informazioni in possesso di tali istituzioni che le stesse hanno ritenuto che i costi di attuazione della direttiva in parola fossero considerevolmente meno significativi dei vantaggi socioeconomici che ne sarebbero derivati. Tra questi figurano, a titolo di esempio, la riduzione della spesa per l’assistenza sanitaria, il miglioramento della produttività, la diminuzione dei danneggiamenti agli edifici, raccolti più abbondanti e l’aumento della speranza di vita in buona salute.

108    Dai considerando 9 e 10 della medesima direttiva risulta inoltre che la quest’ultima intende consentire il conseguimento, in modo economicamente vantaggioso, degli obiettivi di qualità dell’aria stabiliti dalla legislazione dell’Unione e che contribuisce a ridurre i costi sanitari dell’inquinamento atmosferico nell’Unione, migliorando il benessere dei cittadini dell’Unione.

109    Secondo quanto risulta dal punto 34 della presente sentenza, la valutazione d’impatto illustra costi e rispettivi vantaggi di cinque opzioni strategiche. Come confermato dal Consiglio, è stata accolta l’opzione denominata «6C». Dall’allegato 7 della valutazione d’impatto risulta segnatamente che tale opzione, in termini di costi e benefici, era quella la cui attuazione poteva generare il maggiore beneficio netto. Come rileva la Commissione, l’opzione 6C prevedeva la fissazione dell’impegno globale di riduzione per il 2025 al 75% della riduzione del divario (gap closure) rispetto agli orientamenti dell’OMS riguardanti l’impatto del particolato fine (PM2,5) sulla salute umana.

110    Inoltre, come rileva la Commissione, la proposta di direttiva prevedeva una riduzione del divario meno ambiziosa del 67% su un periodo più lungo, ossia fino al 2030, che si riteneva potesse comportare una diminuzione, da un lato, dell’onere dei costi del 40% per i due settori più interessati, vale a dire l’agricoltura e la raffinazione, e, dall’altro, dell’insieme dei costi associati alla diminuzione dell’inquinamento dell’aria del 25% rispetto ai costi presentati nella valutazione d’impatto.

111    Durante i negoziati in sede di Consiglio, il livello globale degli impegni di riduzione delle emissioni è stato ulteriormente ridotto, il che è riconosciuto dalla stessa Repubblica di Polonia nel proprio ricorso. Infatti, come parimenti confermato dalla Commissione, la proposta di direttiva prevedeva, per il 2030, un obiettivo generale di riduzione delle morti premature dovute alla cattiva qualità dell’aria in Europa del 52% rispetto al numero di decessi di tal genere constatati nel 2005. Nel corso dei negoziati in sede di Consiglio, l’obiettivo medesimo è stato abbassato al 49,6%. Su questa base, il 23 novembre 2016, il Parlamento ha adottato la sua posizione sulla proposta di direttiva, che è stata ratificata dal Consiglio l’8 dicembre 2016.

112    Inoltre, dal capitolo 6 e dall’allegato 8 della valutazione d’impatto risulta che la ripartizione degli sforzi tra gli Stati membri non è manifestamente squilibrata. È vero che, per il conseguimento degli obiettivi fissati dall’opzione 6C, in Svezia è stato anticipato un investimento pari allo 0,003% del PIL mentre in Bulgaria dello 0,168% del PIL. Tuttavia, tale differenza riflette, al contempo, i diversi livelli di PIL nell’ambito dell’Unione e gli sforzi già intrapresi in alcuni Stati membri. Al riguardo, il Consiglio rileva correttamente che il rapporto tra il livello storico di emissioni e il livello di sforzi richiesto ai sensi della direttiva impugnata è conforme al principio «chi inquina paga».

113    È sufficiente, del resto, rilevare che la Repubblica di Polonia si limita a criticare i costi elevati derivanti dagli impegni nazionali di riduzione delle emissioni senza considerare i vantaggi di cui trattasi al punto 107 della presente sentenza. Essa non dimostra neppure che tali impegni eccedono quanto necessario rispetto agli obiettivi della direttiva impugnata, né fornisce elementi idonei a ritenere che impegni meno vincolanti avrebbero ugualmente consentito di conseguire gli obiettivi in parola.

114    Le censure della Repubblica di Polonia relative alla scelta del 2030 come data iniziale dell’incremento del livello di riduzione delle emissioni devono essere respinte per gli stessi motivi illustrati al punto 113 della presente sentenza. In particolare, il fatto che un differimento di tale data consenta di distribuire i costi nel tempo non basta per concludere che la scelta del legislatore comporterebbe manifestamente conseguenze sproporzionate a carico di tale Stato membro. Lo stesso può dirsi per l’ipotesi secondo cui il prezzo delle tecnologie che consentono di ridurre le emissioni oggetto della direttiva impugnata potrebbe diminuire col passare del tempo.

115    Le medesime considerazioni valgono mutatis mutandis per l’argomento secondo cui l’obbligo di riduzione delle emissioni secondo una traiettoria lineare, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva impugnata, costituirebbe un onere supplementare sproporzionato per quanto riguarda la Repubblica di Polonia. Quest’ultima non fornisce alcun elemento che consenta di ritenere che il legislatore dell’Unione sia incorso in un errore manifesto decidendo di istituire un meccanismo di riduzione graduale delle emissioni a partire dal livello previsto per il 2020 allo scopo di garantire un progresso concreto verso il livello previsto per il periodo successivo al 2030.

116    Peraltro, quanto all’argomento secondo cui tale obbligo di riduzione graduale limiterebbe eccessivamente il margine operativo degli Stati membri, alla luce della natura giuridica stessa delle direttive, quale deriva dall’articolo 288 TFUE, è sufficiente constatare che la direttiva impugnata stabilisce certamente obblighi vincolanti, ma lascia agli Stati membri la scelta dei mezzi per adempiervi. In ogni caso, il quarto motivo della Repubblica di Polonia verte sulla proporzionalità della direttiva impugnata e non su una violazione dell’articolo 296, primo comma, TFUE, relativo agli atti giuridici dell’Unione.

117    Nei limiti in cui sostiene che la direttiva impugnata le impone un onere più gravoso rispetto agli altri Stati membri, la Repubblica di Polonia tenta, in realtà, di dimostrare una violazione del principio dell’uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati che è opportuno esaminare nell’ambito del quinto motivo.

118    Alla luce di tutte quanto precede, occorre respingere il quarto motivo.

 Sul quinto motivo

 Argomenti delle parti

119    Con il suo quinto motivo, la Repubblica di Polonia fa valere una violazione dei principi di uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati e dello sviluppo equilibrato, sulla base del rilievo che gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni di cui alla direttiva impugnata sono stati fissati senza tenere conto della situazione economica e sociale, del progresso tecnologico e dei costi di attuazione di tali impegni nei diversi Stati membri e nelle diverse regioni dell’Unione.

120    A sostegno di tale motivo, la Repubblica di Polonia invoca le disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE e dell’articolo 191 TFUE, che riguardano, rispettivamente, l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati e lo sviluppo equilibrato delle regioni, rinviando in proposito alla sentenza del 14 luglio 1998, Safety Hi-Tech (C‑284/95, EU:C:1998:352, punti 36 e 37). Con quest’ultima sentenza, la Corte avrebbe statuito che tutti gli obiettivi, i principi e i criteri di cui all’articolo 191 TFUE debbono ritenersi di uguale importanza ed essere tenuti in considerazione per quanto possibile. Anche gli articoli 37 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») esigerebbero il rispetto del principio dello sviluppo equilibrato nell’elaborazione della politica ambientale dell’Unione.

121    Al fine di rispettare tali obblighi, non sarebbe sufficiente tenere conto dei dati socioeconomici relativi a uno Stato membro in modo selettivo, lacunoso e semplificato. La direttiva impugnata non provvederebbe neppure a contemperare gli interessi, consistenti nella tutela dell’ambiente, da un lato, e nello sviluppo economico delle diverse regioni dell’Unione, dall’altro. Essa, al contrario, potrebbe comportare una riduzione della competitività, una diminuzione del tenore di vita e un aumento della povertà in Polonia, il che sarebbe in contrasto con la politica di coesione dell’Unione.

122    Peraltro, il costo di attuazione degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni in Polonia ammonterebbe a circa 543 milioni di euro l’anno. Tale stima sarebbe vicina all’importo di 557 milioni di euro l’anno calcolati dall’IIASA nel corso del 2015, corrispondente a circa un quarto del costo totale dell’attuazione degli impegni nell’ambito dell’Unione. Detto importo si aggiungerebbe ai costi di attuazione della direttiva 2008/50. Pur non contestando la necessità di ridurre le emissioni oggetto della direttiva impugnata, la Repubblica di Polonia ritiene tuttavia che la sua attuazione comporti un onere sproporzionato a suo carico, dal momento che il relativo costo, in Polonia, ammonta a quasi EUR 15 al mese per abitante, mentre, per quanto riguarda gli Stati membri più prosperi, come il Regno di Spagna, la Repubblica francese e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, tale costo è inferiore a EUR 3.

123    Tale onere sproporzionato dimostrerebbe che il metodo che ha consentito di determinare gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni non ha tenuto conto dei costi associati all’attuazione della direttiva impugnata. Il livello storico delle emissioni considerate dalla direttiva de qua in Polonia non potrebbe giustificare costi sproporzionati che sarebbero, comunque, contrari al principio dello sviluppo sostenibile. Il riferimento a detto livello storico non terrebbe inoltre conto del notevole miglioramento della qualità dell’aria in tale Stato membro registrato da diversi anni.

124    D’altronde, i considerando 9 e 13 della direttiva impugnata osterebbero all’imposizione di impegni comportanti costi sproporzionati. Il punto 84 della decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, su un programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 «Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta» (GU 2013, L 354, pag. 171), confermerebbe tale constatazione.

125    Inoltre, la valutazione d’impatto non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione l’afflusso dell’inquinamento transfrontaliero dai paesi terzi, in particolare, data l’incompletezza dei dati pertinenti forniti dall’Ucraina e dalla Repubblica di Bielorussia. Orbene, l’inquinamento transfrontaliero potrebbe vanificare gli sforzi intrapresi dalla Repubblica di Polonia al fine di rispettare i propri impegni ai sensi della direttiva impugnata, il che determinerebbe una disparità di trattamento tra gli Stati membri confinanti con paesi terzi e gli altri Stati membri e sarebbe in contrasto con il principio «chi inquina paga».

126    Il Parlamento e il Consiglio concludono per il rigetto del quinto motivo.

 Giudizio della Corte

127    Con il suo quinto motivo, la Repubblica di Polonia sostiene, in primo luogo, essenzialmente, che il costo di attuazione della direttiva impugnata è notevolmente maggiore in Polonia che in altri Stati membri. Tale divario sarebbe sproporzionato e contrario al principio di uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati, di cui all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, all’articolo 191, paragrafo 3, TFUE nonché all’articolo 37 della Carta. Queste due ultime disposizioni richiederebbero, segnatamente, di tenere conto dello sviluppo equilibrato e sostenibile delle regioni dell’Unione.

128    A tale riguardo, occorre rammentare che l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE dispone che la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un «elevato livello di tutela», tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Nello stesso senso, l’articolo 3, paragrafo 3, TUE stabilisce che l’Unione si adoperi per un «un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente» (sentenza del 21 dicembre 2016, Associazione Italia Nostra Onlus, C‑444/15, EU:C:2016:978, punto 42).

129    Quanto all’articolo 37 della Carta, esso prevede che un «livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile».

130    L’articolo 52, paragrafo 2, della Carta stabilisce che i diritti riconosciuti dalla stessa per i quali i Trattati prevedono disposizioni si esercitino alle condizioni e nei limiti da questi ultimi definiti. Ciò vale per l’articolo 37 della Carta che si fonda, in sostanza, sull’articolo 3, paragrafo 3, TUE e sugli articoli 11 e 191 TFUE (sentenza del 21 dicembre 2016, Associazione Italia Nostra Onlus, C‑444/15, EU:C:2016:978, punto 62).

131    Di conseguenza, l’argomento della Repubblica di Polonia relativo alla Carta dev’essere esaminato alla luce delle condizioni e dei limiti derivanti dall’articolo 191 TFUE.

132    Se è pacifico che l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE esige che la politica dell’Unione in materia ambientale miri a un livello di tutela elevato, tale livello, per essere compatibile con questa disposizione, non deve essere necessariamente il più elevato possibile sotto il profilo tecnico (sentenza del 21 dicembre 2016, Associazione Italia Nostra Onlus, C‑444/15, EU:C:2016:978, punto 44).

133    Infatti, l’articolo 191 TFUE prevede una serie di obiettivi, principi e criteri che il legislatore dell’Unione deve rispettare nell’attuazione della politica ambientale (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 1998, Safety Hi-Tech, C‑284/95, EU:C:1998:352, punto 36).

134    In particolare, dall’articolo 191, paragrafo 3, TFUE risulta che, nel predisporre la sua politica in materia ambientale, l’Unione deve tener conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni dell’Unione, dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione, nonché dello sviluppo socioeconomico dell’Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni.

135    Tuttavia, in ragione della necessità del contemperamento di alcuni di tali obiettivi e principi, nonché della complessità dell’attuazione di detti criteri, il sindacato giurisdizionale deve necessariamente limitarsi a verificare se il legislatore dell’Unione europea abbia commesso un manifesto errore di valutazione quanto alle condizioni di applicabilità dell’articolo 191 TFUE (sentenze del 14 luglio 1998, Safety Hi-Tech, C‑284/95, EU:C:1998:352, punto 37, e del 21 dicembre 2016, Associazione Italia Nostra Onlus, C‑444/15, EU:C:2016:978, punto 46).

136    Come risulta segnatamente dai punti da 32 a 40 della presente sentenza, il legislatore dell’Unione ha adottato la direttiva impugnata tenendo conto di moltissimi dati, nel novero dei quali figurano, in particolare, le informazioni relative al costo della sua attuazione in ciascuno Stato membro e ai vantaggi che ne deriverebbero. Esso ha parimenti operato una scelta tra più opzioni al fine di selezionare quella che poteva generare il maggiore beneficio netto.

137    Inoltre, come già rilevato, in particolare, ai punti 101 e 112 della presente sentenza, il legislatore dell’Unione ha tenuto in debito conto il potenziale di riduzione delle emissioni in ciascuno Stato membro cercando di prevedere una distribuzione equilibrata degli sforzi tra gli Stati membri dell’Unione.

138    Così facendo, il legislatore dell’Unione ha ottemperato all’obbligo che gli incombe in forza dell’articolo 191, paragrafo 3, TFUE. Infatti, sulla base dei dati scientifici e tecnici disponibili, lo stesso ha effettivamente tenuto conto dello sviluppo equilibrato dell’Unione e delle sue regioni, segnatamente prendendo in considerazione i costi associati all’attuazione della direttiva impugnata in ciascuno Stato membro e i vantaggi che avrebbero potuto derivarne.

139    Tale constatazione trova conferma nella giurisprudenza rammentata al punto 106 della presente sentenza, secondo la quale la ricerca, da parte del legislatore dell’Unione, di un siffatto equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, non può ritenersi contraria al principio di proporzionalità.

140    La Repubblica di Polonia sostiene, in secondo luogo, che taluni settori socioeconomici e alcune delle sue regioni, quali il settore agricolo e le regioni rurali, sarebbero particolarmente colpiti dagli obblighi finanziari derivanti dagli impegni nazionali di riduzione delle emissioni. A tal proposito, è sufficiente ricordare, come risulta dal punto 105 della presente sentenza, che né la distribuzione dei costi inerenti all’esecuzione di tali impegni né la fonte del relativo finanziamento sono state determinate dalla direttiva impugnata, la cui attuazione incombe agli Stati membri.

141    Peraltro, la circostanza che la Repubblica di Polonia sia uno degli Stati membri che, per rispettare i propri impegni ai sensi della direttiva impugnata, dovranno effettuare gli investimenti economici più significativi non indica, di per sé, che la direttiva in parola imponga a tale Stato membro, o alle regioni che rientrano nel suo territorio, un onere sproporzionato.

142    In terzo luogo, per quanto concerne l’argomento vertente su un’asserita mancanza di considerazione dell’inquinamento transfrontaliero, è sufficiente constatare che la Repubblica di Polonia non fornisce informazioni utili a suffragare le sue censure. In particolare, detto Stato membro non illustra le ragioni per cui l’inquinamento trasfrontaliero avrebbe un’incidenza determinante sulle emissioni oggetto della direttiva impugnata prodotte sul territorio polacco e, di conseguenza, sulla fissazione degli impegni di riduzione a suo carico.

143    Dai suoi articoli 1, paragrafo 1, e 2, paragrafo 1, della direttiva impugnata risulta che quest’ultima si applica alle emissioni delle sostanze inquinanti di cui al suo allegato I «provenienti da tutte le fonti presenti nel territorio degli Stati membri» e che la stessa stabilisce gli impegni di riduzione di tali emissioni per gli Stati membri. Come enunciato dal considerando 14 della medesima direttiva, gli impegni in parola, a partire dal 2030, sono basati sul potenziale di riduzione stimato di ciascuno Stato membro e sull’obiettivo politico di ridurre l’impatto dell’inquinamento sulla salute.

144    Con il suo argomento, secondo cui l’inquinamento transfrontaliero vanificherebbe gli sforzi che le incombono ai sensi della direttiva impugnata, la Repubblica di Polonia non riesce neppure a dimostrare una violazione del principio di parità di trattamento, in quanto non fornisce alcuna precisazione a sostegno di tale argomento che consenta di valutarne comunque la fondatezza.

145    Dalle suesposte considerazioni discende che il legislatore dell’Unione non è incorso in alcun errore manifesto di valutazione quanto alle condizioni di applicabilità dell’articolo 191 TFUE.

146    Per le stesse ragioni, si deve respingere l’argomento della Repubblica di Polonia secondo cui la direttiva impugnata violerebbe il principio dell’uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati.

147    Il quinto motivo deve pertanto essere respinto nel suo complesso.

148    Poiché nessuno dei motivi dedotti dalla Repubblica di Polonia a sostegno del proprio ricorso è fondato, si deve respingere integralmente il ricorso.

 Sulle spese

149    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Repubblica di Polonia, rimasta soccombente, deve essere condannata, conformemente alla domanda del Parlamento e del Consiglio, alle spese sostenute da tali due istituzioni.

150    Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento medesimo, l’Ungheria, la Romania nonché la Commissione sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Repubblica di Polonia è condannata alle spese sostenute dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea.

3)      L’Ungheria, la Romania nonché la Commissione europea sopporteranno le proprie spese.

Firme


*      Lingua processuale: il polacco.