Language of document : ECLI:EU:C:2020:148

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

4 marzo 2020 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Servizi di telecomunicazione – Attuazione della fornitura di una rete aperta di telecomunicazione – Direttiva 97/13/CE – Tasse e canoni applicabili alle licenze individuali – Regime transitorio che istituisce un canone ulteriore rispetto a quelli autorizzati dalla direttiva 97/13/CE – Autorità di cosa giudicata riconosciuta a una sentenza di un organo giurisdizionale superiore ritenuta contraria al diritto dell’Unione»

Nella causa C‑34/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia), con ordinanza dell’11 dicembre 2018, pervenuta in cancelleria il 17 gennaio 2019, nel procedimento

Telecom Italia SpA

contro

Ministero dello Sviluppo Economico,

Ministero dell’Economia e delle Finanze,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da J.-C. Bonichot, presidente di sezione, R. Silva de Lapuerta (relatrice), vicepresidente della Corte, M. Safjan, C. Toader e N. Jääskinen, giudici,

avvocato generale: E. Tanchev

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per Telecom Italia SpA, da F. Lattanzi, avvocato;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili, avvocato dello Stato;

–        per la Commissione europea, da L. Malferrari e L. Nicolae, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 22 della direttiva 97/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 aprile 1997, relativa ad una disciplina comune in materia di autorizzazioni generali e di licenze individuali nel settore dei servizi di telecomunicazione (GU 1997, L 117, pag. 15).

2        Questa domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che vede opposta la Telecom Italia SpA al Ministero dello Sviluppo Economico (Italia) e al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Italia) in merito all’obbligo impostole di versare un canone basato sul suo fatturato per il 1998.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        I considerando 2, 12 e 26 della direttiva 97/13 enunciano quanto segue:

«(2)      Considerando che la comunicazione della Commissione del 25 gennaio 1995 sulla consultazione relativa al Libro verde per la liberalizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione e le reti televisive via cavo ha confermato la necessità di principi generali a livello comunitario per garantire che i regimi di autorizzazion[i] general[i] e di concessione di licenz[e] individuali siano basati su criteri di proporzionalità e siano aperti, non discriminatori e trasparenti; che la risoluzione del Consiglio del 18 settembre 1995 sulla realizzazione del futuro quadro regolamentare per le telecomunicazioni (…) riconosce che la definizione, secondo il principio di sussidiarietà, di norme comuni sui regimi di autorizzazioni generali e di licenze individuali negli Stati membri, basate su categorie di diritti e obblighi bilanciati, rappresenta un fattore chiave per tale quadro regolamentare nell’Unione; che tali principi devono tener conto di tutte le autorizzazioni richieste per la fornitura dei servizi di telecomunicazione e per la creazione e/o il funzionamento delle infrastrutture per la fornitura dei servizi di telecomunicazione;

(…)

(12)      considerando che la corresponsione di diritti o oneri imposta alle imprese nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione deve basarsi su criteri obiettivi, non discriminatori e trasparenti;

(…)

(26)      considerando che la presente direttiva si applica sia alle autorizzazioni esistenti che a quelle future; che talune licenze sono state concesse per periodi che vanno al di là del 1º gennaio 1999; che eventuali clausole contenute in tali autorizzazioni contrarie alla normativa comunitaria, in particolare quelle che conferiscono ai licenziatari diritti speciali o esclusivi, non sono più, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, in vigore a decorrere dalla data indicata nelle pertinenti disposizioni comunitarie; che, per quanto riguarda altri diritti che non ledono interessi di altre imprese soggette alla normativa comunitaria, gli Stati membri potrebbero estenderne la validità al fine di evitare domande di risarcimento».

4        L’articolo 3, paragrafo 3, di detta direttiva così recita:

«Gli Stati membri fanno sì che i servizi di telecomunicazione e/o le reti di telecomunicazione possano essere prestati senza autorizzazione ovvero in base ad autorizzazioni generali, assortite, ove necessario, di diritti e obblighi, per i quali è necessaria una valutazione individuale delle domande e che danno luogo alla concessione di una o più licenze individuali. (…)».

5        Ai sensi dell’articolo 6 di detta direttiva, intitolato «Diritti e oneri per le procedure di autorizzazione generali»:

«Fatti salvi i contributi finanziari per la prestazione del servizio universale secondo l’allegato, gli Stati membri fanno sì che i diritti richiesti alle imprese per le procedure di autorizzazione siano intesi a coprire esclusivamente i costi amministrativi connessi al rilascio, alla gestione, al controllo e all’attuazione del relativo sistema di autorizzazione generale. Tali diritti sono pubblicati in maniera opportuna e dettagliata, affinché si possa accedere agevolmente a tali informazioni».

6        L’articolo 11 di tale direttiva, intitolato «Diritti e oneri per le licenze individuali», è così formulato:

«1.      Gli Stati membri fanno sì che i diritti richiesti alle imprese per le procedure di autorizzazione siano esclusivamente intesi a coprire i costi amministrativi sostenuti per il rilascio, la gestione, il controllo e l’esecuzione delle relative licenze individuali. I diritti per le licenze individuali sono proporzionati al lavoro che esse comportano e sono pubblicati in maniera appropriata e sufficientemente dettagliata perché possano essere facilmente accessibili.

2.      In deroga al paragrafo 1 quando siano utilizzate risorse rare, gli Stati membri possono permettere all’autorità di regolamentazione nazionale di imporre diritti che riflettono la necessità di assicurare l’uso ottimale di tali risorse. I diritti devono essere non discriminatori e tener particolare conto della necessità di incoraggiare lo sviluppo di servizi innovativi e la concorrenza».

7        L’articolo 22 della direttiva 97/13, intitolato «Autorizzazioni esistenti al momento dell’entrata in vigore della presente direttiva», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri adoperano tutte le energie necessarie affinché le autorizzazioni esistenti al momento dell’entrata in vigore della presente direttiva si conformino alle disposizioni di quest’ultima anteriormente al 1° gennaio 1999.

2.      Qualora l’applicazione delle disposizioni della presente direttiva comporti modifiche delle condizioni delle autorizzazioni già esistenti, gli Stati membri possono estendere la validità delle condizioni diverse da quelle che conferiscono diritti speciali o esclusivi, aboliti o da abolire secondo la normativa comunitaria, a condizione di non pregiudicare i diritti delle altre imprese sanciti dal diritto comunitario, compresa la presente direttiva. In tali casi, gli Stati membri notificano alla Commissione le azioni intraprese a tale scopo, motivandole.

3.      Fatto salvo il paragrafo 2, gli obblighi risultanti dalle autorizzazioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente direttiva non conformi con la stessa [alla] data del 1° gennaio 1999 saranno inefficaci.

Ove giustificato, gli Stati membri possono, su richiesta, ottenere dalla Commissione un differimento di tale data».

8        L’articolo 25 di questa direttiva, intitolato «Attuazione», nel suo primo comma enuncia quanto segue:

«Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva, e pubblicano le condizioni e procedure relative alle autorizzazioni, il più presto possibile e comunque entro il 31 dicembre 1997. Essi ne informano immediatamente la Commissione».

9        L’articolo 26 di detta direttiva, intitolato «Entrata in vigore», stabilisce quanto segue:

«La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».

 Diritto italiano

 Il codice postale

10      Fino al recepimento della direttiva 97/13, il servizio di telecomunicazioni pubbliche in Italia era riservato allo Stato, in forza dell’articolo 1, primo comma, del codice postale e delle telecomunicazioni, allegato al decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni (supplemento ordinario alla GURI n. 113, del 3 maggio 1973; in prosieguo: il «codice postale»).

11      Ai sensi dell’articolo 188 del codice postale:

«Il concessionario è tenuto a corrispondere allo Stato un canone annuo nella misura stabilita nel presente decreto, o nel regolamento, o nell’atto di concessione».

12      Tale canone era calcolato in proporzione agli introiti o ai ricavi lordi del servizio oggetto di concessione, al netto di quanto corrisposto al concessionario della rete pubblica.

 Il decreto n. 318/1997

13      La direttiva 97/13 è stata recepita, in particolare, mediante il decreto del Presidente della Repubblica 19 settembre 1997, n. 318, Regolamento per l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni (supplemento ordinario alla GURI n. 221, del 22 settembre 1997; in prosieguo: il «decreto n. 318/1997»).

14      L’articolo 2, commi da 3 a 6, del decreto n. 318/1997 dispone quanto segue:

«3.      Fino al 1° gennaio 1998 vengono mantenuti i diritti speciali ed esclusivi per la offerta del servizio di telefonia vocale e per l’installazione e la fornitura delle relative reti pubbliche di telecomunicazioni (…).

4.      Entro il 1° gennaio 1999 sono modificate, su iniziativa dell’[autorità nazionale di regolamentazione], le concessioni ad uso pubblico e le autorizzazioni di cui all’art[icolo] 184, comma 1, del codice postale esistenti al momento dell’entrata in vigore del presente regolamento, allineandole alle disposizioni in esso contenute.

5.      Qualora l’applicazione delle disposizioni del presente regolamento comporti modifiche delle condizioni delle concessioni ed autorizzazioni già esistenti, rimangono valide le condizioni diverse da quelle che conferiscono diritti speciali o esclusivi, aboliti o da abolire ai sensi del presente regolamento, a condizione di lasciare impregiudicati i diritti delle altre imprese stabiliti anche dal diritto comunitario.

6.      Fatte salve le disposizioni dei commi 4 e 5, gli obblighi risultanti dalle concessioni ed autorizzazioni esistenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento, non conformi alle disposizioni dello stesso, alla data del 1° gennaio 1999 sono privi di effetto».

15      L’articolo 6, comma 20, di questo decreto prevede quanto segue:

«(…) Il contributo richiesto alle imprese per le procedure relative alle licenze individuali è esclusivamente finalizzato a coprire i costi amministrativi sostenuti per l’istruttoria, per il controllo della gestione del servizio e del mantenimento delle condizioni previste per le licenze stesse. (…)».

16      L’articolo 21, comma 2, di detto decreto è così formulato:

«Salvo quanto espressamente disposto dal presente regolamento, continuano ad applicarsi le vigenti disposizioni in materia di telecomunicazioni. Continuano in particolare ad applicarsi, per le finalità di cui all’articolo 6, commi 20 e 21, e fino a diverso provvedimento dell’[autorità nazionale di regolamentazione], le disposizioni di cui all’articolo 188 del codice postale».

 La legge 23 dicembre 1998, n. 448

17      Ai sensi dell’articolo 20, comma 3, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 1998):

«Dal 1º gennaio 1999 agli esercenti dei servizi pubblici di telecomunicazione non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 188 del [codice postale]».

18      In forza dell’articolo 20, comma 4, della medesima legge, è abrogato il comma 2 dell’articolo 21 del decreto n. 318/1997.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

19      Telecom Italia era la concessionaria esclusiva del servizio pubblico di telecomunicazione, ai sensi dell’articolo 188 del codice postale.

20      Con una nota del Ministero delle Comunicazioni (Italia) del 9 luglio 2003, Telecom Italia è stata invitata a versare l’importo di EUR 31 118 630,05, a titolo di conguaglio del canone di concessione per l’esercizio finanziario 1997, nonché quello di EUR 41 025 043,06, a titolo di conguaglio del canone di concessione per l’esercizio finanziario 1998.

21      Telecom Italia ha impugnato detta nota dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia), il quale ha proposto alla Corte una questione pregiudiziale che ha condotto alla sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106).

22      Nel punto 45 di detta sentenza, la Corte ha dichiarato che la direttiva 97/13 osta a che uno Stato membro esiga da un operatore, già titolare di un diritto esclusivo sui servizi di telecomunicazioni pubbliche, il pagamento di un onere pecuniario corrispondente all’importo precedentemente previsto come corrispettivo per detto diritto esclusivo, per il periodo di un anno a decorrere dalla data ultima prevista per il recepimento di detta direttiva nel diritto nazionale, cioè fino al 31 dicembre 1998.

23      Alla luce di questa stessa sentenza, il giudice del rinvio, con sentenza n. 11386, del 15 dicembre 2008, ha giudicato dovuto il versamento del canone per il 1998.

24      Questa sentenza è stata impugnata da Telecom Italia dinanzi al Consiglio di Stato (Italia) il quale, con sentenza n. 7506, del 1º dicembre 2009, ha confermato che l’obbligo del versamento del canone per il 1998 era compatibile con il diritto dell’Unione, segnatamente alla luce della sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106).

25      Poiché riteneva di avere sofferto un danno a causa della scorretta interpretazione della sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106) da parte del Consiglio di Stato, Telecom Italia ha citato in giudizio lo Stato italiano per danni, lamentando lo scorretto esercizio della funzione giurisdizionale, dinanzi alla Corte d’appello di Roma (Italia) la quale, con sentenza del 31 gennaio 2012, ha accolto il reclamo proposto da detta società e ha dichiarato l’esistenza di una violazione manifesta del diritto dell’Unione.

26      A seguito di detta pronuncia, Telecom Italia, mediante il ricorso proposto nel procedimento principale, chiede al giudice del rinvio di dichiarare il carattere indebito anche degli importi pretesi a titolo del canone per il 1998 e, di conseguenza, la disapplicazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 7506, del 1º dicembre 2009.

27      In questo contesto, il giudice del rinvio nutre dubbi in merito alla portata della direttiva 97/13 e in merito alla questione se la normativa nazionale e l’interpretazione che ne è stata fatta da parte del Consiglio di Stato siano compatibili con il diritto dell’Unione.

28      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale si ricava che, secondo l’interpretazione formulata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 7506, del 1º dicembre 2009, Telecom Italia sarebbe stata obbligata a versare il canone per il 1998 dal momento che detto canone costituiva il corrispettivo per la concessione del servizio di telecomunicazione e che è pacifico che, durante detto anno, Telecom Italia ha continuato a essere concessionaria e a fornire un siffatto servizio, benché non in via esclusiva.

29      A questo proposito, dall’ordinanza di rinvio si evince che il canone per il 1998 era calcolato in funzione del fatturato di Telecom Italia e non dei costi amministrativi e di controllo, di cui agli articoli 6 e 11 della direttiva 97/13. Ebbene, secondo il giudice del rinvio non si potrebbe escludere che dalla sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106), discenda che, dopo l’entrata in vigore di detta direttiva, gli obblighi pecuniari imponibili alle imprese nel settore dei servizi di telecomunicazione siano stati disciplinati esclusivamente da questi articoli.

30      Da ciò conseguirebbe, secondo il giudice del rinvio, che l’interpretazione data dal Consiglio di Stato potrebbe essere contraria alla giurisprudenza stabilita dalla Corte nella sua sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106), e, se così fosse, esso si chiede quali conseguenze derivino da ciò, posto che la sentenza del Consiglio di Stato n. 7506, del 1º dicembre 2009, è divenuta definitiva e, pertanto, in base all’ordinamento nazionale, ha acquisito autorità di cosa giudicata.

31      Alla luce di tali circostanze, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 22, paragrafo 3, della direttiva 97/13(…) possa essere interpretato nel senso di consentire, anche per l’anno 1998, il mantenimento dell’obbligo di pagare un canone ovvero un corrispettivo corrispondente – in quanto commisurato ad una identica porzione del fatturato – a quello dovuto in base al regime anteriore alla medesima direttiva.

2)      Se la direttiva 97/13(…), alla luce delle sentenze rese dalla Corte di Giustizia UE del 18 settembre 2003, nelle cause riunite C‑292/01 e C‑293/01, [Albacom e Infostrada, EU:C:2003:480,] e del 21 febbraio 2008, nella causa C‑296/06, [Telecom Italia, EU:C:2008:106,] osti ad un giudicato interno, frutto di una errata interpretazione e/o di un travisamento della direttiva stessa, di talché tale giudicato possa essere disapplicato da un secondo Giudice chiamato a giudicare in una controversia fondata sul medesimo rapporto giuridico sostanziale, ma diversa per la natura accessoria del pagamento richiesto rispetto a quello oggetto della causa sulla quale si è formato il giudicato».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

32      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 97/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che proroga, per l’esercizio 1998, l’obbligo imposto a un’impresa di telecomunicazioni, titolare di un’autorizzazione esistente alla data di entrata in vigore di detta direttiva, di versare un canone calcolato in funzione del fatturato e non solo dei costi amministrativi connessi al rilascio, alla gestione, al controllo e all’attuazione del regime di autorizzazioni generali e di licenze individuali.

33      La Corte ha già avuto occasione di esaminare la compatibilità con la direttiva 97/13 di un onere pecuniario annuo imposto a Telecom Italia, già titolare di un diritto esclusivo sui servizi di telecomunicazioni pubbliche in Italia, nella sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106).

34      In tale sentenza la Corte ha dichiarato che la direttiva 97/13 dev’essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro esiga da un operatore, già titolare di un diritto esclusivo sui servizi di telecomunicazioni pubbliche, divenuto titolare di un’autorizzazione generale, il pagamento di un onere pecuniario come il canone di cui al procedimento principale, corrispondente all’importo precedentemente previsto come corrispettivo per detto diritto esclusivo, per il periodo di un anno a decorrere dalla data ultima prevista per il recepimento di detta direttiva nel diritto nazionale, cioè fino al 31 dicembre 1998.

35      A seguito di tale risposta, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha giudicato nondimeno, con la sentenza n. 11386, del 15 dicembre 2008, che il versamento del canone per l’esercizio 1998 era compatibile con la direttiva 97/13, e ciò è stato confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7506, del 1º dicembre 2009.

36      In questo contesto, il giudice del rinvio nutre dubbi sulla portata della direttiva 97/13, segnatamente dell’articolo 22 di quest’ultima, e si chiede se la normativa nazionale, così come interpretata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 7506, del 1º dicembre 2009, sia compatibile con il diritto dell’Unione.

37      A questo proposito occorre ricordare, da un lato, che, ai sensi dell’articolo 26 della direttiva 97/13, quest’ultima è entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, vale a dire il 27 maggio 1997. L’articolo 25 di tale direttiva obbligava gli Stati membri ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi alla medesima entro il 31 dicembre 1997.

38      D’altra parte, secondo l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 97/13, gli Stati membri fanno sì che i servizi e/o le reti di telecomunicazione possano essere prestati senza autorizzazione, ovvero in base ad un’autorizzazione generale o a una licenza individuale. Per quanto concerne le autorizzazioni generali, l’articolo 6 di tale direttiva prevede che, fatti salvi i contributi finanziari per la prestazione del servizio universale secondo l’allegato alla medesima, gli Stati membri fanno sì che i diritti richiesti alle imprese per le procedure di autorizzazione siano intesi a coprire esclusivamente i costi amministrativi connessi al rilascio, alla gestione, al controllo e all’attuazione di dette autorizzazioni. Lo stesso vale per gli oneri pecuniari di cui all’articolo 11 di detta direttiva per le licenze individuali, con la sola eccezione riguardante la facoltà di imporre canoni in caso di uso di risorse rare, prevista nel paragrafo 2 di detto articolo.

39      Peraltro, tenuto conto del fatto che la direttiva 97/13 si applica nel contempo alle autorizzazioni presenti e future, come si desume dal considerando 26 della medesima, l’articolo 22 di detta direttiva ha stabilito un regime transitorio per le autorizzazioni esistenti alla data di entrata in vigore di quest’ultima. In primo luogo, ai sensi del paragrafo 1 di quest’articolo, viene concesso un termine supplementare di un anno, con scadenza al 1º gennaio 1999, per l’adeguamento delle autorizzazioni esistenti. In secondo luogo, nel paragrafo 2 di detto articolo, si prevede la facoltà di estendere la validità delle condizioni collegate alle autorizzazioni esistenti, purché tuttavia dette condizioni non conferiscano diritti speciali o esclusivi aboliti o da abolire ai sensi della normativa dell’Unione, e detta estensione di validità non pregiudichi i diritti che altre imprese ricavano dal diritto dell’Unione. Infine, il paragrafo 3 del medesimo articolo prevede che gli obblighi in questione devono essere resi conformi a detta direttiva entro il 1º gennaio 1999, pena la loro sopravvenuta inefficacia, a meno che lo Stato membro interessato non abbia ottenuto dalla Commissione, su richiesta, un differimento di tale data.

40      Pertanto, conformemente al regime transitorio di cui all’articolo 22 della direttiva 97/13, durante il 1998 gli Stati membri potevano o prorogare la validità delle condizioni previste per le autorizzazioni esistenti, ad eccezione di quelle che attribuivano diritti speciali o esclusivi, oppure ottenere dalla Commissione un differimento della data di adeguamento alla direttiva 97/13.

41      Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale si evince che, con nota del Ministero delle Comunicazioni del 9 luglio 2003, è stato richiesto da Telecom Italia il versamento di un importo pari a EUR 41 025 043,06 a titolo di conguaglio del canone di concessione per l’esercizio finanziario 1998. Questa nota è stata confermata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con la sentenza n. 11386, del 15 dicembre 2008, e poi dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7506, del 1º dicembre 2009; questi giudici hanno dichiarato compatibile con la direttiva 97/13 il versamento del canone per l’esercizio 1998.

42      Tuttavia, una siffatta interpretazione di detti organi giurisdizionali non trova fondamento nelle disposizioni della direttiva 97/13 e non può essere accolta.

43      Infatti, in primo luogo, nel punto 28 della sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106), la Corte ha dichiarato che l’articolo 22 della direttiva 97/13 non riguarda esplicitamente gli oneri pecuniari applicabili alle imprese di telecomunicazioni titolari di autorizzazioni, che si tratti di autorizzazioni generali o di licenze individuali. Solo gli articoli 6 e 11 di tale direttiva sono espressamente dedicati a tale questione.

44      In secondo luogo, nei punti 32 e 34 di detta sentenza la Corte ha rilevato, da un lato, che l’oggetto dell’articolo 22 della direttiva 97/13 sembra estraneo al mantenimento di un onere pecuniario connesso ad un precedente diritto esclusivo e, dall’altro, che se uno Stato membro non ha ottenuto l’autorizzazione della Commissione a mantenere in vigore diritti speciali o esclusivi in materia di telecomunicazioni, l’articolo 22, paragrafo 2, di tale direttiva esclude il mantenimento di condizioni che conferiscano diritti siffatti al di là del 31 dicembre 1997. Orbene, qualora un diritto esclusivo venga soppresso, tale soppressione deve ripercuotersi di norma sull’applicazione dell’onere pecuniario che ne costituisce la controprestazione.

45      In terzo luogo, la Corte ha affermato, nel punto 36 della medesima sentenza, che un obbligo consistente in un canone connesso ad un precedente diritto esclusivo non rientra nell’ambito di applicazione degli obblighi menzionati nell’articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 97/13 e che un canone siffatto non può essere mantenuto dopo la data del 31 dicembre 1997, così come prescritto dall’articolo 25 di detta direttiva.

46      Vero è che la Corte ha dichiarato, nel punto 38 della sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106), che spettava al giudice nazionale accertare se il canone in questione nel procedimento principale fosse connesso al diritto esclusivo relativo al servizio di telecomunicazioni pubbliche, concesso a Telecom Italia prima dell’entrata in vigore della direttiva 97/13.

47      Nondimeno, questo rinvio al giudice nazionale deve tener conto del fatto che, come rilevato dalla Corte nel punto 39 di detta sentenza, anche supponendo che un canone siffatto non sia connesso ad un diritto esclusivo concesso prima dell’entrata in vigore della direttiva 97/13, occorre esaminare se un siffatto onere rappresenti un «obbligo» ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3, di tale direttiva, che possa beneficiare della deroga prevista da tale disposizione.

48      Orbene, come precisato nel punto 43 della presente sentenza, solo gli articoli 6 e 11 della direttiva 97/13 riguardano gli oneri pecuniari applicabili alle imprese titolari di autorizzazioni nell’ambito dei servizi di telecomunicazione. Per quanto concerne le licenze individuali, l’articolo 11, paragrafo 1, di questa direttiva prevede che i diritti richiesti dagli Stati membri alle imprese titolari di tali licenze sono esclusivamente intesi a coprire i costi amministrativi sostenuti per l’attuazione di dette licenze. La stessa considerazione vale per i diritti richiesti dagli Stati membri per le autorizzazioni generali ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 97/13, il quale prevede inoltre solo un’altra forma di contributo finanziario, ossia i contributi connessi alla fornitura del servizio universale (sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia, C‑296/06, EU:C:2008:106, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

49      A questo proposito, dalla giurisprudenza della Corte si ricava che la direttiva 97/13 prevede non solo norme relative segnatamente alle procedure di concessione delle autorizzazioni e al contenuto di queste ultime, ma anche alla natura, e persino all’entità, degli oneri pecuniari collegati a queste procedure, che gli Stati membri possono imporre alle imprese nel settore dei servizi di telecomunicazione. Ebbene, questa direttiva sarebbe privata di efficacia pratica se gli Stati membri fossero liberi di determinare gli oneri fiscali che devono sostenere le imprese di questo settore (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2003, Albacom e Infostrada, C‑292/01 e C‑293/01, EU:C:2003:480, punti 36 e 38).

50      Oneri di tal genere, diversi da quelli previsti dagli articoli 6 e 11 della direttiva 97/13, produrrebbero l’effetto di aggravare fortemente le tasse e i canoni che gli Stati membri sono autorizzati espressamente a imporre in forza di questa direttiva e creerebbero un ostacolo significativo alla libera prestazione dei servizi di telecomunicazione, il che è contrario agli scopi perseguiti dal legislatore dell’Unione ed è estraneo alla disciplina comune stabilita da detta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2003, Albacom e Infostrada, C‑292/01 e C‑293/01, EU:C:2003:480, punti 40 e 41).

51      Di conseguenza, la nozione di «condizioni delle autorizzazioni già esistenti», ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 97/13, che possono beneficiare di una proroga della loro validità durante il 1998, riguarda diversi diritti e obblighi, senza però comprendere gli oneri pecuniari imposti alle imprese di telecomunicazioni titolari di autorizzazioni. Questa nozione copre il termine «obblighi», ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3, di detta direttiva, la quale, di conseguenza, non può comprendere un onere pecuniario che sarebbe imposto a un’impresa di telecomunicazioni senza alcun nesso con le condizioni di esercizio dell’autorizzazione accordatale (v., in tal senso, sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia, C‑296/06, EU:C:2008:106, punti 41, 43 e 44).

52      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 97/13 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che proroga, per l’esercizio 1998, l’obbligo imposto a un’impresa di telecomunicazioni, titolare di un’autorizzazione esistente alla data di entrata in vigore di detta direttiva, di versare un canone calcolato in funzione del fatturato e non solo dei costi amministrativi connessi al rilascio, alla gestione, al controllo e all’attuazione del regime di autorizzazioni generali e di licenze individuali.

 Sulla seconda questione

53      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme di procedura interne, che riconoscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia di un organo giurisdizionale, posto che ciò consenta di porre rimedio a una violazione di una disposizione del diritto dell’Unione.

54      Occorre preliminarmente rilevare che non risulta con chiarezza dagli atti a disposizione della Corte che l’autorità di cosa giudicata di cui è rivestita la sentenza del Consiglio di Stato n. 7506, del 1º dicembre 2009, sia tale, per quanto concerne il procedimento principale, da vincolare il giudice del rinvio.

55      A questo proposito, Telecom Italia e la Commissione ritengono che l’oggetto della causa che ha condotto alla sentenza del Consiglio di Stato n. 7506, del 1º dicembre 2009, e quello del procedimento principale siano diversi, dal momento che la prima causa avrebbe riguardato l’esistenza di un debito laddove il procedimento principale verterebbe sul conguaglio di detto debito e, pertanto, la questione dell’autorità di cosa giudicata non si porrebbe. Al contrario, il governo italiano sostiene che l’identità fra le parti e le questioni sollevate nel procedimento principale e quelle risolte da detta sentenza del Consiglio di Stato obbligherebbe il giudice del rinvio a uniformarsi a quest’ultima in forza dell’autorità di cosa giudicata.

56      Orbene, occorre rammentare che, per quanto riguarda l’interpretazione delle disposizioni dell’ordinamento giuridico nazionale, la Corte è tenuta, in linea di principio, a fondarsi sulle qualificazioni contenute nella decisione di rinvio. Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, la Corte non è competente a interpretare il diritto interno di uno Stato membro (sentenza del 10 gennaio 2019, ET, C‑97/18, EU:C:2019:7, punto 24).

57      Dall’ordinanza di rinvio si evince che il procedimento principale si basa sul medesimo rapporto giuridico sostanziale di quello che ha condotto alla sentenza del Consiglio di Stato n. 7506, del 1º dicembre 2009, ma è diverso dalla controversia che ha condotto a quest’ultima a motivo della natura accessoria del pagamento richiesto rispetto a quello su cui verteva detta causa. Ad ogni modo, spetta al giudice del rinvio verificare se, in base al diritto nazionale, l’autorità di cosa giudicata attribuita a questa sentenza si estenda al presente procedimento o ad alcuni elementi di quest’ultimo e, eventualmente, le conseguenze previste da detto diritto.

58      Infatti, in assenza di una normativa dell’Unione in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né essere strutturate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub, C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 24).

59      In questo contesto, qualora il giudice del rinvio ritenga che l’autorità di cosa giudicata della sentenza del Consiglio di Stato n. 7506, del 1º dicembre 2009, non sia determinante per decidere la controversia di cui al procedimento principale, detto giudice sarà chiamato a interpretare il diritto nazionale applicabile il più possibile alla luce del testo e della finalità della direttiva 97/13, al fine di rispettare gli obblighi da essa derivanti. Come si evince dalla giurisprudenza consolidata della Corte, quest’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è inerente al sistema del trattato FUE in quanto consente ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito della loro competenza, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando essi decidono le controversie di cui sono investiti. Esso richiede che il giudice nazionale prenda in considerazione, se del caso, il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in che misura quest’ultimo possa ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato in contrasto con il diritto dell’Unione, segnatamente con la direttiva 97/13 (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punti 59 e 66).

60      È importante precisare che l’obbligo di interpretazione conforme include quello, per i giudici nazionali, ivi compresi i giudici di ultima istanza, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2018, IR, C–68/17, EU:C:2018:696, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

61      Pertanto, un giudice nazionale non può validamente ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che tale disposizione sia stata interpretata in senso incompatibile con tale diritto, o applicata in una siffatta maniera da parte delle autorità nazionali competenti (sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punto 79).

62      Nel caso di specie, come risulta dalla risposta data alla prima questione, il Consiglio di Stato, giudicando, nella sentenza n. 7506, del 1º dicembre 2009, che il canone imposto per il 1998 a Telecom Italia, titolare di un’autorizzazione esistente alla data di entrata in vigore della direttiva 97/13, fosse dovuto, ha interpretato, come si evince dalla risposta alla prima questione pregiudiziale, il diritto nazionale in un senso incompatibile con il diritto dell’Unione, quale interpretato dalla Corte nella sua sentenza del 21 febbraio 2008, Telecom Italia (C‑296/06, EU:C:2008:106).

63      Di conseguenza, nell’ambito dell’ipotesi delineata nel punto 59 della presente sentenza, spetterebbe al giudice del rinvio assicurare la piena efficacia del diritto dell’Unione disapplicando, se necessario, di propria iniziativa, l’interpretazione accolta dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 7506, del 1º dicembre 2009, dal momento che quest’interpretazione è incompatibile con il diritto dell’Unione (sentenza dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punto 70).

64      Viceversa, qualora il giudice del rinvio ritenga che, ai sensi del diritto nazionale, l’autorità di cosa giudicata di cui gode la sentenza del Consiglio di Stato n. 7506, del 1º dicembre 2009, si estenda alla controversia di cui al procedimento principale e determini pertanto la soluzione da dare a quest’ultimo, occorre ricordare l’importanza che riveste, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali, il principio dell’autorità della cosa giudicata. Infatti, al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (sentenze del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub, C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, nonché dell’11 settembre 2019, Călin, C‑676/17, EU:C:2019:700, punto 26).

65      A questo riguardo, secondo una giurisprudenza costante, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono, segnatamente, autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetta di porre rimedio a una violazione di una disposizione del diritto dell’Unione, di qualunque natura essa sia (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 68).

66      Di conseguenza, il diritto dell’Unione non impone che, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione pertinente di tale diritto adottata dalla Corte, un organo giurisdizionale nazionale debba necessariamente riesaminare una sua decisione che goda dell’autorità di cosa giudicata (sentenza dell’11 settembre 2019, Călin, C‑676/17, EU:C:2019:700, punto 28).

67      Ad ogni modo, occorre ricordare che il principio della responsabilità di uno Stato membro per i danni causati ai privati da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili è inerente al sistema del trattato, a prescindere dal fatto che l’origine del danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo (sentenza del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 30 e 32).

68      In considerazione del ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che ai privati derivano dalle norme dell’Unione, la piena efficacia di queste ultime verrebbe rimessa in discussione e la tutela dei diritti che esse riconoscono sarebbe affievolita se fosse escluso che i privati possano, a determinate condizioni, ottenere un risarcimento allorché i loro diritti sono lesi da una violazione del diritto dell’Unione imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado di uno Stato membro (sentenza del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 33).

69      Peraltro, in ragione, in particolare, del fatto che una violazione dei diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione mediante una decisione divenuta definitiva, e che pertanto ha acquistato forza di cosa giudicata, non può più costituire oggetto di riparazione, i soggetti dell’ordinamento non possono essere privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione (sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 58).

70      Ebbene, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale si evince che, nel procedimento principale, Telecom Italia ha citato in giudizio lo Stato italiano per danni a causa dell’esercizio scorretto della funzione giurisdizionale e che la Corte d’appello di Roma ha accolto il reclamo proposto, accertando la violazione manifesta del diritto dell’Unione da parte del Consiglio di Stato.

71      Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che esso non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme di procedura interne che riconoscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia di un organo giurisdizionale, anche qualora ciò consenta di porre rimedio a una violazione di una disposizione del diritto dell’Unione, senza con ciò escludere la possibilità per gli interessati di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione.

 Sulle spese

72      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 97/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 aprile 1997, relativa ad una disciplina comune in materia di autorizzazioni generali e di licenze individuali nel settore dei servizi di telecomunicazione, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che proroga, per l’esercizio 1998, l’obbligo imposto a un’impresa di telecomunicazioni, titolare di un’autorizzazione esistente alla data di entrata in vigore di detta direttiva, di versare un canone calcolato in funzione del fatturato e non solo dei costi amministrativi connessi al rilascio, alla gestione, al controllo e all’attuazione del regime di autorizzazioni generali e di licenze individuali.


2)      Il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che esso non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme di procedura interne che riconoscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia di un organo giurisdizionale, anche qualora ciò consenta di porre rimedio a una violazione di una disposizione del diritto dell’Unione, senza con ciò escludere la possibilità per gli interessati di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione.

Bonichot

Silva de Lapuerta

Safjan

Toader

 

Jääskinen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo 4 marzo 2020.

Il cancelliere

 

Il presidente della Prima Sezione

A. Calot Escobar

 

J.-C. Bonichot


*      Lingua processuale: l’italiano.