SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
14 gennaio 2021 (*)
[Testo rettificato con ordinanza del 12 maggio 2021]
«Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Protezione internazionale – Norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale – Direttiva 2013/33/UE – Cittadino di uno Stato terzo che si è recato da uno Stato membro dell’Unione europea in un altro, ma che ha chiesto la protezione internazionale solo in quest’ultimo – Decisione di trasferimento verso il primo Stato membro – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Accesso al mercato del lavoro quale richiedente protezione internazionale»
Nelle cause riunite C‑322/19 e C‑385/19,
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla High Court (Alta Corte, Irlanda) (C‑322/19), e dall’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale, Irlanda) (C‑385/19), con decisioni del 25 marzo 2019 e del 16 maggio 2019, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 23 aprile 2019 e il 16 maggio 2019, nei procedimenti
K.S.,
M.H.K.
contro
The International Protection Appeals Tribunal,
The Minister for Justice and Equality,
Ireland,
The Attorney General (C‑322/19),
e
R.A.T.,
D.S.
contro
Minister for Justice and Equality (C‑385/19),
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da M. Vilaras, presidente di sezione, N. Piçarra (relatore), D. Šváby, S. Rodin e K. Jürimäe, giudici,
avvocato generale: J. Richard de la Tour
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– [Come rettificato con ordinanza del 12 maggio 2021] per K.S., da M. Conlon, SC, E. Dornan e P. O’Shea, BL, B. Burns, solicitor;
– [Come rettificato con ordinanza del 12 maggio 2021] per M.H.K., da M. Conlon, SC, E. Dornan e P. O’Shea, BL, B. Burns, solicitor;
– [Come rettificato con ordinanza del 12 maggio 2021] per R.A.T., da M. Conlon, SC, E. Dornan, BL, B. Burns, solicitor;
– [Come rettificato con ordinanza del 12 maggio 201] per D.S., da M. Conlon, SC, E. Bourached, BL, S. Bartels, solicitor;
– [Come rettificato con ordinanza del 12 maggio 2021] per il Minister for Justice and Equality e per l’Irlanda, da M. Browne, G. Hodge e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da R. Barron, SC, e da S.-J. Hillery, BL;
– per la Commissione europea, da A. Azéma, C. Ladenburger e J. Tomkin, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 settembre 2020,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposti, in un caso, i sigg. K.S. e M.H.K. all’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per la protezione internazionale, Irlanda), al Minister for Justice and Equality (Ministero della Giustizia e delle Pari opportunità, Irlanda), all’Irlanda e all’Attorney General e, nell’altro, la sig.ra R.A.T. e il sig. D.S., al Minister for Justice and Equality (Ministero della Giustizia e delle Pari opportunità), in merito alla legittimità di decisioni che negano loro l’accesso al mercato del lavoro nella loro qualità di richiedenti protezione internazionale, il cui trasferimento verso un altro Stato membro è stato richiesto ai sensi del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»).
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2013/33
3 La direttiva 2013/33 ha abrogato e sostituito, a far data dal 21 luglio 2015, la direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18).
4 I considerando 8, 11, 23 e 33 della direttiva 2013/33 così recitano:
«(8) Per assicurare la parità di trattamento dei richiedenti nell’Unione, la presente direttiva dovrebbe applicarsi in tutte le fasi e a tutti i tipi di procedure relative alla domanda di protezione internazionale, in tutti i luoghi e i centri di accoglienza dei richiedenti e purché essi siano autorizzati a soggiornare nel territorio degli Stati membri in qualità di richiedenti.
(11) È opportuno adottare norme in materia di accoglienza dei richiedenti che siano sufficienti a garantire loro un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri.
(23) Per favorire l’autosufficienza dei richiedenti e ridurre le ampie divergenze esistenti tra gli Stati membri, è essenziale stabilire norme chiare sull’accesso dei richiedenti al mercato del lavoro.
(33) A norma degli articoli 1, 2 e 4 bis, paragrafo 1, del protocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al TUE e al trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), e fatto salvo l’articolo 4 di detto protocollo, il Regno Unito e l’Irlanda non partecipano all’adozione della presente direttiva e non sono da essa vincolati né soggetti alla sua applicazione».
5 L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(...)
b) “richiedente”: il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva;
(…)
f) “condizioni di accoglienza”: il complesso delle misure garantite dagli Stati membri a favore dei richiedenti ai sensi della presente direttiva;
g) “condizioni materiali di accoglienza”: le condizioni di accoglienza che includono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere;
(...)».
6 L’articolo 15 della direttiva 2013/33, intitolato «Lavoro», dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri garantiscono l’accesso dei richiedenti al mercato del lavoro entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale nei casi in cui l’autorità competente non abbia adottato una decisione in primo grado e il ritardo non possa essere attribuito al richiedente.
2. Gli Stati membri decidono a quali condizioni è concesso al richiedente l’accesso al mercato del lavoro conformemente al diritto nazionale, senza limitare indebitamente tale accesso.
(...)
3. L’accesso al mercato del lavoro non è revocato durante i procedimenti di ricorso, quando un ricorso presentato avverso una decisione negativa adottata in esito ad un procedimento ordinario abbia effetto sospensivo, fino al momento della notifica della decisione negativa sul ricorso».
Direttiva 2013/32/UE
7 La direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), ha abrogato e sostituito, con effetto dal 21 luglio 2015, la direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13).
8 I considerando 27 e 58 della direttiva 2013/32 così recitano:
«(27) Considerato che i cittadini di paesi terzi e gli apolidi che hanno espresso l’intenzione di chiedere protezione internazionale sono richiedenti protezione internazionale, essi dovrebbero adempiere gli obblighi e godere dei diritti conformemente alla presente direttiva e alla direttiva [2013/33] (…).
(58) A norma degli articoli 1, 2 e dell’articolo 4 bis, paragrafo 1, del protocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al TUE e al TFUE, e fatto salvo l’articolo 4 di tale protocollo, detti Stati membri non partecipano all’adozione della presente direttiva, non sono da essa vincolati, né sono soggetti alla sua applicazione».
9 L’articolo 2, lettera p), della direttiva 2013/32 definisce i termini di «rimanere nello Stato membro» come «il fatto di rimanere nel territorio, compreso alla frontiera o in zone di transito, dello Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata o è oggetto d’esame».
10 L’articolo 9 della suddetta direttiva, intitolato «Diritto di rimanere nello Stato membro durante l’esame della domanda», al suo paragrafo 1, dispone quanto segue:
«I richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III. Il diritto a rimanere non dà diritto a un titolo di soggiorno».
11 L’articolo 13 della stessa direttiva, intitolato «Obblighi dei richiedenti», prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri impongono ai richiedenti l’obbligo di cooperare con le autorità competenti ai fini dell’accertamento dell’identità e degli altri elementi di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9)]. Gli Stati membri possono imporre ai richiedenti altri obblighi di cooperazione con le autorità competenti nella misura in cui tali obblighi siano necessari ai fini del trattamento della domanda.
2. In particolare, gli Stati membri possono prevedere che:
a) i richiedenti abbiano l’obbligo di riferire alle autorità competenti o di comparire personalmente dinanzi alle stesse, senza indugio o in una data specifica;
b) i richiedenti debbano consegnare i documenti in loro possesso pertinenti ai fini dell’esame della domanda, quali i passaporti;
c) i richiedenti siano tenuti a informare le autorità competenti del loro luogo di residenza o domicilio del momento e di qualsiasi cambiamento dello stesso, non appena possibile. (...)
d) le autorità competenti possano perquisire il richiedente e i suoi effetti personali. (...)
e) le autorità competenti possano fotografare il richiedente; e
f) le autorità competenti possano registrare le dichiarazioni orali del richiedente, purché questi ne sia stato preventivamente informato».
12 L’articolo 31 della direttiva 2013/32, intitolato «Procedura di esame», al paragrafo 3 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri provvedono affinché la procedura di esame sia espletata entro sei mesi dalla presentazione della domanda.
Qualora una domanda sia oggetto della procedura stabilita nel regolamento [Dublino III], il termine di sei mesi inizia a decorrere dal momento in cui si è determinato lo Stato membro competente per l’esame ai sensi di detto regolamento, il richiedente si trova nel territorio di detto Stato ed è stato preso in carico dall’autorità competente.
Gli Stati membri possono prorogare il termine di sei mesi di cui al presente paragrafo per un periodo massimo di ulteriori nove mesi, se:
(...)
c) il ritardo può essere chiaramente attribuito alla mancata osservanza degli obblighi di cui all’articolo 13 da parte del richiedente».
Il regolamento Dublino III
13 I considerando 11 e 19 del regolamento Dublino III così recitano:
«(11) La direttiva [2013/33] dovrebbe applicarsi alla procedura di determinazione dello Stato membro competente disciplinata dal presente regolamento, fatti salvi i limiti nell’applicazione di detta direttiva.
(...)
(19) Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito».
14 L’articolo 3 del medesimo regolamento, rubricato «Accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale», prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.
2. Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.
Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.
Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente.
(…)».
15 L’articolo 7 di detto regolamento, intitolato «Gerarchia dei criteri», dispone quanto segue:
«1. I criteri per la determinazione dello Stato membro competente si applicano nell’ordine nel quale sono definiti dal presente capo.
2. La determinazione dello Stato membro competente in applicazione dei criteri definiti dal presente capo avviene sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente ha presentato domanda di protezione internazionale per la prima volta in uno Stato membro (…)».
16 L’articolo 13 di tale regolamento, intitolato «Ingresso e/o soggiorno», stabilisce, al paragrafo 1, quanto segue:
«Quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie (…), inclusi i dati di cui al regolamento (UE) n. 603/2013 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce l’“Eurodac” per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (GU 2013, L 180, pag. 1)] che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera».
17 L’articolo 17 del regolamento Dublino III, rubricato «Clausole discrezionali», al paragrafo 1 recita quanto segue:
«In deroga all’articolo 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento».
18 L’articolo 27 di detto regolamento, intitolato «Mezzi di impugnazione», così dispone:
«1. Il richiedente (…) ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale.
(...)
3. Ai fini di ricorsi avverso decisioni di trasferimento o di revisioni delle medesime, gli Stati membri prevedono nel proprio diritto nazionale:
a) che il ricorso o la revisione conferisca all’interessato il diritto di rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito del ricorso o della revisione; o
b) che il trasferimento sia automaticamente sospeso e che tale sospensione scada dopo un determinato periodo di tempo ragionevole durante il quale un organo giurisdizionale ha adottato, dopo un esame attento e rigoroso, la decisione di concedere un effetto sospensivo al ricorso o alla revisione; o
(...)».
19 L’articolo 29 di tale regolamento, intitolato «Modalità e termini», prevede quanto segue:
«1. «Il trasferimento del richiedente (...) dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.
(...)
2. Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito.
(...)».
Diritto irlandese
20 In applicazione dell’articolo 4 del protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (in prosieguo: il «protocollo n. 21»), gli European Communities (Receptions Conditions) Regulations 2018 (S.I. No. 230/2018) [decreto del 2018 relativo alle Comunità europee (condizioni di accoglienza)] (in prosieguo: il «decreto del 2018»), hanno trasposto nel diritto irlandese, con effetto a partire dal 30 giugno 2018, le disposizioni della direttiva 2013/33.
21 La regola 2, paragrafi 2 e 3, di detto decreto prevede quanto segue:
«(2) Ai fini del presente decreto, allorché una decisione di trasferimento, ai sensi del[l’European Union (Dublin System) Regulations 2018 (S.I. No. 62/2018)] [decreto del 2018 relativo all’Unione europea (sistema di Dublino)], è stata adottata nei confronti di un richiedente, la persona interessata:
a) perde lo status di richiedente, e
b) è qualificata come beneficiario, ma non come richiedente, a decorrere dalla data di notifica di tale decisione, in applicazione della regola 5, paragrafo 2, di detto decreto.
(3) Ai fini del presente decreto, una persona che, in forza della regola 16, paragrafo 2, delle [European Union (Dublin System) Regulations 2018 (S.I. No. 62/2018)] [decreto del 2018 relativo all’Unione europea (sistema di Dublino)], ha investito l’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per la protezione internazionale) di un ricorso sul quale quest’ultimo non ha ancora statuito, è considerata un beneficiario ma non un richiedente».
22 La regola 11, paragrafi 3 e 4, del decreto del 2018, la quale attua l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, dispone quanto segue:
«(3) Un richiedente può presentare una domanda di permesso di lavoro:
b) non prima di otto mesi a partire dal deposito della sua domanda [di protezione internazionale].
4) Il Ministro può (...) accordare un’autorizzazione [di accesso al mercato del lavoro] al richiedente se:
a) fatto salvo il paragrafo 6, sia decorso un periodo di nove mesi dalla data della presentazione della domanda e, a tale data, non sia stata adottata una decisione in primo grado concernente la domanda di protezione internazionale presentata dal richiedente, e
b) la situazione di cui al punto a) supra non possa essere attribuita in tutto o in parte al richiedente».
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
Causa C‑322/19
23 Il sig. K.S. ha lasciato il Pakistan per il Regno Unito nel febbraio 2010. Egli non ha presentato una domanda di protezione internazionale in tale Stato membro. Nel maggio del 2015 egli si è recato in Irlanda, ove ha presentato una siffatta domanda l’11 maggio 2015. Il 9 marzo 2016 il Refugee Applications Commissioner (Commissario per le domande dei rifugiati, Irlanda) ha adottato una decisione di trasferimento di tale domanda verso il Regno Unito, ai sensi del regolamento Dublino III. Il sig. K.S. ha proposto un ricorso avverso tale decisione, il quale è stato respinto il 17 agosto 2016 dal Refugee Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi dei rifugiati, Irlanda). Egli ha allora avviato un procedimento di controllo giurisdizionale dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda), il quale è tuttora pendente e produce effetto sospensivo.
24 Nel frattempo, il sig. K.S. ha presentato, ai sensi della regola 11, paragrafo 3, del decreto del 2018, una domanda di permesso di accesso al mercato del lavoro presso il Labour Market Access Unit of the Department of Justice and Equality (Unità di accesso al mercato del lavoro presso il Ministero della Giustizia e delle Pari opportunità, Irlanda). A seguito del rigetto di tale domanda, egli ha proposto un ricorso, che è stato respinto con decisione del 19 luglio 2018. Il sig. K.S. ha impugnato tale decisione dinanzi all’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale). Con decisione dell’11 settembre 2018, tale giudice ha confermato la decisione di rigetto con la motivazione che, in forza del decreto del 2018, le persone la cui domanda è stata trasferita verso un altro Stato membro, in applicazione del regolamento Dublino III, non beneficiano del diritto di accesso al mercato del lavoro. Il sig. K.S. ha quindi proposto dinanzi al giudice del rinvio una domanda di controllo giurisdizionale avverso la decisione dell’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale).
25 Il sig. M.H.K. ha lasciato il Bangladesh per recarsi nel Regno Unito il 24 ottobre 2009. A seguito della scadenza del suo permesso di soggiorno, egli si è recato in Irlanda, il 4 settembre 2014, prima della decisione sulla sua domanda di proroga del suo diritto di soggiorno nel Regno Unito. Il 16 febbraio 2015 M.H.K ha presentato domanda di protezione internazionale in Irlanda. Il 25 novembre 2015 il Commissario per le domande dei rifugiati ha adottato una decisione di trasferimento di tale domanda verso il Regno Unito sul fondamento del regolamento Dublino III. Il sig. M.H.K. ha presentato ricorso avverso tale decisione, che è stato respinto, il 30 marzo 2016, dal Refugee Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi dei rifugiati). L’interessato ha dunque avviato un procedimento di controllo giurisdizionale dinanzi alla High Court (Alta Corte), facendo valere l’articolo 17 del regolamento Dublino III. Tale procedimento è ancora pendente e produce effetto sospensivo.
26 Il sig. M.H.K. ha inoltre presentato, in forza della regola 11, paragrafo 3, del decreto del 2018, una domanda di permesso di accesso al mercato del lavoro presso l’autorità competente del Ministero della Giustizia e delle Pari opportunità. A seguito del rigetto di tale domanda con decisione del 16 agosto 2018, il sig. M.H.K. ha proposto un ricorso, che è stato respinto il 5 settembre 2018. Egli ha interposto appello avverso tale decisione di rigetto dinanzi all’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale). Con decisione del 17 ottobre 2018, tale giudice ha respinto questo ricorso, dichiarando che l’accesso al mercato del lavoro non rientra nelle «condizioni materiali di accoglienza». Il sig. M.H.K. ha quindi presentato, dinanzi al giudice del rinvio, una domanda di controllo giurisdizionale avverso tale decisione.
27 Le domande di controllo giurisdizionale presentate dinanzi alla High Court (Alta Corte) sono state accolte, rispettivamente, il 24 settembre e il 12 novembre 2018. Tale giudice indica che queste due domande sono dirette, in primo luogo, all’adozione di ordinanze di certiorari aventi ad oggetto l’annullamento delle decisioni di diniego di accesso al mercato del lavoro; in secondo luogo, a che la regola 2, paragrafo 2, e la regola 11, paragrafi 2 e 12, del decreto del 2018 siano dichiarate contrarie alla direttiva 2013/33 e, in terzo luogo, al risarcimento dei danni subiti.
28 In tale contesto, la High Court (Alta Corte) chiede, in primo luogo, se si possa tenere conto della direttiva 2013/32, benché quest’ultima non sia applicabile all’Irlanda, al fine di interpretare la direttiva 2013/33.
29 In secondo luogo, la High Court (Alta Corte) chiede se un richiedente protezione internazionale la cui domanda sia stata trasferita verso un altro Stato membro in applicazione del regolamento Dublino III possa avvalersi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33. Tale giudice ricorda che, in un progetto di direttiva relativo alle condizioni di accoglienza, di data 13 luglio 2016, la Commissione europea ha proposto di escludere dall’accesso al mercato del lavoro le persone oggetto di una decisione di trasferimento in applicazione del regolamento Dublino III. Detto giudice ritiene tuttavia che non se ne possa dedurre, a contrario, che l’articolo 15 della direttiva 2013/33 consenta alle persone oggetto di una siffatta decisione di accedere al mercato del lavoro.
30 La High Court (Alta Corte) ritiene, da un lato, che persone come i ricorrenti nel procedimento principale siano persone che «per definizione» hanno abusato, in una certa misura, del dispositivo predisposto dal regolamento Dublino III e, dall’altro, che la presentazione di una domanda di protezione internazionale in uno Stato membro diverso da quello di primo ingresso del richiedente sia contraria a tale regolamento. Alla luce della nozione di abuso di diritto, tali persone non possono quindi beneficiare di un accesso al mercato del lavoro ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2013/33.
31 In tale contesto, detto giudice chiede, in terzo luogo, se uno Stato membro possa adottare, nell’ambito della trasposizione dell’articolo 15 della direttiva 2013/33, una disposizione generale che imputa ai richiedenti protezione internazionale, il cui trasferimento verso un altro Stato membro è stato deciso in applicazione del regolamento Dublino III, ogni ritardo nello svolgimento di tale procedura. Esso è del parere che tale questione debba essere risolta in senso affermativo.
32 In quarto luogo, la High Court (Alta Corte) chiede se la proposizione, da parte del richiedente protezione internazionale, di un ricorso giurisdizionale, avente effetto sospensivo, avverso una decisione di trasferimento verso un altro Stato membro ai sensi del regolamento Dublino III costituisca parimenti un ritardo attribuibile a detto richiedente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33. Esso ritiene che anche tale questione debba essere risolta in senso affermativo.
33 In tale contesto, la High Court (Alta Corte) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, ai fini dell’interpretazione di un atto di diritto dell’Unione applicabile in un determinato Stato membro, si possa tenere conto di un atto adottato contestualmente e che non si applica a tale Stato membro.
2) Se l’articolo 15 della direttiva [2013/33] sia applicabile a una persona nei cui confronti sia stata adottata una decisione di trasferimento ai sensi del regolamento [Dubino III].
3) Se uno Stato membro, nel dare attuazione all’articolo 15 della direttiva [2013/33], possa adottare una misura generale che, di fatto, attribuisca ai richiedenti suscettibili di trasferimento ai sensi del regolamento [Dublino III] qualsiasi ritardo nella decisione di trasferimento o ad essa successivo.
4) Se, nel caso in cui un richiedente lasci uno Stato membro senza aver chiesto protezione internazionale in tale Stato, si rechi in un altro Stato membro dove presenti domanda di protezione internazionale e divenga destinatario di una decisione ai sensi del regolamento [Dublino III], che lo ritrasferisca nel primo Stato membro, il conseguente ritardo nel trattamento della domanda di protezione [internazionale] possa essere attribuito al richiedente ai fini dell’articolo 15 della direttiva [2013/33].
5) Se, nel caso in cui un richiedente sia suscettibile di trasferimento verso un altro Stato membro ai sensi del regolamento [Dublino III], ma tale trasferimento sia ritardato a causa del ricorso giurisdizionale intentato dal richiedente, la cui conseguenza sia di sospendere il trasferimento in virtù di un ordine di sospensione emesso dalla High Court (Alta Corte), il ritardo risultante nel trattamento della domanda di protezione internazionale possa essere attribuito al richiedente ai fini dell’articolo 15 della direttiva [2013/33], e ciò in linea generale oppure nell’ipotesi particolare in cui venga accertato, nell’ambito del procedimento di ricorso giurisdizionale, che quest’ultimo è infondato, manifestamente o meno, oppure configura un abuso del processo».
Causa C‑385/19
34 Il 7 marzo 2018 la sig.ra R.A.T., cittadina irachena, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Irlanda. Con lettera del 2 ottobre 2018, ella è stata informata del fatto che nei suoi confronti era stata adottata una decisione di trasferimento verso il Regno Unito, in applicazione del regolamento Dublino III. Il 18 ottobre 2018 ella ha dunque investito l’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale) di un ricorso avverso tale decisione. Tale ricorso è tuttora pendente.
35 Il sig. D.S., cittadino iracheno, afferma di avere lasciato l’Iraq il 1° agosto 2015 per recarsi in Austria attraverso la Turchia e la Grecia. Egli ha presentato una domanda di protezione internazionale in Austria, ma ha lasciato tale Stato membro prima della pronuncia su tale domanda. Il sig. D.S. afferma di essere rientrato in Iraq nell’agosto 2015, poi di essersi recato direttamente in Irlanda, il 25 dicembre 2015. Egli ha presentato una domanda di protezione internazionale in quest’ultimo Stato membro l’8 febbraio 2016. Nei suoi confronti è stata adottata una decisione di trasferimento verso l’Austria, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Dublino III, poiché la competente autorità austriaca ha accettato di riprendere a carico l’interessato in forza di tale disposizione. Il sig. D.S. ha presentato dinanzi all’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale) un ricorso avverso tale decisione, che è stato respinto. Egli ha avviato un procedimento di controllo giurisdizionale dinanzi alla High Court (Alta Corte), tuttora pendente.
36 La sig.ra R.A.T. e il sig. D.S. hanno chiesto di beneficiare di un accesso al mercato del lavoro ai sensi della regola 11 del decreto del 2018. La loro domanda è stata respinta con la motivazione che, poiché erano destinatari di una decisione di trasferimento verso un altro Stato membro in applicazione del regolamento Dublino III, essi non possedevano più la qualità di «richiedente» e dovevano essere ormai qualificati come «beneficiari», ai sensi di tale decreto. Pertanto, non potevano beneficiare di un permesso di accesso al mercato del lavoro irlandese. La sig.ra R.A.T. e il sig. D.S. hanno dunque proposto un ricorso avverso tali decisioni dinanzi all’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale). Il giudice del rinvio ha dichiarato, con decisioni datate, rispettivamente, 12 marzo e 10 aprile 2019, che tali ricorsi sono ricevibili.
37 In tale contesto, il giudice del rinvio chiede se le persone il cui trasferimento verso un altro Stato membro è stato deciso in applicazione del regolamento Dublino III possano costituire una categoria distinta da quella di «richiedente», ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, che sarebbe, di conseguenza, esclusa dall’accesso al mercato del lavoro dello Stato membro che ha richiesto tale trasferimento. A suo avviso, tale direttiva non autorizza alcuna distinzione tra i richiedenti protezione internazionale, circostanza che la Corte avrebbe confermato al punto 40 della sentenza del 27 settembre 2012, Cimade e GISTI (C‑179/11, EU:C:2012:594).
38 Per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, in particolare della locuzione «il ritardo non possa essere attribuito al richiedente», l’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale) ritiene che il fatto che un ricorrente proponga un ricorso giurisdizionale al fine di contestare la validità di una decisione che gli arreca pregiudizio non possa automaticamente essere considerato un ritardo ad esso attribuibile, ai sensi di tale disposizione.
39 L’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale) indica peraltro che, a seguito della pronuncia della sentenza del 4 dicembre 2018, Minister for Justice and Equality e Commissioner of An Garda Síochána (C‑378/17, EU:C:2018:979), esso considera che il decreto del 2018 è contrario all’articolo 15 della direttiva 2013/33 e, pertanto, ha deciso di applicare tale direttiva in luogo delle disposizioni nazionali, il che comporta la conseguenza di autorizzare l’accesso dei ricorrenti interessati al mercato del lavoro irlandese.
40 In tale contesto, l’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 15 della direttiva [2013/33] preveda categorie distinte di “richiedente”.
2) Che tipo di condotta equivalga a un ritardo imputabile al richiedente ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2013/33]».
Procedimento dinanzi alla Corte
41 Con decisione del presidente della Corte del 14 giugno 2019, le cause C‑322/19 e C‑385/19 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento nonché della sentenza.
42 Con ordinanza separata del 23 aprile 2019, la High Court (Alta Corte) ha chiesto alla Corte di sottoporre la causa C‑322/19 a procedimento accelerato, in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. L’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale), nella sua decisione di rinvio del 16 maggio 2019, ha presentato la stessa domanda per quanto attiene alla causa C‑385/19.
43 Dall’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura risulta che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato, in deroga alle disposizioni di detto regolamento di procedura.
44 A sostegno delle loro domande, i giudici del rinvio sottolineano che i ricorrenti nei procedimenti principali versano in uno stato di incertezza quanto al loro diritto di accesso al mercato del lavoro e alla loro vita familiare, che sarebbe aggravato dall’esistenza di decisioni divergenti dei giudici irlandesi riguardanti l’applicazione della direttiva 2013/33. Una risposta della Corte che intervenga in tempi brevissimi consentirebbe di porre fine a tale stato di insicurezza.
45 Tali giudici rilevano altresì che il diritto di accesso al mercato del lavoro conferito dalla direttiva 2013/33, di cui trattasi nei procedimenti principali, rientra nel diritto alla dignità umana garantito dall’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
46 Nel caso di specie, il 22 maggio 2019 per quanto riguarda la causa C‑322/19, e il 14 giugno 2019 per quanto riguarda la causa C‑385/19, il presidente della Corte ha deciso di respingere le domande dei giudici del rinvio di cui al punto 42 della presente sentenza, in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura.
47 Tali decisioni sono motivate, anzitutto, dal fatto che la mancanza di certezza del diritto addotta dai ricorrenti nei procedimenti principali nonché il loro interesse legittimo a conoscere il più rapidamente possibile la portata dei diritti che essi ricavano dall’ordinamento giuridico dell’Unione non possono, in quanto tali, costituire una circostanza eccezionale che possa giustificare il ricorso al procedimento accelerato previsto all’articolo 105 del regolamento di procedura (v., in questo senso, ordinanza del presidente del Corte del 18 gennaio 2019, Adusbef e a., C‑686/18, non pubblicata, EU:C:2019:68, punto 14 e giurisprudenza citata).
48 Infatti, diversamente dall’ordinanza del presidente della Corte del 17 aprile 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:235, non pubblicata), citata dalla High Court (Alta Corte), nella quale talune coppie erano private della possibilità di condurre una vita familiare normale, dalle decisioni di rinvio non risulta che ciò si verifichi nel caso di specie. Parimenti, nella causa da cui è scaturita l’ordinanza del presidente della Corte del 9 settembre 2011, Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:571, punto 15, non pubblicata), anch’essa citata dalla High Court (Alta Corte), ad almeno uno dei ricorrenti era stato negato l’effetto sospensivo dell’appello da lui proposto contro il suo ordine di espulsione, cosicché il provvedimento di allontanamento dal territorio dell’interessato poteva essere attuato in qualsiasi momento. La Corte ha considerato che tale minaccia imminente di allontanamento privava quest’ultimo della possibilità di condurre una normale vita familiare. Tuttavia, nei procedimenti principali, i ricorrenti non sono privati della libertà e le decisioni di trasferimento di cui sono oggetto sono sospese in attesa di una sentenza definitiva.
49 Occorre poi precisare che una divergenza tra giudici nazionali quanto all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, di per sé, non basta a giustificare che il rinvio pregiudiziale sia sottoposto a procedimento accelerato. L’importanza di garantire l’applicazione uniforme all’interno dell’Unione europea di tutte le disposizioni che fanno parte del suo ordinamento giuridico è infatti insita in ogni domanda presentata ai sensi dell’articolo 267 TFUE (v., in questo senso, ordinanza del presidente della Corte del 17 settembre 2018, Lexitor, C‑383/18, EU:C:2018:769, punto 16, non pubblicata).
50 Infine, non risulta dalle decisioni di rinvio che i ricorrenti nel procedimento principale siano privati del beneficio delle condizioni materiali di accoglienza garantite dalla direttiva 2013/33. Di conseguenza, la loro situazione non è così precaria da giustificare il trattamento delle domande di pronuncia pregiudiziale secondo il procedimento accelerato previsto dall’articolo 105 del regolamento di procedura.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità della terza questione sollevata nella causa C‑322/19
51 Con la terza questione sollevata nella causa C‑322/19, la High Court (Alta Corte) chiede, in sostanza, se uno Stato membro, nell’ambito della trasposizione dell’articolo 15 della direttiva 2013/33, possa adottare una misura generale che imputa al richiedente protezione internazionale, il cui trasferimento verso un altro Stato membro è stato richiesto in applicazione del regolamento Dublino III, ogni ritardo nell’adozione di una decisione di trasferimento.
52 Occorre anzitutto rilevare che dal fascicolo di cui dispone la Corte non risulta che una siffatta misura generale di trasposizione sia in discussione nei procedimenti principali.
53 Orbene, sebbene le questioni pregiudiziali vertenti sul diritto dell’Unione godano di una presunzione di rilevanza, la ratio del rinvio pregiudiziale non consiste nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, bensì attiene alla necessità di dirimere concretamente una controversia (sentenze del 10 dicembre 2018, Wightman e a., C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 28, nonché del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234, punto 44).
54 In ogni caso, come giustamente rilevato dalla Commissione, il ritardo di cui all’articolo 15, paragrafo 1, di tale direttiva riguarda l’adozione di una decisione in primo grado avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale e non già l’adozione di una decisione di trasferimento, ai sensi del regolamento Dublino III.
55 Da quanto precede risulta che, dato che la terza questione sollevata nella causa C‑322/19 mira, in realtà, ad ottenere un parere consultivo dalla Corte, essa è irricevibile.
Nel merito
Sulla prima questione sollevata nella causa C‑322/19
56 Con la sua prima questione sollevata nella causa C‑322/19, la High Court (Alta Corte) chiede, in sostanza, se un giudice nazionale possa tener conto della direttiva 2013/32, che, in forza degli articoli 1 e 2 nonché dell’articolo 4 bis, paragrafo 1, del protocollo n. 21, non si applica nello Stato membro di tale giudice, per interpretare le disposizioni della direttiva 2013/33, la quale, invece trova applicazione in tale Stato membro, conformemente all’articolo 4 di tale protocollo.
57 Come risulta da una giurisprudenza costante della Corte, dalla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del proprio significato e della propria portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto non solo dei termini della medesima, ma anche del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi [sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità preposta a ricevere una domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495, punto 53 e giurisprudenza citata)].
58 Inoltre, in una situazione come quella di cui ai procedimenti principali, in cui entrambi gli atti interessati appartengono allo stesso corpus giuridico, ossia al regime europeo comune di asilo, ai fini dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2013/33, le disposizioni della direttiva 2013/32 costituiscono elementi del contesto pertinenti e necessari.
59 Ciò premesso, occorre tener conto della direttiva 2013/32, anche laddove quest’ultima non si applica nello Stato membro del giudice del rinvio, in forza del protocollo n. 21, al fine di interpretare la direttiva 2013/33, applicabile in tale Stato membro, in forza del medesimo protocollo, e ciò per assicurare un’interpretazione ed un’applicazione uniformi delle disposizioni di quest’ultima direttiva in tutti gli Stati membri.
60 Pertanto, occorre rispondere alla prima questione sollevata nella causa C‑322/19 che un giudice nazionale deve tener conto della direttiva 2013/32, la quale, in forza degli articoli 1, 2 e 4 bis, paragrafo 1, del protocollo n. 21, non si applica nello Stato membro di tale giudice, per interpretare le disposizioni della direttiva 2013/33, che trova invece applicazione in detto Stato membro, conformemente all’articolo 4 di tale protocollo.
Sulla seconda questione nella causa C‑322/19 e sulla prima questione nella causa C‑385/19
61 Con la seconda questione sollevata nella causa C‑322/19 e con la prima questione sollevata nella causa C‑385/19, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del rinvio chiedono, in sostanza, se l’articolo 15 della direttiva 2013/33 debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che esclude dall’accesso al mercato del lavoro un richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di tale direttiva, per il solo motivo che nei suoi confronti è stata adottata una decisione di trasferimento in applicazione del regolamento Dublino III.
62 In proposito occorre ricordare, in primo luogo, che, in conformità all’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, gli Stati membri garantiscono l’accesso dei richiedenti al mercato del lavoro alle condizioni previste da tale disposizione. Poiché detta disposizione riguarda l’accesso al mercato del lavoro a vantaggio dei «richiedenti», occorre rifarsi alla definizione di tale nozione figurante all’articolo 2, lettera b), di tale direttiva.
63 L’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/33 definisce il «richiedente» come «il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva». Utilizzando [«il cittadino»], il legislatore dell’Unione precisa, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, che nessun cittadino di un paese terzo o apolide è escluso a priori dallo status di richiedente.
64 Inoltre, detto articolo 2, lettera b), non opera alcuna distinzione a seconda che il richiedente sia o meno oggetto di una procedura di trasferimento verso un altro Stato membro in applicazione del regolamento Dublino III. Infatti tale disposizione prevede che il richiedente conserva questo status fintantoché «non [sia] stata adottata una decisione definitiva» sulla sua domanda di protezione internazionale. Orbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 55 a 58 delle conclusioni, una decisione di trasferimento non costituisce una decisione che statuisca in via definitiva su una domanda di protezione internazionale, sicché la sua adozione non può produrre la conseguenza di privare l’interessato della qualità di «richiedente» ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/33.
65 Tale interpretazione letterale è conforme, in secondo luogo, alla volontà del legislatore dell’Unione, quale risulta dal considerando 8 della direttiva 2013/33, secondo cui quest’ultima si applica in tutte le fasi e a tutti i tipi di procedure relative alla domanda di protezione internazionale e purché i richiedenti siano autorizzati a rimanere nel territorio degli Stati membri in tale qualità. Ne consegue che i richiedenti oggetto delle «procedure relative alle domande di protezione internazionale» istituite dal regolamento Dublino III sono manifestamente inclusi nell’ambito di applicazione ratione personae di detta direttiva e, di conseguenza, in quello dell’articolo 15 di quest’ultima.
66 Tale interpretazione è corroborata anche da due altri atti facenti parte, al pari della direttiva 2013/33, del sistema europeo comune di asilo, vale a dire la direttiva 2013/32 e il regolamento Dublino III. Infatti, secondo il considerando 27 della direttiva 2013/32, i cittadini di paesi terzi e gli apolidi che hanno espresso l’intenzione di chiedere protezione internazionale sono richiedenti protezione internazionale. Pertanto, essi devono godere dei diritti garantiti in forza di tale direttiva e della direttiva 2013/33. Analogamente, risulta in modo espresso dal considerando 11 del regolamento Dublino III che la direttiva 2013/33 si applica alla procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, disciplinata da tale regolamento. Orbene, una siffatta procedura si svolge, in pratica, nello Stato membro che richiede il trasferimento della domanda verso un altro Stato membro, e ciò fino alla presa o alla ripresa in carico del richiedente da parte dello Stato membro richiesto, qualora risulti che quest’ultimo è effettivamente competente per l’esame di detta domanda in applicazione di tale regolamento.
67 Tale interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 è, in terzo luogo, coerente con la sentenza del 27 settembre 2012, Cimade e GISTI (C‑179/11, EU:C:2012:594), relativa all’obbligo, gravante sullo Stato membro nel quale la domanda di protezione internazionale è stata presentata in forza della direttiva 2003/9, abrogata e sostituita dalla direttiva 2013/33, di garantire al richiedente condizioni materiali di accoglienza prima della sua presa o ripresa in carico da parte dello Stato membro competente per l’esame di tale domanda in forza del regolamento che ha preceduto il regolamento Dublino III. La Corte ha dichiarato, al punto 40 di tale sentenza, che gli articoli 2 e 3 della direttiva 2003/9, che corrispondono in sostanza agli articoli 2 e 3 della direttiva 2013/33, prevedono soltanto una categoria di richiedenti protezione internazionale, comprendente tutti i cittadini di paesi terzi e gli apolidi che depositano una domanda di protezione internazionale. Al punto 53 di detta sentenza, la Corte ha precisato, in sostanza, che un richiedente protezione internazionale conserva tale status finché non sia stata adottata una decisione definitiva sulla sua domanda. Infine, la Corte ha sottolineato, al punto 58 della medesima sentenza, che gli obblighi, per lo Stato membro investito di una siffatta domanda, di concedere le condizioni minime stabilite dalla direttiva 2003/09 cessano soltanto al momento del trasferimento effettivo di detto richiedente da parte di tale Stato membro.
68 Orbene, per quanto l’accesso al mercato del lavoro non costituisca stricto sensu una condizione materiale di accoglienza nell’accezione dell’articolo 2, lettera g), della direttiva 2013/33, esso rientra tuttavia nelle condizioni di accoglienza, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), di quest’ultima, intese come i diritti e i benefici conferiti, da tale direttiva, a qualsiasi richiedente protezione internazionale la cui domanda non sia stata definitivamente decisa. Pertanto, l’obbligo gravante sullo Stato membro interessato, in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, di concedere l’accesso al mercato del lavoro al richiedente protezione internazionale cessa unicamente al momento del trasferimento definitivo di quest’ultimo verso lo Stato membro richiesto.
69 In quarto luogo, il considerando 11 della direttiva 2013/33 recita che è opportuno adottare norme in materia di accoglienza dei richiedenti che siano sufficienti a garantire loro un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri. La Corte ha inoltre precisato che il rispetto della dignità umana si impone non soltanto nei riguardi dei richiedenti asilo che si trovano, nel territorio dello Stato membro competente, nell’attesa della determinazione in merito alla loro domanda di asilo, ma anche nei confronti dei richiedenti asilo che si trovano in attesa della determinazione dello Stato membro competente ad esaminare tale domanda (sentenza del 27 settembre 2012, Cimade e GISTI, C‑179/11, EU:C:2012:594, punto 43). Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 85 delle conclusioni, il lavoro evidentemente contribuisce alla salvaguardia della dignità del richiedente, poiché i redditi provenienti da un impiego gli consentono non solo di sovvenire alle proprie esigenze, ma anche di disporre di un alloggio al di fuori delle strutture di accoglienza, all’interno del quale egli può ospitare, se del caso, la propria famiglia.
70 Inoltre, il considerando 23 della direttiva 2013/33 enuncia che uno degli obiettivi da essa perseguiti consiste nel «favorire l’autosufficienza dei richiedenti» protezione internazionale. A tal riguardo, occorre ricordare che, come sottolineato dalla Commissione nella sua proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2008, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri [COM (2008) 815 definitivo], l’accesso al mercato del lavoro è vantaggioso sia per il richiedente protezione internazionale sia per lo Stato membro ospitante. Un accesso agevolato al mercato del lavoro per tali richiedenti può prevenire un grave rischio di isolamento e di esclusione sociale, il cui rischio è a maggiore ragione grave tenuto conto della precarietà della loro situazione. Anche l’autosufficienza dei richiedenti protezione internazionale, che è uno degli obiettivi della direttiva 2013/33, ne risulta favorita.
71 Per converso, il fatto di impedire al richiedente protezione internazionale di accedere al mercato del lavoro contrasta con tale obiettivo, oltre a comportare spese per lo Stato membro interessato, che è tenuto a versare sussidi supplementari. Lo stesso vale qualora ad un richiedente destinatario di una decisione di trasferimento verso un altro Stato membro sia impedito di accedere al mercato del lavoro per tutto il periodo compreso tra la data di presentazione della sua domanda di protezione internazionale e la data di accettazione del suo trasferimento verso lo Stato membro richiesto, periodo al quale si aggiunge quello corrispondente all’esame vero e proprio della sua domanda, che può durare fino a sei mesi a decorrere dalla data di accettazione del trasferimento dell’interessato da parte dello Stato membro richiesto.
72 Pertanto, i richiedenti protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/33, che sono oggetto di una decisione di trasferimento, in forza del regolamento Dublino III, rientrano nell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 15, paragrafo 1, di tale direttiva.
73 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione sottoposta nella causa C‑322/19 e alla prima questione sottoposta nella causa C‑385/19 che l’articolo 15 della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude un richiedente protezione internazionale dall’accesso al mercato del lavoro per il solo motivo che nei suoi confronti è stata adottata una decisione di trasferimento, in applicazione del regolamento Dublino III.
Sulla seconda questione sollevata nel procedimento C‑385/19
74 Con la seconda questione sollevata nella causa C‑385/19, l’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i ricorsi in materia di protezione internazionale) chiede, in sostanza, quali condotte possano costituire un ritardo attribuibile al richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33.
75 Occorre anzitutto constatare, come ha fatto l’avvocato generale ai paragrafi 99 e seguenti delle sue conclusioni, che la direttiva 2013/33 non fornisce alcuna indicazione al riguardo.
76 Pertanto, occorre fare riferimento alle norme procedurali comuni per il riconoscimento di una protezione internazionale introdotte dalla direttiva 2013/32, la quale, come dichiarato al punto 60 della presente sentenza, deve essere presa in considerazione al fine di interpretare le disposizioni della direttiva 2013/33.
77 Risulta quindi dall’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 che un ritardo nell’esame della sua domanda di protezione internazionale è attribuibile al richiedente qualora quest’ultimo non rispetti gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 13 di tale direttiva. Tale disposizione prevede che sul richiedente incombe l’obbligo di cooperare con l’autorità nazionale competente ai fini dell’accertamento della sua identità e degli altri elementi di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, vale a dire la sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale. L’obbligo di cooperazione gravante sul richiedente implica che quest’ultimo fornisca, per quanto possibile, i documenti richiesti e, eventualmente, le spiegazioni e informazioni sollecitate (sentenza del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 38).
78 L’articolo 13 della direttiva 2013/32 consente altresì agli Stati membri di imporre al richiedente altri obblighi necessari per il trattamento della sua domanda, in particolare di imporgli di comparire presso le autorità competenti o di presentarsi in una data e in un luogo specifico, di informare le autorità del suo luogo di residenza o, ancora, di perquisirlo, fotografarlo e registrarne le dichiarazioni.
79 Dalle considerazioni che precedono discende, in sostanza, che un ritardo nel trattamento di una domanda di protezione internazionale può essere imputato al richiedente qualora quest’ultimo abbia omesso di cooperare con le autorità nazionali competenti. Tenuto conto dell’obbligo di interpretazione e di applicazione uniformi del diritto dell’Unione, quale ricordato ai punti 57 e seguenti della presente sentenza, tale interpretazione si afferma anche quando, a causa di un atto derogatorio specifico, nella fattispecie il protocollo n. 21, la direttiva 2013/32 non si applica nello Stato membro interessato.
80 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione sollevata nella causa C‑385/19 che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che può essere attribuito al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’adozione di una decisione di primo grado avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale, derivante dalla mancata cooperazione di tale richiedente con le autorità competenti.
Sulla quarta questione sollevata nella causa C‑322/19
81 Con la quarta questione sollevata nella causa C‑322/19 la High Court (Alta Corte) chiede, in sostanza, se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può imputare al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’adozione di una decisione in primo grado avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale per il fatto che tale richiedente non ha presentato la sua domanda al primo Stato membro di ingresso.
82 A tal riguardo, da un lato, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 110 e 112 delle sue conclusioni, nessuna disposizione del regolamento Dublino III esige che un richiedente protezione internazionale presenti la sua domanda allo Stato membro di primo ingresso.
83 Dall’altro lato, occorre ricordare che l’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento Dublino III prevede che la domanda di protezione internazionale sia esaminata da un solo Stato membro, ossia da quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati in ordine gerarchico al capo III di tale regolamento. Orbene, lo Stato membro di primo ingresso non è automaticamente lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, che deve essere determinato alla luce dei criteri stabiliti dall’articolo 7, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento.
84 In tali circostanze, a un richiedente protezione internazionale che lasci uno Stato membro senza aver presentato una domanda di protezione internazionale e che presenti una siffatta domanda in un altro Stato membro non può essere attribuito, per questo solo motivo, il ritardo che potrebbe derivarne per quanto riguarda l’esame della sua domanda.
85 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione sollevata nella causa C‑322/19 che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può attribuire al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’adozione di una decisione in primo grado avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale, per il fatto di non aver presentato la sua domanda al primo Stato membro di ingresso, ai sensi dell’articolo 13 del regolamento Dublino III.
Sulla quinta questione sollevata nella causa C‑332/19
86 Con la quinta questione sollevata nella causa C‑322/19, la High Court (Alta Corte) chiede, in sostanza, se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può imputare al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’esame della sua domanda di protezione internazionale derivante dalla presentazione, da parte di quest’ultimo, di un ricorso giurisdizionale, avente effetto sospensivo, contro la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, in applicazione del regolamento Dublino III.
87 In primo luogo, occorre ricordare che l’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento Dublino III prescrive che gli Stati membri prevedano nel loro diritto nazionale, da un lato, che il ricorso avverso una decisione di trasferimento conferisca al richiedente protezione internazionale che ne è destinatario il diritto di rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito del suo ricorso e, dall’altro, che il trasferimento sia automaticamente sospeso.
88 Tali disposizioni vanno interpretate alla luce del considerando 19 del regolamento Dublino III, il quale sancisce che, al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti dei richiedenti protezione internazionale, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi dell’articolo 47 della Carta. Così, è stato statuito, da una parte, che il legislatore dell’Unione non ha inteso sacrificare la tutela giurisdizionale dei richiedenti protezione internazionale all’esigenza di celerità nel trattamento della loro domanda, avendo garantito loro una tutela giurisdizionale effettiva e completa (v., in questo senso, sentenze del 7 giugno 2016, Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, punto 57, e del 31 maggio 2018, Hassan, C‑647/16, EU:C:2018:368, punto 57), e dall’altra, che un’interpretazione restrittiva della portata del diritto di ricorso previsto dall’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III potrebbe ostacolare la realizzazione di tale obbiettivo (v., in questo senso, sentenza del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punti 46 e 47).
89 Ne consegue che l’esercizio, da parte del richiedente, del suo diritto di ricorso avverso una decisione di trasferimento di cui è destinatario non può, di per sé, costituire un ritardo attribuibile, ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 15 della direttiva 2013/33. Tale articolo precisa, peraltro, al suo paragrafo 3, che l’accesso al mercato del lavoro di un richiedente protezione internazionale non è revocato nelle more dei procedimenti di ricorso. Lo stesso deve valere quando il ricorso avverso una decisione di trasferimento, di cui all’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento Dublino III, è stato proposto.
90 In secondo luogo, non si può presumere, senza un esame delle circostanze del caso di specie da parte del giudice nazionale, che la proposizione di un ricorso giurisdizionale contro una decisione di trasferimento costituisca un abuso di diritto.
91 A tale riguardo, occorre ricordare che la prova di una pratica abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto e, dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a., C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 54 e giurisprudenza citata).
92 La Corte ha inoltre precisato, in sostanza, che il fatto che uno Stato membro si trovi eventualmente di fronte ad un elevato numero di episodi di abuso di diritto o di frode commessi da cittadini di Stati terzi non può giustificare l’adozione di una misura basata su considerazioni di prevenzione generale e che prescinda da qualsiasi valutazione specifica del comportamento della persona interessata. Infatti, l’adozione di misure che perseguono uno scopo di prevenzione generale di casi diffusi di abuso di diritto o di frode implicherebbe che la mera appartenenza ad un determinato gruppo di persone consentirebbe agli Stati membri di negare il riconoscimento di un diritto esplicitamente attribuito dal diritto dell’Unione (v., in questo senso, sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a., C‑202/13, EU:C:2014:2450, punti 55 e 56).
93 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione sollevata nella causa C‑322/19 che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può attribuire al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’esame della sua domanda derivante dalla presentazione, da parte di quest’ultimo, di un ricorso giurisdizionale, avente effetto sospensivo, contro la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, in applicazione del regolamento Dublino III.
Sulle spese
94 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi ai giudici nazionali, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
1) Un giudice nazionale deve tener conto della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, la quale, in forza degli articoli 1, 2 e 4 bis, paragrafo 1, del protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non si applica nello Stato membro di tale giudice, per interpretare le disposizioni della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, che trova invece applicazione in detto Stato membro, conformemente all’articolo 4 di tale protocollo.
2) L’articolo 15 della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude un richiedente protezione internazionale dall’accesso al mercato del lavoro per il solo motivo che nei suoi confronti è stata adottata una decisione di trasferimento, in applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.
3) L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 va interpretato nel senso che:
– può essere attribuito al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’adozione di una decisione di primo grado avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale, derivante dalla mancata cooperazione di tale richiedente con le autorità competenti;
– uno Stato membro non può attribuire al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’adozione di una decisione in primo grado avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale, per il fatto che quest’ultimo non ha presentato la sua domanda al primo Stato membro di ingresso, ai sensi dell’articolo 13 del regolamento n. 604/2013;
– uno Stato membro non può attribuire al richiedente protezione internazionale il ritardo nell’esame della sua domanda derivante dalla presentazione, da parte di quest’ultimo, di un ricorso giurisdizionale, avente effetto sospensivo, contro la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, in applicazione del regolamento n. 604/2013.
Firme