Language of document : ECLI:EU:C:2024:241

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 14 marzo 2024 (1)

Causa C147/23

Commissione europea

contro

Repubblica di Polonia

«Inadempimento di uno Stato – Articolo 258 TFUE – Protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione – Direttiva (UE) 2019/1937 – Mancato recepimento di tale direttiva – Articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Sanzioni pecuniarie – Penalità – Somma forfettaria – Metodo di calcolo applicato dalla Commissione nel proporre sanzioni pecuniarie alla Corte – Coefficiente di gravità – Mancata comunicazione totale delle misure di attuazione di una direttiva – Sistematica applicazione di un coefficiente pari a 10 – Capacità finanziaria dello Stato membro – Fattore “n” – Presa in considerazione dell’entità della popolazione dello Stato membro»






I.      Introduzione

1.        Quando al conducente di un’autovettura viene inflitta una multa per eccesso di velocità, lo stesso probabilmente suppone che l’importo di tale sanzione rifletta la gravità dell’infrazione e sia quindi proporzionata al numero di chilometri orari di cui ha superato il limite di velocità. In una diversa ipotesi, una società a cui viene irrogata un’ammenda/sanzione amministrativa pecuniaria per aver violato le regole di concorrenza dell’Unione europea o le norme sulla protezione dei dati personali può attendersi (come stabilito dal diritto dell’Unione) (2) che l’importo di una siffatta ammenda/ sanzione amministrativa pecuniaria tenga conto, tra l’altro, della gravità e della durata dell’infrazione, nonché della capacità della stessa società di pagare detta ammenda sulla base del suo fatturato totale. Tuttavia, né il conducente né la società, nei due esempi in parola, immaginerebbero che l’importo della loro sanzione pecuniaria aumenti perché il numero di persone che vivono con il conducente o il numero di persone alle dipendenze della società al momento dell’infrazione è comparativamente più elevato di quello del conducente medio o di un’altra società.

2.        Si dovrebbe applicare una logica diversa quando si impongono sanzioni pecuniarie a uno Stato membro per non aver comunicato alla Commissione europea le misure necessarie per recepire una direttiva? L’importo di simili sanzioni può dipendere dall’entità della popolazione dello Stato membro?

3.        Si tratta, in sostanza, di una delle questioni cruciali della presente causa.

4.        In particolare, tale questione si pone nell’ambito di un procedimento d’infrazione avviato dalla Commissione in forza dell’articolo 258 TFUE nei confronti della Repubblica di Polonia, per il motivo che quest’ultima non ha adottato né comunicato alla Commissione le misure necessarie per recepire la direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (3) (in prosieguo: la «direttiva sugli informatori»). La Repubblica di Polonia non nega l’esistenza dell’inadempimento di cui trattasi. Tuttavia, essa contesta l’importo delle sanzioni pecuniarie che la Commissione propone alla Corte di irrogare. A tal riguardo, la stessa pone in discussione due elementi dei metodi di calcolo applicati dalla Commissione. A suo avviso, uno degli elementi in questione comporta sistematicamente sanzioni pecuniarie più elevate per gli Stati membri che, come la Polonia, hanno una popolazione più numerosa rispetto ad altri.

5.        In tale contesto, la Corte è chiamata a interpretare l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, che, nella prima frase, legittima la Commissione a indicare l’importo delle sanzioni pecuniarie che essa consideri adeguato quando avvia un procedimento in virtù dell’articolo 258 TFUE nei confronti di uno Stato membro che non abbia comunicato le misure necessarie per l’attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa.

II.    Contesto normativo

1.      Direttiva sugli informatori

6.        L’articolo 26 della direttiva sugli informatori [whistleblowers] così dispone:

«1.      Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 17 dicembre 2021.

2.      In deroga al paragrafo 1, per quanto riguarda i soggetti giuridici del settore privato con più di 50 e meno di 250 lavoratori, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi all’obbligo di stabilire un canale di segnalazione interno ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3 entro il 17 dicembre 2023.

3.      Le disposizioni adottate dagli Stati membri di cui ai paragrafi 1 e 2 contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri. Essi ne informano immediatamente la Commissione».

2.      Comunicazione del 2023 (4)

7.        La comunicazione del 2023 contiene i metodi di calcolo che la Commissione applica quando propone alla Corte di irrogare sanzioni pecuniarie nell’ambito di un procedimento d’infrazione. Tali sanzioni pecuniarie possono consistere in una penalità o in una somma forfettaria o in entrambe.

8.        Nella sezione della medesima comunicazione intitolata «Principi generali», la Commissione dichiara che essa «ritiene che le sanzioni pecuniarie irrogate debbano basarsi su tre criteri fondamentali (…):

–        la gravità dell’infrazione,

–        durata dell’infrazione;

–        la necessità di garantire l’efficacia dissuasiva della sanzione pecuniaria, onde evitare recidive».

9.        Il punto 3.2.2 della comunicazione del 2023 è intitolato «Mancata comunicazione delle misure di attuazione (articolo 260, paragrafo 3, TFUE)». Il paragrafo 1 dello stesso così recita:

«Per i ricorsi proposti ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, la Commissione applica sistematicamente un coefficiente di gravità pari a 10 in caso di mancata comunicazione totale delle misure di attuazione. In un’Unione basata sul rispetto dello Stato di diritto, tutte le direttive legislative devono essere considerate di pari importanza e richiedono la completa attuazione da parte degli Stati membri entro i termini da esse stabiliti».

10.      Il punto 3.4 della comunicazione del 2023, che riguarda le penalità, è intitolato «Capacità finanziaria dello Stato membro». Esso stabilisce quanto segue:

«L’importo della penalità dovrebbe garantire che la sanzione sia proporzionata e dissuasiva. L’effetto dissuasivo della penalità è caratterizzato da due aspetti. La sanzione deve essere sufficientemente elevata da garantire che:

–        lo Stato membro ponga fine all’infrazione (deve quindi essere superiore al vantaggio che lo Stato membro trae dall’infrazione),

–        lo Stato membro non ripeta l’infrazione.

Per avere un effetto dissuasivo il livello della sanzione varierà a seconda della capacità finanziaria degli Stati membri. Tale effetto dissuasivo è riflesso nel fattore n. Esso è definito come la media geometrica ponderata del prodotto interno lordo (PIL) (…) dello Stato membro interessato rispetto alla media del PIL degli altri Stati membri, con un peso pari a due, e della popolazione dello Stato membro interessato rispetto alla media delle popolazioni degli altri Stati membri, con un peso pari a uno. La capacità finanziaria dello Stato membro interessato rispetto alla capacità finanziaria degli altri Stati membri è rappresentata nel modo seguente:

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(…)

[I]l suo metodo di calcolo del fattore n (…) ora si basa prevalentemente sul PIL degli Stati membri e, secondariamente, sulla loro popolazione come criterio demografico che consente di mantenere uno scostamento ragionevole tra i vari Stati membri. Tenere conto della popolazione degli Stati membri per un terzo del calcolo del fattore n riduce in misura ragionevole la variazione dei fattori n degli Stati membri rispetto a un calcolo basato unicamente sul loro PIL. Aggiunge inoltre un elemento di stabilità nel calcolo del fattore n, poiché è improbabile che la popolazione vari in modo significativo di anno in anno. Per contro, il PIL di uno Stato membro potrebbe subire fluttuazioni annuali più elevate, in particolare in periodi di crisi economica. Allo stesso tempo, poiché il PIL dello Stato membro continua a rappresentare due terzi del calcolo, esso rimane il fattore preponderante ai fini della valutazione della sua capacità finanziaria».

11.      Il punto 4.2.2. della comunicazione del 2023, riguardante le somme forfettarie, è intitolato «Altri elementi del metodo di calcolo della somma forfettaria». Esso dispone che «[p]er il calcolo della somma forfettaria, la Commissione applica lo stesso coefficiente di gravità e lo stesso fattore n fisso utilizzato per il calcolo della penalità (si vedano i punti 3.2. e 3.4.)».

12.      I fattori «n» per ciascuno Stato membro sono stabiliti al punto 3 dell’allegato I della comunicazione del 2023.

III. Procedimento precontenzioso

13.      Il 27 gennaio 2022 la Commissione ha inviato una lettera di diffida alla Repubblica di Polonia, contestando a quest’ultima di non averle comunicato le misure adottate per recepire la direttiva sugli informatori. Nella sua risposta alla lettera di diffida, datata 23 marzo 2022, la Repubblica di Polonia si è limitata a sottolineare che siffatte misure erano in corso di adozione a livello nazionale.

14.      Il 15 luglio 2022 la Commissione ha inviato un parere motivato alla Repubblica di Polonia, invitandola a conformarsi agli obblighi che le incombevano in forza della direttiva sugli informatori entro un termine di due mesi a decorrere dal giorno della notifica formale del parere motivato.

15.      Nella sua risposta del 15 settembre 2022, la Repubblica di Polonia ha indicato che, data la necessità di una consultazione interministeriale approfondita sulle tematiche contemplate da tale direttiva, prevedeva la chiusura dei lavori parlamentari in corso a livello nazionale alla fine del 2022. Successivamente, la stessa ha comunicato alla Commissione l’intenzione di pubblicare le misure volte all’attuazione della direttiva sugli informatori nell’agosto 2023.

16.      Il 15 febbraio 2023 la Commissione ha deciso di avviare dinanzi alla Corte un procedimento di infrazione nei confronti della Repubblica di Polonia in virtù dell’articolo 258, paragrafo 2, TFUE.

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

17.      Con ricorso depositato il 10 marzo 2023, la Commissione chiede che la Corte voglia:

–        dichiarare che la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva sugli informatori, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per il recepimento della stessa direttiva e non avendo comunicato tali disposizioni alla Commissione;

–        condannare la Repubblica di Polonia a versare alla Commissione:

(a)      una somma forfettaria pari all’importo più elevato tra i due seguenti:

–        EUR 13 700 al giorno a decorrere dalla data di scadenza del termine di recepimento della direttiva sugli informatori fino alla data di cessazione dell’asserita infrazione o, qualora l’infrazione persista, fino alla data di pronuncia della sentenza nella presente causa;

–        un importo non inferiore a EUR 3 836 000;

(b)      nel caso in cui l’asserita infrazione persista fino alla data di pronuncia della sentenza nella presente causa, una penalità pari a EUR 53 430 per ogni giorno di ritardo nell’adempimento degli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva sugli informatori, a decorrere dalla data di pronuncia di tale sentenza e fino alla data di adempimento degli obblighi di cui trattasi;

–        condannare la Repubblica di Polonia alle spese.

18.      La Repubblica di Polonia, dopo aver ricevuto la regolare notifica dell’atto introduttivo del giudizio, ha depositato un controricorso il 31 maggio 2023. Essa chiede che la Corte voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        in subordine, astenersi dall’imporre una somma forfettaria e una penalità;

–        in ulteriore subordine, ridurre in misura sostanziale gli importi proposti dalla Commissione per tali sanzioni pecuniarie;

–        condannare la Commissione alle spese.

19.      Le parti della presente causa sono state invitate dalla Corte a presentare una seconda serie di osservazioni scritte. La replica e la controreplica sono state depositate rispettivamente il 3 luglio 2023 e il 9 agosto 2023.

20.      Non si è tenuta alcuna udienza.

V.      Analisi

21.      Il legislatore dell’Unione ha adottato la direttiva sugli informatori nel 2019, dopo che una serie di rivelazioni avvenute in tutta l’Unione europea (tra cui, in particolare, quelle relative allo «scandalo LuxLeaks») (5) avevano attirato una forte attenzione del pubblico e dei mezzi di comunicazione, dimostrando la necessità di una normativa dell’Unione nel settore in questione. Tale direttiva mira a garantire una protezione «equilibrata ed efficace» delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione su cui acquisiscono informazioni in un contesto lavorativo e che «ledono il pubblico interesse» (6). Come enunciato nell’articolo 1 della medesima direttiva, quest’ultima ha lo scopo di «rafforzare l’applicazione del diritto e delle politiche dell’Unione» in taluni specifici settori rilevanti per l’interesse pubblico, stabilendo norme minime comuni volte a garantire un «elevato livello di protezione» di siffatte persone (7).

22.      Ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1, della direttiva sugli informatori, gli Stati membri erano tenuti ad adottare le «disposizioni legislative, regolamentari e amministrative» necessarie per conformarsi alla stessa direttiva entro il 17 dicembre 2021 (8). Essi erano altresì tenuti, in forza del paragrafo 3 del medesimo articolo, a includere in tali misure di attuazione un riferimento alla direttiva sugli informatori. Inoltre, essi dovevano comunicare alla Commissione le misure in questione (come sono tenuti a fare, in generale, per tutte le direttive).

23.      La presente causa si inserisce in una serie di sei cause (9) che vertono sull’asserito inadempimento di tali obblighi da parte di vari Stati membri.

24.      Come ho già rilevato nell’introduzione delle presenti conclusioni, la presente causa verte, in sostanza, su un «manquement non contesté» (inadempimento non contestato). Infatti, la Repubblica di Polonia non contesta la mancata attuazione della direttiva sugli informatori nell’ordinamento polacco. Essa non contesta neppure, a fortiori, di non aver comunicato alla Commissione alcuna misura di attuazione. Tuttavia, la stessa adduce diverse giustificazioni per tale inadempimento. Inoltre, essa contesta l’importo delle sanzioni pecuniarie che la Commissione propone alla Corte di irrogare.

25.      Spiegherò anzitutto perché le giustificazioni invocate dalla Repubblica di Polonia possono, a mio avviso, essere agevolmente respinte dalla Corte (A). Esaminerò poi la critica mossa dallo Stato membro in questione all’importo delle sanzioni pecuniarie proposte dalla Commissione nella presente causa e, più specificamente, ai metodi applicati dalla Commissione per calcolare tale importo, come precisati nella comunicazione del 2023 (B). Detto aspetto è rilevante per tutte le sei cause menzionate al paragrafo 23 delle presenti conclusioni, nonché, più in generale, per tutte le cause nelle quali la Commissione indica l’importo delle sanzioni pecuniarie che propone alla Corte di irrogare nell’ambito di un procedimento di infrazione.

A.      Giustificazioni addotte dalla Repubblica di Polonia per il mancato recepimento della direttiva sugli informatori

1.      Argomenti delle parti

26.      La Repubblica di Polonia adduce, in sostanza, tre giustificazioni per il mancato recepimento e, di conseguenza, per la mancata comunicazione delle misure necessarie per recepire la direttiva sugli informatori nell’ordinamento polacco entro il termine previsto dall’articolo 26, paragrafo 1, della stessa.

27.      In primo luogo, essa spiega che, a causa dell’ampio ambito di applicazione della direttiva sugli informatori e del suo impatto significativo su una vasta gamma di settori, si è reso necessario un processo di consultazione più lungo a livello nazionale. Molte parti interessate sono state incoraggiate a presentare osservazioni o hanno avanzato richieste in tal senso nel corso della procedura di consultazione. Alcuni dei dubbi espressi da dette parti interessate nelle loro osservazioni hanno richiesto un’analisi approfondita supplementare, ritardando quindi l’adozione delle misure di recepimento della direttiva in questione.

28.      La seconda e la terza giustificazione addotte dalla Repubblica di Polonia riguardano la pandemia di COVID-19 e il conflitto militare in corso in Ucraina. Da un lato, la Repubblica di Polonia spiega che la pandemia di COVID-19 ha reso più difficile organizzare riunioni in presenza e svolgere la procedura di consultazione. Essa indica altresì che si è dovuta dare priorità ad altre normative, più pressanti, connesse alla gestione e al contenimento della pandemia di COVID-19.

29.      Dall’altro lato, la Repubblica di Polonia osserva che il Ministero per la Famiglia e la Politica sociale (che era responsabile del recepimento della direttiva sugli informatori nell’ordinamento polacco), dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ha dovuto svolgere un ruolo essenziale nell’adozione di disposizioni nazionali relative all’integrazione dei rifugiati ucraini nel sistema polacco di previdenza sociale e alle condizioni per l’accoglienza degli stessi in Polonia. La necessità di agire rapidamente e di mobilitare risorse su tali temi ha ritardato ulteriormente il recepimento della direttiva sugli informatori nell’ordinamento polacco.

30.      Alla luce di detti elementi, la Repubblica di Polonia asserisce che il mancato recepimento della direttiva sugli informatori non deriva da una lacuna nel suo processo legislativo, bensì dalla necessità di dare priorità ad altre questioni urgenti di salute, sicurezza e ordine pubblico.

31.      La Commissione non accoglie le giustificazioni addotte dalla Repubblica di Polonia.

32.      Anzitutto, la stessa ritiene che la Repubblica di Polonia non possa invocare la complessità della direttiva sugli informatori per giustificare il suo ritardo nel recepire tale direttiva nel diritto nazionale. La complessità di un atto normativo dell’Unione non costituisce un ostacolo «anormale o imprevedibile» all’osservanza degli obblighi degli Stati membri in materia di recepimento delle direttive. Gli Stati membri non possono neppure invocare difficoltà incontrate nel corso della procedura di consultazione a livello nazionale per giustificare il mancato recepimento di una direttiva.

33.      In secondo luogo, ad avviso della Commissione, la Repubblica di Polonia non può sostenere che il mancato recepimento della direttiva sugli informatori entro il termine previsto dall’articolo 26, paragrafo 1, della stessa sia stato causato dalla pandemia di COVID-19. La pandemia può costituire una giustificazione solo in due situazioni: da un lato, qualora l’atto dell’Unione in questione consenta deroghe o eccezioni a causa delle difficoltà connesse alla pandemia o, dall’altro, qualora siano soddisfatti requisiti per la difesa della forza maggiore (difficoltà insormontabili). Secondo la Commissione, né l’una né l’altra ipotesi ricorrono nel caso di specie.

34.      Infine, la Commissione osserva che il conflitto militare in corso in Ucraina è iniziato il 24 febbraio 2022, vale a dire dopo la scadenza del termine di recepimento della direttiva sugli informatori. Pertanto, essa sostiene che la Repubblica di Polonia non può far valere le conseguenze di tale conflitto per giustificare il mancato recepimento della direttiva di cui trattasi entro il termine prescritto dall’articolo 26, paragrafo 1, della stessa. In ogni caso, le conseguenze in esame sarebbero troppo indirette o troppo lontane per la difesa costituita dalla forza maggiore.

2.      Valutazione

35.      Le tre giustificazioni addotte dalla Repubblica di Polonia nell’ambito della presente causa non sono affatto nuove o insolite. A mio avviso, esse possono essere respinte senza grandi difficoltà.

36.      Come indica la Commissione, la Corte ha già dichiarato in più occasioni che uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno (vale a dire difficoltà interne) per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini prescritti da una direttiva (10). In particolare, è irrilevante che l’inadempimento di un siffatto Stato membro sia dovuto al dibattito politico (11) o sia riconducibile alla necessità di avviare procedure di consultazione a livello nazionale (12).

37.      Inoltre, la Corte ha costantemente respinto le giustificazioni fondate sull’asserita complessità della normativa in questione (13). A tal riguardo, essa ha sottolineato che, se il termine concesso per l’attuazione di una direttiva risulta troppo breve, l’unico strumento per agire, compatibile con il diritto dell’Unione e di cui dispone lo Stato membro interessato, consiste nell’ottenere una proroga del termine dall’istituzione competente dell’Unione (14).

38.      Alla luce di tale giurisprudenza, mi pare ampiamente evidente che la Repubblica di Polonia non possa far valere le difficoltà derivanti dall’ampio ambito di applicazione della direttiva sugli informatori, dalla sua complessità o dai dubbi sollevati da talune parti interessate e dalla loro incidenza sulla durata della procedura di consultazione a livello nazionale per giustificare il mancato recepimento di tale strumento (prima giustificazione).

39.      Quanto alla seconda giustificazione addotta dalla Repubblica di Polonia, la quale afferma, in sostanza, che la sfavorevole situazione collegata alla pandemia di COVID-19 le ha impedito di recepire la direttiva sugli informatori entro il termine prescritto, rilevo che quest’ultima è stata adottata dal legislatore dell’Unione appena qualche mese prima che si verificassero i primi casi di COVID-19.

40.      Non mi è difficile riconoscere, come ha fatto la Corte in altri casi (15), che una crisi sanitaria con una portata come quella della pandemia di COVID-19 sfugge al controllo degli Stati membri ed è al contempo anormale e imprevedibile. Tuttavia, a mio avviso, ciò non significa che la Repubblica di Polonia possa far valere la sopravvenienza della pandemia di COVID-19 per invocare, nel caso di specie, una difesa della forza maggiore che la liberi dagli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 26 della direttiva sugli informatori.

41.      È vero che la Corte, in linea di principio, ha ammesso la forza maggiore come difesa, anche in casi di mancata attuazione di una direttiva (16). Tuttavia, una siffatta difesa può essere accolta solo se esistono «circostanze esterne» che rendono «impossibile» l’adozione delle pertinenti misure di attuazione. Tale definizione, anche se non presuppone l’«impossibilità assoluta», richiede tuttavia «difficoltà anormali» che si rivelano «inevitabili malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso» (17). Si tratta di una soglia elevata che limita chiaramente i casi in cui gli Stati membri possono invocare con successo la difesa della forza maggiore. Inoltre, una difesa del genere non è più accessibile a uno Stato membro se il periodo della sua inerzia si protrae oltre il momento in cui sono venuti meno gli effetti di tali circostanze esterne (18).

42.      A tal riguardo, mi sembra che il fatto che dovesse essere data priorità alle proposte legislative concernenti la gestione e il contenimento della pandemia di COVID-19 e che l’organizzazione di riunioni in presenza per il recepimento della direttiva sugli informatori sia stata, semplicemente, resa più difficile durante detto periodo non abbia esposto l’adozione delle misure necessarie per recepire la direttiva in parola a «difficoltà anormali», che non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso, quantomeno di certo non per tutto il periodo in questione.

43.      Vorrei ricordare che l’articolo 26, paragrafo 1, della direttiva sugli informatori imponeva agli Stati membri di adottare le «disposizioni legislative, regolamentari e amministrative» necessarie per conformarsi alla medesima direttiva entro il 17 dicembre 2021, ossia circa un anno e nove mesi dopo l’inizio della pandemia di COVID-19. La Repubblica di Polonia ha beneficiato di altri nove mesi (corrispondenti al periodo compreso tra la scadenza di tale termine e la scadenza del termine di due mesi fissato nel parere motivato della Commissione) per conformarsi all’obbligo di cui trattasi, ma è comunque risultata inadempiente. Alla data in cui la Commissione ha proposto il presente ricorso, la Repubblica di Polonia non aveva ancora adottato le misure necessarie per recepire lo strumento in parola.

44.      Non occorre un esperto dei meccanismi interni di funzionamento di un governo per osservare che non è insolito che vi siano cambiamenti nelle priorità dell’agenda del legislatore o dei ministeri. L’osservazione in parola si applica anche quando gli eventi che determinano tali cambiamenti (come la diffusione di un virus) sono, dal canto loro, imprevedibili. Seguendo il ragionamento sviluppato nella sentenza nella causa Commissione/Italia (19), in cui la Corte ha ricordato che la difesa della «forza maggiore» esige che il mancato verificarsi dell’evento in causa sia imputabile a circostanze straordinarie ed imprevedibili (e, pertanto, non si può fare ricorso ad essa qualora un soggetto diligente e accorto avrebbe potuto adottare le misure necessarie per evitare le conseguenze derivanti da tali circostanze), ritengo che, anche prima della scadenza del termine previsto dall’articolo 26, paragrafo 1, della direttiva sugli informatori, la Repubblica di Polonia avrebbe potuto attenuare i turbamenti causati dalla pandemia COVID-19 e adottare le precauzioni necessarie affinché venisse comunque affrontata la questione del recepimento della direttiva in parola. Inoltre, essa avrebbe potuto trovare alternative alle riunioni in presenza.

45.      In tale contesto, le circostanze invocate dalla Repubblica di Polonia mi paiono derivare da «difficoltà interne» piuttosto che da un evento di forza maggiore (20). La conclusione opposta, che mi sembra difficilmente difendibile, implicherebbe che gli Stati membri siano, in sostanza, liberati dall’obbligo di adottare misure di recepimento di qualsiasi direttiva il cui termine di recepimento si sia sovrapposto in qualche modo al periodo della pandemia di COVID-19.

46.      Neppure la terza giustificazione addotta dalla Repubblica di Polonia, che riguarda l’impatto della guerra in Ucraina, mi convince. Come indicato dalla Commissione, la guerra in Ucraina è iniziata nel febbraio 2022, mentre il termine stabilito nell’articolo 26, paragrafo 1, della direttiva sugli informatori è scaduto il 17 dicembre 2021 (prima dell’inizio di tale guerra). Ne consegue, a mio avviso, che la Repubblica di Polonia non può giustificare il mancato recepimento della direttiva sugli informatori entro il termine previsto dalla disposizione in questione invocando l’impatto di detto conflitto.

47.      Naturalmente, non si può escludere che la guerra in Ucraina possa, in seguito, aver inciso sulla possibilità della Repubblica di Polonia di ottemperare al suo obbligo di attuare la direttiva sugli informatori e di comunicare alla Commissione le relative misure di attuazione. Tuttavia, anche per quanto riguarda il periodo di cui trattasi, successivo all’inizio del conflitto in parola, sono restio ad accogliere la terza giustificazione addotta dalla Repubblica di Polonia.

48.      Infatti, gli argomenti della Repubblica di Polonia al riguardo sono quanto meno piuttosto inconsistenti. Lo Stato membro in questione, difatti, si limita ad affermare che l’adozione delle misure di attuazione è stata ulteriormente ritardata, nel periodo successivo, poiché il Ministero per la Famiglia e la Politica sociale ha dovuto dare priorità alle proposte riguardanti l’integrazione dei rifugiati ucraini nell’ambito del sistema polacco di previdenza sociale e le condizioni per l’accoglienza degli stessi in Polonia. Tale argomento deve, a mio avviso, essere respinto per le stesse ragioni esposte ai paragrafi 44 e 45 delle presenti conclusioni. Al riguardo rilevo che la Repubblica di Polonia non spiega, ad esempio, perché un altro ministero non abbia potuto garantire l’attuazione della direttiva in parola, laddove il Ministero per la Famiglia e la Politica sociale non poteva occuparsene.

49.      In tale contesto, nessuna delle tre giustificazioni addotte dalla Repubblica di Polonia mi convince.

B.      Importo delle sanzioni pecuniarie e metodi di calcolo applicati dalla Commissione

50.      La questione fondamentale nella presente causa riguarda l’interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE e i metodi di calcolo applicati dalla Commissione per determinare l’importo delle sanzioni pecuniarie che essa propone alla Corte di irrogare in forza di tale disposizione.

51.      L’articolo 260, paragrafo 3, TFUE è stato descritto dalla Commissione come un «elemento innovatore» introdotto dal Trattato FUE «per rispondere efficacemente al fenomeno diffuso dell’attuazione tardiva delle direttive» (21). In base alla sua prima frase, «[l]a Commissione, quando propone ricorso dinanzi alla Corte in virtù dell’articolo 258 [TFUE] reputando che lo Stato membro interessato non abbia adempiuto all’obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, può, se lo ritiene opportuno, indicare l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte di tale Stato che essa consideri adeguato alle circostanze» (22).

52.      La seconda frase dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE indica che, se la Corte constata un siffatto inadempimento, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria e/o di una penalità.

53.      Come ha dichiarato la Corte, tale disposizione svolge, in sostanza, una duplice funzione. Da un lato, essa mira ad attribuire alla Commissione prerogative specifiche al fine di garantire l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione. Dall’altro, la disposizione in esame è diretta a permettere alla Corte di esercitare la sua funzione giurisdizionale consistente nell’esaminare, nell’ambito di un unico procedimento, se lo Stato membro interessato abbia adempiuto i propri obblighi di comunicazione delle misure di trasposizione della direttiva in parola e, se del caso, nell’infliggere le sanzioni pecuniarie da essa ritenute più adeguate (23).

54.      A mio avviso, due caratteristiche dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE meritano ulteriore attenzione.

55.      Anzitutto, la Corte ha chiarito che l’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non può essere considerata isolatamente, ma deve essere connessa all’avvio di un procedimento per inadempimento da parte della Commissione ai sensi dell’articolo 258 TFUE (24). Semplificando, il «valore aggiunto» dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE consiste nel fatto che, contrariamente alle infrazioni che rientrano unicamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 258 TFUE, le infrazioni alle quali si applicano entrambe le disposizioni non rendono necessario un secondo procedimento distinto per l’irrogazione di sanzioni pecuniarie (25). Infatti, l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE consente alla Corte di imporre il pagamento di una somma forfettaria e/o di una penalità nella stessa sentenza con cui essa constata l’inadempimento dell’obbligo di comunicare le misure di attuazione. Per tale motivo la Corte ha descritto l’obiettivo del meccanismo introdotto dall’articolo 260, paragrafo 3, TFUE come consistente non solo nello stimolare gli Stati membri a porre fine quanto prima all’inadempimento dell’obbligo di cui trattasi, ma anche nello snellire e accelerare il procedimento di irrogazione delle sanzioni pecuniarie (26).

56.      In secondo luogo, la Commissione ha affermato che i metodi di calcolo che essa applica in tale ambito sono, in sostanza, gli stessi impiegati in base all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE. Quest’ultima disposizione autorizza la Commissione a proporre, e la Corte a disporre, sanzioni pecuniarie in una situazione distinta, vale a dire qualora uno Stato membro non prenda le misure che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta (27). Tuttavia, poiché le stesse tipologie di sanzione possono, essenzialmente, essere disposte ai sensi di entrambe le disposizioni e la valutazione al riguardo deve essere guidata dagli stessi principi, la Corte ha confermato l’approccio della Commissione e dichiarato che la giurisprudenza relativa all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE si applica per analogia all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE (28).

57.      Tale dichiarazione va, tuttavia, accompagnata da un avvertimento: il potere discrezionale della Corte ai sensi di quest’ultima disposizione subisce una limitazione che non ha un equivalente nell’ambito dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE. Infatti, benché, in base ad entrambe le disposizioni, la Corte possa discostarsi dalle proposte della Commissione, l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE prevede (a differenza dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE) che l’importo delle sanzioni pecuniarie in ultima analisi decise dalla Corte non possa superare l’importo indicato della Commissione (29).

58.      Effettuate siffatte precisazioni, ricordo che nella comunicazione del 2023 la Commissione delinea due distinti metodi di calcolo: uno per le somme forfettarie e un altro per le penalità. Le somme forfettarie sono irrogate per sanzionare il proseguimento dell’infrazione fino alla pronuncia della sentenza della Corte o alla piena conformazione da parte dello Stato membro, se precedente alla sentenza. Le penalità mirano, da parte loro, a indurre lo Stato membro a porre fine all’infrazione nel più breve tempo possibile dopo la pronuncia della sentenza della Corte e sono giustificate, in linea di principio, soltanto se l’inadempimento perdura sino all’esame dei fatti da parte della Corte (30).

59.      Entrambi i metodi si basano sulla moltiplicazione di un ammontare forfettario per tre elementi. I primi due elementi rappresentano la gravità dell’infrazione (riflessa da un coefficiente di gravità) e la sua durata (riflessa da un coefficiente di durata o dal numero di giorni di persistenza dell’infrazione). Il terzo è descritto dalla Commissione come il «fattore “n” che riflette la capacità finanziaria dello Stato membro interessato».

60.      Come ho indicato al paragrafo 17 supra delle presenti conclusioni, nel caso di specie la Commissione ha calcolato che l’importo della somma forfettaria corrispondesse ad uno tra i due seguenti: l’importo più elevato tra EUR 13 700 al giorno a decorrere dalla data di scadenza del termine di recepimento della direttiva sugli informatori fino alla data di cessazione dell’asserita infrazione o, qualora l’infrazione persista, fino alla data di pronuncia della sentenza nella presente causa oppure un importo non inferiore a EUR 3 836 000. La medesima istituzione chiede altresì alla Corte di condannare la Repubblica di Polonia a versare una penalità di EUR 53 430 per ogni giorno di ritardo nel conformarsi agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva sugli informatori, a decorrere dalla data di pronuncia di tale sentenza fino alla data di adempimento degli obblighi di cui trattasi.

61.      La Repubblica di Polonia sostiene che le sanzioni in questione sono eccessive e sproporzionate. In particolare, la stessa contesta due elementi dei metodi di calcolo applicati dalla Commissione che sono descritti nella Comunicazione 2023: in primo luogo, il coefficiente di gravità, che, secondo gli orientamenti contenuti in detta comunicazione, è identico in tutti i casi di mancata comunicazione totale, da parte dello Stato membro interessato, delle misure necessarie per l’attuazione di una direttiva (1), e, in secondo luogo, il fattore «n», che si basa, in parte, sull’entità della popolazione di uno Stato membro (2). Le problematiche sollevate dalla Repubblica di Polonia riguardo ai due elementi in parola non si limitano alla presente causa, ma mettono in discussione l’adeguatezza dei metodi di calcolo delineati dalla Commissione nella comunicazione del 2023 nel suo complesso. Esaminerò anzitutto tali problematiche più generali, prima di pronunciarmi sul carattere eccessivo o sproporzionato dell’importo delle sanzioni pecuniarie indicato dalla Commissione nella presente causa (3).

1.      Problematica generale (i): Coefficiente di gravità applicato dalla Commissione

a)      Argomenti delle parti

62.      La Commissione ricorda che il coefficiente di gravità, che riflette la gravità dell’infrazione, è fissato a un valore compreso tra 1 e 20. Essa aggiunge che, come indicato nella comunicazione del 2023, applica «sistematicamente» un coefficiente di gravità pari a 10 in caso di mancata comunicazione totale delle misure di attuazione. La presente causa riguarda un siffatto inadempimento totale. Di conseguenza, la Commissione ha applicato un coefficiente di gravità pari a 10.

63.      La Commissione spiega che, secondo la giurisprudenza della Corte (31), l’obbligo di recepire le direttive e di comunicare alla Commissione le misure di recepimento costituisce un «obbligo fondamentale», che contribuisce ad assicurare la piena efficacia del diritto dell’Unione. I casi di inadempimento totale di tale obbligo devono essere ritenuti «di una gravità certa». Ciò giustifica, secondo la Commissione, l’applicazione sistematica di un coefficiente di gravità pari a 10 in tutti i casi del genere.

64.      La Commissione aggiunge che tutte le direttive adottate secondo una procedura legislativa devono essere considerate di pari importanza e richiedono la completa attuazione da parte degli Stati membri entro i termini da esse stabiliti. A suo avviso, la natura della direttiva in questione non dovrebbe avere alcun impatto sulla determinazione del coefficiente di gravità.

65.      La Commissione sostiene inoltre che l’applicazione sistematica di un coefficiente di gravità pari a 10 in tutti i casi riguardanti la mancata comunicazione totale delle misure di attuazione rafforza la certezza del diritto. Una simile applicazione sistematica rende inoltre più prevedibili le sanzioni pecuniarie proposte dalla Commissione e garantisce la parità di trattamento tra gli Stati membri.

66.      Inoltre, la Commissione ritiene che l’applicazione del coefficiente in parola sia, in ogni caso, giustificata nel caso di specie. A tal riguardo, essa asserisce anzitutto che la direttiva sugli informatori svolge un ruolo chiave nell’agevolare l’efficace applicazione del diritto dell’Unione in vari settori rilevanti e che, pertanto, il mancato recepimento della direttiva di cui trattasi può avere conseguenze su altri atti del diritto dell’Unione (quelli adottati nei settori che rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae della medesima). In secondo luogo, essa sostiene che la mancanza di un’efficace protezione degli informatori in uno Stato membro potrebbe pregiudicare la tutela dei loro diritti fondamentali, il che aumenta la gravità dell’infrazione. In terzo luogo, la Commissione non è a conoscenza di alcuna disposizione dell’ordinamento polacco che persegua gli stessi obiettivi della direttiva sugli informatori o ne rifletta il contenuto. In quarto luogo, il fatto che la Repubblica di Polonia abbia cooperato con la Commissione nel corso del procedimento precontenzioso non attenua la gravità del suo inadempimento.

67.      La Repubblica di Polonia afferma che la sistematica applicazione di un coefficiente di gravità pari a 10 in tutti i casi riguardanti la mancata comunicazione totale delle misure di attuazione consente alla Commissione di eludere l’obbligo di quest’ultima di effettuare, in ciascun caso, una valutazione approfondita riguardo alla gravità dell’asserita infrazione.

68.      In particolare, la Repubblica di Polonia asserisce che, nel caso di specie, la Commissione non ha tenuto conto del fatto che l’ordinamento polacco offre già una qualche forma di protezione agli informatori e che il mancato recepimento della direttiva relativa alla protezione degli stessi ha quindi un impatto limitato sugli interessi che tale strumento mira a tutelare. A suo avviso, detta circostanza dovrebbe essere considerata come un fattore attenuante nella determinazione del coefficiente di gravità; in caso contrario, il coefficiente applicato dalla Commissione sarebbe fondato solo sugli effetti potenziali dell’infrazione (e non sulle sue effettive conseguenze).

69.      La Repubblica di Polonia rileva inoltre che anche il fatto che uno Stato membro cooperi lealmente (come è avvenuto) con la Commissione nel corso del procedimento precontenzioso costituisce un fattore attenuante (32).

b)      Valutazione

70.      La Corte ha precisato che le sanzioni pecuniarie imposte agli Stati membri in caso di inadempimento degli obblighi ad essi incombenti in forza del diritto dell’Unione devono essere «adeguat[e] alle circostanze» e «commisurat[e] sia all’inadempimento (…) sia alla capacità finanziaria dello Stato membro di cui trattasi» (33). La Commissione precisa di aver tenuto in debito conto tali requisiti previsti nella comunicazione del 2023 (34).

71.      Alla luce di detti elementi, ritengo che il coefficiente di gravità applicato dalla Commissione miri specificamente a garantire che l’importo delle somme forfettarie e/o delle penalità indicato dalla Commissione ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE sia proporzionato alla gravità dell’infrazione, valutata alla luce delle circostanze pertinenti. Infatti, si tratta dell’unico elemento dei metodi di calcolo delineati nella comunicazione del 2023 in grado di riflettere la gravità dell’infrazione (35).

72.      È in tale contesto che deve essere affrontata la questione se la Commissione possa sistematicamente applicare un coefficiente di gravità pari a 10 ogniqualvolta l’asserita infrazione, sulla base della quale essa propone alla Corte di irrogare sanzioni pecuniarie in forza dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, consista nella mancata comunicazione totale delle misure di attuazione. Detta questione non è mai stata esaminata dalla Corte. Infatti, prima della comunicazione del 2023, la Commissione non aveva sistematicamente applicato lo stesso coefficiente in situazioni del genere (36).

73.      Per chiarezza, ricordo che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE si applica qualora «lo Stato membro interessato non abbia adempiuto all’obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa». L’ambito di applicazione della disposizione richiamata non è pertanto limitato alle ipotesi di inadempimento totale dell’obbligo di «comunicazione», ma si estende alle situazioni in cui uno Stato membro comunica in modo parziale o erroneo le misure di attuazione. Tuttavia, la Commissione, pur non indicando, nella comunicazione del 2023, quale coefficiente di gravità debba essere applicato nella seconda ipotesi in parola (37), indica che essa applica sistematicamente un coefficiente pari a 10 nella prima ipotesi.

74.      Come spiegherò nel prosieguo, ritengo che un siffatto approccio sia adeguato (e compatibile con il principio di proporzionalità) se e soltanto se si può ritenere che tutte le infrazioni a cui esso si riferisce presentino lo stesso grado di gravità, da un lato, rispetto ad altri tipi di infrazione e, dall’altro, tra loro. Tuttavia, a mio avviso, ciò non avviene nel caso di specie.

1)      Prima ragione: ipotesi di inadempimento totale dell’obbligo di adottare e, pertanto, di comunicare le misure di attuazione non sono necessariamente più gravi di altri tipi di infrazione

75.      In via ipotetica, l’approccio della Commissione (consistente nell’applicare sistematicamente un coefficiente di gravità pari a 10) potrebbe comprendere due tipologie di situazioni: in primo luogo, quando lo Stato membro interessato ha adottato (in tutto o in parte) le necessarie misure di attuazione, ma, semplicemente, non le ha comunicate, e, in secondo luogo, quando tale Stato membro ha totalmente omesso di attuare la direttiva in questione.

76.      A tale riguardo, ricordo che, come ha spiegato l’avvocato generale Szpunar, l’obbligo a cui si riferisce l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non è quello di adottare misure di attuazione ma invece quello di notificarle (38). Ne consegue che, per dare luogo all’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, è sufficiente la mancata «comunicazione» delle misure di attuazione da parte di uno Stato membro (e non invece l’inadempimento totale, da parte dello stesso, dell’obbligo di adottarle).

77.      Ciò posto, non ho difficoltà ad ammettere (come sembra fare anche la Commissione) che la prima ipotesi è, in pratica, poco probabile. Infatti, nella maggior parte delle situazioni (se non in tutte), il motivo per cui uno Stato membro non comunica le misure di attuazione è che esso non le ha neppure adottate. È di fatto difficile immaginare perché uno Stato membro che ha «svolto correttamente il suo lavoro» e adottato le misure necessarie per il recepimento di una direttiva non le comunicherebbe alla Commissione. Pertanto, mi sembra evidente che, quando detta istituzione parla di ipotesi di mancata «comunicazione» totale, ha in mente un inadempimento totale dell’obbligo di recepimento (e non, puramente e semplicemente, un inadempimento totale dell’obbligo di comunicazione), in linea con la sua percezione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE come di una disposizione che introduce un meccanismo destinato a «rispondere efficacemente al fenomeno diffuso dell’attuazione tardiva delle direttive» (39).

78.      In casi del genere, lo Stato membro interessato è effettivamente responsabile di una duplice infrazione. Non solo non ha comunicato le misure di attuazione, ma non le ha neppure adottate (laddove il primo inadempimento è una conseguenza del secondo).

79.      A prima vista, l’esistenza di una siffatta duplice infrazione può apparire, in effetti, come sostiene la Commissione, piuttosto grave. Tuttavia, è proprio qui che si rivela la debolezza della soluzione «unica» della Commissione: è, di tutta evidenza, troppo semplicistica. Secondo tale approccio, la Commissione «individua» un tipo di infrazione (l’inadempimento totale dell’obbligo di adottare e, pertanto, di comunicare le misure di attuazione) come intrinsecamente più grave rispetto ad altri tipi di infrazione, in particolare a molte di quelle contemplate dall’articolo 260, paragrafo 2, TFUE. In tal modo, essa ignora il fatto che non è necessariamente questa l’ipotesi che ricorre (40).

80.      Per illustrare tale punto, si può fare riferimento alla mancata trasposizione da parte della Repubblica ceca di talune disposizioni della direttiva 2003/41/CE relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (41), che la Corte ha esaminato nella sua sentenza nella causa Commissione/Repubblica ceca (42). Tralasciando il fatto che l’inadempimento in parola era parziale e non totale, esso era anche innocuo. Infatti, l’attività che dette disposizioni disciplinavano (nel caso di specie, gli schemi pensionistici aziendali e professionali) non esisteva nella Repubblica ceca. Per contro, l’infrazione constatata dalla Corte nella sua sentenza nella causa Commissione/Francia (43), che riguardava l’inadempimento, da parte della Repubblica francese, di taluni obblighi di controllo nei confronti delle attività di pesca svolte dai pescherecci francesi (un’infrazione che rientra nell’ambito di applicazione dell’attuale articolo 260, paragrafo 2, TFUE), era molto più grave sotto il profilo delle conseguenze che essa aveva sugli interessi pubblici e privati coinvolti (44).

2)      Seconda ragione: ipotesi di inadempimento totale dell’obbligo di adottare e, pertanto, di comunicare le misure di attuazione presentano diversi gradi di gravità

81.      La seconda ragione per cui ritengo che l’approccio della Commissione non sia adeguato è che non tutte le stesse ipotesi di inadempimento totale dell’obbligo di adottare e, pertanto, di comunicare le misure di attuazione contemplate dall’articolo 260, paragrafo 3, TFUE possono essere considerate aventi il medesimo livello di gravità.

82.      Poco tempo dopo l’introduzione di tale nuova disposizione da parte del Trattato FUE, la Commissione ha spiegato che detta norma aveva lo scopo di incoraggiare la rapida attuazione delle direttive da parte degli Stati membri, che essa ritiene di «importanza essenziale», non solo per «tutelare gli interessi generali» perseguiti dalla legislazione dell’Unione, ma anche e soprattutto per proteggere i cittadini dell’Unione cui tale legislazione conferisce diritti soggettivi (45).

83.      Successivamente, la Corte ha espressamente riconosciuto che, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, la condanna al pagamento di una somma forfettaria si basa (come avviene anche in base all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE) sulla valutazione delle «conseguenze (…) sugli interessi privati e pubblici» della mancata esecuzione degli obblighi dello Stato membro interessato (46). Le stesse considerazioni (nonché l’urgenza che lo Stato membro interessato si conformi ai propri obblighi) sono rilevanti ai fini della fissazione dell’importo di una penalità (47).

84.      A mio avviso, la decisione della Commissione, nella comunicazione del 2023, di applicare sistematicamente lo stesso coefficiente di gravità pari a 10 in tutti i casi di mancata adozione totale e, quindi, di mancata «comunicazione» totale alla Commissione, da parte di uno Stato membro, delle misure di attuazione è in contrasto con tale precedente approccio e con la giurisprudenza. Spiego ora l’osservazione formulata.

85.      In detto documento, la Commissione giustifica il suo nuovo approccio affermando che «tutte le direttive legislative devono essere considerate di pari importanza e richiedono la completa attuazione da parte degli Stati membri entro i termini da esse stabiliti» (48). Essa aggiunge che «[l]’importanza di garantire l’attuazione delle direttive legislative da parte degli Stati membri entro i termini fissati da tali direttive vale per tutte le direttive legislative, allo stesso modo» (49). Per contro, la stessa spiega che, per una mancata comunicazione parziale (anziché totale) delle misure di attuazione, il coefficiente di gravità è fissato ad un livello inferiore a 10 e si tiene debitamente conto degli effetti dell’infrazione sugli «interessi generali e particolari».

86.      Da tali affermazioni deduco che la Commissione ritiene che, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, stabilire su quali interessi e diritti specifici incida l’infrazione è rilevante unicamente in casi che non riguardano l’inadempimento totale dell’obbligo di comunicare le misure di attuazione.

87.      Il che lascia allora una questione da chiarire: se, come afferma la Commissione, il fine ultimo delle sanzioni pecuniarie che la stessa può proporre in forza dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE è di «tutelare gli interessi generali» perseguiti dalla legislazione dell’Unione e i «diritti soggettivi dei cittadini dell’Unione», com’è possibile che l’importo di tali sanzioni non sia adattato in funzione della misura in cui gli interessi e i diritti in questione sono lesi o potrebbero potenzialmente essere lesi dall’infrazione in tutti i casi che rientrano nella disposizione di cui trattasi?

88.      Al riguardo, ho già osservato al paragrafo 21 supra delle presenti conclusioni che è generalmente ammesso (come illustrato, ad esempio, dall’ambito di applicazione ratione materiae della stessa direttiva sugli informatori) che taluni settori del diritto dell’Unione rivestono maggiore importanza per l’interesse generale rispetto ad altri. La mancata attuazione totale, da parte di uno Stato membro, di una direttiva in uno di tali settori è, in linea di principio, e soprattutto se essa mira a conferire diritti soggettivi ai cittadini dell’Unione, più grave della mancata attuazione, da parte dello stesso Stato membro, di una direttiva in un diverso settore (50).

89.      A mio avviso, non si può pertanto sostenere che tutte le direttive adottate secondo una procedura legislativa hanno pari importanza. Sono d’accordo sul fatto che l’obbligo degli Stati membri di adottare tempestivamente misure di attuazione si applica «ugualmente» a tutte le direttive di cui trattasi. Tuttavia, è diverso sostenere, come affermato dalla Commissione, che tutti gli strumenti in parola devono essere posti su un piano di parità perché hanno tutti pari importanza (51). Il fatto che un’infrazione sia intrinsecamente grave non significa che la sua gravità non possa variare a seconda delle situazioni.

90.      Vorrei formulare due ulteriori osservazioni.

91.      In primo luogo, su detta conclusione non incide il fatto che la Corte abbia dichiarato che «l’obbligo di adottare le misure nazionali per garantire il recepimento completo di una direttiva e l’obbligo di comunicare tali misure alla Commissione costituiscono obblighi fondamentali» (52). Al riguardo, rinvio alle considerazioni che ho appena esposto.

92.      Aggiungo che la giustificazione fornita dalla Commissione nella presente causa, ossia che l’applicazione sistematica di un coefficiente di gravità pari a 10 garantisce la parità di trattamento tra gli Stati membri, mi sembra particolarmente poco convincente. Non capisco in che modo l’adeguamento del coefficiente di gravità per tener conto di fattori quali l’importanza della direttiva in questione potrebbe compromettere la parità di trattamento tra gli Stati membri.

93.      In secondo luogo, nella comunicazione del 2023, la Commissione osserva che, per quanto riguarda l’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, l’importanza dell’infrazione di cui trattasi deve essere determinata tenendo conto «della natura e della portata delle disposizioni [giuridiche] in questione». Essa aggiunge che «[l]e infrazioni che hanno un impatto sui diritti fondamentali o sulle quattro libertà fondamentali (…) dovrebbero essere generalmente considerate particolarmente gravi e comportare una sanzione adeguata» (53). Inoltre, la medesima spiega che gli effetti sugli interessi generali e particolari dovrebbero essere valutati caso per caso, tenendo conto, tra l’altro, della perdita di risorse proprie dell’Unione, di danni gravi agli interessi finanziari dell’Unione europea, dell’impatto dell’infrazione sul funzionamento dell’Unione, di danni gravi o irreparabili alla salute umana o all’ambiente, dell’eventuale vantaggio finanziario che lo Stato membro trae dalla mancata esecuzione e dell’entità della popolazione interessata dall’infrazione.

94.      Non vedo perché gli stessi principi e fattori in funzione di guida non potrebbero svolgere alcun ruolo nella fissazione del coefficiente di gravità qualora l’infrazione consista nel completo inadempimento dell’obbligo di adottare e, pertanto, di comunicare le misure di attuazione ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

95.      A tale proposito, aggiungo ancora che, nella sua primissima comunicazione sull’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, la Commissione aveva indicato che il coefficiente di gravità doveva essere fissato secondo le norme e i criteri applicabili alle infrazioni contemplate dall’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, dal che derivava che il coefficiente doveva semplicemente essere compreso tra 1 e 20 (54). Le ragioni per discostarsi da tale approccio (a parte quella relativa alla pari importanza di tutte le direttive adottate secondo una procedura legislativa) non sono enunciate nella comunicazione del 2023.

96.      Osservo che, nella presente causa, la Repubblica di Polonia sostiene che si dovrebbero prendere in considerazione due fattori attenuanti: da un lato, il fatto che gli informatori siano già protetti dall’ordinamento polacco e, dall’altro, il fatto che la Repubblica di Polonia abbia lealmente cooperato con la Commissione nel corso del procedimento precontenzioso.

97.      Mi riservo di valutare il caso di specie successivamente (v. sezione 3.). Per il momento, vorrei semplicemente precisare che, a mio avviso, la Commissione dovrebbe riservarsi in ogni caso la possibilità di adeguare il coefficiente di gravità in funzione di fattori attenuanti e/o aggravanti pertinenti.

3)      Conclusione

98.      Dalle considerazioni che precedono risulta che, a mio avviso, la Corte dovrebbe dichiarare che l’applicazione sistematica di un coefficiente di gravità pari a 10 in tutti i casi di inadempimento totale dell’obbligo di comunicare le misure necessarie per attuare una direttiva rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non è adeguata in relazione alla fissazione di sanzioni pecuniarie sufficientemente dissuasive e proporzionate all’infrazione in questione.

2.      Problematica generale (ii): metodo di calcolo del fattore «n»

a)      Argomenti delle parti

99.      Secondo la Commissione, il fattore «n» è volto a tener conto della capacità finanziaria degli Stati membri e garantisce così che le sanzioni finanziarie irrogate in applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE abbiano un effetto dissuasivo. I due terzi del fattore in esame rappresentano il prodotto interno lordo (PIL) degli Stati membri (rispetto alla media del PIL di tutti gli Stati membri) e un terzo rappresenta la sua popolazione (rispetto alla popolazione media di tutti gli Stati membri).

100. La Commissione indica che, conformemente al punto 3 dell’allegato I della comunicazione del 2023, essa ha applicato nella presente causa un fattore «n» pari a 1,37.

101. La Commissione aggiunge che, nel determinare il metodo di calcolo del fattore «n» in tale comunicazione, ha preso in debita considerazione la sentenza della Corte nella causa Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferronickel) (55). Dal punto 116 della sentenza in esame essa deduce che, benché il PIL degli Stati membri debba costituire il fattore predominante ai fini della valutazione della loro capacità finanziaria, resta ferma la possibilità per la Commissione di proporre sanzioni pecuniarie fondate su una pluralità di criteri, soprattutto se siffatti altri criteri sono volti a mantenere un divario ragionevole tra gli Stati membri.

102. La Commissione ritiene che l’integrazione di un elemento basato sull’entità della popolazione degli Stati membri nel metodo di calcolo del fattore «n» sia funzionale proprio a detto obiettivo. La stessa sostiene che il criterio demografico garantisce altresì la stabilità del fattore «n» nel tempo, giacché è meno probabile che l’entità della popolazione di uno Stato membro vari in modo significativo di anno in anno rispetto al suo PIL.

103. Inoltre, la Commissione sostiene che il metodo di calcolo del fattore «n» adottato nella comunicazione del 2023 segue le indicazioni fornite dall’avvocato generale Pitruzzella nelle sue conclusioni nella causa Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferronickel) (56), in cui quest’ultimo affermava che «l’obiettivo di mantenere una determinata proporzione tra i coefficienti applicati ai diversi Stati membri» può essere raggiunto attraverso «un criterio demografico che consenta di relativizzare i risultati derivanti dalla presa in considerazione del PIL semplice o comparativo».

104. La Repubblica di Polonia non è d’accordo con la Commissione. Essa ritiene che il criterio demografico utilizzato per il calcolo del fattore «n» sia incompatibile con l’obiettivo generale di tale fattore, che è quello di tener conto della capacità finanziaria degli Stati membri garantendo al contempo che le sanzioni pecuniarie irrogate nei confronti degli stessi siano sufficientemente dissuasive.

105. La Repubblica di Polonia asserisce inoltre che il metodo di calcolo del fattore «n» adottato dalla Commissione conduce a risultati incoerenti, dal momento che la capacità finanziaria degli Stati membri può essere sopravvalutata o sottovalutata a seconda dell’entità delle loro rispettive popolazioni, il che non avverrebbe se il fattore «n» si basasse unicamente sul loro PIL.

106. La Repubblica di Polonia precisa anche che ci si deve attendere variazioni del fattore «n» degli Stati membri, giacché non tutti gli Stati membri hanno la stessa capacità finanziaria. In via generale, essa sostiene che l’approccio della Commissione determina l’irrogazione di sanzioni pecuniarie sproporzionate nei confronti di Stati membri il cui PIL è inferiore ma la cui popolazione è più numerosa.

107. Infine, la Repubblica di Polonia indica che, nelle sue conclusioni nella causa Commissione/Grecia (57), l’avvocato generale Wathelet ha dichiarato che «non si esclude che taluni Stati membri aventi una determinata popolazione abbiano una minor capacità finanziaria di altri Stati membri aventi una popolazione meno numerosa» e che anche tale criterio è, pertanto, «irrilevante ai fini del calcolo della penalità».

108. A tale riguardo, la Repubblica di Polonia rileva che dal 2017 (a seguito delle conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Commissione/Grecia) la Corte, nel determinare la capacità finanziaria di uno Stato membro, non ha mai preso in considerazione elementi diversi dal PIL. Inoltre, il riferimento al «criterio demografico» nelle conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferronickel) dovrebbe essere semplicemente inteso come un’indicazione del fatto che può essere opportuno dividere il PIL degli Stati membri per la loro popolazione per avere un quadro più preciso della loro capacità finanziaria.

109. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Repubblica di Polonia afferma che il fattore «n» applicato dalla Commissione dovrebbe essere fondato sulla capacità finanziaria degli Stati membri, riflessa unicamente dal loro PIL.

b)      Valutazione

110. Il metodo applicato dalla Commissione al fine di calcolare il fattore «n» per le infrazioni che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE è identico a quello utilizzato per quelle contemplate dall’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

111. Inizialmente, tale metodo si basava su due elementi: il PIL dello Stato membro interessato, da un lato, e il numero di voti di cui tale Stato membro disponeva in seno al Consiglio per il voto a maggioranza qualificata, dall’altro (58). Tuttavia, le regole per il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio sono cambiate dopo l’entrata in vigore, il 1º aprile 2017, della nuova «regola della doppia maggioranza», introdotta dall’articolo 16, paragrafo 4, TUE. La Corte ha esaminato le conseguenze di detta evoluzione nella sentenza del 14 novembre 2018, Commissione/Grecia (59), nella quale ha dichiarato che tale nuovo sistema non forniva criteri soddisfacenti per determinare in modo adeguato la capacità finanziaria degli Stati membri e non poteva, quindi, sostituire effettivamente il precedente sistema dei voti ponderati. Essa ha altresì rilevato che, in ogni caso, a partire dal 1º aprile 2017 la Corte aveva preso in considerazione, ai fini della valutazione della sua capacità finanziaria, solo il PIL dello Stato membro interessato.

112. La Commissione ha pubblicato una nuova comunicazione nel 2019 (in prosieguo: la «comunicazione del 2019») (60), in cui includeva un metodo di calcolo riveduto del fattore «n». Il nuovo metodo in parola continuava a comprendere un elemento non legato al PIL dello Stato membro interessato. Tuttavia, tale elemento non era più basato sul numero di voti in seno al Consiglio, ma sul numero di seggi assegnati ai rappresentanti al Parlamento europeo.

113. Nella sua sentenza del 20 gennaio 2022 Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferro-nickel) (61), la Corte ha ribadito che occorreva basarsi sul PIL dello Stato membro interessato quale fattore predominante ai fini della valutazione della capacità finanziaria di tale Stato membro e che l’obiettivo consistente nel fissare sanzioni pecuniarie che siano sufficientemente dissuasive non richiedeva necessariamente di prendere in considerazione il peso istituzionale nell’Unione dello Stato membro interessato, dal momento che tale elemento non era connesso alle caratteristiche dell’inadempimento in questione.

114. La comunicazione del 2023 è stata adottata successivamente alla sentenza summenzionata.

115. In tale comunicazione, il fattore «n» è descritto dalla Commissione come una media geometrica ponderata che si basa «prevalentemente» sul PIL degli Stati membri e «secondariamente» sulla loro popolazione «come criterio demografico che consente di mantenere uno scostamento ragionevole tra i vari Stati membri».

116. Concordo con la Repubblica di Polonia riguardo al fatto che detto «criterio demografico» non è adeguato ai fini della determinazione della relativa capacità finanziaria degli Stati membri. Tre ragioni principali mi conducono a tale conclusione.

117. Anzitutto, si potrebbe sostenere che gli elementi esposti al paragrafo 113 supra delle presenti conclusioni non escludono la possibilità per la Commissione di tener conto di altri fattori o parametri nel fissare il metodo di calcolo del fattore «n». Infatti, come osserva la Commissione nella comunicazione del 2023, la Corte ha riconosciuto, nella sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferronickel) (62) (la sentenza che ha indotto la Commissione a rivedere il suo metodo di calcolo del fattore in parola e ad adottare tale comunicazione), che il PIL dello Stato membro interessato era il fattore predominante ai fini della valutazione della sua capacità finanziaria, «ferma restando» la possibilità per la Commissione di proporre sanzioni pecuniarie «fondate su una pluralità di criteri, al fine di consentire, in particolare, di mantenere un divario ragionevole tra i diversi Stati membri».

118. Tuttavia, ciò che tali elementi dimostrano, a mio avviso, è che la Corte esige effettivamente una correlazione tra il PIL degli Stati membri e i fattori «n» ad essi rispettivamente attribuiti (63).      Infatti, se ad uno Stato membro il cui PIL è comparativamente inferiore a quello di un altro Stato membro venisse attribuito un fattore «n» più elevato di quest’ultimo, e viceversa, il fattore in esame non potrebbe più, semplicemente, essere considerato rappresentativo della rispettiva capacità finanziaria degli Stati membri.

119. È proprio su tale punto che emerge il vizio presente nel metodo di calcolo del fattore «n» scelto dalla Commissione nella comunicazione 2023. L’allegato I della comunicazione del 2023 indica che i fattori «n» ivi elencati sono stati calcolati sulla base del PIL degli Stati membri nel 2020. Se si considera il PIL degli Stati membri nel corso dell’anno in questione (64)e i fattori «n» che la Commissione ha attribuito a ciascuno di essi, si constata che:

–        il PIL del Lussemburgo è superiore a quello della Bulgaria, della Croazia, della Lituania e della Slovenia, ma il fattore «n» applicato dalla Commissione al Lussemburgo è inferiore a quello applicato a detti altri Stati membri;

–        il PIL dei Paesi Bassi è notevolmente superiore a quello della Polonia, ma i loro fattori «n» sono praticamente identici (1,39 contro 1.37);

–        per contro, il PIL della Polonia è solo leggermente superiore a quello della Svezia, ma i loro fattori «n» variano significativamente (1,37 contro 0,83).

120. Inoltre, se si decide di analizzare i fattori «n» indicati nella comunicazione del 2023 alla luce del PIL pro capite degli Stati membri nel 2020 (65), anziché del loro PIL (poiché, si può supporre, il PIL pro capite consente un migliore confronto tra le rispettive capacità di pagamento degli Stati membri), si osservano risultati ancora più incoerenti:

–        il PIL pro capite della Danimarca è superiore a quello della Germania nel 2020, ma il fattore «n» della Germania è quasi 12 volte superiore a quello della Danimarca (6,16 contro 0,52);

–        per contro, all’Irlanda e alla Danimarca sono stati attribuiti fattori «n» simili (0,55 contro 0,52), anche se il PIL pro capite dell’Irlanda è quasi 1,5 volte superiore a quello della Danimarca;

–        analogamente, i Paesi Bassi e la Polonia hanno fattori «n» simili (1,39 e 1,37), ma esiste una differenza significativa tra i loro PIL pro capite (il PIL pro capite dei Paesi Bassi è quasi quattro volte superiore a quello della Polonia);

–        l’Italia e Cipro hanno un PIL pro capite simile, ma il fattore «n» dell’Italia è pari a 3,41 mentre il fattore «n» di Cipro è pari a 0,05 (il fattore «n» dell’Italia è quindi circa 68 volte superiore a quello di Cipro);

–        il Lussemburgo ha uno dei fattori «n» più bassi, ma il PIL pro capite più elevato di tutti gli Stati membri.

121. Alla luce degli elementi citati, mi sembra evidente che i fattori «n» elencati nella comunicazione del 2023 non sono rappresentativi delle rispettive capacità finanziaria degli Stati membri (indipendentemente dalla questione se tale capacità sia determinata alla luce del PIL o del PIL pro capite degli stessi). A mio avviso, l’argomento addotto da alcuni autori (66) e Stati membri (67) nel periodo in cui il metodo di calcolo del fattore «n» era ancora fondato sui diritti di voto in seno al Consiglio o sul numero di rappresentanti al Parlamento europeo, secondo cui tale fattore non offriva necessariamente un quadro preciso della capacità finanziaria degli Stati membri, giacché sopravvalutava o sottovalutava la capacità finanziaria di taluni Stati membri, resta certamente ancora valido (68).

122. Ciò mi porta alla seconda ragione per cui ritengo che il metodo di calcolo del fattore «n» stabilito nella comunicazione del 2023 non sia adeguato. Mi sembra chiaro che, nel fissare tale metodo, la Commissione intendeva non solo dare seguito alla sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferronickel) (69), in cui la Corte criticava il precedente metodo di calcolo (vale a dire quello stabilito nella Comunicazione del 2019), ma anche garantire che gli importi delle sanzioni pecuniarie che la Commissione avrebbe proposto alla Corte si mantenessero il più possibile aderenti ai valori ottenuti con detto precedente metodo.

123. Infatti, anche nel corso dell’adozione della comunicazione del 2019, la Commissione aveva sottolineato che l’utilizzo del PIL degli Stati membri come criterio esclusivo avrebbe causato un divario tra il fattore «n» più alto e il fattore «n», il che, a suo avviso, era inaccettabile (70). È facile immaginare che la Commissione possa aver avuto preoccupazioni analoghe quando ha suggerito di includere un criterio demografico nel suo nuovo metodo di calcolo nella comunicazione del 2023, anziché basarsi unicamente sul PIL o sul PIL pro capite. Infatti, se si confrontano i fattori «n» elencati nell’allegato I della comunicazione in parola con quelli elencati nell’allegato I della comunicazione del 2019, si constata che non vi sono discrepanze rilevanti tra i due.

124. A tale proposito, concordo, naturalmente, con la Commissione sul fatto che garantire che il fattore «n» rimanga entro un intervallo di valori analogo da un metodo di calcolo all’altro e presenti un certo grado di stabilità nel tempo non è un obiettivo del tutto errato. Tuttavia, mi sembra che la stabilità potrebbe essere facilmente raggiunta con altri mezzi più adeguati. Anzitutto, la Commissione potrebbe prendere in considerazione il PIL o il PIL pro capite degli Stati membri nel corso di più anni e basarsi sul loro valore medio nel corso di un periodo, ad esempio, di cinque anni. Inoltre, al fine di garantire che il divario tra i fattori «n» dei diversi Stati membri non sia troppo ampio e rimanga in qualche misura entro il medesimo intervallo di valori attualmente esistenti (vale a dire tra lo 0,03 e il 6,16), la Commissione potrebbe ridimensionare i valori ottenuti sulla base di una media del PIL o del PIL pro capite in modo che essi rientrino proprio in tale intervallo.

125. Mi sia permesso di illustrare detto ragionamento. In base all’approccio che suggerisco, allo Stato membro con il PIL o il PIL pro capite più elevato sarebbe attribuito un fattore «n» pari a 6,16. A tutti gli altri Stati membri verrebbe assegnato un fattore «n» che rifletta il loro PIL o PIL pro capite comparativo ma che rimanga al di sotto di tale valore. Ad esempio, se il Lussemburgo ha il PIL pro capite più elevato, il suo fattore «n» potrebbe essere pari a 6,16. Il fattore «n» dei Paesi Bassi il cui PIL pro capite era (nel 2020) circa la metà di quello del Lussemburgo, esso si avvicinerebbe a 3.

126. A mio avviso, e contrariamente a quanto sostiene la Commissione, l’avvocato generale Pitruzzella aveva in mente considerazioni analoghe quando ha dichiarato, nelle sue conclusioni nella causa Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferronickel) (71), che «l’obiettivo di mantenere una determinata proporzione tra i coefficienti applicati ai diversi Stati membri» potrebbe essere raggiunto attraverso metodi diversi, ad esempio facendo riferimento a «un criterio demografico che consenta di relativizzare i risultati derivanti dalla presa in considerazione del PIL semplice o comparativo». Infatti, non vedo come tale passaggio possa essere letto nel senso proposto dalla Commissione, dato che, al paragrafo 35 delle medesime conclusioni, l’avvocato generale Pitruzzella indica che, a suo avviso, «[il] PIL (semplice, pro capite o comparativo) [è] suscettibile di fornire di per sé un’adeguata indicazione della capacità di pagamento dello Stato membro interessato».

127. La terza ragione per la quale ritengo che il metodo di calcolo del fattore «n» adottato dalla Commissione non sia adeguato è legato ad alcune riflessioni più ampie sulla rilevanza dell’entità della popolazione dello Stato membro interessato in fase di determinazione della sua capacità di pagare sanzioni pecuniarie.

128. Come ho già affermato, ritengo (analogamente all’avvocato generale Pitruzzella) che per ottenere un quadro preciso della capacità finanziaria dello Stato membro in questione, possa essere utile, se non preferibile, basarsi sul suo PIL pro capite (il che, com’è ovvio, richiede di tener conto dell’entità della sua popolazione). Tuttavia, la Commissione non procede in tal senso nella comunicazione del 2023. Infatti, come ho spiegato in precedenza, nella comunicazione di cui trattasi essa non divide il PIL dello Stato membro interessato per la sua popolazione, come avverrebbe per calcolare il PIL pro capite dello Stato membro di cui trattasi. La stessa ritiene piuttosto che la ricchezza relativa dello Stato membro interessato (il suo PIL, valutato in rapporto al PIL medio di tutti gli Stati membri) debba essere moltiplicata per la popolazione dello Stato membro in questione (ancora una volta, valutata rispetto alla popolazione media di tutti gli Stati membri).

129. Come giustamente sostenuto dalla Repubblica di Polonia, la conseguenza di tale approccio è che si ritiene sistematicamente che uno Stato membro la cui popolazione è comparativamente più numerosa abbia una capacità finanziaria maggiore rispetto a uno Stato membro avente la stessa ricchezza complessiva (PIL) e una popolazione comparativamente meno numerosa. Non vedo come ciò possa conciliarsi con il principio della parità di trattamento tra gli Stati membri.

130. Inoltre, mi sembra che l’approccio della Commissione comporti, in ultima analisi, un risultato molto infelice, laddove l’entità della popolazione dello Stato membro interessato è effettivamente considerata alla stregua di un fattore aggravante o attenuante (a seconda che la popolazione sia molto numerosa o poco numerosa) in fase di determinazione del fattore «n». A mio avviso, una siffatta considerazione non trova spazio nell’ambito di una valutazione della capacità finanziaria degli Stati membri. Infatti, come ha affermato l’avvocato generale Wathelet, «non si esclude che taluni Stati membri aventi una determinata popolazione abbiano [effettivamente] una minor capacità finanziaria di altri Stati membri aventi una popolazione meno numerosa» (72).

131. Ciò mi conduce alla mia ultima osservazione. Posso ammettere senza difficoltà che gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza del diritto dell’Unione, in particolare quelli connessi al recepimento delle direttive, sono in qualche modo «dovuti» dagli stessi Stati membri ai loro cittadini. Quando uno Stato membro non recepisce una direttiva, comprendo come possa essere rilevante tener conto del numero di cittadini dell’Unione residenti sul suo territorio che sono interessati da tale inadempimento. Si tratta, a mio avviso, della principale differenza tra l’inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione e il conducente di un’autovettura o la società che ho utilizzato come esempio nell’introduzione delle presenti conclusioni. Dal mio punto di vista, il conducente o la società non immaginerebbe, nemmeno per un secondo, che l’importo della sanzione pecuniaria irrogata nei suoi confronti possa variare in funzione del numero di persone che vivono con il conducente o del numero di persone alle dipendenze della società al momento dell’infrazione per il semplice motivo che le norme che essi violano (che riguardino la circolazione stradale, la concorrenza dell’Unione o la protezione dei dati personali) non comportano obblighi che sono dovuti nei confronti di tali individui.

132. Per contro, il fatto che uno Stato membro subisca una sanzione più elevata perché ha una popolazione più numerosa rispetto a un altro Stato membro non è, a mio avviso, del tutto ingiustificato nell’ambito di un procedimento di infrazione avviato ai sensi dell’articolo 258 TFUE. Tuttavia, ritengo che tale elemento si riferisca alla gravità dell’infrazione e non alla capacità finanziaria degli Stati membri. Per il motivo esposto, ritengo che l’entità della popolazione dello Stato membro interessato non possa fungere da fattore aggravante o attenuante in fase di determinazione del fattore «n». Invece, essa può, se del caso, rientrare tra i fattori attenuanti o aggravanti rilevanti per determinare il coefficiente di gravità in ciascun caso specifico. Al riguardo, osservo che, come ho già indicato al paragrafo 93 delle presenti conclusioni, la Commissione rende già possibile procedere in tal senso per le infrazioni che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE.

3.      Presente causa

133. Nelle sezioni precedenti, ho spiegato perché non ritengo adeguato, in primo luogo, applicare «sistematicamente» lo stesso coefficiente di gravità pari a 10 in tutti i casi di mancata comunicazione totale delle misure di attuazione e, in secondo luogo, ai fini della determinazione della capacità finanziaria dello Stato membro interessato, basarsi su un criterio demografico che penalizza sistematicamente gli Stati membri che, come la Polonia, hanno una popolazione più numerosa.

134. Vorrei ora affrontare la restante questione delle sanzioni pecuniarie che la Corte dovrebbe, a mio avviso, adottare nella presente causa.

135. Al riguardo, ricordo, da un lato, che l’importo complessivo delle sanzioni pecuniarie irrogate dalla Corte in forza dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, non può, come ho già affermato al paragrafo 57 delle presenti conclusioni, superare l’importo indicato dalla Commissione.

136. Dall’altro lato, la Corte ha ripetutamente affermato che, nell’ambito di un procedimento di infrazione, essa non è, in generale, vincolata dagli orientamenti contenuti nelle comunicazioni della Commissione, che hanno lo scopo di contribuire a garantire la trasparenza, la prevedibilità e la certezza del diritto dell’azione condotta dalla Commissione stessa quando tale istituzione formula proposte alla Corte. Inoltre, la Corte ha precisato che le variabili matematiche utilizzate dalla Commissione per calcolare l’importo delle sanzioni pecuniarie costituiscono un’«utile base di riferimento». In altre parole, esse sono regole indicative, che si limitano a indicare le linee guida che la Commissione intende seguire (73).

137. Nel caso di specie, ne consegue che, sebbene le proposte formulate dalla Commissione siano state adottate conformemente agli orientamenti contenuti nella comunicazione del 2023 e siano quindi affette dai due vizi che ho individuato al paragrafo 133 delle presenti conclusioni, i vizi in parola non impediscono alla Corte di disporre sanzioni pecuniarie di importo inferiore rispetto a quello indicato dalla Commissione, senza tenere conto dei metodi di calcolo delineati in tale comunicazione.

138. Al contempo, dal momento che tali proposte pongono un «tetto» all’importo che la Corte può irrogare in forza della medesima disposizione, non si può escludere che esse possano, in una situazione in cui la Corte ritenga opportuno optare per sanzioni pecuniarie di importo superiore a quello indicato dalla Commissione (questione che, fortunatamente, a mio avviso, non si pone nel caso di specie), privare la Corte della possibilità di procedere in tal senso. Per il motivo esposto, propongo alla Corte di rilevare espressamente i vizi presenti nei metodi di calcolo della Commissione nella sentenza nella presente causa [come è in precedenza avvenuto nelle sue sentenze del 14 novembre 2018, Commissione/Grecia (74), e del 20 gennaio 2022, Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferronickel) (75)].

139. Effettuate tali precisazioni, osservo che, ad oggi, la Repubblica di Polonia non ha ancora comunicato alla Commissione le misure necessarie per l’attuazione della direttiva sugli informatori.

140. In tali circostanze, ritengo opportuno imporre alla Repubblica di Polonia il pagamento tanto di una somma forfettaria quanto di una penalità, al fine di indurla ad adottare le misure necessarie per porre fine all’infrazione constatata.

141. Tuttavia, per garantire che l’importo della somma forfettaria e della penalità di cui trattasi sia di per sé tanto «adeguato alle circostanze» quanto «commisurato sia all’inadempimento (…) sia alla capacità finanziaria» della Repubblica di Polonia (76), la Corte deve considerare, a mio avviso, che la Repubblica di Polonia dispone di una capacità finanziaria inferiore a quella riflessa nel fattore «n» su cui si è basata la Commissione (77).

142. Inoltre, nel valutare la gravità dell’infrazione di cui trattasi, mi sembra che la Corte debba tener conto di tutti i fattori attenuanti o aggravanti pertinenti (come quelli che ho elencato al paragrafo 93 supra delle presenti conclusioni). Tra siffatti elementi figura il fatto che il mancato recepimento della direttiva sugli informatori da parte della Repubblica di Polonia potrebbe incidere sui diritti di un numero piuttosto elevato di cittadini dell’Unione, data la popolazione relativamente numerosa di tale Stato membro e il fatto che la direttiva in esame mira proprio a conferire diritti soggettivi alle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione.

143. Per quanto riguarda gli effetti dell’inadempimento della Repubblica di Polonia sugli interessi pubblici e privati, ricordo che, come ho rilevato al paragrafo 21 supra delle presenti conclusioni, la direttiva sugli informatori mira a concedere una protezione «equilibrata ed efficace» delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione su cui acquisiscono informazioni in un contesto lavorativo e a «rafforzare l’applicazione del diritto e delle politiche dell’Unione» in taluni settori specifici rilevanti per l’interesse pubblico. Il mancato recepimento di tale strumento deve pertanto essere ritenuto particolarmente grave, poiché comporta conseguenze significative per siffatti «settori (…) rilevanti per l’interesse pubblico», nonché per la tutela dei diritti soggettivi degli informatori.

144. Tuttavia, mi sembra che siffatte conseguenze significative siano in qualche modo attenuate dal fatto che gli informatori sono già protetti dall’ordinamento polacco (e quindi che l’esercizio dei loro diritti non sia così pregiudicato come si potrebbe inizialmente pensare dal mancato recepimento della direttiva sugli informatori da parte della Repubblica di Polonia). Al riguardo, ricordo che la Corte ha già dichiarato che la gravità dell’infrazione può dipendere dai suoi effetti pratici, in particolare dal fatto che tali effetti siano rimasti relativamente ridotti (78). Pertanto, in linea di principio, condivido la tesi della Repubblica di Polonia secondo cui il livello di protezione riconosciuto agli informatori in forza dell’ordinamento polacco può essere considerato un fattore attenuante.

145. Inoltre, sono d’accordo con la Repubblica di Polonia sul fatto che anche la leale cooperazione con la Commissione nel corso della procedura conclusasi con il procedimento di infrazione dinanzi alla Corte potrebbe essere considerato un fattore attenuante (79).

146. Nel complesso, mi sembra, alla luce delle pertinenti circostanze di fatto e di diritto che ho appena esposto (e, in particolare, la minore capacità finanziaria della Repubblica di Polonia), che sarebbe opportuno che la Corte infliggesse sanzioni pecuniarie di importo inferiore a quello indicato dalla Commissione, vale a dire una somma forfettaria giornaliera pari a EUR 8 700 a decorrere dalla data di scadenza del termine di recepimento della direttiva sugli informatori fino alla data di pronuncia della sentenza nella presente causa nonché una penalità di EUR 34 000 per ogni giorno di ritardo nel conformarsi agli obblighi incombenti in forza della direttiva sugli informatori a partire dalla data di pronuncia di tale sentenza fino alla data di adempimento degli obblighi in questione.

VI.    Conclusione

147. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo che la Corte di giustizia voglia:

–        dichiarare che la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (direttiva sugli informatori), non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per il recepimento della stessa o, in ogni caso, non avendo comunicato tali disposizioni alla Commissione;

–        dichiarare che l’applicazione sistematica di un coefficiente di gravità pari a 10 in tutti i casi di inadempimento totale dell’obbligo di comunicare le misure necessarie al recepimento di una direttiva non è adeguata in relazione alla fissazione di sanzioni pecuniarie che siano sufficientemente dissuasive e proporzionate all’infrazione di cui trattasi;

–        dichiarare che, ai fini della fissazione di siffatte sanzioni pecuniarie, il metodo di calcolo utilizzato dalla Commissione europea nella comunicazione intitolata «Sanzioni pecuniarie nei procedimenti d’infrazione» per determinare il fattore «n» non è adeguato all’accertamento della capacità finanziaria di tale Stato membro;

–        condannare la Repubblica di Polonia al pagamento di una somma forfettaria giornaliera pari a EUR 8 700 a decorrere dalla data di scadenza del termine di recepimento della direttiva sugli informatori fino alla data di pronuncia della sentenza nella presente causa nonché di una penalità di EUR 34 000 per ogni giorno di ritardo nel conformarsi agli obblighi incombenti in forza della direttiva sugli informatori a partire dalla data di pronuncia di tale sentenza fino alla data di adempimento degli obblighi in questione.

–        condannare la Repubblica di Polonia alle spese.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      V., a tal riguardo, articolo 23 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), e articolo 83 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1; in prosieguo: l’«RGPD»).


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019 (GU 2019, L 305, pag. 17).


4      Comunicazione della Commissione – Sanzioni pecuniarie nei procedimenti d’infrazione (GU 2023, C 2, pag. 1).


5      Lo «scandalo LuxLeaks» riguarda le rivelazioni, nel 2014, di oltre 300 «ruling fiscali» (regimi fiscali) stipulati dall’amministrazione fiscale del Lussemburgo con imprese e società e i successivi procedimenti giurisdizionali avviati nei confronti di alcune delle persone coinvolte in tali rivelazioni.


6      V. considerando 1 e articolo 4, intitolato «Ambito di applicazione personale», della direttiva sugli informatori.


7      Le norme contenute nella direttiva sugli informatori riguardano un’ampia gamma di settori e si estendono sia al settore pubblico che a quello privato. Esse prevedono un divieto rigoroso di ogni forma di ritorsione nei confronti degli informatori. Per un commento generale alla direttiva di cui trattasi, v. Abazi, V., «The European Union Whistleblower Directive: A “game changer” for whistleblowing protection?», Industrial Law Journal, vol. 49, fascicolo 4, 2020, pagg. da 640 a 656.


8      Fatta eccezione per le misure necessarie a conformarsi all’obbligo di stabilire un canale di segnalazione interna ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sugli informatori, per quanto riguarda i soggetti giuridici del settore privato con più di 50 e meno di 250 lavoratori, per i quali gli Stati membri hanno beneficiato di un periodo supplementare di due anni (fino al 17 dicembre 2023) (v. articolo 26, paragrafo 2, della medesima direttiva).


9      V. cause C‑149/23, Commissione/Germania; C‑150/23, Commissione/Lussemburgo; C‑152/23, Commissione/Repubblica ceca; C‑154/23, Commissione/Estonia, e C‑155/23, Commissione/Ungheria. Tutte le cause citate sono attualmente pendenti dinanzi alla Corte.


10      V., tra le altre, in tal senso, sentenza del 20 settembre 2001, Commissione/Francia (C‑468/00, EU:C:2001:482, punto 10).


11      V., in tal senso, sentenza del 30 maggio 2013, Commissione/Svezia (C‑270/11, EU:C:2013:339, punto 54).


12      V., in tal senso, sentenze del 20 settembre 2001, Commissione/Francia (C‑468/00, EU:C:2001:482, punti da 8 a 10), e del 26 febbraio 2008, Commissione/Lussemburgo (C‑273/07, EU:C:2008:122, punti da 8 a 10).


13      V. sentenza del 17 luglio 1997, Commissione/Spagna (C‑52/96, EU:C:1997:382, punti da 8 a 11).


14      V. sentenza del 16 luglio 2020, Commissione/Irlanda (Antiriciclaggio) (C‑550/18, EU:C:2020:564, punto 46).


15      V. sentenza dell’8 giugno 2023, Commissione/Slovacchia (Diritto di risoluzione senza spese) (C‑540/21, EU:C:2023:450, punto 83).


16      V. sentenza del 6 luglio 2000, Commissione/Belgio (C‑236/99, EU:C:2000:374, punti da 21 a 24).


17      V., al riguardo, sentenze del 17 settembre 1987, Commissione/Grecia (70/86, EU:C:1987:374, punto 8), e dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia (C‑334/08, EU:C:2010:414, punti 46 e 47).


18      V., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 1985, Commissione/Italia (101/84, EU:C:1985:330, punto 16), e dell’8 giugno 2023, Commissione/Slovacchia (Diritto di risoluzione senza spese) (C‑540/21, EU:C:2023:450, punto 81 e giurisprudenza citata). V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Commissione/Germania (C‑527/12, EU:C:2014:90, paragrafi da 47 a 53).


19      Sentenza del 4 marzo 2010 (C‑297/08, EU:C:2010:115, punti da 80 a 86).


20      V., per analogia, sentenza del 6 luglio 2000, Commissione/Belgio (C‑236/99, EU:C:2000:374, punti da 21 a 24).


21      V. punto 11 della Comunicazione della Commissione – Applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, del TFUE (GU 2011, C 12, pag. 1).


22      Come precisa l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, la direttiva in questione deve essere stata «adottata secondo una procedura legislativa». Essa non si applica alle direttive di natura non legislativa.


23      V., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Commissione/Irlanda (Antiriciclaggio) (C‑550/18, EU:C:2020:564, punto 55 e giurisprudenza citata).


24      Ciò è dovuto al fatto che la domanda di condanna a sanzioni pecuniarie ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE costituisce solo una modalità accessoria del procedimento per inadempimento, di cui essa deve garantire l’efficacia [v. sentenza del 16 luglio 2020, Commissione/Romania (Antiriciclaggio) (C‑549/18, EU:C:2020:563, punto 49 e giurisprudenza citata)].


25      Per completezza, osservo che, sebbene l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE taccia riguardo alla questione se l’obbligo dello Stato membro interessato di ottemperare alle sanzioni «scatti» alla data della pronuncia della sentenza (senza un ulteriore periodo di tolleranza), la Corte ha già stabilito, in più occasioni, che tali sanzioni sono immediatamente esigibili [v., ad esempio, sentenza dell’8 luglio 2019 nella causa Commissione/Belgio (Articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Reti ad alta velocità), C‑543/17, EU:C:2019:573]. Per il dibattito dottrinale sul punto, v. Materne, T., La Procédure en Manquement d’État – Guide Pratique, 2º ed., Bruylant, pag. 483.


26      V., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Commissione/Irlanda (Antiriciclaggio) (C‑550/18, EU:C:2020:564, punto 74 e giurisprudenza citata).


27      A tale proposito, aggiungo che, mentre l’articolo 260, paragrafo 2, TFUE ha ad oggetto quella che è, essenzialmente, un’«infrazione composta» o «doppia infrazione» (l’inadempimento originario dello Stato membro più la mancata esecuzione della sentenza ex articolo 258 TFUE), l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE si applica nell’ambito di una singola infrazione (ossia, il mancato recepimento di una direttiva) (v. Wahl, N. e Prete, L., «Between certainty, severity and proportionality: Some reflections on the nature and functioning of Article 260(3) TFEU», European Law Reporter, fascicolo 6, 2014, pagg. da 170 a 189, in particolare pag. 173).


28      V. sentenza del 25 febbraio 2021, Commissione/Spagna (Direttiva dati personali – Settore penale) (C‑658/19, EU:C:2021:138, punto 56 e giurisprudenza citata).


29      Tale limitazione incide non solo sull’importo stesso, ma anche sulla scelta della Corte quanto alla tipologia delle sanzioni (somma forfettaria o penalità o entrambe) che essa consideri adeguata [v. sentenza del 16 luglio 2020, Commissione/Romania (Antiriciclaggio) (C‑549/18, EU:C:2020:563, punto 52)]. Ciò posto, rilevo che, come indicato nella comunicazione del 2023, la Commissione «propone sistematicamente alla Corte di imporre (…) il pagamento sia di una somma forfettaria che di una penalità».


30      V., al riguardo, sentenza del 25 febbraio 2021, Commissione/Spagna (Direttiva dati personali – Settore penale) (C‑658/19, EU:C:2021:138, punto 55 e giurisprudenza citata).


31      V. sentenza del 13 gennaio 2021, Commissione/Slovenia (MiFID II) (C‑628/18, EU:C:2021:1, punto 75).


32      Al riguardo, essa richiama le sentenze del 25 giugno 2013, Commissione/Repubblica ceca (C‑241/11, EU:C:2013:423), e del 17 ottobre 2013, Commissione/Belgio (C‑533/11, EU:C:2013:659).


33      V., per quanto riguarda le penalità, sentenze del 4 luglio 2000, Commissione/Grecia (C‑387/97, EU:C:2000:356, punto 90), e del 25 febbraio 2021, Commissione/Spagna (Direttiva dati personali – Settore penale) (C‑658/19, EU:C:2021:138, punto 62); per quanto riguarda le somme forfettarie, sentenze del 16 luglio 2020, Commissione/Irlanda (Antiriciclaggio), C‑550/18, (EU:C:2020:564, punto 81), e del 25 febbraio 2021, Commissione/Spagna (Direttiva dati personali – Settore penale) (C‑658/19, EU:C:2021:138, punto 73).


34      V. punto 2 della comunicazione del 2023.


35      Infatti, gli altri elementi dei metodi di calcolo applicati dalla Commissione (ossia l’ammontare forfettario, il coefficiente di durata o il numero di giorni di persistenza dell’infrazione e il fattore «n») non sono fondati sulla gravità dell’infrazione.


36      V. punto 25 della Comunicazione della Commissione – Applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, del TFUE (GU 2011, C 12, pag. 1).


37      V., per maggiori dettagli, paragrafo 85 delle presenti conclusioni.


38      V., a tale proposito, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Commissione/Belgio (Articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Reti ad alta velocità) (C‑543/17, EU:C:2019:322, punto 69).


39      V. paragrafo 51 supra delle presenti conclusioni.


40      V., a tale riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Commissione/Belgio (Articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Reti ad alta velocità) (C‑543/17, EU:C:2019:322, paragrafo 56). V., altresì, Wahl, N., e Prete, L., «Between certainty, severity and proportionality: Some reflections on the nature and functioning of Article 260(3) TFEU», European Law Reporter, fascicolo 6, 2014, pagg. da 170 a 189, in particolare pag. 173.


41      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003 (GU 2003, L 235, pag. 10).


42      V. sentenza del 25 giugno 2013 (C‑241/11, EU:C:2013:423, punto 53).


43      Sentenza del 12 luglio 2005 (C‑304/02, EU:C:2005:444).


44      V., a tal riguardo, Wahl, N., e Prete, L., «Between certainty, severity and proportionality: Some reflections on the nature and functioning of Article 260(3) TFEU», European Law Reporter, fascicolo 6, 2014, pagg. da 170 a 189, in particolare pag. 173.


45      V. punto 7 della Comunicazione della Commissione – Applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, del TFUE (GU 2011, C 12, pag. 1).


46      V. sentenza del 25 febbraio 2021, Commissione/Spagna (Direttiva dati personali – Settore penale) (C‑658/19, EU:C:2021:138, punto 54 e giurisprudenza citata).


47      V., per analogia, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Spagna (Recupero di aiuti di Stato – Ferro-nichel) (C‑51/20, EU:C:2022:36, punto 96).


48      V. punto 3.2.2 della comunicazione del 2023.


49      V. punto 2.2 della medesima comunicazione.


50      Ciò posto, sono d’accordo sul fatto che, anche in un settore considerato generalmente rilevante per l’interesse pubblico, è possibile che il legislatore dell’Unione adotti una direttiva su un punto relativamente poco rilevante (ad esempio, su un punto molto tecnico), e viceversa. La gravità dell’infrazione deve dunque essere valutata in ciascun caso.


51      Si può supporre che sulla base di considerazioni di simile natura la Commissione abbia dichiarato, nella sua prima comunicazione sull’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, che i principi e i criteri generali che essa aveva formulato in relazione a tale disposizione dovevano essere applicati «nei singoli casi» e che ogni sanzione pecuniaria doveva sempre essere adeguata alla fattispecie [v. punto 10 della Comunicazione della Commissione – Applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, del TFUE (GU 2011, C 12, pag. 1)].


52      V. sentenza del 13 gennaio 2021, Commissione/Slovenia (MiFID II) (C‑628/18, EU:C:2021:1, punto 75).


53      V. punto 3.2.1.1 della comunicazione del 2023.


54      V. punto 25 della Comunicazione della Commissione – Applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, del TFUE (GU 2011, C 12, pag. 1), che fa riferimento al punto 16.6 della Comunicazione della Commissione – applicazione dell’articolo 228 del trattato CE (SEC/2005/1658).


55      V. sentenza del 20 gennaio 2022 (C‑51/20, EU:C:2022:36).


56      C‑51/20, EU:C:2021:534, paragrafo 37.


57      C‑93/17, UE:C:2018:315, paragrafo 139.


58      V. sezione D, intitolata «Considerazione della capacità finanziaria dello Stato membro», della Comunicazione della Commissione – applicazione dell’articolo 228 del trattato CE (SEC/2005/1658). Per completezza, aggiungo che il fattore «n» è apparso per la prima volta nel documento intitolato «Comunicazione della Commissione – Metodo di calcolo della penalità prevista dall’articolo 171 del Trattato CE», del 28 febbraio 1997 (GU 1997, C 63, pag. 2), ma solo nel 2005 esso ha iniziato ad essere applicato anche per il calcolo delle somme forfettarie.


59      C‑93/17, EU:C:2018:903 (punti da 139 a 141).


60      Comunicazione della Commissione – Modifica del metodo di calcolo delle somme forfettarie e delle penalità giornaliere alla Corte di giustizia dell’Unione europea (GU 2019, C 70, pag. 1).


61      C‑51/20, EU:C:2022:36 (punti da 113 a 115).


62      C‑51/20, EU:C:2022:36 (punto 116).


63      Al riguardo, aggiungo che la Corte ha sottolineato, in varie sentenze, che, per quanto riguarda la capacità finanziaria dello Stato membro di cui trattasi, occorre tenere conto dell’evoluzione recente del prodotto interno lordo (PIL) di detto Stato membro, come essa si presenta alla data dell’esame dei fatti da parte della Corte [v., in particolare, sentenze del 16 luglio 2020, Commissione/Romania (Antiriciclaggio) (C‑549/18, EU:C:2020:563, punto 85), e del 16 luglio 2020, Commissione/Irlanda (Antiriciclaggio) (C‑550/18, EU:C:2020:564, punto 97)]. Inoltre, la Corte ha ritenuto che l’importo delle sanzioni pecuniarie debba essere ridotto in situazioni in cui lo Stato membro interessato attraversa una crisi economica (e in cui il suo PIL è notevolmente diminuito) [v. sentenza del 19 dicembre 2012, Commissione/Irlanda (C‑374/11, EU:C:2012:827, punto 44)].


64      Sulla base dei valori forniti da Eurostat su: https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/NAMA_10_GDP__custom_1799513/bookmark/bar?lang=en&bookmarkId=d8b13929-28c2-478f-8c40-492f2c166c77.


65      Sulla base dei valori forniti da Eurostat su: https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/sdg_08_10/default/table?lang=en.


66      V., a tal riguardo, Kornezov, A., «Imposing the right amount of sanctions under Article 260(2) TFEU: Fairness v. predictability, or how to “bridge the gaps”», vol. 20, n. 3, Columbia Journal of European Law, 2014, pagg. da 307 a 331, in particolare pag. 329.


67      V., al riguardo, sentenza del 25 febbraio 2021, Commissione/Spagna (Direttiva dati personali – Diritto penale) (C‑658/19, EU:C:2021:138, punto 49), in cui il Regno di Spagna ha sostenuto che il fattore «n» assegnatogli nella comunicazione del 2019 lo poneva al quarto posto tra gli Stati membri in termini di capacità finanziaria, mentre se tale fattore fosse stato calcolato solo sulla base del PIL, la Spagna si sarebbe collocata al quattordicesimo posto.


68      V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nella causa Commissione/Grecia (C‑197/98, EU:C:1999:597, paragrafi da 39 a 43).


69      C‑51/20, EU:C:2022:36.


70      V. comunicazione del 2019, punto 2.


71      C‑51/20, EU:C:2021:534, paragrafo 37.


72      V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Commissione/Grecia (C‑93/17, EU:C:2018:315, paragrafo 139).


73      V. sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferro-nichel) (C‑51/20, EU:C:2022:36, punti 95, 109 e 110).


74      C‑93/17, EU:C:2018:903.


75      C‑51/20, EU:C:2022:36.


76      V. la giurisprudenza che ho richiamato al paragrafo 70 delle presenti conclusioni.


77      Utilizzando il metodo che ho descritto al paragrafo 125 delle presenti conclusioni, il fattore «n» della Repubblica di Polonia potrebbe, ad esempio, essere pari a 0,97, poiché il suo PIL pro capite, tra il 2018 e il 2022, era pari, in media, a EUR 13 354 (rispetto a EUR 84 280 per il Lussemburgo) (sulla base dei valori forniti da Eurostat su: https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/sdg_08_10/default/table?lang=en.


78      V. sentenza del 13 gennaio 2021, Commissione/Slovenia (MiFID II) (C‑628/18, EU:C:2021:1, punto 80).


79      V., a tale riguardo, sentenze del 25 giugno 2013, Commissione/Repubblica ceca (C‑241/11, EU:C:2013:423, punto 51), e del 17 ottobre 2013, Commissione/Belgio (C‑533/11, EU:C:2013:659, punto 40). D’altro canto, condivido la posizione della Commissione secondo cui l’omessa cooperazione costituisce un fattore aggravante. Infatti, gli Stati membri sono tenuti a cooperare lealmente con la Commissione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE.